Codice Civile art. 337 septies - Disposizioni in favore dei figli maggiorenni (1).Disposizioni in favore dei figli maggiorenni (1). [I]. Il giudice, valutate le circostanze, può disporre in favore dei figli maggiorenni non indipendenti economicamente il pagamento di un assegno periodico. Tale assegno, salvo diversa determinazione del giudice, è versato direttamente all'avente diritto. [II]. Ai figli maggiorenni portatori di handicap grave si applicano integralmente le disposizioni previste in favore dei figli minori. (1) Articolo inserito dall'art. 55, d.lg. 28 dicembre 2013, n. 154. Ai sensi dell’art. 108, d.lg. n. 154 del 2013, la modifica è entrata in vigore a partire dal 7 febbraio 2014. InquadramentoIl diritto al mantenimento costituisce il risvolto patrimoniale del più generale obbligo di cura del minore e si traduce nel sostenere le spese relative ad ogni necessità del figlio (Al Mureden-Sesta, 1152). Esso designa il diritto del figlio all'assistenza materiale, cioè a ricevere quanto occorra per le normali esigenze di vita e di crescita (Bianca, 2014, 332) ed insieme agli altri obblighi gravanti sul genitore riveste carattere non patrimoniale, mentre le singole componenti a questi riconducibili sono caratterizzate dalla patrimonialità propria del rapporto obbligatorio (Achille, 601; circa la riconducibilità del dovere di mantenimento alla responsabilità genitoriale si vedano: Bianca, 2014, 343; Rossi Carleo, 1264; contraDe Cristofaro, 981, Bucciante, 594). Al diritto del figlio di essere mantenuto corrisponde il dovere di ciascun genitore di adempiere agli obblighi nei confronti dei figli secondo quanto prevede l'art. 316 bis c.c., cioè dal momento delle nascita ed in proporzione alle rispettive sostanze. Esso peraltro non cessa con il mero raggiungimento della maggiore età del figlio. Com'è noto nessuna disposizione della Carta Costituzionale e del codice civile aveva previsto, così come non prevede tuttora, un limite temporale al diritto di essere mantenuto del figlio ed al corrispondente dovere del genitore. In particolare i doveri di cui ai previgenti artt. 147 c.c., 148 c.c., e 155 c.c., si riferivano al figlio senza ulteriori specificazioni in forza delle quali si potesse ritenere che l'obbligo di mantenere la prole fosse circoscritto solo al minore di età. Muovendo dal contenuto delle citate norme la dottrina aveva quindi ritenuto che al figlio maggiorenne economicamente non autosufficiente spettasse il diritto di essere mantenuto dai genitori fino al raggiungimento della indipendenza economica (sul punto Auletta, 741). Nella medesima ottica si era collocata la giurisprudenza di legittimità che aveva in più occasioni affermato che l'obbligo di mantenere il figlio non cessasse automaticamente con il compimento della maggiore età ma solo con il raggiungimento della indipendenza economica ovvero in caso di colpevole inerzia del figlio (ex multis: Cass. I, n. 2289/2001; Cass. I, n. 1353/1999; Cass. I, n. 5215/1994; Cass. I, n. 6774/1990). Sicché, si riteneva che il coniuge separato o divorziato, già affidatario, fosse legittimato, iure proprio ad ottenere dall'altro coniuge un contributo per il mantenimento del figlio maggiorenne (in merito Cass. I, n. 1353/1999). Successivamente è intervenuta la l. n. 56/2006, che introducendo l'art. 155-quinquies c.c., ha sancito espressamente il diritto del figlio ad essere mantenuto e, quindi, il diritto alla corresponsione di un assegno periodico da versarsi all'avente diritto, salva diversa determinazione del Giudice. Da ultimo il d.lgs. n. 154/2013 ha introdotto l'art. 337-septies c.c., ribadendo quanto già previsto dal citato art. 155-quinquies c.c. La norma in commento difatti riproduce il contenuto dell'art. 155-quinquies c.c., così confermando il diritto del figlio divenuto maggiorenne ad essere mantenuto da entrambi i genitori fino al raggiungimento dell'indipendenza economica. L'assegno di mantenimentoCome già emerge dall'inquadramento di cui innanzi, ciascun genitore deve quindi, in forza delle disposizione in commento, adempiere l'obbligo di mantenimento nei confronti dei figli, in proporzione alle rispettive sostanze, dal momento della nascita e fino al raggiungimento dell'indipendenza economica del figlio. Quanto all'entità del contributo al mantenimento del