Legge - 20/05/2016 - n. 76 art. 1Art. 1 (A) 1. La presente legge istituisce l'unione civile tra persone dello stesso sesso quale specifica formazione sociale ai sensi degli articoli 2 e 3 della Costituzione e reca la disciplina delle convivenze di fatto. 2. Due persone maggiorenni dello stesso sesso costituiscono un'unione civile mediante dichiarazione di fronte all'ufficiale di stato civile ed alla presenza di due testimoni. 3. L'ufficiale di stato civile provvede alla registrazione degli atti di unione civile tra persone dello stesso sesso nell'archivio dello stato civile. 4. Sono cause impeditive per la costituzione dell'unione civile tra persone dello stesso sesso: a) la sussistenza, per una delle parti, di un vincolo matrimoniale o di un'unione civile tra persone dello stesso sesso; b) l'interdizione di una delle parti per infermita' di mente; se l'istanza d'interdizione e' soltanto promossa, il pubblico ministero puo' chiedere che si sospenda la costituzione dell'unione civile; in tal caso il procedimento non puo' aver luogo finche' la sentenza che ha pronunziato sull'istanza non sia passata in giudicato; c) la sussistenza tra le parti dei rapporti di cui all'articolo 87, primo comma, del codice civile; non possono altresi' contrarre unione civile tra persone dello stesso sesso lo zio e il nipote e la zia e la nipote; si applicano le disposizioni di cui al medesimo articolo 87; d) la condanna definitiva di un contraente per omicidio consumato o tentato nei confronti di chi sia coniugato o unito civilmente con l'altra parte; se e' stato disposto soltanto rinvio a giudizio ovvero sentenza di condanna di primo o secondo grado ovvero una misura cautelare la costituzione dell'unione civile tra persone dello stesso sesso e' sospesa sino a quando non e' pronunziata sentenza di proscioglimento. 5. La sussistenza di una delle cause impeditive di cui al comma 4 comporta la nullita' dell'unione civile tra persone dello stesso sesso. All'unione civile tra persone dello stesso sesso si applicano gli articoli 65 e 68, nonche' le disposizioni di cui agli articoli 119, 120, 123, 125, 126, 127, 128, 129 e 129-bis del codice civile. 6. L'unione civile costituita in violazione di una delle cause impeditive di cui al comma 4, ovvero in violazione dell'articolo 68 del codice civile, puo' essere impugnata da ciascuna delle parti dell'unione civile, dagli ascendenti prossimi, dal pubblico ministero e da tutti coloro che abbiano per impugnarla un interesse legittimo e attuale. L'unione civile costituita da una parte durante l'assenza dell'altra non puo' essere impugnata finche' dura l'assenza. 7. L'unione civile puo' essere impugnata dalla parte il cui consenso e' stato estorto con violenza o determinato da timore di eccezionale gravita' determinato da cause esterne alla parte stessa. Puo' essere altresi' impugnata dalla parte il cui consenso e' stato dato per effetto di errore sull'identita' della persona o di errore essenziale su qualita' personali dell'altra parte. L'azione non puo' essere proposta se vi e' stata coabitazione per un anno dopo che e' cessata la violenza o le cause che hanno determinato il timore ovvero sia stato scoperto l'errore. L'errore sulle qualita' personali e' essenziale qualora, tenute presenti le condizioni dell'altra parte, si accerti che la stessa non avrebbe prestato il suo consenso se le avesse esattamente conosciute e purche' l'errore riguardi: a) l'esistenza di una malattia fisica o psichica, tale da impedire lo svolgimento della vita comune; b) le circostanze di cui all'articolo 122, terzo comma, numeri 2), 3) e 4), del codice civile. 8. La parte puo' in qualunque tempo impugnare il matrimonio o l'unione civile dell'altra parte. Se si oppone la nullita' della prima unione civile, tale questione deve essere preventivamente giudicata. 9. L'unione civile tra persone dello stesso sesso e' certificata dal relativo documento attestante la costituzione dell'unione, che deve contenere i dati anagrafici delle parti, l'indicazione del loro regime patrimoniale e della loro residenza, oltre ai dati anagrafici e alla residenza dei testimoni. 10. Mediante dichiarazione all'ufficiale di stato civile le parti possono stabilire di assumere, per la durata dell'unione civile tra persone dello stesso sesso, un cognome comune scegliendolo tra i loro cognomi. La parte puo' anteporre o posporre al cognome comune il proprio cognome, se diverso, facendone dichiarazione all'ufficiale di stato civile. 11. Con la costituzione dell'unione civile tra persone dello stesso sesso le parti acquistano gli stessi diritti e assumono i medesimi doveri; dall'unione civile deriva l'obbligo reciproco all'assistenza morale e materiale e alla coabitazione. Entrambe le parti sono tenute, ciascuna in relazione alle proprie sostanze e alla propria capacita' di lavoro professionale e casalingo, a contribuire ai bisogni comuni. 12. Le parti concordano tra loro l'indirizzo della vita familiare e fissano la residenza comune; a ciascuna delle parti spetta il potere di attuare l'indirizzo concordato. 13. Il regime patrimoniale dell'unione civile tra persone dello stesso sesso, in mancanza di diversa convenzione patrimoniale, e' costituito dalla comunione dei beni. In materia di forma, modifica, simulazione e capacita' per la stipula delle convenzioni patrimoniali si applicano gli articoli 162, 163, 164 e 166 del codice civile. Le parti non possono derogare ne' ai diritti ne' ai doveri previsti dalla legge per effetto dell'unione civile. Si applicano le disposizioni di cui alle sezioni II, III, IV, V e VI del capo VI del titolo VI del libro primo del codice civile. 14. Quando la condotta della parte dell'unione civile e' causa di grave pregiudizio all'integrita' fisica o morale ovvero alla liberta' dell'altra parte, il giudice, su istanza di parte, puo' adottare con decreto uno o piu' dei provvedimenti di cui all'articolo 342-ter del codice civile. 15. Nella scelta dell'amministratore di sostegno il giudice tutelare preferisce, ove possibile, la parte dell'unione civile tra persone dello stesso sesso. L'interdizione o l'inabilitazione possono essere promosse anche dalla parte dell'unione civile, la quale puo' presentare istanza di revoca quando ne cessa la causa. 16. La violenza e' causa di annullamento del contratto anche quando il male minacciato riguarda la persona o i beni dell'altra parte dell'unione civile costituita dal contraente o da un discendente o ascendente di lui. 17. In caso di morte del prestatore di lavoro, le indennita' indicate dagli articoli 2118 e 2120 del codice civile devono corrispondersi anche alla parte dell'unione civile. 18. La prescrizione rimane sospesa tra le parti dell'unione civile. 19. All'unione civile tra persone dello stesso sesso si applicano le disposizioni di cui al titolo XIII del libro primo del codice civile, nonche' gli articoli 116, primo comma, 146, 2647, 2653, primo comma, numero 4), e 2659 del codice civile. 20. Al solo fine di assicurare l'effettivita' della tutela dei diritti e il pieno adempimento degli obblighi derivanti dall'unione civile tra persone dello stesso sesso, le disposizioni che si riferiscono al matrimonio e le disposizioni contenenti le parole «coniuge», «coniugi» o termini equivalenti, ovunque ricorrono nelle leggi, negli atti aventi forza di legge, nei regolamenti nonche' negli atti amministrativi e nei contratti collettivi, si applicano anche ad ognuna delle parti dell'unione civile tra persone dello stesso sesso. La disposizione di cui al periodo precedente non si applica alle norme del codice civile non richiamate espressamente nella presente legge, nonche' alle disposizioni di cui alla legge 4 maggio 1983, n. 184. Resta fermo quanto previsto e consentito in materia di adozione dalle norme vigenti. 21. Alle parti dell'unione civile tra persone dello stesso sesso si applicano le disposizioni previste dal capo III e dal capo X del titolo I, dal titolo II e dal capo II e dal capo V-bis del titolo IV del libro secondo del codice civile. 22. La morte o la dichiarazione di morte presunta di una delle parti dell'unione civile ne determina lo scioglimento. 23. L'unione civile si scioglie altresi' nei casi previsti dall'articolo 3, numero 1) e numero 2), lettere a), c), d) ed e), della legge 1° dicembre 1970, n. 898. 24. L'unione civile si scioglie, inoltre, quando le parti hanno manifestato anche disgiuntamente la volonta' di scioglimento dinanzi all'ufficiale dello stato civile. In tale caso la domanda di scioglimento dell'unione civile e' proposta decorsi tre mesi dalla data della manifestazione di volonta' di scioglimento dell'unione. 25. Si applicano, in quanto compatibili, gli articoli 4, 5, primo comma, e dal quinto all'undicesimo comma, 8, 9, 9-bis, 10, 12-bis, 12-ter, 12-quater, 12-quinquies e 12-sexies della legge 1° dicembre 1970, n. 898, nonche' le disposizioni di cui al Titolo II del libro quarto del codice di procedura civile ed agli articoli 6 e 12 del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 132, convertito, con modificazioni, dalla legge 10 novembre 2014, n. 1621. 26. La sentenza di rettificazione di attribuzione di sesso determina lo scioglimento dell'unione civile tra persone dello stesso sesso 2. 27. Alla rettificazione anagrafica di sesso, ove i coniugi abbiano manifestato la volonta' di non sciogliere il matrimonio o di non cessarne gli effetti civili, consegue l'automatica instaurazione dell'unione civile tra persone dello stesso sesso. 28. Fatte salve le disposizioni di cui alla presente legge, il Governo e' delegato ad adottare, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o piu' decreti legislativi in materia di unione civile tra persone dello stesso sesso nel rispetto dei seguenti principi e criteri direttivi: a) adeguamento alle previsioni della presente legge delle disposizioni dell'ordinamento dello stato civile in materia di iscrizioni, trascrizioni e annotazioni3; b) modifica e riordino delle norme in materia di diritto internazionale privato, prevedendo l'applicazione della disciplina dell'unione civile tra persone dello stesso sesso regolata dalle leggi italiane alle coppie formate da persone dello stesso sesso che abbiano contratto all'estero matrimonio, unione civile o altro istituto analogo4; c) modificazioni ed integrazioni normative per il necessario coordinamento con la presente legge delle disposizioni contenute nelle leggi, negli atti aventi forza di legge, nei regolamenti e nei decreti5. 29. I decreti legislativi di cui al comma 28 sono adottati su proposta del Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro dell'interno, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali e il Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. 30. Ciascuno schema di decreto legislativo di cui al comma 28, a seguito della deliberazione del Consiglio dei ministri, e' trasmesso alla Camera dei deputati e al Senato della Repubblica perche' su di esso siano espressi, entro sessanta giorni dalla trasmissione, i pareri delle Commissioni parlamentari competenti per materia. Decorso tale termine il decreto puo' essere comunque adottato, anche in mancanza dei pareri. Qualora il termine per l'espressione dei pareri parlamentari scada nei trenta giorni che precedono la scadenza del termine previsto dal comma 28, quest'ultimo termine e' prorogato di tre mesi. Il Governo, qualora non intenda conformarsi ai pareri parlamentari, trasmette nuovamente i testi alle Camere con le sue osservazioni e con eventuali modificazioni, corredate dei necessari elementi integrativi di informazione e motivazione. I pareri definitivi delle Commissioni competenti per materia sono espressi entro il termine di dieci giorni dalla data della nuova trasmissione. Decorso tale termine, i decreti possono essere comunque adottati. 31. Entro due anni dalla data di entrata in vigore di ciascun decreto legislativo adottato ai sensi del comma 28, il Governo puo' adottare disposizioni integrative e correttive del decreto medesimo, nel rispetto dei principi e criteri direttivi di cui al citato comma 28, con la procedura prevista nei commi 29 e 30. 32. All'articolo 86 del codice civile, dopo le parole: «da un matrimonio» sono inserite le seguenti: «o da un'unione civile tra persone dello stesso sesso». 33. All'articolo 124 del codice civile, dopo le parole: «impugnare il matrimonio» sono inserite le seguenti: «o l'unione civile tra persone dello stesso sesso». 34. Con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell'interno, da emanare entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, sono stabilite le disposizioni transitorie necessarie per la tenuta dei registri nell'archivio dello stato civile nelle more dell'entrata in vigore dei decreti legislativi adottati ai sensi del comma 28, lettera a)6. 35. Le disposizioni di cui ai commi da 1 a 34 acquistano efficacia a decorrere dalla data di entrata in vigore della presente legge. 36. Ai fini delle disposizioni di cui ai commi da 37 a 67 si intendono per «conviventi di fatto» due persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, non vincolate da rapporti di parentela, affinita' o adozione, da matrimonio o da un'unione civile. 37. Ferma restando la sussistenza dei presupposti di cui al comma 36, per l'accertamento della stabile convivenza si fa riferimento alla dichiarazione anagrafica di cui all'articolo 4 e alla lettera b) del comma 1 dell'articolo 13 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 1989, n. 223. 38. I conviventi di fatto hanno gli stessi diritti spettanti al coniuge nei casi previsti dall'ordinamento penitenziario. 39. In caso di malattia o di ricovero, i conviventi di fatto hanno diritto reciproco di visita, di assistenza nonche' di accesso alle informazioni personali, secondo le regole di organizzazione delle strutture ospedaliere o di assistenza pubbliche, private o convenzionate, previste per i coniugi e i familiari. 40. Ciascun convivente di fatto puo' designare l'altro quale suo rappresentante con poteri pieni o limitati: a) in caso di malattia che comporta incapacita' di intendere e di volere, per le decisioni in materia di salute; b) in caso di morte, per quanto riguarda la donazione di organi, le modalita' di trattamento del corpo e le celebrazioni funerarie. 41. La designazione di cui al comma 40 e' effettuata in forma scritta e autografa oppure, in caso di impossibilita' di redigerla, alla presenza di un testimone. 42. Salvo quanto previsto dall'articolo 337-sexies del codice civile, in caso di morte del proprietario della casa di comune residenza il convivente di fatto superstite ha diritto di continuare ad abitare nella stessa per due anni o per un periodo pari alla convivenza se superiore a due anni e comunque non oltre i cinque anni. Ove nella stessa coabitino figli minori o figli disabili del convivente superstite, il medesimo ha diritto di continuare ad abitare nella casa di comune residenza per un periodo non inferiore a tre anni (B). 