Legge - 19/02/2004 - n. 40 art. 8 - (Stato giuridico del nato) 1 .

Marzi Minutillo Turtur
aggiornato da Francesco Bartolini

(Stato giuridico del nato)1.

 

1. I nati a seguito dell'applicazione delle tecniche di procreazione medicalmente assistita hanno lo stato di figli nati nel matrimonio o di figli riconosciuti della coppia che ha espresso la volontà di ricorrere alle tecniche medesime ai sensi dell'articolo 62.

[1] La Corte Costituzionale, con sentenza 22 maggio 2025, n. 68, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del presente articolo, nella parte in cui non prevede che pure il nato in Italia da donna che ha fatto ricorso all’estero, in osservanza delle norme ivi vigenti, a tecniche di procreazione medicalmente assistita ha lo stato di figlio riconosciuto anche della donna che, del pari, ha espresso il preventivo consenso al ricorso alle tecniche medesime e alla correlata assunzione di responsabilità genitoriale.

[2] Articolo modificato dall'articolo 102, comma 1, del Dlgs. 28 dicembre 2013 n. 154, a decorrere dal 7 febbraio 2014, come indicato dall' articolo 108, comma 1, del citato decreto. Nel testo in vigore fino al 6 febbraio 2014 la parola "nati nel matrimonio" era "legittimi".

Inquadramento

L'asciutto disposto dell'art. 8 assegna al nato dall'applicazione delle tecniche di procreazione medicalmente assistita lo status di figlio: nato nel matrimonio se la coppia che ne ha voluto la nascita è unita in matrimonio; riconosciuto se la coppia non è unita in matrimonio. La distinzione ha valore di classificazione concettuale, posto che i figli che una volta si dicevano legittimi e i figli nati fuori dal matrimonio e poi riconosciuti hanno sostanzialmente lo stesso status giuridico e i medesimi diritti.

Il senso e l'efficacia della disposizione citata hanno precisi presupposti che ne costituiscono condizione:

- Le tecniche applicate devono essere quelle ufficializzate e ammesse ai sensi dell'art. 4 l. 40/2004;

- le parti devono avere ricevuto le informazioni necessarie all'espressione del loro consenso, art. 6;

- le parti devono essere maggiorenni (art. 5);

- le stesse devono essere di sesso diverso (art. 5);

- le stesse devono essere coniugate o conviventi, in età potenzialmente fertile, entrambi viventi (art. 5).

Le tecniche applicate

Varie esigenze, del tutto comprensibili, hanno indotto il legislatore a prevedere la pubblicazione di linee guida ad opera del Ministro della salute, per disciplinare le procedure e le tecniche della procreazione medicalmente assistita. Nel rimandare al commento sub art. 7, ricordiamo che la normativa si preoccupa di restringere il ricorso alle tecniche di procreazione assistita ai soli casi cui all'art. 4; di obbligare all'utilizzo di strutture approvate e registrate, pena le sanzioni di cui all'art. 12, quinto comma; di imporre preventive informazioni alle parti in merito a soluzioni alternative alla procreazione medica, alle procedure che saranno adoperate e alla loro invasività; e di descrivere in dettaglio le cautele che devono circondare l'informazione e la manifestazione del consenso.

La maggiore età

La l. n. 40/2004 riserva l'accesso alle tecniche di procreazione a soggetti che hanno raggiunto la maggiore età. Si è preteso un grado di crescita e di maturazione sufficienti, se non necessari, ad esprimere una volontà consapevole dei rischi dell'intervento e delle responsabilità da assumere verso il nato. La disposizione in tal senso esclude i minorenni e gli emancipati. Poiché la maggiore età è condizione dell'acquisto della capacità di agire, la disposizione esclude anche coloro che non hanno tale capacità perché, pur maggiorenni, versano in condizioni che la escludono o che la limitano.

Diversità di sesso

 

Il vincolo della diversità di sesso

La procreazione medicalmente assistita è considerata quale strumento per rimediare a situazioni di sterilità e di infertilità impeditive di una procreazione naturale. La Corte costituzionale ne ha esteso le finalità a comprendere in esse quella di rimediare ad una procreazione che, se lasciata ai modi naturali, produrrebbe effetti inaccettabili a causa di condizioni patologiche o per le serie ripercussioni negative sul nato. In ogni caso resta da considerare che il modello al quale la normativa è stata conformata è quello della coppia uomo donna alla quale è connaturata la procreazione di discendenti. Le conseguenze della scelta effettuata lascia fuori dall'accesso alle procedure medicalmente assistite le coppie dello stesso sesso.  Le questioni che sono derivate da questa esclusione hanno riguardato la riconoscibilità dello status di figlio non solo di chi lo ha partorito ma anche di colui che alla procreazione assistita ha fornito, in Italia ma prevalentemente all'estero, il consenso alla procreazione con la volontà di essere considerato genitore del nato: così detto genitore d'intenzione. I problemi sono sorti nel momento in cui si è voluto trasformare la genitorialità di intenzione in una situazione riconosciuta dal diritto e ufficializzata nei registri dello stato civile.

In caso di concepimento all'estero mediante l'impiego di tecniche di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo, voluto da coppia omoaffettiva femminile, la domanda volta ad ottenere la formazione di un atto di nascita recante quale genitore del bambino, nato in Italia, anche il c.d. genitore intenzionale, non può trovare accoglimento, poiché il legislatore ha inteso limitare l'accesso a tali tecniche alle situazioni di infertilità patologica, fra le quali non rientra quella della coppia dello stesso genere; non può inoltre ritenersi che l'indicazione della doppia genitorialità sia necessaria a garantire al minore la migliore tutela possibile, atteso che, in tali casi, l'adozione in casi particolari si presta a realizzare appieno il preminente interesse del minore alla creazione di legami parentali con la famiglia del genitore adottivo, senza che siano esclusi quelli con la famiglia del genitore biologico, alla luce di quanto stabilito dalla sentenza della Corte cost. n. 79 del 2022 (Cass.I, ord. n. 22179/2022). Nel caso di minore concepita mediante l'impiego di tecniche di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo e nata in Italia, non è accoglibile la domanda di rettificazione dell'atto di nascita volta ad ottenere l'indicazione in qualità di madre della bambina, accanto a quella che l'ha partorita, anche della donna cui è appartenuto l'ovulo poi impiantato nella partoriente, poiché in contrasto con l'art. 4, comma 3, della l. n. 40 del 2004, che esclude il ricorso alle predette tecniche da parte delle coppie omosessuali, anche in presenza di un legame genetico tra il nato e la donna sentimentalmente legata a colei che ha partorito (Cass. I, ord. n. 6383/2022: nel caso di specie, la S.C. ha rigettato il ricorso proposto da una coppia di donne di procedere alla rettifica dell'atto di nascita della minore concepita con tecniche di procreazione medicalmente assistita all'estero e nata in Italia, con il consenso della donna non partoriente cui apparteneva l'ovulo che, fecondato, era stato impiantato nell'utero della partoriente). Nel caso di minore concepito mediante l'impiego di tecniche di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo e nato in Italia, non è accoglibile la domanda di rettificazione dell'atto di nascita volta ad ottenere l'indicazione in qualità di madre del bambino, accanto a quella che l'ha partorito, anche della donna a costei legata in unione civile, poiché in contrasto con l'art. 4, comma 3, della l. n. 40 del 2004, che esclude il ricorso alle predette tecniche da parte delle coppie omosessuali, non essendo consentite, al di fuori dei casi previsti dalla legge, forme di genitorialità svincolate da un rapporto biologico mediante i medesimi strumenti giuridici previsti per il minore nato nel matrimonio o riconosciuto (Cass. I, n. 8029/2020; Cass. n. 7668/2020). Il riconoscimento dell'efficacia di un provvedimento giurisdizionale straniero, con il quale sia stato accertato il rapporto di filiazione tra un minore nato all'estero mediante il ricorso alla maternità surrogata e il genitore d'intenzione munito della cittadinanza italiana, trova ostacolo nel divieto di surrogazione di maternità, previsto dall'art. 12, comma 6, della l. n. 40 del 2004, qualificabile come principio di ordine pubblico, in quanto posto a tutela di valori fondamentali, quali la dignità della gestante e l'istituto dell'adozione; la tutela di tali valori, non irragionevolmente ritenuti prevalenti sull'interesse del minore, nell'ambito di un bilanciamento effettuato direttamente dal legislatore, al quale il giudice non può sostituire la propria valutazione, non esclude peraltro la possibilità di conferire comunque rilievo al rapporto genitoriale, mediante il ricorso ad altri strumenti giuridici, quali l'adozione in casi particolari, prevista dall'art. 44, comma 1, lett. d), della l. n. 184 del 1983 (Cass. S.U. n. 12193/2019).

La Corte costituzionale. I precedenti.

 

La Corte costituzionale (sent. n. 230/2020) dichiarò inammissibile la questione di legittimità costituzionale, sollevata dal Tribunale di Venezia in riferimento agli artt. 2, 3, primo e secondo comma, 30 e 117, primo comma, Cost., quest'ultimo in relazione all'art. 24, paragrafo 3, CDFUE, agli artt. 8 e 14 CEDU e alla Convenzione sui diritti del fanciullo, degli artt. 1, comma 20, della legge n. 76 del 2016 e 29, comma 2, del d.P.R. n. 396 del 2000, che, nel loro combinato disposto, precludono alle coppie di donne omosessuali unite civilmente la possibilità di essere indicate, entrambe, quali genitori nell'atto di nascita formato in Italia, quantunque abbiano fatto ricorso (all'estero) alla procreazione medicalmente assistita. Sebbene la genitorialità del nato a seguito del ricorso a tecniche di procreazione medicalmente assistita (PMA) sia legata anche al "consenso" prestato, e alla "responsabilità" conseguentemente assunta, da entrambi i soggetti che hanno deciso di accedere ad una tale tecnica procreativa, occorre pur sempre che quelle coinvolte nel progetto di genitorialità così condiviso siano coppie di sesso diverso, atteso che le coppie dello stesso sesso non possono accedere, in Italia, alle tecniche di PMA, come espressamente disposto dall'art. 5 della legge n. 40 del 2004.

Una pronuncia nello stesso senso venne con la sentenza n. 32/2021 che dichiarò inammissibili le questioni di legittimità costituzionale degli art. 8 e 9 della l. n. 40 del 2004 e contestualmente  rivolse moniti al legislatore. Le questioni riguardavano il rispetto degli artt. 2,3,30,117 primo comma della Cost., quest'ultimo correlato agli art. 2, 3, 4, 5, 7, 8 e 9 della Convenzione sui diritti del fanciullo, firmata a New York nel 1989, resa esecutiva in Italia dalla legge 27 maggio 1991, n. 176, oltre che in relazione agli art. 8 e 14 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950 e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848. Nella vicenda di specie l'ufficiale di stato civile aveva rifiutato di operare gli adempimenti che avrebbero consentito al genitore di adozione di essere riconosciuto quale genitore unitamente alla madre biologica. Il giudice rimettente aveva ritenuto l'illegittimità costituzionale delle norme denunciate a causa della compressione che da esse derivava sui diritti dei nati, sui quali ricadevano di fatto le conseguenze negative derivanti dalla scelta di accedere a tecniche di procreazione considerate illecite nel nostro ordinamento.

