Regolamento - 18/12/2008 - n. 4 art. 38 - Assenza di imposte, diritti o tasse

Giuseppe Fiengo

Assenza di imposte, diritti o tasse

Nei procedimenti relativi al rilascio di una dichiarazione di esecutività non vengono riscossi, nello Stato membro dell’esecuzione, imposte, diritti o tasse proporzionali al valore della controversia.

Inquadramento

Solo una volta emesso, all'esito di un procedimento inaudita altera parte, il provvedimento sull'istanza tesa al conseguimento della dichiarazione di esecutività di una decisione già esecutiva nello Stato d'origine il regolamento (CE) n. 4/2009 prevede la possibilità di proporre opposizione avverso la decisione adottata ai sensi dell'articolo 30.

Anche la disciplina di tale fase (solo eventuale) prodromica alle attività propriamente esecutive risente in massima parte della corrispondente disciplina dettata dal regolamento (CE) n. 44/2001. Di qui il riferimento che di seguito si farà all'elaborazione dottrinaria e giurisprudenziale maturata in relazione a tale ultimo regolamento.

È bene precisare subito che pure questa fase è oggetto, nel regolamento qui in esame, di una disciplina autonoma e completa, fatta salva la necessità per talune ipotesi (che saranno di volta in volta analizzate) di un'integrazione delle norme europee con quelle nazionali; integrazione da realizzare secondo la dottrina dell'effetto utile, modellando soluzioni processuali in toto funzionali allo scopo della disciplina dell'Unione (Salerno, 2003, 264).

La notificazione della decisione sulla domanda tesa alla dichiarazione di esecutività

La decisione sull'istanza tesa a conseguire la dichiarazione di esecutività nello Stato richiesto deve essere comunicata «immediatamente» al richiedente nelle forme previste dall'ordinamento dello Stato dell'esecuzione e deve anche essere notificata o comunicata alla parte nei confronti della quale è richiesta l'esecuzione unitamente (ove la parte non ne abbia già avuto notificazione o comunicazione) alla decisione dichiarata esecutiva.

La comunicazione o (nel caso del debitore, eventualmente) la notificazione costituisce quindi adempimento necessario per consentire alla parte interessata di instaurare la fase eventuale a contraddittorio pieno tesa ad accertare l'esistenza (o l'inesistenza) di motivi che precludono il riconoscimento della decisione straniera nello Stato richiesto.

Risulta quindi evidente come la notificazione al debitore abbia un ruolo fondamentale, sia perché consente allo stesso, per la prima volta (atteso che, come visto, il procedimento teso alla dichiarazione di esecutività si svolge inaudita altera parte), di proporre le proprie difese (pur se con riferimento ai motivi tassativamente previsti dallo stesso regolamento), sia perché consente — sotto il profilo probatorio — il computo esatto del perentorio termine previsto per l'opposizione e, quindi, la verifica del momento a partire dal quale la decisione sull'esecutività dovrà ormai ritenersi stabilizzata.

Corte giustizia CE, 16 febbraio 2006, C-3/05, Gaetano Verdoliva c. J.M. Van der Hoeven BV, Banco di Sardegna, ha osservato come la rilevanza che, in una prospettiva di garanzia dei diritti di difesa, ha la notificazione al convenuto della decisione sulla domanda di esecutività, giustifica la previsione, da parte della convenzione di Bruxelles, di condizioni di forma più rigide per tale notificazione rispetto a quelle previste per la trasmissione della medesima decisione al richiedente. Tale circostanza impone di escludere l'equivalenza tra la formalità prescritta dalla convenzione e la conoscenza della decisione aliunde conseguita dal debitore. In caso contrario, infatti, non solo i ricorrenti sarebbero tentati di abbandonare le modalità prescritte per una regolare notifica, ma, anche, sarebbe assai arduo il computo esatto del termine entro il quale l'opposizione può esser proposta. La Corte ha quindi concluso osservando che la disciplina convenzionale impone una notificazione della decisione di esecutività regolare secondo le norme processuali dello Stato richiesto e che, pertanto, in caso di notificazione inesistente o irregolare la sola acquisita conoscenza della decisione sull'istanza tesa a conseguire la dichiarazione di esecutività non comporta la decorrenza del termine per l'opposizione.