43. Il diritto di cui al comma 42 viene meno nel caso in cui il convivente superstite cessi di abitare stabilmente nella casa di comune residenza o in caso di matrimonio, di unione civile o di nuova convivenza di fatto. 44. Nei casi di morte del conduttore o di suo recesso dal contratto di locazione della casa di comune residenza, il convivente di fatto ha facolta' di succedergli nel contratto. 45. Nel caso in cui l'appartenenza ad un nucleo familiare costituisca titolo o causa di preferenza nelle graduatorie per l'assegnazione di alloggi di edilizia popolare, di tale titolo o causa di preferenza possono godere, a parita' di condizioni, i conviventi di fatto. 46. Nella sezione VI del capo VI del titolo VI del libro primo del codice civile, dopo l'articolo 230-bis e' aggiunto il seguente: « Art. 230-ter (Diritti del convivente). - Al convivente di fatto che presti stabilmente la propria opera all'interno dell'impresa dell'altro convivente spetta una partecipazione agli utili dell'impresa familiare ed ai beni acquistati con essi nonche' agli incrementi dell'azienda, anche in ordine all'avviamento, commisurata al lavoro prestato. Il diritto di partecipazione non spetta qualora tra i conviventi esista un rapporto di societa' o di lavoro subordinato». 47. All'articolo 712, secondo comma, del codice di procedura civile, dopo le parole: «del coniuge» sono inserite le seguenti: «o del convivente di fatto». 48. Il convivente di fatto puo' essere nominato tutore, curatore o amministratore di sostegno, qualora l'altra parte sia dichiarata interdetta o inabilitata ai sensi delle norme vigenti ovvero ricorrano i presupposti di cui all'articolo 404 del codice civile. 49. In caso di decesso del convivente di fatto, derivante da fatto illecito di un terzo, nell'individuazione del danno risarcibile alla parte superstite si applicano i medesimi criteri individuati per il risarcimento del danno al coniuge superstite. 50. I conviventi di fatto possono disciplinare i rapporti patrimoniali relativi alla loro vita in comune con la sottoscrizione di un contratto di convivenza. 51. Il contratto di cui al comma 50, le sue modifiche e la sua risoluzione sono redatti in forma scritta, a pena di nullita', con atto pubblico o scrittura privata con sottoscrizione autenticata da un notaio o da un avvocato che ne attestano la conformita' alle norme imperative e all'ordine pubblico. 52. Ai fini dell'opponibilita' ai terzi, il professionista che ha ricevuto l'atto in forma pubblica o che ne ha autenticato la sottoscrizione ai sensi del comma 51 deve provvedere entro i successivi dieci giorni a trasmetterne copia al comune di residenza dei conviventi per l'iscrizione all'anagrafe ai sensi degli articoli 5 e 7 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 1989, n. 223. 53. Il contratto di cui al comma 50 reca l'indicazione dell'indirizzo indicato da ciascuna parte al quale sono effettuate le comunicazioni inerenti al contratto medesimo. Il contratto puo' contenere: a) l'indicazione della residenza; b) le modalita' di contribuzione alle necessita' della vita in comune, in relazione alle sostanze di ciascuno e alla capacita' di lavoro professionale o casalingo; c) il regime patrimoniale della comunione dei beni, di cui alla sezione III del capo VI del titolo VI del libro primo del codice civile. 54. Il regime patrimoniale scelto nel contratto di convivenza puo' essere modificato in qualunque momento nel corso della convivenza con le modalita' di cui al comma 51. 55. Il trattamento dei dati personali contenuti nelle certificazioni anagrafiche deve avvenire conformemente alla normativa prevista dal codice in materia di protezione dei dati personali, di cui al decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, garantendo il rispetto della dignita' degli appartenenti al contratto di convivenza. I dati personali contenuti nelle certificazioni anagrafiche non possono costituire elemento di discriminazione a carico delle parti del contratto di convivenza. 56. Il contratto di convivenza non puo' essere sottoposto a termine o condizione. Nel caso in cui le parti inseriscano termini o condizioni, questi si hanno per non apposti. 57. II contratto di convivenza e' affetto da nullita' insanabile che puo' essere fatta valere da chiunque vi abbia interesse se concluso: a) in presenza di un vincolo matrimoniale, di un'unione civile o di un altro contratto di convivenza; b) in violazione del comma 36; c) da persona minore di eta'; d) da persona interdetta giudizialmente; e) in caso di condanna per il delitto di cui all'articolo 88 del codice civile. 58. Gli effetti del contratto di convivenza restano sospesi in pendenza del procedimento di interdizione giudiziale o nel caso di rinvio a giudizio o di misura cautelare disposti per il delitto di cui all'articolo 88 del codice civile, fino a quando non sia pronunciata sentenza di proscioglimento. 59. Il contratto di convivenza si risolve per: a) accordo delle parti; b) recesso unilaterale; c) matrimonio o unione civile tra i conviventi o tra un convivente ed altra persona; d) morte di uno dei contraenti. 60. La risoluzione del contratto di convivenza per accordo delle parti o per recesso unilaterale deve essere redatta nelle forme di cui al comma 51. Qualora il contratto di convivenza preveda, a norma del comma 53, lettera c), il regime patrimoniale della comunione dei beni, la sua risoluzione determina lo scioglimento della comunione medesima e si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni di cui alla sezione III del capo VI del titolo VI del libro primo del codice civile. Resta in ogni caso ferma la competenza del notaio per gli atti di trasferimento di diritti reali immobiliari comunque discendenti dal contratto di convivenza. 61. Nel caso di recesso unilaterale da un contratto di convivenza il professionista che riceve o che autentica l'atto e' tenuto, oltre che agli adempimenti di cui al comma 52, a notificarne copia all'altro contraente all'indirizzo risultante dal contratto. Nel caso in cui la casa familiare sia nella disponibilita' esclusiva del recedente, la dichiarazione di recesso, a pena di nullita', deve contenere il termine, non inferiore a novanta giorni, concesso al convivente per lasciare l'abitazione. 62. Nel caso di cui alla lettera c) del comma 59, il contraente che ha contratto matrimonio o unione civile deve notificare all'altro contraente, nonche' al professionista che ha ricevuto o autenticato il contratto di convivenza, l'estratto di matrimonio o di unione civile. 63. Nel caso di cui alla lettera d) del comma 59, il contraente superstite o gli eredi del contraente deceduto devono notificare al professionista che ha ricevuto o autenticato il contratto di convivenza l'estratto dell'atto di morte affinche' provveda ad annotare a margine del contratto di convivenza l'avvenuta risoluzione del contratto e a notificarlo all'anagrafe del comune di residenza. 64. Dopo l'articolo 30 della legge 31 maggio 1995, n. 218, e' inserito il seguente: «Art. 30-bis (Contratti di convivenza). - 1. Ai contratti di convivenza si applica la legge nazionale comune dei contraenti. Ai contraenti di diversa cittadinanza si applica la legge del luogo in cui la convivenza e' prevalentemente localizzata. 2. Sono fatte salve le norme nazionali, europee ed internazionali che regolano il caso di cittadinanza plurima». 65. In caso di cessazione della convivenza di fatto, il giudice stabilisce il diritto del convivente di ricevere dall'altro convivente e gli alimenti qualora versi in stato di bisogno e non sia in grado di provvedere al proprio mantenimento. In tali casi, gli alimenti sono assegnati per un periodo proporzionale alla durata della convivenza e nella misura determinata ai sensi dell'articolo 438, secondo comma, del codice civile. Ai fini della determinazione dell'ordine degli obbligati ai sensi dell'articolo 433 del codice civile, l'obbligo alimentare del convivente di cui al presente comma e' adempiuto con precedenza sui fratelli e sorelle. 66. Agli oneri derivanti dall'attuazione dei commi da 1 a 35 del presente articolo, valutati complessivamente in 3,7 milioni di euro per l'anno 2016, in 6,7 milioni di euro per l'anno 2017, in 8 milioni di euro per l'anno 2018, in 9,8 milioni di euro per l'anno 2019, in 11,7 milioni di euro per l'anno 2020, in 13,7 milioni di euro per l'anno 2021, in 15,8 milioni di euro per l'anno 2022, in 17,9 milioni di euro per l'anno 2023, in 20,3 milioni di euro per l'anno 2024 e in 22,7 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2025, si provvede: a) quanto a 3,7 milioni di euro per l'anno 2016, a 1,3 milioni di euro per l'anno 2018, a 3,1 milioni di euro per l'anno 2019, a 5 milioni di euro per l'anno 2020, a 7 milioni di euro per l'anno 2021, a 9,1 milioni di euro per l'anno 2022, a 11,2 milioni di euro per l'anno 2023, a 13,6 milioni di euro per l'anno 2024 e a 16 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2025, mediante riduzione del Fondo per interventi strutturali di politica economica, di cui all'articolo 10, comma 5, del decreto-legge 29 novembre 2004, n. 282, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 dicembre 2004, n. 307; b) quanto a 6,7 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2017, mediante corrispondente riduzione delle proiezioni, per gli anni 2017 e 2018, dello stanziamento del fondo speciale di parte corrente iscritto, ai fini del bilancio triennale 2016-2018, nell'ambito del programma «Fondi di riserva e speciali» della missione «Fondi da ripartire» dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze per l'anno 2016, allo scopo parzialmente utilizzando l'accantonamento relativo al medesimo Ministero. 67. Ai sensi dell'articolo 17, comma 12, della legge 31 dicembre 2009, n. 196, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, sulla base dei dati comunicati dall'INPS, provvede al monitoraggio degli oneri di natura previdenziale ed assistenziale di cui ai commi da 11 a 20 del presente articolo e riferisce in merito al Ministro dell'economia e delle finanze. Nel caso si verifichino o siano in procinto di verificarsi scostamenti rispetto alle previsioni di cui al comma 66, il Ministro dell'economia e delle finanze, sentito il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, provvede, con proprio decreto, alla riduzione, nella misura necessaria alla copertura finanziaria del maggior onere risultante dall'attivita' di monitoraggio, delle dotazioni finanziarie di parte corrente aventi la natura di spese rimodulabili, ai sensi dell'articolo 21, comma 5, lettera b), della legge 31 dicembre 2009, n. 196, nell'ambito dello stato di previsione del Ministero del lavoro e delle politiche sociali. 68. Il Ministro dell'economia e delle finanze riferisce senza ritardo alle Camere con apposita relazione in merito alle cause degli scostamenti e all'adozione delle misure di cui al comma 67. 69. Il Ministro dell'economia e delle finanze e' autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio. La presente legge, munita del sigillo dello Stato, sara' inserita nella Raccolta ufficiale degli atti normativi della Repubblica italiana. E' fatto obbligo a chiunque spetti di osservarla e di farla osservare come legge dello Stato.
------------------------------------------------ (A) Vedi la Circolare del Ministero dell'Interno 1° giugno 2016 , n. 7 e la Circolare del Ministero dell'Interno 5 agosto 2016, n. 3511. (B) In riferimento al presente comma vedi la Risposta Agenzia delle Entrate 12 ottobre 2018, n. 37. - In riferimento alla Dichiarazione di successione e diritto di abitazione vedi: Risposta Agenzia delle Entrate 04/11/2019 n. 463. [1] Comma sostituito dall'articolo 29, comma 6, del D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 149, con effetto a decorrere dal 28 febbraio 2023, come stabilito dall'articolo 35, comma 1, del D.Lgs. 149/2022 medesimo, come modificato dall'articolo 1, comma 380, lettera a), della Legge 29 dicembre 2022, n. 197. [2] La Corte Costituzionale, con sentenza 22 aprile 2024, n. 66, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del presente comma, nella parte in cui stabilisce che la sentenza di rettificazione anagrafica di attribuzione di sesso determina lo scioglimento automatico dell’unione civile senza prevedere, laddove l’attore e l’altra parte dell’unione rappresentino personalmente e congiuntamente al giudice, fino all’udienza di precisazione delle conclusioni, l’intenzione di contrarre matrimonio, che il giudice disponga la sospensione degli effetti derivanti dallo scioglimento del vincolo fino alla celebrazione del matrimonio e comunque non oltre il termine di centottanta giorni dal passaggio in giudicato della sentenza di rettificazione. [3] In riferimento alla presente lettera vedi il D.Lgs. 19 gennaio 2017, n. 5. [4] In riferimento alla presente lettera vedi il D.Lgs. 19 gennaio 2017, n. 7. [5] In riferimento alla presente lettera vedi i D.Lgs. 19 gennaio 2017, n. 5 e D.Lgs. 19 gennaio 2017, n. 6. [6] Per il regolamento recante disposizioni transitorie necessarie per la tenuta dei registri nell'archivio dello stato civile, ai sensi del presente comma vedi il D.P.C.M. 23 luglio 2016, n. 144. InquadramentoLa l. n. 76/ 2016 ha introdotto nel nostro ordinamento le unioni civili tra persone dello stesso sesso, stabilendo precisi presupposti per la costituzione nonché la sussistenza di requisiti soggettivi (art. 1 c. 2-9 l. n. 76/2016). Successivamente è stato pubblicato il d.lgs. 19 gennaio 2017, n. 5, recante "Adeguamento delle disposizioni dell'ordinamento dello stato civile in materia di iscrizioni, trascrizioni ed annotazioni, nonché modificazioni ed integrazioni normative per la regolamentazione delle unioni civili, ai sensi dell'art. 1, comma 28, lett. a) e c), della legge 20 maggio 2016 n. 76". Il d.lgs. n. 5/2017 ha apportato modifiche al d.P.R. 3 novembre 2000, n. 396, recante "Regolamento per la revisione e la semplificazione dell'ordinamento dello stato civile", introducendo il Titolo VIII bis relativo alla richiesta ed alla costituzione dell'unione civile. Per il legislatore era necessario adeguare l'ordinamento dello stato civile ai nuovi istituti introdotti dalla legge Cirinnà, consentendo alle anagrafe ed ai comuni interessati di operare efficacemente ed in modo uniforme. La differenza tra unione civile e matrimonio trova conferma nell'analisi della disciplina relativa alla sua costituzione. Occorre ricordare, preliminarmente, che l'art. 1, comma 20, della l. n. 76/2016 espressamente stabilisce che le disposizioni che si riferiscono al matrimonio e quelle contenenti la parola coniuge o un termine equivalente si applicano anche ad ognuna delle parti dell'unione civile, e precisa che detto principio vale con riferimento a tutte le leggi e agli atti aventi forza di legge, ma non alle norme del codice civile non richiamate