figlio, esso è determinato dal tenore di vita della famiglia e dal patrimonio dei genitori ed è funzionale al soddisfacimento delle esigenze primarie, e non solo, del figlio. Divenuto maggiorenne quest'ultimo, difatti, deve essere sostenuto dai genitori per realizzare le proprie aspirazioni, anche al fine di divenire indipendente economicamente, necessitando quindi di essere mantenuto da entrambi i genitori durante il percorso formativo che lo porterà al raggiungimento di una propria posizione economica. Si pensi, a titolo esemplificativo, alle spese che devono essere sostenute nell'interesse del figlio maggiorenne studente universitario ed a quelle relative alla partecipazione a corsi professionali. I genitori sono tenuti ad adempiere a quanto innanzi, secondo quanto prevede l'art. 316-bis c.c., secondo le rispettive sostanze e tenendo conto anche capacità di lavoro professionale o casalingo di ciascuno. Tutti questi elementi, quindi, concorrono alla determinazione dell'entità dell'assegno, unitamente alle specifiche necessità del figlio maggiorenne (delle sue aspirazioni di studio o lavorative). Deve chiedersi se l'assegno, oltre ad essere tale da consentire al figlio di poter divenire indipendente, debba altresì consentirgli di godere dello stesso tenore di vita avuto in precedenza. Il problema si pone, in particolare, nel caso in cui il figlio abbia goduto di un tenore di vita particolarmente elevato. In merito autorevole dottrina esclude tale automatismo, atteso che nella determinazione dell'assegno deve essere oggetto di valutazione anche l'incidenza negativa del lusso sull'educazione del minore (Bianca, 2006, 679). Sempre in merito alla portata de mantenimento (quale diritto del figlio ed «obbligo» dei genitori) la Corte di Cassazione ha affermato, in una fattispecie relativa alla cessazione della attribuzione dell'assegno di mantenimento, che «l'obbligo di mantenimento» quale che sia l'ampiezza del suo contenuto, è inteso a consentire al figlio di raggiungere la migliore formazione professionale possibile perché ciò gli permette (tra l'altro) di percepire un reddito ad essa adeguato. Al raggiungimento del detto scopo, quindi, l'obbligo non può che cessare, perché è venuto meno il suo fondamento. Premesso ciò, è stato in particolare chiarito che determina autosufficienza economica del figlio maggiorenne, con conseguente cessazione dell'obbligo di mantenimento dello stesso da parte del genitore-coniuge non affidatario ed in regime di separazione, la percezione di un reddito corrispondente, secondo le condizioni normali e concrete di mercato, all'acquisita professionalità, quale che sia, non potendo rilevare, in senso contrario, il tenore di vita del quale il figlio stesso aveva goduto in costanza di matrimonio o durante la separazione dei genitori (Cass. I, n. 496/1996). Per converso, sempre che non vi sia autosufficienza economica, nel caso di divorzio, ai fini della determinazione dell'assegno, rileva il tenore di vita del quale avrebbero goduto il figli nel caso in cui non si fosse verificata la disgregazione del nucleo familiare. Sicché, non è affatto indifferente il variare delle condizioni reddituali e patrimoniali dei coniugi, poiché a queste l'assegno va direttamente ragguagliato, al fine di assicurare il detto tenore di vita, in quanto per la determinazione del contributo al mantenimento dei figli il criterio di riferimento è quello della proporzione rispetto alle rispettive sostanze e secondo la capacità di lavoro professionale o casalingo (Cass. I, n. 6215/1994). Nello stesso senso, nello stabilire l'ammontare dell'assegno di mantenimento dei figli minori in favore del coniuge (separato o divorziato) affidatario — che ha lo scopo di assicurare ai figli, per quanto possibile, anche in regime di separazione, un tenore di vita proporzionato alle possibilità economiche della famiglia — il giudice deve tenere presente non le sole esigenze di mantenimento e di istruzione del minore ma anche il reddito dei genitori, ancorché in relazione alle maggiori spese derivanti a ciascuno di essi dalla separazione (Cass. I, n. 2993/1997). Ai fini della determinazione dell'assegno, diversamente, non rileva “l'interesse morale”, come chiarito da Cass. I, n. 2020/2021, essendo un canone estraneo alla previsione di cui all'art. 