Il ricorso contro la decisione sull'esecutività

Avverso la decisione resa ai sensi dell'articolo 30 è possibile proporre ricorso innanzi all'autorità giurisdizionale notificata da ciascuno Stato membro alla Commissione ai sensi dell'articolo 71 del regolamento.

Per l'Italia la competenza è attribuita alla Corte di Appello (pur non essendovi alcuna precisazione in merito, è ovvio che competente sarà la Corte di Appello che si è pronunciata ai sensi dell'art. 30).

La legittimazione attiva è attribuita tanto alla parte che abbia visto rigettata l'istanza per la dichiarazione di esecutività, quanto (secondo quel che più frequentemente accade, visti anche i segnalati, assai ridotti spazi di sindacato spettanti al giudice investito dell'istanza ai sensi dell'articolo 26) alla parte nei confronti della quale si intende portare ad esecuzione la decisione straniera.

L'opposizione (che non è soggetta al pagamento di imposte, diritti o tasse — art. 38) deve essere proposta entro il termine perentorio di trenta giorni dalla notificazione o dalla comunicazione della dichiarazione di esecutività (art. 32.5); il termine, non prorogabile per ragioni relative alla distanza, è elevato a quarantacinque giorni se la parte nei confronti della quale è richiesta l'esecuzione risiede abitualmente in uno Stato membro diverso da quello nel quale è stata rilasciata la dichiarazione di esecutività.

La formulazione letterale della norma è tale da indurre a ritenere che il termine per l'opposizione sia eguale per ciascuna delle parti legittimate. Dovrebbe ritenersi quindi superato il contrasto in passato emerso tra il giudice di Lussemburgo e la Corte di cassazione italiana (si vedano, rispettivamente, Corte giustiziaCE, 16 febbraio 2006, C-3/05,Gaetano Verdoliva c. J.M. Van der Hoeven BV, Banco di Sardegna e Cass. I, n. 17005/2007) che, sulla base di un testo normativo (artt. 36 e 40 della convenzione di Bruxelles del 1968) diverso da quello qui in esame, avevano ritenuto, la prima, che il termine perentorio per l'impugnazione operasse solo per la parte nei confronti della quale è chiesta l'esecuzione e, la seconda, che il medesimo termine perentorio fosse previsto a carico di entrambe le parti astrattamente legittimate all'opposizione.

Come condivisibilmente chiarito dalla Suprema Corte (v. infra) la domanda deve, in Italia, essere proposta nelle forme dell'atto di citazione (dovrà pertanto valutarsi il rispetto del termine perentorio con riferimento al momento nel quale è richiesta la notifica dell'atto introduttivo del giudizio).

Il procedimento si svolge nel contraddittorio tra le parti. Il contraddittorio deve, in particolare, essere provocato anche nel caso in cui l'opposizione sia proposta dalla parte che abbia visto rigettata la domanda tesa alla dichiarazione di esecutività. Tanto si desume dal paragrafo 4 dell'articolo 32 che prevede come, ove la parte nei confronti della quale è chiesta l'esecuzione non compaia, trovi applicazione l'articolo 11 del regolamento (CE) n. 4/2009 (sì che il giudice dovrà sospendere il procedimento sino al momento in cui non sia accertato che il convenuto è stato posto in condizione di conoscere la domanda giudiziale o atto equivalente in tempo utile a consentire l'esercizio effettivo del diritto di difesa). L'articolo 32.4 ha per la verità una portata più ampia rispetto alla previsione dell'articolo 11; la prima norma si applica infatti, per espressa previsione, anche nel caso in cui la parte contro la quale è chiesta l'esecuzione non risieda abitualmente in uno Stato membro diverso da quello richiesto dell'esecuzione. La garanzia si giustifica tenendo presente che il ricorso ai sensi dell'articolo 32 è l'unico strumento di difesa mediante il quale il debitore può far valere limiti alla riconoscibilità della decisione straniera.

