Codice Civile art. 258 - Effetti del riconoscimento (1) (2).Effetti del riconoscimento (1) (2). [I]. Il riconoscimento produce effetti riguardo al genitore da cui fu fatto e riguardo ai parenti di esso (3). [II]. L'atto di riconoscimento di uno solo dei genitori non può contenere indicazioni relative all'altro genitore. Queste indicazioni, qualora siano state fatte, sono senza effetto. [III]. Il pubblico ufficiale che le riceve e l'ufficiale dello stato civile che le riproduce sui registri dello stato civile [449 ss.] sono puniti con l'ammenda (4) da 20 euro a 82 euro. Le indicazioni stesse devono essere cancellate. (1) L’art. 7, d.lg. 28 dicembre 2013, n. 154, ha sostituito il Titolo, modificando la rubrica del Titolo (la precedente era «Della filiazione»), e sostituendo le parole «Capo II. "Della filiazione naturale e della legittimazione"»; «Sezione I. "Della filiazione naturale» e la rubrica del paragrafo 1 «Del riconoscimento dei figli naturali» con le parole: «Capo IV. "Del riconoscimento dei figli nati fuori dal matrimonio"». (2) Articolo così sostituito dall'art. 108 l. 19 maggio 1975, n. 151. (3) Comma così sostituito dall'art. 1, l. 10 dicembre 2012, n. 219. Il testo precedente recitava: «Il riconoscimento non produce effetti che riguardo al genitore da cui fu fatto, salvo i casi previsti dalla legge». (4) Ora sanzione amministrativa, ai sensi dell'art. 32 l. 24 novembre 1981, n. 689. InquadramentoLa riforma della filiazione introdotta con la l. 10 dicembre 2012, n. 219 ha eliminato l'inciso «salvi i casi previsti dalla legge», con riferimento alla previsione di inefficacia del riconoscimento verso il genitore che non l'aveva effettuato, mentre ha aggiunto la previsione per cui il riconoscimento produce effetti riguardo al genitore che lo ha effettuato e ai parenti del medesimo, così uniformando la previsione relativa alla modifica dell'art. 74 c.c., per cui la parentela è il vincolo tra le persone che discendono dallo stesso stipite, nel caso di filiazione dentro o fuori dal matrimonio, ovvero di adozione. Trattasi di uno dei profili più rilevanti della riforma della filiazione di allora, con la quale fu superata una delle più odiose discriminazioni tra figli nati nel matrimonio o fuori dal matrimonio, per i quali erano preclusi i rapporti giuridici tra nonni e nipoti e anche tra fratelli (Dogliotti, 2015, 289; Sesta, 2013, 231). L'art. 74 c.c. esclude il sorgere del vincolo di parentela solo con riguardo all'adozione di figli maggiori di età. La ratio è evidente, atteso che, mentre l'adozione legittimante relativa ai minori mira all'attribuzione dello status di figlio, quella dei maggiorenni ha essenzialmente una funzione di trasmissione del patrimonio e del cognome. In epoca risalente, si era cercato di affermare la rilevanza giuridica della parentela naturale, al di là dei casi previsti dalla legge, pur se si trattava di tentativi, di matrice ideologica, che comunque convivevano con un dettato normativo chiaramente discriminatorio, sicché si riteneva preferibile sottolineare invece le contraddizioni della norma (Dogliotti, 2015, 290). L'ammenda per il pubblico ufficiale dello stato civile che diffonda informazioni sull'altro genitore è stata varie volte elevata e commutata in sanzione pecuniaria amministrativa (Figone e Vercellone, 1991, 585). La Corte costituzionale ha più volte affermato l'impossibilità di estendere, attraverso un mero giudizio di equivalenza tra le due situazioni, la disciplina prevista per la famiglia legittima alla convivenza di fatto, in quanto la convivenza more uxorio è un rapporto di fatto, privo dei caratteri di stabilità e certezza e della reciprocità e corrispettività dei diritti e dei doveri (...) che nascono soltanto dal matrimonio e sono propri della famiglia legittima (Corte cost. n. 2/1998. V. anche Corte cost. n. 281/1994; Corte cost. n. 237/1986 e Corte cost. n. 404/1988). La giurisprudenza costituzionale ha, in particolare, attribuito alla famiglia di fatto la natura di formazione sociale, ai sensi dell'art. 2 Cost., così distinguendola dalla famiglia fondata sul matrimonio di cui all'art. 29 Cost. Pur affermando importanti principi ed eliminando antistoriche discriminazioni, la nuova legge dunque non può fare a meno di mantenere una diversificazione, perlomeno sul piano genetico, con riflessi sul versante processuale, tra il rapporto di filiazione nel