Codice Civile art. 193 - Separazione giudiziale dei beni (1).

Gustavo Danise

Separazione giudiziale dei beni (1).

[I]. La separazione giudiziale dei beni può essere pronunziata in caso di interdizione o di inabilitazione [414 ss.] di uno dei coniugi o di cattiva amministrazione della comunione.

[II]. Può altresì essere pronunziata quando il disordine degli affari di uno dei coniugi o la condotta da questi tenuta nell'amministrazione dei beni mette in pericolo gli interessi dell'altro o della comunione o della famiglia, oppure quando uno dei coniugi non contribuisce ai bisogni di questa in misura proporzionale alle proprie sostanze e capacità di lavoro [148].

[III]. La separazione può essere chiesta da uno dei coniugi o dal suo legale rappresentante.

[IV]. La sentenza che pronunzia la separazione retroagisce al giorno in cui è stata proposta la domanda ed ha l'effetto di instaurare il regime di separazione dei beni regolato nella sezione V del presente capo, salvi i diritti dei terzi.

[V]. La sentenza è annotata a margine dell'atto di matrimonio [107 2] e sull'originale delle convenzioni matrimoniali [162, 2647].

(1) Articolo così sostituito dall'art. 72 l. 19 maggio 1975, n. 151. L'art. 55 della stessa legge, ha modificato l'intitolazione di questa Sezione e soppresso la suddivisione in paragrafi.

Inquadramento

L'art. 193 disciplina la fattispecie in cui uno dei coniugi, in presenza di una delle causali espressamente elencate, chiede al giudizio di pronunciare la sentenza che disponga la separazione dei beni in sostituzione della comunione legale. Non a caso la separazione giudiziale dei beni è una delle cause di scioglimento della comunione legale ex art. 191 c.c. che espressamente la richiama. La norma si estende anche alle parti di un'unione civile ex art. 1 comma 13 l. n. 76/2016.

Considerazioni generali

La ratio dell'istituto consiste nel tutelare l'interesse di ciascuno dei coniugi a liberarsi dal vincolo della comunione legale, quando, a causa dell'impossibilità dell'amministrazione per ragioni personali (interdizione o inabilitazione) o per il sopravvenire di una grave situazione di conflittualità, si manifesti tra i coniugi un insanabile disaccordo non solo sul modo di gestire il patrimonio comune, ma anche sull'opportunità di chiedere un mutamento convenzionale del regime patrimoniale legale (De Paola, 652; Oberto, 1875 ss.). Infatti, il mutamento del regime legale di comunione in separazione dei beni può avvenire mediante la stipula di una convenzione matrimoniale ex art. 162 c.c.; nel caso in cui uno dei due rifiuti la proposta in tal senso formulata dall'altro coniuge, quest'ultimo potrà conseguire il medesimo risultato per effetto di una pronuncia del giudice, a patto che la domanda sia supportata dalla presenza di una delle causali indicate nell'art. 193, di cui dovrà fornire prova rigorosa in giudizio. Inspiegabilmente, come già notato nel commento all'art. 192 c.c. la disposizione, che disciplina una delle cause di scioglimento della comunione legale, è collocata dopo la norma su rimborsi e restituzioni che rientrano già nell'ambito degli effetti dello scioglimento della comunione. Sarebbe stato più opportuno invertire l'ordine di collocazione delle due disposizioni nel senso che il testo della separazione giudiziale dei beni doveva essere contenuto nell'art. 192 e quello su rimborsi e restituzioni nel 193 attesa anche la propedeuticità di queste ultime alle operazioni di divisione descritte negli artt. 194 ss. Di particolare interesse è il rapporto tra la separazione personale dei coniugi e la separazione giudiziale dei beni, dal momento che entrambe costituiscono cause di scioglimento della comunione legale dei beni, atteso il richiamo di entrambi gli istituti nell'art. 191 c.c. (su tale rapporto cfr. Schlesinger, 447; Venditti, 255; De Filippis-Casaburi, 458). La distinzione tra i due istituti consiste nel fatto che se un coniuge chiede la separazione giudiziale dei beni, rimane comunque legato all'altro dal vincolo coniugale; se chiede, invece, la separazione giudiziale, otterrà quale effetto ulteriore effetto giuridico ex lege anche la separazione dei beni. Quindi la separazione giudiziale dei beni prescinde da quella personale, mentre la separazione personale determina anche ope legis quella dei beni. A seconda di quale giudizio, dei due, verrà incardinato, muterà il dies a quo di decorrenza del regime di separazione dei beni. Se il coniuge instaura con profitto il giudizio ex art. 193, gli effetti della pronunzia di separazione giudiziale dei beni retroagiscono al momento della domanda (art. 193 comma 4); se, invece, propone domanda di separazione personale, tale effetto si produrrà, attualmente, dopo la riforma dell'art. 191 comma 2 c.c. ad opera della l. n. 55/2015, dal momento in cui il presidente del tribunale autorizza i coniugi a vivere separati, ovvero, in caso di presentazione di ricorso congiunto per separazione personale da parte dei coniugi, dalla data di sottoscrizione del processo verbale di separazione consensuale dei coniugi dinanzi al presidente, purché omologato.