espressamente dalla l. n. 76/2016, nonché a quelle della legge sull'adozione. Ne consegue che l'unione civile non è sovrapponibile al matrimonio, soprattutto dal punto di vista della filiazione e dell'adozione, le cui disposizioni non sono applicabili. Va segnalato che dal 28 febbraio 2023 è entrato in vigore il nuovo rito denominato “procedimento in materia di persone, minorenni e famiglie”, definito “Riforma Cartabia” (d.lgs. n. 149 del 2022), applicabile a tutti i rapporti di famiglia, quindi alle persone coniugate, agli uniti civilmente ed ai conviventi more uxorio. Tra le novità più rilevanti, che verranno approfondite nel prosieguo, il cumulo delle domande di separazione consensuale e di divorzio congiunto, il nuovo art. 38 disp. Att. c.c., l'ampliamento dei procedimenti dotati di vis attractiva, la procedimentalizzazione dell'art. 403 c.c., i procedimenti di separazione, di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, dell'unione civile, e di regolamentazione della responsabilità genitoriale. Requisiti soggettivi per la costituzione dell'unione civile: maggiore età e identità di sessoL'art. 1, comma 2, l. n. 76/2016 statuisce che possono costituire un'unione civile «due persone maggiorenni dello stesso sesso». Sono, pertanto, requisiti soggettivi inderogabili della nuova formazione sociale, la maggiore età delle parti e l'identità di sesso tra le stesse Il minore di età non può costituire un'unione civile e non è prevista — a differenza di quanto accade per il matrimonio ai sensi dell'art. 84 c.c. — la possibilità per il tribunale di autorizzare il minore ultra sedicenne. Tale ipotesi, inizialmente contemplata dal d.d.l. Cirinnà, è stata successivamente eliminata in fase di approvazione definitiva della l. n. 76/2016. È facile desumere che tale esclusione può essere rinvenuta nella impossibilità che in ambito di unione civile tra persone dello stesso sesso possano sussistere quei «gravi motivi» che giustifichino l'ammissione del minore al matrimonio, generalmente ricollegabili a gravidanze indesiderate. Requisito indispensabile per la costituzione di una unione civile è la diversità di sesso. Ciò significa che le coppie eterosessuali non possono costituire una unione civile. Recentemente la Corte EDU è intervenuta a risolvere una controversia riguardante proprio la richiesta proposta da una coppia eterosessuale di costituire una unione civile. Con tale pronuncia la Corte ha stabilito che non viola l'art. 14, in combinato disposto con l'art. 8 CEDU, la normativa austriaca che impedisce alle coppie eterosessuali di contrarre una unione registrata. La possibilità per i ricorrenti di utilizzare il matrimonio soddisfa, contrariamente alle coppie omosessuali prima dell'adozione della legge sulle Unioni Registrate, la principale necessità di riconoscimento legale dell'unione. Secondo la Corte EDU la situazione descritta non è simile né paragonabile a quella di una coppia omosessuale che non ha il diritto di sposarsi e che necessita della partnership registrata come mezzo alternativo per ottenere un riconoscimento giuridico della propria relazione. Le legge austriaca sulle unioni registrate, secondo la Corte, garantisce la possibilità di ottenere uno status giuridico simile per molti aspetti al matrimonio (Corte EDUV, 26 ottobre 2017, caso Ratzenbock e Seydl c. Austria). Una delle obiezioni formulate quasi subito dopo l'approvazione della legge è stata quella relativa alla necessità di stabilire quali potessero essere i criteri per definire il sesso di un individuo, ai fini della costituzione dell'unione civile. Naturalmente occorre fare riferimento al sesso legale, come risultante dagli atti dello stato civile, il quale può anche non corrispondere ai caratteri sessuali primari, tenuto conto che la corte di Cassazione, con sentenza n. 15138 del 2015, ha precisato che alla stregua di una interpretazione costituzionalmente orientata, e conforme alla giurisprudenza della Corte EDU, dell'art. 1 della l. n. 164/1982, nonché del successivo art. 3 della medesima legge, attualmente confluito nell'art. 31, comma 4, del d.lgs. n. 150/2011, per ottenere la rettificazione del sesso nei registri dello stato civile deve ritenersi non obbligatorio l'intervento chirurgico demolitorio e/o modificativo dei caratteri sessuali anatomici primari. Invero, l'acquisizione di una nuova identità di genere può essere frutto di un processo individuale che non ne postula la necessità, purché la serietà ed univocità del percorso scelto e la compiutezza dell'approdo finale sia oggetto, ove necessario, di un accertamento tecnico in sede giudiziale. L'interpretazione è stata suggerita dalle conclusioni a cui è giunta la Corte Costituzionale, con sentenza del 5 ottobre 2015 n. 221, con cui si è escluso che la legge 14 aprile 1982, n. 164 (Norme in materia di rettificazione di attribuzione di sesso) richieda, ai fini della rettificazione anagrafica dell'attribuzione di sesso, la modificazione dei caratteri sessuali primari, con ciò accogliendo un concetto di identità sessuale che conferisce rilievo non più esclusivamente agli organi genitali esterni, quali accertati al momento della nascita o modificatisi sia pure con l'ausilio di terapie ormonali o chirurgiche, ma anche agli elementi di carattere psicologico e sociale. L'indirizzo ha trovato una disciplina nel comma 27, laddove si specifica che alla rettificazione anagrafica di sesso, la quale può avvenire anche indipendentemente dalla modificazione dei caratteri sessuali primari, ove i coniugi abbiano manifestato la volontà di non sciogliere il matrimonio o di non cessarne gli effetti civili, consegue l'automatica instaurazione dell'unione civile tra persone dello stesso sesso. Pur nel silenzio della legge, la mancanza del requisito della maggiore età, o della identità di sesso costituiscono cause di inesistenza dell'unione. Secondo un indirizzo della dottrina, infatti, l'interpretazione letterale del dato normativo (art. 1, comma 5 legge n. 76/2016), che ricollega la nullità dell'unione civile alle sole cause impeditive di cui al comma 4 della legge n. 76/2016, indurrebbe a ritenere che la mancanza anche di uno dei due sopra citati requisiti non determini la nullità dell'unione civile, ma l'inesistenza della stessa (De Filippis, 155; di opinione contraria è Dosi, 34, secondo cui la maggiore età costituisce comunque un presupposto di validità dell'unione civile e la sua mancanza determina la nullità dell'unione, azionabile da ciascuna delle parti, dagli ascendenti, dal pubblico ministero e da quanti abbiano ad impugnare un interesse legittimo ed attuale). Costituzione del vincolo e obiezione di coscienzaL'art. 1, comma 2, l. n. 76/2016 statuisce che l'unione civile si costituisce «mediante dichiarazione di fronte all'ufficiale dello stato civile ed alla presenza di due testimoni». Per la costituzione di una unione civile il legislatore ha previsto una disciplina specifica, regolamentata anche mediante i decreti attuativi. Con il d.lgs. n. 5/2017, come anticipato supra, è stata introdotta la disciplina applicabile per la costituzione dell'unione, inserendo nel d.P.R. n. 396/2000 l'autonomo Titolo VIII-bis (Della richiesta e della costituzione di unione civile), composto dagli artt. 70-bis a 70-quinquiesdecies. Il legislatore non utilizza mai il termine celebrazione, per sottolineare la differenza con il matrimonio, posto che nella l. n. 76/2016 ma esclusivamente «costituzione» o «procedimento». La volontà del legislatore è stata soprattutto quella di agevolare la costituzione di una unione con una procedura più snella, e nello stesso tempo assicurarne la formalità e la solennità, proprio al fine di evitare di considerare l'unione civile un «matrimonio minore» (Oliva, 41). Non sono infatti previste né le pubblicazioni, né la dichiarazione di costituzione da parte dell'Ufficiale dello stato civile, per quanto quest'ultimo sia tenuto alla redazione di un verbale ed all'apposita registrazione. Infatti, la costituzione dell'unione civile tra persone dello stesso sesso avviene mediante atto formale e pubblico (dichiarazione del consenso manifestato dalle parti «di fronte all'ufficiale di stato civile ed alla presenza di due testimoni»), successivamente registrato dallo stesso Ufficiale di stato civile nell'archivio di stato civile. La solennità del vincolo viene garantita con l'osservanza di alcune formalità, espressamente previste dal d.lgs. n. 5/2017, il quale ha previsto, integrando l'art. 70 d.P.R. n. 396/2000, che l'Ufficiale dello stato civile, durante la costituzione dell'unione civile, è tenuto ad indossare la fascia tricolore, come avviene durante la celebrazione del matrimonio civile. In maniera analoga a quanto avviene per i nubendi, il procedimento, destinato a culminare con la costituzione di una unione civile, si connota di una valenza sia pubblicistica, che privatistica. L'ufficiale di stato civile non può rifiutarsi di celebrare una unione civile per ragioni di obiezione di coscienza. Per dare immediata attuazione agli adempimenti di stato civile necessari per consentire concretamente la celebrazione delle unioni civili, in attesa dei decreti legislativi attuativi, il Governo ha dovuto emanare il d.P.C.M. 23 luglio 2016, n. 144, che ha regolato transitoriamente la tenuta dei registri nell'archivio dello stato civile. Al regolamento è seguito un decreto del Ministro dell'Interno con le formule da utilizzare nella redazione degli atti dello stato civile. Per una lettura ragionata del d.P.C. M. 144/2016 si può fare riferimento ad un parere reso dal Consiglio di Stato, che ha sottolineato l'impossibilità di sottrarsi all'applicazione della disposizione legislativa, in quanto solo la legge può autorizzare la mancata osservanza di qualche disposizione. Qualora da parte di qualche sindaco o ufficiale di stato civile ci fossero motivazioni ideologiche che si oppongono alla celebrazione di una unione civile, è agevolmente possibile ricorrere allo strumento della delega delle funzioni ammessa per la celebrazione dei matrimonio, ma non sottrarsi alla applicazione della legge. L'atteggiamento di chiusura culturale che nella fase di emanazione delle legge aveva reso turbolento il dibattito politico, è emerso anche al momento delle prime applicazioni della legge. Il T.A.R Lombardia (sezione di Brescia) con sentenza del 29 dicembre 2016 n. 1791, ha annullato una delibera del Comune di Stezzano che prevedeva, per la costituzione delle unioni civili, condizioni differenti rispetto a quelle previste per il matrimonio. Nella specie, la delibera comunale aveva riservato alla costituzione delle unioni civili una stanza diversa rispetto a quella di rappresentanza del municipio destinata ai matrimoni civili e aveva, altresì, previsto che la celebrazione di tali unioni fosse effettua dai «consiglieri comunali che hanno comunicato la propria disponibilità» (o, in caso di loro indisponibilità, ai dipendenti comunali cui siano state delegate le funzioni di ufficiale di stato civile), escludendo il sindaco, cui era attribuito il compito di officiare i matrimoni eterosessuali. Per il giudice amministrativo «essendo identica tra matrimonio e unione civile la natura giuridica dell'atto costitutivo, la vis espansiva del comma 20 non può non estendersi al momento genetico dell'istituto». Il Tar ha, inoltre, affrontato la questione dell'obiezione di coscienza, evocata da alcuni sindaci e motivabile con il rifiuto, in base a convinzioni culturali, religiose o morali, a rendere effettivo l'istituto della unione civile. Gli ufficiali di Stato civile non possono essere obiettori di coscienza ma sono tenuti, nell'adempimento del dovere, a celebrare le unioni civili, in ragione di quanto precisato dal Consiglio di Stato nel parere 21 luglio 2016 n. 1695/2016 secondo cui: «Ritiene il Consiglio di Stato che il rilievo giuridico di una “questione di coscienza” — affinché soggetti pubblici o privati si sottraggano legittimamente ad adempimenti cui per legge sono tenuti — può derivare soltanto dal riconoscimento che di tale questione faccia una norma, sicché detto rilievo, che esime dall'adempimento di un dovere, non può derivare da una «auto-qualificazione» effettuata da chi sia tenuto, in forza di una legge, a un determinato comportamento. Il primato della «coscienza individuale» rispetto al dovere di osservanza di prescrizioni normative è stato affermato — pur in assenza di riconoscimento con legge — nei casi estremi di rifiuto di ottemperare a leggi manifestamente lesive di principi assoluti e non negoziabili (si pensi alla tragica esperienza delle leggi razziali). In un sistema costituzionale e democratico, tuttavia, è lo stesso ordinamento che deve indicare come e in quali termini la «coscienza individuale» possa consentire di non rispettare un precetto vincolante per legge. La l. n. 76/2016 non prevede la possibilità di rifiutarsi dal costituire una unione civile, dovendosi ricordare che propriodai lavori parlamentari risulta che un emendamento volto ad introdurre per i sindaci l'obiezione di coscienza sulla costituzione di una unione civile è stato respinto dal Parlamento, che ha così fatto constare la sua volontà contraria, non aggirabile in alcun modo nella fase di attuazione della legge. Del resto, quanto al riferimento alla «coscienza individuale» adombrato per invocare la possibilità di «obiezione», osserva il Consiglio di Stato che la legge, e correttamente il decreto attuativo oggi in esame, pone gli adempimenti a carico dell'ufficiale di stato civile, e cioè di un pubblico ufficiale, che ben può essere diverso dalla persona del sindaco. In tal modo il Legislatore ha affermato che detti adempimenti, trattandosi di disciplina dello stato civile, costituiscono un dovere civico e, al tempo stesso, ha posto tale dovere a carico di una ampia categoria di soggetti — quella degli ufficiali di stato civile — proprio per tener conto che, tra questi, vi possa essere chi affermi un «impedimento di coscienza», in modo che altro ufficiale di stato civile possa compiere gli atti stabiliti nell'interesse della coppia richiedente. Del resto, è prassi ampiamente consolidata già per i matrimoni che le funzioni dell'ufficiale di stato civile possano essere svolte da persona a ciò delegata dal sindaco, ad esempio tra i componenti del consiglio comunale, sicché il problema della «coscienza individuale» del singolo ufficiale di stato civile, ai fini degli adempimenti richiesti dalla legge n. 76/2016, può agevolmente risolversi senza porre in discussione — il che la legge non consentirebbe in alcun caso — il diritto fondamentale e assoluto della coppia omosessuale a costituirsi in unione civile. Il T.A.R. Veneto con l'ordinanza del 7 dicembre 2016, ha sospeso in via cautelare l'efficacia della delibera con cui il Comune di Padova aveva designato alcuni particolari giorni dedicati alle dichiarazioni di costituzione delle unioni civili e aveva