matrimonio e il rapporto di filiazione al di fuori del vincolo matrimoniale. Riconoscimento e adozioneL'art. 74 c.c., prevedendo l'estensione della propria portata all'adozione, con esclusione espressa di quella relativa ai maggiori di età, non fa riferimento alle ipotesi di adozione in casi particolari di cui all'art. 44 l. 4 maggio 1983, n. 184, rispetto alla quale vi è un contrasto interpretativo con riferimento all'estensione alla medesima della citata clausola di esclusione. Alcuni commentatori propendono per l'interpretazione estensiva, ritenendo assimilabile l'esclusione prevista per l'adozione dei maggiorenni, anche all'adozione in casi particolari. Infatti, l'art. 55, l. 4 maggio 1983, n. 184, nel delineare la condizione giuridica del soggetto adottato ex art. 44, richiama proprio le disposizioni in materia di adozione del maggiorenne e, in particolare, l'art. 300 c.c., che espressamente stabilisce che l'adottato conserva tutti i diritti e i doveri verso la sua famiglia di origine, salve le eccezioni stabilite dalla legge. In particolare, qualche Autore (Figone, 2014, 6) esclude che si possa ipotizzare l'estensione del principio di cui al novellato art. 74 c.c. al caso previsto dall'art. 44 lett. b), l. 4 maggio 1983, n. 184, di adozione da parte del coniuge nel caso in cui il minore sia figlio adottivo dell'altro coniuge, perché vi sarebbe altrimenti una moltiplicazione di rapporti familiari. Tale dottrina ritiene, dunque, che l'adozione in casi particolari non costituisca un vero e proprio rapporto di filiazione, e che quindi non attribuisca lo status di figlio, ma, pur essendo predisposta per offrire al minore un ambiente familiare idoneo, si conformi sullo statuto dell'adozione del maggiore d'età, alla quale — quanto agli effetti — è stata assimilata. Ne consegue che la condizione del figlio adottato nei casi particolari si differenzia radicalmente da quella del soggetto adottato ex art. 6 l. 4 maggio 1983, n. 184, principalmente per il fatto che in capo a quest'ultimo si recide ogni vincolo con la famiglia d'origine, vincolo che invece permane integro nella fattispecie regolata dall'art. 44 della stessa legge. Alla luce di quanto precede, secondo tale interpretazione, ancorché la nuova disposizione preveda espressamente l'esclusione del vincolo di parentela solo con riguardo agli adottati maggiori di età, appare necessario procedere a un'interpretazione estensiva del testo della legge, stante la sostanziale identità, quanto agli effetti, della disciplina tra adozione dei maggiorenni e adozione in casi particolari. Si argomenta che la contraria soluzione comporterebbe l'abrogazione del combinato disposto dell'art. 55, l. 4 maggio 1983, n. 184 e delle norme del codice civile da esso richiamate, abrogazione di cui non vi è traccia nella legge che, se così interpretata, finirebbe per stravolgere gli effetti dell'adozione in casi particolari, che sarebbe sostanzialmente equiparata a quella ordinaria L'interpretazione di carattere evolutivo muove comunque dal dato testuale per cui la clausola di esclusione fa riferimento alla sola adozione dei maggiorenni, senza menzionare la fattispecie dell'adozione in casi particolari, che pare dunque refluire nella portata del principio generale della parentela di cui all'art. 74 c.c. Tale interpretazione appare maggiormente conforme al principio di parificazione degli status di filiazione, con particolare riferimento alla fattispecie di cui all'art. 44 lett. d), l. 4 maggio 1983, n. 184, relativa ai casi di impossibilità di procedere ad affidamento preadottivo, in cui l'obiettivo principale è proprio quello di attribuire al minore una nuova famiglia, pur senza recidere i rapporti con la sua famiglia di origine (Montaruli, 2016, 211, Morozzo della Rocca, 2013, 838, secondo cui l'unitario status della filiazione si estende anche all'adozione in casi particolari). Gli effetti successori del riconoscimentoQuanto ai riflessi successori, non vi è dubbio che in virtù del rapporto di parentela che s'instaura tra il figlio, anche di genitori non coniugati, e i relativi consanguinei, egli, diversamente da quanto accadeva sinora, è chiamato a pieno titolo alla successione legittima sulla base degli artt. 565 c.c. ss. Inoltre, con riguardo alla successione necessaria, deve ritenersi che tra i legittimari di cui all'art. 536 c.c., vadano inclusi anche gli ascendenti naturali, con