La cognizione del giudice investito del ricorso è limitata, oltre che alla verifica dell'esistenza dei presupposti (come detto, essenzialmente formali) per la dichiarazione dell'esecutività, ai motivi ostativi al riconoscimento della decisione straniera (in questo senso, esplicitamente, l'articolo 34 che, al primo paragrafo, prevede come il rifiuto o la revoca della dichiarazione di esecutività possa essere pronunciato «solo» per uno dei motivi indicati all'articolo 24).

Nel rinviare a quanto detto all'art. 24 con riferimento all'ambito di operatività dei singoli motivi di ricorso, preme qui ribadire come il limitato oggetto del giudizio proponibile ai sensi dell'articolo 32 si giustifichi alla luce dell'esigenza di evitare contestazioni meramente dilatorie e, in definitiva, della reciproca fiducia nella giustizia degli Stati membri (in questo senso, del resto, con disposizione applicabile anche alle decisioni adottate da uno Stato membro vincolato dal protocollo del 2007, l'articolo 42 pone un divieto — assoluto — di riesame nel merito della decisione).

Il carattere limitato dell'oggetto di tale giudizio è ulteriormente accentuato ove si consideri che i casi di mancato riconoscimento contemplati all'articolo 24 devono essere oggetto di interpretazione restrittiva, in quanto ipotesi destinate a limitare l'obiettivo fondamentale della libera circolazione delle decisioni.

Proprio la piena garanzia della libera circolazione delle decisioni impone, avuto riguardo anche alla dottrina dell'effetto utile, di escludere (come ha in più occasioni fatto la Corte di giustizia) che i (tassativi) rimedi concessi a fronte della dichiarazione di esecutività possano essere aggirati dalla parte mediante l'esperimento, in sede di esecuzione, di rimedi pur generalmente esercitabili nell'ordinamento interno. Una simile possibilità contrasterebbe del resto con quel favor verso la generalizzata efficacia della decisione straniera che, come detto, è assistito da una vera e propria presunzione di efficacia della sentenza (Salerno, 2003, 268).

Il giudice chiamato a pronunciarsi sul ricorso proposto ai sensi dell'articolo 32, salvo il caso di mancata comparizione della parte nei confronti della quale si chiede l'esecuzione (art. 32.4) è tenuto a pronunciarsi entro novanta giorni dal momento in cui è stato adito, «salvo impossibilità dovuta a circostanze eccezionali». Nel tentativo di assicurare una definizione assai celere del procedimento (e, pertanto, ancora una volta, di garantire — eventualmente — la realizzazione immediata del credito alimentare), il regolamento (CE) n. 4/2009 prevede un termine entro il quale il giudice deve (in via ordinaria) pronunziarsi; tanto a dispetto del regolamento (CE) n. 44/2001 il quale (art. 45) si limita a disporre che il giudice si pronuncia «senza indugio».

L'articolo 35 prevede la sospensione necessaria (secondo quanto risulta dall'impiego del verbo «sospende») del giudizio di opposizione nel caso in cui l'esecutività della decisione sia sospesa nello Stato membro d'origine in conseguenza della presentazione di un ricorso.

La disposizione si giustifica considerando che, come detto, il limitato accertamento svolto dal giudice richiesto di pronunciare sulla domanda di esecutività nello Stato dell'esecuzione ha ad oggetto anche la verifica dell'esecutività della decisione nello Stato d'origine. Il venir meno di tale esecutività non può non produrre effetti anche sull'esecutività pronunciata nello Stato richiesto e, in definitiva, sulla fase (eventuale) di opposizione al provvedimento emesso ai sensi dell'articolo 30 del regolamento. Solo ove la decisione acquisisca nuovamente natura esecutiva nello Stato d'origine, il procedimento instaurato ai sensi dell'articolo 32, previa riassunzione su iniziativa della parte interessata, potrà riprendere.