Proprio la disciplina introdotta con gli art. 8 e 9 stava a dimostrare la volontà del legislatore di tutelare i figli nati da PMA eterologa, ancor prima che venisse dichiarata l'illegittimità costituzionale del relativo divieto (Corte cost. 162 del 2014). Piena responsabilità e doveri di cura, pur in assenza di legame biologico, per i nati da PMA eterologa, anche considerato che nella valutazione dell'evoluzione del concetto di famiglia «il dato della provenienza genetica non costituisce un imprescindibile requisito della famiglia stessa» (Corte cost. n. 162/2014), con ciò dimostrandosi il rilievo attribuito dall'art. 9, nel valorizzare, rispetto al favor veritatis il consenso alla genitorialità e l'assunzione di responsabilità, la tutela degli interessi del figlio, garantendone il consolidamento di una propria identità affettiva e relazionale a prescindere dal dato della verità biologica della procreazione (Corte cost. 127/2020).Anche la disciplina successiva in materia di filiazione ha evidenziato la centralità del diritto del minore a vivere in famiglia e mantenere rapporti significativi con i propri parenti (d.lgs. n. 154/2013), così come chiaramente evidenziato dalla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea, proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e adattata a Strasburgo il 12 dicembre 2007 all'art. 24, comma 2, dove si afferma la preminenza della considerazione dell'interesse del minore in tutti gli atti che lo riguardano. La stessa Corte EDU ha ricondotto all'art. 8, in combinato disposto con l'art. 14, della Conv. EDU l'affermazione che i diritti alla vita privata e familiare del fanciullo devono costituire un elemento determinante di valutazione. Emergeva significativamente dalle decisioni della stessa Corte EDU la necessità di ricondurre all'art. 8 la garanzia di legami affettivi stabili con chi, indipendentemente dal vincolo biologico, abbia in concreto svolto una funzione genitoriale, prendendosi cura del minore per un lasso di tempo sufficientemente ampio, assimilando al rapporto di filiazione il legame esistente tra la madre d'intenzione e la figlia nata per procreazione medicalmente assistita. La Corte aveva richiamato le note sentenze gemelle della Corte EDU (Mennenson e Labassee contro Francia), quanto alla riconosciuta violazione del diritto alla vita privata del minore nel mancato riconoscimento del rapporto di filiazione tra lo stesso, concepito all'estero mediante la tecnica della surrogazione di maternità e i genitori intenzionali, tenuto conto della portata fondamentale del rapporto di filiazione nella costruzione dell'identità del minore. La necessaria tutela della condizione del minore, del proprio pieno diritto all'identità personale, era stata poi oggetto di altre decisioni che avevano richiamato il Parere consultivo reso ai sensi del Protocollo n. 16 della Corte EDU, Grande camera 10 aprile 2019, la quale aveva chiaramente sottolineato, richiamandone il fondamento nell'art. 8 della Convenzione EDU, il dovere degli Stati di prevedere il riconoscimento legale del legame di filiazione tra il minore e i genitori intenzionali, pur permanendo un margine di discrezionalità quanto ai mezzi da adottare, tra i quali anche l'adozione, per pervenire a tale riconoscimento, purché tuttavia sia garantita effettivamente la tutela dei diritti del minore in tempi rapidi e in modo pieno. Il rapporto di filiazione a seguito della scelta del genitore intenzionale veniva considerato una realtà già affermatasi a livello sociale, con invito ad attuarla in modo «tempestivo ed efficace».

La Corte aveva, quindi, sottolineato che le questioni rimesse avevano senza dubbio evidenziato, per il caso concreto affrontato, un vuoto di tutela, poiché pur in presenza di un rapporto di filiazione effettivo, non era possibile accedere ad alcuno strumento per la tutela delle minori, pur avendo la Corte escluso scenari di contrasto con principi e valori costituzionali.

 Sin dalla pronuncia della Corte cost. n. 230/2020 si era osservato che occorre considerare se nel diritto vigente la genitorialità si iscriva nel novero dei diritti fondamentali, con conseguenti pretese di cui si risulterebbero titolari i genitori di intenzione indipendentemente dal sesso, dalla nascita e dal modello familiare che si è scelto. (M. Bianca, La genitorialità d'intenzione e il principio di effettività. Riflessioni a margine diCorte cost. n. 230/2020, https://www.giustiziainsieme.it/en/news/129-main/minori-e-famiglia/1435-la-genitorialita-d-intenzione-e-il-principio-di-effettivita-riflessioni-a-margine-della-decisione-della-corte-costituzionale-n-230-del-2020 ). Occorreva, si affermò, in tal senso avviare una riflessione per comprendere se il tema della genitorialità di intenzione debba essere letto quale diritto o status, atteso che l'art. 30 Cost. secondo la Corte cost. non propone una nozione di famiglia inscindibilmente correlata alla presenza di figli, ribadendo che l'aspirazione a diventare genitori non implica che ciò possa avvenire senza limiti. Anche il legislatore disciplinando in modo innovativo il tema della filiazione aveva distinto il tema dello status filiationis (che si compone di diritti fondamentali a prescindere dall'esistenza o meno di una famiglia) dal diritto alla genitorialità. In sostanza si era osservato che la riforma della filiazione introdotta nel 1975 non aveva intaccato il modello dello status, ma aveva invece consentito, a certe condizioni, che la «regola della primazia del sangue possa essere temperata dalla regola degli affetti e della tutela dell'affidamento del figlio in mancanza del formale legame del sangue con colui che ha ritenuto essere il proprio genitore». Filiazione e genitorialità rappresentano dunque, si concluse, uno status, mentre la necessità di far prevalere la continuità delle relazioni affettive a prescindere da un formale titolo di genitorialità trova riscontro nella legge sulla continuità affettiva (legge n. 173 del 2015). Nello stesso senso, ovvero nella considerazione della genitorialità quale status e non quale diritto, si volse anche la legge n. 40 del 2004, che ai sensi dell'art. 8 ha chiarito come non sia la volontà e dunque il consenso, per la previsione del legislatore, a costituire l'effetto della genitorialità, quanto piuttosto una fattispecie complessa della quale il consenso è solo un coelemento, che trova il proprio presupposto nella infertilità patologica della coppia, assoluta ed accertata. Elemento che dunque non poteva trovare riscontro nel caso di coppie omosessuali. In tal senso si è ritenuto inequivoco l'art. 4, comma 1, della legge, nell'individuare proprio nella soluzione di problemi di infertilità lo scopo della legge. L'irrilevanza della volontà al fine di costituire un diritto alla genitorialità emergeva anche, si affermò, dalla disciplina della adozione, che a sua volta si caratterizza quale fattispecie complessa.

La Corte costituzionale. La sentenza “due madri”

Con sentenza 22 maggio 2025, n. 68, la Corte costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 8 della legge 19 febbraio 2004, n. 40, nella parte in cui non prevede che pure il nato in Italia da donna che ha fatto ricorso all'estero, in osservanza delle norme ivi vigenti, a tecniche di procreazione medicalmente assistita ha lo stato di figlio riconosciuto anche della donna che, del pari, ha espresso il preventivo consenso al ricorso alle tecniche medesime e alla correlata assunzione di responsabilità genitoriale. La Corte ha affermato che il mancato  riconoscimento -effettuato secondo le modalità previste dall'ordinamento (artt. 250 e 254 c.c. e d.P.R. n. 396 del 2000) - al nato in Italia dello stato di figlio di entrambe le donne che, sulla base di un comune impegno genitoriale, abbiano fatto ricorso a tecniche di PMA praticate legittimamente all'estero costituisca violazione: dell'art. 2 Cost., per la lesione dell'identità personale del nato e del suo diritto a vedersi riconosciuto sin dalla nascita uno stato giuridico certo e stabile; dell'art. 3 Cost., per la irragionevolezza dell'attuale disciplina che non trova giustificazione in assenza di un controinteresse; dell'art. 30 Cost., perché lede i diritti del minore a vedersi riconosciuti, sin dalla nascita e nei confronti di entrambi i genitori, i diritti connessi alla responsabilità genitoriale e ai conseguenti obblighi nei confronti dei figli.

La pronuncia ha avuto riguardo all'orientamento interpretativo secondo cui il riconoscimento di un minore, concepito mediante il  ricorso a tecniche di P.M.A. di tipo eterologo, da parte di una donna legata donna legata in unione civile con quella che lo ha partorito, ma «non avente alcune legame biologico con il minore», si pone in contrasto con l'art. 4, comma 3, l. n. 40/2004 e con l'esclusione del ricorso alle predette tecniche da parte delle coppie omosessuali, non essendo consentita, al di fuori dei casi previsti dalla legge, la realizzazione di forme di genitorialità svincolate da un rapporto biologico, con i medesimi strumenti giuridici previsti per il minore nato nel matrimonio o riconosciuto (così, Cass., sez. I, 22 aprile 2020, n. 8029; Cass., sez. I, 7 marzo 2022, n. 7413; Cass., sez. I, 4 aprile 2022, n. 10844; Cass., sez. I, 13 luglio 2022, n. 22179; Cass., sez. I, 2 agosto 2023, n. 23527; Cass., sez. I, 8 agosto 2024, n. 511; Cass., sez. I, 20 febbraio 2024, n. 4448); indirizzo ermeneutico, questo, esteso all'ipotesi in cui un tale legame genetico poteva comunque dirsi sussistente perché alla donna, la c.d. madre intenzionale, «è appartenuto l'ovulo che, fecondato, è stato impiantato nell'utero della partoriente» (Cass., sez I, 25 febbraio 2022, n. 6383).

Questo orientamento mostrava il fianco a critiche che ne evidenziavano la contrarietà all'aspirazione alla genitorialità da parte delle coppie omoaffettive e aveva indotto la Corte costituzionale a sollecitare il legislatore per porre fine alla sua inerzia legislativa (Corte cost. n. 32/2021). Nel protratto silenzio normativo la Corte costituzionale è intervenuta. La sua pronuncia è valsa ad evitare il paventato rischio del formarsi di una categoria di figli non riconoscibili.

