Codice Civile art. 196 - Ripetizione del valore in caso di mancanza delle cose da prelevare (1).Ripetizione del valore in caso di mancanza delle cose da prelevare (1). [I]. Se non si trovano i beni mobili che il coniuge o i suoi eredi hanno diritto di prelevare a norma dell'articolo precedente essi possono ripeterne il valore, provandone l'ammontare anche per notorietà, salvo che la mancanza di quei beni sia dovuta a consumazione per uso o perimento o per altra causa non imputabile all'altro coniuge [184]. (1) Articolo così sostituito dall'art. 75 l. 19 maggio 1975, n. 151. L'art. 55 della stessa legge, ha modificato l'intitolazione di questa Sezione e soppresso la suddivisione in paragrafi. InquadramentoL'art. 196 accorda a ciascun coniuge il diritto alla ripetizione del valore dei beni mobili non rinvenuti, qualora i coniugi (o i loro eredi) non possano esercitare il diritto di prelievo accordato dal precedente articolo. La norma si riferisce alla fattispecie in cui un coniuge durante il matrimonio conceda in uso gratuito all'altro beni mobili di sua proprietà esclusiva; beni che, essendo personali, avrebbe il diritto di prelevare a norma dell'art. 195 c.c. nel momento in cui si scioglie la comunione legale. Orbene, nel caso in cui il coniuge non rinvenga tali beni, perché periti per colpa dell'altro coniuge, a cui erano stati concessi in uso o perché quest'ultimo li ha occultati allo scopo di appropriarsene, la disposizione in commento attribuisce al proprietario il diritto di ripeterne il valore, salvo che l'altro coniuge offra la prova liberatoria che i beni si siano consumati o siano periti per causa a lui non imputabile. La norma si applica anche alle parti di un'unione civile ex art. 1 comma 13 l. n. 76/2016. La ripetizione di valore in mancanza di cose da prelevareLa previsione dell'art. 196 c.c. che ricalca il disposto dell'abrogato art. 229 c.c. (Finocchiaro A. e M., 1190) contiene una lacuna di non poco conto: non stabilisce infatti su quale patrimonio il coniuge avente diritto debba esercitare il diritto alla ripetizione del valore dei beni mobili di sua proprietà concessi in uso gratuito all'altro e non rinvenuti al momento dello scioglimento della comunione. Secondo una prima impostazione dottrinale, il coniuge dovrebbe prelevarne il controvalore monetario dalla comunione legale (Schlesinger, 451); secondo altra impostazione, dovrebbe rivalersi, invece, sul patrimonio personale dell'altro coniuge, salva la prova liberatoria prevista nell'ultima parte della disposizione (Corsi, 198; Finocchiaro A. e M., 1192). Se si accoglie la prima opinione, però, la norma si presterebbe ad agevolare pratiche fraudolente dei coniugi in danno dei creditori della comunione (Schlesinger, ibidem); infatti uno dei due potrebbe, con la compiacenza dell'altro, simulare la scomparsa di beni mobili in realtà mai esistiti al fine di prelevarne il valore dalla comunione legale, di modo da ridurne la capienza in danno dei creditori della comunione medesima, che potrebbero successivamente aggredire i patrimoni personali dei coniugi solo nei limiti della metà del credito (art. 190 c.c.). L'altra chiave di lettura neppure entusiasma; anzi, sottolineerebbe la inutilità e superfluità della previsione (Finocchiaro A. e M., 1198), perché tra gli strumenti ed istituti generali dell'ordinamento civilistico sono già individuabili rimedi che il coniuge leso può esperire per conseguire la condanna dell'altro a restituirgli i beni mobili sottratti (proponendo un'azione di rivendicazione ex art. 948 c.c.) o a pagarne il controvalore monetario in caso di distruzione a lui imputabile (intentando un'azione risarcitoria ex art. 2043 c.c.). Vi è chi critica la scelta del legislatore di aver riprodotto nell'art. 196 il testo dell'abrogato art. 229 c.c. (che recita «Se non si trovano i beni mobili che la moglie e i suoi eredi hanno diritto di prelevare a norma dell'articolo precedente, essi possono ripeterne il valore, provandone l'ammontare anche per notorietà, salvo che la mancanza di quei beni sia dovuta a consumazione per uso o perimento per altra causa non imputabile al marito»), limitandosi a modificarlo soltanto nella parte in cui il diritto di ripetere è attribuito ad entrambi i coniugi e non più soltanto alla moglie, rilevando che il testo dell'art. 229 c.c. era coerente con lo spirito ed i principi del regime patrimoniale dei coniugi secondo l'impostazione originaria del codice, con particolare riferimento alla espressa contemplazione del diritto dei coniugi di usare i beni personali dell'altro, che giustificava il dovere del marito, quale amministratore unico della comunione, di rispondere della perdita dei beni mobili della moglie. Tale finalità è venuta meno con l'entrata in vigore della legge di riforma del diritto di famiglia, l. n. 151/1975, in cui viene sancito un ripensamento globale del ruolo dei coniugi nel matrimonio, sancendone la parità di posizione, di diritti e doveri; e di conseguenza l'art. 229 c.c. non doveva essere riprodotto (Schlesinger, ibidem). Tale opinione non tiene conto di un aspetto: sebbene il diritto di uso gratuito dei beni di un coniuge non è più espressamente riconosciuto in una norma del codice civile, dopo la riforma della l. n. 151/1975, non si può escludere nei fatti si verifichi ancora; anzi si tratta di una pratica ancora diffusa e normale nella convivenza matrimoniale; il legislatore, pertanto, conscio di ciò, ha deciso di mantenere in vita il vecchio art. 229 c.c., collocandolo nel novellato art. 196, ed innovandolo nella parte in cui attribuisce il diritto di ripetizione ad entrambi i coniugi (non più solo alla moglie), proprio in linea con la innovativa idea ispiratrice della parità della posizione dei coniugi nel matrimonio, allo scopo di offrire a ciascuno dei coniugi uno specifico rimedio per reintegrare il patrimonio personale nel caso di mancato rinvenimento, dopo dello scioglimento della comunione, di beni mobili personali che ha concesso in uso gratuito all'altro. Al fine di conferire un qualche utilità pratica alla previsione in commento, se ne deve accogliere l'interpretazione proposta dalla prima impostazione dottrinale riportata, secondo cui il diritto di ripetizione deve essere esercitato dal coniuge avente diritto sul patrimonio in comunione, nell'ambito della quota di metà spettante all'altro. BibliografiaCorsi, Il regime patrimoniale della famiglia, I, Milano, 1979; Finocchiaro A. e M., Diritto di famiglia, vol. I, Milano, 1984; Schlesinger, Della comunione legale, in Commentario alla riforma del diritto di famiglia, a cura di Carraro, Oppo e Trabucchi, I, 1, Padova, 1977, 451 ss. |