Al fine di evitare iniziative dilatorie destinate a rallentare i tempi di realizzazione effettiva del credito alimentare, l'articolo 35 subordina la sospensione dell'opposizione alla dichiarazione di esecutività alla sola (effettiva) sospensione dell'esecutività della decisione nello Stato membro. La norma si distingue quindi dalla sospensione prevista all'articolo 46 del regolamento (CE) n. 44/2001 il quale attribusce al giudice adito ai sensi degli articoli 43 e 44 la facoltà (e non l'obbligo) di sospendere il procedimento a fronte della mera impugnazione (e non, quindi, dell'accoglimento della stessa) della decisione da eseguire o della pendenza del termine per l'impugnazione.

Da ultimo, il regolamento prevede (art. 37) che il giudizio di opposizione possa concludersi con una dichiarazione di esecutività parziale (relativa cioè solo ad alcuni capi della decisione) la quale, in verità, può anche essere oggetto di una esplicita domanda di parte. La norma è destinata a trovare applicazione nel caso in cui, con la medesima decisione, il giudice dello Stato d'origine abbia reso statuizioni non annoverabili nella nozione (autonoma) di obbligazione alimentare accolta dal regolamento (ma, ad esempio, da ricondurre al regime patrimoniale dei coniugi) e statuizioni, invece, propriamente alimentari. Fermo restando che, in un simile caso, già la decisione di esecutività avrebbe dovuto esser per la verità rilasciata limitatamente alle sole prestazioni alimentari, ben potrebbe (meglio, dovrebbe) il giudice del ricorso in opposizione, a fronte di una specifica doglianza svolta dalla parte, limitare la dichiarazione di esecutività ai soli capi effettivamente relativi all'obbligazione alimentare.

Con riferimento alla legittimazione, nel regime del regolamento (CE) n. 44/2001, ad opporre la decisione sull'esecutività emessa dalla competente autorità dello Stato richiesto, Corte giustizia CE, 23 aprile 2009, C-167/08, Draka NK Cables Ltd, AB Sandvik international, VO Sembodja BV e Parc Healthcare International Limited c. Omnipol Ltd., anche alla luce del considerando 18 del regolamento, ha osservato che la facoltà di impugnazione è attribuita esplicitamente al solo richiedente ed al convenuto ed ha pertanto escluso la legittimazione in capo al creditore di un debitore non comparso come parte processuale nel giudizio in cui un altro creditore del medesimo debitore ha chiesto la dichiarazione di esecutività.

La Corte di Lussemburgo ha — condivisibilmente — manifestato particolare rigore nel verificare il decorso del termine perentorio per l'opposizione avverso la dichiarazione di esecutività, dimostrandosi preoccupata di evitare che, attraverso l'impugnazione nelle forme del diritto interno, possa essere aggirato il termine previsto dalla convenzione del 1968 per l'impugnazione del provvedimento che pronuncia sull'istanza di esecutività. In particolare, Corte giustizia CE,4 febbraio 1998, C-145/86, Horst Ludwig Martin Hoffmann c. Adelheid Krieg, ha osservato come, pur avvenendo l'esecuzione di una decisione straniera esecutiva nello Stato diverso da quello d'origine secondo le norme processuali dell'ordinamento richiesto (ivi comprese quelle relative ai mezzi di impugnazione), l'applicazione delle norme processuali dello Stato richiesto non può pregiudicare l'efficacia pratica delle norme dettate dalla convenzione con riferimento all'exequatur. Conseguentemente, i mezzi di impugnazione regolati dall'ordinamento interno non possono essere impiegati qualora l'opposizione all'esecuzione di una decisione straniera esecutiva sia proposta dalla medesima parte che avrebbe potuto promuovere l'opposizione all'exequatur e sulla base di motivi deducibili con la medesima opposizione all'exequatur quale disciplinata dalla convenzione. Una diversa soluzione, infatti, prosegue la Corte, finirebbe con il consentire un'impugnazione dell'exequatur oltre il termine previsto dall'art. 36 della convenzione e, quindi, con il disapplicare, nella sostanza, tale disposizione.