Per la donna partner di colei che ha partorito ha decisivo rilievo a qualificarla come madre il consenso dato alla fecondazione assistita della sua compagna, madre biologica, con il quale la stessa assume anche su di sé la volontà e le responsabilità di essere genitore. La contraria norma esistente nella legislazione italiana, la Corte ha affermato, conduce ad una discriminazione nei confronti dei nati dalla procreazione medicalmente indotta, posto che il loro mancato riconoscimento sin dalla nascita lede il diritto all'identità personale e pregiudica il diritto ad essere mantenuto, educato, istruito e assistito moralmente dai genitori nonché il diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori, ricevendo cura, educazione, istruzione e assistenza morale da entrambi costoro. La situazione discriminatoria rispetto ai nati da procreazione omologa deriva dall'aver trascurato che proprio come nelle coppie eterosessuali ciò che determina l'essere genitori è l'impegno comune che una coppia si assume nel momento in cui decide di ricorrere alla procreazione assistita per generare un figlio e di accettare le conseguenze di impegno che dalla genitorialità derivano: alle quali non può sottrarsi nessuno dei componenti la coppia e, in particolare, non il genitore intenzionale che ha condiviso la scelta. Già l'evoluzione della normativa e dell'interpretazione dottrinaria e giurisprudenziale avevano posto in rilievo  che la genitorialità si fonda piuttosto che sul sangue sulla responsabilità verso chi nasce. L'interesse supremo del nuovo nato è di avere quegli stessi diritti nei confronti della madre intenzionale che ha già nei confronti della madre che lo ha fatto nascere.La pronuncia ha considerato sullo stesso piano degli effetti le situazioni della coppia eterosessuale e quella delle coppie lesbiche. Se un uomo dà il consenso alla fecondazione eterologa, grazie al seme di un donatore, quell'uomo è da subito padre del bambino che nascerà, anche se non ha legami genetici con lui, e ciò perché si è impegnato a considerare il futuro bambino come proprio figlio. Per le coppie lesbiche deve valere il medesimo principio: se esse ricorrono all'inseminazione eterologa (all'estero), la donna che dà il consenso alla fecondazione dell'altra è da subito il secondo genitore del figlio che nascerà in Italia e quivi, come genitore, deve essere riconosciuto all'anagrafe sin dal momento della nascita.

La-Corte ha fatto una precisazione importante, assunta quale premessa delle argomentazioni. Il giudizio richiesto riguardava il solo profilo concernente lo stato di figlio nato in Italia da PMA praticata, in uno Stato estero e nel rispetto della lex loci, da una donna con il consenso di un'altra donna nel contesto di un progetto genitoriale con assunzione della relativa responsabilità. Rimaneva, dunque, estraneo il diverso profilo delle condizioni, soggettive e oggettive, di accesso alla PMA in Italia e dei correlati divieti, come attualmente previsti dall'ordinamento. Le questioni da trattare concernevano l'interesse del figlio nato in Italia da PMA praticata all'estero a che sia affermata, in capo a entrambe le donne che abbiano fatto ricorso a questa tecnica, la titolarità giuridica di quel fascio di doveri funzionali agli interessi del minore che l'ordinamento considera inscindibilmente legati alla scelta di divenire genitori: doveri ai quali non è pensabile che costoro possano ad libitum sottrarsi.  Dal comune impegno volontariamente assunto discendono i doveri inerenti alla responsabilità genitoriale. La delimitazione dell'oggetto del giudizio, là dove si escludeva la trattazione delle condizioni soggettive e oggettive di accesso alla PMA in Italia, perché, appunto, estranee lascia intendere che rimangono impregiudicate alla materia del conoscere, le questioni che possono sorgere in forza di quanto nel frattempo era stato disposto con la l. 169/2024: il divieto di surrogazione di maternità effettuato all'estero da cittadini italiani in violazione dell'art. 5 l. 40/2004.

In conclusione, «il carattere omosessuale della coppia che ha avviato il percorso genitoriale … non può costituire impedimento allo stato di figlio riconosciuto per il nato», in quanto l'orientamento sessuale dei genitori «non evoca scenari di contrasto con princìpi e valori costituzionali», né «incide di per sé sull'idoneità all'assunzione di responsabilità genitoriale». Può ricordarsi che la giurisprudenza di merito aveva osservato come il legame genitoriale originato da un procedimento adottivo rende l‘adottante «genitore” in assenza di un  legame biologico con il minore e a seguito di una procedura giurisdizionale: la quale sostituisce al vincolo biologico una attribuzione giuridica della responsabilità genitoriale, onde «l'origine del progetto genitoriale non incide sullo stato giuridico dei figli che è sempre e comunque lo stesso» ai sensi dell'art. 315 c.c. (Trib. min. Trento, 11 giugno 2024; Trib. min. Bologna, 25 giugno 2020; Trib. min. Bologna, 4 gennaio 2018; Trib. min. Bologna, sez. fam., 31 agosto 2017; Trib. min. Bologna, 6 luglio 2017).

La punizione a titolo di delitto, in Italia, per i cittadini italiani, della procreazione eterologa disposta dalla l. 169/2024 pone il problema di verificarne le ricadute sulla situazione giuridica determinata dalla pronuncia della Corte costituzionale. 

La Consulta ha proseguito nel percorso verso la parificazione giuridica tra coppia omosessuale e coppia eterosessuale. Con sentenza 21 luglio 2025, n. 115, ha dichiarato illegittimo l'art. 27-bis del d.lgs. 26 marzo 2001, n. 51, nella parte in cui non riconosce il congedo di paternità obbligatorio a una lavoratrice, genitore intenzionale, in una coppia di donne risultanti genitori nei registri dello stato civile.  Il quesito al quale la Corte doveva rispondere riguardava la legittimità dell'esclusione, per una delle madri nella coppia omosessuale, del congedo obbligatorio che in una coppia eterosessuale è riferito al padre. Una interpretazione in senso estensivo o costituzionalmente orientata era impedita dal chiaro testo della normativa indicante quale destinatario il solo genitore uomo e non restava alternativa diversa da quella di sospettare quella normativa di illegittimità. La pronuncia ha considerato che la madre partoriente e la madre d'intenzione assumono entrambe la responsabilità reciproca e la responsabilità verso la prole, in posizione equivalente, onde la denunciata diversità di trattamento doveva essere considerata priva di una ragionevole giustificazione. Le direttive UE impongono la parità di trattamento tra uomo e donna in materia di occupazione e di condizioni di lavoro. E, in particolare, la direttiva 2012/1258/UE stabilisce che se l'ordinamento nazionale riconosce un “secondo genitore equivalente”, questi ha diritto ad un congedo obbligatorio di dieci giorni.

La procreazione post mortem

L'art. 5 l. n. 40/2004 dispone che i richiedenti l'accesso alla procreazione medicalmente assistita siano entrambi viventi. Nel rimandare al commento della disposizione citata, L'art. 8 della l. 40/2004, recante lo status giuridico del nato a seguito dell'applicazione delle tecniche di procreazione medicalmente assistita, è riferibile anche all'ipotesi di fecondazione omologa post mortem avvenuta mediante utilizzo del seme crioconservato di colui che, dopo aver prestato, congiuntamente alla moglie o alla convivente, il consenso all'accesso alle tecniche della detta procreazione, ai sensi dell'art. 6 della medesima legge e senza che ne risulti la sua successiva revoca, sia poi deceduto prima della formazione dell'embrione avendo altresì autorizzato, per dopo la sua morte, la moglie o il convivente all'utilizzo suddetto; ciò pure quando la nascita avvenga oltre i trecento giorni dalla morte del padre (Cass. I, n. 13000/2019: nell'atto di nascita alla figlia minore della ricorrente si è potuto attribuire lo status di figlia del marito deceduto).

La domanda di rettificazione dell'atto di nascita per il caso di pma all'estero da parte di coppia dello stesso sesso

La sentenza della Corte costituzionale n. 68/2025 (v. paragrafo 4.3) ha privato di attualità, in gran parte, la questione sorta per effetto dei tentativi di aggirare il divieto italiano di surrogazione eterologa mediante le richieste di trascrizione del minore nato in Italia o nato all'estero nei registri dello stato civile come nato da due madri. La pronuncia non ha considerato la situazione relativa a due padri, che non costituiva oggetto delle denunce di illegittimità costituzionale dell'art. 8 l. 40/2024 (a parere del Tribunale di Lucca, ord, 25 giugno 2024, la genitorialità maschile passa obbligatoriamente attraverso la maternità surrogata). Si riporta la giurisprudenza che segue per quanto possa ancora interessare, soprattutto per quanto concerne la posizione della coppia.

Con sentenza Cass. I, n. 7668/2020 la Corte di Cassazione aveva affermato che non poteva essere accolta la domanda di rettificazione dell'atto di nascita di un minore nato in Italia, mediante l'inserimento del nome della madre intenzionale accanto a quello della madre biologica, sebbene la prima avesse in precedenza prestato il proprio consenso alla pratica della procreazione medicalmente assistita eseguita all'estero, poiché nell'ordinamento italiano vige, per le persone dello stesso sesso, il divieto di ricorso a tale tecnica riproduttiva. Come in altri casi, oggetto della decisione e della valutazione del giudice di merito era la corrispondenza dell'atto di nascita del figlio con la realtà generativa. Si era posto quindi il problema del possibile recepimento in tale categoria di atti, con il procedimento di rettificazione, non tanto del dato della discendenza genetica o biologica, quanto della situazione fattuale conseguente all'espressione di un consenso volto alla formalizzazione della genitorialità sociale o d'intenzione. La Corte aveva rilevato come la sentenza impugnata avesse dato una corretta applicazione del divieto per le coppie formate da persone dello stesso sesso di accedere alle tecniche di procreazione medicalmente assistita, sicché ne conseguiva che una sola persona aveva diritto ad essere menzionata come madre nell'atto di nascita in virtù del rapporto di filiazione che presuppone il legame biologico con il nato. Tale divieto era stato ritenuto conforme con i principi della nostra Costituzione e non discriminatorio dalla sentenza della Corte cost. n. 219/2019, oltre che dalla sentenza Corte cost. n. 230/2020. La riflessione che si era imposta in tale contesto era, dunque, quella relativa al diritto a procreare con metodi diversi da quello naturale, con conseguente possibilità di ritenere sussistente un diritto fondamentale delle persone dello stesso sesso a vedere realizzata la propria aspirazione alla costituzione di un nucleo familiare con figli.