In merito ai rapporti tra il giudizio di separazione personale e quello per separazione dei beni, la Cassazione, in linea con l'opinione proposta, ha evidenziato che mentre in caso di separazione personale dei coniugi lo scioglimento della comunione legale di beni si verifica con effetto ex nunc, solo con il passaggio in giudicato della sentenza di separazione o con l'omologa degli accordi di separazione consensuale (fattispecie antecedente alla riforma dell'art. 191 comma 2 c.c. ad opera della l. n. 55/2015), in caso di separazione giudiziale dei beni gli effetti dello scioglimento della comunione retroagiscono invece al giorno in cui è stata proposta la domanda, secondo quanto espressamente prevede il comma quarto dell'art. 193, il quale, così disponendo, deroga al principio in forza del quale, allorché la pronuncia del giudice ha, come nella specie, valenza costitutiva, gli effetti di tale sentenza non possono prodursi se non dal passaggio in giudicato (Cass. n. 2844/2001). Successivamente la S.C. muterà orientamento sul punto con la Cass. n. 4757/2010 ove ha stabilito che il passaggio in giudicato della sentenza di separazione giudiziale è condizione dell'azione per la presentazione della domanda di separazione giudiziale dei beni. La questione può dirsi comunque oramai superata con la novella del 2015 che ha modificato il comma 2 dell'art. 191 c.c. Sempre sul tema dei rapporti tra le due azioni, la Corte di legittimità ha precisato che la separazione giudiziale dei beni, quale causa di scioglimento della comunione legale dei beni tra coniugi, non è preclusa dalla pendenza del giudizio di separazione personale tra gli stessi coniugi, né dall'avvenuta pronuncia, da parte del presidente del tribunale, dei provvedimenti temporanei ed urgenti di cui all'art. 708 c.p.c., per cui è possibile che contestualmente alla pendenza del giudizio di separazione, il coniuge interessato incardini anche il giudizio ex art. 193 (Cass. n. 12293/2005). Anche quest'orientamento può dirsi superato dalla novella del 2015; infatti, con la fissazione della decorrenza dello scioglimento della comunione legale al momento della pronuncia dell'ordinanza presidenziale ex art. 708 c.p.c. dopo l'udienza di comparizione dei coniugi, ovvero dalla data di sottoscrizione dell'accordo di separazione consensuale, verrebbe meno l'interesse del coniuge a promuovere il separato giudizio ex art. 193 per anticipare lo scioglimento della comunione legale — salvo per assurdo che il coniuge incardini il giudizio nei pochi mesi che separano la presentazione del ricorso per separazione giudiziale in cancelleria dalla data in cui è fissata l'udienza di comparizione coniugi innanzi al Presidente del Tribunale —; tale interesse poteva sussistere quando era imperante in giurisprudenza l'orientamento che fissava la decorrenza dello scioglimento della comunione al momento al passaggio in giudicato della sentenza di separazione, posto che la durata del giudizio di separazione poteva protrarsi per alcuni anni. In merito agli aspetti squisitamente processuali del rapporto tra i due giudizi, la Corte di Legittimità in sentenza Corte cost. n. 2155/2010 ha precisato che la proposizione della domanda di annullamento di un accordo transattivo intervenuto tra i coniugi per lo scioglimento della comunione dei beni non ne consente la trattazione, nell'ambito del giudizio di separazione giudiziale, congiunta con il rito ordinario, ammessa dall'art. 40, comma 3, c.p.c. solo nelle ipotesi di connessione qualificata di cui agli artt. 31, 32, 34, 35 e 36, e non anche nelle ipotesi di cui agli artt. 33 e 104, in cui il cumulo delle domande dipende solo dalla volontà delle parti. In giurisprudenza di merito si è precisato che è inammissibile il ricorso ai rimedi previsti dalla legge in materia di comunione ordinaria, come la richiesta di nomina di amministratore giudiziario, ex art. 1105 c.c., dei beni della comunione legale, proposta da un coniuge nei confronti dell'altro durante la pendenza del giudizio di separazione personale (Trib. Catania, ord. 31 marzo 1990).