Quanto alla forma dell'atto introduttivo del giudizio di opposizione alla dichiarazione di esecutività, Cass. I, n. 1260/2016, ha chiarito che il rimedio disciplinato dall'art. 43 del regolamento (CE) n. 44/2001 avverso il decreto con il quale la Corte di Appello ha accolto l'istanza tesa ad ottenere la dichiarazione di esecutività della sentenza straniera deve essere proposto non con ricorso, ma con citazione ad udienza fissa. In questo senso depongono (nonostante la lettera dell'articolo 43) tanto la natura contenziosa del procedimento (preordinato alla soluzione di un conflitto su diritti), quanto la finalità (propria del regolamento) di semplificazione delle formalità necessarie per assicurare, in tempi ridotti, il riconoscimento e l'esecuzione delle decisioni negli Stati membri. Ne deriva che la verifica del rispetto del termine perentorio previsto dall'art. 43.5 dovrà essere svolta avendo riguardo alla data in cui è stata richiesta la notifica dell'atto introduttivo; la proposizione della domanda nella forma del ricorso non comporta tuttavia inammissibilità della stessa ove la notifica dell'atto e del decreto di fissazione dell'udienza siano comunque avvenute nel rispetto del medesimo termine perentorio. Nello stesso senso, già Cass. I, n. 253/2010.

Un'interpretazione restrittiva dei motivi di ricorso in opposizione alla decisione sulla domanda di esecutività è stata fornita, tra le altre, da Corte giustizia UE, 13 ottobre 2011, C-139/10, Prism Investments BV c. Jaap Anne van der Meer e da Corte giustiziaCE, 28 aprile 2009, C-420/07,Meletis Apostolides c. David Charles Orams e Linda Elizabeth Orams.

Corte giustizia UE, 6 settembre 2012, C-619/10, Trade Agency Ltd c. Seramico Investments Ltd, ha chiarito che, ferma la natura esaustiva dei motivi di ricorso contemplati dagli articoli 43 e 44 del regolamento (CE) n. 44/2001 il giudice può verificare se, nonostante il contenuto dell'attestato rilasciato, ai sensi dell'articolo 54, dall'autorità dello Stato d'origine il convenuto non abbia ricevuto la comunicazione o notificazione della domanda o dell'atto equivalente in tempo utile per svolgere le proprie difese. In proposito, la citata decisione osserva che il regolamento pone un divieto di riesame nel merito esclusivamente con riferimento alla decisione dello Stato membro d'origine; analoga disposizione non è invece posta con riferimento alla verifica della correttezza delle informazioni contenute nell'attestato. Del resto, il giudice o l'autorità competente per il rilascio dell'attestato non necessariamente coincidono con l'organo che ha emesso la decisione, sì che le informazioni contenute nell'allegato hanno una portata meramente indicativa ed un valore semplicemente informativo. Tanto discende anche dal carattere solo eventuale della produzione dell'attestato, potendo, in difetto, il giudice dello Stato membro richiesto della dichiarazione di esecutività accettare un documento equivalente ovvero, nel caso in cui ritenga di essere informato a sufficienza, astenersi dal chiederne la produzione. Conseguentemente, il giudice dello Stato membro richiesto, è tenuto, ai sensi dell'articolo 34.2 (al quale rinvia l'articolo 45 del regolamento CE n. 44/2001) a compiere una valutazione autonoma degli elementi di prova forniti dal ricorrente e a verificare quindi la concordanza tra questi ultimi e le informazioni risultanti dall'attestato al fine di verificare se, nello Stato membro d'origine, il convenuto abbia ricevuto la notificazione o comunicazione della domanda e se la notificazione o la comunicazione sono state eseguite in tempo utile per consentire l'esercizio del diritto di difesa.