ritenuto inapplicabili a tali procedimenti le norme riguardanti luoghi, orari e tariffe per la celebrazione dei matrimoni. Il Ministero dell'Interno, nella circolare del 28 luglio 2016, n. 15, ha comunicato come il Consiglio di Stato abbia escluso che il rilievo giuridico di una questione di coscienza possa scaturire da una auto qualificazione effettuata da chi sia tenuto, in forza di una legge, a un determinato comportamento. Richiesta di costituzione dell'unione civileL'unione civile si costituisce mediante dichiarazione di fronte all'ufficiale di stato civile alla presenza di due testimoni e viene registrata nell'archivio dello stato civile. La costituzione dell'unione non viene preceduta da pubblicazioni. La legge non precisa quale sia il contenuto della dichiarazione, diversamente da quanto stabilisce l'art. 107 c.c., per il matrimonio, né è previsto che l'ufficiale di stato civile rediga una dichiarazione, che pertanto si deve limitare a ricevere quella delle parti. La costituzione dell'unione è certificata da un documento che contiene i dati anagrafici delle parti e dei testimoni. Quindi, chi intende costituire una unione civile deve formulare una richiesta di costituzione, anche mediante rappresentante (la legge non lo esclude), all'Ufficio dello Stato civile del comune di loro scelta (art. 70-bis d.P.R. n. 396/2000 introdotto dal d.lgs. n. 5/2017). La richiesta quindi non dovrà essere rigorosamente congiunta, nel senso personale del termine, in quanto le future parti dell'unione civile potranno presentarla a mezzo di persona, alla quale abbiano conferito “speciale incarico nei modi indicati dall'articolo 20, comma 7” (art. 70-bis, quarto comma), vale a dire con procura speciale risultante da scrittura privata. Come per il matrimonio, la legge non pone, pertanto, vincoli nella scelta del luogo ove costituire l'unione civile, che può essere liberamente costituita in qualsiasi comune dello Stato, secondo la volontà degli unendi civilmente. Come si è detto, nella richiesta devono essere indicati i dati anagrafici delle parti (nome e cognome, data e luogo di nascita, cittadinanza e luogo di residenza) e l'insussistenza delle cause impeditive alla costituzione dell'unione civile previste dall'art. 1, comma 4, l. 20 n. 76/2016. Si tratta, pertanto, di dichiarazioni di contenuto negativo sotto il profilo della insussistenza di cause impeditive. Esse sono sostanzialmente informazioni, che potrebbero essere oggetto anche di dichiarazioni sostitutive ai sensi degli artt. 46 e 47 del d.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445, circa le qualità personali o fatti che siano di diretta conoscenza degli interessati. Ricevuta la richiesta di costituzione, l'ufficiale dello stato civile, non è tenuto a rilasciare una dichiarazione, ma deve redigere un processo verbale in cui indica l'identità delle persone comparse, la richiesta a lui fatta, le dichiarazioni delle parti o di chi le rappresenta, e lo sottoscrive unitamente ai richiedenti (art. 70-bis, comma 3 d.P.R. n. 396/2000). La richiesta di costituzione dell'unione civile può essere presentata anche da persona incaricata dalle parti nei modi indicati dall'art. 12, comma 7 d.P.R. n. 396/2000. Verifiche dell'ufficiale dello stato civileDopo la presentazione della richiesta di costituzione, si apre la seconda fase del procedimento amministrativo, volta a consentire all'ufficiale dello stato civile di effettuare le verifiche, funzionali alla valida costituzione dell'unione. Ai sensi dell'art. 70-bis, comma 2 d.P.R. n. 396/2000, l'Ufficiale dello stato civile è tenuto a verificare l'esattezza delle dichiarazioni rese dai richiedenti la costituzione dell'unione ed ha la facoltà di acquisire d'ufficio eventuali documenti od informazioni, che ritenga necessari per provare l'inesistenza di impedimenti alla costituzione dell'unione civile. La verifica dell'Ufficiale dello stato civile non è limitata all'insussistenza delle sole cause impeditive di cui all'art. 1, comma 4 legge n. 76, ma è estesa a tutto il contenuto della dichiarazione (dati anagrafici, ecc.), con l'obbligo di verifica della insussistenza di impedimenti in senso lato. Le verifiche devono essere effettuate nel termine massimo di trenta giorni dalla redazione del verbale di richiesta della costituzione (art. 70-ter comma 1, d.P.R. n. 396/2000). Se durante la verifica, l'Ufficiale dello stato civile accerta l'insussistenza dei presupposti di legge o la sussistenza di un impedimento, è tenuto a darne comunicazione alle parti e a non procede alla costituzione dell'unione civile (art. 70-ter, comma 2 d.P.R. n. 396/2000). Tra gli adempimenti obbligatori vi è anche quello di informarne immediatamente il Procuratore della Repubblica, per quanto di competenza. I primi commentatori si pongono l'interrogativo delle eventuali conseguenze in caso di omissione. In presenza di causa impeditive completamente ostative, la costituzione dell'unione è nulla, mentre il pubblico funzionario sarà responsabile anche penalmente per omissione di atti d'ufficio. La legge prevede un'ipotesi di esonero dalle verifiche (art. 70-decies d.P.R. n. 396/2000) nel caso di imminente pericolo di vita di una delle parti, a condizione che queste ultime, sotto il vincolo del giuramento, dichiarino che non esistono tra loro impedimenti. Nella fattispecie, l'Ufficiale dello stato civile è tenuto a dichiarare nell'atto di costituzione dell'unione il modo con cui ha accertato l'imminente pericolo di vita e procedere alla costituzione dell'unione civile trasferendosi nel luogo in cui si trova la parte impedita, secondo le modalità di cui all'art. 70-novies d.P.R. n. 396/2000. Questi adempimenti non fanno che avvalorare la doverosità dell'impegno dell'Ufficiale nella verifica di eventuali cause ostative alla costituzione dell'unione non espressamente riferite dalle parti. Dal trentesimo giorno successivo alla formazione del processo verbale di richiesta di costituzione dell'unione civile (o anche da data antecedente, se le verifiche sono completate prima e l'ufficiale dello stato civile ne ha dato obbligatoria comunicazione ai richiedenti), le parti possono presentarsi dinanzi all'Ufficiale dello stato civile per costituire l'unione civile (art. 70-ter, comma 1 d.P.R. n. 396/2000). Secondo quanto dispone la legge la costituzione dell'unione deve necessariamente avvenire nei centottanta giorni successivi alla scadenza del termine per effettuare le verifiche o alla comunicazione con cui l'Ufficiale dello stato civile ha avvisato le parti della conclusione anticipata delle verifiche. Superato il termine massimo, la richiesta delle parti e le verifiche dell'ufficiale dello stato civile si considerano non avvenute (art. 70-ter, comma 4 d.P.R. n. 396/2000). Ai sensi dell'art. 70-quinquies d.P.R. n. 396/2000, quando a costituire l'unione civile osta un impedimento per il quale è stata concessa autorizzazione a termini delle disposizioni del codice civile, una delle parti dell'unione civile deve presentare copia del relativo provvedimento. Se uno dei due richiedenti è cittadino residente all'estero (art. 70-sexies d.P.R. n. 396/2000), l'ufficiale dello stato civile effettua le verifiche anche presso il competente ufficio consolare. Se, invece, la richiesta di costituzione dell'unione civile viene fatta all'autorità consolare, è quest'ultima a dover effettuare le verifiche tramite l'ufficiale dello stato civile del comune di iscrizione anagrafica, accertando l'insussistenza di cause ostative. Opposizione alla costituzione dell'unione civileIl d.lgs. n. 5/2017 ha introdotto la previsione del regime di opposizione alla costituzione dell'unione civile, inizialmente escluso dalla legge n. 76/2016 e successivamente, nel regime transitorio, anche dal d.P.C.M. n. 144/2016. La relativa disciplina è contenuta negli articoli dal 70-undecies al 70-terdecies d.P.R. n. 396/2000, che riprende in parte quella prevista per le opposizioni al matrimonio dagli artt. da 59 a 62 d.P.R. n. 396/2000. L'ufficiale di stato civile ha un ruolo determinante, atteso che viene investito del compito di verificare, sulla base delle dichiarazioni delle parti, l'insussistenza di impedimenti alla costituzione dell'unione civile. Come si è detto, il d.P.R. n. 396/200 stabilisce che se l'Ufficiale dello stato civile, durante le verifiche, viene a conoscenza di un impedimento non dichiarato, deve immediatamente informarne il Procuratore della Repubblica affinché questi possa proporre opposizione alla costituzione dell'unione civile. In questo caso, il Procuratore della Repubblica, verificata la ragione dell'impedimento, propone ricorso al Presidente del Tribunale del luogo in cui è stata richiesta la costituzione dell'unione civile. Il Presidente fissa con decreto la comparizione delle parti davanti al collegio per una data compresa tra i tre e i dieci giorni da quella di presentazione del ricorso e dispone che ricorso e decreto siano comunicati al Procuratore della Repubblica e siano notificati, a cura del ricorrente, entro il giorno precedente a quello fissato per la comparizione, alle parti dell'unione civile e all'ufficiale dello stato civile del comune nel quale deve essere costituita l'unione civile. Il Tribunale, sentite le parti ed acquisiti senza particolari formalità gli elementi del caso, decide con decreto motivato avente efficacia immediata, indipendentemente dall'eventuale reclamo. Secondo un orientamento, il pubblico ministero è il soggetto legittimato a proporre impugnazione. Il titolo dell'art. 70-undecies d.P.R. n. 396/2000 (Opposizione del pubblico ministero) anzi induce a ritenere che sia l'unico legittimato, laddove nello schema del decreto legislativo n. 5/2017 il medesimo articolo era rubricato diversamente (Opposizione del pubblico ministero e di altri soggetti legittimati). Tuttavia, il testo dell'articolo non è stato modificato in sede di approvazione del decreto legislativo ed il comma 4 ancora prevede, con una formulazione che ingenera dubbi interpretativi, che «se l'opposizione è stata proposta da chi ne ha facoltà, per causa ammessa dalla legge, il presidente del tribunale può, con proprio decreto, ove ne sussista la opportunità, sospendere la costituzione dell'unione civile sino a che sia stata rimossa la opposizione». La tesi contraria alla legittimazione di terzi trova sostegno nell'argomentazione secondo cui, anche se volessero ritenere legittimati a proporre opposizione altri soggetti, questi ultimi — a differenza di quanto avviene per l'opposizione al matrimonio con l'art. 102 c.c. — non sono espressamente elencati dalla legge. Inoltre, deve rilevarsi che per le unioni civili non è previsto l'adempimento della pubblicazione, passaggio funzionale proprio all'eventuale proposizione di opposizione da parte di terzi interessati. La tesi prevalente ritiene, invece, che la legittimazione all'impugnazione spetterebbe, come per il matrimonio, alle parti dell'unione civile, agli ascendenti prossimi, al pubblico ministero ed a tutti coloro che abbiano un interesse legittimo ad impugnarla. Il regime dei termini per proporre impugnazione e delle sanatorie può essere desunto dal matrimonio. L'opposizione all'unione civile può essere sempre proposta prima della sua costituzione (art. 70-duodecies d.P.R. n. 396/2000). L'atto di opposizione e, successivamente, il decreto che rigetta od accoglie l'opposizione o il provvedimento di estinzione del giudizio (art. 70-terdecies d.P.R. n. 396/2000) devono essere annotati nel processo verbale di richiesta di costituzione. Sono impedimenti alla costituzione di un'unione civile: a) il fatto che una delle parti sia già vincolata da matrimonio o unione civile; b) l'interdizione per infermità di mente di una delle parti; c) la sussistenza tra le parti dei vincoli di parentela affinità o adozione di cui all'art. 87 c.c.; d) il fatto che una delle parti dell'unione civile sia stata condannata per omicidio consumato o tentato nei confronti del coniuge o di chi sia unito civilmente all'altro contraente. L'unione civile contratta in presenza di uno degli impedimenti sopra indicati è nulla. Dichiarazione costitutiva dinanzi all'ufficiale di stato civileTrascorsi trenta giorni dalla formazione del processo verbale di richiesta di costituzione (o anche da data antecedente, se le verifiche sono completate prima e l'ufficiale dello stato civile ne ha dato obbligatoria comunicazione ai richiedenti), le parti possono presentarsi davanti all'ufficiale dello stato civile per costituire l'unione civile (artt. 70-ter, comma 1 e 70-octies d.P.R. n. 396/2000) Le parti devono comparire personalmente, senza possibilità alcuna di derogare a tale principio mediante una procura all'uopo rilasciata a terzi, nel giorno prescelto. Il d.lgs. n. 5/2017 ha espressamente previsto, come per il matrimonio, la possibilità di delegare le funzioni dell'ufficiale dello stato civile a consiglieri e assessori comunali o a cittadini italiani che hanno i requisiti per l'elezione a consiglieri comunali (art. 1, comma 3 d.P.R. n. 396/2000). Per consacrare la solennità della costituzione dell'unione, durante la costituzione, l'ufficiale dello stato civile deve indossare la fascia tricolore, come avviene durante la celebrazione del matrimonio civile (l'art. 70 d.P.R. n. 396/2000). L'Ufficiale di Stato civile provvede alla registrazione degli atti dell'unione nell'archivio di Stato civile. Con d.P.R. 23 luglio 2016, n. 144 è stato emanato un Regolamento recante disposizioni transitorie necessarie per la tenuta dei registri nell'archivio dello Stato civile, ai sensi dell'art. 1, comma 34, della l. n. 76. Alcuni giorni dopo, con decreto del 28 luglio 2016, il Ministero dell'interno ha approvato apposite formule per gli adempimenti a cui sono tenuti i funzionari dello Stato, al momento della costituzione di una unione. Il regolamento è rimasto in vigore fino alla emanazione del d.lgs. n. 5/2017, che è intervenuto sul d.P.R. n. 396/2000 mediante specificazione che talune disposizioni in esso contenuto si applicano anche alle unioni civili (es. annotazione delle unioni civili negli atti di nascita, iscrizione dell'atto di costituzione delle unioni civili nell'archivio dello stato civile), sia mediante l'introduzione di una disciplina specifica per le unioni civili, con l'inserimento dell'art. 70 d.P.R. n. 396/2000, di un autonomo Titolo VIII-bis «Della richiesta e della costituzione delle unioni civili», in cui vengono disciplinati aspetti quali il contento dell'atto di costituzione dell'unione civile, il regime delle annotazioni nell'atto di costituzione, la registrazione delle unioni civili negli archivi di stato civile, la disciplina della richiesta e della costituzione dell'unione civile, il regime delle opposizioni alla costituzione della unione civile. La forma pubblica non modifica la formazione negoziale dell'istituto, in quanto il funzionario pubblico ha solo una funzione «certificativa», o «ricognitiva», della volontà delle parti. Pur nel silenzio della legge, si può ritenere che il pubblico ufficiale sia tenuto a verificare che il contenuto della dichiarazione sia conforme ai principi dell'ordinamento giuridico, quindi non sia contraria a norme imperative, all'ordine pubblico e al buon costume. Si notano delle consonanze con l'istituto matrimoniale, ma la differenza consiste nel fatto che nel matrimonio la celebrazione è necessariamente preceduta dalla pubblicazione del proposito dei nubendi, trattandosi di un passaggio funzionale all'eventuale proposizione di opposizione da parte di terzi interessati (art. 93 c.c.). Nell'unione civile questo atto preliminare non è richiesto, mentre rimane confermata la necessità di certificare il rapporto mediante un documento attestante la costituzione dell'unione, che deve contenere i dati anagrafici delle parti, l'indicazione del loro regime patrimoniale e della loro residenza, oltre i dati anagrafici e la residenza dei testimoni (art. 1 comma 9). Uno dei principi ispiratori del rapporto è l'uguaglianza tra i partners. Il concetto di uguaglianza deve coniugarsi con quello di pari opportunità di svolgimento e di realizzazione della personalità del singolo all'interno del rapporto, senza che ciò si riduca a significare una riduttiva parità quantitativa di diritti e doveri. Si vedrà con l'esame degli altri commi come tutta la legge esprima questa tensione verso l'uguaglianza: si pensi alla possibilità dei componenti dell'unione civile di scegliere l'attribuzione del cognome familiare. Infatti, mediante dichiarazione resa all'Ufficiale di stato civile le parti possono stabilire di assumere, per la durata del rapporto, un cognome comune scegliendolo tra i loro cognomi. La parte può anteporre o posporre al cognome comune il proprio cognome, se diverso, facendone dichiarazione al pubblico ufficiale (art. 1 comma 10; così anche art. 70-octies comma 3 d.P.R. n. 396/2000). Gli uniti civilmente sono pari anche nella possibilità stabilita per legge di concordare tra loro l'indirizzo della vita familiare e fissare la residenza comune, ed a ciascuna delle parti spetta il potere di attuare l'indirizzo concordato (art. 1 comma 12). Il d.lgs. n. 5/2017 ha precisato che l'Ufficiale dello stato civile, ricevuta la dichiarazione delle parti, deve dare lettura dei commi 11 e 12 dell'art. 1 legge n. 76/2016, nei quali sono enunciati i diritti e i doveri discendenti dalla costituzione dell'unione civile (artt. 70-octies, comma 4 e 70-quaterdecies, comma 1, lett. d, d.P.R. n. 396/2000). Rispetto al matrimonio, il ruolo dell'ufficiale è un po' ridimensionato, rimandando all'estraneo il compito di pronunziare formule solenni di chiusura. Da ciò ha tratto argomento quella dottrina secondo cui il legislatore abbia, opportunamente recepito, nella disciplina dell'unione civile, quell'opinione che riconduce la funzione svolgerà dall'ufficiale dello stato civile nel matrimonio ad un'opera di mera ricognizione della volontà espressa dai nubendi. Si può ritenere estesa anche alle parti dell'unione civile che non conoscano la lingua italiana, che siano sorde, mute o comunque impedite nel comunicare, le modalità di celebrazione in casi particolari, già contemplate per le nozze (art. 66, d.P.R. 3 novembre 2000, n. 396, riformato dal d.lgs. n. 5 del 2017).L'atto di costituzione dell'unione civile viene letto dell'ufficiale dello stato civile agli intervenuti e sottoscritto dalle parti, dai testimoni e dall'ufficiale dello stato civile (art. 70-octies, comma 4 d.P.R. n. 396/2000). A differenza di quanto prescritto per il matrimonio dall'art. 107 c.c., non è richiesto che l'Ufficiale di stato civile dichiari la costituzione dell'unione civile, da ciò alcuni autori fanno derivare la natura squisitamente consensuale dell'atto costitutivo dell'unione civile (G. Ferrando, 10/2016, 895; Fasano — Gassani, 62). La costituzione dell'unione civile avviene nella casa comunale. L'atto anche se non prevede le pubblicazioni e la celebrazione è un negozio solenne. La volontà delle parti viene consacrata davanti all'ufficiale di stato civile, alla presenza di due testimoni, pur essendo volontà del legislatore non costituire l'atto con le formalità proprie del matrimonio. Da subito, la novità legislativa non è stata accolta con favore, e numerosi comuni hanno emanato delibere di regolamentazione della costituzione dell'unione dal contenuto discriminatorio rispetto alla celebrazione del matrimonio. Sono già intervenute le prime pronunce del giudice amministrativo che hanno annullato tali delibere comunali poiché avevano previsto per la costituzione delle unioni civili condizioni di luogo e tempo diverse da quelle riservate al matrimonio civile. Sono state, così, ritenute illegittime le delibere che hanno riservato per la costituzione delle unioni civili una stanza diversa da quelle di rappresentanza del municipio destinata ai matrimoni civili (Tar Lombardia, sezione Brescia, sentenza del 29 dicembre 2016). In caso di infermità o di altro giustificato impedimento, la costituzione dell'unione civile può avvenire anche al di fuori della casa comunale (art. 70-novies d.P.R. n. 396/2000). In tale ipotesi, l'ufficiale si trasferisce con il segretario nel luogo in cui si trova la parte impedita e, ivi, alla presenza di due testimoni, procede alla costituzione dell'unione civile. Né la legge n. 76/2016, né il successivo decreto attuativo n. 5/2017 hanno preso in considerazione l'ipotesi della mancata comparizione, senza giustificato motivo, di una o di entrambe le parti nel giorno indicato nell'invito. Il legislatore si era invece preoccupato di disciplinare questa ipotesi con il previgente d.P.C.M. n. 144/2016 prevedendo che ciò equivalesse ad una implicita rinuncia, con obbligo per l'ufficiale di redigere un verbale, sottoscritto anche dalla parte e dai testimoni ove presenti, archiviato nel registro provvisorio delle unioni civili unitamente al verbale di richiesta di costituzione (art. 3, comma 5 d.P.C.M. n. 144/2016) Nel silenzio delle nuove norme sul punto, si può ritenere che l'assenza ingiustificata di una o di entrambe le parti possa essere considerata una rinuncia tacita alla richiesta già formulata. L'obbligo di redazione del processo verbale della mancata comparizione, letto e sottoscritto dall'ufficiale di stato civile, nonché dalla parte e dai testimoni eventualmente presenti, attesta la mancata costituzione dell'unione. Taluni difetti del procedimento di celebrazione dell'unione, come ad esempio la mancata presenza dei testimoni, l'incompetenza dell'ufficiale dello stato civile o il mancato rispetto da parte sua di altre formalità, possono dare luogo a mere irregolarità, che sanzionabili con l'irrogazione di una sanzione pecuniaria a carico del funzionario pubblico ed eventualmente a carico delle parti (Fasano — Gassani, 77) Tra le ipotesi di costituzione dell'unione civile vi è quella che si verifica nell'ipotesi di sentenza di rettificazione di attribuzione di sesso di un coniuge. L'art. 1, comma 27 legge n. 76 ha previsto che in tal caso, ove i coniugi abbiano manifestato la volontà di non sciogliere il matrimonio o di non cessarne gli effetti civili, consegue l'automatica instaurazione dell'unione civile tra persone dello stesso sesso. La disciplina contenuta nella legge n. 76/2016 è stata integrata dall'art. 7 d.lgs. n. 5/2017 che ha apportato modifiche al decreto legislativo 1° settembre 2011, n. 150. Nello specifico, il decreto delegato ha inserito il comma 4-bis all'art. 31 d.lgs. n. 150/2011, ai sensi del quale nel procedimento giudiziale di rettificazione dell'attribuzione di sesso, il ricorrente ed il coniuge possono, con dichiarazione congiunta resa personalmente in udienza fino alla precisazione delle conclusioni, esprimere la volontà, in caso di accoglimento della domanda, di costituire l'unione civile, effettuando le eventuali dichiarazioni riguardanti la scelta del cognome ed il regime patrimoniale. Il tribunale, con la sentenza che accoglie la domanda, ordina all'ufficiale dello stato civile del comune di celebrazione del matrimonio o di trascrizione se avvenuto all'estero, di iscrivere l'unione civile nel registro delle unioni civili e di annotare le eventuali dichiarazioni rese dalle parti relative alla scelta del cognome ed al regime patrimoniale. Ai sensi dell'art. 70-octies, comma 5 d.P.R. n. 396/2000, inserito dal medesimo d.lgs. n. 5/2017, l'ufficiale di stato civile effettua tali adempimenti. La scelta del cognome comuneLa legge n. 76/2016 prevede che nella dichiarazione di costituzione dell'unione civile, la parti possono indicare di voler assumere, per la durata dell'unione civile, un cognome comune scegliendolo tra i loro cognomi (art. 1, comma 10). La legge statuisce altresì che la parte il cui cognome non sia stato scelto, può optare se anteporre o posporre il proprio cognome a quello comune, facendone dichiarazione all'ufficiale dello stato civile (art. 1, comma 10 l. n. 76/2016 e art. 70-octies, comma 3 d.P.R. n. 396/2000). Le parti dell’unione civile possono scegliere, sia al momento della costituzione, sia successivamente, un cognome comune, individuato tra uno dei cognomi dei componenti la coppia, facendone espressa dichiarazione all’ufficiale di stato civile. La dichiarazione di scelta non pare potersi definire un atto reversibile, sicché con dichiarazione successiva le parti possono modificare la decisione originaria. Il cognome comune riveste tradizionalmente una funzione identificativa della famiglia e la scelta legislativa di attribuire alle parti dell'unione civile la facoltà di assumerne uno, nasce dal riconoscimento che anch'esse possano avere interesse a manifestare all'esterno la comunione di vita (Bugetti, 911). I primi commentatori della legge hanno interpretato la disposizione de qua, ritenendo che la scelta del cognome comune determinasse la perdita del cognome di una della parti (Bugetti, 911). Effettivamente, tale interpretazione era confermata dalla disposizione contenuta nel d.P.C.M. 23 luglio 2016, n. 144, ove si precisava che a seguito della dichiarazione relativa al cognome, i competenti uffici dovevano procedere all'annotazione nell'atto di nascita e all'aggiornamento della scheda anagrafica (art. 4, comma 2). Il successivo d.lgs. n. 5/2017, la cui entrata in vigore ha determinato la perdita di efficacia del previgente d.P.C.M. n. 144/2016, ha disciplinato in modo differente la questione. Esso, infatti, prevede che l'eventuale dichiarazione sul cognome non determini una modifica anagrafica del cognome, ma abbia il solo effetto di consentire l'uso del cognome comune, per la durata dell'unione civile. Diversamente e nell'ottica della vigente disciplina, il d.lgs. n. 5/2017 ha aggiunto all'art. 20 d.P.R. n. 223/1989 in materia di regolamento anagrafico, una disposizione chiarificatrice secondo cui, per le parti dell'unione civile le schede anagrafiche devono essere intestate al cognome posseduto prima dell'unione civile (art. 20, comma 3-bis d.P.R. n. 223/1989). La precisazione assume un rilievo determinante tenuto conto che al momento dell'approvazione della legge si pensava che la costituzione dell'unione con la scelta del cognome determinasse una sostanziale modifica della scheda anagrafica dell'unito civilmente. Il successivo art. 8 d.lgs. n. 5/2017 ha previsto di conseguenza una norma di coordinamento con il previgente d.P.C.M. n. 144/2016, statuendo che entro 30 giorni dall'entrata in vigore del decreto delegato, l'ufficiale di stato civile con la procedura di correzione di cui all'art. 98, comma 1, d.P.R. 396/2000, debba annullare l'annotazione relativa alla scelta del cognome effettuata a norma dell'art. 4, comma 2, del d.P.R. 23 luglio 2016, n. 144. La Corte costituzionale, con sentenza Corte Cost. n. 212/2018ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 3, lett. c.), n. 2, e 8, d.lgs. 19 gennaio 2017, n. 5, per violazione degli artt. 2,3,11,76 e 117, comma 1, cost., quest'ultimo in relazione all'art. 8 della CEDU e agli artt. 1 e 7 della CDFUE, nella parte in cui rispettivamente prevedono che le schede relative alle parti dell'unione civile devono essere intestate al cognome posseduto prima dell'unione civile e che l'ufficiale dello stato civile, con la procedura di correzione, annulla l'annotazione relativa alla scelta del cognome comune avvenuta nelle more, poiché a) l'esclusione della valenza anagrafica del cognome comune rappresenta il coerente sviluppo dei principi posti dalla legge di delega, e in particolare dell'esigenza di adeguamento alla norma di cui alla legge sull'unione civile, secondo cui la durata del cognome comune è limitata alla durata dell'unione; b) la tutela del diritto al nome non si identifica con la valenza anagrafica del cognome comune, restando comunque fermo il valore d'uso del cognome comune eventualmente individuato, così come avviene per le coppie unite in matrimonio, anche con riguardo alla sua posizione, quale garanzia adeguata dell'identità della coppia unita civilmente; c)la previsione del procedimento di correzione, volto ad ottenere la caducazione delle annotazioni effettuate medio tempore, non lede il ragionevole affidamento delle parti, in quanto l'effetto modificativo della scheda anagrafica rivestiva la medesima natura provvisoria, e garantisce, in ogni caso, il contraddittorio degli interessati, seppure differito. Appare evidente l'analogia con l'istituto matrimoniale, tenuto conto che il legislatore, con tale modifica, ha ritenuto di assimilare il trattamento previsto per il cognome dell'unito civilmente con quello del matrimonio. Ma a differenza dell'art. 143-bis c.c., dal quale sembrerebbe discendere ope legis l'aggiunta alla moglie del cognome del marito al proprio, resta mera facoltà di quest'ultima l'utilizzo del cognome maritale (Bugetti, 911). Nella Relazione Illustrativa dello Schema di Decreto Legislativo n. 5/2017, si legge testualmente: «tale opzione interpretativa è parsa la più convincente, tenuto conto, non solo di quanto previsto per il matrimonio, ma anche dal fatto che una vera e propria variazione anagrafica del cognome della parte dell'unione civile determinerebbe il mutamento anagrafico anche del cognome del figlio della medesima parte dell'unione civile ed eventualmente per il solo periodo di durata dell'unione, effetto questo che pare eccedere la volontà del legislatore primario». Come per il matrimonio, il cognome comune può essere utilizzato unicamente finché dura il rapporto. Va rilevata una sostanziale diversità rispetto al matrimonio riferibile alla possibilità di conservare il cognome anche al momento dello scioglimento del vincolo. Infatti, la legge n. 76/2016 non prevede il rinvio alle disposizioni in tema di cognome contenute nella legge sul divorzio (art. 5 commi 2, 3, 4 legge n. 898/1970) che consentono al giudice, su istanza di parte, di autorizzare la donna che ne faccia richiesta