abrogazione dell'art. 538 c.c. nella parte in cui li escludeva dalla quota di riserva ivi contemplata. Così dev'essere pure interpretato l'art. 571 c.c., che includerà anche i fratelli e sorelle naturali, in precedenza esclusi dalla successione, nonché l'art. 572 c.c., che fa riferimento a quei parenti collaterali che sino ad ora non erano tali, in rapporto ai figli nati fuori dal matrimonio. Risulta, peraltro, abrogato l'istituto della commutazione previsto dall'articolo 537, comma 3 c.c. Inoltre, l'art. 2, lett. f), aveva incaricato il Governo di assicurare «l'adeguamento della disciplina delle successioni e delle donazioni al principio di unicità dello stato di figlio, prevedendo, anche in relazione ai giudizi pendenti, una disciplina che assicuri la produzione degli effetti successori riguardo ai parenti, anche per gli aventi causa del figlio naturale premorto o deceduto nelle more del riconoscimento...». Tale norma ha imposto al legislatore delegato l'adeguamento della disciplina in materia successoria, limitatamente alle successioni aperte dopo il gennaio 2013. Tale principio è stato attuato con la disciplina transitoria di cui all'art. 104 d.lgs. 28 dicembre 2014, n. 153, ai sensi del quale, fermi gli effetti del giudicato formatosi prima dell'entrata in vigore della legge 10 dicembre 2012, n. 219, sono legittimati a proporre azioni di petizione di eredità, ai sensi dell'art. 533 c.c., coloro che, in applicazione dell'art. 74 c.c., come modificato dalla medesima legge, hanno titolo a chiedere il riconoscimento della qualità di erede, e con gli stessi limiti, possono essere fatti valere i diritti successori che discendono dall'articolo 74 c.c., come modificato dalla medesima legge. Anche sotto questo profilo, la riforma ha attribuito pieno rilievo alla cosiddetta parentela naturale, mentre in precedenza essa aveva rilievo soltanto a fini molto limitati, con riferimento all'incapacità a contrarre matrimonio, e alla disciplina degli alimenti. È di recente intervenuta l'importante sentenza della Corte cost. n. 146/2015, relativa ad una fattispecie in cui era stata proposta un'azione di petizione di eredità, per una successione apertasi anteriormente all'entrata in vigore dell'anzidetto decreto legislativo, per la quale detta azione era stata già proposta a quella data, che ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 104, commi 2 e 3, d.lgs. 28 dicembre 2013, n. 154 in riferimento agli artt. 2,3 e 76 Cost., del quale il giudice remittente sospettava l'incostituzionalità nella parte in cui estende, con efficacia retroattiva, gli effetti successori della parentela naturale, di cui al novellato art. 74 c.c., a successioni apertesi anteriormente alla indicata data del 1° gennaio 2013 ed oggetto di giudizi pendenti al momento dell'entrata in vigore del predetto decreto legislativo. La Consulta ha dichiarato l'infondatezza della questione, sotto un duplice profilo. Ha ritenuto insussistente la violazione del principio di cui all'art. 76 Cost., argomentando che l'applicabilità retroattiva, ai giudizi pendenti, del novellato art. 74 c. c. - introdotta dall'art. 104, commi 2 e 3, del d.lgs. 28 dicembre 2013, n. 154 — riflette una scelta del legislatore delegato compatibile con la ratio della delega (subart. 2, comma 1, lettera l, della l. 10 dicembre 2012, n. 219) e in linea con i criteri direttivi della stessa; tra i quali vi è, infatti, l'espressa previsione che l'obiettivo dell' «adeguamento della disciplina delle successioni e delle donazioni al principio di unicità dello stato di figlio» si realizzi assicurando appunto, «anche in relazione ai giudizi pendenti», una disciplina che consenta la produzione degli effetti successori riguardo ai parenti anche per gli aventi causa del figlio naturale premorto o deceduto nelle more del riconoscimento e conseguentemente l'estensione delle azioni di petizione di cui agli artt. 533 e seguenti c.c. Ha, inoltre, disatteso il sospetto di violazione degli artt. 2 e 3 Cost., in quanto nella fattispecie, la retroattività trova giustificazione nell'esigenza di tutela di un valore di rilievo costituzionale — quello della completa parificazione dei figli naturali ai figli nati all'interno del matrimonio — specificamente riconducibile all'art. 30, 1° comma, Cost.: «un valore coerente anche al bene della vita familiare, di cui all'art. 8 della