L'impugnazione della decisione emessa sul ricorso

Con una scarna disposizione, l'articolo 33 del regolamento prevede che la decisione sul ricorso proposto ai sensi dell'articolo 32 può essere impugnata solo mediante le procedure comunicate dallo Stato membro alla Commissione ai sensi dell'articolo 71; sulla base di tale articolo l'Italia ha comunicato che i mezzi di impugnazione della decisione resa sul ricorso in opposizione avverso la decisione adottata ex art. 30 sono i mezzi di impugnazione ordinaria e straordinaria del ricorso per cassazione, della revocazione e dell'opposizione di terzo.

La lettera della norma e la configurazione del procedimento disciplinato a partire dall'articolo 26 del regolamento quale procedimento autonomo e completo impongono di ritenere non solo che la decisione resa all'esito del ricorso ex articolo 32 possa essere impugnata esclusivamente nelle forme dell'art. 33, ma, anche, che tale decisione possa essere impugnata solo con il mezzo indicato all'articolo 33 e non, anche, con gli strumenti processuali interni dello Stato richiesto (pena, altrimenti, il possibile aggiramento del termine perentorio per l'impugnazione da proporre ai sensi dell'articolo 33 e, in definitiva, la sostanziale disapplicazione della norma da ultimo citata).

Anche con riferimento a tale giudizio, il legislatore europeo si preoccupa di assicurare la celerità della decisione. L'articolo 34.3 del regolamento (CE) n. 4/2009 dispone infatti che la decisione debba essere adottata «senza indugio». Con riferimento all'analoga locuzione adoperata dall'art. 45 del regolamento (CE) n. 44/2001 la dottrina ha osservato come l'effetto utile imposto dal regolamento comporti che la decisione debba essere adottata all'esito di un procedimento (in contraddittorio) di cognizione necessariamente sommaria perché volutamente rapida (Salerno, 2003, 265).

Corte giustizia CE, 23 aprile 2009, C-167/08, Draka NK Cables Ltd, AB Sandvik international, VO Sembodja BV e Parc Healthcare International Limited c. Omnipol Ltd., ha precisato che la natura autonoma e completa del procedimento di esecutività disciplinato dalla convenzione di Bruxelles del 1968 deve ravvisarsi anche con riferimento ai mezzi di impugnazione delle decisioni adottate nel corso di tale procedimento; le norme che a tali mezzi fanno riferimento devono quindi essere interpretate in modo restrittivo. Conseguentemente l'articolo 36 della convenzione va inteso quale norma che esclude le impugnazioni che il diritto nazionale pure attribuisce ai terzi interessati avverso il provvedimento di exequatur.

Secondo la già citata Cass. I, n. 17006/2007, atteso che il giudizio di riconoscimento di una decisione straniera regolato dalla convenzione di Bruxelles si articola in tre gradi (il primo si conclude con una decisione di accoglimento o rigetto dell'istanza di riconoscimento, il secondo ha ad oggetto l'opposizione avverso la decisione resa sull'istanza di riconoscimento ed il terzo è costituito dal ricorso per cassazione avverso la decisione adottata nel secondo grado), deve ritenersi inammissibile il ricorso per cassazione proposto direttamente avverso la decisione di riconoscimento.

Provvedimenti provvisori e cautelari

Con disposizione che ricalca quella dell'articolo 47 del regolamento (CE) n. 44/2001 (e quella dell'articolo 39 della convenzione di Bruxelles del 1968), l'articolo 36 del regolamento (CE) n. 4/2009 disciplina i presupposti della tutela cautelare invocabile dal creditore nello Stato membro richiesto prima che sia divenuta definitiva la decisione sulla domanda di esecutività.

La norma appare nel complesso tesa ad evitare che i tempi (pur, almeno in astratto, ridotti) necessari per il conseguimento di una stabile decisione relativa alla dichiarazione di esecutività possano pregiudicare il creditore a fronte di condotte medio tempore tenute dal debitore con l'intenzione (o, comunque, con l'effetto) di disperdere i beni costituenti la propria garanzia patrimoniale.

