Legge - 20/05/2016 - n. 76 art. 1

Anna Maria Fasano

Art. 1 (A)

1. La presente legge istituisce l'unione civile tra persone dello stesso sesso quale specifica formazione sociale ai sensi degli articoli 2 e 3 della Costituzione e reca la disciplina delle convivenze di fatto.

2. Due persone maggiorenni dello stesso sesso costituiscono un'unione civile mediante dichiarazione di fronte all'ufficiale di stato civile ed alla presenza di due testimoni.

3. L'ufficiale di stato civile provvede alla registrazione degli atti di unione civile tra persone dello stesso sesso nell'archivio dello stato civile.

4. Sono cause impeditive per la costituzione dell'unione civile tra persone dello stesso sesso:

a) la sussistenza, per una delle parti, di un vincolo matrimoniale o di un'unione civile tra persone dello stesso sesso;

b) l'interdizione di una delle parti per infermita' di mente; se l'istanza d'interdizione e' soltanto promossa, il pubblico ministero puo' chiedere che si sospenda la costituzione dell'unione civile; in tal caso il procedimento non puo' aver luogo finche' la sentenza che ha pronunziato sull'istanza non sia passata in giudicato;

c) la sussistenza tra le parti dei rapporti di cui all'articolo 87, primo comma, del codice civile; non possono altresi' contrarre unione civile tra persone dello stesso sesso lo zio e il nipote e la zia e la nipote; si applicano le disposizioni di cui al medesimo articolo 87;

d) la condanna definitiva di un contraente per omicidio consumato o tentato nei confronti di chi sia coniugato o unito civilmente con l'altra parte; se e' stato disposto soltanto rinvio a giudizio ovvero sentenza di condanna di primo o secondo grado ovvero una misura cautelare la costituzione dell'unione civile tra persone dello stesso sesso e' sospesa sino a quando non e' pronunziata sentenza di proscioglimento.

5. La sussistenza di una delle cause impeditive di cui al comma 4 comporta la nullita' dell'unione civile tra persone dello stesso sesso. All'unione civile tra persone dello stesso sesso si applicano gli articoli 65 e 68, nonche' le disposizioni di cui agli articoli 119, 120, 123, 125, 126, 127, 128, 129 e 129-bis del codice civile.

6. L'unione civile costituita in violazione di una delle cause impeditive di cui al comma 4, ovvero in violazione dell'articolo 68 del codice civile, puo' essere impugnata da ciascuna delle parti dell'unione civile, dagli ascendenti prossimi, dal pubblico ministero e da tutti coloro che abbiano per impugnarla un interesse legittimo e attuale. L'unione civile costituita da una parte durante l'assenza dell'altra non puo' essere impugnata finche' dura l'assenza.

7. L'unione civile puo' essere impugnata dalla parte il cui consenso e' stato estorto con violenza o determinato da timore di eccezionale gravita' determinato da cause esterne alla parte stessa. Puo' essere altresi' impugnata dalla parte il cui consenso e' stato dato per effetto di errore sull'identita' della persona o di errore essenziale su qualita' personali dell'altra parte. L'azione non puo' essere proposta se vi e' stata coabitazione per un anno dopo che e' cessata la violenza o le cause che hanno determinato il timore ovvero sia stato scoperto l'errore. L'errore sulle qualita' personali e' essenziale qualora, tenute presenti le condizioni dell'altra parte, si accerti che la stessa non avrebbe prestato il suo consenso se le avesse esattamente conosciute e purche' l'errore riguardi:

a) l'esistenza di una malattia fisica o psichica, tale da impedire lo svolgimento della vita comune;

b) le circostanze di cui all'articolo 122, terzo comma, numeri 2), 3) e 4), del codice civile.

8. La parte puo' in qualunque tempo impugnare il matrimonio o l'unione civile dell'altra parte. Se si oppone la nullita' della prima unione civile, tale questione deve essere preventivamente giudicata.

9. L'unione civile tra persone dello stesso sesso e' certificata dal relativo documento attestante la costituzione dell'unione, che deve contenere i dati anagrafici delle parti, l'indicazione del loro regime patrimoniale e della loro residenza, oltre ai dati anagrafici e alla residenza dei testimoni.

10. Mediante dichiarazione all'ufficiale di stato civile le parti possono stabilire di assumere, per la durata dell'unione civile tra persone dello stesso sesso, un cognome comune scegliendolo tra i loro cognomi. La parte puo' anteporre o posporre al cognome comune il proprio cognome, se diverso, facendone dichiarazione all'ufficiale di stato civile.

11. Con la costituzione dell'unione civile tra persone dello stesso sesso le parti acquistano gli stessi diritti e assumono i medesimi doveri; dall'unione civile deriva l'obbligo reciproco all'assistenza morale e materiale e alla coabitazione. Entrambe le parti sono tenute, ciascuna in relazione alle proprie sostanze e alla propria capacita' di lavoro professionale e casalingo, a contribuire ai bisogni comuni.

12. Le parti concordano tra loro l'indirizzo della vita familiare e fissano la residenza comune; a ciascuna delle parti spetta il potere di attuare l'indirizzo concordato.

13. Il regime patrimoniale dell'unione civile tra persone dello stesso sesso, in mancanza di diversa convenzione patrimoniale, e' costituito dalla comunione dei beni. In materia di forma, modifica, simulazione e capacita' per la stipula delle convenzioni patrimoniali si applicano gli articoli 162, 163, 164 e 166 del codice civile. Le parti non possono derogare ne' ai diritti ne' ai doveri previsti dalla legge per effetto dell'unione civile. Si applicano le disposizioni di cui alle sezioni II, III, IV, V e VI del capo VI del titolo VI del libro primo del codice civile.

14. Quando la condotta della parte dell'unione civile e' causa di grave pregiudizio all'integrita' fisica o morale ovvero alla liberta' dell'altra parte, il giudice, su istanza di parte, puo' adottare con decreto uno o piu' dei provvedimenti di cui all'articolo 342-ter del codice civile.

15. Nella scelta dell'amministratore di sostegno il giudice tutelare preferisce, ove possibile, la parte dell'unione civile tra persone dello stesso sesso. L'interdizione o l'inabilitazione possono essere promosse anche dalla parte dell'unione civile, la quale puo' presentare istanza di revoca quando ne cessa la causa.

16. La violenza e' causa di annullamento del contratto anche quando il male minacciato riguarda la persona o i beni dell'altra parte dell'unione civile costituita dal contraente o da un discendente o ascendente di lui.

17. In caso di morte del prestatore di lavoro, le indennita' indicate dagli articoli 2118 e 2120 del codice civile devono corrispondersi anche alla parte dell'unione civile.

18. La prescrizione rimane sospesa tra le parti dell'unione civile.

19. All'unione civile tra persone dello stesso sesso si applicano le disposizioni di cui al titolo XIII del libro primo del codice civile, nonche' gli articoli 116, primo comma, 146, 2647, 2653, primo comma, numero 4), e 2659 del codice civile.

