Codice Civile art. 244 - Termini dell'azione di disconoscimento (1) (2).

Francesco Bartolini

Termini dell'azione di disconoscimento (1) (2).

[I]. L'azione di disconoscimento della paternità da parte della madre deve essere proposta nel termine di sei mesi dalla nascita del figlio ovvero dal giorno in cui è venuta a conoscenza dell'impotenza di generare del marito al tempo del concepimento.

[II]. Il marito può disconoscere il figlio nel termine di un anno che decorre dal giorno della nascita quando egli si trovava al tempo di questa nel luogo in cui è nato il figlio; se prova di aver ignorato la propria impotenza di generare ovvero l'adulterio della moglie al tempo del concepimento, il termine decorre dal giorno in cui ne ha avuto conoscenza.

[III]. Se il marito non si trovava nel luogo in cui è nato il figlio il giorno della nascita il termine, di cui al secondo comma, decorre dal giorno del suo ritorno o dal giorno del ritorno nella residenza familiare se egli ne era lontano. In ogni caso, se egli prova di non aver avuto notizia della nascita in detti giorni, il termine decorre dal giorno in cui ne ha avuto notizia.

[IV]. Nei casi previsti dal primo e dal secondo comma l'azione non può essere, comunque, proposta oltre cinque anni dal giorno della nascita.

[V]. L'azione di disconoscimento della paternità può essere proposta dal figlio che ha raggiunto la maggiore età. L'azione é imprescrittibile riguardo al figlio (3).

[VI]. L'azione può essere altresì promossa da un curatore speciale nominato dal giudice, assunte sommarie informazioni, su istanza del figlio minore che ha compiuto i quattordici anni ovvero del pubblico ministero o dell'altro genitore, quando si tratti di figlio di età inferiore.

(1)L’art. 7, d.lg. 28 dicembre 2013, n. 154, ha sostituito il Titolo, modificando la rubrica del Titolo (la precedente era «Della filiazione»), e sostituendo la «Sezione III: " «Dell’azione di disconoscimento e delle azioni di contestazione e di reclamo di legittimità» con: «Capo III. "Dell’azione di disconoscimento e delle azioni di contestazione e di reclamo dello stato di figlio"»

(2) Articolo così sostituito dall'art. 18, d.lg. 28 dicembre 2013, n. 154. Il testo recitava: «[I]. L'azione di disconoscimento della paternità da parte della madre deve essere proposta nel termine di sei mesi dalla nascita del figlio. [II]. Il marito può disconoscere il figlio nel termine di un anno che decorre dal giorno della nascita quando egli si trovava al tempo di questa nel luogo in cui è nato il figlio; dal giorno del suo ritorno nel luogo in cui è nato il figlio o in cui è la residenza familiare se egli ne era lontano. In ogni caso, se egli prova di non aver avuto notizia della nascita in detti giorni, il termine decorre dal giorno in cui ne ha avuto notizia. [III]. L'azione di disconoscimento della paternità può essere proposta dal figlio, entro un anno dal compimento della maggiore età o dal momento in cui viene successivamente a conoscenza dei fatti che rendono ammissibile il disconoscimento. [IV]. L'azione può essere altresì promossa da un curatore speciale nominato dal giudice, assunte sommarie informazioni, su istanza del figlio minore che ha compiuto i sedici anni, o del pubblico ministero quando si tratta di minore di età inferiore». Ai sensi dell’art. 108, d.lg. n. 154 del 2013, la modifica è entrata in vigore a partire dal 7 febbraio 2014. L'articolo era già stato sostituito dall'art. 95 l. 19 maggio 1975, n. 151, e dall'art. 81 l. 4 maggio 1983, n. 184 che aveva modificato il quarto comma. Erano inoltre intervenute la sentenza della Corte cost. 14 maggio 1999, n. 170 che aveva dichiarato l'illegittimità costituzionale primo del comma, «nella parte in cui non prevede che il termine per la proposizione dell'azione di disconoscimento della paternità, nell'ipotesi di impotenza solo di generare di cui al numero 2) dell'art. 235 dello stesso codice, decorra per la moglie dal giorno in cui essa sia venuta a conoscenza dell'impotenza di generare del marito» e la sentenza 6 maggio 1985, n. 134che aveva dichiarato l'illegittimità del secondo comma «nella parte in cui non dispone, per il caso previsto dal n. 3 dell'art. 235 dello stesso codice, che il termine dell'azione di disconoscimento decorra dal giorno in cui il marito sia venuto a conoscenza dell'adulterio della moglie». La stessa Corte aveva inoltre, con sentenza 14 maggio 1999, n. 170, dichiarato l'illegittimità costituzionale dello stesso comma «nella parte in cui non prevede che il termine per la proposizione dell'azione di disconoscimento della paternità, nell'ipotesi di impotenza solo di generare, contemplata nel numero 2) dell'art. 235 dello stesso codice, decorra per il marito dal giorno in cui esso sia venuto a conoscenza della propria impotenza di generare».

(3) Per la decorrenza del termine di cui al presente comma, v. art. 104, comma 9, d.lg. n. 154, cit.

Inquadramento

La disciplina dettata dall'art. 244 sui termini per l'esercizio dell'azione di disconoscimento è stata modificata dalla riforma dovuta al d.lgs. 28 dicembre 2013, n. 154, per adeguare, nel contesto della più ampia rivisitazione del diritto di famiglia, il testo della normativa alla pronuncia della Corte costituzionale (sent. n. 170 del 14 maggio 1999) che aveva dichiarato la parziale illegittimità di questa disposizione. La pronuncia aveva ritenuto contraria ai principi costituzionali la disposizione citata nella parte in cui non attribuiva rilevanza, quale momento utile per la decorrenza del termine di decadenza dalla proposizione dell'azione, alla presa di conoscenza della condizione di impotenza di generare del marito: presa di conoscenza che, per il marito e per la madre, comportavano altresì la conoscenza del presupposto di fatto (la non paternità) idoneo a dar fondamento all'azione. Si è dunque disposto che un termine decadenziale decorre, attualmente, per l'azione da intraprendersi dal marito, dal momento in cui egli ha la notizia della propria impotenza di generare; e che un termine decadenziale decorre, per l'azione cui ha interesse la moglie, dal giorno in cui è lei ad apprendere che il marito è impotente a generare.