Fermo restando che la dichiarazione di esecutività (art. 30) consente, di per sé, l'autorizzazione a procedere a provvedimenti cautelari secondo le norme dello Stato richiesto (art. 36.2), il regolamento attribuisce al creditore la possibilità di ottenere provvedimenti provvisori o cautelari in conformità della legge dello Stato dell'esecuzione anche in assenza di una dichiarazione di esecutività (art. 36.1).

La norma sarebbe applicabile in caso di decisioni non ancora esecutive nello Stato d'origine, pur se suscettibili di riconoscimento; risulterebbe in questo modo accentuata la presunzione di efficacia automatica della decisione straniera (Salerno, 2003, 279-280). Non v'è dubbio che una simile lettura offre la più ampia applicazione possibile dell'art. 47 del regolamento (CE) n. 44/2001 e, quindi, per quanto qui interessa, dell'art. 36 del regolamento (CE) n. 4/2009. In una prospettiva meno ampia, l'ambito di applicazione delle norme da ultimo citate è stato invece ricondotto al caso di decisioni (esecutive nello Stato d'origine) rispetto alle quali ancora non vi sia stato l'exequatur semplificato e, pertanto, eventualmente, anche al caso in cui il creditore ancora non abbia notificato la decisione straniera (Merlin, 2001, 459).

In ogni caso, in presenza dei presupposti dell'art. 47, il creditore potrebbe chiedere al giudice dello Stato membro dell'esecuzione provvedimenti cautelari fondati, quanto al fumus, sulla decisione straniera di merito e, quanto al periculum, ovviamente, su possibili condotte depauperatorie del debitore (Salerno, 2003, 279 — 280; Merlin, 2001, 459). Ancora, il provvedimento cautelare così emesso non sarebbe reclamabile (dovendo tale rimedio ritenersi assorbito nella disciplina europea sull'efficacia delle decisioni straniere). Resta invece fermo (attesa la strumentalità della cautela) l'onere per la parte che abbia conseguito il provvedimento cautelare di richiedere la dichiarazione di esecutività della decisione straniera una volta che la decisione di merito sia divenuta esecutiva nel foro d'origine, pena la sopravvenuta inefficacia del provvedimento cautelare (Salerno, 2003, 280).

Infine, il terzo paragrafo dell'articolo 36 attribuisce al creditore di alimenti, sino a quando non sia decorso il termine per proporre il ricorso disciplinato all'articolo 32, ovvero — ove tale ricorso sia stato proposto — sino a quando non vi sia ancora stata la pronuncia sul ricorso, la possibilità di procedere solo a provvedimenti cautelari sui beni del debitore.

In definitiva, se la disciplina del primo paragrafo dell'articolo 36 consente al creditore — in assenza di una dichiarazione resa ai sensi dell'art. 30- di richiedere un provvedimento cautelare sulla base di autonoma iniziativa nello Stato richiesto, in presenza di una dichiarazione di esecutività è attribuita la possibilità (sulla base della medesima decisione straniera esecutiva anche nello Stato richiesto e, quindi, senza necessità di instaurare autonomo procedimento cautelare) di «procedere» a provvedimenti cautelari.

Analoga facoltà è attribuita anche nel caso in cui non sia ancora spirato il termine per l'opposizione, ovvero tale fase (come detto, eventuale) del procedimento teso a conseguire l'esecutività non si sia ancora esaurita. In tale ipotesi, come detto, la norma prevede solo la possibilità, per il creditore (il quale, in difetto di un simile limite, potrebbe già intraprendere l'esecuzione), di procedere con provvedimenti cautelari (essenzialmente, sequestri conservativi) sui beni della parte debitrice. Tale ultima disposizione è chiaramente tesa a contemperare, da un lato, l'interesse della parte che ha ottenuto l'autorizzazione all'esecuzione della decisione emessa nello Stato d'origine ad evitare la dispersione dei beni del proprio debitore e, dall'altro lato, l'interesse del debitore ad instaurare, prima dell'esecuzione, il contraddittorio avverso il provvedimento di esecutività pronunciato ai sensi dell'articolo 30.