20. Al solo fine di assicurare l'effettivita' della tutela dei diritti e il pieno adempimento degli obblighi derivanti dall'unione civile tra persone dello stesso sesso, le disposizioni che si riferiscono al matrimonio e le disposizioni contenenti le parole «coniuge», «coniugi» o termini equivalenti, ovunque ricorrono nelle leggi, negli atti aventi forza di legge, nei regolamenti nonche' negli atti amministrativi e nei contratti collettivi, si applicano anche ad ognuna delle parti dell'unione civile tra persone dello stesso sesso. La disposizione di cui al periodo precedente non si applica alle norme del codice civile non richiamate espressamente nella presente legge, nonche' alle disposizioni di cui alla legge 4 maggio 1983, n. 184. Resta fermo quanto previsto e consentito in materia di adozione dalle norme vigenti.

21. Alle parti dell'unione civile tra persone dello stesso sesso si applicano le disposizioni previste dal capo III e dal capo X del titolo I, dal titolo II e dal capo II e dal capo V-bis del titolo IV del libro secondo del codice civile.

22. La morte o la dichiarazione di morte presunta di una delle parti dell'unione civile ne determina lo scioglimento.

23. L'unione civile si scioglie altresi' nei casi previsti dall'articolo 3, numero 1) e numero 2), lettere a), c), d) ed e), della legge 1° dicembre 1970, n. 898.

24. L'unione civile si scioglie, inoltre, quando le parti hanno manifestato anche disgiuntamente la volonta' di scioglimento dinanzi all'ufficiale dello stato civile. In tale caso la domanda di scioglimento dell'unione civile e' proposta decorsi tre mesi dalla data della manifestazione di volonta' di scioglimento dell'unione.

25. Si applicano, in quanto compatibili, gli articoli 4, 5, primo comma, e dal quinto all'undicesimo comma, 8, 9, 9-bis, 10, 12-bis, 12-ter, 12-quater, 12-quinquies e 12-sexies della legge 1° dicembre 1970, n. 898, nonche' le disposizioni di cui al Titolo II del libro quarto del codice di procedura civile ed agli articoli 6 e 12 del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 132, convertito, con modificazioni, dalla legge 10 novembre 2014, n. 1621.

26. La sentenza di rettificazione di attribuzione di sesso determina lo scioglimento dell'unione civile tra persone dello stesso sesso 2.

27. Alla rettificazione anagrafica di sesso, ove i coniugi abbiano manifestato la volonta' di non sciogliere il matrimonio o di non cessarne gli effetti civili, consegue l'automatica instaurazione dell'unione civile tra persone dello stesso sesso.

28. Fatte salve le disposizioni di cui alla presente legge, il Governo e' delegato ad adottare, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o piu' decreti legislativi in materia di unione civile tra persone dello stesso sesso nel rispetto dei seguenti principi e criteri direttivi:

a) adeguamento alle previsioni della presente legge delle disposizioni dell'ordinamento dello stato civile in materia di iscrizioni, trascrizioni e annotazioni3;

b) modifica e riordino delle norme in materia di diritto internazionale privato, prevedendo l'applicazione della disciplina dell'unione civile tra persone dello stesso sesso regolata dalle leggi italiane alle coppie formate da persone dello stesso sesso che abbiano contratto all'estero matrimonio, unione civile o altro istituto analogo4;

c) modificazioni ed integrazioni normative per il necessario coordinamento con la presente legge delle disposizioni contenute nelle leggi, negli atti aventi forza di legge, nei regolamenti e nei decreti5.

29. I decreti legislativi di cui al comma 28 sono adottati su proposta del Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro dell'interno, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali e il Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale.

30. Ciascuno schema di decreto legislativo di cui al comma 28, a seguito della deliberazione del Consiglio dei ministri, e' trasmesso alla Camera dei deputati e al Senato della Repubblica perche' su di esso siano espressi, entro sessanta giorni dalla trasmissione, i pareri delle Commissioni parlamentari competenti per materia. Decorso tale termine il decreto puo' essere comunque adottato, anche in mancanza dei pareri. Qualora il termine per l'espressione dei pareri parlamentari scada nei trenta giorni che precedono la scadenza del termine previsto dal comma 28, quest'ultimo termine e' prorogato di tre mesi. Il Governo, qualora non intenda conformarsi ai pareri parlamentari, trasmette nuovamente i testi alle Camere con le sue osservazioni e con eventuali modificazioni, corredate dei necessari elementi integrativi di informazione e motivazione. I pareri definitivi delle Commissioni competenti per materia sono espressi entro il termine di dieci giorni dalla data della nuova trasmissione. Decorso tale termine, i decreti possono essere comunque adottati.

31. Entro due anni dalla data di entrata in vigore di ciascun decreto legislativo adottato ai sensi del comma 28, il Governo puo' adottare disposizioni integrative e correttive del decreto medesimo, nel rispetto dei principi e criteri direttivi di cui al citato comma 28, con la procedura prevista nei commi 29 e 30.

32. All'articolo 86 del codice civile, dopo le parole: «da un matrimonio» sono inserite le seguenti: «o da un'unione civile tra persone dello stesso sesso».

33. All'articolo 124 del codice civile, dopo le parole: «impugnare il matrimonio» sono inserite le seguenti: «o l'unione civile tra persone dello stesso sesso».

34. Con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell'interno, da emanare entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, sono stabilite le disposizioni transitorie necessarie per la tenuta dei registri nell'archivio dello stato civile nelle more dell'entrata in vigore dei decreti legislativi adottati ai sensi del comma 28, lettera a)6.

35. Le disposizioni di cui ai commi da 1 a 34 acquistano efficacia a decorrere dalla data di entrata in vigore della presente legge.

36. Ai fini delle disposizioni di cui ai commi da 37 a 67 si intendono per «conviventi di fatto» due persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, non vincolate da rapporti di parentela, affinita' o adozione, da matrimonio o da un'unione civile.

37. Ferma restando la sussistenza dei presupposti di cui al comma 36, per l'accertamento della stabile convivenza si fa riferimento alla dichiarazione anagrafica di cui all'articolo 4 e alla lettera b) del comma 1 dell'articolo 13 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 1989, n. 223.

38. I conviventi di fatto hanno gli stessi diritti spettanti al coniuge nei casi previsti dall'ordinamento penitenziario.

39. In caso di malattia o di ricovero, i conviventi di fatto hanno diritto reciproco di visita, di assistenza nonche' di accesso alle informazioni personali, secondo le regole di organizzazione delle strutture ospedaliere o di assistenza pubbliche, private o convenzionate, previste per i coniugi e i familiari.

40. Ciascun convivente di fatto puo' designare l'altro quale suo rappresentante con poteri pieni o limitati:

a) in caso di malattia che comporta incapacita' di intendere e di volere, per le decisioni in materia di salute;

b) in caso di morte, per quanto riguarda la donazione di organi, le modalita' di trattamento del corpo e le celebrazioni funerarie.

41. La designazione di cui al comma 40 e' effettuata in forma scritta e autografa oppure, in caso di impossibilita' di redigerla, alla presenza di un testimone.

42. Salvo quanto previsto dall'articolo 337-sexies del codice civile, in caso di morte del proprietario della casa di comune residenza il convivente di fatto superstite ha diritto di continuare ad abitare nella stessa per due anni o per un periodo pari alla convivenza se superiore a due anni e comunque non oltre i cinque anni. Ove nella stessa coabitino figli minori o figli disabili del convivente superstite, il medesimo ha diritto di continuare ad abitare nella casa di comune residenza per un periodo non inferiore a tre anni (B).