337-ter, comma 4, c.c., ed assumendo rilievo esclusivamente quale fine destinato ad ispirare l'esercizio della responsabilità genitoriale e i relativi provvedimenti giudiziali. Sicchè esso non può porsi a fondamento di una domanda di riduzione dell'assegno ( nella specie divorzile di cui era stato gravato in favore dei figli). Circa le modalità attraverso le quali realizzare il mantenimento del figlio, salvo diversa determinazione del Giudice, rileva la corresponsione di un assegno periodico da versarsi direttamente all'avente diritto. Già con riferimento al previgente art. 155-quinquies c.c., è stato ritenuto che la formulazione della norma (riprodotta nell'art. 337-septies c.c.) non comporta alcun obbligo per il giudice di disporre che la contribuzione in esame si realizzi mediante la corresponsione diretta dell'assegno di mantenimento al figlio maggiorenne, non autosufficiente economicamente, trattandosi di valutazione da effettuarsi alla stregua della situazione concreta, dunque caso per caso (Cass. VI-I, n. 20408/2011; sul punto si veda anche Cass. I, n. 11829/2009). Ne consegue che, in ipotesi, il Giudice potrebbe anche disporre l'obbligo di contribuzione diretto a carico del genitore, ove lo ritenga funzionale al conseguimento degli interessi del figlio. Si pensi al caso in cui quest'ultimo sia persona prodiga o tossicodipendente, salve le ipotesi più gravi di persona incapace, nel qual caso potranno trovare applicazione le disposizioni in tema di interdizione, inabilitazione o amministrazione di sostegno. In merito alla natura della prestazione gravante sul genitore è stato da tempo chiarito che essa è essenzialmente alimentare con la conseguenza che la normale retroattività della statuizione giudiziale di riduzione al momento della domanda deve essere contemperata con il principio di irripetibilità, impignorabilità e non compensabilità di dette prestazioni. Sicché, la parte che abbia già ricevuto, per ogni singolo periodo, le prestazioni previste nella sentenza non può essere costretta a restituirle (Cass.VI-I, n. 13609/2016; in merito già Cass.I, n. 28987/2008). Cass. I, n. 11489/2014, ha poi specificato che l'irripetibilità delle somme versate dal genitore obbligato a quello beneficiario, nelle more della definizione del procedimento di revisione delle condizioni di divorzio ed in ragione della sopravvenuta indipendenza economica dei figli maggiorenni, si giustifica solo ove gli importi riscossi abbiano assunto una concreta funzione alimentare, che non ricorre ove ne abbiano beneficiato soggetti autosufficienti in un periodo, in cui, stante la pendenza della controversia, era noto il rischio restitutorio nel periodo intercorrente tra la data della domanda di revisione delle condizioni di divorzio e quella del suo accoglimento, restitutorio. La legittimazione a chiedere l'assegnoÈ controverso chi sia il soggetto legittimato a richiedere l'assegno; in particolare si discute se sussista una legittimazione esclusiva del figlio o se sussista una legittimazione concorrente in capo al genitore convivente. Il problema è già stato posto sotto la vigenza dell'art. 155-quinquies c.c. ed in merito in dottrina è stato sostenuto sia che con l'introduzione della citata disposizione sia stato escluso il diritto del genitore di chiedere l'assegno di mantenimento per il figlio convivente non autosufficiente, sia la persistente concorrente legittimazione del genitore convivente (in merito per la prima tesi Auletta, 747; per la seconda si veda Quadri, 411). Taluni, peraltro, evidenziano con riferimento all'art. 337-septies c.c., che la preferenza accordata dall'ordinamento al mantenimento diretto molto dovrebbe stemperare la questione dell'individuazione del soggetto legittimato a richiedere l'assegno, nell'ipotesi in cui invece si opti per un meccanismo di contribuzione indiretta. L'art. 337-septies c.c. (come già l'art. 155-quinquies c.c.) stabilisce, infatti, che l'assegno è versato all'avente diritto, cioè al figlio maggiorenne ritenuto, pertanto, unico soggetto legittimato a chiedere il versamento dell'assegno (in questo senso ampiamente Morace Pinelli, 859). La giurisprudenza di legittimità, diversamente dalla tesi da ultimo prospettata, ritiene che sussista una legittimazione concorrente del figlio e del genitore convivente