La Cassazione con sentenza Cass. I, n. 8029/2020 aveva affermato, richiamando la giurisprudenza costituzionale, che nel caso di minore concepito mediante l'impiego di tecniche di PMA di tipo eterologo e nato all'estero, non era accoglibile la domanda di rettificazione dell'atto di nascita volta ad ottenere l'indicazione in qualità di madre del bambino, accanto a quella che l'ha partorito, anche della donna a costei legata da unione civile, poiché in contrasto con l'art. 4, comma 3, l. n. 40/2004, che esclude il ricorso alle predette tecniche da parte delle coppie omosessuali, non essendo consentite, al di fuori dei casi previsti dalla legge, forme di genitorialità svincolate dal rapporto biologico mediante i medesimi strumenti giuridici previsti per il minore nato nel matrimonio o riconosciuto .Con la sentenza Cass. I, n. 23319/2020 si è invece affermato che è legittimamente trascritto in Italia l'atto di nascita formato all'estero, relativo ad un minore, figlio di madre intenzionale italiana e di madre biologica straniera, non essendo contrario all'ordine pubblico internazionale il riconoscimento di un rapporto di filiazione in assenza di un legame biologico, quando la madre intenzionale abbia comunque prestato il consenso all'impiego da parte della partner di tecniche di procreazione medicalmente assistita, anche se tali tecniche non sono consentite nel nostro ordinamento. Nel caso concreto il pubblico ministero aveva proposto una domanda ai sensi dell'art. 95, comma 2, del d.P.R. n. 396/2000 di cancellazione della trascrizione già effettuata in accoglimento della richiesta inoltrata da due madri (una intenzionale e l'altra biologica) a mezzo dell'autorità diplomatica ai sensi degli artt. 15 e 17 del medesimo decreto. Esclusa la ricorrenza di una controversia in tema di status, si è evidenziato come l'unico procedimento rilevante a contrastare la legittimità della trascrizione doveva essere ritenuto quello di rettificazione. È stata poi esclusa la contrarietà all'ordine pubblico internazionale della trascrizione nei registri dello stato civile di un atto di nascita attestante una bigenitorialità omosessuale. Il richiamo costante alla giurisprudenza di legittimità ha portato a rimarcare quanto già affermato da Cass. I n. 14878/2017 nel senso che la nozione di ordine pubblico non può essere desunta dalla norme con le quali il legislatore ordinario abbia esercitato la propria discrezionalità, ma esclusivamente dai principi fondamentali sanciti dalla Costituzione, dai Trattati fondamentali e della Carta dei diritti Fondamentali dell'UE e dalla CEDU, vincolanti per il legislatore ordinario, mentre il principio fondamentale deve essere individuato nella prevalenza dell'interesse del minore, riconosciuto sia dall'ordinamento internazionale che da quello interno, che si sostanzia dunque nel diritto a mantenere lo status di figlio, risultante da un atto validamente formato in un altro paese. Emerge, con ciò consolidandosi il relativo principio, la chiara considerazione che il rifiuto di riconoscere il rapporto di filiazione conseguente all'espressione del consenso all'uso di tecniche di pma si pone in contrasto con l'interesse del minore, incidendo negativamente sulla definizione della identità personale dello stesso, trovandosi il minore a non poter godere dei diritti di cittadinanza, dei diritti ereditari e di circolazione, nonché di intrattenere piena e completa relazione con entrambi i genitori. L'accesso dunque ad una tecnica non consentita in Italia non può risolversi in una lesione del nato per mezzo di tecniche di pma, dovendo essere ancora una volta chiarito che la disposizione di cui all'art. 269, comma 3, c. c. non costituisce un principio di rango costituzionale, ma è bensì una norma relativa alla prova della maternità. In conclusione la trascrizione dell'atto di nascita formato all'estero non può essere esclusa con riferimento all'identità di sesso dei genitori, non ricorrendo un principio costituzionale che preveda un divieto per le coppie dello stesso sesso di accogliere o generare figli. La decisione ha chiarito ancora una volta la portata della Cass. S.U., n. 12193/2019 (alla quale si rinvia) con particolare riferimento alla diversità tra tecniche di PMA e surrogazione di maternità.

Le successive pronunce giurisprudenziali  hanno insistito sull'argomento della rettificazione dell'atto di nascita.  La Corte di cassazione ha ricordato i principi generali in materia, per cui, da un lato,  il procedimento di rettificazione degli atti dello stato civile, disciplinato dall'art. 96 del d.p.r. n. 396/2000, è ammissibile ogni qualvolta sia diretto ad eliminare una difformità tra la situazione di fatto, quale è o dovrebbe essere nella realtà secondo le previsioni di legge, e come risulta dall'atto dello stato civile per un vizio, comunque o da chiunque originato, nel procedimento di formazione di esso; e, dall'altro, secondo cui in tale procedimento l'autorità giudiziaria dispone di una cognizione piena sull'accertamento della corrispondenza di quanto richiesto dal genitore in relazione alla completezza dell'atto di nascita del figlio con la realtà generativa e di discendenza genetica e biologica di quest'ultimo, potendo, così, a tale limitato fine, avvalersi di tutte le risorse istruttorie fornitele dalla parte (Cass. I, n. 13000/2019). Privilegiando questo secondo aspetto, alcune pronunce della Corte  di legittimità hanno dichiarato accoglibile la domanda di “rettificazione” dell'atto di nascita del minore nato all'estero e figlio di due madri coniugate all'estero, già trascritto in Italia nei registri dello stato civile con riferimento alla sola madre biologica, non sussistendo contrasto con l'ordine pubblico internazionale italiano. In tal senso ha deciso  Cass. I, n. 14878/2017 in un caso in cui si trattava di far aderire la situazione di stato civile interna a quella formalizzata all'estero e dunque l'applicazione fatta dalla Corte poteva essere considerata rispettosa del dettato della l. n. 40/2004. Ad un caso di rettifica in senso  analogo si riferisce Cass. I, ord. n. 7413/2022 per la quale in caso di concepimento all'estero mediante l'impiego di tecniche di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo, voluto da coppia omoaffettiva femminile, deve essere rettificato l'atto di nascita del minore, nato in Italia, che indichi quale madre, oltre alla donna che ha partorito, l'altra componente la coppia quale madre intenzionale, poiché il legislatore ha inteso limitare l'accesso a tali tecniche di procreazione medicalmente assistita alle situazioni di infertilità patologica, alle quali non è equiparabile l'infertilità della coppia omoaffettiva, né può invocarsi un'interpretazione costituzionalmente orientata dell'art. 8 l. n. 40 del 2004, non potendosi ritenere tale operazione ermeneutica imposta dalla necessità di colmare in via giurisprudenziale un vuoto di tutela che richiede, in una materia eticamente sensibile, necessariamente l'intervento del legislatore.   In senso contrario,  Cass. n. 8029/2020, sopra ricordata, per la quale non sono consentite forme di genitorialità svincolate da un rapporto biologico mediante i medesimi strumenti giuridici previsti per il minore nato nel matrimonio o riconosciuto,  e Cass. 22179/2022, secondo cui In caso di concepimento all'estero mediante l'impiego di tecniche di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo, voluto da coppia omoaffettiva femminile, la domanda volta ad ottenere la formazione di un atto di nascita recante quale genitore del bambino, nato in Italia, anche il c.d. genitore intenzionale, non può trovare accoglimento, poiché il legislatore ha inteso limitare l'accesso a tali tecniche alle situazioni di infertilità patologica, fra le quali non rientra quella della coppia dello stesso genere; non può inoltre ritenersi che l'indicazione della doppia genitorialità sia necessaria a garantire al minore la migliore tutela possibile, atteso che, in tali casi, l'adozione in casi particolari si presta a realizzare appieno il preminente interesse del minore alla creazione di legami parentali con la famiglia del genitore adottivo, senza che siano esclusi quelli con la famiglia del genitore biologico, alla luce di quanto stabilito dalla sentenza della Corte cost. n. 79 del 2022.

Sulla necessità di un intervento legislativo già si era pronunciata la Corte costituzionale con sent. nn. 32 e 33 del 2021. Anche Cass. I, ord. n. 6383/2022 ha negato la rettificazione dell'atto di nascita di minore concepito mediante PMA eterologa e rivolta ad ottenere l'indicazione quale madre accanto a quella naturale anche della donna cui era appartenuto l'ovulo poi impiantato nella partoriente, dato il contrasto con l‘art. 4, comma 3, della l. n. 40/2004 che esclude il ricorso alle dette tecniche da parte delle coppie omosessuali, anche in presenza di un legame genetico tra il nato e la donna sentimentalmente legata a colei che ha partorito. Si è inoltre affermato che non può essere accolta la domanda di rettificazione dell'atto di nascita di un minore nato in Italia, mediante l'inserimento del nome della madre intenzionale accanto a quello della madre biologica, sebbene la prima avesse in precedenza prestato il proprio consenso alla pratica della procreazione medicalmente assistita eseguita all'estero, poiché nell'ordinamento italiano vige, per le persone dello stesso sesso, il divieto al ricorso di tale tecnica riproduttiva (Cass. I, n. 7668/2020).

Altre forme di preteso adeguamento delle risultanze di stato civile

 

Il diniego di iscrizione nei registri dello stato civile

La procreazione medicalmente assistita eseguita all'estero  e nel nostro ordinamento vietata aveva fatto sorgere il problema dello status da attribuire al nato in Italia. Vari sono stati i modi utilizzati per legalizzarne la presenza e, in specie, per fare riconoscere la doppia genitorialità.

In radice è stata esclusa la formazione di un atto di nascita ex novo: “In caso di concepimento all'estero mediante l'impiego di tecniche di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo, voluto da coppia omoaffettiva femminile, la domanda volta ad ottenere la formazione di un atto di nascita recante quale genitore del bambino, nato in Italia, anche il c.d. genitore intenzionale, non può trovare accoglimento, poiché il legislatore ha inteso limitare l'accesso a tali tecniche alle situazioni di infertilità patologica, fra le quali non rientra quella della coppia dello stesso genere; non può inoltre ritenersi che l'indicazione della doppia genitorialità sia necessaria a garantire al minore la migliore tutela possibile, atteso che, in tali casi, l'adozione in casi particolari si presta a realizzare appieno il preminente interesse del minore alla creazione di legami parentali con la famiglia del genitore adottivo, senza che siano esclusi quelli con la famiglia del genitore biologico, alla luce di quanto stabilito dalla sentenza della Corte cost. n. 79 del 2022" (Cass. I, ord. n. 22179/2022). La Corte costituzionale aveva osservato che l'interesse del minore deve essere bilanciato, alla luce del criterio di proporzionalità, con lo scopo legittimo perseguito dall'ordinamento di disincentivare il ricorso alla surrogazione di maternità, penalmente sanzionato dal nostro legislatore. Al riguardo, il punto di equilibrio raggiunto dalla Corte EDU è corrispondente all'insieme dei principi della Costituzione italiana i quali per un verso non ostano alla non trascrivibilità del provvedimento giudiziario straniero di riconoscimento della doppia genitorialità ai componenti della coppia (eterosessuale o omosessuale) che abbia fatto ricorso all'estero alla maternità surrogata; per l'altro, impongono che, in tali casi, sia comunque assicurata tutela all'interesse del minore al riconoscimento giuridico del legame con coloro che esercitano di fatto la responsabilità genitoriale. Il compito di adeguare il diritto vigente, concludeva la Corte, non può che spettare al legislatore (sent. n. 33 del 2021).