43. Il diritto di cui al comma 42 viene meno nel caso in cui il convivente superstite cessi di abitare stabilmente nella casa di comune residenza o in caso di matrimonio, di unione civile o di nuova convivenza di fatto.

44. Nei casi di morte del conduttore o di suo recesso dal contratto di locazione della casa di comune residenza, il convivente di fatto ha facolta' di succedergli nel contratto.

45. Nel caso in cui l'appartenenza ad un nucleo familiare costituisca titolo o causa di preferenza nelle graduatorie per l'assegnazione di alloggi di edilizia popolare, di tale titolo o causa di preferenza possono godere, a parita' di condizioni, i conviventi di fatto.

46. Nella sezione VI del capo VI del titolo VI del libro primo del codice civile, dopo l'articolo 230-bis e' aggiunto il seguente:

« Art. 230-ter (Diritti del convivente). - Al convivente di fatto che presti stabilmente la propria opera all'interno dell'impresa dell'altro convivente spetta una partecipazione agli utili dell'impresa familiare ed ai beni acquistati con essi nonche' agli incrementi dell'azienda, anche in ordine all'avviamento, commisurata al lavoro prestato. Il diritto di partecipazione non spetta qualora tra i conviventi esista un rapporto di societa' o di lavoro subordinato».

47. All'articolo 712, secondo comma, del codice di procedura civile, dopo le parole: «del coniuge» sono inserite le seguenti: «o del convivente di fatto».

48. Il convivente di fatto puo' essere nominato tutore, curatore o amministratore di sostegno, qualora l'altra parte sia dichiarata interdetta o inabilitata ai sensi delle norme vigenti ovvero ricorrano i presupposti di cui all'articolo 404 del codice civile.

49. In caso di decesso del convivente di fatto, derivante da fatto illecito di un terzo, nell'individuazione del danno risarcibile alla parte superstite si applicano i medesimi criteri individuati per il risarcimento del danno al coniuge superstite.

50. I conviventi di fatto possono disciplinare i rapporti patrimoniali relativi alla loro vita in comune con la sottoscrizione di un contratto di convivenza.

51. Il contratto di cui al comma 50, le sue modifiche e la sua risoluzione sono redatti in forma scritta, a pena di nullita', con atto pubblico o scrittura privata con sottoscrizione autenticata da un notaio o da un avvocato che ne attestano la conformita' alle norme imperative e all'ordine pubblico.

52. Ai fini dell'opponibilita' ai terzi, il professionista che ha ricevuto l'atto in forma pubblica o che ne ha autenticato la sottoscrizione ai sensi del comma 51 deve provvedere entro i successivi dieci giorni a trasmetterne copia al comune di residenza dei conviventi per l'iscrizione all'anagrafe ai sensi degli articoli 5 e 7 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 1989, n. 223.

53. Il contratto di cui al comma 50 reca l'indicazione dell'indirizzo indicato da ciascuna parte al quale sono effettuate le comunicazioni inerenti al contratto medesimo. Il contratto puo' contenere:

a) l'indicazione della residenza;

b) le modalita' di contribuzione alle necessita' della vita in comune, in relazione alle sostanze di ciascuno e alla capacita' di lavoro professionale o casalingo;

c) il regime patrimoniale della comunione dei beni, di cui alla sezione III del capo VI del titolo VI del libro primo del codice civile.

54. Il regime patrimoniale scelto nel contratto di convivenza puo' essere modificato in qualunque momento nel corso della convivenza con le modalita' di cui al comma 51.

55. Il trattamento dei dati personali contenuti nelle certificazioni anagrafiche deve avvenire conformemente alla normativa prevista dal codice in materia di protezione dei dati personali, di cui al decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, garantendo il rispetto della dignita' degli appartenenti al contratto di convivenza. I dati personali contenuti nelle certificazioni anagrafiche non possono costituire elemento di discriminazione a carico delle parti del contratto di convivenza.

56. Il contratto di convivenza non puo' essere sottoposto a termine o condizione. Nel caso in cui le parti inseriscano termini o condizioni, questi si hanno per non apposti.

57. II contratto di convivenza e' affetto da nullita' insanabile che puo' essere fatta valere da chiunque vi abbia interesse se concluso:

a) in presenza di un vincolo matrimoniale, di un'unione civile o di un altro contratto di convivenza;

b) in violazione del comma 36;

c) da persona minore di eta';

d) da persona interdetta giudizialmente;

e) in caso di condanna per il delitto di cui all'articolo 88 del codice civile.

58. Gli effetti del contratto di convivenza restano sospesi in pendenza del procedimento di interdizione giudiziale o nel caso di rinvio a giudizio o di misura cautelare disposti per il delitto di cui all'articolo 88 del codice civile, fino a quando non sia pronunciata sentenza di proscioglimento.

59. Il contratto di convivenza si risolve per:

a) accordo delle parti;

b) recesso unilaterale;

c) matrimonio o unione civile tra i conviventi o tra un convivente ed altra persona;

d) morte di uno dei contraenti.

60. La risoluzione del contratto di convivenza per accordo delle parti o per recesso unilaterale deve essere redatta nelle forme di cui al comma 51. Qualora il contratto di convivenza preveda, a norma del comma 53, lettera c), il regime patrimoniale della comunione dei beni, la sua risoluzione determina lo scioglimento della comunione medesima e si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni di cui alla sezione III del capo VI del titolo VI del libro primo del codice civile. Resta in ogni caso ferma la competenza del notaio per gli atti di trasferimento di diritti reali immobiliari comunque discendenti dal contratto di convivenza.

61. Nel caso di recesso unilaterale da un contratto di convivenza il professionista che riceve o che autentica l'atto e' tenuto, oltre che agli adempimenti di cui al comma 52, a notificarne copia all'altro contraente all'indirizzo risultante dal contratto. Nel caso in cui la casa familiare sia nella disponibilita' esclusiva del recedente, la dichiarazione di recesso, a pena di nullita', deve contenere il termine, non inferiore a novanta giorni, concesso al convivente per lasciare l'abitazione.

62. Nel caso di cui alla lettera c) del comma 59, il contraente che ha contratto matrimonio o unione civile deve notificare all'altro contraente, nonche' al professionista che ha ricevuto o autenticato il contratto di convivenza, l'estratto di matrimonio o di unione civile.

63. Nel caso di cui alla lettera d) del comma 59, il contraente superstite o gli eredi del contraente deceduto devono notificare al professionista che ha ricevuto o autenticato il contratto di convivenza l'estratto dell'atto di morte affinche' provveda ad annotare a margine del contratto di convivenza l'avvenuta risoluzione del contratto e a notificarlo all'anagrafe del comune di residenza.

64. Dopo l'articolo 30 della legge 31 maggio 1995, n. 218, e' inserito il seguente:

«Art. 30-bis (Contratti di convivenza). - 1. Ai contratti di convivenza si applica la legge nazionale comune dei contraenti. Ai contraenti di diversa cittadinanza si applica la legge del luogo in cui la convivenza e' prevalentemente localizzata.