e specifica che la legittimazione esclusiva spetti al figlio solo nel caso in cui egli non conviva più con alcun genitore (Cass.I, n. 8007/2005; Cass. I, n. 9067/2005; Cass. I, n. 5857/2002, in Giust. civ., 2002, I, 1805, con nota di Frezza, Casa familiare e figli maggiorenni, tra convivenza e mantenimento). In proposito, Cass. I, n. 18869/2014, peraltro confermando il proprio orientamento, chiarisce che il genitore, già affidatario del figlio minorenne, convivente con il figlio maggiorenne non economicamente autosufficiente, è legittimato ad agire iure proprio ad ottenere dall'altro coniuge un contributo al mantenimento del figlio, con la conseguenza che «ciascuna legittimazione è concorrente con l'altra, senza, tuttavia, che possa ravvisarsi un'ipotesi di solidarietà attiva» (nello stesso senso si vedano altresì Cass. III, n. 13184/2011, e Cass. I, n. 21437/2007). Esistono difatti due diverse posizioni giuridiche meritevoli di tutela: quella del genitore convivente, diretta ad ottenere dall'altro l'attribuzione di un assegno di contribuzione, sulla base delle immutate norme contenute negli artt. 147 e 148 c.c., al fine di assolvere compiutamente i propri doveri senza dover anticipare la quota gravante sull'altro coniuge, e quella del figlio avente diritto al mantenimento (Cass. I, 4296/2012, con nota di De Marzo, in Foro it., 2012, I, 1389). Sicché la legittimazione "iure proprio" del genitore, qualora il figlio maggiorenne non ancora autosufficiente economicamente non abbia formulato autonoma richiesta giudiziale, sussiste quand'anche costui si allontani per motivi di studio dalla casa genitoriale, qualora detto luogo rimanga in concreto un punto di riferimento stabile al quale fare sistematico ritorno e sempre che il genitore anzidetto sia quello che, pur in assenza di coabitazione abituale o prevalente, provveda materialmente alle esigenze del figlio, anticipando ogni esborso necessario per il suo sostentamento presso la sede di studio (Cass, I, n. 29977/2020). Il riconoscimento di una legittimazione concorrente comporta altresì che il genitore, tenuto al versamento dell'assegno in favore del figlio maggiorenne non economicamente autosufficiente, non possa pretendere, in mancanza di specifica domanda del figlio, di assolvere la propria prestazione nei confronti di quest'ultimo anziché del genitore istante. Difatti, come specificato anche da Cass. I, n. 25300/2013, ancorché con riferimento al previgente art. 155-quinquies c.c., anche a seguito dell'introduzione della testé citata norma, sia il figlio, in quanto titolare del mantenimento, sia il genitore con lui convivente, in quanto titolare del diritto a ricevere il contributo dell'altro genitore alle spese necessarie per tale mantenimento, cui materialmente provvede, sono titolari di diritti autonomi, sicché sono entrambi legittimati a percepire l'assegno dall'obbligato (sul punto si vedano altresì le conformi Cass. I, n. 24316/2013; Cass. I, n. 4296/2012; Cass. n. 6950/1998, contenente analogo principio sebbene con riferimento alla normativa ante 2006). In considerazione della particolare condizione del figlio maggiorenne (che non necessariamente abbisogna di mantenimento da parte del genitore) la giurisprudenza di legittimità ritiene inoltre che il Giudice possa provvedere in merito al mantenimento solo in presenza di specifica domanda, diversamente da quanto avviene per il figlio minorenne, e non d'ufficio (Cass. I, n. 10780/1996). L'intervento nel giudizio di separazione e di divorzioIl figlio maggiorenne ha diritto ad essere mantenuto fintanto che non diviene economicamente autosufficiente, così ponendosi il problema di stabilire se egli possa intervenire nel giudizio di separazione o divorzio per chiedere il riconoscimento del predetto diritto. In dottrina si registrano due diversi orientamenti: uno che ritiene inammissibile l'intervento nel giudizio di separazione e divorzio, in forza del carattere personalissimo dell'azione, e l'altro che, invece, in forza della legittimazione del figlio a chiedere l'assegno di mantenimento, ritiene l'intervento ammissibile e, secondo alcuni autori, anche necessario (contrario all'intervento è Sesta, 386; in senso favorevole si esprimono invece Finocchiaro, 42, e Graziosi, 586; mentre critico è Morace Pinelli, 868; Il