a conservare il cognome del marito, quando sussista un interesse suo o dei figli. Non è certa la possibilità di modificare o scegliere il cognome in un momento successivo alla costituzione del vincolo, secondo alcuni autori non essendo stato previsto un termine di decadenza, sarebbe possibile effettuare tale scelta anche in seguito. Sarebbe opportuno che la scelta del cognome comune sia effettuata solo contestualmente alla costituzione dell'unione civile, perché in tal modo si consente agli uniti civilmente di modificare il proprio cognome anche nel corso del rapporto, con ovvi problemi riferibili alla identificazione del nucleo familiare all'esternodel tutto contrastante con il principio di immutabilità dei segni identificativi della persona (Bugetti, 913). Tenuto conto della sostanziale uguaglianza dei partner la scelta del cognome è effettuata delle parti secondo un comune accordo. Si tratta di una disposizione significativa nell'ottica della piena affermazione del principio di uguaglianza, da estendersi in una prospettiva de iure condendo anche alle coppie coniugate . Mentre nel caso del matrimonio la norma oggi vigente, di cui da più parti si chiede la revisione, stabilisce che la moglie aggiunge al proprio cognome il cognome del marito (art. 143-bis c.c.), nel caso di unione civile le parti scelgono quale dei loro cognomi debba divenire cognome comune (comma 10) che l'altra parte può aggiungere al proprio. In realtà al di là della formulazione legislativa, la scelta del cognome comune dovrebbe ritenersi obbligatoria, atteso che il cognome comune riveste una funzione identificativa della famiglia e la scelta legislativa di attribuire alle parti dell'unione civile la facoltà di assumerne uno, nasce dal riconoscimento che anch'esse possano avere interesse a manifestare all'esterno la comunione di vita (Bugetti, 911). In un primo momento la dottrina ha ritenuto che la scelta del cognome comune determinasse la perdita del cognome di una della parti (Bugetti, 911). Ciò in ragione della disposizione contenuta nel d.P.C.M. 23 luglio 2016, n. 144, secondo cui a seguito della dichiarazione relativa al cognome, i competenti uffici dovevano procedere all'annotazione nell'atto di nascita e all'aggiornamento della scheda anagrafica (art. 4, comma 2). Il successivo d.lgs. n. 5/2017, la cui entrata in vigore ha determinato la perdita di efficacia del previgente d.p.c.m. 144/2016, ha invece previsto che l'eventuale dichiarazione sul cognome non determini una modifica anagrafica del cognome, ma abbia il solo effetto di consentire l'uso del cognome comune, per la durata dell'unione civile. Il d.lgs. n. 5/2017 ha aggiunto all'art. 20 d.P.R. n. 223 del 1989 in materia di regolamento anagrafico, una disposizione chiarificatrice secondo cui per le parti dell'unione civile le schede anagrafiche devono essere intestate al cognome posseduto prima dell'unione civile (art. 20, comma 3-bis d.P.R. n. 223/1989). L'art. 8 del d.lgs. n. 5/2017 ha introdotto una norma di coordinamento con il previgente d.p.c.m. n. 144/2016, stabilendo che entro 30 giorni dall'entrata in vigore del decreto delegato, l'ufficiale di stato civile, con la procedura di correzione di cui all'art. 98, comma 1, d.P.R. 396/2000, è tenuto ad annullare l'annotazione relativa alla scelta del cognome effettuata a norma dell'art. 4, comma 2, del d. P.R. 23 luglio 2016, n. 144. Con questa specifica regolamentazione, si è optato per un trattamento analogo a quello previsto per il cognome della moglie. A differenza dell'art. 143-bis c.c., dal quale sembrerebbe discendere ope legis l'aggiunta del cognome del marito al proprio, resta mera facoltà della moglie l'utilizzo del cognome maritale (L'art 20 comma 3 d.P.R. n. 223/1989, prevede relativamente allo schedario anagrafico che «Per le donne coniugate o vedove le schede devono essere intestate al cognome da nubile»). Alcuni autori hanno rilevato l'illegittimità costituzionale della norma contenuta nel decreto attuativo n. 5/2017 (art. 3, comma 1, lett. c), n. 2), in quanto il Governo delegato a dare attuazione alla legge Cirinnà avrebbe sostanzialmente derogato ad un principio espresso dalla stessa legge, commettendo un eccesso di delega. La legge del 2016 conteneva al comma 10 la previsione di un cognome comune dell'unione civile, il quale poteva essere scelto liberamente dalle parti, diventando il cognome anagrafico delle stesse. Le due parti potevano scegliere, mediante una dichiarazione congiunta all'ufficiale di stato civile, di avere un unico cognome comune. La parte il cui cognome non era stato scelto poteva decidere, con separata dichiarazione, di mantenere anche il proprio cognome, ma poteva anche decidere di prendere anagraficamente il solo cognome dell'altra parte: dunque non vi erano dubbi sulla rilevanza anagrafica della scelta, come sottolineato dalla dottrina. Il d.lgs. n. 5/2017 ha invece stabilito che tale cognome non può avere alcuna rilevanza anagrafica, assumendo la funzione di semplice cognome d'uso. Quindi il cognome non può essere indicato nei documenti, e non viene trasmesso ad eventuali figli comuni. Una recente decisione di merito si è pronunciata in senso critico, disapplicando l'art. 8 del d.lgs. n. del 2017, ove impone all'ufficiale di stato civile di annullare dalle schede anagrafiche l'annotazione relative alla scelta del cognome comune dell'unione civile, fatta in forza della disciplina provvisoria, trattandosi di disposizione lesiva della dignità della persona. Il Tribunale di Lecco, prima sezione civile, con ordinanza del 2 aprile 2017, ha inibito al Sindaco del Comune di Lecco di annullare l'annotazione anagrafica del cognome comune scelto da due donne unite civilmente, trasmesso anche alla bambina nata dopo la celebrazione dell'unione. Il Tribunale ha riconosciuto il diritto a mantenere il cognome scelto, assumendo che l'avvicendamento di norme avrebbe prodotto nella fattispecie in esame una lesione della dignità della persone e dell'interesse supremo del minore, che trovano tutela nei principi dell'Unione europea. Registrazione dell'unioneL'Ufficiale di stato civile, dopo aver ricevuto la dichiarazione delle parti ed aver espletato le altre formalità richieste, provvede alla registrazione degli atti dell'unione nell'archivio di stato civile (art. 1, comma 3 legge n. 76). La registrazione degli atti assicura la pubblicità e l'efficacia dello status di unito civilmente, sia tra le parti che nei confronti dei terzi. Il d.P.C.M. n. 144/2016, applicabile dal 29 luglio 2016 sino all'entrata in vigore dei decreti attuativi (11 febbraio 2017), aveva disposto che presso ciascun comune fosse istituito un registro provvisorio delle unioni civili (art. 9). Il vigente d.lgs. n. 5/2017 ha confermato che, sino alla compiuta attuazione del archivio unico informatico dello stato civile, di cui all'art. 10 d.P.R. n. 396/2000, gli atti delle unioni civili verranno iscritti nell'apposito registro delle unioni civili istituito presso ciascun comune (art. 14, comma 4-bis r.d. n. 1238/1939), tenuto in doppio originale (art. 16 r.d. n. 1238/1939) e suddiviso in due parti. Il d.lgs. n. 5/2017 ha introdotto nel medesimo regio decreto, un apposito articolo (art. 134-bis) relativo alla struttura del registro delle unioni civili. Ai sensi dell'art. 69 comma 1-bis d.P.R. n. 396/2000 nell'atto di costituzione dell'unione civile devono essere annotati: a) le convenzioni patrimoniali, le relative modificazioni, le sentenze di omologazione di cui all'art. 163 c.c., le sentenze di separazione giudiziale dei beni di cui all'art. 193 c.c., e la scelta della legge applicabile ai loro rapporti patrimoniali operata in base alle vigenti norme di diritto internazionale privato; b) la dichiarazione contenente la manifestazione di volontà di scioglimento dell'unione civile resa ai sensi dell'art. 1, comma 24 legge n. 76/2016; c) le sentenze, anche straniere, di scioglimento dell'unione civile e quelle che dichiarano efficace nello Stato la pronuncia straniera di nullità o di scioglimento dell'unione civile d) gli accordi raggiunti a seguito di convenzione di negoziazione assistita da uno o più avvocati, conclusi tra le parti al fine di raggiungere una soluzione consensuale di scioglimento dell'unione civile; e) gli accordi di scioglimento dell'unione civile ricevuti dall'ufficiale dello stato civile; f) le sentenze con le quali si pronuncia l'annullamento della trascrizione dell'atto di costituzione dell'unione civile; g) le sentenze dichiarative di assenza o di morte presunta di una delle parti dell'unione civile e di quelle che dichiarano l'esistenza della parte di cui era stata dichiarata la morte presunta o ne accertano la morte; h) i provvedimenti che determinano il cambiamento o la modificazione del cognome o del nome o di entrambi e dei provvedimenti di revoca relativi ad una delle parti dell'unione civile; i) i provvedimenti di rettificazione. L'atto di costituzione di unione civile deve, inoltre, essere annotato nell'atto di nascita delle parti, al pari dell'atto di matrimonio (art. 49, comma 1, lettera f d.P.R. n. 396/2000). Cause impeditiveLa legge ha previsto specifiche proibizioni legali alla costituzione di una valida unione civile, individuate come cause impeditive, le quali possono essere classificate in due gruppi. La prima categoria, contemplata dal comma 4 dell'art. 1, individua quelle cause che determinano la nullità dell'unione, che se celebrata può essere impugnata senza limiti di tempo. La seconda categoria, disciplina dal comma 7 dell'art. 1, comprende, invece, tutte le cause impeditive che causano l'annullabilità dell'unione, che può essere fatta valere solo entro un anno. Le cause di impedimento dell'unione civile indicate al comma 4 dell'art. 1 sono pressoché identiche a quelle previste dal codice civile per gli impedimenti matrimoniali. Taluni difetti del procedimento di celebrazione dell'unione possono dare luogo a mere irregolarità, come la mancata presenza dei testimoni, l'incompetenza dell'ufficiale dello stato civile o il mancato rispetto da parte sua di alcune formalità ecc... Queste irregolarità possono portare come conseguenza l'irrogazione di una sanzione pecuniaria a carico del funzionario pubblico ed eventualmente a carico delle parti, come avviene per il matrimonio. I vizi che riguardano la ricorrenza di alcune cause impeditive determinano una invalidità dell'unione che, in alcuni casi, non può essere sanata. L'invalidità dell'unione si ricollega a taluni difetti genetici dell'atto, di per sé stesso insanabili (riguardanti ad esempio la libertà di stato) nonché di vincolo parentale, mentre per le altre ipotesi, ed in particolare per quelle disciplinate dall'art. 1, comma 7 (come nel caso di consenso estorto con violenza o con errore sulla identità della persona), il difetto genetico può essere sanato mediante la coabitazione protrattasi per un anno. Con la coabitazione, il partner dimostra di aver superato i problemi riguardanti il vizio del consenso o l'errore sulla identità della persona. Un presupposto imprescindibile è, infatti, la libertà di stato e la diversità di sesso. Sotto tale profilo la disciplina è quasi identica a quella dettata dal codice civile sull’unione matrimoniale. La mancanza di tali presupposti causa l'inesistenza dell'unione. I transessuali, che vogliano contrarre un vincolo con un soggetto di sesso diverso, non possono essere ammessi all'unione civile, ma possono celebrare matrimonio: la l. n. 164/1982, infatti, prevede la rettificazione degli atti dello stato civile della persona che si sia sottoposta a intervento chirurgico o ad altri trattamenti per il mutamento di sesso. Si deve ritenere inesistente l'unione civile contratta da persone di sesso diverso. Con riferimento alla libertà di stato, le parti, per contrarre un'unione civile, non devono aver contratto un'altra unione o matrimonio. In particolare, la legge dispone che sono cause impeditive: a) la sussistenza, per una delle parti, di un vincolo matrimoniale o di un'altra unione civile; b) l'interdizione di una delle parti per infermità di mente; se l'istanza di interdizione è soltanto promossa, il pubblico ministero può chiedere che si sospenda la costituzione dell'unione civile, in tal caso il procedimento non può avere luogo finché la sentenza che ha pronunciato sull'istanza non sia passata in giudicato; c) la sussistenza tra le parti dei rapporti cui all'art. 87, primo comma, del codice civile; d) la condanna definitiva di un contraente per omicidio consumato o tentato nei confronti di chi sia coniugato o unito civilmente con l'altra parte; se è stato disposto soltanto rinvio a giudizio ovvero sentenza di condanna di primo o secondo grado ovvero una misura cautelare, la costituzione dell'unione civile è sospesa sino a quando non è pronunciata sentenza di proscioglimento (Fasano - Gassani, 64). Precedente vincolo. Come si è detto, la prima tra le cause impeditive elencate dal comma 4 è la sussistenza, per una delle parti, di un vincolo matrimoniale o di una unione civile tra persone dello stesso sesso. Tale impedimento consiste, quindi, nel divieto di contrarre nuove unioni civili qualora una delle parti sia già legata da un precedente vincolo matrimoniale (non sciolto e/o né annullato) o da una precedente unione civile. Ai sensi dell'art. 1, comma 8, legge n. 76/2016, la parte dell'unione civile può in qualunque momento impugnare il successivo matrimonio o unione civile dell'altra parte. In questo caso, se viene opposta la nullità della prima unione civile, tale questione deve essere preventivamente giudicata. Analogamente, anche il coniuge può impugnare in qualsiasi momento la unione civile costituita dell'altro coniuge dopo il matrimonio (art. 124 c.c., novellato dalla legge n. 76 art. 1, comma 33). La novella (art. 1, comma 32) ha altresì modificato l'art. 86 c.c. (Libertà di stato), prevedendo che la costituzione di un'unione civile costituisce, a sua volta, impedimento per la celebrazione del matrimonio. La nuova formulazione dell'art. 86 c.c. è ora la seguente: «Non può contrarre matrimonio chi è vincolato da un matrimonio o da un'unione civile tra persone dello stesso sesso precedente». In tal modo, la legge n. 76/2016 ha modificato la stessa nozione di libertà di stato, ora intesa come contestuale assenza di vincolo coniugale e di unione civile. La costituzione di un'unione civile in assenza di libertà di stato, configura il reato di bigamia di cui all'art. 556 c.p. Interdizione. La seconda causa impeditiva è l'interdizione di una delle parti per infermità di mente (comma 4 lett. b). Anche tra i requisiti per contrarre validamente matrimonio è previsto (art. 85 c.c.) la circostanza che il soggetto non sia interdetto per infermità di mente. La disposizione specifica, inoltre, che nel caso in cui l'istanza di interdizione sia stata soltanto promossa, il pubblico ministero può chiedere che si sospenda la costituzione