2. Sono fatte salve le norme nazionali, europee ed internazionali che regolano il caso di cittadinanza plurima».

65. In caso di cessazione della convivenza di fatto, il giudice stabilisce il diritto del convivente di ricevere dall'altro convivente e gli alimenti qualora versi in stato di bisogno e non sia in grado di provvedere al proprio mantenimento. In tali casi, gli alimenti sono assegnati per un periodo proporzionale alla durata della convivenza e nella misura determinata ai sensi dell'articolo 438, secondo comma, del codice civile. Ai fini della determinazione dell'ordine degli obbligati ai sensi dell'articolo 433 del codice civile, l'obbligo alimentare del convivente di cui al presente comma e' adempiuto con precedenza sui fratelli e sorelle.

66. Agli oneri derivanti dall'attuazione dei commi da 1 a 35 del presente articolo, valutati complessivamente in 3,7 milioni di euro per l'anno 2016, in 6,7 milioni di euro per l'anno 2017, in 8 milioni di euro per l'anno 2018, in 9,8 milioni di euro per l'anno 2019, in 11,7 milioni di euro per l'anno 2020, in 13,7 milioni di euro per l'anno 2021, in 15,8 milioni di euro per l'anno 2022, in 17,9 milioni di euro per l'anno 2023, in 20,3 milioni di euro per l'anno 2024 e in 22,7 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2025, si provvede:

a) quanto a 3,7 milioni di euro per l'anno 2016, a 1,3 milioni di euro per l'anno 2018, a 3,1 milioni di euro per l'anno 2019, a 5 milioni di euro per l'anno 2020, a 7 milioni di euro per l'anno 2021, a 9,1 milioni di euro per l'anno 2022, a 11,2 milioni di euro per l'anno 2023, a 13,6 milioni di euro per l'anno 2024 e a 16 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2025, mediante riduzione del Fondo per interventi strutturali di politica economica, di cui all'articolo 10, comma 5, del decreto-legge 29 novembre 2004, n. 282, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 dicembre 2004, n. 307;

b) quanto a 6,7 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2017, mediante corrispondente riduzione delle proiezioni, per gli anni 2017 e 2018, dello stanziamento del fondo speciale di parte corrente iscritto, ai fini del bilancio triennale 2016-2018, nell'ambito del programma «Fondi di riserva e speciali» della missione «Fondi da ripartire» dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze per l'anno 2016, allo scopo parzialmente utilizzando l'accantonamento relativo al medesimo Ministero.

67. Ai sensi dell'articolo 17, comma 12, della legge 31 dicembre 2009, n. 196, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, sulla base dei dati comunicati dall'INPS, provvede al monitoraggio degli oneri di natura previdenziale ed assistenziale di cui ai commi da 11 a 20 del presente articolo e riferisce in merito al Ministro dell'economia e delle finanze. Nel caso si verifichino o siano in procinto di verificarsi scostamenti rispetto alle previsioni di cui al comma 66, il Ministro dell'economia e delle finanze, sentito il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, provvede, con proprio decreto, alla riduzione, nella misura necessaria alla copertura finanziaria del maggior onere risultante dall'attivita' di monitoraggio, delle dotazioni finanziarie di parte corrente aventi la natura di spese rimodulabili, ai sensi dell'articolo 21, comma 5, lettera b), della legge 31 dicembre 2009, n. 196, nell'ambito dello stato di previsione del Ministero del lavoro e delle politiche sociali.

68. Il Ministro dell'economia e delle finanze riferisce senza ritardo alle Camere con apposita relazione in merito alle cause degli scostamenti e all'adozione delle misure di cui al comma 67.

69. Il Ministro dell'economia e delle finanze e' autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.

La presente legge, munita del sigillo dello Stato, sara' inserita nella Raccolta ufficiale degli atti normativi della Repubblica italiana. E' fatto obbligo a chiunque spetti di osservarla e di farla osservare come legge dello Stato.

 

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(A) Vedi la Circolare del Ministero dell'Interno 1° giugno 2016 , n. 7 e la Circolare del Ministero dell'Interno 5 agosto 2016, n. 3511.

(B) In riferimento al presente comma vedi la Risposta Agenzia delle Entrate 12 ottobre 2018, n. 37.

- In riferimento alla Dichiarazione di successione e diritto di abitazione vedi: Risposta Agenzia delle Entrate 04/11/2019 n. 463.

[1] Comma sostituito dall'articolo 29, comma 6, del D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 149,  con effetto a decorrere dal 28 febbraio 2023, come stabilito dall'articolo 35, comma 1, del D.Lgs. 149/2022 medesimo, come modificato dall'articolo 1, comma 380, lettera a), della Legge 29 dicembre 2022, n. 197.

[2] La Corte Costituzionale, con sentenza 22 aprile 2024, n. 66, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del presente comma,  nella parte in cui stabilisce che la sentenza di rettificazione anagrafica di attribuzione di sesso determina lo scioglimento automatico dell’unione civile senza prevedere, laddove l’attore e l’altra parte dell’unione rappresentino personalmente e congiuntamente al giudice, fino all’udienza di precisazione delle conclusioni, l’intenzione di contrarre matrimonio, che il giudice disponga la sospensione degli effetti derivanti dallo scioglimento del vincolo fino alla celebrazione del matrimonio e comunque non oltre il termine di centottanta giorni dal passaggio in giudicato della sentenza di rettificazione.

[3] In riferimento alla presente lettera vedi il D.Lgs. 19 gennaio 2017, n. 5.

[4] In riferimento alla presente lettera vedi il D.Lgs. 19 gennaio 2017, n. 7.

[5] In riferimento alla presente lettera vedi i D.Lgs. 19 gennaio 2017, n. 5 e D.Lgs. 19 gennaio 2017, n. 6.

[6] Per il regolamento recante disposizioni transitorie necessarie per la tenuta dei registri nell'archivio dello stato civile, ai sensi del presente comma vedi il D.P.C.M. 23 luglio 2016, n. 144.

Inquadramento

Il significato di «famiglia» nel corso degli anni ha subito profondi cambiamenti. Lo stesso legislatore costituzionale si era reso conto di questa possibilità evolutiva nel momento in cui scrivendo l'art. 2 Cost. aveva stabilito che «la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo sia come singolo che come formazione sociale in cui si svolge la sua personalità», ivi comprendendo la «convivenza more uxorio». Prima della l. n. 76/2016 la convivenza di una coppia non coniugata non era normativamente regolamentata. Oggi (art. 1, commi 36 ss. l. n. 76/2016, cit.), la convivenza di fatto deve instaurarsi tra due persone maggiorenti, dello stesso sesso o di sesso diverso, unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, coabitanti ed aventi dimora abituale nello stesso comune, tra di loro non vincolati da rapporti di parentela, affinità, adozione, da matrimonio o da un'unione civile. In quanto situazione di fatto, la convivenza impone un accertamento e, a tale fine, la normativa richiama il concetto di famiglia anagrafica di cui all'art. 4 del d.P.R. n. 223/1989 e richiede che vi sia coabitazione risultante da un certificato di stato di famiglia. I primi commentatori hanno rilevato come la disciplina in tema di convivenza incorra in molte intrinseche contraddizioni e possa diventare oggetto di dubbi interpretativi nella prassi giudiziaria. Le norme omettono di disciplinare aspetti rilevanti del rapporto, lasciando prevalentemente alle parti la regolamentazione attraverso i contratti di convivenza. La convivenza di fatto diventa il quarto modello giuridico, alternativo al matrimonio, all'unione civile, e alle convivenze non regolamentate.

