Codice Civile art. 263 - Impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità 1 2 .[I]. Il riconoscimento può essere impugnato per difetto di veridicità dall'autore del riconoscimento, da colui che è stato riconosciuto e da chiunque vi abbia interesse. [II]. L'azione è imprescrittibile riguardo al figlio. [III]. L'azione di impugnazione da parte dell'autore del riconoscimento deve essere proposta nel termine di un anno che decorre dal giorno dell'annotazione del riconoscimento sull'atto di nascita. Se l'autore del riconoscimento prova di aver ignorato la propria impotenza al tempo del concepimento, il termine decorre dal giorno in cui ne ha avuto conoscenza; nello stesso termine, la madre che abbia effettuato il riconoscimento è ammessa a provare di aver ignorato l'impotenza del presunto padre. L'azione non può essere comunque proposta oltre cinque anni dall'annotazione del riconoscimento3. [IV]. L'azione di impugnazione da parte degli altri legittimati deve essere proposta nel termine di cinque anni che decorrono dal giorno dall'annotazione del riconoscimento sull'atto di nascita. Si applica l'articolo 245.
[1] L’art. 7, d.lgs. 28 dicembre 2013, n. 154, ha sostituito il Titolo, modificando la rubrica del Titolo (la precedente era «Della filiazione»), e sostituendo le parole «Capo II. "Della filiazione naturale e della legittimazione"»; «Sezione I. "Della filiazione naturale» e la rubrica del paragrafo 1 «Del riconoscimento dei figli naturali» con le parole: «Capo IV. "Del riconoscimento dei figli nati fuori dal matrimonio"». [2] Articolo sostituito dall'art. 28, d.lgs. 28 dicembre 2013, n. 154 Il testo precedente era il seguente: «[I]. Il riconoscimento può essere impugnato per difetto di veridicità dall'autore del riconoscimento, da colui che è stato riconosciuto e da chiunque vi abbia interesse. [II]. L'impugnazione è ammessa anche dopo la legittimazione. [III]. L'azione è imprescrittibile». Ai sensi dell’art. 108, d.lgs. n. 154 del 2013, la modifica è entrata in vigore a partire dal 7 febbraio 2014. Per la decorrenza del termine per proporre l'azione di impugnazione di cui al presente articolo, v. art. 104, comma 10, del d.lgs. n. 154 cit. [3] La Corte costituzionale, con sentenza n. 133 depositata il 25 giugno 2021 (in Gazzetta Ufficiale n. 26 del 30 giugno 2021), ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 263, terzo comma, codice civile, come modificato dall'art. 28, comma 1, del decreto legislativo 28 dicembre 2013, n. 154 (Revisione delle disposizioni vigenti in materia di filiazione, a norma dell'articolo 2 della legge 10 dicembre 2012, n. 219), nella parte in cui non prevede che, per l'autore del riconoscimento, il termine annuale per proporre l'azione di impugnazione decorra dal giorno in cui ha avuto conoscenza della non paternità. InquadramentoDall'azione di disconoscimento del figlio di genitori coniugati si distingue l'azione d'impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità di cui all'articolo 263 c.c. La differenza è che la prima presuppone la filiazione nel matrimonio, la seconda la filiazione fuori dal matrimonio. Sussiste, inoltre, una significativa differenza nella legittimazione attiva, che nell'azione di disconoscimento per difetto di veridicità e' attribuita a chiunque vi abbia interesse. La disposizione in esame fu integralmente sostituita dal d.lgs. 28 dicembre 2013, n. 154, particolarmente con riferimento ai limiti temporali per l'impugnazione al riconoscimento nei confronti dei vari legittimati a proporla. A fondamento dell'azione in esame vi è l'esigenza di adeguare la realtà giuridica, come documentata nell'atto di nascita, alla realtà obiettiva della filiazione, sicché essa è insensibile alla buona o malafede dell'autore del riconoscimento (Ferrando, 1997, 196). Proprio dalla natura di questa azione trae spunto la tesi che ritiene la natura di accertamento dell'atto di riconoscimento della filiazione naturale (Sesta, 2013, 277 e, in particolare, Bianca C.M., 2014, 366, il quale qualifica l'atto di riconoscimento come negozio di accertamento). Il difetto di veridicità consiste nella non corrispondenza della dichiarazione di riconoscimento del figlio alla reale procreazione da parte del genitore, in presenza della quale l'azione di cui all'art. 263 c.c. ha la funzione di rimuovere la dichiarazione non corrispondente alla realtà (Majello, 1982, 135). L'azione è, peraltro, concessa anche a colui che ha effettuato il riconoscimento nell'assenza di consapevolezza di non essere il vero genitore e in tale ipotesi, è riconducibile anche il cosiddetto «riconoscimento per compiacenza», che si ha quando un uomo procede a riconoscimento del figlio della donna con cui convive, frutto di una precedente relazione di quest'ultima (Farolfi, 2015, 1033). Altra parte della dottrina nega all'autore in mala fede al momento del riconoscimento, la possibilità di impugnarlo per difetto di veridicità, sulla base del principio dell'apparenza del diritto, secondo il quale colui che crea l'apparenza di una condizione di fatto o di diritto è assoggettato alle conseguenze di tale condizione nei confronti di chi vi abbia fatto ragionevole affidamento (Bianca C.M.,2014, 397). La riforma della filiazione del 2013 ha peraltro modificato la ratio di tale disciplina, sulla scorta della considerazione che il legislatore non ha voluto prolungare a tempo indeterminato l'incertezza sullo stato di figlio, rendendo imprescrittibile detta azione soltanto nei confronti del figlio (Farolfi, 2015, 1044). In definitiva, le modifiche introdotte dalla disciplina dell'azione di impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità si spiegano alla luce della prospettiva, alla base della riforma della filiazione, di uniformare il più possibile la disciplina delle due principali azioni volte a rimuovere lo stato di figlio, che prima era invece congegnata in modo da consentire più facilmente la rimozione dello stato di figlio naturale eda rendere, viceversa, assai più difficile la rimozione dello stato di figlio legittimo (Zaccaria, 2016, 614). Le contestazioni dello status filiationis nel nostro ordinamento sono disciplinate da azioni tipizzate che costituiscono un numero chiuso: esse sono contrassegnate da disciplina comuni e da aspetti differenziati. Con riferimento al profilo della distinzione tra l'impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità e l'azione di disconoscimento della paternità, la Suprema Corte aveva stabilito che l'impugnazione per difetto di veridicità del riconoscimento di un figlio naturale, postula la dimostrazione dell'assoluta impossibilità, per il soggetto che ha compiuto il riconoscimento, di essere il padre biologico del soggetto riconosciuto: in applicazione di tale principio, ad esempio, aveva cassato la sentenza del giudice del merito perché questa, pur affermando che doveva attribuirsi assoluto rilievo al rifiuto della parte di sottoporsi all'esame del Dna, aveva ritenuto opportuno valutare tale rifiuto nel contesto dei complessivi elementi probatori desumibili dalle risultanze processuali, così dimostrando di non attribuire in concreto esclusivo e decisivo rilievo di prova al predetto rifiuto, ponendo a fondamento della propria decisione circostanze di fatto — quali la distanza esistente tra le città di residenza dei presunti genitori, il disinteresse mostrato per molti anni dal presunto padre nei confronti della propria creatura, nonché l'incerto quadro probatorio in ordine alla effettiva esistenza di una relazione tra i presunti genitori — prive di concreta rilevanza, in quanto non idonee a dimostrare la assoluta impossibilità che l'attore fosse il padre biologico del convenuto (cfr. Cass. I, n. 10585/2009; Cass. I, n. 4462/2003). Nell'azione, intrapresa dal terzo interessato, di