dell'unione civile, la quale potrà aver luogo solo se e quando sia passata in giudicato la sentenza di rigetto dell'istanza di interdizione. Per espresso rinvio contenuto nell'art. 1, comma 5 legge n. 76/2016, alle unioni civili si applica, l'art. 119 c.c., ai sensi del quale il matrimonio di chi è stato interdetto per infermità di mente può essere impugnato dal tutore, dal pubblico ministero e da tutti coloro che abbiano un interesse legittimo se, al tempo dell'unione civile, vi era già sentenza di interdizione passata in giudicato, ovvero se la interdizione è stata pronunziata posteriormente ma l'infermità esisteva al tempo dell'unione. Anche la persona che era interdetta può impugnare l'unione, purché l'interdizione sia stata revocata. Con specifico riferimento a questa causa impeditiva va segnalato che nel caso di revoca dell'interdizione, l'azione di nullità dell'unione civile non può più essere proposta se, dopo la revoca, vi sia stata coabitazione per un anno. Con coabitazione, alcuni autori intendono la mera convivenza sotto lo stesso tetto, per altri è, invece, necessaria anche la comunanza morale e spirituale (Cfr. De Filippis, 162). Come si vedrà oltre, anche l'incapacità naturale, pur in assenza di una sentenza di interdizione, comporta nullità dell'unione civile. Vincoli parentali. Terza causa esplicitamente elencata dal comma 4 (lett. c) è la sussistenza, tra le parti che contraggono l'unione civile, dei rapporti di cui all'art. 87, comma 1, c.c. Non possono, pertanto, contrarre unione civile tra loro: 1) ascendenti e discendenti in linea retta; 2) fratelli o sorelle germani, consanguinei o uterini; 3) zio e nipote, zia e nipote (per l'unione civile, l'impedimento riguarda in realtà lo zio e il nipote e la zia e la nipote, come precisato dalla legge n. 76, art. 1, comma 4); 4) affini in linea retta, anche nel caso in cui l'affinità derivi da matrimonio dichiarato nullo o sciolto o per il quale sia stata pronunciata la cessazione degli effetti civili del matrimonio; 5) affini in linea collaterale in secondo grado; 6) adottante, adottato e i suoi discendenti; 7) figli adottivi della stessa persona; 8) adottato ed il coniuge dell'adottante, l'adottante e il coniuge dell'adottato. Secondo l'interpretazione offerta dai primi commentatori, l'omesso richiamo, da parte della legge n. 76/2016, dell'intero art. 87 c.c., induce a ritenere che non possano estendersi alle unioni civili le disposizioni in tema di deroghe ai divieti, contenuti nei successivi commi dell'art. 87 c.c.. Condanna per omicidio anche tentato. Infine, la quarta ed ultima causa impeditiva per la costituzione dell'unione civile (comma 4 lett. d) è rappresentata dalla condanna definitiva di una parte per omicidio, consumato o tentato, nei confronti di chi sia coniugato o unito civilmente con l'altra parte; se è stato disposto soltanto rinvio a giudizio ovvero sentenza di condanna di primo o secondo grado ovvero una misura cautelare, la costituzione dell'unione civile è sospesa sino a quando non è pronunciata sentenza di proscioglimento. Va segnalata una differenza con l'istituto matrimoniale, atteso che in quest'ultimo caso, ai sensi dell'art. 88 c.c., costituisce impedimento a contrarre unione civile solo la condanna definitiva. Dal momento del rinvio a giudizio o dell'emissione di ordine di cattura, non è comunque più possibile contrarre unione civile: l'eventuale procedura rimane sospesa e la costituzione diviene possibile solo dal momento in cui intervenga sentenza definitiva di proscioglimento. Secondo l'opinione prevalente della dottrina in tema di matrimonio, l'impedimento permane anche qualora successivamente intervenga amnistia, indulto o grazia (Vitali, 130). L'unione civile contratta in presenza di una delle cause impeditive previste dall'art. 1, comma 4 legge n. 76/2016 è nulla e può essere impugnata da: - ciascuna delle parti - ascendenti prossimi - pubblico ministero - tutti coloro che abbiano per impugnarla un interesse legittimo ed attuale. L'unione civile stipulata in violazione di una delle causa impeditive previste dal comma 4 o in violazione dell'art. 68 c.c., può essere impugnata da ciascuna delle parti, dagli ascendenti prossimi, dal pubblico ministero e da tutti coloro che hanno un interesse legittimo ed attuale. L'unione civile contratta da una parte durante l'assenza dell'altra non può essere impugnata finché dura l'assenza (art. 1, comma 6). Anche per l'istituto dell'unione civile, come per il matrimonio, il difetto del consenso è nullità dell'accordo. In questo caso l'unione può essere impugnata solo dalla parte il cui consenso è stato estorto con violenza o determinato da timore di eccezionale gravità provocato da cause esterne alla parte stessa. L'unione può essere impugnata dalla parte il cui consenso sia stato dato per effetto di errore sull'identità della persona o di errore essenziale su qualità personali dell'altra parte (art. 1, comma 7). L'impugnazione può essere proposta solo nell'eventualità che non vi sia stata coabitazione per un anno dopo che è cessata la violenza o siano cessate le cause che hanno determinato il timore o è stato scoperto l'errore. Per quanto concerne l'errore sulle qualità della persona, il legislatore, analogamente al matrimonio, stabilisce che per essere ritenuto errore essenziale deve riguardare: a) l'esistenza di una malattia fisica o psichica, tale da impedire lo svolgimento della vita comune; b) le circostanze di cui all'art. 122, comma 3, nn. 2) 3) e 4) c.c.: 2) l'esistenza di una sentenza di condanna per delitto non colposo alla reclusione non inferiore a cinque anni, salvo il caso di intervenuta riabilitazione prima della contrazione dell'unione civile. L'azione di annullamento non può essere proposta prima che la sentenza sia divenuta irrevocabile; n. 3) la dichiarazione di delinquenza abituale o professionale; n. 4) la circostanza che l'altro partner sia stato condannato per delitti concernenti la prostituzione a pena non inferiore a due anni. L'azione di annullamento non può essere proposta prima che la condanna sia divenuta irrevocabile. Nullità conseguente alla ricorrenza di una causa impeditivaIl legislatore sanziona con la nullità la costituzione di unione civile effettuata nonostante la sussistenza di una causa impeditiva. Ai sensi dell'art. 1 comma 5 all'istituto si applicano gli articoli 65 e 68, nonché le disposizioni di cui agli artt. 119,120,123,125,126,127,128,129 e 129-bis del c.c.Possiamo dire che, per quanto concerne gli impedimenti alla costituzione del vincolo, la legge contempla una disciplina quasi identica a quella dettata dal codice civile per l’unione matrimoniale. Un indirizzo della dottrina ritiene che la mancanza dei presupposti per la costituzione dell'unione come la minore età o la diversità di sesso determinano la nullità del vincolo. Va condiviso l'indirizzo più rigoroso che ritiene invece l'inesistenza dell'unione civile. Il testo originario del disegno di legge (poi sostituito interamente da un maxiemendamento governativo, che ha riscritto l'articolato con un unico articolo suddiviso in numerosi commi), prevedeva che comportasse la nullità dell'unione civile la sussistenza di una delle cause impeditive «di cui al presente articolo» (espressione ora sostituita, appunto, da «di cui al comma 4»), dovendosi pertanto ricomprendere, tra le ipotesi di nullità, anche quelle implicitamente contenute nell'attuale comma 2 della l. 76/2016 (ossia il «vecchio» art. 2 comma 1 del disegno di legge, A.S. 2081) (Spadaro-Dell'Osta, Unioni civili e convivenze: tutte le novità, in Il civilista, Milano, 2016). Nella seconda parte delle disposizione si ripete il contenuto di alcune tipiche ipotesi riguardanti l'istituto matrimoniale, attraverso i seguenti richiami: - degli artt. 65 e 68 c.c. in materia di morte presunta. Ebbene, nel caso in cui sia stata dichiarata la morte presunta di una delle parti dell'unione civile con sentenza eseguibile, l'altra parte può costituire una nuova unione civile (art. 65 c.c.); nel caso in cui la parte dichiarata morta ritorni o ne sia accertata l'esistenza, la nuova unione civile è nulla, fatti salvi i relativi effetti civili. Non può essere pronunciata la nullità nel caso in cui sia accertata la morte, anche se avvenuta in data posteriore a quella della costituzione dell'unione civile (art. 68 c.c.); - dell'art. 119 c.c., ai sensi del quale il matrimonio di chi è stato interdetto per infermità di mente può essere impugnato dal tutore, dal pubblico ministero e da tutti coloro che abbiano un interesse legittimo se, al tempo dell'unione civile, vi era già sentenza di interdizione passata in giudicato, ovvero se la interdizione è stata pronunziata posteriormente ma l'infermità esisteva al tempo dell'unione. Anche la persona che era interdetta può impugnare l'unione, purché l'interdizione sia stata revocata. In ipotesi di revoca dell'interdizione, l'azione di nullità dell'unione civile non può più essere proposta se, dopo la revoca gli uniti civilmente hanno coabitato per un anno; - anche in assenza di interdizione, l'unione più essere impugnata da chi provi di essere stato incapace di intendere e volere, per qualsiasi causa anche transitoria, al momento della costituzione, ai sensi dell'art. 120 c.c. richiamato dal comma 5 dell'art 1 legge n. 76. Deve trattarsi di incapacità a comprendere il senso, anche giuridico, del vincolo che si sta assumendo. Può dipendere da ubriachezza o da assunzione di sostanza stupefacenti, sonnambulismo, ipnosi, ecc. (De Filippis, 162). È irrilevante la buona o la mala fede dell'altra parte. A differenza di quanto accade per il caso dell'interdizione, in cui sono legittimati ad agire vari soggetti, l'unico a poter esperire l'azione di nullità è la parte che si sia trovata in stato di incapacità. Anche in questo caso, l'impugnazione non può essere proposta se vi è stata coabitazione per un anno dopo che la parte incapace abbia recuperato la pienezza delle facoltà mentali (art. 120, comma 2 c.c.) e si prescrive in 10 anni se non vi è stata coabitazione. - dell'art. 123 c.c., quanto all'ipotesi dell'evenienza simulatoria (Trimarchi, Art. 123, in Comm. c.c.Gabrielli, La famiglia, a cura di Balestra, Torino 2011, I, 311). Si ha unione civile simulata quando, prima della sua costituzione, le parti abbiano convenuto di non adempiere agli obblighi e di non esercitare i diritti da essa discendenti. Come per il matrimonio, anche per le unioni civili, un simile accordo determina la nullità del vincolo, che potrà essere impugnato da ciascuna delle parti. Applicando analogicamente l'interpretazione giurisprudenziale e dottrinale maggioritaria data alla simulazione nel matrimonio, deve ritenersi che anche in tema di unioni civili, l'intesa deve essere anteriore alla costituzione dell'unione, può anche essere orale e deve concernere tutti gli obblighi nascenti dallo status di uniti civilmente. Anche in questo caso l'impugnazione non può essere proposta decorso un anno dalla costituzione dell'unione o nel caso in cui i contraenti abbiano convissuto come partner successivamente alla costituzione. - dell'art. 125 c.c., cioè della disposizione che esclude l'esercizio dell'azione di nullità da parte del P.M., dopo la morte di una delle parti dell'unione civile; - dell'art. 126 c.c. ai sensi del quale quando è proposta azione di nullità dell'unione civile, il tribunale può, su istanza di una delle parti, ordinare la loro separazione temporanea durante il giudizio; tale separazione può anche essere ordinata d'ufficio se ambedue le parti o una di esse sono minori o interdette. La separazione delle parti in pendenza di giudizio di nullità non richiede la preventiva valutazione dell'intollerabilità della convivenza o del pregiudizio per la prole (De Filippis, 174). Secondo un indirizzo della dottrina, in pendenza di giudizio di impugnazione, anche se l'art. 126 c.c. non lo prevede espressamente, il tribunale può adottare i provvedimenti temporanei ed urgenti ritenuti opportuni (Ferrando-Querci, 169). - dell'art. 127 c.c., che stabilisce l'intrasmissibilità dell'azione di nullità stessa, salvo che non sia già pendente al momento della morte; - dell'art. 128 c.c., che al pari del matrimonio prevede e disciplina l'unione civile putativa. Con l'espressione «matrimonio putativo» si intende, tradizionalmente, il matrimonio erroneamente ritenuto valido in quanto celebrato dai coniugi in buona fede, ossia nell'ignoranza dell'esistenza di una causa di invalidità (Ferrando, 674). Se si applica la disciplina del matrimonio putativo all'unione civile, quando quest'ultima viene dichiarata nulla, gli effetti dell'unione valida si producono in favore delle parti fino alla sentenza che pronuncia la nullità, se i partners l'hanno costituita in buona fede, oppure quando il loro consenso è stato estorto con violenza, o determinato da timore di eccezionale gravità derivante da cause esterne agli sposi. Se tali condizioni si sono verificate solo per una delle parti, gli effetti valgono solo in favore di questa. Per buona fede si intende l'ignoranza da parte dei contraenti o di uno di essi della specifica causa di nullità, derivante da errore, sia di fatto che di diritto. Tale condizione consente la deroga alla regola generale della retroattività della pronuncia di nullità, i cui effetti iniziano a decorrere anziché ex tunc dalla data di costituzione dell'unione civile, ex nunc dal passaggio in giudicato della sentenza. La buona fede si presume e l'onere di provare il contrario ricade su chi impugna l'unione. Con riferimento all'istituto matrimoniale, il vincolo dichiarato nullo esplica comunque i suoi effetti nei confronti dei figli (art. 128, comma 2 c.c.). Il legislatore ha fatto un rinvio esplicito all'art. 128 c.c. sicché tale norma è applicabile anche alle unioni civili; - dell'art. 129 c.c., per cui se entrambi i coniugi erano in buona fede, il giudice può disporre che una parte versi all'altra somme periodiche di denaro per un periodo non superiore a tre anni. L'entità delle stesse viene calcolata in base alle sostanze dell'onerato e solo ove la parte beneficiaria non abbia adeguati redditi propri e non abbia contratto una nuova unione civile (o matrimonio). - dell'art. 129-bis c.c., ai sensi del quale la parte alla quale sia imputabile la nullità del matrimonio, deve versare all'altra parte che sia in buona fede, una congrua indennità, a prescindere dall'effettivo danno che quest'ultima abbia subito dalla dichiarazione di nullità dell'unione. Tale indennità non deve essere inferiore alla somma corrispondente al mantenimento per tre anni. La parte in mala fede è, altresì, obbligata a versare gli alimenti all'altra parte, qualora non vi siano altri coobbligati. Nell'ipotesi in cui, diversamente, sia un terzo il responsabile della nullità dell'unione civile, sarà costui a dover versare alla parte in buona fede l'indennità. Se il terzo è responsabile in concorso