Concetto di convivenza

«Convivenza more uxorio» e «famiglia di fatto» sono termini utilizzati per indicare quella formazione sociale che ha la stessa struttura della famiglia «legittima» pur non essendo legata dal vincolo del matrimonio. Il legislatore ha scelto di usare l'espressione «di fatto» per individuare le convivenze, oggetto della disciplina contenuta all'art. 1, comma 36 e ss., l. n. 76/2016. La locuzione “di fatto” cominciò ad essere utilizzata tempo addietro per qualificare negativamente le convivenze non fondate sul matrimonio. La giurisprudenza negli anni ha invece riconosciuto la “famiglia di fatto “ come il fenomeno riconducibile ad una “convivenza caratterizzata da in equivocità, serenità e stabilità”. La definizione di convivente di fatto è costruita sui presupposti della maggiore età dei conviventi, del fatto che gli stessi siano uniti da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza, morale e materiale, nonché sull'assenza di rapporti di parentela, affinità, adozione, matrimonio o unione civile, mentre non viene menzionato il presupposto fondamentale della «stabile convivenza». Tale presupposto della stabile convivenza, tuttavia, è ricompreso nel concetto stesso di convivente di fatto, avendo la definizione legalela funzione di precisare che l'elemento della convivenza, ai fini della disciplina in esame, deve essere vivificato dall'elemento dell'affectio. È la prima volta che il legislatore richiede la sussistenza di un legame affettivo ai fini della qualificazione del rapporto, tenuto conto che espressamente si disciplina che i conviventi di fatto siano legati da sentimenti, oltre che dalla stabile convivenza. La legge stabilisce che il rapporto tra i partner debba essere connotato dall'elemento indispensabile della sussistenza di «legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale». Si tratta di un elemento composito che rende il sentimento un valore giuridico. L'art. 1, comma 36, va letto in stretta relazione con il successivo comma 37 del medesimo articolo, che attiene alle modalità di accertamento proprio del requisito della stabile convivenza, che assurge, pertanto, a presupposto del rapporto di convivenza di fatto, elevato dal legislatore a fattispecie legale, alla quale si ricollega la disciplina dettata dall'art. 1, comma 36.

La giurisprudenza (Cass. n. 3503/1998, in Foro it., 1998, I, c. 2154; in Giur. It., 1999, 1608, con nota di Palermo; sulla definizione della famiglia di fatto) ha definito l'evento della famiglia di fatto come una «convivenza caratterizzata da inequivocità, serenità e stabilità, da non confondere con i meri rapporti sessuali, che possono anche dar luogo alla nascita di figli naturali».

Gli elementi che danno vita alla famiglia di fatto sono essenzialmente due: il primo, di carattere soggettivo, consiste nell'affectio, cioè nella partecipazione di ognuno dei partners alla vita dell'altro, sorretta da sentimenti di affetto, solidarietà e sostegno economico; il secondo, di carattere oggettivo, è costituito dalla stabile convivenza, quindi da un impegno serio e duraturo, basato su una tendenziale fedeltà (Balestra, 2008, 1037 ss.; Auletta, 2011, 152 ss.).

In passato, convivere come marito e moglie senza essere sposati era valutato in senso negativo. Infatti, fino agli anni sessanta si utilizzava il termine «concubinato» proprio per indicare quel tipo di modello familiare non fondato sul matrimonio e come tale non meritevole di tutela (Oberto, I regimi patrimoniali della famiglia di fatto, Milano, 1991). Il cambiamento del costume sociale ha contribuito a superare tutti i preconcetti legati ad una idea tradizionale della famiglia, al punto tale da individuare nella convivenza more uxorio un'autonoma formazione sociale (Sesta, 2005).

Sia l'orientamento giurisprudenziale che quello dottrinale hanno individuato nell'art. 2 Cost. il riconoscimento costituzionale di tale fenomeno. Infatti, se tale norma è interpretata in senso ampio, è in grado di assicurare tutela giuridica a tutte quelle forme associative che si sviluppano nella realtà sociale in vista dello svolgimento della personalità dei singoli (Perlingieri, Sulla famiglia come formazione sociale, in Aa.Vv., Rapporti personali nella famiglia, a cura di Perlingieri, Napoli, 1982).

In questi ultimi anni numerosi sono stati gli interventi legislativi che hanno riconosciuto una rilevanza normativa al fenomeno della famiglia di fatto così come altrettanto numerosi sono stati gli interventi da parte della giurisprudenza la quale ha espressamente contribuito ad allargare il concetto di «famiglia», affermando che «un consolidato rapporto, ancorché di fatto, non appare — anche a sommaria indagine — costituzionalmente irrilevante quando si abbia riguardo al rilievo offerto al riconoscimento delle formazioni sociali e alle conseguenti intrinseche manifestazioni solidaristiche (art. 2 Cost)» (Corte cost. n. 237/1986) e che «per formazione sociale deve intendersi ogni forma di comunità, semplice o complessa, idea a consentire e favorire il libero sviluppo della persona nella vita di relazione, nel contesto di una valorizzazione del modello pluralistico» (Corte cost. n. 138/2010). Con la convivenza “more uxorio” si dà origine ad un autentico consorzio familiare, che assume rilevanza nell'ambiente sociale e nei rapporti con i terzi.   

Sulla base di tale orientamento si inserisce la sentenza n. 404 del 1988 con cui la Corte Costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 6 della legge sulla locazione d'immobili urbani del 27 luglio 1978, n. 392, collocando il convivente more uxorio tra i successibili nella titolarità del contratto di locazione in caso di decesso del conduttore e stabilendo altresì che il convivente, affidatario di prole naturale, succedesse al conduttore in caso di rottura della convivenza. Il rapporto di convivenza è stato, pertanto, equiparato, quanto agli effetti al rapporto di coniugio, benché gli istituti siano stati tenuti distinti in ragione del riconoscimento di una famiglia legittima fondata sul vincolo matrimoniale.Non tutti i rapporti di convivenza hanno però assunto rilievo nella giurisprudenza, sempre attenta a distinguere i rapporti occasionali dalla stabile convivenza fin dalle prime pronunce: «Nel caso in cui alla convivenza more uxorio siano riconnesse conseguenze giuridiche, al fine di distinguere tra semplice rapporto occasionale e famiglia di fatto, deve tenersi soprattutto conto del carattere di stabilità che conferisce grado di certezza al rapporto di fatto sussistente tra le persone, tale da renderla rilevante sotto il profilo giuridico, sia per quanto concerne la tutela dei figli minori, sia per quanto riguarda i rapporti patrimoniali tra i coniugi separati ed, in particolare, con riferimento alla persistenza delle condizioni per l'attribuzione dell'assegno di separazione» (Cass. n. 3503/1998).