impugnazione per difetto di veridicità del riconoscimento di un figlio nato da genitori non uniti in matrimonio e già maggiorenne al momento della instaurazione del corrispondente giudizio, il bilanciamento che il giudice adìto è tenuto ad effettuare tra il concreto interesse del soggetto riconosciuto ed il favore per la verità del rapporto di filiazione non può costituire il risultato di una valutazione astratta e predeterminata, né può implicare, ex se, il sacrificio dell'uno in nome dell'altro, ma impone di tenere conto di tutte le variabili del caso concreto, tra cui il diritto all'identità personale del riconosciuto, correlato non solo alla verità biologica, ma anche ai legami affettivi e personali interni alla famiglia, al consolidamento della condizione identitaria acquisita per effetto del falso riconoscimento ed all'idoneità dell'autore del riconoscimento allo svolgimento del ruolo di genitore (Cass. I, ord. n. 3252/2022: in applicazione del principio, la S.C. ha cassato la decisione di merito che non aveva operato tale bilanciamento, in un caso in cui l'azione ex art. 263 c.c. era stata esperita dalla moglie di colui che aveva effettuato il riconoscimento, il quale si era limitato ad aderire alla domanda, senza che al giudizio avesse preso parte l'altro genitore che aveva operato il riconoscimento del figlio oramai ultraquarantenne). Per Cass. I, n. 28311/2023, il giudice non può limitarsi ad accertare l'assenza di un legame biologico tra le parti, ma deve altresì valutare e comparare gli interessi in gioco e, più specificamente, la prevalenza o meno, sull'interesse del richiedente, di quello del figlio a mantenere lo status giuridico sociale acquisito e consolidato nel tempo. A tal fine, acquista rilevanza il comportamento di colui che ha operato il riconoscimento, allorché, nonostante la consapevolezza della non veridicità, abbia trascurato di agire per un lasso di tempo sufficientemente lungo da far consolidare l'identità giuridica e sociale del soggetto che ha riconosciuto come figlio. Fermo il maggior valore probatorio successivamente attribuito dalla giurisprudenza alle indagini ematologiche, il principio dell'assoluta impossibilità della paternità è stato sottoposto a critica: colui che impugna il riconoscimento, si afferma, è tenuto a dimostrare solo la non rispondenza del riconoscimento al vero e non anche la assoluta impossibilità a procreare dell'autore del riconoscimento, dovendosi ritenere ormai superato il contrario orientamento alla luce della riforma dell'istituto dell'impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità: con conseguente valenza dirimente alla consulenza tecnica (Trib. Roma, I, 10 giugno 2020, n. 8359). Sotto il profilo probatorio, è stato altresì stabilito che l'azione di impugnazione del riconoscimento del figlio naturale per difetto di veridicità può essere accolta non solo quando l'attore provi che l'autore del riconoscimento, all'epoca del concepimento, era affetto da impotentia generandi o non aveva la possibilità di avere rapporti con la madre, ma anche quando fornisca la prova di essere il vero genitore, così provando nello stesso tempo sia la propria legittimazione, che la fondatezza della domanda (Cass. I, n. 12085/1995). Si afferma che, in tema di impugnazione del riconoscimento del figlio naturale, l'efficacia delle indagini ematologiche ed immunogenetiche sul Dna non può essere esclusa per la ragione che esse sono suscettibili di utilizzazione solo per compiere valutazioni meramente probabilistiche, in quanto tutte le asserzioni delle scienze fisiche e naturalistiche hanno natura probabilistica (anche quelle solitamente espresse in termini di leggi) e tutte le misurazioni (anche quelle condotte con gli strumenti più sofisticati) sono ineluttabilmente soggette ad errore, sia per ragioni intrinseche (c.d. errore statistico), che per ragioni legate al soggetto che esegue o legge le misurazioni (c.d. errore sistematico), spettando al giudice di merito, nell'esercizio del suo potere discrezionale, la valutazione dell'opportunità di disporre indagini suppletive o integrative di quelle già espletate, di sentire a chiarimenti il consulente tecnico di ufficio ovvero di disporre la rinnovazione delle indagini, e il mancato esercizio di tale potere, così come il suo esercizio, non è censurabile in sede di legittimità (Cass. I, n. 14462/2008). Di recente, nel senso della parificazione, anche sotto il profilo probatorio, di tutte le azioni demolitorie dello status, stante la nuova disciplina introdotta dalle riforme del 2012 e 2013 in materia di filiazione è stato affermato il principio, in tema di azione di impugnazione del riconoscimento del figlio naturale per difetto di veridicità, per cui la prova dell'“assoluta impossibilità di concepimento” non è diversa rispetto a quella che è necessario fornire per le altre azioni di stato, richiedendo il diritto vigente che sia il “favor veritatis” ad orientare le valutazioni da compiere in tutti i casi di accertamento o disconoscimento della filiazione, sicché, essendo la consulenza tecnica genetica l'unica forma di accertamento attendibile nella ricerca della filiazione, deve valorizzarsi, anche per l'azione ex art. 263 c.c., il contegno della parte che si opponga al suo espletamento (cfr. Cass. I, n. 3122/2017). La Cassazione, in tema di impugnazione del riconoscimento del figlio naturale per difetto di veridicità, ha affermato i seguenti principi: -l'impugnazione per difetto di veridicità del riconoscimento del figlio naturale postula la dimostrazione della diversità di paternità rispetto a quella dichiarata, e la relativa prova può legittimamente articolarsi con ogni mezzo, anche presuntivo (Cass. I, n. 3976/2002). - la mancata contestazione della madre naturale in ordine alla non paternità dell'autore del riconoscimento non ha la valenza probatoria prevista dall'art. 115 c.p.c. poiché, vertendosi in ambito di diritti indisponibili, sugli stessi non è ammesso alcun tipo di negoziazione o rinunzia (Cass. I, n. 4791/2020); - il soggetto riconosciuto dal testatore come proprio figlio naturale può, nel caso di contestazione di tale riconoscimento, ed al fine di far accertare il proprio stato di figlio naturale del de cuius, esperire l'azione per la declaratoria della validità di quel riconoscimento, ma non anche quella per la dichiarazione giudiziale di paternità, di cui agli artt. 269-279 c.c. (Cass. I, n. 10838/1997); – il giudice non può limitarsi ad accertare l'assenza di legame biologico tra le parti ma deve altresì valutare e comparare gli interessi in gioco e, più specificamente, la prevalenza o meno, sull'interesse del richiedente, di quello del figlio a mantenere lo status giuridico sociale acquisito e consolidato nel tempo (Cass. I, ord. n. 28311/2023); - deve procedersi all'accertamento in concreto con particolare riferimento agli effetti del provvedimento richiesto in relazione all'esigenza di un suo sviluppo armonico dal punto di vista psicologico, affettivo, educativo e sociale (Cass. I, ord. n. 8762/2023). La Cassazione ha altresì stabilito che l'impugnazione del riconoscimento di figlio naturale per difetto di veridicità è ammessa, ai sensi dell'art. 263 c.c., in ogni caso in cui il riconoscimento sia obiettivamente non veridico, a nulla rilevando eventuali stati soggettivi di buona o mala fede del dichiarante e, quindi, anche nel caso in cui il riconoscimento stesso sia stato effettuato con la consapevolezza dell'altrui paternità (Cass. I, n. 5886/1991). In tema di prova, la Suprema Corte ha stabilito che, stante la nuova disciplina introdotta dalle riforme del 2012 e 2013 in materia di filiazione, la prova della "assoluta impossibilità di concepimento" non è diversa rispetto a quella che è necessario fornire per le altre azioni di