Per il resto le disposizioni già contenute nell'art. 244 sono rimaste le stesse, salvo per una diversa articolazione e per due modifiche: l'introduzione di un termine di cinque anni in relazione all'azione della madre ed a taluni casi di azione del marito; e l'imprescrittibilità dell'azione del figlio. L'una e l'altra di queste modifiche sono finalizzate a realizzare un punto di equilibrio che si è ritenuto indispensabile tra il favor veritatis e l'esigenza di stabilità e certezza delle situazioni giuridiche suscettibili di contestazione. Il figlio è titolare di un diritto personalissimo e non sottoponibile a condizioni temporali o diverse, a tutela della sua personalità individuale; mentre sulle aspettative e sugli interessi dei terzi possono prevalere ragioni di definitività dei rapporti giuridici.

In tema di disconoscimento di paternità, il quadro normativo (artt. 30 Cost., 24, comma 2, della Carta dei diritti fondamentali della UE, e 244 c.c.) e giurisprudenziale attuale non comporta la prevalenza del favor veritatis sul favor minoris, ma impone un bilanciamento fra il diritto all'identità personale legato all'affermazione della verità biologica ? anche in considerazione delle avanzate acquisizioni scientifiche nel campo della genetica e dell'elevatissimo grado di attendibilità dei risultati delle indagini ? e l'interesse alla certezza degli "status" ed alla stabilità dei rapporti familiari, nell'ambito di una sempre maggiore considerazione del diritto all'identità personale, non necessariamente correlato alla verità biologica ma ai legami affettivi e personali sviluppatisi all'interno di una famiglia, specie quando trattasi di un minore infraquattordicenne. Tale bilanciamento non può costituire il risultato di una valutazione astratta, occorrendo, invece, un accertamento in concreto dell'interesse superiore del minore nelle vicende che lo riguardano, con particolare riferimento agli effetti del provvedimento richiesto in relazione all'esigenza di un suo sviluppo armonico dal punto di vista psicologico, affettivo, educativo e sociale (Cass. I, ord. n. 27140/2021: nella specie, la S.C. ha cassato con rinvio la decisione della corte di merito, che, nell'accogliere l'azione di disconoscimento di paternità proposta dal padre di un minore infraquattordicenne, ha ritenuto di valorizzare esclusivamente il favor veritatis, trascurando di procedere ad un accurato bilanciamento, in concreto, di questo criterio con quello del preminente interesse del minore). Conforme Cass. I, n. 26767/2016.

Tra l'azione di disconoscimento della paternità e quella di dichiarazione giudiziale di altra paternità sussiste un nesso di pregiudizialità in senso tecnico-giuridico con la conseguenza che, in pendenza del primo giudizio, il secondo deve essere sospeso, ex art. 295 c.p.c., coerentemente all'art. 253 c.c. (Cass. S.U. n. 8268/2023;Cass. I, ord. n. 17392/2018; Cass. I, n. 5229/2016). Infatti, nel nostro ordinamento in base all'art. 253 non è ammesso alcun riconoscimento in contrasto con lo stato di figlio nel quale una persona si trova. Pertanto se un soggetto intenta una azione di accertamento di paternità ma allo stesso tempo risulta avere ancora lo stato di figlio di altra persona e inizia successivamente l'azione di disconoscimento di tale paternità, al fine di non creare contrasti tra giudicati si applica l'istituto della sospensione per pregiudizialità, con sospensione dell'azione di accertamento in attesa della decisione sul disconoscimento: la sentenza di accertamento, in quanto di natura costituiva, implica la modifica dello stato di figlio e ha effetti erga omnes. La rimozione dell'impedimento costituito da un diverso stato di figlio inizia dal passaggio in giudicato dell'azione di disconoscimento di paternità (Cass. I, n. 15990/2013). 

La Corte europea dei diritti dell'uomo, con pronuncia sez. I, n. 8790/2022 ha posto un limite all'applicazione del principio di cui sopra. Il divieto di promuovere l'azione di dichiarazione giudiziale di paternità, fino a quando sia divenuta definitiva la pronuncia di disconoscimento, si pone in contrasto con l'art. 8 della convenzione se il giudizio si protrae per un tempo eccessivo (nella specie, dodici anni), in assenza di misure volte all'accelerazione del procedimento, in quanto il figlio è posto in stato di prolungata incertezza circa il suo status. Con lesione della propria identità personale e al rispetto della sua vita familiare.

Natura dei termini

La riforma del 2013 ha introdotto alcune modifiche relative alla durata e al decorso dei termini già indicati nell'art. 244 c.c. Per quanto concerne i termini semestrale ed annuale, fissati rispettivamente per la madre e per il marito della madre, la detta riforma non ne ha modificato la natura. Si tratta di termini di decadenza, rispondenti a finalità di tutela di interessi pubblicistici, il cui inutile compimento va rilevato d'ufficio dal giudice. Ciò era stato affermato ripetutamente ed espressamente dalla giurisprudenza con riferimento al termine annuale fissato dalla norma prima della riforma del 2013. Deve ritenersi che alla medesima conclusione debba pervenirsi, dopo la cennata riforma, sia con riguardo al termine annuale nei casi in cui è rimasto immutato ed anche con riferimento al termine di sei mesi, dimezzato nei confronti della madre.