Importanti interventi che hanno avvicinato la famiglia legittima a quella di fatto si sono verificati anche nel diritto e nel processo penale. A tal riguardo ricordiamo quelle decisioni che estendono l'applicazione del reato ai sensi dell'art. 572 c.p. e dell'aggravante ex art. 61, n. 11 anche ai rapporti extramatrimoniali (Roppo, voce Famiglia di fatto, in Enc. giur., 1989).

Anche le istituzioni comunitarie e la giurisprudenza delle Corti di Straburgo e Lussemburgo hanno affrontato il tema della convivenza more uxorio. La Commissione Europea ha mostrato un atteggiamento di grande apertura, mentre la Corte di giustizia ha seguitato a distinguere la figura di coniuge da quella di convivente. La Commissione ha ammesso addirittura che costituiscano “vita familiare” le unioni poligamiche (6 gennaio 1992, Alilouch El Abasse c. Paesi Bassi n. 14501/89 D.R.72).

La Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, richiamando l'art. 8 della CEDU, invece, da anni ha affermato che la nozione di famiglia « non è limitata alle relazioni basate sul matrimonio e può comprendere altri legami familiari». La Corte include nella nozione di “vita familiare” i rapporti tra partner di sesso diverso, attribuendo rilevanza a indici fattuali quali la coabitazione e la durata (Corte EDU 27 ottobre 1994, Kroon e altri c. Paesi Bassi). L'art. 8 non impone però agli Stati contraenti l'obbligo di prevedere per le coppie non sposate uno statuto giuridico analogo a quello delle coppie coniugate.

Conviventi di fatto: nozione

La novella legislativa intende per «conviventi di fatto» due persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, non vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o da un'unione civile (art. 1, comma 36). La definizione convivenza di fatto non assimilabile al concetto di convivenza more uxorio, tenuto conto che la prima è una formazione sociale regolamentata dal legislatore mediante la legge n. 76 del 2016, la seconda, invece, si fonda essenzialmente sull’affectio dei conviventi quotidianamente rinnovata.

Secondo tale dettato normativo, per la rilevanza giuridica della convivenza di fatto è richiesta l'esistenza di diversi presupposti, alcuni si possono definire di carattere positivo (legame di solo due persone, maggiore età di costoro, stabilità del legame affettivo, reciprocità di assistenza morale e materiale) e altri di carattere negativo (mancanza di vincoli di parentela, affinità, adozione, matrimoniali, unione civile) (Pacia, 2016).

La definizione fornita dal legislatore, quindi, va ad avvalorare la tesi secondo la quale non può essere considerata unione di fatto la semplice coabitazione, così come non possono assumere rilevanza giuridica tutte quelle «convivenze occasionali», prive del presupposto della stabilità e del legame affettivo. Il requisito della stabilità presuppone che due persone, legate da un sentimento di affetto, si debbano comportare come coniugi, pertanto, non una mera convivenza ma affectio reciproca, comunione di vita, comunione di bisogni (Busnelli, 1977).

La norma, inoltre, riferendosi alla «coppia di persone maggiorenni», ha riproposto il principio della monogamia (Pacia, 2016, il quale ritiene che nonostante il comma 36 faccia riferimento alla «coppia» non si possono non tener conto delle famiglie degli emigranti, sempre più numerose, che provengono da Paesi dove la poligamia è legale) e di conseguenza non ha ampliato tale disciplina a tutte quelle convivenze non caratterizzate dal profilo della sessualità (si pensi alle convivenze tra parenti, amici, tra anziani e le persone che le assistono. Vedi Paradiso, 2012), ovvero da un forte legame affettivo tra i partner.

Un dato alquanto importante riguarda l'accertamento della stabilità della convivenza, anche perché il legislatore non ha precisato alcun termine trascorso il quale il rapporto possa essere considerato stabile. Sul punto, il legislatore al comma 37, ha disposto che «ferma restando la sussistenza dei presupposti di cui al comma 36, per l'accertamento della stabile convivenza si fa riferimento alla dichiarazione anagrafica di cui all'art. 4 e alla lettera b), comma 1, dell'art. 13, d.P.R. 30 maggio 1989 n. 223».

Tutto ciò ha determinato non poche questioni circa la rilevanza di tale dichiarazione. Parte della dottrina ritiene che la mancanza della dichiarazione anagrafica non costituisce un ostacolo alla configurabilità e all'accertamento della fattispecie prevista dalla norma e pertanto all'applicazione della corrispondente disciplina (Balestra, 2016).

Tuttavia, il comma 37, pur alludendo al solo accertamento, incita a sostenere che la convivenza inizi solo con la dichiarazione fatta all'ufficiale dell'anagrafe atteso che solo a partire da quel momento il rapporto si può ritenere accertato (Gorgoni, 2016).

Come evidenziato in dottrina, tale indirizzo, ovvero di attribuire natura costitutiva alla dichiarazione invece che probatoria, potrebbe portare paradossalmente a considerare stabile la convivenza anche se iniziata da un solo giorno (Lenti, 2016).

Una decisione di merito (Trib. Milano, ord. 31 maggio 2016), infatti, ha definito la dichiarazione anagrafica come «strumento privilegiato di prova e non anche elemento costitutivo della convivenza di fatto».

Ebbene, bisogna sottolineare che alla dichiarazione anagrafica deve seguire una concreata e reale convivenza stabile, la formazione di una comunione di vita. Quindi, bisogna tener conto non solo della dichiarazione anagrafica ma anche e soprattutto dell'evoluzione di tale rapporto.

Reciproca assistenza morale e materiale

Secondo il contenuto normativo (comma 36), i conviventi sono stabilmente uniti da vincoli affettivi di coppia nonché di reciproca assistenza morale e materiale. A tal riguardo ci si è posti da sempre il problema se i diritti e doveri derivanti dall'art. 143 c.c. vanno estesi anche alla convivenza. Prima della legge n. 76/ 2016, l'assistenza morale e materiale si configurava come un obbligo reciproco tra i coniugi invece tale requisito a cui fa riferimento il comma 36, assumeva un valore diverso tra i conviventi, in quanto veniva spontaneamente prestato in virtù del legame affettivo che univa i partner. Con la novella, il dovere di assistenza morale e materiale viene chiaramente richiesto ai fini della sussistenza del rapporto. L'indicazione, nella normativa, dell'assistenza morale e materiale non «prescrive delle condotte ma si limita a descrivere una situazione di fatto» (Lenti, 2016).

È vero che una famiglia di fatto sussiste quando due persone legate da un vincolo affettivo si comportano come coniugi ma è altrettanto vero che tra i conviventi sussistono doveri morali e sociali e non giuridici (Coppola, 2016)

. In sostanza, la convivenza di fatto impone dei doveri impliciti che suggeriscono comportamenti di accadimento e di sostegno morale analoghi a quelli richiesti nell'ambito di un rapporto matrimoniale.

Va sottolineato che il dovere di fedeltà, di contribuzione e di collaborazione nell'interesse della famiglia non sono espressamente citati nell'elenco dei doveri che derivano da una convivenza di fatto. Tuttavia, questi doveri rientrano nel programma di vita che la coppia intraprende, atteso che il vincolo affettivo impone l'assistenza materiale, caratterizzata anche dalla contribuzione secondo le esigenze della vita familiare, e quindi la fedeltà al progetto di vita dei partner.