CEDU, firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848, come interpretato dalla Corte EDU, nel senso della sua tutelabilità anche con riguardo alla famiglia costruita fuori dal matrimonio (sentenza Corte EDU 13 giugno 1979, Marckx contro Belgio, e successive conformi)». Può in proposito richiamarsi anche la sentenza della Grande Camera del 7 febbraio 2013, nel caso Fabris contro Francia (ricorso n. 16574/08), in cui la Corte EDU ha ritenuto ingiustificato e discriminatorio il rifiuto di concedere diritti di successione a un figlio adulterino, ravvisando violazione dell'articolo 14 (divieto di discriminazione) in combinato disposto con l'articolo 1 del Protocollo n ° 1 (protezione della proprietà). Il problema in particolare riguardava l'impossibilità di beneficiare della parificazione stabilita tra figli legittimi e adulterini dalla legge nazionale del 2001, in ragione dell'irretroattività della stessa e della sua applicabilità solo alle divisioni successive alla sua entrata in vigore. La Corte EDU ha ritenuto legittimo lo scopo perseguito dal legislatore di salvaguardare i diritti acquisiti dagli eredi al momento dell'entrata in vigore delle nuove disposizioni, ma ha ritenuto non proporzionata la discriminazione, nei casi, come quello di specie, in cui gli eredi erano a conoscenza delle pretese, pendenti giudizialmente al tempo di entrata in vigore delle nuove disposizioni, di altri figli adulterini. Cfr. in giurisprudenza di merito, Trib. Messina 6 settembre 2016, con nota di Cocuccio, 2017, 116, che ha opinato che, se un soggetto che è stato riconosciuto figlio naturale dalla madre e poi dal padre, già adottante, muore senza lasciare né coniuge, né prole, né genitori, né ascendenti, né fratelli e sorelle o loro discendenti, la successione si apre a favore dei parenti prossimi (entro il sesto grado) sia in linea materna che in linea paterna . A tale decisione si è potuti pervenire grazie al combinato disposto degli artt. 74 e 258 c.c., quali risultano dalle incisive modifiche apportate dalla l. 10 dicembre 2012, n. 219. Infatti al testo originario dell'art. 74 c.c. che si limitava a definire la parentela «Il vincolo tra le persone che discendono dallo stesso stipite» sono state aggiunte queste parole: «... sia nel caso in cui la filiazione è avvenuta all'interno del matrimonio, sia nel caso in cui è avvenuta al di fuori di esso, sia nel caso in cui il figlio è adottato. Il vincolo di parentela non sorge nei casi di adozione di maggiori di età di cui all'art. 291 e seguenti» (art. 1, comma 1, l. 219/2012). Quanto poi all'art. 258 c.c., che concepiva il riconoscimento del figlio naturale come un rapporto “chiuso”, nel senso che esso “non produce effetto che riguardo al genitore da cui fu fatto”, ecco il nuovo testo, quale risulta dall'aggiunta introdotta dalla legge 10 dicembre 2012 n. 219 (art. 1, comma 4): “Il riconoscimento produce effetti riguardo al genitore da cui fu fatto e riguardo ai parenti di esso” Limiti di efficacia dell'atto di riconoscimentoL'atto di riconoscimento viene iscritto nel registro delle nascite se è ricevuto dallo stesso ufficiale dello stato civile, oppure viene trascritto nello stesso registro, se è ricevuto da altro pubblico ufficiale competente ed è stato trasmesso all'ufficiale dello stato civile, e in ogni caso viene trascritto nell'atto di nascita (artt. 28,46 e 49 d.P.R. 3 novembre 2000, n. 396). La norma dispone che il riconoscimento effettuato da uno dei genitori non possa contenere indicazioni relative all'altro genitore. Secondo parte della dottrina, tale esclusione è conseguenza del principio di volontarietà del riconoscimento, sicché esso può produrre effetti soltanto rispetto a chi lo ha espresso (Majello, 1982,114), mentre secondo altra interpretazione la ratio di questo divieto è quella di tutelare il diritto al riserbo del genitore che non voglia effettuare il riconoscimento (Sesta, 2013, 301). Le indicazioni relative all'altro genitore, effettuate in violazione del divieto, devono essere cancellate d'ufficio dall'ufficiale dello stato civile. L'omessa cancellazione da parte dell'ufficiale dello stato civile, oltre a integrare gli estremi del reato di cui all'art. 328 c.c., giustifica anche l'attivazione di un procedimento d'identificazione, al fine di ottenere la cancellazione delle indicazioni vietate (Majello, 1982,173). 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