Il Tribunale di Pistoia, con sent. 5 luglio 2018, ha dichiarato  illegittimo il diniego opposto dal sindaco di ricevere la nuova iscrizione in Italia dell'atto di nascita di un minore nato in Italia a seguito di PMA eseguita in altro stato. Nel provvedimento si osserva che il sistema normativo deve essere letto alla luce del principio di tutela del superiore interesse del minore e pertanto si deve sempre garantire un'interpretazione costituzionalmente orientata dell'art. 8 l. n. 40/2004; essa conduce ad affermare che i bambini nati in Italia a seguito di tecniche di PMA eseguite all'estero sono figli della coppia di donne che hanno prestato il consenso manifestando inequivocabilmente di voler assumere la responsabilità genitoriale sul nascituro quale frutto di un progetto di vita comune con il partner e di realizzazione di una famiglia. Opinare diversamente, si è aggiunto, significherebbe accettare situazioni discriminatorie tra figli nati da coppie etero o omosessuali che abbiano fatto ricorso alle tecniche di PMA di tipo eterologo. Il Tribunale di Brescia, con decreto 11 novembre 2020, ha ritenuto illegittimo il rifiuto dell'ufficiale di stato civile di annotare, a margine dell'atto di nascita avvenuta in Italia di un minore, procreato con PMA eseguita all'estero, il riconoscimento quale figlio della madre intenzionale non legata allo  stesso da vincolo biologico; e ha ordinato l'annotazione giustificando la pronuncia con la valutazione di un superiore interesse del minore. In senso favorevole al figlio si sono espresse Corte app. Bari 13 febbraio 2009; Trib. Pisa 22 luglio 2016; Corte app. Trento, 23 febbraio 2017,; Corte app. Venezia 6 luglio 2018; Trib. Milano 15 novembre 2018.

La trascrizione dell’atto di nascita straniero nei registri dello stato civile

L'iscrizione nei registri dello stato civile italiani dei nati all'estero da procreazione eterologa  ha dato occasione a  contrasti e a disparità di applicazioni. Si sono verificati casi di rifiuto all'iscrizione ad opera di ufficiali dello stato civile con conseguenti polemiche. A fronte della riconosciuta possibilità di trascrivere nei registri degli atti dello stato civile «l'atto di nascita straniero dal quale risulti che un bambino, nato [all'estero] da un progetto genitoriale di coppia, è figlio di due madri» (Cass., sez. I, 30 settembre 2016 n. 19599; cfr. altresì Cass., sez. I, 15 giugno 2017, n. 14878; Cass., sez. I, 23 agosto 2021, n. 23319; Cass., sez. I, 23 novembre 2023, n. 32527, in tema di adozione effettuata all'estero), si sono verificate prese di posizione diverse da parte degli Ufficiali di Stato Civile, fonte di ulteriori forme di discriminazione, nel caso in cui il minore è nato in Italia. In diversi luoghi l'iscrizione è stata eseguita, poi impugnata e annullata su ordine di sindaci, prefetti o magistratura. Le cronache hanno riportato notizie contrastanti  di comportamenti tenuti dagli ufficiali di stato civile in ordine alla decisione di iscrivere o meno il nome della madre intenzionale del nato da P.M.A., oltre che dai pubblici ministeri in ordine alla decisione, in caso di iscrizione, di chiedere la rettificazione dell'atto. Gli episodi più significativi hanno visto prevalere nella magistratura un atteggiamento di sostanziale favore ispirato alla tutela del nato, cui è sembrato indispensabile assicurare la certezza di uno status giuridico.  

 Con il decreto della Corte di appello di Milano 28 dicembre 2016 è stata ordinata la trascrizione dell'atto di nascita formato in California, relativo a due minori nati tramite gestazione per altri con parto gemellare mediante uso di donatrice per i due ovociti fecondati rispettivamente dai due diversi padri, regolarmente conviventi tra loro. Il decreto in questione riforma la decisione del Tribunale di Milano che aveva rifiutato la trascrizione in considerazione della diversa paternità genetica dei due gemelli in correlazione con il parto gemellare degli stessi faceva supporre il ricorso alla maternità surrogata (in realtà mai negato dai ricorrenti), con conseguente contrarietà dell'atto all'ordine pubblico ai sensi dell'art. 12 della legge sulla PMA. Anche in questo caso la Corte di appello, richiamando principi già espressi a livello europeo, ha chiarito come l'eventuale ricorso alla maternità surrogata non può incidere su diritti fondamentali del minore all'identità personale e sociale, proteggendo così il suo superiore interesse ad un corretto collocamento nel progetto genitoriale inizialmente intrapreso dai due padri. Questa pronunzia si pone in linea di continuità applicativa con la sentenza della  Cass. n. 19599/2016.

Varie sono state le decisioni della Suprema Corte. Ha cercato di porre ordine la pronuncia delle Sezioni unite per la quale il ricorso ad operazioni di maternità surrogata, quali che siano le modalità della condotta e gli scopi perseguiti, offende in modo intollerabile la dignità della donna e mina nel profondo le relazioni umane; non è, pertanto, automaticamente trascrivibile in Italia il provvedimento giurisdizionale straniero, e di conseguenza l'originario atto di nascita, che indichino il genitore d'intenzione quale genitore del bambino, insieme al padre biologico che ne ha voluto la nascita ricorrendo alla surrogazione in Paese estero, sia pure in conformità alla lex loci (sent. n. 38162/2022). In senso contrario si erano pronunciate: Cass. I, n. 23319/2021 (“… è legittimamente trascritto in Italia l'atto di nascita formato all'estero, relativo a un minore, figlio di madre intenzionale italiana e di madre biologica straniera, non essendo contrario all'ordine pubblico internazionale il riconoscimento di un rapporto di filiazione in assenza di un legame biologico, quando la madre intenzionale abbia comunque prestato il consenso all'impiego da parte della partner di tecniche di PMA, anche se esse non sono consentite nel nostro ordinamento”); Cass. I, n. 19599/2016 (non rileva che la tecnica procreativa utilizzata non sia riconosciuta nell'ordinamento italiano in quanto essa rappresenta “una delle possibili modalità di attuazione del potere regolatorio attribuito al legislatore ordinario su una materia nella quale le scelte legislative non sono costituzionalmente obbligate” e “ venendo in rilievo la fondamentale e generale libertà delle persone di autodeterminazione e di formare una famiglia a condizioni non discriminatorie rispetto a quelle consentite dalla legge alle coppie eterosessuali”).

Cass. n. 19599/2016 , con una motivazione ampia e diffusa, ha confermato l'ordine di trascrizione dell'atto di nascita relativo a due madri unite all'estero in matrimonio omosessuale (minore partorito da una delle due donne a seguito di ovodonazione da parte della moglie) ed ha evidenziato un concetto di ordine pubblico a carattere più ampio, ed integrato evidentemente a livello eurounitario, secondo un giudizio che non deve risolversi in una verifica mera della conformità dell'atto al diritto interno, ma bensì deve giungere ad un controllo di compatibilità con l'ordine pubblico internazionale, come complesso di principi derivanti da esigenze di tutela dei diritti fondamentali dell'uomo desumibili dalla carta costituzionale, dai trattati fondativi e dalla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, nonché dalla Convenzione europea dei diritti dell'uomo. Emerge dunque un nuovo e contrapposto concetto di ordine pubblico rispetto alle precedenti pronunzie della Corte, secondo un concetto qualificato da consistenti interazioni tra diversi ordinamenti giuridici e livelli di tutela. Dunque non più ordine pubblico inteso come limite in senso prettamente difensivo, ma quale metodo di interazione tra ordinamento interno e ordinamento internazionale sulla base di principi condivisi, che non necessariamente debbono essere formalizzati in norme interne. Il principio di diritto enunciato nella sentenza chiarisce dunque come il giudice italiano chiamato a valutare la compatibilità predetta deve verificare non già se l'atto straniero applichi una disciplina della materia conforme o difforme rispetto a norme interne, bensì se esso contrasti o meno con le esigenze di tutela dei diritti fondamentali dell'uomo.

La decisione ha richiamato la particolare rilevanza della protezione del superiore interesse del minore (ad essere figlio di entrambe le madri, in applicazione del principio ex art. 24 della Carta dei diritti UE che afferma la ricorrenza di un diritto a mantenere rapporti significativi con entrambi i genitori a prescindere dal loro sesso o orientamento sessuale). Qui come nella decisione della Corte di appello di Milano fu affermata l'irrilevanza del modo in cui il minore è venuto al mondo, rispetto all'esigenza di tutelare il minore stesso quanto alla certezza dei rapporti giuridici che lo riguardano e alla piena protezione della sua identità personale e sociale. Lo status di figlio dunque permane, e così il diritto alla conservazione dello stesso inalterato, a prescindere dall'eventuale condotta illecita posta in essere da terzi che ha determinato la nascita del minore. Risultò palese la sostanziale irrilevanza della modalità di nascita rispetto alla possibile trascrizione dell'atto di nascita conseguente a surrogazione di maternità lecitamente praticata in altro stato. Nello stesso senso si  espresse a suo tempo anche il Trib. Varese 8 ottobre 2014.

Entrambe le decisioni avevano ritenuto che la l. n. 40/2004, nella valutazione e bilanciamento di interessi da realizzare, non rappresenta un valore di livello costituzionale primario al quale debba essere garantita una prevalente applicazione, ed anzi al contrario fu affermato che l'atto di nascita straniero non contrasta con l'ordine pubblico per il solo fatto che la tecnica procreativa non è riconosciuta in Italia della legge n. 40. I principi enunciati nella l.n.40/2004 non esprimono, si ritenne, un valore costituzionalmente superiore ed inderogabile, tale da poter essere considerato un principio di ordine pubblico. Conseguentemente e nello stesso senso, dopo aver evidenziato la particolare rilevanza della genitorialità sociale nelle sue diverse declinazioni, la Corte di cassazione dichiarò che il principio di cui all'art. 269 c.c., secondo il quale è madre colei che partorisce, non costituisce un principio fondamentale di rango costituzionale, con conseguente salvaguardia di un progetto di omogenitorialità, sicché la diversità di sesso tra i genitori, tipica del matrimonio, non può rappresentare un elemento di discrimine, né giustificare una condizione deteriore per i figli incidendo sul loro status. La nozione di vita familiare doveva pertanto secondo la Corte essere declinata in concreto, considerati rapporti per come instaurati nell'ambito della comunità familiare, con particolare attenzione alla tutela del minore a prescindere dalla discendenza biologica dei figli, non più considerata quale elemento essenziale della filiazione, come già evidenziato in tema di PMA eterologa.

Sul tema può essere ricordato il parere reso dalla Corte EDU, grande Camera, in data 9 aprile del 2019, sollecitato dalla magistratura francese proprio in tema di maternità surrogata e trascrizione del conseguente atto di nascita in favore della madre sociale. Nel caso concreto, in relazione ad un minore nato all'estero da gestazione per altri con materiale biologico del solo padre, era stata riconosciuta dallo Stato francese la possibilità di trascrizione  dell'atto di nascita in favore del padre, senza tuttavia consentire analoga tutela alla madre di intenzione. Il quesito alla Corte  chiedeva di accertare se il limite posto alla trascrizione dell'atto di nascita nei confronti della madre sociale determinasse un superamento da parte dello Stato del margine di apprezzamento a sua disposizione ex art. 8 della CEDU, e se comunque occorra sempre distinguere se il bambino sia stato procreato con i gameti della madre o meno.