detto intervento altre che ammesso è ritenuto anche necessario, compresa la possibilità per il figlio di agire in giudizio, Danovi, 2007, 1912; in merito si veda anche Dogliotti-Figone, 112). Diversamente dalla dottrina, la giurisprudenza di legittimità, senza sostanziali contrasti, ha risolto positivamente il quesito, ritenendo il figlio maggiorenne non economicamente autosufficiente legittimato ad intervenire nel giudizio di separazione e divorzio ex art. 105 c.p.c., attesa la coesistenza di due posizioni giuridiche, del figlio e del genitore con lui convivente, meritevoli di tutela. Prima dell'introduzione nell'ordinamento della norma contenuta nell'art. 155-ter c.c., la giurisprudenza di legittimità aveva affermato la legittimazione del coniuge separato o divorziato, già affidatario del figlio minorenne, anche dopo il compimento da parte del figlio della maggiore età, ad ottenere dall'altro coniuge un contributo al mantenimento del figlio convivente (in merito: Cass. I, n. 11320/2005, in tema di necessità del requisito della coabitazione, e Cass. I, n. 2289/2001). Nel passato si è ritenuto in particolare che il genitore convivente potesse agire iure proprio, purché persistesse la convivenza ed il figlio, maggiorenne economicamente non autosufficiente, non avesse avanzato autonoma richiesta (Cass. I, n. 11320/2005). Al contempo si era affermato che il figlio, in quanto titolare del diritto ad essere mantenuto, fosse legittimato ad agire per il riconoscimento del mantenimento. In seguito alla introduzione del previgente art. 155-quinquies c.c. la Suprema Corte ha ritenuto ammissibile l'intervento del figlio ex art. 105 c.p.c., partendo dal presupposto che nell'ambito della disciplina del mantenimento in esame coesistano due posizioni giuridiche meritevoli di tutela. Da una parte, in particolare, vi è la posizione giuridica del genitore convivente, diretta ad ottenere dall'altro l'attribuzione di un assegno di contribuzione, e dall'altra, quella del figlio, avente diritto al mantenimento «ed anzi legittimato in via prioritaria ad ottenere il versamento diretto del contributo». Per la Cass. I, n. 14177/2011, nel dettaglio, trattasi, in entrambi i casi, di situazioni soggettive comportanti la legittimazione ad agire, posto che essa costituisce una condizione dell'azione diretta all'ottenimento, ad opera del giudice, di una qualsiasi decisione di merito, la cui esistenza è da riscontrare esclusivamente alla stregua della fattispecie giuridica prospettata dall'azione, prescindendo, quindi, dalla effettiva titolarità del rapporto dedotto in causa che si riferisce al merito della stessa, investendo i concreti requisiti di accoglibilità della domanda e, perciò, la sua fondatezza (nello stesso senso si vada altresì Cass.I, n. 4296/2012, in Corr. giur., 2012, 792, con nota di Danovi). Può verificarsi, peraltro, che il figlio raggiunga la maggiore età nel corso del giudizio di separazione e che non sia per quella data economicamente autosufficiente. In tal caso egli può intervenire nel giudizio e chiedere che gli venga attribuito un assegno a titolo di contributo al mantenimento da porsi a carico dei genitori secondo le modalità di cui all'art. 316-bis c.c. Sul punto rileva Sez. I, n. 21819/2021 la quale afferma che nel giudizio di separazione o di divorzio, in cui il genitore convivente con il figlio maggiorenne agisca per ottenere il rimborso di quanto versato per il mantenimento di questi ovvero la determinazione del contributo per il futuro, è ammissibile l'intervento anche del predetto figlio, per far valere un diritto relativo all'oggetto della controversia o eventualmente in via adesiva, trattandosi di posizioni giuridiche meritevoli di tutela ed intimamente connesse, che comportano la legittimazione ad agire, la cui esistenza è da riscontrare esclusivamente alla stregua della fattispecie giuridica prospettata dall'azione, prescindendo dalla effettiva titolarità del rapporto dedotto in causa; inoltre, detto intervento assolve, altresì, ad un'opportuna funzione di ampliamento del contraddittorio, consentendo al giudice di provvedere in merito all'entità del versamento, anche in forma ripartita, del contributo al mantenimento. Peraltro, in relazione al giudizio di modifica delle condizioni di divorzio, il figlio maggiorenne