La dottrina attribuisce, invece, natura giuridica diversa al termine di cinque anni introdotto allo scopo di circoscrivere comunque nel tempo l'azione di disconoscimento con decorrenza da un dato storico di univoco accertamento (la nascita). Il termine quinquennale di cui al comma quarto dell'art. 244, si afferma, è un termine che limita la proponibilità dell'azione, in quanto ne chiude definitivamente la proposizione, indipendentemente dall'inerzia di chi potrebbe averne interesse o dalla sua conoscenza dei presupposti che ne condizionano l'esercizio.

Il termine predetto opera in relazione ad alcune soltanto delle fattispecie che ai sensi dell'art. 244 c.c. consentono di chiedere il disconoscimento. Esso concorre, in primo luogo, con il termine semestrale che condiziona l'esercizio dell'azione della madre, in entrambe le situazioni che ne costituiscono il presupposto (nascita; presa conoscenza dell'impotenza del marito al tempo del concepimento). Il medesimo termine concerne inoltre i casi di disconoscimento ad opera del padre che si è trovato presente nel luogo della nascita nel momento in cui essa è avvenuta. Non si riferisce, invece, ai casi in cui il marito era lontano dal luogo della nascita o dalla residenza: il suo ritorno può avvenire a notevole distanza di tempo dalla nascita e una limitazione della proponibilità dell'azione è apparsa al legislatore, in questa ipotesi, incongrua. Si veda per ulteriori considerazioni infra.

I termini disposti dall'art. 244 c.c. per l'esercizio dell'azione di disconoscimento hanno natura non di prescrizione ma di decadenza e l'inosservanza è rilevabile anche d'ufficio (Cass. I, n. 785/2017; Cass. I, n. 6302/2007; Cass. I, n. 1512/2000;  Trib. Arezzo 24 giugno 2020, n. 313). La Corte di cassazione ha affermato che i termini di decadenza per l'esercizio dell'azione di disconoscimento di paternità concorrono, unitamente ai casi in cui tale azione è consentita, a definire l'ambito nel quale il disconoscimento di paternità è esperibile e, con esso, a delineare il punto di equilibrio tra verità biologica e certezza dello status come presuntivamente attribuito (Cass. I, n. 6302/2007). I detti termini, si aggiunge, afferiscono a materia sottratta alla disponibilità delle parti e dunque doveva ritenersi frutto di collusione, ordita per frodare la legge (revocabile su iniziativa del p.m.), la sentenza emessa in un procedimento nel quale le parti, d'accordo tra loro, avevano sostenuto, contrariamente al vero, che la conoscenza dei fatti era avvenuta nell'anno anteriore alla proposizione dell'azione.

Spetta all'attore provare che l'azione è stata proposta entro il termine previsto, senza che alcun rilievo possa spiegare la circostanza che nessuna delle parti abbia eccepito l'eventuale decorso del termine stesso; il rispetto del termine va controllato ex officio (Cass. I, n.29847/2024; Cass. I, n. 785/2017; Cass. I, n. 1512/2000).

La giurisprudenza aveva affermato che il termine annuale di cui all'art. 244 è assoggettato alla sospensione feriale ed ha precisato che, se pure tale termine ha natura sostanziale, esso assume rilevanza processuale quando la possibilità di agire in giudizio costituisce, per il titolare che deve munirsi di una difesa tecnica, l'unico rimedio idoneo a far valere il suo diritto, senza che abbia rilievo la maggiore o minore brevità del termine decadenziale di volta in volta sancito per intraprendere l'azione (Cass. I, n. 1868/2016; Cass. I, 6874/1999). Questo orientamento deve ritenersi applicabile nel regime vigente, sia per il termine annuale che è stato conservato per l'azione da intraprendersi dal marito e sia per il termine semestrale attualmente riferito all'azione spettante alla madre. Nel caso di azione di disconoscimento proposta dagli ascendenti o dai discendenti, il termine di decadenza decorre dalla data del decesso del dante causa se essi erano già a conoscenza della nascita; in caso contrario, decorre dalla data dell'effettiva conoscenza dell'evento in qualunque modo acquisita (Cass. I, n. 27903/2021).

Termini dell'azione della madre

Decorrenza dalla nascita del figlio

Il primo comma, prima parte, dell'art. 244 stabilisce che l'azione di disconoscimento a iniziativa della madre deve da lei essere proposta entro sei mesi a decorrere dal giorno della nascita del figlio. L'indicazione ha per punto fermo un fatto storico che è di indubbio accertamento; esso (tranne casi limite) è formalmente risultante dall'atto iscritto nei registri dello stato civile. La norma è rimasta la stessa (tranne per la durata del termine di proposizione dell'azione) che si leggeva nel primo comma dell'art. 244 anteriormente alla riforma apportata con il d.lgs. 28 dicembre 2013, n. 154. Deve ritenersi che il termine semestrale abbia natura di decadenza e che sia soggetto alla sospensione feriale, in analogia a quanto era stato già affermato dalla giurisprudenza con riguardo al precedente termine annuale. La brevità del termine, dimezzato rispetto a quello del marito, trova ragione nel fatto che la madre ha sempre conoscenza del fatto della nascita ed è dunque in grado di agire con tempestività, ove ritenga di farlo (De Filippis, op. cit., 2002, 899). Si osserva anche che la detta ristrettezza del termine costituisce un punto di equilibrio tra tale condizione di certezza immediata e la necessità di lasciare alla madre, comunque, uno spazio temporale occorrente a riflettere e maturare la decisione del disconoscimento. È dunque da escludersi la disparità di trattamento, a sfavore della madre, rispetto a quello riservato al marito ed al figlio.