Le causali per la pronunzia di separazione dei beni

Le cause di separazione giudiziale dei beni sono tassative secondo l'impostazione dottrinale prevalente (Corsi, 181; Gabrielli, Gabrielli, 187; Finocchiaro A. e M., 1168; Mastropaolo-Pitter, 360). Tale opinione, proposta dalla dottrina tradizionale, deve essere rimessa in discussione per effetto dell'introduzione nel codice civile (artt. 410 ss.) dell'amministrazione di sostegno, ad opera della l. n. 6/2004, quale ulteriore misura assistenziale per persone incapaci, che si affianca ad interdizione ed inabilitazione. Nella prassi applicativa e giurisprudenziale, si può richiedere la nomina di un amministratore di sostegno anche in ipotesi di incapacità di intendere e di volere di una persona. Ne consegue che se ad es., a causa di un infortunio, un coniuge in regime di comunione legale diventi irreversibilmente o temporaneamente incapace di intendere e di volere, e come tale inidoneo ad amministrare i beni in comunione, l'altro coniuge potrà promuovere il ricorso per la nomina di un amministratore di sostegno (proponendo anche se stesso per l'assunzione dell'incarico) e successivamente incardinare il giudizio ex art. 193 per conseguire la pronunzia di separazione dei beni. L'elenco delle cause in cui può essere pronunciata la separazione giudiziale dei beni ex art. 193 comma 1deve, pertanto, intendersi arricchita anche dalla nomina di un amministratore di sostegno in favore di un coniuge che troverebbe applicazione analogica al comma 1. Per conseguire tale risultato il coniuge dell'incapace non deve infatti essere obbligato necessariamente a promuovere un giudizio di interdizione e l'omessa inclusione di tale fattispecie nell'art. 193 comma 1, dopo la novella del 2004, deve ascriversi ad un mero difetto di coordinamento legislativo (l'ipotesi dell'applicazione analogica dell'art. 193 anche all'amministrazione di sostegno è postulata in dottrina anche da Russo, 57). Le singole cause possono dividersi in impedimenti oggettivi (interdizione, inabilitazione cui va aggiunta secondo lo scrivente la nomina di un amministratore di sostegno) e condotte colpevole di un coniuge che rendono impossibile o almeno inopportuna nell'interesse della famiglia la prosecuzione del regime legale di comunione. Per quanto concerne le prime, la pronunzia giudiziale di separazione sarà facilmente conseguibile allegando le sentenze di dichiarazione di interdizione o inabilitazione del coniuge incapace o il decreto del giudice tutelare che nomina un amministratore di sostegno in suo favore. Ove la domanda di separazione giudiziale sia fondata sulla cattiva amministrazione, sul disordine degli affari, sulla amministrazione dei beni da parte di un coniuge pregiudizievole agli interessi della famiglia o dell'altro coniuge, oppure quando uno dei coniugi non contribuisce ai bisogni di questa in misura proporzionale alle proprie sostanze e capacità di lavoro, il coniuge attore dovrà compulsare una lunga e specifica attività istruttoria che consenta di far emergere, anche con prove testimoniali, la sussistenza della specifica causale dedotta. Si rileva che le causali di cui all'art. 193 coincidono con quelle che legittimano la richiesta di esclusione di una coniuge dall'amministrazione dei beni in comunione ai sensi dell'art. 183 c.c., al cui commento si rinvia. Pertanto, in presenza di una delle condotte descritte (cattiva amministrazione; amministrazione pregiudizievole per gli interessi della famiglia o dell'altro coniuge, ecc.), il coniuge interessato può decidere di mantenere in vita il regime di comunione legale, chiedendo al giudice ex art. 183 c.c. solo di estrometterne dall'amministrazione l'altro coniuge, ovvero promuovere il giudizio ex art. 193 per conseguire lo scioglimento della comunione legale sostituendola con il regime di separazione dei beni. Naturalmente la scelta tra l'una o l'altra opzione dipende dalle condizioni reddituali e patrimoniali del coniuge interessato e dalle prospettive di arricchimento: se il coniuge interessato non produce reddito e non possiede immobili a differenza dell'altro, potrebbe avere interesse al mantenimento del regime di comunione legale, tenuto conto che gli acquisti ex art. 177 lett. a) c.c. e i frutti provenienti dai beni comuni continueranno a ricadere in comunione legale, e quindi rientreranno per metà nel suo patrimonio personale, all'esito del giudizio di divisione ex artt. 194 ss. c.c. che seguirà al futuro scioglimento della comunione legale. E prima che ciò avverrà, avrà interesse ad estromettere