stato, richiedendo il diritto vigente che sia il "favor veritatis" ad orientare le valutazioni da compiere in tutti i casi di accertamento o disconoscimento della filiazione (Cass. I, n. 18140/2018, conf. Cass., I, n. 30122/2017). Nell'azione di impugnazione del riconoscimento del figlio naturale per difetto di veridicità, stante la nuova disciplina introdotta dalle riforme del 2012 e 2013 in materia di filiazione, la prova della "assoluta impossibilità di concepimento" non è diversa rispetto a quella che è necessario fornire per le altre azioni di stato, richiedendo il diritto vigente che sia il "favor veritatis" ad orientare le valutazioni da compiere in tutti i casi di accertamento o disconoscimento della filiazione (Cass. I, n. 18140/2018 , conf. Cass. I, n. 30122/2017). Il d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149, di riforma del processo civile, con l'introduzione della nuova disciplina in materia di stato delle persone, di famiglia e di minori ha assegnato al giudice che procede notevoli poteri esercitabili d'ufficio, a tutela del minore. Il giudice può adottare i provvedimenti opportuni in deroga all'art. 112 c.p.c. e disporre mezzi di prova al di fuori dei limiti di ammissibilità previsti dal codice civile, nel rispetto del contraddittorio e del diritto alla prova contraria; può, inoltre, ordinare l'integrazione della documentazione, disporre ordini di esibizione e ordinare indagini sui redditi, sul patrimonio e sul tenore di vita, anche a mezzo della polizia tributaria. (art. 473-bis.2 c.p.c.). Termine per l’impugnazione del riconoscimentoIn attuazione della delega contenuta nell'art. 2, comma 1, lett. g, l. 10 dicembre 2012, n. 219, si è limitata l'imprescrittibilità dell'azione di accertamento della veridicità del riconoscimento al solo figlio, introducendo invece termini di decadenza per l'esercizio dell'azione da parte degli altri legittimati. In questo modo, in ossequio al principio della parificazione tra figli legittimi e figli di genitori non coniugati, si è avvicinata la disciplina di tale istituto a quella del disconoscimento di paternità di cui all'art. 244 c.c. (Farolfi, 2015, 1045). Invero, l'autore del riconoscimento potrà esercitare l'azione in parola nel termine di decadenza di un anno, che decorre dal giorno dell'an dell'atto di nascita. Per la madre il termine di un anno decorre dal giorno in cui ha avuto conoscenza del riconoscimento del presunto padre. In ogni caso, né l' autore del riconoscimento né gli altri soggetti possono proporre l'azione, decorsi cinque anni dall'annotazione del riconoscimento. La ratio di questa previsione è quella di garantire la stabilità delle relazioni familiari, che non può essere esposta a tempo indeterminato alle impugnazioni di chicchessia, o comunque di garantire al figlio lo stato già acquisito (Zaccaria, 2016, 618). Solo al figlio è garantita la possibilità di porre nel nulla il riconoscimento senza limiti di tempo. È stato osservato che tale disciplina nulla ha previsto nel caso in cui il padre abbia ignorato un'eventuale relazione della madre con altri uomini all'epoca del concepimento, a differenza di quanto previsto per il figlio nato nel matrimonio dall'art. 244 c.c. Il principio di unificazione della filiazione legittima con quella al di fuori del matrimonio pone dunque in tale ipotesi un delicato problema di coordinamento. Peraltro, a differenza di quanto previsto dall'art. 248 c.c., per l'azione di contestazione dello stato di figlio, l'azione di cui all'art. 263 c.c. non è esperibile oltre il breve termine annuale di decadenza, in caso di falso riconoscimento, anche alla luce del fatto che la brevità del termine esporrebbe l'autore del falso riconoscimento a incorrere nella sanzione penale (Farolfi, 2015, 1046). Il rinvio all'art. 245 c.c. contenuto nella disposizione in esame, completa l'opera di omogeneizzazione della disciplina dell'azione di impugnazione rispetto a quella del disconoscimento. Anche nel caso di impugnazione del riconoscimento, dunque, il termine è sospeso nell'ipotesi di incapacità del soggetto e l'azione può essere promossa nel suo interesse dal tutore o dal curatore speciale. Anche in questo caso si pone il problema se la sospensione prevista riguardi solo il termine annuale o anche quello quinquennale. Appare preferibile la prima soluzione, in quanto in caso contrario si vanificherebbe la ratio del termine cosiddetto tombale dei cinque anni, ovvero quella di rendere definitivamente stabile lo status di filiazione (Figone, 2014, 63). In definitiva, nonostante l'intento del legislatore di unificare lo stato di figlio nato fuori dal matrimonio a quello di figlio legittimo, sussistono comunque delle discrasie tra le due discipline, non facilmente colmabili. La riforma attuata con il d.lgs. 154/2013 ha introdotto termini temporali entro i quali l'azione di impugnazione deve essere esercitata. In precedenza la Corte di cassazione (Cass. ord. n. 7/2012) aveva ritenuto manifestamente inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 263 nella parte in cui non sottoponeva ad un termine annuale di decadenza il diritto del genitore di esperire l'azione impugnatoria per difetto di veridicità, dato che il potere relativo spetta al legislatore. Posteriormente alla riforma, la Corte costituzionale ha dichiarato illegittimo l'art. 263, terzo comma, c.c. per violazione dell'art. 3 Cost., nella parte in cui non prevede che, per l'autore del riconoscimento, il termine annuale decorra dal giorno in cui ha avuto conoscenza della non paternità. Nella motivazione si afferma che, se da un lato non è irragionevole che il termine annuale decorra dall'annotazione per chi ha posto in essere l'atto nella consapevolezza della non paternità biologica, dall'altro sussiste una palese irragionevolezza nel far decorrere il medesimo termine dall'annotazione per chi ignorava il difetto di veridicità, limitandone la possibilità di far valere la decorrenza del termine dalla scoperta della non paternità alla sola ipotesi dell'impotenza (Cass. n. n. 133/2021). Per contro, è stata contestualmente dichiarata non fondata la questione di legittimità dello stesso art. 263 nella parte in cui prevede che l'azione non può essere comunque proposta oltre cinque anni dall'annotazione del riconoscimento. E' vero, ha affermato la Corte, che nella disciplina di tale termine il tempo decorre a prescindere dalla consapevolezza nel richiedente della sua possibile non paternità. Tuttavia, ciò non contrasta con la giurisprudenza CEDU, i cui giudizi hanno avuto ad oggetto fattispecie normative che si riferiscono a termini decisamente più brevi rispetto a quello previsto dalla norma censurata. Analogamente a quanto affermato in dottrina, Cass. I, n. 3834/2017 ha stabilito che l'art. 263, commi 2 e 4, c.c., novellato dall'art. 28 d.lgs. 28 dicembre 2013 n. 154, per il quale l'azione di impugnazione del riconoscimento del figlio nato fuori dal matrimonio per difetto di veridicità è imprescrittibile per il solo figlio, mentre per tutti gli altri soggetti legittimati, diversi dall'autore del riconoscimento, introduce un termine di decadenza per l'esercizio dell'azione di cinque anni, decorrente dal giorno dell'annotazione del riconoscimento sull'atto di nascita, non è applicabile alle azioni promosse prima dell'entrata in vigore della nuova disciplina. La legittimazione attiva e passivaQuanto alla legittimazione attiva, l'impugnativa per difetto di veridicità è proponibile dall'autore del riconoscimento e da chiunque vi abbia interesse. Tale categoria comprende innanzitutto l'altro genitore, e chiunque sia titolare di un interesse apprezzabile, anche solo di natura morale e attuale, come gli eredi o i donatari del dichiarante, dell'altro genitore o del vero genitore del riconosciuto. È naturalmente