Nel fornire la propria articolata risposta la Corte ha in via prioritaria  ribadito il principio della necessaria realizzazione del migliore interesse del minore e ha evidenziato quelli che potrebbero essere gli effetti negativi derivanti dal mancato riconoscimento per il minore del suo rapporto con la madre di intenzione, con conseguente rilevanza anche dell'interesse del minore alla stabilità della relazione ambientale con la madre sociale. Con Il parere si è affermato che in applicazione dell'art. 8 della CEDU si deve ritenere che lo Stato contraente sia tenuto a fornire riconoscimento alla relazione tra il minore e la madre sociale o d'intenzione, una tutela questa che deve essere riconosciuta a maggior ragione quando sia stato generato mediante gestazione per altri realizzata anche con materiale biologico della madre di intenzione. È dunque obbligo dello Stato contraente, secondo il parere richiamato, considerare la particolare posizione del minore che richiede necessariamente l'adozione di una serie di strumenti di protezione della sua condizione di vulnerabilità. Devono essere apprestati dei mezzi di tutela, che tuttavia non necessariamente coincidono con la trascrizione dell'atto di nascita in favore della madre sociale, potendo lo strumento di tutela anche essere rappresentato dal procedimento di adozione, purché gli effetti che saranno prodotti dalla adozione possano essere effettivamente considerati analoghi o simili a quelli del riconoscimento legale nell'atto di nascita, mediante attribuzione in tempi rapidi di un effettivo status volto ad eliminare lo stato di incertezza quanto alla condizione del minore. Dunque, tenendo conto dell'ampio margine di apprezzamento attribuito sul punto ai singoli Stati quanto all'apprestare effettiva tutela alla relazione figlio e madre di intenzione, la Corte Edu ha chiarito come lo strumento della registrazione dell'atto di nascita possa non essere l'unico strumento predisposto dall'ordinamento, potendosi ad esso aggiungere la procedura di adozione, purché la protezione apprestata sia immediata ed efficace considerato il superiore interesse del minore. Spetterà sempre e comunque al giudice nazionale verificare la portata del superiore interesse del minore in relazione al singolo caso concreto.

La Corte cost. n. 33 del 2021 ha dichiarato inammissibili le questioni di legittimità costituzionale poste dalla Prima sezione della Corte di cassazione con ordinanza n. 8325 del 29 aprile 2020. Le questioni proposte riguardavano lo stato civile dei nati attraverso la pratica della maternità surrogata, vietata dall'art. 12, comma 4,  della l. n. 40 del 2004, con possibilità di dare effetto nell'ordinamento italiano a provvedimenti giudiziari stranieri che riconoscano come genitore non solo chi abbia fornito i propri gameti, ma anche il genitore d'intenzione che abbia condiviso consapevolmente il progetto genitoriale, anche senza fornire il proprio apporto genetico. Al riguardo la pronuncia ha ricordato come fosse già stato affermato dalla giurisprudenza costituzionale  che la pratica della maternità surrogata offende in modo intollerabile la dignità della donna e mina nel profondo le relazioni umane (Corte cost. n. 272 del 2017), considerazione alla quale si doveva aggiungere la possibilità di accordi di maternità surrogata che potrebbero portare allo sfruttamento di persone vulnerabili e in situazioni di disagio economico e sociale. Ciò in linea di continuità con quanto affermato dalla risoluzione del 13 dicembre 2016 del Parlamento europeo, con la quale è stata condannata qualsiasi forma di maternità surrogata a fini commerciali.

In motivazione la Corte ha osservato che senza dubbio esiste l'interesse di un bambino accudito sin dalla sua nascita da una coppia, anche omosessuale, che ha condiviso la decisione di procrearlo, ad ottenere un riconoscimento dei suoi legami affettivi, che rappresentano senza dubbio parte integrante della sua identità, e soprattutto un riconoscimento, non solo sociale ma anche giuridico, che consenta di far entrare a pieno titolo in una comunità familiare: e ciò anche nel caso di coppie dello stesso sesso, atteso che l'orientamento sessuale della coppia non incide di per sé sulla assunzione di una responsabilità genitoriale. Il  centro della questione è rappresentato dall'interesse del minore a che sia affermata in capo ai soggetti che lo accudiscono la titolarità giuridica di un insieme di doveri funzionali ai di luii interessi, inscindibilmente legati all'esercizio delle ordinarie responsabilità genitoriali. Ne , per la Corte, riconosciuta la discrezionalità del legislatore su questo tema, la necessità di tenere conto delle particolarità e dei limiti che ineriscono alla disciplina dell'adozione legittimante di cui all'art. 44 , comma 1, lett. d) della l. n. 184 del 1983, non del tutto adeguata agli interessi del minore così come recepiti nei principi costituzionali e convenzionali (mancata attribuzione della genitorialità, ambiguità in ordine al reale riconoscimento di vincoli parentali con il nucleo di riferimento del genitore di intenzione, richiesta del necessario assenso del genitore biologico, che potrebbe essere assente in caso di crisi della coppia nonostante anni cure e attenzione al minore). In conclusione la Corte evidenziava la necessità di una disciplina adeguata e innovativa della materia dell'adozione, che dovrebbe essere considerata in modo più aderente alle peculiarità tipiche di queste situazioni, assai distanti dai casi oggetto di disciplina ai sensi dell'art. 44, comma 1, lett. d) della legge n. 184 del 1983, sicché il compito di adeguare il diritto vigente alle esigenze di tutela dei bambini nati da maternità surrogata non può che spettare  in prima battuta al legislatore, al quale “deve essere riconosciuto un significativo margine di manovra nell'individuare una soluzione che si faccia carico di tutti i diritti e i principi in gioco”.

Il legislatore non ha accolto il richiamo proveniente dalla magistratura. E la magistratura si è espressa con pronunce contrastanti.

Con sentenza n. 9006/2021 le Sezioni Unite della Corte di cassazione hanno affermato che In tema di efficacia nell'ordinamento interno di atti adottati all'estero, non contrasta con i principi di ordine pubblico internazionale il riconoscimento degli effetti del provvedimento giurisdizionale straniero di adozione di minore da parte di coppia omoaffettiva maschile che attribuisca lo "status" genitoriale secondo il modello dell'adozione piena, non costituendo elemento ostativo il fatto che il nucleo familiare sia omogenitoriale, ove sia esclusa la preesistenza di un accordo di surrogazione di maternità a fondamento della filiazione.

Con sentenza n. 38162/2022 le stesse hanno affermato che il ricorso ad operazioni di maternità surrogata, quali che siano le modalità della condotta e gli scopi perseguiti, offende in modo intollerabile la dignità della donna e mina nel profondo le relazioni umane; non è pertanto automaticamente trascrivibile in Italia il provvedimento giurisdizionale straniero e di conseguenza l'originario atto di nascita, che indichino il genitore d'intenzione quale genitore del bambino insieme al padre biologico che ne ha voluto la nascita ricorrendo alla surrogazione nel Paese estero, sia pure in conformità della lex loci. La sentenza ha aggiunto che il riconoscimento dell'efficacia di un provvedimento giurisdizionale straniero, con il quale sia stato accertato il rapporto di filiazione tra un minore nato all'estero mediante il ricorso alla gestazione per altri e il genitore d'intenzione munito della cittadinanza italiana, trova ostacolo nel divieto assoluto di surrogazione di maternità, previsto dall'art. 12, comma 6, della l. n. 40 del 2004, volto a tutelare la dignità della persona umana nella sua dimensione non solo soggettiva, ma anche oggettiva; ne consegue che, in presenza di una scelta legislativa dettata a presidio di valori fondamentali, non è consentito al giudice, mediante una valutazione caso per caso, escludere in via interpretativa la lesività della dignità della persona umana e, con essa il contrasto con l'ordine pubblico internazionale, anche laddove la pratica della surrogazione di maternità sia il frutto di una scelta libera e consapevole della donna, indipendente da contropartite economiche e revocabile sino alla nascita del bambino.

Si veda il paragrafo che segue.

L’adozione

Sono state intraprese strade diverse dalla richiesta di rettificazione dello stato civile. La Corte di cassazione ha avuto occasione di pronunciarsi in ordine a decisioni di merito aventi ad oggetto il ricorso a forme di adozione.   

Le Sezioni Unite hanno con sent. n. 38162/2022 affermato che il minore nato all'estero mediante il ricorso alla surrogazione di maternità ha un diritto fondamentale al riconoscimento, anche giuridico, del legame sorto in forza del rapporto affettivo instaurato e vissuto con il genitore d'intenzione; tale esigenza è garantita attraverso l'istituto dell'adozione in casi particolari, ai sensi dell'art. 44, comma 1, lett. d) della l. n. 184/1983 che, allo stato dell'evoluzione dell'ordinamento, rappresenta lo strumento che consente, da un lato, di conseguire lo “status” di figlio e, dall'altro, di riconoscere giuridicamente il legame di fatto con il partner del genitore genetico che ne ha condiviso il disegno procreativo concorrendo alla cura del bambino sin dal momento della nascita.

Altre pronunce hanno affermato che l'adozione in casi particolari (ex art. 44, lett. d, Legge  4 maggio 1983, n. 184) si presta a realizzare appieno il preminente interesse del minore alla creazione di legami parentali con la famiglia del genitore adottivo, senza che siano esclusi quelli con la famiglia del genitore biologico (Cass., sez. I, 20 febbraio 2024, n. 4448; App. Milano, sez. fam., 23 gennaio 2024); orientamento che aveva aperto la strada alla possibilità di indicare, sulla carta d'identità elettronica del minore ed in corrispondenza dei nomi delle due madri (naturale e adottiva), la dicitura «genitore» in luogo di quella «madre» e «padre», offrendo – si diceva – una adeguata e corretta rappresentazione della realtà giuridica familiare (Cass., sez. I, 8 aprile 2025, n. 9216; A. Lestini, I nomi della madre naturale ed adottiva sulla CIE del minore, in Ius Famiglie, 2025).

A sua volta,Cass. I, ord. n. 25436/2023 ha ribadito che l'adozione in casi particolari, ex art. 44, comma 1, lett. d) della l. n. 184 del 1983, rappresenta lo strumento che consente al minore, nato in Italia, a seguito di procreazione medicalmente assistita compiuta all'estero da coppia omoaffettiva, di conseguire lo "status" di figlio e di riconoscere giuridicamente il legame di fatto con il genitore d'intenzione; e ha osservato che il dissenso del genitore biologico all'adozione da parte del genitore sociale deve essere valutato esclusivamente sotto il profilo della conformità all'interesse del minore, con particolare riferimento al progetto genitoriale comune, alla cura e all'accudimento svolto in comune dalla coppia, per un congruo periodo. (Nella specie, la S.C. ha cassato la decisione della corte territoriale che aveva escluso la sussistenza dei presupposti per accogliere la richiesta di adozione speciale, evidenziando che la genitrice naturale del minore, nato in Italia a seguito di PMA, effettuata all'estero, con modalità non consentite dallo Stato italiano, aveva revocato il suo assenso all'adozione, inizialmente prestato, quando era cessata la convivenza con la madre biologica del detto minore). La Corte ha anche affermato che non contrasta con i principi di ordine pubblico il riconoscimento degli effetti del provvedimento giurisdizionale straniero di adozione di un minore, nato in Italia con tecniche di procreazione medicalmente assistita effettuate in altro Stato, nell'ambito di un'unione tra cittadine italiane coniugate all'estero (Cass. I, ord. n. 32527/2023, la quale ha precisato che Il giudizio relativo al riconoscimento della sentenza pronunciata dal giudice straniero di adozione piena del minore, figlio biologico di una delle due partners di coppia omogenitoriale femminile coniugata all'estero, da parte dell'altra, deve essere effettuato secondo il paradigma legislativo di diritto internazionale privato previsto negli artt. 64 e ss. della l. n. 218 del 1995, non trovando applicazione, nella specie, la disciplina normativa relativa all'adozione internazionale).