L'azione deve essere esercitata non oltre i cinque anni dalla nascita. La disposizione in tal senso è stata introdotta dalla ricordata riforma di cui al d.lgs. 154/2013. Si tratta di una disposizione che privilegia la verità formale sul favor veritatis e che è finalizzata a fornire una non più eliminabile certezza alla condizione di figlio risultante per documenti o dal possesso di stato. Decorso il termine, di improponibilità della domanda, il legislatore ha attribuito prevalenza all'interesse del figlio a non veder più discusso lo status che con la nascita gli era stato conferito. La dottrina (per tutti, Sesta, Codice fam, 2015, 993) ha considerato criticamente la scelta legislativa, considerandola come determinatrice di una irragionevole compressione del diritto all'esercizio di una azione personalissima. E la reputa contraria alla giurisprudenza della Corte costituzionale, che aveva dichiarato vanificante dei principi costituzionali che presiedono alla tutela dei diritti la decorrenza dell'azione di disconoscimento collegata unicamente alla nascita e non anche alla conseguita conoscenza del fatto rilevante a fondare l'azione (Corte cost. n. 134 del 6 maggio1985). Si è osservato, in contrario, che il termine quinquennale si applica soltanto nei casi di cui ai commi primo e secondo dell'art. 244, e non anche a quelli di cui al comma terzo, che riguarda proprio le situazioni di mancata conoscenza (Rosetti, Nuove regole, cit., in Filiaz., a cura di Bianca, 2014, 52). Si auspica comunque (Sesta, L'accertamento dello stato di figlio dopo il decreto legislativo n. 154/2013, in FD, 2014, 458) un intervento correttivo del legislatore in modo da rendere più coerente il bilanciamento tra l'interesse generale alla certezza delle relazioni parentali e il diritto alla tutela dell'identità di ciascun individuo.

Il principio di prevalenza della certezza delle relazioni familiari, quale venuta a formarsi nel tempo, sulla verità storica, che ha motivato la previsione del termine quinquennale per l'esercizio dell'azione di disconoscimento, deve essere confrontato con le regole recepite e stabilite dalla Convenzione europea dei diritti dell'uomo, come delucidate, da ultimo, dalla sentenza della Corte EDU 5 aprile 2018, 15074/08, Doktorov v. Bulgaria. Nella vicenda con essa esaminata, i giudici nazionali avevano respinto la domanda di disconoscimento di paternità in quanto proposta dal presunto padre oltre il termine di prescrizione di un anno fissato dall'ordinamento interno. Il genitore proponente aveva appreso la sua non paternità soltanto dopo il divorzio e in seguito a un esame del DNA. La Corte ha osservato che l'imposizione di un limite temporale all'esercizio dell'azione di disconoscimento risponde all'esigenza  di garantire la certezza del diritto nelle relazioni di famiglia e di dare rilevanza all'interesse del figlio, preminente sull'interesse del padre a disconoscere la paternità. E tuttavia, il fatto che non fosse prevista, nell'ordinamento dello stato membro, una procedura che consentisse di agire entro un termine decorrente dal momento della acquisita conoscenza dell'evento rilevante, invece che da quello della nascita, non realizzava un bilanciamento proporzionato degli interessi in gioco.  La  mancanza di una siffatta procedura aveva impedito al ricorrente di ottenere un esame del merito e di far valutare i diversi interessi coinvolti. Ne risultava violato l'art. 8 CEDU (diritto al rispetto della vita privata e familiare) poiché non era stato raggiunto un giusto equilibrio tra l'obiettivo generale di garantire la stabilità nelle relazioni sociali, gli interessi delle parti coinvolte, in particolare del minore, e il diritto del ricorrente ad ottenere un esame nel merito della sua posizione. In senso conforme si era pronunciata la stessa Corte con decisioni 12 gennaio 2006 C-2611/02 e Corte EDU 24 novembre 2005 C-74826/01.

Impotenza di generare del marito

L'art. 244, primo comma, dispone attualmente che la madre può chiedere il disconoscimento del figlio anche quando viene a conoscenza dell'impotenza di generare del marito al momento del concepimento e che, in questo caso, il termine di sei mesi per l'esercizio dell'azione decorre dal momento della presa di conoscenza di tale impotenza. Si tratta di una disposizione introdotta dal d.lgs. 28 dicembre 2013, n. 154, in adeguamento alla sentenza della Corte costituzionale n. 170 del 14 maggio 1999, dichiarativa della parziale illegittimità costituzionale dell'art. 244 che, nella sua formulazione originaria, non prevedeva tale fattispecie. La brevità del termine è in funzione della avvertita esigenza di un equilibrio tra interessi diversi, cui si è sopra fatto cenno.

L'azione deve essere esercitata non oltre i cinque anni dalla data della nascita, e non anche dalla avvenuta conoscenza. Il legislatore ha palesemente voluto circoscrivere comunque nel tempo la possibile situazione di incertezza sullo status del figlio. Si veda supra.

La giurisprudenza ha ritenuto applicabile, per analogia, il termine di cui all'art. 244 anche alle filiazioni originate da fecondazione artificiale, in conseguenza della l. n. 40 del 2004, che ha previsto una nuova fattispecie di disconoscimento (Cass. I, n. 7965/2017).

Termini dell'azione del marito

Marito sul luogo della nascita. Presenza sul luogo della nascita

La presenza del marito sul luogo della nascita, al tempo in cui questa avviene, consente di avere un punto fermo, nel tempo, dal quale far decorrere il termine di decadenza per l'eventuale azione di disconoscimento. La nascita, veduta o conosciuta con immediatezza, consente al marito di stabilirea ritroso il momento del concepimento; e costituisce, in ogni caso, il momento decisivo di una vicenda che può essere rivelatrice di rapporti della donna con persone diverse dal coniuge. Risalente giurisprudenza (Cass. n. 5727/1977) aveva precisato che deve farsi distinzione tra conoscenza della nascita e conoscenza della gravidanza, la quale non consente, di per sé, di risalire con certezza al tempo del concepimento. Ha rilevanza il fatto storico della nascita e non anche quello dell'iscrizione nei registri dello stato civile. In proposito la normativa pone una semplice presunzione di conoscenza, legata alla presenza sui luoghi, che può essere vinta con ogni mezzo di prova. Si veda, per il termine quinquennale di cui all’art. 244, comma quarto, supra.