legittimato lo stesso riconosciuto, ma se interdetto o comunque affetto da grave infermità, l'azione sarà proponibile dal tutore o da un curatore speciale (Figone, 2014, 62). Si ritengono altresì legittimati il figlio nato nel matrimonio, i figli riconosciuti o giudizialmente dichiarati e il marito di colei che abbia falsamente riconosciuto il proprio figlio come nato fuori dal matrimonio, invece che del marito (Farolfi, 2015, 1047). La riforma non ha eliminato la diversità di disciplina dell'azione in esame, in cui è ampia la legittimazione attiva, che viene attribuita a chiunque abbia interesse, rispetto a quanto previsto dall'art. 243-bis c.c. in relazione all'azione di disconoscimento della paternità, in cui la legittimazione attiva è attribuita soltanto al marito, alla madre e al figlio medesimo; il che evidenzia un persistente disfavore rispetto alla filiazione fuori dal matrimonio (Zaccaria, 2016, 616). Si discute se la legittimazione spetti al pubblico ministero, ma prevale l'orientamento in senso contrario (Ferrando, 1997, 166). Viene ammessa la legittimazione attiva del pubblico ministero nella sola ipotesi in cui sia iniziata l'azione penale ex art. 495 c.p. La dottrina in particolare, richiama l'art. 70 c.p.c, per il quale nelle cause riguardanti lo stato e la capacità delle persone, il pubblico ministero deve soltanto intervenire sotto pena di nullità, e non può quindi anche esercitare l'azione o proporre l'impugnazione (Farolfi, 2015, 1047). Poiché l'azione di impugnazione è prevista al solo fine di adeguare la realtà giuridica alla realtà viva della filiazione, l'impugnazione del riconoscimento può essere proposta anche da chi lo ha compiuto in malafede, in quanto consapevole della sua non veridicità (Majello, 1982, 135), pur se viene altresì evidenziato il contrasto fra il principio del favor veritatis e il principio di autoresponsabilità nella dichiarazione, in quanto consente a colui che abbia consapevolmente compiuto un riconoscimento non veritiero di rimuovere, anche a distanza di tempo, il rapporto di filiazione, così arrecando un evidente danno al figlio (Busnelli, 1959, 1253). Secondo la dottrina, la previsione del difetto di veridicità come causa di impugnazione del riconoscimento è assorbente tanto del dolo quanto dell'errore, che non costituiscono dunque cause autonome di impugnazione del riconoscimento (Majello, 1982, 137; Trabucchi, 1968, 669). La limitata rilevanza dei vizi della volontà, salvo il caso della violenza previsto dall'art. 265 c.c., o delle cause di divergenza tra volontà effettiva e volontà dichiarata, non contraddice la natura negoziale dell'atto, in quanto discende dalla funzione di accertamento e dalla natura doverosa dell'atto, che conformano il regime del negozio di riconoscimento in termini di specialità, limitando le cause di impugnazione (Zaccaria, 2016, 616). Con riferimento alla legittimazione passiva, qualora l'impugnazione sia proposta del genitore, legittimato passivo è il figlio, mentre, ove l'azione sia proposta dal figlio, legittimato passivo è il genitore; genitore e figlio sono entrambi legittimati passivi nell'ipotesi in cui l'impugnazione sia proposta da altri (Sesta, 2013, 309). Nel caso in cui legittimato passivo sia l'autore del riconoscimento, si ritiene non necessaria la chiamata in giudizio dell'altro genitore, anche se il medesimo può intervenire in giudizio (Majello, 1982, 148). Nell'azione di impugnazione per difetto di veridicità del riconoscimento di un figlio nato da genitori non uniti in matrimonio, l'altro genitore, che pure abbia operato il riconoscimento, è litisconsorte necessario nel giudizio secondo la regola dettata dall'art. 250 c.c., che pone un principio di natura generale da applicarsi anche nell'ipotesi disciplinata dall'art. 263 c.c. perché l'acquisizione di un nuovo status da parte del minore è idonea a determinare una rilevante modifica della situazione familiare, della quale resta in ogni caso partecipe l'altro genitore (Cass. I, n. 95/2021). Infine, se l'azione è proposta da persona diversa dall'autore del riconoscimento, legittimati passivi, come litisconsorzi necessari, sono il figlio riconosciuto e l'autore del riconoscimento (Maiello, 1982,150). Nei casi in cui il figlio sia minorenne, a questi deve essere nominato un curatore speciale, nei confronti del quale integrare il contraddittorio, non potendo il suo interesse essere rappresentato dall'altro genitore in conflitto di interessi (Maiello, 1982, 150). Con riferimento alla legittimazione attiva, la Cassazione ha di recente stabilito che è proponibile l'impugnazione per difetto di veridicità del riconoscimento del figlio nato fuori dal matrimonio, benché il riconoscimento sia avvenuto in mala fede, quando sia proposta da terzi (nella specie, gli eredi dell'autore del riconoscimento), dotati al riguardo di autonoma legittimazione (Cass. I, n. 3834/2017). Nel giudizio di impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità ex art. 263 c.c., il presunto padre naturale non è legittimato ad intervenire nel giudizio, né in qualità di interveniente autonomo né di interveniente adesivo, essendo egli portatore di un mero interesse di fatto all'esito del giudizio, e non di un interesse giuridico a sostenere le ragioni dell'una o dell'altra parte, direttamente correlato ai vantaggi ed agli svantaggi che il giudicato potrebbe determinare nella sua sfera giuridica (Cass. n. 20953/2018 e Cass.n. 6985/2018). Nell'azione di impugnazione per difetto di veridicità del riconoscimento di un figlio nato da genitori non uniti in matrimonio, l'altro genitore, che pure abbia operato il riconoscimento, è litisconsorte necessario nel giudizio, secondo la regola dettata dall'art. 250 c.c. che pone un principio di natura generale da applicarsi anche nell'ipotesi disciplinata dall'art. 263 c.c. perché l'acquisizione di un nuovo status da parte del minore è idonea a determinare una rilevante modifica della situazione familiare, della quale resta in ogni caso partecipe l'altro genitore (Cass. I, ord. n. 10775/2019). Nell'azione di impugnazione per difetto di veridicità del riconoscimento di un figlio nato da genitori non uniti in matrimonio, già maggiorenne ed economicamente indipendente al momento della instaurazione del giudizio, il genitore di cui non si discute lo status non è un litisconsorte necessario, perché l'eventuale pronuncia caducatoria dello "status filiationis" del soggetto maggiorenne non produce effetti rilevanti di alcun genere nei suoi confronti, sotto il profilo della responsabilità genitoriale, come pure degli obblighi morali di crescita, educazione ed istruzione e di quelli materiali al mantenimento del figlio, ormai non più ipotizzabili. Ove, invece, l'azione di impugnazione coinvolga un figlio minorenne, la rilevante modifica della situazione familiare, in termini di obblighi morali e materiali verso il figlio, giustifica il litisconsorzio necessario del predetto genitore (Cass. I, ord. n. 35998/2022). Tale genitore comunque può intervenire volontariamente nel processo, ove intenda tutelare eventuali propri diritti o interessi o esservi chiamato dal figlio stesso ove qust'ultimo voglia giovarsi della sua partecipazione al processo (Cass. I, ord. n. 3252/2022). Nell'azione, intrapresa dal terzo interessato, di impugnazione per difetto di veridicità del riconoscimento di un figlio nato da genitori non uniti in matrimonio e già maggiorenne al momento della instaurazione del corrispondente giudizio, il bilanciamento che il giudice adìto è tenuto ad effettuare tra il concreto interesse del soggetto riconosciuto ed il favore per la verità del rapporto di filiazione non può costituire il risultato di una valutazione astratta e predeterminata, né può implicare, ex se, il sacrificio dell'uno in nome