semplicemente l'altro coniuge dall'amministrazione per evitare che sperperi il patrimonio comune su cui vanta una legittima aspettativa di arricchimento patrimoniale futuro. Diversamente se il coniuge interessato percepisce redditi propri e possiede immobili, contribuendo quindi ad arricchire il patrimonio in comunione, avrà certamente interesse ad agire per la pronunzia di separazione giudiziale dei beni ex art. 193. Tali motivazioni valgono anche nell'ipotesi in cui l'altro sperperi non il patrimonio in comunione ma i suoi beni personali: se, infatti, contrae obbligazioni che il suo patrimonio non è in grado di soddisfare, i suoi creditori particolari potranno aggredire anche il patrimonio in comunione ai sensi dell'art. 189 c.c.; l'altro coniuge pertanto avrebbe interesse ad attivare lo strumento dell'art. 193 per preservare l'integrità della comunione legale su cui vanta diritti patrimoniali. Le considerazioni sin qui esposte non si estendono però all'ultima causale prevista dall'art. 193 per la pronunzia di separazione giudiziale, ossia quando uno dei coniugi non contribuisce ai bisogni di questa in misura proporzionale alle proprie sostanze e capacità di lavoro. Si è opportunamente evidenziato che la separazione giudiziale dei beni non è una risposta adeguata a fronteggiare l'inadempimento di uno dei coniugi alle obbligazioni legali a lui imposte dall'art. 143 c.c. Appare evidente che in questo caso l'interesse protetto è esclusivamente quello patrimoniale dell'altro coniuge a non sobbarcarsi per intero le spese necessarie al mantenimento della prole; grazie alla separazione dei beni il coniuge che ha contribuito più dell'altro alle esigenze della famiglia potrà in futuro agire contro l'altro inadempiente per il rimborso delle spese sostenute per la sua quota di metà (Corsi, 182). Per opinione diffusa in dottrina, la legittimazione a promuovere il giudizio di separazione dei beni spetta anche al coniuge che vi ha dato causa (Schlesinger, 447; RossiCarleo, 895; Gennari, 402; Servetti, 627; Oberto, 1888). Si perviene a tale opzione ermeneutica dal testo degli artt. 193 commi 1, 2 e soprattutto 3, ove entrambi i coniugi, o i loro legali rappresentanti sono autorizzati a promuovere il procedimento. La tesi contraria in dottrina sostiene che la legittimazione spetti al solo coniuge leso dalla condotta dell'altro (Alagna, 503; Lo Moro Biglia, 81; Russo, 60). Lo scrivente propugna una tesi mediana tra le due, in base alla quale la legittimazione discende dalla causa dedotta a fondamento della domanda di separazione giudiziale dei beni: se si tratta di impedimento oggettivo di un coniuge incapace, dichiarato interdetto, inabilitato o assistito da un amministrazione di sostegno, la legittimazione a proporre il giudizio spetta anche al legale rappresentante (tutore, curatore o amministratore di sostegno) che agisce nell'interesse dell'incapace. Se invece la causa dedotta rientra tra quelle addebitabili a cattiva amministrazione o condotte pregiudizievoli di un coniuge, la legittimazione spetta solo al coniuge che la subisce; l'estensione della legittimazione anche all'altro coniuge appare contraddittoria e priva di senso. Gli eredi del coniuge defunto sono legittimati a proseguire il giudizio di separazione dei beni, instaurato dal de cuius, per far sì che lo scioglimento della comunione legale risalga non già alla data della morte, bensì a quella di proposizione della domanda di separazione (in tal senso Macrì, 78; De Paola, 654). La dottrina esclude, condivisibilmente, che i creditori particolari del coniuge possano promuovere l'azione ex art. 193 c.c. in via surrogatoria, essendo la separazione giudiziale dei beni espressione di un diritto personalissimo del coniuge (Schlesinger, 447; Gabrielli, 189; Mastropaolo-Pitter, 364; in senso contrario, Attardi, 960; Corsi, 183; Barbiera,. 503; Santosuosso, 313). Ove la comunione legale comprende beni immobili, la domanda di separazione dei beni può essere trascritta, ai sensi dell'art. 2653, n. 4, c.c., (Finocchiaro A. e M., 1176; Mastropaolo-Pitter, 365; De Paola, 658). Si discute, infine, in dottrina se il rito applicabile sia quello ordinario (Attardi, 960; Corsi, 183; Barbiera, 503; Santosuosso, 313, Gennari, 403; Servetti, 629; Oberto, 1885, e Finocchiaro A. e M. secondo cui la competenza territoriale va determinata secondo il foro generale delle persone fisiche, di cui all'art. 18 c.p.c.) o quello camerale innanzi al Tribunale in sede di volontaria giurisdizione (Santarcangelo 557; De Paola, 660; Mastropaolo-Pitter, 319).