Il termine di un anno pone una presunzione di conoscenza, la quale può essere vinta dalla prova di non avere avuto conoscenza dell'avvenuta nascita, non avendo alcuna rilevanza il fatto di non essere stato in grado di averne avuto notizia (Cass. n. 2093/1976). Per luogo in cui è avvenuta la nascita deve intendersi il luogo fisico entro il quale la stessa è avvenuta, di regola individuabile nel comune e non necessariamente con l'abitazione, l'edificio o la struttura sanitaria in cui ebbe a verificarsi (App. Milano, 14 febbraio 1997).

Ignoranza della propria impotenza di generare

Alla condizione di fornire la prova di aver ignorato la propria condizione di impotenza di generare al momento del concepimento, l'azione di disconoscimento ad opera del marito della madre che si trovava nel luogo della nascita al tempo di questa può essere esercitata nel termine di un anno decorrente dalla avvenuta conoscenza di tale condizione personale. La disposizione costituisce l'adeguamento alla ricordata sentenza della Corte costituzionale n. 170 del 14 maggio 1999 ed è stata introdotta ex novo dal d.lgs. 28 dicembre 2013, n. 154. Questo provvedimento ha introdotto, inoltre, il termine quinquennale oltre il quale l'azione non può più essere proposta. In proposito si veda supra.

Cass. I, 7965/2017 ha ammesso il marito all'azione di disconoscimento di paternità in un caso nel quale egli aveva appreso della sua impotenza di generare da una lettera con la quale la moglie lo informava che il figlio era nato grazie a fecondazione eterologa, a di lui insaputa.

Ignoranza dell'adulterio della moglie

Il marito, che sia stato presente sul luogo della nascita al tempo di questa, può esercitare l'azione di disconoscimento nel termine di un anno quando prova di avere ignorato l'adulterio della moglie consumato al tempo del concepimento. Il termine di un anno per intraprendere l'azione decorre dal momento in cui è acquisita la conoscenza del fatto; l'azione decade dopo trascorsi cinque anni dalla nascita del figlio. Anche in questo caso il termine quinquennale costituisce l'ultimo limite oltre il quale la verità storica deve cedere alla verità formale, nell'interesse alla certezza dei rapporti giuridici che trascende quello dei singoli soggetti. In proposito si veda supra.

La giurisprudenza aveva chiarito che il termine annuale decorre dalla data di acquisizione della  conoscenza dell'adulterio della moglie e non invece da quello di raggiunta certezza negativa della paternità biologica (Cass. I, n. 14243/2017 Cass. I, n. 1964/2016; Cass. I, n. 4090/2005, per la quale il termine non è sospeso dalla nomina di un curatore speciale al figlio, in quanto la sospensione è prevista nella sola ipotesi di cui all'art. 245 c.c.). Il termine, più precisamente, decorre dalla conoscenza di una relazione della moglie con un altro uomo, tale da rendere verosimile una paternità biologica nel nato diversa da quella presunta ex lege (Cass. I, n. 14556/2014; Cass. I, n. 7581/2013). Cass. I, 15777/2010 ha confermato la pronuncia di merito che aveva collegato la decorrenza del termine alla pubblicazione di un testamento olografo, nel quale il de cuius aveva riconosciuto l'attore per suo figlio naturale: e aveva ritenuto tale pubblicazione come evento sufficiente a rendere noto l'adulterio della madre). La scoperta dell'adulterio va intesa, secondo Cass. I, n. 30844/2023 e Cass. I, n. 6477/2003, come acquisizione certa, e non come sospetto, di un fatto, il quale deve essere rappresentato o da una vera relazione o da un incontro, comunque di natura sessuale, idoneo a determinare il concepimento del figlio che si vuole disconoscere. Ciò che rileva è l'acquisizione certa della conoscenza di un fatto (una vera e propria relazione o un incontro sessuale) idoneo a determinare il concepimento, non essendo sufficiente un'infatuazione o una relazione sentimentale e neppure la mera frequentazione della moglie con un altro uomo (così Trib. Cuneo 22 maggio 2023, n. 359). La Corte, con ordinanza 9 febbraio 2018, n. 3263,  aveva confermato il suo orientamento si è espressa però in senso più rigoroso. Essa ha ribadito il principio per cui la scoperta dell'adulterio commesso all'epoca del concepimento – alla quale si collega il decorso del termine annuale di decadenza fissato dall'art. 244 c.c. – va intesa come acquisizione certa della conoscenza (e non come mero sospetto) di un fatto rappresentato o da una vera e propria relazione o da un incontro, comunque sessuale, idoneo a determinare il concepimento del figlio che si vuole disconoscere, non essendo sufficiente la mera infatuazione, la mera relazione sentimentale o la frequentazione della moglie con un altro uomo (in tal senso anche Cass. I, ord. n. 19324/2020; Trib. Trani, 14 luglio 2023, n. 1129). Ma ha poi confermato la sentenza di appello che aveva riconosciuto la tempestività della domanda di disconoscimento della paternità, ritenendo che, pur risultando una pregressa conoscenza dell'adulterio da parte dell'attore, solo all'esito dell'espletamento della prova del DNA questi ne avesse acquisito la certezza.