dell'altro, ma impone di tenere conto di tutte le variabili del caso concreto, tra cui il diritto all'identità personale del riconosciuto, correlato non solo alla verità biologica, ma anche ai legami affettivi e personali interni alla famiglia, al consolidamento della condizione identitaria acquisita per effetto del falso riconoscimento ed all'idoneità dell'autore del riconoscimento allo svolgimento del ruolo di genitore (Cass. I, ord. n. 3252/2022: in applicazione del principio, la S.C. ha cassato la decisione di merito che non aveva operato tale bilanciamento, in un caso in cui l'azione ex art. 263 c.c. era stata esperita dalla moglie di colui che aveva effettuato il riconoscimento, il quale si era limitato ad aderire alla domanda, senza che al giudizio avesse preso parte l'altro genitore che aveva operato il riconoscimento del figlio oramai ultraquarantenne). È consolidato in giurisprudenza il principio dell'irrilevanza degli stati soggettivi dell'autore del riconoscimento, nel senso che l'impugnazione del riconoscimento di figlio naturale per difetto di veridicità è ammessa, ai sensi dell'art. 263 c.c., in ogni caso in cui il riconoscimento sia obiettivamente non veridico, a nulla rilevando eventuali stati soggettivi di buona o mala fede del dichiarante e, quindi, anche nel caso in cui il riconoscimento stesso sia stato effettuato con la consapevolezza dell'altrui paternità (Cass. I, n. 5586/1991). La Cassazione ha di recente ribadito il principio della legittimazione del curatore speciale del minore a proporre impugnazione del riconoscimento del figlio naturale per difetto di veridicità ai sensi dell'art. 74 della l. 4 maggio 1983, n. 184, giusta il rinvio formale contenuto in tale disposizione al previgente testo dell'art. 264, secondo comma, c.c., oggi art. 264 c.c. in unico comma, a seguito della nuova formulazione introdotta dall'art. 29 del d.lgs. 28 dicembre 2013, n. 154 (Cass. I, n. 23290/2015). Inoltre, l'imprescrittibilità dell'azione se proposta dal figlio minore, nell'interesse esclusivo del quale agisce il curatore speciale, è rimasta immutata a seguito della riforma del 2013. Qualora l'azione riguardi più minori, non è sempre necessario nominare curatori speciali diversi per ciascuno di essi; tale obbligo sussiste, infatti, nel solo caso in cui si verifichi tra i figli un conflitto di interessi, anche potenziale, ipotesi che non ricorre, tuttavia, per il solo fatto che i minori siano parti di un giudizio in posizioni processuali non contrapposte (Cass. n. 20940/2018, conf. Corte cost. n. 31/2012 e Corte cost. n. 272/2017). La Cassazione ha ritenuto manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 263 c.c., nella parte in cui non prevede che l'impugnazione per difetto di veridicità del riconoscimento del figlio minorenne legittimato possa essere accolta solo previa valutazione dell'interesse del minore, per contrasto con i principi di particolare tutela e protezione riservata ai minori ricavabili dagli artt. 2,3,30 e 31 Cost. Invero, tale illegittimità è stata già esclusa dalla sentenza Corte cost. n. 112/1997, e la circostanza che questa pronuncia si riferisca a un'ipotesi di impugnazione della veridicità del riconoscimento di figli naturali, e non di figli legittimati, non influisce sulle conclusioni da essa raggiunte, considerato che la posizione di figlio legittimato trae origine dalla dichiarazione del soggetto che ha effettuato il riconoscimento, i cui effetti sono legati alla sua corrispondenza al vero; una volta posta in discussione la veridicità del riconoscimento, da cui dipende la legittimazione, è la posizione di figlio naturale che costituisce il parametro di valutazione della legittimità costituzionale della disciplina complessiva, e le esigenze, sottolineate dalla pronuncia della Corte cost., di tutelare la verità del rapporto di filiazione e di impedire l'elusione delle norme in materia di adozione attraverso fraudolenti atti di riconoscimento permangono anche dopo la legittimazione del figlio naturale (Cass. I, n. 7924/2005). Sotto il profilo della prova della legittimazione, si è stabilito che l'impugnazione del riconoscimento del figlio nato fuori dal matrimonio per difetto di veridicità può essere accolta, alla luce del principio del favor veritatis, non solo quando l'attore provi che l'autore del riconoscimento, all'epoca del concepimento, era affetto da impotentia generandi o non aveva la possibilità di avere rapporti con la madre, ma anche quando fornisca la prova di essere il vero genitore, così dimostrando nello stesso tempo sia la propria legittimazione che la fondatezza della domanda (Cass. I, n. 6136/2015). In tema di legittimazione passiva, la Cassazione ha stabilito che l'impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità va proposta, nel caso in cui il figlio convenuto sia minorenne, in contraddittorio con un curatore nominato dal giudice davanti al quale il giudizio deve essere promosso (Cass. I, n. 1957/2016). Qualora l'azione riguardi più minori non è sempre necessario nominare curatori speciali diversi per ciascuno di essi; tale obbligo sussiste nel solo caso in cui si verifichi tra i figli un conflitto di interessi, anche potenziale (Cass. I, n. 20940/2018). Il conflitto di interessi nel rapporto processuale tra genitore esercente la potestà (oggi responsabilità genitoriale) e figlio è ipotizzabile non già in presenza di un interesse comune, sia pure distinto ed autonomo, di entrambi al compimento di un determinato atto, ma soltanto allorché i due interessi siano nel caso concreto incompatibili tra loro, nel senso che l'interesse del rappresentante, rispetto all'atto da compiere, non si concili con quello del rappresentato; l'esistenza di una siffatta situazione di conflitto, il cui apprezzamento è rimesso al giudice di merito, non è normativamente presunta nel caso dell'azione di impugnazione del riconoscimento del figlio naturale per difetto di veridicità, la quale non rientra tra le ipotesi, tassativamente indicate dal legislatore, nelle quali il giudizio deve essere proposto, in rappresentanza del minore, nei confronti di un curatore speciale nominato al riguardo dal giudice; ne consegue che, in ordine a tale azione, trova applicazione, in mancanza della deduzione di una concreta situazione di conflitto di interessi, la regola secondo cui il genitore esercente la potestà (oggi responsabilità genitoriale) è legittimato, nell'interesse del figlio minore, a resistere al giudizio da altri intentato (Cass. I, n. 5533/2001). Rapporti con l'istituto della fecondazione assistitaL'art. 9 della l. 19 febbraio 2004, n. 40, enuncia il principio per cui, nella procreazione assistita, il coniuge o il convivente il cui consenso sia ricavabile da fatti concludenti, non possono esercitare rispettivamente l'azione di disconoscimento della paternità ovvero di impugnazione avverso il riconoscimento, e, d'altra parte, il donatore del seme non acquisisce alcuna relazione giuridica parentale con il nato e non può esercitare nei suoi confronti diritti, né essere titolare di obblighi (Dogliotti, 2015, 353). La norma tutela all'evidenza il nascituro contro comportamenti di chi abbia ripensamenti e, dopo aver voluto la procreazione assistita, poi ne rifiuti il frutto e la conseguente assunzione di responsabilità (in tal senso già Cass. n. 2315/1999). Peraltro, pure se la norma non è più esplicita, si ritiene che il nato comunque assuma la condizione di nato dentro o fuori dal matrimonio, a seguito di riconoscimento, tanto evincendosi comunque dal divieto dei coniugi di agire per il disconoscimento ovvero di impugnare il riconoscimento (Santosuosso, 2004, 132; Dogliotti e Figone, 2004, 169). Con sentenza Corte cost. n. 162/2014, sono state confermate sia l'inammissibilità dell'azione di disconoscimento