che assuma di non essere economicamente autosufficiente ha interesse a sostenere le ragioni del genitore assegnatario della casa coniugale, nei cui confronti sia formulata domanda di revoca dell'assegnazione, tuttavia il suo intervento costituisce un intervento adesivo dipendente, perché il genitore con lui convivente acquista, per effetto dell'assegnazione, un diritto personale di godimento, sia pure funzionale all'interesse del figlio. Ne consegue che il figlio, anche se può partecipare al giudizio, non può proporre autonomo reclamo contro il provvedimento di accoglimento della domanda di revoca dell'assegnazione (Cass. I, 2344/2023). La cessazione dell'obbligo di mantenimento del figlio maggiorenneIl genitore è tenuto a mantenere il figlio maggiorenne fino a che questi non abbia raggiunto la propria indipendenza economica e sia quindi in grado di provvedere al soddisfacimento delle proprie necessità. Nel caso di raggiungimento di essa, il genitore, tenuto a contribuire al mantenimento, può quindi rivolgersi all'autorità giudiziaria per ottenere la modifica delle condizioni di separazione, di divorzio, ovvero la revoca del decreto pronunciato ai sensi dell'art. 316-bis c.c. La cessazione dell'obbligo di mantenimento dei figli maggiorenni non autosufficienti deve essere fondata su un accertamento di fatto che abbia riguardo all'età, all'effettivo conseguimento di un livello di competenza professionale e tecnica, all'impegno rivolto verso la ricerca di un'occupazione lavorativa nonché, in particolare, alla complessiva condotta personale tenuta (Cass. I, n. 12952/2016, in Foro it., 2016, I, 2741, con nota di Casaburi, Matrimonio, convivenze, unioni civili e famiglia di fatto, divorzio, figlio maggiorenne, mantenimento). La casistica giurisprudenziale sul punto è varia. La Cass. VI-I, n. 6509/2017, nel ribadire che l'obbligo di mantenimento cessa con il raggiungimento dell'indipendenza economica, ha escluso che l'avvenuto abbandono dell'occupazione lavorativa da parte del figlio o le sue mutate condizioni psichiche possano determinare la reviviscenza dell'assegno di mantenimento (in si veda anche Cass. I, n. 1761/2008, espressamente richiamata anche dalla citata Cass. VI-I, n. 6509/2017). Nel caso in cui il figlio sia occupato come apprendista è stato escluso in venir meno dell'obbligo contributo poiché il contenuto dello speciale rapporto di apprendistato si distingue da un ordinario rapporto di lavoro subordinato, soprattutto in tema di retribuzione. La cessazione dell'obbligo contributivo, nel caso in cui il figlio abbia trovato un occupazione lavorativa, può invece discendere dalla percezione di un reddito tale, anche per durata ed entità, da garantire l'indipendenza economica (Cass. I, n. 407/2007). Sicché, il conseguimento di una borsa di studio di 800,00 euro mensili è stata ritenuta nella specie non idonea a determinare la cessazione dell'obbligo di contribuzione, in quanto intrinsecamente temporanea e di modesto importo in «rapporto alle incrementate, presumibili necessità, anche scientifiche, del beneficiario» (Cass. VI-I, n. 2171/2002). Per converso, Cass. I, n. 18974/2013, ha ritenuto raggiunta l'indipendenza economica in caso di percezione di retribuzione da parte di medico specializzando. Trib. Milano, 29 marzo 2016 (in il caso.it) ha inoltre cercato di individuare un'età oltre la quale possa dirsi r agionevole che il diritto al mantenimento del figlio «adulto» cessi , con eventuale insorgenza di quello alimentare di cui all'art. 433 c.c. è stato nel dettaglio affermato che il figlio maggiorenne non possa pretendere la protrazione dell'obbligo al mantenimento oltre ragionevoli limiti di tempo e di misura, in quanto il corrispondente obbligo gravante in capo ai genitori si giustifica nei limiti del perseguimento di un progetto educativo e di un percorso di formazione. Nel caso concreto tale età è stata individuata in trentaquattro anni, in concomitanza al raggiungimento di un'adeguata formazione professionale in forza della quale il figlio ben avrebbe potuto adoperarsi per trovare un'occupazione lavorativa. Parimenti, la colpevole inerzia e la scelta volontaria di non trovare un'occupazione lavorativa determinano, come costantemente affermato dalla giurisprudenza di legittimità, la cessazione dell'obbligo di