La prova della conoscenza dell'adulterio grava sull'attore: per Cass. I, 13436/2016 (in ilFamiliarista.it, nota di Figone) la prova può essere fornita anche avvalendosi del principio di non contestazione, che opera anche in materia di diritti indisponibili, fermo il potere del giudice, in ragione della preminenza dell'interesse pubblico nelle questioni di stato delle persone, di rilevare d'ufficio un eventuale ulteriore termine di decorrenza che renda l'azione inammissibile. La Suprema Corte ha ritenuto rilevante, ai fini della prova da fornirsi dal marito, l'atteggiamento di mancata contestazione, ad opera della moglie, del momento di conoscenza dell'adulterio: in applicazione dell'art. 115 c.p.c. Spetta al marito che agisce per disconoscimento l'onere di dimostrare di avere intrapreso l'azione entro l'anno dalla data in cui ha scoperto una condotta della donna idonea al concepimento con un altro uomo; spetta ai convenuti l'onere di dimostrare l'eventuale anteriorità della scoperta (Cass. I, n. 19324/2020).

Il termine, di natura decadenziale, previsto dall'art. 244 c.c. afferisce a materia sottratta alla disponibilità delle parti, sì che il giudice deve accertarne d'ufficio il rispetto, mentre l'attore deve correlativamente fornire la prova di aver proposto l'azione entro il termine previsto, non avendo rilievo il fatto che nessuna delle parti abbia eccepito l'eventuale decorso del termine stesso (Trib. Arezzo, 24 giugno 2020, n. 313).

La prova dell'intempestività dell'esercizio dell'azione può essere data con ogni mezzo e può derivare, ad esempio, dalla dichiarazione fatta, sul momento di conoscenza dell'adulterio, dal marito ad un amico (Cass. I, 1264/2001).

Il termine di cui al secondo comma dell'art. 244 decorre comunque dalla data della scoperta dell'adulterio, anche se questa è successiva alla nascita del figlio (Cass. I, 5626/1990).

Marito assente dal luogo della nascita. Ritorno sul luogo

Se il marito non si trovava sul luogo della nascita nel momento in cui il figlio è nato, il termine decadenziale per l'esercizio dell'azione di disconoscimento decorre dal suo ritorno o dal giorno del ritorno nella residenza familiare se egli ne era lontano. Il termine decorre indipendentemente dalla conoscenza che egli abbia avuto della nascita: la decorrenza dal ritorno è stata stabilita dal legislatore in funzione della possibilità pratica che il soggetto viene ad avere, o comunque è in grado di avere, con il suo ritorno, di esercitare l'azione in giudizio (Cattaneo, 181). La lontananza dalla residenza è nozione imprecisa e lasciata all'apprezzamento in fatto del giudice. La giurisprudenza ha ipotizzato di riferirla alla suddivisione del territorio in circoscrizioni e in enti locali. L'azione è soggetta al termine di decadenza annuale. Non si applica il termine quinquennale, che l'articolo 244 stabilisce in riferimento ai soli commi primo e secondo.

Il termine annuale di esercizio dell'azione di disconoscimento ad opera del marito decorre dal suo ritorno sul luogo di nascita o nella residenza, indipendentemente dal fatto che della nascita egli abbia avuto conoscenza (Cass. 6716/1987). La conoscenza anteriore non ha rilevanza (Cass. 3500/1980). Per Cass. 3925/1980, al fine di determinare in concreto la «lontananza» non bisogna avere riguardo alla distanza chilometrica tra il luogo della residenza familiare e il luogo in cui si trova il marito ma occorre rifarsi al criterio della ripartizione del territorio in distinti enti locali. Il legislatore della riforma del 2013 non ha approfittato dell'occasione per aggiornare un riferimento a distanze che al momento dell'entrata in vigore del codice civile potevano avere un significato di oggettivo impedimento; mentre attualmente lo sviluppo dei trasporti e delle comunicazioni internet ha completamente mutato ogni situazione e ogni prospettiva in linea di fatto, di aderenza della normativa alla realtà concreta.

Mancata notizia della nascita

L'utilizzo, nel testo dell'art. 244, comma terzo, del termine «notizia», contrapposto a quello di «conoscenza» ha fatto ritenere alla dottrina (De Filippis, op. cit., 902) che è sufficiente ad integrare il requisito legale la semplice notizia della nascita. Essa deve intendersi integrata da qualunque forma di conoscenza, senza che sia necessaria una informazione completa e dettagliata con riguardo a tutti gli elementi del fatto ed alle circostanze utili a porre in grado il marito di valutare se esercitare l'azione di disconoscimento. In sostanza, già la sola notizia costituisce elemento fattuale che onera il marito della madre ad un esercizio tempestivo dell'azione per il disconoscimento. Spetta all'interessato di attivarsi per completare l'informazione acquisita e valutarne sia l'intrinseca attendibilità che la rilevanza.

Si è affermato anche dalla Corte di cassazione che per l'esercizio dell'azione di disconoscimento è sufficiente la sola notizia della nascita, pur se sfornita di dettagli, a meno che sia vaga e poco attendibile (Cass. I, 6716/1987). La giurisprudenza ha ritenuto costituire notizia della nascita acquisita al momento del ritorno nel luogo di sua verificazione la dichiarazione della madre, avvenuta in occasione del giudizio di separazione personale ed effettuata al solo fine di ottenere dal marito un contributo per il mantenimento del figlio; ed ha negato rilievo alla data successiva in cui il marito aveva ottenuto l'estratto di nascita dal quale risultava a lui attribuita la paternità (Cass. I, 595/1993, sull'assunto della sufficienza, per la legge, della sola notizia dell'adulterio). Se il marito prova la mancata conoscenza, spetta a chi eccepisce l'avvenuta decadenza dalla proposizione dell'azione da lui intrapresa l'onere di provare che la decadenza era maturata (Cass. 6716/1987). In proposito Cass. I, 2645/1993, aveva ritenuto non ammissibile la prova per giuramento decisorio volto ad accertare la data nella quale il marito, attore in disconoscimento, aveva avuto conoscenza della nascita del presunto figlio.

Per il particolare caso in cui avvenga la rettificazione dell'atto di nascita nel quale il figlio era stato dichiarato come figlio di madre nubile, con conseguente acquisto dello stato di figlio legittimo, il termine di decadenza per l'esercizio dell'azione di disconoscimento decorre dal momento in cui il marito della donna viene a conoscenza dell'avvenuta rettificazione (Cass. 1233/1977).