In contrario si è osservato che lo strumento dell'adozione in casi particolari, pur consentendo l'instaurazione di rapporti civili tra l'adottato ed i parenti dell'adottante (Corte cost., 28 marzo 2022, n. 79), e pur prevedendo che il dissenso del genitore biologico all'adozione da parte del genitore intenzionale debba essere valutato esclusivamente sotto il profilo della conformità all'interesse del minore (come nel caso in cui l'adottante non abbia intrattenuto alcun rapporto di affetto e di cura nei confronti del nato, oppure abbia partecipato solo al progetto di procreazione ma poi si sia disinteressato del minore: Cass., sez. un., 30 dicembre 2022, n. 38162; Cass., sez. I, 29 agosto 2023, n. 25436), tuttavia non consente di assicurare al minore stesso una tutela adeguata, in termini di effettività e celerità.

Nell'adozione in casi particolari, l'acquisizione dello status di figlio – oltre a spiegare i propri effetti dal perfezionamento del giudizio di adozione e non certo dal momento della nascita – è fisiologicamente subordinata all'iniziativa dell'adottante (mentre non è prevista alcuna legittimazione in capo al minore o a chi ne ha la rappresentanza legale né, tantomeno, in capo alla madre biologica, così come, nessuno strumento di tutela è accordato agli stessi per l'eventualità in cui la madre intenzionale decida di non procedere all'adozione), la cui volontà deve permanere fino alla conclusione del procedimento (peraltro caratterizzato da costi legati alla necessaria difesa tecnica, dai tempi richiesti dalla natura stessa dell'istruttoria e dall'alea propria di tutti i procedimenti).

L’ordine pubblico internazionale

La questione della riconoscibilità dello stato di filiazione creato all'estero sulla base di norme colà vigenti e confliggenti con quelle italiane aveva fatto sorgere il problema del possibile conflitto del riconoscimento con i principi dell'ordine pubblico internazionale e nazionale. Da un lato doveva essere considerato, si affermava, il supremo interesse del minore all'unicità e all'identità dello stato di filiazione in uno stato diverso da quello della nascita. Dall'altro, si osservava che il richiesto riconoscimento in violazione di norme imperative avrebbe contrastato regole aventi il rango della tutela dell'ordine pubblico.

La nozione di ordine pubblico quando si pone relativamente al rapporto con altri ordinamenti trova il suo riferimento normativo nell'art. 16 della legge di diritto internazionale privato, mentre il riconoscimento di una decisione resa all'estero negli art. 64 e 64 della stessa legge, che richiede che tale decisione, per essere riconosciuta, non realizzi degli effetti che possano essere ritenuti contrari al nostro ordinamento. (Minutillo Turtur, 1 e ss.). La valutazione del giudice che occorra in proposito deve considerare non i principi e le leggi applicate dallo Stato estero, ma bensì la portata dei loro effetti nel nostro ordinamento con un giudizio che si caratterizza come prognostico ed astratto.

Anche la giurisprudenza di legittimità ha identificato l'ordine pubblico non in relazione a qualsiasi norma imperativa dell'ordinamento interno, ma, proprio quale ordine pubblico internazionale, con riferimento “solo” ai principi fondamentali e caratterizzanti l'atteggiamento etico e giuridico di un determinato periodo storico (Cass. Sez. 1, n. 17349 del 2002, Rv. 559033). Proprio la particolare rilevanza di questo limite, in un'ottica sempre più orientata alla condivisione a livello comunitario ed internazionale di principi comuni, ha portato a far sì che molte formulazioni legislative recenti richiedano, al fine di ritenere la ricorrenza di una violazione dell'ordine pubblico, il carattere “manifesto” della incompatibilità del provvedimento del quale si richiede  il riconoscimento.

Si è osservato che è anche imprescindibile tenere conto del carattere di relatività nel tempo e nello spazio del concetto di ordine pubblico, proprio perché condizionato dai mutamenti sociali, culturali e storici sottesi ai diversi momenti storici, sui quali una influenza certamente determinante, anche quanto all'argomento oggetto di rimessione, hanno anche i progressi scientifici a supporto dei più diversi progetti genitoriali.

In una prospettiva evolutiva si è dunque ritenuto che questo limite vada inteso nel più ampio rispetto delle diverse sensibilità culturali purché ricorra un oggettivo riscontro del rispetto dei diritti fondamentali dell'uomo.

È in questo senso che appare fortemente sostenuta l'idea che si debbano ritenere regole di ordine pubblico principi realmente internazionali e propri della comunità degli stati (in questo senso tra le molte decisioni appare particolarmente significativa Cass. Sez. 3 n. 19405 del 2013, Rv. 628070, che richiama le esigenze di garanzia comuni ai diversi ordinamenti e di tutela dei diritti fondamentali dell'uomo e Cass. Sez. 1, n.15343 del 2016, Rv. 641023, che evidenzia come il controllo del giudice non possa estendersi sino alla considerazione contenutistica della legislazione straniera, dovendosi aver riguardo in sede di delibazione esclusivamente alla portata degli effetti della decisione da riconoscere).

 La Corte di Appello di Bari del 25 febbraio 2009 accolse la richiesta inoltrata da genitori di minori nati per surrogazione di maternità in conseguenza del riconoscimento nell'ambito del nostro ordinamento del «parental order» emesso da un giudice inglese. Dalla motivazione della sentenza emerge chiaramente che ai fini del riconoscimento nello Stato Italiano dei «parental order» resi nel Regno Unito in forza dei quali è riconosciuta ad una donna la maternità c.d. surrogata su un bambino, deve farsi riferimento alla nozione di ordine pubblico internazionale; a tal fine, il solo fatto che la legislazione italiana vieta, oggi (ma non all'epoca in cui i minori sono nati), la tecnica della maternità surrogata, ed il sol fatto che essa è ispirata al principio (tra l'altro, tendenziale, e, in taluni casi, derogabile), della prevalenza della maternità «biologica» su quella «sociale», non sono, di per sé, indici di contrarietà all'ordine pubblico internazionale, a fronte di legislazioni (come quella inglese, e quella greca) che prevedono deroghe a tale principio. Inoltre, ai fini del riconoscimento, o del mancato riconoscimento, dei provvedimenti giurisdizionali stranieri citati, deve aversi prioritario riguardo all'interesse superiore del minore (v. art. 3 della l. 27 maggio 1991, n. 176, di ratifica ed esecuzione della convenzione sui diritti del fanciullo, in New York 20 novembre 1989), costituente anch'esso parametro di valutazione della contrarietà o meno all'ordine pubblico internazionale, principio ribadito in ambito comunitario, con particolare riferimento al riconoscimento delle sentenze straniere nella materia dei rapporti tra i genitori e i figli, dall'art. 23 del Reg. CE n. 2201/2003, che espressamente stabilisce che la valutazione della «non contrarietà all'ordine pubblico» debba essere effettuata «tenendo conto dell'interesse superiore del figlio». Nel caso in questione, a causa di una grave malattia della moglie, i coniugi decidevano di accedere in Inghilterra ad un contratto di maternità surrogata eterologa, nel senso che avrebbero avuto figli geneticamente riferibili al solo marito. Dopo la nascita i figli furono subito portati in Italia quali figli naturali del padre, con conseguente richiesta di riconoscimento del parental order nell'ambito del quale la moglie del padre genetico veniva riconosciuta legalmente come madre del bambino pur non avendolo partorito. La Corte richiama in modo approfondito impostazioni e interpretazioni in ordine alla portata, liceità e consistenza del contratto di gestazione per altri, evidenziando una prima teoria — secondo la quale dovrebbe sempre prevalere il rapporto di parentela derivante dal parto del bambino, a prescindere da chi abbia fornito il materiale genetico, in considerazione della ritenuta maggiore intensità del rapporto che si instaura tra la madre e il nascituro durante la gestazione in applicazione del disposto di cui all'art. 269 c.c. — contrastata da altre e più recenti impostazioni secondo la quale l'interpretazione e valutazione deve tenere conto dell'evoluzione tecnica e scientifica che ha portato alla emersione e al riconoscimento del concetto di genitorialità sociale, con necessaria considerazione e valutazione prioritaria dell'interesse del minore. Richiama nelle proprie conclusioni la disciplina ex art. 33 della l. 31 maggio 1995 n. 218 in correlazione con il concetto di ordine pubblico internazionale, da interpretarsi in relazione al prevalente interesse del minore.

Ci si è interrogati se tra i principi fondamentali di un ordine pubblico internazionale rientrino o meno il principio di uguaglianza e di conseguente non discriminazione (perché legato al sesso, alla religione o all'orientamento sessuale delle persone) quanto a due genitori di uguale sesso, che hanno legittimamente perseguito un progetto di genitorialità nel paese estero, con particolare attenzione al fatto che ciò che in questo caso viene effettivamente e direttamente in considerazione non è la legittima aspirazione dei due padri sposati ad avere dei figli, ma bensì lo status dei minori nati da questa unione nell'ambito del nostro ordinamento. Cass. n. 15234/2013 ha affrontato il concetto di ordine pubblico, richiamando la previsione di cui all'art. 33 l. 31 maggio 1995 n. 218, e dunque il necessario riferirsi nell'ambito di tali valutazioni ai provvedimenti accertativi ed alle statuizioni giurisdizionali dello stato estero di nascita, senza possibilità per il giudice italiano di sovrapporre a quegli accertamenti fonti di informazione estranee o nazionali. Il Trib. Milano 15 ottobre 2013 ha precisato sempre in materia di surrogazione di maternità come il delitto di alterazione di stato ex art. 567 c.p. si consumi esclusivamente al momento genetico di formazione dell'atto, sicché si deve escludere la consumazione del delitto ove l'atto sia da ritenere in tutto conforme alla lex loci, né rileva l'eventuale contrarietà all'ordinamento italiano della successiva trascrizione dell'atto, correttamente perfezionatosi nell'ordinamento straniero, non potendo il divieto di diventare madre per fecondazione eterologa con gestazione per altri rientrare tra i principi fondanti dell'ordine pubblico internazionale. La rilevanza del concetto di genitorialità sociale su cui si basa nel caso concreto il riconoscimento da parte dello Stato ucraino dello status filiationis deve per la sentenza in esame essere ritenuto patrimonio anche del nostro ordinamento in considerazione della preminenza del principio di auto responsabilità su quello di derivazione biologica come criterio di attribuzione della paternità.