contribuzione (ex plurimis, Cass. I, n. 1773/2012; da ultimo Cass. VI-I, n. 21615/2017 ove si affronta anche il problema dell'impugnabilità dei provvedimenti pronunciati ai sensi dell'art. 148 c.c. e 316-bis c.c.). Ciò, in particolare, si verifica nel caso in cui il figlio, dotato di un patrimonio personale, prosegua gli studi universitari, presso una sede diversa dal luogo di residenza, senza aver ingiustificatamente conseguito alcun correlato titolo di studio o una possibile occupazione remunerativa (in questo senso Cass. I, n. 27377/2013). Nell'ambito di un giudizio volto ad ottenere la revoca dell'assegno di mantenimento in favore del figlio maggiorenne, deve quindi essere oggetto di valutazione anche la condotta posta in essere dal figlio. In particolare dovrà valutarsi se, a fronte della possibilità di cercare o intraprendere un'attività lavorativa, vi sia stato un atteggiamento di inerzia ovvero di rifiuto ingiustificato; il detto accertamento necessita però di ispirarsi a criteri di relatività, dovendo essere ancorato «alle aspirazioni, al percorso universitario e post universitario del soggetto», oltre che valutato alla stregua della situazione attuale del mercato del lavoro, con specifico riguardo al settore nel quale il soggetto abbia indirizzato la propria formazione e la propria specializzazione (ex multis: Cass. I, n. 19589/2011). Il relativo onere probatorio si ritiene che possa essere assolto da genitore anche mediante l'allegazione e prova di circostanze di fatto dalle quali possa desumersi, in via presuntiva, l'estinzione dell'obbligazione dedotta (Cass. I, n. 12952/2016). Deve tuttavia evidenziarsi che sul punto la più recente giurisprudenza sembra aver mutato il proprio orientamento, valorizzando l'evoluzione del diritto vivente, con riguardo alla ritenuta autonomia del figlio, che sempre più richiama il principio di autoresponsabilità. È stato infatti affermato che il figlio, divenuto maggiorenne ha diritto al mantenimento a carico dei genitori soltanto se, ultimato il prescelto percorso formativo scolastico, dimostri, con conseguente onere probatorio a suo carico, di essersi adoperato effettivamente per rendersi autonomo economicamente, impegnandosi attivamente per trovare un'occupazione in base alle opportunità reali offerte dal mercato del lavoro, se del caso ridimensionando le proprie aspirazioni, senza indugiare nell'attesa di una opportunità lavorativa consona alle proprie ambizioni (Cass. I, n. 17183/2020). In quest'ottica si colloca Cass. I, n. 29264/2022 la quale ha affermato che Il figlio di genitori divorziati, che abbia ampiamente superato la maggiore età, e non abbia reperito, pur spendendo il conseguito titolo professionale sul mercato del lavoro, una occupazione lavorativa stabile o che, comunque, lo remuneri in misura tale da renderlo economicamente autosufficiente, non può soddisfare l'esigenza ad una vita dignitosa, alla cui realizzazione ogni giovane adulto deve aspirare, mediante l'attuazione dell'obbligo di mantenimento del genitore, bensì attraverso i diversi strumenti di ausilio, ormai di dimensione sociale, che sono finalizzati ad assicurare sostegno al reddito, ferma restando l'obbligazione alimentare da azionarsi nell'ambito familiare per supplire ad ogni più essenziale esigenza di vita dell'individuo bisognoso. In applicazione del principio, sono stati ritenuti insussistenti i presupposti per la persistenza del diritto all'assegno di mantenimento da parte di una figlia, ormai trentenne, convivente con uno dei genitori, rimarcando come l'età e la sua condizione di madre non economicamente autonoma avrebbero dovuto, responsabilmente, portarla a far ricorso a strumenti di sostegno sociale. Sotto il profilo probatorio la Corte di Cassazione ha osservato che grava sul richiedente l'assegno l'onere della prova delle condizioni che fondano il diritto al mantenimento, vertendo il predetto onere sulla circostanza di avere il figlio curato, con ogni possibile impegno, la propria preparazione professionale o tecnica o di essersi, con pari impegno, attivato nella ricerca di un lavoro: di conseguenza, se il figlio è neomaggiorenne e prosegua nell'ordinario percorso di studi superiori o universitari o di specializzazione, già questa circostanza è idonea a fondare il suo diritto al