di paternità e dell'impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità, sia la norma secondo cui la nascita da PMA di tipo eterologo non dà luogo all'istituzione di relazioni giuridiche parentali tra il donatore di gameti ed il nato, essendo, quindi, regolamentati i principali profili dello stato giuridico di quest'ultimo. La Cassazione ha stabilito che è inammissibile l'azione di impugnazione di riconoscimento per difetto di veridicità, da parte di chiunque vi abbia interesse, nei confronti di figli nati a seguito di inseminazione artificiale eterologa. Nell'attuale contesto normativo, legittimare chiunque vi abbia interesse ad un'azione che ha il suo unico presupposto nella difformità tra la verità risultante dalla dichiarazione di riconoscimento e la verità sostanziale ed obiettiva della filiazione, comporterebbe la negazione della legittimità della pratica stessa e l'esposizione del figlio nato da fecondazione eterologa all'inesorabile caducazione del suo status (Cass. I, n. 3387/2015). Invero, a seguito delle modifiche legislative che hanno posto al centro del rapporto di filiazione il concetto di responsabilità genitoriale, e che hanno, anche se solo in parte, ridisegnato la disciplina delle azioni di disconoscimento di paternità e di impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità, nell'ottica di una netta prevalenza dell'interesse dei figli alla stabilità del rapporto, nonché dell'evoluzione giurisprudenziale che ha attenuato il principio della prevalenza della verità biologica, tanto da affermare che la tutela del diritto allo status e alla identità personale può non identificarsi con essa, è da escludere, in tema di azione di disconoscimento della paternità (Cass. I, n. 653/2012), che il favor veritatis costituisca valore di rilevanza costituzionale assoluta, tale da affermarsi comunque. Con sentenza n. 8029/2020 la Corte di Cassazione ha affermato che il riconoscimento di un minore concepito mediante il ricorso a tecniche di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo da parte di una donna legata da unione civile con quella che lo ha partorio ma non avente alcun legame biologico con il minore si pone in contrasto con l'art. 4 della l. n. 40/2004. Nella fecondazione assistita eterologa, così come per l'omologa, il preventivo consenso manifestato dal coniuge o convivente può essere revocato fino al momento della fecondazione dell'ovulo, sicchè ove la revoca intervenga successivamente, ai sensi dell'art. 9, comma 1, della l. n. 40 del 2004, il partner non ha azione per il disconoscimento della paternità del bambino concepito e partorito in esito a tale inseminazione (Cass. I, n. 30294/2017). La Corte di cassazione aveva affermato che la regola prevista dall'art. 235 c.c., applicabile "ratione temporis", disciplinava anche le filiazioni originate da fecondazione artificiale, tenuto conto che il quadro normativo, a seguito dell'introduzione della l. n. 40 del 2004 - come formulata ed interpretabile alla luce del principio del "favor veritatis" - si era arricchito di una nuova ipotesi di disconoscimento; pertanto, stante l'identità della "ratio" e la sussistenza di evidenti ragioni sistematiche, era applicabile anche a questa ipotesi il termine di decadenza previsto dall'art. 244 c.c., decorrente dal momento di acquisizione della certezza del ricorso a tale metodo di procreazione (Cass. I, 7965/2017). Ad analoga funzione di tutela del figlio risponde il divieto per la donna di dichiarare la volontà di non essere nominata quale madre, al momento del parto. Il fatto che si sia giunti alla nascita sulla base di modalità richiedenti intervento tecnico specialistico e sul presupposto di consensi manifestati da coloro che avevano interesse alla nascita, prima tra tutte la futura madre, spiega perché poi questa non possa più negare la propria maternità. La problematicità della disciplina normativa in tema di filiazione da procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo, consentita dal partner, pertanto, evidenzia la necessità della tutela del principio di indisponibilità degli status nel rapporto di filiazione, principio sul quale sono suscettibili di incidere le varie possibilità di fatto oggi offerte dalle tecniche applicate alla procreazione. L'evoluzione dei processi scientifici e la liceità, nei limiti indicati, della fecondazione eterologa, portano a ritenere che la disciplina del disconoscimento di paternità e dell'impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità debbano essere considerate su un piano paritario ai fini della tutela dello status di figlio, onde evitare una disparità di trattamento tra il nato fuori dal matrimonio con tecnica di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo e il nato in costanza di matrimonio con analoga tecnica. In questa prospettiva, l'interesse ad agire attribuito a terzi in tema di fecondazione eterologa, secondo quanto statuito dalla sentenza App. Milano n. 3397/2015, non può trovare accoglimento se fondata sul difetto di veridicità. La Corte cost. in tema di valutazione dell'interesse del minore con riferimento alla maternità surrogataLa sentenza Corte cost. n. 272/2017, ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 263 c.c., mediante una pronuncia interpretativa di rigetto, sul presupposto che «se non è costituzionalmente ammissibile che l'esigenza di verità della filiazione si imponga in modo automatico sull'interesse del minore, va parimenti escluso che bilanciare quell'esigenza con tale interesse comporti l'automatica cancellazione dell'una in nome dell'altro». La Corte costituzionale conclude, in linea con la giurisprudenza sovranazionale della Corte di Strasburgo, che «tale bilanciamento comporta, viceversa, un giudizio comparativo tra gli interessi sottesi all'accertamento della verità dello status e le conseguenze che da tale accertamento possano derivare sulla posizione giuridica del minore». Attraverso l'accertamento invocato, la Corte era in definitiva chiamata a dirimere la questione se, nell'ambito di tale giudizio, sia consentita un'operazione di bilanciamento tra i diversi interessi in gioco, ovvero se esso sia condizionato esclusivamente a uno degli stessi, ovvero la veridicità del riconoscimento stesso. In tale ambito opportunamente la Corte osserva che non vi è alcuna intromissione nella sfera di discrezionalità attribuita al legislatore. Il sindacato della Corte entra dunque nel merito, pervenendo, come anticipato, ad una pronuncia interpretativa di rigetto. La Corte, in particolare, disattende la questione prospettata, ritenendo non condivisibile il presupposto da cui il remittente muove, ovvero che nel giudizio di impugnazione del riconoscimento di figlio di genitori non coniugati non sarebbe consentito di tenersi conto, in concreto, dell'interesse del minore « a vedersi riconosciuto e mantenuto uno stato di filiazione quanto più rispondente alle sue esigenze di vita» La Corte costituzionale esprime un'affermazione di primaria importanza, sostenendo che la valutazione dell'interesse del minore è immanente nel sistema, e non può essere esclusa, neppure nei casi in cui il legislatore imponga di non pretermettere l'accertamento relativo alla verità. La Corte fa la seguente affermazione che muove, oltre che dall'enunciata ricostruzione dei percorsi giurisprudenziali ed ermeneutici interni, che verranno di seguito esaminati, dalle operazioni di bilanciamento operate sulla questione dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo: «in tutti i casi di possibile divergenza tra identità genetica e identità legale, la necessità del bilanciamento tra esigenze di accertamento della verità e interesse concreto del minore è resa trasparente dall'evoluzione ordinamentale intervenuta e si proietta anche sull'interpretazione