Termini dell'azione del figlio

L'azione da proporsi dal figlio è dichiarata dall'art. 244 imprescrittibile. Nella disciplina previgente, rispetto alla riforma di cui al d.lgs. 28 dicembre 2014, n. 154, l'azione era soggetta al termine decadenziale di un anno. La dottrina ha accolto con favore la nuova disposizione che ha reso svincolata da termini di esercizio l'azione di disconoscimento esercitata dal figlio. La conseguente esenzione da vincoli temporali risulta ancor più rilevante se la si pone in collegamento con la libertà della prova che contrassegna attualmente l'azione di disconoscimento in giudizio. L'estensione del potere riconosciuto al figlio gli consente di contestare in ogni tempo uno status che considera essere fittizio. La scelta legislativa ha posto al centro della disciplina dei rapporti familiari il figlio, come risulta anche dalla mancanza attuale di ogni distinzione tra la condizione di figlio nato nel matrimonio e quella di chi è nato fuori dal matrimonio (l'imprescrittibilità dell'azione è disposta anche a favore del figlio per l'impugnazione del riconoscimento, per difetto di veridicità: art. 263 c.c.).

Termini dell'azione del curatore speciale

L'ultimo comma dell'art. 244 ha conservato, dopo la riforma del 2013, l'azione da proporsi dal curatore speciale, nominato dal giudice, assunte sommarie informazioni e su istanza del figlio minorenne o del pubblico ministero. La disposizione è inserita in una norma dedicata ai termini di decadenza e di proponibilità dell'azione e, in quanto concerne la legittimazione all'azione, la sua collocazione ne risulta incongrua.

La detta riforma ha abbassato la soglia di età del figlio minorenne che condizionava in fatto la richiesta, da parte sua, della nomina di un curatore speciale per la proposizione dell'azione. È attualmente sufficiente aver compiuto i 14 anni; al di sotto di questo limite l'istanza di nomina può essere formulata dal pubblico ministero o dall'altro genitore. La modifica si inserisce in scelte legislative che hanno preso atto della più rapida maturazione dei giovani nel mondo attuale.

Il potere di esercizio dell'azione conferisce al curatore speciale anche il potere di proporre l'impugnazione nel corso del giudizio. L'ufficio di curatore speciale cessa automaticamente quando il minore raggiunge la maggiore età. L'art. 473-bis.8 c.p.c. attribuisce al giudice il potere di conferire al curatore speciale specifici poteri di natura sostanziale; e demanda al curatore speciale l'ascolto del minore.

La Corte di appello di Napoli ha ritenuto imprescrittibile l'azione di disconoscimento di paternità promossa dal curatore speciale nominato su istanza della madre, decaduta dall'esercizio dell'azione medesima (App. Napoli 20 ottobre 2017).

Per (Cass. I, 11947/1998) il provvedimento di nomina o di revoca del curatore speciale è privo delle caratteristiche della decisività e della definitività; e non è dunque impugnabile con il ricorso straordinario per cassazione. In senso contrario si era pronunciata Cass. 4035/1995, in relazione all'impugnazione del decreto della corte d'appello di revoca del provvedimento di nomina del curatore speciale. La decisione ha argomentato che il provvedimento incide in maniera immediata e diretta sullo status del minore e quindi su un suo diritto soggettivo fondamentale.

In pendenza di giudizio, la nomina del curatore speciale di cui all'art. 78 c.p.c. avviene incidentalmente, quale sub-procedimento all'interno del processo, con istanza da proporre al giudicante, il cui provvedimento, se si tratta del giudice delegato alla trattazione, è suscettibile di essere riconsiderato dal collegio del tribunale, in sede decisoria; nondimeno, è altresì ammissibile il reclamo immediato al collegio da parte degli interessati, quale specifico mezzo di impugnazione, al fine di instare per la revoca o modifica del decreto in questione (Cass. I, ord. n. 3883/2021).

Termini dell'azione del pubblico ministero o dell'altro genitore di figlio minore degli anni quattordici

L'ultimo comma dell'art. 244 conferisce, come nella disciplina precedente alla riforma del 2013, legittimazione al pubblico ministero a promuovere l'azione di disconoscimento per il figlio che non ha ancora compiuto gli anni quattordici. La riforma ha introdotto l'innovazione costituita dall'attribuzione del medesimo potere all'altro coniuge. La modifica si inquadra nella disposta totale equiparazione dei genitori nell'avere responsabilità verso la prole.

La giurisprudenza ha assunto un atteggiamento particolare con riferimento all'azione da esercitarsi dal curatore speciale nominato al minore infraquattordicenne. Per questa fattispecie la Corte di cassazione ha ripetutamente affermato che deve essere apprezzato dal giudice l'interesse del minore, considerato aspetto centrale di tutta la normativa in tema di diritto familiare: tale interesse deve essere valutato e accertato sin dal momento della nomina del curatore speciale e non deve essere riservato al successivo giudizio di merito (Cass. I, 4020/2017); senza, comunque, che questa preliminare valutazione impedisca o precluda un accertamento, doveroso, susseguente (Cass. I, 13892/2003; Cass. I, 11947/1998; Cass. 71/1994). In particolare, la giurisprudenza affida al giudice di merito un ampio spazio di libertà e di responsabilità. Cass. I, 26767/2016 (in Dir. e giust. 2017, nota di F. Valerio), ad esempio, ha affermato che il giudice investito della domanda di disconoscimento della paternità di un minore, proposta dal curatore speciale ex art. 244 u.c., è tenuto ad effettuare un bilanciamento fra l'esigenza di affermare la verità biologica e l'interesse del minore, valutando, in specie, gli effetti del provvedimento richiesto in relazione alla necessità di garantirgli uno sviluppo armonico dal punto di vista psicologico, affettivo, educativo e sociale. Nelle motivazioni della pronuncia si è ricordato l'insegnamento della Corte costituzionale, sentenza n. 429/1991, per la quale: «... se si tratta di minore di età inferiore a sedici anni (attualmente, quattordici: n.r.), la ricerca della paternità, pur quando concorrano specifiche circostanze che la fanno apparire giustificata ai sensi degli artt. 235 o 274 c.c., non è ammessa ove risulti un interesse del minore contrario alla privazione dello stato di figlio legittimo o, rispettivamente, all'assunzione dello stato di figlio naturale nei confronti di colui contro il quale si intende promuovere l'azione: interesse che dovrà essere apprezzato dal giudice soprattutto in funzione dell'esigenza di evitare che l'eventuale mutamento dello status familiare del minore possa pregiudicarne gli equilibri affettivi e l'educazione».