Con riferimento alla convenzione di Bruxelles del 1968, Corte giustizia CE,3 ottobre 1985, C-119/84, P. Capelloni e F. Aquilini c. J. C J. Pelkmans, ha chiarito che la convenzione si limita a disciplinare il procedimento per conseguire l'autorizzazione all'esecuzione, ma non pone regole concernenti l'esecuzione propriamente detta la quale è destinata ad essere retta dalle norme dell'ordinamento richiesto dell'esecuzione. Il rinvio che, per gli atti di esecuzione, è compiuto ai singoli ordinamenti nazionali deve ritenersi operante anche con riferimento ai provvedimenti conservativi contemplati all'articolo 39 della convenzione, fermo restando — precisa la Corte — che l'applicazione delle prescrizioni del diritto processuale interno del giudice adito non potrebbe in ogni caso avere quale effetto di rimettere in discussione i principi posti (in modo espresso o tacito) dalla convenzione. Conseguentemente, stabilire se una norma dell'ordinamento del giudice richiesto vada applicata ai provvedimenti conservativi adottati ai sensi dell'articolo 39 della convenzione dipende dalla compatibilità della singola norma nazionale con i principi risultanti dallo stesso articolo 39. In particolare, da tale norma si desume che la parte che ha ottenuto una dichiarazione di esecutività nello Stato richiesto non ha necessità — per procedere a provvedimenti conservativi — di ottenere un'autorizzazione giudiziaria specifica e distinta. Tale necessità è infatti esclusa, tra l'altro, dalla stessa lettera dell'articolo 39 secondo la quale la dichiarazione di esecutività «implica» l'autorizzazione a procedere a provvedimenti cautelari. Ancora, con la medesima sentenza, la Corte ha escluso che le misure conservative contemplate dalla norma da ultimo citata possano essere richieste entro termini previsti dall'ordinamento dello Stato richiesto, dovendo la disciplina dei tempi della richiesta essere desunta integralmente dall'articolo 39. Sulla scia di tale decisione, Cass. III, n. 8380/1987, ha ritenuto che la parte che, ai sensi dell'articolo 39 della convenzione di Bruxelles ha chiesto ed ottenuto l'autorizzazione all'esecuzione in Italia di una sentenza di condanna al pagamento di un debito pronunciata in altro Stato aderente alla convenzione, può, pendente il termine dell'articolo 36 della medesima convenzione e sino a quando sia intervenuta una decisione definitiva sull'opposizione proposta dal debitore, procedere direttamente a misure conservative sui beni della parte contro la quale è chiesta l'esecuzione, senza dover ottenere una specifica autorizzazione (già implicita nella concessione della formula esecutiva), né dover provvedere all'instaurazione di un successivo giudizio di convalida (essendo peraltro precluso un riesame nel merito della decisione straniera da parte del giudice italiano).

Bibliografia

Bonatti, L'autonomia del diritto dell'Unione come cavallo di troia per una nuova stagione di integrazione processuale: il caso della «nozione di parte», in Int' Lis, 2010, 69 ss.; Castellaneta - Leandro, Il regolamento CE n. 4/2009 relativo alle obbligazioni alimentari, in Nuove leggi civ. comm., 2009, 1051 ss.; D'Alessandro Exequatur secondo la Conv. Bruxelles ed applicazione delle forme dell'art. 67 l. 218/1995, in Int' Lis, 2008, 22.; Merlin, Riconoscimento ed esecutività della decisione straniera nel regolamento «Bruxelles I», in Riv. dir. proc. 2001, 433 ss.; Salerno, Giurisdizione ed efficacia delle decisioni straniere nel regolamento (CE) n. 44/2001 (La revisione della Convenzione di Bruxelles del 1968), Padova, 2003; Villata, Obblighi alimentari e rapporti di famiglia secondo il regolamento n. 4/2009, in Riv. dir. internaz. 3, 2011, 731 ss.

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