delle disposizioni da applicare al caso in esame». La Corte costituzionale si sofferma ad argomentare in ordine alla centralità assunta nell'evoluzione della disciplina in materia di filiazione, della valutazione concreta dell'interesse dei minori al mantenimento della propria sfera di relazione consolidata nel tempo, rispetto alle seguenti modifiche: - la modifica della disposizione in esame apportata dall'art. 28 d.lgs. n. 154/2013, che nella sua precedente versione estendeva l' imprescrittibilità dell'azione a tutti i soggetti legittimati a proporla, limitandola esclusivamente a quella esercitata dal figlio. Analoga previsione è stata inserita, parallelamente, con riferimento all'azione di disconoscimento della paternità, nell'art. 244 quinto comma c.c., sicché tale modifica attiene a tutte le azioni di contestazione degli status. In tal modo, il legislatore ha operato un primo importante bilanciamento tra l'interesse inviolabile e primario dei figli all'accertamento della propria identità e discendenza biologica, limitando la possibilità per gli altri legittimati di scalfire lo status filiationis, assicurando così la tutela del diritto del figlio alla stabilità delle relazioni familiari; - la modifica dell'art. 251 c.c., relativamente alla disciplina dei figli incestuosi, originariamente non riconoscibili, fatti salvi limitati diritti di tipo patrimoniale, relativamente all'affermazione, ferma restando la valutazione concretamente demandato al giudice specializzato, della possibilità di riconoscimento del figlio nato da una relazione incestuosa; - la precedente emanazione della l. 19 febbraio 2004, n. 40 sulla procreazione medicalmente assistita, che all'art. 9 esclude che il coniuge o il convivente che abbiano acconsentito al ricorso a tecniche di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo possano promuovere l'azione di disconoscimento o impugnare riconoscimento ai sensi dell'art. 263 c.c. La Corte costituzionale, intervenuta su questa disciplina con la nota sentenza Corte cost. n. 162/2014, ha ritenuto confermata tale previsione sia sotto il profilo dell'inammissibilità dell'azione di disconoscimento di paternità o di impugnazione ex art. 263 c.c., sia relativamente alla disposizione per cui la nascita da PMA di tipo eterologo non dà luogo all'istituzione di relazioni parentali tra il donatore di gameti e il nato, essendo così regolamentati i principali profili dello stato giuridico di quest'ultimo; - la l. 19 ottobre 2015, n. 173, contenente modifiche alla l. 4 maggio 1983 n. 184, in tema di diritto alla continuità affettiva dei bambini e delle bambine in affido familiare, ha valorizzato l'interesse del minore alla conservazione dei rapporti affettivi che prescindano dai legami di sangue, attraverso l'attribuzione di rilievo giuridico ai rapporti di fatto instaurati tra il minore dichiarato adottabile e la famiglia affidataria. Peraltro, proprio il vincolo adottivo fonda uno statuto di genitorialità non legato ad un legame genetico. Il ragionamento operato dalla Corte costituzionale, volutamente stringato nella parte conclusiva, mira proprio alla questione in concreto sottoposta al suo esame, vale a dire, a demandare al giudice di merito la ricerca della soluzione che operi il miglior bilanciamento tra gli interessi in gioco.
Con tali discipline, il legislatore è intervenuto al fine di introdurre criteri di bilanciamento tra i delicati interessi in gioco nei casi di divergenza tra genitorialità biologica e genitorialità affettiva e sociale, ovvero di genitorialità genetica e biologica o intenzionale. In modo significativo viene richiamata anche la sentenza Corte cost. n. 347/1998, che pur pronunciandosi per l'inammissibilità della questione sollevata in relazione all'articolo 235 c.c., dopo aver richiamato la centralità nel sistema costituzionale dell'interesse del minore, conclude che l'individuazione di un ragionevole punto di equilibrio tra i diversi beni costituzionali coinvolti, nel rispetto della dignità della persona umana, appartiene primariamente alla valutazione del legislatore. Tuttavia, nell'attuale situazione di carenza legislativa, spetta al giudice ricercare nel complessivo sistema normativo l'interpretazione idonea ad assicurare la protezione degli anzidetti beni costituzionali. La Corte si sofferma poi sull'invocata violazione dell'art. 117 Cost, in relazione alle previsioni contenute nel quadro europeo ed internazionale di tutela dei diritti e della universalmente riconosciuta centralità dell'interesse del minore rispetto all'adozione delle scelte che lo riguardano, come risultante da testi fondamentali come la Convenzione sui diritti del fanciullo conclusa a New York il 20 novembre 1989 e resa esecutiva con legge 27 maggio 1991, n. 176 , la Convenzione europea sull'esercizio dei diritti del fanciullo, fatta a Strasburgo il 25 gennaio 1996, rese esecutiva con legge 20 marzo 2003 n. 77, nonché le fondamentali linee guida del Comitato dei ministri del consiglio d'Europa per una giustizia a misura di minore del 17 novembre 2010 e la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000. La Corte costituzionale conclude infine con l'affermazione relativa alla necessità di considerare il concreto interesse del minore in tutte le decisioni che lo riguardano, come desumibile sia dall'ordinamento interno che internazionale. La Corte costituzionale, pur se sinteticamente, con un implicito rimando alle ulteriori elaborazioni di creazione giurisprudenziale, ha dettato i criteri attraverso cui operare la valutazione in concreto dell'interesse del minore. In particolare, si ribadisce come la regola di giudizio che il giudice è tenuto ad applicare in questi casi debba tenere conto di variabili molto più complessi della rigida alternativa tra vero e falso. Tra queste, oltre alla durata del rapporto instauratosi con il minore e quindi alla condizione identitaria già da esso acquisita, non possono non assumere oggi particolare rilevanza, da un lato le modalità del concepimento e della gestazione, e dall'altro la presenza di strumenti legali che consentano la costituzione di un legame giuridico con il genitore contestato, che pur diverso da quello derivante dal riconoscimento, quale è l'adozione in casi particolari, garantisca al minore un'adeguata tutela. L'indicazione di siffatti parametri per la concreta valutazione dell'interesse del minore in una dimensione identitaria di tipo affettivo e relazionale, oltre al richiamo della rilevanza del legame biologico contenuto nel rimando alle modalità del concepimento e della gestazione, riecheggiano anche i parametri individuati dalla copiosa giurisprudenza di Strasburgo in ordine al concetto di vita familiare, nonché di vita privata risultanti dalla elaborazione della giurisprudenza della Corte di Strasburgo . Cenni sul procedimentoIl d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149, di riforma del processo civile, ha introdotto il rito unificato per le controversie in materia di stato delle persone, di famiglia e di minori, disciplinato dagli artt. 473-bis e seguenti c.p.c. Il procedimento si instaura con ricorso. La competenza appartiene al tribunale territorialmente individuato secondo le regole del giudizio ordinario di cognizione (art. 473-bis.11). Se devono essere adottati provvedimenti riguardanti minori, è competente il tribunale del luogo di ultima residenza del minore; se vi è stato trasferimento non autorizzato, entro l'anno dal trasferimento la competenza spetta al tribunale dell'ultima residenza abituale del minore. Ricevuto il ricorso, il presidente del tribunale nomina con decreto il giudice relatore e fissa l'udienza di comparizione delle parti davanti a questi. Prima dell'udienza il convenuto deve costituirsi, a pena di decadenze da facoltà