con una delle parti, sarà solidalmente responsabile con quest'ultimo al pagamento dell'indennità. Impugnazione dell'unione costituita nonostante una causa impeditivaSi dichiarano direttamente applicabili all’unione civile le norme relative all’impugnativa del matrimonio dell’interdetto (art. 119 c.c.), del matrimonio contratto dall’incapace naturale non interdetto (art. 120 c.c.), del matrimonio simulato (art. 123 c.c.), nonché la disciplina dell’azione di nullità coltivata dal pubblico ministero (art. 125 c.c.), della separazione in pendenza del giudizio di nullità (art. 126 c.c.), dell’intrasmissibilità dell’azione, del matrimonio putativo e dei diritti spettanti ai coniugi in buona fede (artt.128 e 129 c.c.), e, infine, l’art. 129 bis c.c.. A tali disposizioni va applicato anche l’art. 116 c.c., anche se la legge si limita a menzionare solo il primo comma della norma, ove si stabilisce che lo straniero, il quale intenda contrarre matrimonio in Italia, deve presentare all’Ufficiale di stato civile una dichiarazione dell’autorità competente del proprio paese da cui risulti che, giusta le leggi a cui è sottoposto, nulla osta al matrimonio. Non viene richiamato l’art. 116 comma 2 c.c., disposizione che sottopone anche lo straniero alle norme contenute negli artt. 85, 86, 87 nn. 1, 2, ed 88 c.c., che sia sarebbero potuti applicare anche allo straniero intenzionato ad unirsi civilmente. L'unione civile, contratta in violazione di una delle cause impeditive previste dall'art. 1, comma 4 legge n. 76/2016 o in violazione dell'art. 68 c.c., è nulla e può essere impugnata, ai sensi dell'art. 1, comma 6, da: - ciascuna delle parti - ascendenti prossimi - pubblico ministero - coloro che abbiano un interesse legittimo ed attuale ad impugnarla. Con interesse «legittimo ed attuale» si intende un interesse immediato socialmente apprezzabile, di natura morale o economica. Per evitare interferenze in una sfera personalissima, si reputa comunque necessaria l'esistenza di un collegamento con ragioni di carattere familiare. I soggetti legittimati sono gli stessi che possono, ex art. 117, comma 1 c.c., impugnare il matrimonio. L'unione civile è impugnabile anche dalla parte che abbia causato la nullità. L'azione di nullità non si trasmette agli eredi, se non quando il giudizio è già pendente alla morte dell'attore, in applicazione dell'art. 127 c.c. espressamente richiamato dall'art. 1, comma 5 legge n. 76/2016. Anche l'azione del pubblico ministero non può essere promossa dopo la morte di una delle parti dell'unione civile, in virtù dell'art. 125 c.c., cui rinvia l'art. 1, comma 5 legge de qua. Ai sensi dell'art. 126 c.c., anch'esso richiamato dall'art. 1, comma 5 legge n. 76/2015, quando è proposta azione di nullità dell'unione civile, il tribunale può, su istanza di una delle parti, ordinare la loro separazione temporanea durante il giudizio; tale separazione può anche essere ordinata d'ufficio se ambedue le parti o una di esse sono minori o interdette. La separazione delle parti in pendenza di giudizio di nullità non richiede la preventiva valutazione dell'intollerabilità della convivenza o del pregiudizio per la prole (De Filippis, 174). Sempre in pendenza di giudizio di impugnazione, benché l'art. 126 c.c. non lo preveda espressamente, si ritiene che il tribunale possa adottare i provvedimenti temporanei ed urgenti ritenuti opportuni (Ferrando-QUERCI, 169). Il partner può in ogni momento impugnare il matrimonio o una seconda unione civile contratta dal suo partner (art. 1, comma 8 legge n. 76). Se viene eccepita la nullità della prima unione civile, tale questione deve essere preventivamente giudicata. Nel giudizio di impugnazione, le parti dell'unione sono litisconsorzi necessari ed è previsto l'intervento del PM. La sentenza passata in giudicato che dichiara la nullità dell'unione civile deve essere iscritta nel registro delle unioni civili, ai sensi dell'art. 134-bis r.d. n. 1238/1939, introdotto dal d.lgs. n. 5/2017 e devono essere annotate nell'atto di nascita, ex art. 49, comma 1, lettera g) d.P.R. n. 396/2000, così come modificato sempre dal d.lgs n. 5/2017. In giurisprudenza l'espressione «interesse legittimo e attuale» di cui all'art. 117 c.c. è stata riferita alla vedova che agisce per far dichiarare nullo il precedente matrimonio del marito per mancanza di libertà di stato da parte della prima moglie (cfr. Cass. n. 269/1979, in Foro it., 1979, I, 636) e, più in generale, è ravvisabile — alla stregua dei principi generali che circoscrivono e limitano le cause di invalidità del matrimonio e le azioni per farle valere — nei soli casi in cui vi siano posizioni soggettive di terzi che siano attinenti al complessivo assetto dei rapporti familiari sui quali il matrimonio incide e che inoltre traggono un pregiudizio diretto ed immediato dal matrimonio stesso (cfr. Cass. n. 720/1986). Impugnazione per violenza e timoreAi sensi dell'art. 1, comma 7 legge n. 76/2016, l'unione civile può essere impugnata dalla parte il cui consenso sia stato estorto con violenza o sia stato determinato da timore di eccezionale gravità derivante da cause esterne alla parte stessa. La norma ripropone il contenuto della regolamentazione quella prevista per il matrimonio dall'art. 122 c.c. La parte è l'unica legittimata ad impugnare il consenso che è stato estorto. Anche in questo caso, l'azione non può più essere promossa se vi è stata coabitazione per un anno dopo che è cessata la violenza o la cause che hanno determinato il timore. L' efficacia sanante della coabitazione scaturisce dalla manifestazione della intenzione delle parti di voler ristabilire una vita comune. In questo modo, l'effettività del rapporto prevale sulla tutela dell'atto, rendendo irrilevante il vizio originario. La circostanza che, decorso il termine di decadenza, l'azione non sia più proponibile, esprime, nell'attuale contesto, non solo un'esigenza di certezza degli status ma, ancor prima, è indice della responsabilità dei partner che, proseguendo nella vita comune, attestano la vitalità del rapporto dal quale non possono successivamente sciogliersi denunciandone il vizio originario (Fasano-Gassani, 78). In tale ipotesi si applica la disciplina del matrimonio putativo (art. 128 c.c.), estesa all'unione civile dall'art. 1, comma 5 legge n. 76/2016. Impugnazione per erroreL'unione civile può essere impugnata dalla parte il cui consenso sia stato dato per effetto di errore sull'identità della persona o di errore essenziale su qualità personali dell'altra parte (art. 1, comma 7 legge n. 76/2016). L'errore essenziale su qualità personali dell'altra parte si ha quando si accerti che se la parte avesse conosciuto la reale condizione del partner non avrebbe prestato il suo consenso, purché l'errore riguardi: a) l'esistenza di una malattia psichica o fisica, tale da impedire lo svolgimento della vita comune; b) le circostanze di cui all'art. 122, comma 3, n. 2) 3),4) c.c., ovverosia: - l'esistenza di una sentenza di condanna per delitto non colposo alla reclusione non inferiore a cinque anni, salvo il caso di intervenuta riabilitazione prima della celebrazione del matrimonio. L'azione di annullamento non può essere proposta prima che la sentenza sia divenuta irrevocabile; - la dichiarazione di delinquenza abituale o professionale; - la condanna dell'altro coniuge per delitti concernenti la prostituzione a pena non inferiore a due anni. L'azione di annullamento non può essere proposta prima che la condanna sia divenuta irrevocabile. I primi commentatori hanno segnalato che il legislatore, nel rinviare alla disciplina dell'errore essenziale in tema di matrimonio, ha omesso di inserire anche l'errore sullo stato di gravidanza causato da terza persona (art. 122, comma 3, n. 5 c.c.). Tale omissione in realtà non è comprensibile, tenuto conto che potrebbe verificarsi l'ipotesi di una unione civile stipulata tra due donne ed una delle due non è a conoscenza dello stato di gravidanza dell'altra. Sono stati, altresì, incomprensibilmente esclusi gli errori essenziali che concernono un'anomalia o deviazione sessuale (art. 122, comma 3, n. 1 c.c.). In dottrina, tuttavia, si sostiene che nei casi più gravi di anomalia o deviazione sessuale (es. pedofilia), si può comunque ricorrere al concetto di malattia fisica o psichica (De Filippis, 169). Si può ritenere che una delle qualità essenziali del partner per contrarre l'unione civile sia la condizione di omosessualità. Ne consegue che non sarebbe valida una unione civile stipulata tra persone dello stesso sesso che non sono omosessuali. Analogamente come per il matrimonio, la scoperta della non omosessualità del partner può essere intesa come un errore sulle qualità personali di quest'ultimo, e non più un errore sull'esistenza di una malattia, sicché può certamente procedersi all'annullamento dell'unione. Naturalmente unico legittimato ad impugnare è la parte caduta in errore. L'impugnazione è soggetta ad un termine di decadenza, che si sostanzia in un anno di coabitazione dei partner, decorrente dalla scoperta dell'errore. Inoltre, il comma 33 provvede all’adattamento dell’art. 124 c.c., stabilendo che la parte dell’unione civile può in qualunque momento impugnare il matrimonio o l’unione civile dell’altra parte e che, se si oppone la nullità della prima unione civile, tale questione deve essere preventivamente giudicata. L'azione si prescrive nel termine ordinario decennale, sempre decorrente dalla scoperta dell'errore. Impugnazione per sussistenza di altri vincoli di status familiareLa norma si occupa di risolvere l'evenienza della contemporanea sussistenza di altri vincoli di status familiare, costituiti sia sotto la forma del matrimonio che dell'unione civile. Può infatti verificarsi il caso in cui in cui, in violazione delle cause impeditive e di quelle di nullità, sottoscritta la dichiarazione di costituzione dell'unione civile, emerga che una delle parti abbia già contratto o contragga ancora un matrimonio od altra unione civile. Il partner che subisce una tale evenienza può in ogni momento impugnare il matrimonio o una seconda unione civile contratta dal suo partner (art. 1, comma 8, legge n. 76/2016). Se viene eccepita la nullità della prima unione civile, tale questione deve essere preventivamente giudicata. Nel giudizio di impugnazione, le parti dell'unione sono litisconsorzi necessari ed è previsto l'intervento del P.M. La sentenza passata in giudicato che dichiara la nullità dell'unione civile deve essere iscritta nel registro delle unioni civili, ai sensi dell'art. 134-bis r.d. n. 1238/1939, introdotto dal d.lgs. n. 5/2017 e devono essere annotate nell'atto di nascita, ex art. 49, comma 1, lettera g) d.P.R. n. 396/2000, così come modificato sempre dal d.lgs n. 5/2017. Certificazione dell'unioneAi sensi dell'art. 1, comma 9 legge n. 76/2016, l'unione civile è certificata dal documento attestante la sua costituzione, che deve contenere i dati anagrafici e la residenza delle parti, l'indicazione del regime patrimoniale, oltre che i dati anagrafici e la residenza dei testimoni. Tale disposizione è stata recepita nell'art. 70-quinquiesdecies d.P.R. n. 396/2000, introdotto dal d.lgs. n. 5/2017. Come si è detto, l'unione civile si costituisce mediante dichiarazione fatta da due persone maggiorenni dello stesso sesso di fronte all'ufficiale di stato civile ed alla presenza di due testimoni. L'ufficiale di stato civile deve provvedere alla registrazione degli atti dell'unione nell'archivio di stato civile (art. 1, comma 3). Nel silenzio della legge, si può ritenere che il pubblico ufficiale debba accertare la conformità del contenuto della dichiarazione ai principi dell'ordinamento giuridico, ovvero che non sia contrario a norme imperative, all'ordine pubblico ed al buon costume. Si noti come il legislatore non abbia utilizzato un termine equivalente a quello di «atto di matrimonio», quasi a voler rimarcare una minore solennità, bensì quello di «certificazione dell'unione civile». Anche il contenuto dell'atto di matrimonio, indicato dall'art. 64 d.P.R. n. 396/2000, è parzialmente differente dalla certificazione dell'unione civile, la quale non contiene la data dell'avvenuta pubblicazione e la dichiarazione fatta dall'ufficiale dello stato civile che le parti sono unite civilmente. Il regime probatorio per le unioni civili è più semplice, non essendo richiamata e, non essendo pertanto applicabile, la normativa di cui alla sezione VII del capo III libro I codice civile, con particolare riferimento al possesso di stato. Ai sensi dell'art. 70-bis comma 2 del d.P.R. n. 306/2000, l'Ufficiale dello stato civile è tenuto a verificare l'esattezza delle dichiarazioni rese dai richiedenti la costituzione dell'unione civile ed ha la facoltà di acquisire d'ufficio eventuali documenti che ritenga necessari per provare l'inesistenza di impedimenti per la costituzione dell'unione. Ne consegue che l'accertamento si deve ritenere esteso a tutto il contenuto della dichiarazione (dati anagrafici ecc.). Se uno dei richiedenti è un cittadino residente all'estero (art. 70-sexies d.P.R. n. 396 del 2000, l'ufficiale effettua le verifiche anche presso il competente ufficio consolare. L'atto di costituzione dell'unione civile deve indicare ai sensi dell'art. 70-quaterdecies, comma 1, d.P.R. n. 396 del 2000, introdotto dal d.lgs. n. 5/2017: a) cognome e nome, luogo e data di nascita, cittadinanza e residenza delle parti dell'unione civile; nome, cognome, luogo e data di nascita e residenza dei testimoni; b) la data della richiesta di costituzione dell'unione civile ad eccezione dell'ipotesi in cui l'unione civile sia contratta da persona in imminente pericolo di vita; c) il decreto di autorizzazione, quando ricorre alcuno degli impedimenti di legge, ad eccezione dell'ipotesi in cui l'unione civile sia contratta da persona in imminente pericolo di vita; d) la dichiarazione delle parti di voler costituire l'unione civile; e) la menzione dell'avvenuta lettura del contenuto dei commi 11 e 12 dell'art. 1 legge 76 del 2016; f) il luogo della costituzione dell'unione civile nel caso di imminente pericolo di vita e di costituzione fuori dalla casa comunale ed il motivo del trasferimento dell'ufficiale di stato civile in detto luogo. Il d.P.C.M. n. 144 del 2016, in vigore fino all'entrata in vigore dei decreti attuativi, aveva disposto che presso ciascun comune fosse istituito un registro provvisorio delle unioni civili. Il d.lgs. n. 5/2017 ha stabilito che fino alla creazione del registro informativo dello stato civile, di cui all'art. 10 del d.P.R. n. 396/2000, gli atti delle unioni civili verranno iscritti nell'apposito registro delle unioni civili istituito presso ciascun comune e suddiviso in due parti. Il d.lgs. n. 5/2017 ha introdotto nel regio decreto n. 1238/1939 l'art. 134-bis relativo alla struttura del registro delle unioni civili. 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