mantenimento; laddove, diversamente si tratti del "figlio adulto", in ragione del principio dell'autoresponsabilità, sarà particolarmente rigorosa la prova a suo carico delle circostanze, oggettive ed esterne, che rendano giustificato il mancato conseguimento di una autonoma collocazione lavorativa (Cass. I, n. 26875/2023). La tutela del figlio maggiorenne affetto da handicapIn forza del comma 2 dell'articolo in commento, le disposizioni previste in favore dei figli minori si applicano integralmente ai figli maggiorenni portatori di handicap grave. La norma testé richiamata necessita però di essere interpretata alla luce del nuovo art. 37-bis disp. att. c.c., che identifica i «figli maggiorenni affetti da handicap grave» nei figli portatori di handicap ai sensi del comma 3 dell'art. 3 della l. n. 104/1992. La condizione del figlio maggiorenne effetto da handicap è stata quindi opportunamente parificata a quella del figlio minorenne, stante le evidenti necessità di protezione, che persistono nei suoi confronti anche dopo il compimento della maggiore età. Detta condizione deve essere accertata dal giudice. Egli è infatti tenuto ad accertare se colui che richieda la contribuzione sia portatore di un handicap grave, ai sensi dell'art. 3, comma 3, della l. n. 104/1992, richiamato dall'art. 37-bis disp. att. c.c., ovvero se la minorazione, singola o plurima, della quale il medesimo sia portatore, abbia ridotto la sua autonomia personale, correlata all'età, in modo da rendere necessario un intervento assistenziale permanente, dovendosi, in caso contrario, parificarne la condizione giuridica a quella del figli maggiorenni (Cass. I, n. 21819/2021). La norma riguarda certamente le disposizioni che concernono il mantenimento così come, per evidente identità di ratio, quelle in tema di assegnazione della casa familiare (in merito Morace Pinelli, il quale specifica che l'equiparazione tra minore di età e portatore di handicap deve essere tendenzialmente circoscritta ai profili patrimoniali, 871). In senso inverso occorre invece argomentare con riferimento alla disciplina dell'affidamento. Essa non può difatti trovare applicazione nei confronti del figlio maggiorenne, atteso che il genitore non potrebbe comunque esercitare la responsabilità genitoriale, né quindi potrebbe assumere decisioni nel suo interesse salvo che, in quest'ultimo caso, non venga nominato suo tutore o amministratore di sostegno. Deve in particolare escludersi che nei confronti dei figlio maggiorenne, affetto da handicap grave, possano rilevare le norme sull'affidamento esclusivo o condiviso. Qualora si opinasse in senso contrario si dovrebbe concludere che il figlio portatore di handicap, ancorché maggiorenne, sia da considerarsi automaticamente privo della capacità di agire, mentre ciò potrà essere accertato, eventualmente, in via parziale o totale, nei giudizi specifici di interdizione, inabilitazione e amministrazione di sostegno (Cass. I, n. 12977/2012). Potranno invece trovare applicazione le disposizioni in tema di visite, obbligo di cura, e mantenimento nonché quelle in tema di assegnazione della casa familiare ( (in questo senso da ultima Cass. I. n. 2670/2023). L'art. 337-septies c.c. già disciplina nel primo comma il mantenimento del figlio e tale disposizione trova applicazione ovviamente anche nei confronti del figlio maggiorenne affetto da handicap grave. Sicché, parte di dottrina ritiene estensibile al figlio maggiorenne portatore di handicap le disposizioni contenute negli artt. 337-ter, commi 2 e 4, c.c., l'art. 337-sexies c.c. e 709-ter c.p.c. (Arceri, 1344). 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La colpa del figlio maggiorenne e l'assenza dalle aule giudiziarie dell'art. 315 cod. civ.Riflessi in materia di onere della prova, in Giur. it. 2003; Danovi, Affidamento condiviso, le tutele processuali, Dir. e fam. 2007; De Cristofaro, sub. art. 316 c.c., in Oppo-Cian-Trabucchi (diretto da), Commentario breve al diritto di famiglia, Padova, 2016; Dogliotti-Figone, Famiglia e procedimento, Torino, 2007; Finocchiaro, Assegno versato direttamente ai maggiorenni, in Guida dir. 2006, 11; Graziosi, Il versamento diretto dell'assegno di mantenimento ai figli maggiorenni non ancora autosufficienti. 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