Effetti della pronunzia

Il passaggio in giudicato della sentenza di accoglimento ha l'effetto di instaurare il regime di separazione dei beni dal giorno di proposizione della domanda ex art. 193 comma 4. La retroattività, tuttavia, opera soltanto tra i coniugi; produrrà effetti nei confronti dei terzi solo dopo l'annotazione a margine dell'atto di matrimonio e delle convenzioni matrimoniali ai sensi del comma 5 della disposizione in commento, da leggersi in combinato disposto con l'art. 69 d.P.R. n. 369/2000. Ne consegue che i diritti dei terzi maturati in pendenza del giudizio sono fatti salvi, a meno che la domanda sia trascritta prima dell'acquisto del terzo ai sensi dell'art. 2653, n. 4, c.c., nel quale caso il coniuge attore prevale.

Bibliografia

Alagna, Lo scioglimento della comunione legale: osservazioni e proposte, in Aa.Vv., Studi sulla riforma del diritto di famiglia, Milano, 1973, 503 ss.; Attardi, Aspetti processuali del nuovo diritto di famiglia, in Carraro-Oppo-Trabucchi (a cura di), Commentario alla riforma del diritto di famiglia, , Padova, 1977, I, t. 2, 960 ss.; Barbiera, La comunione legale, in Tr. Rescigno, Torino, 1982, III, t. 2, 503 ss.; Corsi, Il regime patrimoniale della famiglia, in Cicu-Messineo (diretto da), Trattato di diritto civile e commerciale, VI, tomo I, sez. I, Milano, 1979; De Filippis-Casaburi, Separazione e divorzio, Padova, 2004; De Paola, Il diritto patrimoniale della famiglia coniugale, II, Milano, 1995; Finocchiaro A. e M., Diritto di famiglia, vol. I, Milano, 1984; Gabrielli, I rapporti patrimoniali tra coniugi: convenzioni matrimoniali effetti patrimoniali della separazione, del divorzio e dell'annullamento del matrimonio, Trieste, 1983; Gennari, Lo scioglimento della comunione, in Zatti (diretto da), Trattato di diritto di famiglia, III, Milano, 2002; Lo Moro Biglia, Lo scioglimento della comunione tra i coniugi, Padova, 2000; Macrì, Scioglimento della comunione legale e suoi effetti, in Aa.Vv., Il regime patrimoniale della famiglia a dieci anni dalla riforma, Milano, 1988, 78 ss.; Mastropaolo-Pitter, Commento agli artt. 191-197, in Cian-Oppo-Trabucchi (a cura di), Commentario al diritto italiano della famiglia, 360 ss.; Oberto, La comunione legale tra coniugi, II, Milano, 2010; Rossi Carleo, Cause di scioglimento della comunione, in Aa.Vv., La comunione legale, a cura di Bianca, II, Milano, 1989, 895 ss.; Russo, Le vicende estintive della comunione legale, Napoli, 2004; Santarcangelo, La volontaria giurisdizione, Milano, 2003; Santosuosso, Delle persone e della famiglia, in Comm. cod. civ., I, 1, Torino, 1983, 313 ss.; Schlesinger, Della comunione legale, in Carraro-Oppo-Trabucchi (a cura di), Commentario alla riforma del diritto di famiglia, I, 1, Padova, 1977, 447; Servetti, Lo scioglimento della comunione legale, in Ferrando (diretto da), Il nuovo diritto di famiglia, , II, Rapporti personali e patrimoniali, Bologna, 2008, 627 ss.; Venditti, La comunione legale tra coniugi: lo scioglimento, in Bonilini-Cattaneo (diretto da), Il diritto di famiglia, II, Torino, 1997, 255.

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