La legge n. 76 del 2016 non richiede tra i doveri dei conviventi quello di “fedeltà”, e secondo molti interpreti, imporre il dovere di fedeltà tra i conviventi che non contraggono alcun vincolo e di conseguenza prevedere una eventuale sanzione in caso di violazione di tale dovere, sembra una forzatura. Altri invece, che considerano la fedeltà come un onere di correttezza, anche se morale, per chi decide di iniziare una vita in due, ritengono che abbia lo stesso valore di quello che scaturisce tra i coniugi (concetto riportato da V. Pilla, 2008).

La non previsione del dovere di collaborazione, che nei fatti non si distingue facilmente dall'assistenza morale e materiale, si spiega forse con una sorta di retro-pensiero del legislatore che ha contemplato questa novella: senza matrimonio, quindi senza doveri personali stabiliti dalla legge, non c'è famiglia. Tale affermazione va ad ignorare tutta la giurisprudenza, a partire da quella fondamentale della CEDU, secondo cui si ha famiglia ovunque vi siano relazioni interpersonali caratterizzate da quell'intimità che in base al comune sentire è detta appunto familiare, indipendentemente dall'esistenza o meno di vincoli giuridici (Lenti, 2016).

I conviventi sono comunque tenuti, sul piano della giuridicità ufficializzata, ad un reciproco dovere di «assistenza morale e materia» al pari dei coniugi (in passato la reciproca assistenza tra i conviventi dava luogo ad una obbligazione naturale, vedi Cass. n. 1277/2014). La Suprema Corte ha infatti precisato, ancora prima della novella legislativa, che le unioni di fatto «formazioni sociali che presentano significative analogie con la famiglia formatasi nell'ambito di un legame matrimoniale (...) sono caratterizzate da doveri di natura morale e sociale di ciascun convivente nei confronti dell'altro, che si esprimono anche nei rapporti di natura patrimoniale. Ne consegue che le attribuzioni patrimoniali a favore del “convivente more uxorio” effettuate nel corso del rapporto, configurano l'adempimento di una obbligazione naturale ex art. 2034 c.c., a condizione che siano rispettati i principi di proporzionalità e di adeguatezza, senza che assumano rilievo le eventuali rinunce operate dal convivente, quale quella di trasferirsi all'estero recedendo dal rapporto di lavoro – ancorché suggerite o richieste dall'altro convivente, che abbiano determinato una situazione di precarietà sul piano economico, dal momento che tali dazioni non hanno valenza indennitaria, ma sono espressione della solidarietà tra due persone unite da una legame stabile e duraturo» (Cass. n. 1277/2014).

Gli effetti della convivenza more uxorio investono anche gli aspetti patrimoniali del rapporto, nel senso che le prestazioni patrimoniali di un convivente nei confronti dell'altro durante il periodo della convivenza possono essere anche oggetto di richiesta di restituzione. In tale caso l'azione generale di arricchimento che può essere proposta ha come presupposto la locupletazione di un soggetto a danno dell'altro che sia avvenuta senza giusta causa, sicchè non è dato invocare la mancanza o l'ingiustizia della causa qualora l'arricchimento da parte di un convivente “more uxorio” nei confronti dell'altro in presenza di prestazioni a vantaggio del primo esulanti dal mero adempimento delle obbligazioni nascenti dal rapporto di convivenza, il cui contenuto va parametrato sulle condizioni sociali e patrimoniali dei componenti della famiglia di fatto, e travalicanti i limiti di proporzionalità e di adeguatezza (Cass. n. 14732/2020).

E' stato, ad esempio, precisato che in caso di acquisto ‘pro indiviso' di un immobile effettuato da due conviventi ‘more uxorio' per quote uguali in difetto di diversa indicazione nel titolo, stante la presunzione di cui all'art. 1101 c.c., il maggior apporto fornito dal co-acquirente nella corresponsione del prezzo non può presumersi effettuato in favore dell'altro a titolo di liberalità, avente giustificazione nella mera convivenza, senza che sia fornita dimostrazione, anche mediante presunzioni, purché serie, dell'animus donandi. Pertanto, in difetto di prova, il convivente che abbia sborsato una somma maggiore ha il diritto di ottenere dall'altro il rimborso della parte eccedente la sua quota (Cass. n. 20062/2021).

Assenza di vincoli familiari

Il comma 36 dell'art. 1 della legge in esame, riproduce le norme del codice civile che stabiliscono gli impedimenti al matrimonio.

L'ipotesi dell'impedimento di matrimonio, reputato come un vincolo formale che persiste fino al suo scioglimento, determina che la presente disciplina non potrà essere applicata a tutte quelle convivenze dove uno dei due partener è separato (di fatto o legalmente). Infatti, la separazione non scioglie il matrimonio.

Tale regola, quindi, persiste anche se la coppia risulta all'anagrafe come «famiglia» (art. 4 d.P.R. n. 223/89). Tutto ciò si sostiene anche per l'impedimento di unione civile.

Il legislatore, in tal modo, rafforza quell'orientamento che accomuna i coniugi legalmente separati ai coniugi conviventi anziché a quelli divorziati. Tale equiparazione, anche se priva di riscontro effettivo, è ancora presente nel nostro diritto come in campo successorio (Lenti, 2016).

Previsione questa che risulta essere in contrasto con altre norme di legge e con alcuni importanti principi giurisprudenziali, come quell'orientamento che esclude l'addebito per le violazioni dei doveri matrimoniali che hanno luogo quando la convivenza è divenuta intollerabile, considerato che i doveri personali nascenti dal matrimonio si estinguono con la separazione (Lenti, 2016; Cass. n. 10512/1994); nonché il consolidato orientamento secondo il quale il coniuge che intraprende una nuova stabile convivenza perde il diritto all'assegno di mantenimento (Lenti, 2016; Cass. n. 17195/2011).

Anche se l'intento del legislatore era quello di ampliare la tutela dei conviventi, in tal modo si va a prospettare una circostanza in virtù della quale molte coppie che convivono stabilmente rimarrebbero prive di tutela (Gazzoni, La famiglia di fatto e le unioni civili. Appunti sulla recente legge, in personaedanno.it, 2016; Lenti, 2016).

Ebbene, la nuova normativa si applica alle sole convivenze i cui partner sono in stato libero, mentre le passate disposizioni si estendono a tutte le convivenze indipendentemente dalla presenza o meno di vincoli. Di fatto, la limitata applicazione della disciplina non consente di regolamentare tutti quei rapporti che nascono tra persone ancora legate formalmente da un rapporto di coniugio, come chi è in fase di separazione, ma non ancora divorziato.

La norma in riferimento agli impedimenti che scaturiscono dal rapporto di parentele e affinità è alquanto vaga allorché non precisa i limiti di grado come invece statuisce l'art. 87 c.c. Pertanto, se ci atteniamo al senso letterale di tale disposizione, gli impedimenti previsti per la convivenza apparirebbero più ampi (Auletta, 2016; Gazzoni, La famiglia di fatto e le unioni civili. Appunti sulla recente legge, in personaedanno.it, 2016; Lenti, 2016).