L'interesse del minore degli anni quattordici va apprezzato, in sede giudiziaria, nonostante l'azione sia sollecitata dal pubblico ministero, non potendosi considerare equipollente al necessario apprezzamento la circostanza che sia tale ufficio a chiedere la nomina del curatore speciale (Cass. I, n. 4020/2017).

Una siffatta valutazione non deve avvenire in astratto ma va effettuata con concreto riferimento all'effettivo interesse del minore (Cass. I, 18817/2015; Cass. I, 25213/2013; Cass. I, 21651/2011; Cass. I, 14840/2006). La Corte di cassazione ha affermato che nel procedimento di nomina di un curatore speciale al minore, ai sensi dell'art. 244, la legittimazione a chiedere la nomina e a impugnare il relativo diniego, è attribuita esclusivamente al pubblico ministero, con esclusione di qualsiasi interferenza degli altri soggetti, che pure siano affettivamente e moralmente coinvolti, quali i genitori legittimi e il sedicente padre biologico. Costoro assumono, nel procedimento, la veste di semplici «informatori», che offrono al giudice elementi di valutazione nell'interesse del minore, e non la qualità di parti abilitate a far valere situazioni soggettive proprie (Cass. I, 13892/2003, che ha escluso possano essere condannate alle spese processuali).

Disciplina processuale (cenni)

Il d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149, di riforma del processo civile, ha introdotto il rito unificato per le controversie in materia di stato delle persone, di famiglia e di minori, disciplinato dagli artt. 473-bis e seguenti c.p.c. Il procedimento si instaura con ricorso. La competenza appartiene al tribunale territorialmente individuato secondo le regole del giudizio ordinario di cognizione (art. 473-bis.11). Tuttavia, se devono essere adottati provvedimenti riguardanti minori, è competente il tribunale del luogo di ultima residenza del minore; se vi è stato trasferimento non autorizzato, entro l'anno dal trasferimento la competenza spetta al tribunale dell'ultima residenza abituale del minore.  Ricevuto il ricorso, il presidente del tribunale nomina con decreto il giudice relatore e fissa l'udienza di comparizione delle parti davanti a questi. Prima dell'udienza il convenuto deve costituirsi, a pena di decadenze da facoltà difensive. L'attore può controbattere con una memoria scritta alla comparsa del convenuto; il convenuto, a sua volta, può rispondere con memoria scritta che l'attore ha ancora facoltà di  contestare, prima dell'udienza. Quando la causa è matura per la decisione il giudice relatore (o istruttore se vi è stata assunzione di mezzi probatori) fissa l'udienza nella quale rimetterà le parti alla decisione del collegio e assegna ad esse tre termini successivi entro i quali esse devono: depositare le conclusioni; depositare la comparsa conclusionale; depositare le memorie di replica (art. 473-bis.28). All'udienza il giudice si riserva di riferire al collegio. La decisione è pronunciata con sentenza depositata entro 60 giorni dalla rimessione. La sentenza è impugnabile con appello.

Disciplina intertemporale

Il d.lgs. 149/2022 di riforma del processo civile non ha mutato la disciplina sostanziale del disconoscimento.

Sotto il profilo processuale la Corte di cassazione (Cass. 14556/2014) aveva affermato che, mentre la normativa sostanziale di cui all'art. 244 si applica a tutte le azioni sulla cui disciplina è intervenuta la riforma del 2013, anche se relative a figli nati prima dell'entrata in vigore di detta riforma (7 febbraio 2014), i nuovi termini di cui al quarto comma di tale disposizione operano solo per i figli già nati alla predetta data per i quali non sia stata già proposta l'azione di disconoscimento, fermi gli effetti del giudicato formatosi prima della l. 10 dicembre 2012, n. 219. In particolare, l'imprescrittibilità dell'azione del figlio si applica, per Cass. I, 5242/2019 e Cass. I, 14557/2014), anche ai giudizi già pendenti alla data di entrata in vigore delle norme di riforma, in quanto tale imprescrittibilità non è esclusa dalle disposizioni transitorie a proposito di tali giudizi. Si è, però, precisato che la decorrenza del nuovo termine quinquennale di proponibilità dell'azione (che si applica solo ai figli già nati al momento dell'entrata in vigore della riforma – 7 febbraio 2014 – per i quali non sia già stata proposta azione di disconoscimento) inizia dal giorno dell'entrata in vigore della nuova legge, con la conseguente considerazione che per i figli che siano già nati alla data del 7 febbraio 2014 il termine quinquennale di decadenza viene a scadere il 7 febbraio 2019 (Cass. I, n. 28999/2018).

Ai sensi dell'art. 35 d.lgs. n. 149/2022, di riforma del processo civile, le sue disposizioni processuali si applicano ai procedimenti instaurati dopo il 28 febbraio 2023; ai procedimenti pendenti in tale momento continuano ad applicarsi le norme ante vigenti. Le nuove norme si applicano alle impugnazioni proposte successivamente al 28 febbraio 2023.  

Bibliografia

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