difensive. L'attore può controbattere con una memoria scritta alla comparsa del convenuto; il convenuto, a sua volta, può rispondere con memoria scritta che l'attore ha ancora facoltà di contestare, prima dell'udienza. Quando la causa è matura per la decisione il giudice relatore (o istruttore se vi è stata assunzione di mezzi probatori) fissa l'udienza nella quale rimetterà le parti alla decisione del collegio e assegna ad esse tre termini successivi entro i quali esse devono: depositare le conclusioni; depositare la comparsa conclusionale; depositare le memorie di replica (art. 473-bis.28). All'udienza il giudice si riserva di riferire al collegio. La decisione è pronunciata con sentenza depositata entro 60 giorni dalla rimessione. La sentenza è impugnabile con appello. Ai sensi dell'art. 35 d.lgs. n. 149/2022, di riforma del processo civile, le sue disposizioni processuali si applicano ai procedimenti instaurati dopo il 28 febbraio 2023; ai procedimenti pendenti in tale momento continuano ad applicarsi le norme ante vigenti. Nell'azione di impugnazione per difetto di veridicità del riconoscimento di un figlio nato da genitori non uniti in matrimonio, già maggiorenne ed economicamente indipendente al momento della instaurazione del giudizio, il genitore di cui non si discute lo status non è un litisconsorte necessario, perché l'eventuale pronuncia caducatoria dello "status filiationis" del soggetto maggiorenne non produce effetti rilevanti di alcun genere nei suoi confronti, sotto il profilo della responsabilità genitoriale, come pure degli obblighi morali di crescita, educazione ed istruzione e di quelli materiali al mantenimento del figlio, ormai non più ipotizzabili. Ove, invece, l'azione di impugnazione coinvolga un figlio minorenne, la rilevante modifica della situazione familiare, in termini di obblighi morali e materiali verso il figlio, giustifica il litisconsorzio necessario del predetto genitore (Cass. I, ord. n. 35998/2022). Nell'azione, intrapresa da un terzo interessato, di impugnazione per difetto di veridicità del riconoscimento di un figlio nato da genitori non uniti in matrimonio, già maggiorenne ed economicamente indipendente al momento della instaurazione del giudizio, l'altro genitore non è un litisconsorte necessario, perché l'eventuale pronuncia caducatoria dello "status filiationis" del soggetto maggiorenne non produce effetti rilevanti di alcun genere nei confronti del primo, sotto il profilo della responsabilità genitoriale, come pure degli obblighi morali di crescita, educazione ed istruzione e di quelli materiali al mantenimento del figlio, ormai non più ipotizzabili; tale genitore, comunque, può intervenire volontariamente nel processo, ove intenda tutelare eventuali propri diritti e/o interessi, o esservi chiamato dal figlio stesso, laddove quest'ultimo voglia giovarsi della sua partecipazione alla lite. Il bilanciamento che il giudice adìto è tenuto ad effettuare tra il concreto interesse del soggetto riconosciuto ed il favore per la verità del rapporto di filiazione non può costituire il risultato di una valutazione astratta e predeterminata, né può implicare, ex se, il sacrificio dell'uno in nome dell'altro, ma impone di tenere conto di tutte le variabili del caso concreto, tra cui il diritto all'identità personale del riconosciuto, correlato non solo alla verità biologica, ma anche ai legami affettivi e personali interni alla famiglia, al consolidamento della condizione identitaria acquisita per effetto del falso riconoscimento ed all'idoneità dell'autore del riconoscimento allo svolgimento del ruolo di genitore (Cass. I, n. 3252/2022). BibliografiaAmadio, Macario, Diritto di famiglia, 2016; Amagliani, La nuova disciplina della filiazione (etichette, formule magiche e principi nel diritto di famiglia), Giust. Civ., 4, 2018, 1023;Amore, nota a Cass, 26097/2013 in Cass. Pen., 2014, 6, 2134; G.E. Aresini, Quando la verità biologica prevale su quella legale, ilfamiliarista 7-13 febbraio 2019;Bartolini, La riforma della filiazione, Piacenza 2014; Bartolini F. e M., Commentario sistematico del diritto di famiglia, Piacenza, 2016, 276; Bianca (a cura di), Filiazione, Commento al decreto attuativo, Milano, 2014, 69 ss.; Bianca, Diritto civile, II, La famiglia e le successioni, Milano, 2002; Bianca, Diritto civile, II, La famiglia e le successioni, Milano, 2002, 258; Bianca C.M., Diritto civile, II, 1, La famiglia, Milano, 2014; Bernardo, Impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità: non sussiste l'obbligo di nominare un curatore speciale diverso per ciascun fratello, Judicium, 2019; Bonilini, Manuale di diritto di famiglia, 10° ediz., Torino, 2022; Bonilini (a cura di), Trattato di diritto di famiglia, Padova, 2022; Buffone, Le novità del «decreto filiazione», Milano, 2014, 40; Cattaneo, Adozione, in Digesto delle discipline privatistiche, sez. civ., I, Torino, 1987; Cattaneo, Della filiazione legittima, in Commentario c.c. diretto da Scialoja e Branca, sub artt. 231-249, Bologna-Rom, 1988, 152; Cascone, Ardesi, Gioncada, Diritto di famiglia e minorile, Milano, 2021; Cecchini, in Comm. Dir.it. fam., IV, Padova, 1992; Cicu, La filiazione, in Trattato di dir. civ. it., diretto da Vassalli, Torino, 1969, 45; Coppola, Sub artt. 300-310, in Della famiglia, a cura di Balestra, II, in Commentario, diretto da Gabrielli, Torino, 2010; Corapi, Sulla legittimazione ad agire in reclamo dello stato di figlio. Note sull'accertamento della filiazione nel matrimonio, in Fam. E dir., 2020, 5, 451; De Cupis, Osservazioni sul riconoscimento del figlio premorto, in Riv. dir. civ. 1967, II, 392; De Cupis, Della filiazione legittima, in Comm. alla riforma del dir. fam., diretto da Ciano, Oppo e Trabucchi, sub artt. 231-249, IV, Padova, 1995, 50; De Filippis, Trattato breve di diritto di famiglia, Padova, 2002; De Filippis, Il nuovo diritto di famiglia dopo la riforma Cartabia, Milano, 2023; De Filippis, Trattato breve diritto di famiglia, Padova, 2002, 898; De Gioia, Il diritto del padre naturale ad affermare la propria identità genitoriale, Riv. fam. e succ., 2021, I; Dogliotti, La filiazione fuori dal matrimonio, in Comm. c.c., Milano, 2015; Farolfi, Del riconoscimento dei figli nati fuori dal matrimonio, in Sesta (a cura di), Codice della famiglia, Milano, 2015; Ferrando, La legge sulla filiazione, profili sostanziali, in jus civile, 2013, 3 ss.; Ferrando, La filiazione e la legittimazione, in Trattato Rescigno, IV, Torino, 1999; Figone, La riforma della filiazione e della responsabilità genitoriale, Torino, 2014; Finocchiaro, Diritto di famiglia, I, Milano, 1984; Galgano, Trattato di diritto civile, Padova, 2009; Iadecola, Il principio di unificazione dello status di figlio, in Dir. fam. pers. 2014; Majello, Della filiazione illegittima e della legittimazione, in Comm. S.B., Bologna Roma, 1982; Pino, Il dir. di famiglia, Padova, 1984, 179; Parisi, Manuale del diritto di famiglia, Torino, 2020; Pomodoro, Giannino, Avallone, Manuale di diritto di famiglia e dei minori, Torino, 2009; Porracciolo, Deve prevalere il diritto della prole ad avere un genitore, Guida dir., 2018, 6, 46Ricci, in Aa.Vv. Commentario compatto al c.c., diretto da Galgano, Piacenza, 2010, 460 ss.; Ruscello, Diritto di famiglia, Milano, 2020; ; Santosuosso, Commento alla legge 19 febbraio 2004, n. 40, Milano; Sesta, Codice della famiglia, Milano, 2015, 971; Sesta, Diritto di famiglia, Padova, 2003, 413; Trabucchi, Istituz. dir. priv., Padova, 2004, 298; Trabucchi, Istituz. dir. priv., Padova, 2004; Spoletini, Accertamento di paternità, Riv. fam. e succ., 202°, 78; Trabucchi, Errore, in Nss. D.I., Torino, 1957; Tommaseo, Sulla tutela del figlio nei giudizi di stato, Fam. dir., 2020, 4, 346; Zaccaria, Commentario breve al diritto di famiglia, Vicenza, 2016. |