Dichiarazione davanti all'ufficiale di stato civile

Le convivenze di fatto non devono essere obbligatoriamente registrate all’anagrafe. In mancanza di registrazione, anche quando il rapporto sia stabile e duraturo, si parla di convivenza di fatto non formalizzata. In quest’ultimo caso, i due conviventi costituiscono comunque una coppia, ma non godono dei diritti propri delle convivenze di fatto formalmente registrate. Il comma 37 della l. n. 76/2016 prevede esplicitamente l’applicazione degli artt. 4 e 13, comma 1 lett. b del Regolamento del Decreto Presidenziale 30 maggio 1989 n. 223 ai fini dell’individuazione dell’inizio della stabile convivenza. La dichiarazione anagrafica attesta la convivenza. In seguito alla dichiarazione della convivenza di fatto, l’Ufficiale d’Anagrafe rilascia la certificazione anagrafica. La dichiarazione anagrafica è strumento privilegiato di prova e non anche elemento costitutivo della convivenza di fatto. Come è noto, le disposizioni che disciplinano i principi e le modalità di gestione dell’anagrafe della popolazione residente nello Stato italiano sono riconducibili all legge n. 1228/1954 e nel relativo Regolamento esecutivo, il d.P.R. 30 maggio 1989, n. 223. L’anagrafe della popolazione residente mira a soddisfare l’interesse di ogni comunità al conteggio ed alla conoscenza delle caratteristiche dei propri membri. La dichiarazione anagrafica consiste nella dichiarazione da rendersi dagli interessati ai fini della costituzione e della modificazione della propria famiglia anagrafica.

In particolare, l'art. 4 del Regolamento anagrafico (rubricato «Famiglia anagrafica») definisce la famiglia anagrafica come un insieme di persone legate da vincoli di matrimonio, parentela, affinità, adozione, tutela o da vincoli affettivi, coabitanti ed aventi dimora abituale nello stesso comune da non confondere con il concetto di convivenza anagrafica disciplinata dall'art. 5 del Regolamento, e applicabile alle «persone normalmente coabitanti per motivi religiosi, di cura, di assistenza, militari, di pena e simili, aventi dimora abituale nello stesso comune».

Più specificatamente, l'elemento che differenzia la famiglia anagrafica dalla convivenza anagrafica viene fornito dal successivo art. 13 del Regolamento («Dichiarazioni anagrafiche») da leggere in combinato disposto con l'art. 6 dello stesso Regolamento che individua il responsabile anagrafico ossia il soggetto che rende la dichiarazione di cui all'art. 13 e che si assume la responsabilità della dichiarazione stessa.

Tutto ciò ha determinato non poche questioni circa la rilevanza di tale dichiarazione.

Parte della dottrina ritiene che la mancanza della dichiarazione anagrafica non costituisce un ostacolo alla configurabilità e all'accertamento della fattispecie prevista dalla norma e pertanto all'applicazione della corrispondente disciplina (Balestra).

Tuttavia, il comma 37, pur alludendo al solo accertamento, incita a sostenere che la convivenza inizi solo con la dichiarazione fatta all'ufficiale dell'anagrafe atteso che solo a partire da quel momento il rapporto si può ritenere accertato (Gorgoni, 2016).

Come evidenziato in dottrina, tale indirizzo, ovvero di attribuire natura costitutiva alla dichiarazione invece che probatoria, potrebbe portare paradossalmente a considerare stabile la convivenza anche se iniziata da un solo giorno (Lenti, 2016)

. Pur non creando un nuovo status in capo ai componenti della coppia, la dichiarazione anagrafica consente di rendere formalmente conoscibile la relazione del punto di vista sociale, consentendo ai membri della convivenza di fatto di esprimere una sorta di assunzione di responsabilità. In una recente nota, il Ministero dell'Interno ha chiarito che, pur non costituendo la dichiarazione anagrafica un effetto costitutivo, ma solo l'accertamento della convivenza di fatto, tuttavia rappresenta un elemento formale imprescindibile per la prova della residenza in Italia della coppia di conviventi italiani o stranieri.

Una decisione di merito (Trib. Milano, ord., 31 maggio 2016), infatti, ha definito la dichiarazione anagrafica come «strumento privilegiato di prova e non anche elemento costitutivo della convivenza di fatto». Il principio è stato recentemente ribadito anche dal Tribunale di Mantova (ord., 1 aprile 2022), che con riferimento all’attestazione di convivenza tra un partner extracomunitario di cittadino residente ha precisato: “Per garantire l’effetto utile della Direttiva 2004/38/CE, nella parte in cui prevede che lo Stato membro ospitante agevoli l’ingresso e il soggiorno del partner con cui il cittadino dell’Unione abbia una relazione stabile debitamente attestata, e in accordo con l’art. 8 della CEDU, il diritto interno va interpretato nel senso che sussiste il diritto per il partner extracomunitario di cittadino residente in un Comune di ottenere un riconoscimento della situazione di fatto validamente accertata mediante l’iscrizione nel registro della popolazione residente di detto Comune e nello stato di famiglia del convivente, pur in assenza di permesso di soggiorno. La dichiarazione anagrafica, ai fini della convivenza di fatto, rappresenta strumento privilegiato di prova e non elemento costitutivo.

Peraltro, non è sostenibile che si sia in presenza di una convivenza di fatto solamente qualora le parti provvedano ad effettuare la dichiarazione di cui all'art. 13, comma 1, lett. b) in quanto questo sarebbe un arretramento rispetto alla giurisprudenza che ha valorizzato altri elementi, ben più importanti e sostanziali della mera dichiarazione, e che anzi, più volte, ha ritenuto insufficiente la dichiarazione anagrafica al fine della dimostrazione della convivenza di fatto.

Detto altrimenti, richiamare una norma dello stato civile per l'accertamento di un vincolo di fatto non appare coerente con il sistema perché il rapporto di fatto o c'è o non c'è a prescindere dalla sua formalizzazione anagrafica; l'accertamento della esistenza di una convivenza di fatto, qualora contestata, sarà problema di merito rimesso all'accertamento giudiziale, accertamento già quotidianamente compiuto dalle corti. Al contrario il richiamo alle registrazioni anagrafiche potrebbe far ritenere convivenza di fatto quella che era nata come semplice coabitazione (si pensi alla coabitazione per motivi di amicizia o assistenza che potrebbe assurgere a convivenza di fatto alla morte di uno dei partner, impossibilitato a contestarne l'esistenza, con evidenti effetti nei confronti degli eredi del defunto) (Velletti, Convivenze di fatto e unioni civili: i profili generali della legge Cirinnà, relazione al Seminario diretta webtv «Convivenze di fatto e unioni civili: i profili tecnico giuridici ed i riflessi sull'attività notarile», Viterbo, 13 maggio 2016).

Ebbene, bisogna sottolineare che alla dichiarazione anagrafica deve seguire una concreata e reale convivenza stabile, la formazione di una comunione di vita. Quindi, bisogna tener conto non solo della dichiarazione anagrafica ma anche e soprattutto dell'evoluzione di tale rapporto.

Bibliografia

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