In senso del tutto opposto alle interpretazioni e considerazioni che precedono si è invece pronunziata Cass. n. 24001/2014 , secondo la quale l'art. 12, comma 6, della l. n. 40/2004 ha escluso la conformità all'ordine pubblico del contratto di surrogazione di maternità, in ragione della tutela costituzionalmente garantita alla dignità umana della gestante e considerato che, nell'interesse superiore del minore, l'ordinamento giuridico affida la realizzazione di un progetto di genitorialità privo di legame biologico con il nato esclusivamente all'istituto dell'adozione e non al mero accordo tra le parti. Tuttavia occorre considerare come il caso affrontato dalla Corte si presentasse alquanto particolare non ricorrendo alcun tipo di legame genetico tra il minore e i committenti ed essendo stati dichiarati i committenti più volte inidonei all'adozione. La sentenza richiama in motivazione la decisione della CEDU, quinta sezione, del 26 giugno 2014 (Mennenson/Francia) e la motivazione gemella (Labassee/Francia). Con queste decisioni la Corte europea ha riconosciuto la violazione dell'art. 8 della Convenzione, diritto al rispetto della vita privata e familiare, nel caso di rifiuto delle autorità nazionali di riconoscere valore legale alla relazione tra un padre e i suoi figli biologici, nati all'estero a seguito di accordo per surrogazione di maternità. Anche in questo caso le autorità francesi, nonostante la legittimità e regolarità della pratica di surrogazione negli Stati Uniti, avevano rifiutato di procedere alla trascrizione degli atti di nascita nel registro dello stato civile, rilevando una contrarietà all'ordine pubblico. La violazione dell'art. 8 è stata riferita in particolare non tanto al diritto alla vita privata dei ricorrenti, ma bensì in relazione al diritto dei minori, venendo in rilievo una serie di obblighi negativi, ricadenti in capo ai diversi stati ex art. 8 della Convenzione. I minori sostanzialmente si troverebbero in una situazione d'incertezza giuridica a causa del mancato riconoscimento del loro status di figli della coppia committente la surrogazione di maternità, mentre si deve sempre considerare che la cittadinanza è un importante elemento che definisce l'identità di ciascuna persona. Ugualmente la Corte richiama la circostanza che una tale ingerenza da parte dello Stato, consistente nel mancato riconoscimento e trascrizione dell'atto di nascita, inciderebbe irrimediabilmente su diritti successori dei minori, modificando il diritto degli stessi alla definizione della loro rispettiva identità, ivi compresi i rapporti di parentela. Questo insieme di considerazioni assume poi ancor maggiore pregnanza nel caso in cui uno dei due committenti sia anche legato biologicamente ai minori.

Sempre sul tema della valutazione del superiore interesse del minore e della portata del concetto di ordine pubblico in tema di gestazione per altri occorre segnalare la decisione della Cass. S.U. n. 12193/2019 secondo la quale: “I l riconoscimento dell'efficacia del provvedimento giurisdizionale straniero con cui sia stato accertato il rapporto di filiazione tra un minore nato all'estero mediante il ricorso alla maternità surrogata ed il genitore d'intenzione munito della cittadinanza italiana trova ostacolo nel divieto della surrogazione di maternità previsto dall'art. 12, comma sesto, della legge n. 40 del 2004, qualificabile come principio di ordine pubblico, in quanto posto a tutela di valori fondamentali, quali la dignità umana della gestante e l'istituto dell'adozione; la tutela di tali valori, non irragionevolmente ritenuti prevalenti sull'interesse del minore, nell'ambito di un bilanciamento effettuato direttamente dal legislatore, al quale il giudice non può sostituire la propria valutazione, non esclude peraltro la possibilità di conferire rilievo al rapporto genitoriale, mediante il ricorso ad altri strumenti giuridici, quali l'adozione in casi particolari, prevista dall'art. 44, comma primo, lett. d), della legge n. 184 del 1983.”

Le citate Sezioni Unite della Corte  di cassazione hanno inoltre espresso il seguente principio secondo il quale: “In tema di riconoscimento dell'efficacia di un provvedimento giurisdizionale straniero, la compatibilità con l'ordine pubblico, ai sensi dell'art. 64, comma 1, lett. g), della l. n. 218 del 1995, deve essere valutata non solo alla stregua dei princìpi fondamentali della Costituzione e di quelli consacrati nelle fonti internazionali e sovranazionali, ma anche del modo in cui detti princìpi si sono incarnati nella disciplina ordinaria dei singoli istituti e dell'interpretazione fornitane dalla giurisprudenza costituzionale e ordinaria, la cui opera di sintesi e ricomposizione dà forma a quel diritto vivente, dal quale non può prescindersi nella ricostruzione della nozione di ordine pubblico, quale insieme dei valori fondanti dell'ordinamento in un determinato momento storico”.

Investita di questione ritenute di massima particolare importanza la Corte ha affrontato il caso di una coppia omossessuale che aveva fatto ricorso alla gestazione per altri, alla quale era seguita la nascità di due genelli, con attribuzione della paternità anche al genitore di intenzione non legato biologicamente ai due minori, ma stabilmente legato al padre biologico. L'ufficiale dello Stato civile italiano aveva immediatamente trascritto l'atto di nascita con riferimento al genitore biologico, mentre aveva rigettato la richiesta per il padre d'intenzione ritenendolo contrario all'ordine pubblico, considerato che secondo la normativa statale interna i genitori devono essere di sesso diverso.

La decisione, per quanto rileva in questa sede, ha realizzato una approfondita analisi e ricostruzione del concetto di ordine pubblico internazionale, sottolineando la necessaria distinzione di tale concetto da quello di ordine pubblico interno, considerato il coinvolgimento di valori giuridici condivisi dalla comunità internazionale per la tutela di diritti fondamentali e condivisi. Nel giungere ad una definizione di ordine pubblico internazionale la Corte ha richiamato la sentenza n. 16601/2017 in tema di danni punitivi, giungendo ad una lettura integrata a tal fine anche dei principi ivi enunciati, considerato che proprio quella decisione evidenziava la necessità di tenere conto nell'individuazione dei principi di ordine pubblico del modo in cui i predetti valori su sono concretamente incarnati nella disciplina dei singoli istituti.

È dunque stato affermato che nella determinazione del contenuto del concetto di ordine pubblico occorre riferirsi non solo ai principi contenuti nelle carte, ma anche alla disciplina ordinaria e all'interpretazione che della stessa viene data dal diritto vivente, dalla cui valutazione non si può prescindere nell'individuazione di quell'insieme di valori fondanti dell'ordinamento in un dato momento storico.

Nell'affermare questi principi le Sezioni Unite della Corte hanno richiamato il divieto, sanzionato penalmente, di cui all'art. 12, comma 6, della l. n. 40/2004. In concreto tale divieto è stato ritenuto di stringente attualità ed espressione di valori fondanti dell'ordinamento interno, proprio a causa della oggettiva necessità di distinguere la maternità surrogata dalla fecondazione eterologa.

Tale divieto penale è stato dunque ritenuto espressione di un principio generale di ordine pubblico, come chiarito anche dalla decisione Corte cost. n. 272/2017, considerato che tale pratica offenderebbe in modo intollerabile la dignità umana e fa dunque riferimento a valori superiori e fondanti.

Ne consegue l'impossibilità di trascrivere un provvedimento straniero che di fatto riconosca la pratica della maternità surrogata, attribuendo la paternità anche al genitore d'intenzione privo di legami biologici con il minore.

In tale contesto  secondo le Sezioni Unite della Corte il principio di ordine pubblico emergente dalla previsione di cui all'art. 12 non si pone in contrasto con il superiore interesse del minore, sia perché tale interesse è stato ritenuto di valore non assoluto, con conseguente possibilità di affievolimento rispetto ad altri valori, sia perché un tale bilanciamento di interessi rientra nella piena discrezionalità de legislatore anche secondo i canoni della CEDU, nonché in considerazione del fatto che l'interesse del minore a restare parte del nucleo familiare in piena relazione con il genitore di intenzione, anche omosessuale, è pur sempre tutelabile attraverso l'adozione in casi particolari di cui all'art. 44, comma 1, lett. d) della l.n. 184 del 1983 ( in tal senso Cass. I, n. 12962/2016).

Le Sezioni  Unite hanno dunque concluso che gli effetti del riconoscimento del provvedimento straniero, di cui è stata chiesta la trascrizione, si pongono in contrasto con l'ordine pubblico ai sensi dell'art. 64, comma 1, lett. g) della l. n.  218 del 1995.  Nuovamente Le Sezioni Unite della Corte di cassazione si sono pronunciate sul tema. Esse hanno affermato che in tema di riconoscimento delle sentenze straniere l'ordine pubblico internazionale svolge sia una funzione preclusiva, quale meccanismo di salvaguardia dell'armonia interna dell'ordinamento giuridico statale di fronte all'ingresso di valori incompatibili con i suoi principi ispiratori, sia una funzione positiva, volta a favorire la diffusione dei valori tutelati, in connessione con quelli riconosciuti a livello internazionale e sovranazionale, nell'ambito della quale, il principio del “best interest of the child” concorre a formare l'ordine pubblico che, in tal modo, tende a promuovere l'ingresso di nuove relazioni genitoriali, così mitigando l'aspirazione identitaria connessa al tradizionale modello di filiazione, in nome di un valore uniforme rappresentato dal miglior interesse del bambino.            

 La magistratura di merito aveva tendenzialmente ritenuto la prevalenza dell'interesse del minore in nome dei diritti inviolabili dell'uomo (App. Bari, 13 febbraio 2009; Trib. Pisa, 22 luglio 2016; App. Trento, 23 febbraio 2017; App. Venezia 6 luglio 2018; Trib. Milano, 15 novembre 2018). La Corte di cassazione aveva pronunciato in senso contrario, ravvisando nel divieto di maternità surrogata una regola di ordine pubblico anche internazionale (Cass. 11 novembre 2014, n. 24001). Le Sezioni unite, in particolare (sent. 8 maggio 2019, n. 12193), avevano ravvisato nel divieto di cui all'art. 12 l. 40/2004 un principio di ordine pubblico posto a tutela di valori fondamentali quali la dignità umana della gestante e dell'istituto dell'adozione. Questi valori dovevano prevalere sull'interesse del minore anche perché era possibile conferire rilievo al rapporto genitoriale e alla conservazione del contesto familiare con il ricorso ad altri strumenti giuridici (l'adozione).  

 Il riconoscimento dell'efficacia di un provvedimento giurisdizionale straniero, con il quale sia stato accertato il rapporto di filiazione tra un minore nato all'estero mediante il ricorso alla gestazione per altri e il genitore d'intenzione munito della cittadinanza italiana, trova ostacolo nel divieto assoluto di surrogazione di maternità, previsto dall'art. 12, comma 6, della l. n. 40 del 2004, volto a tutelare la dignità della persona umana nella sua dimensione non solo soggettiva, ma anche oggettiva; ne consegue che, in presenza di una scelta legislativa dettata a presidio di valori fondamentali, non è consentito al giudice, mediante una valutazione caso per caso, escludere in via interpretativa la lesività della dignità della persona umana e, con essa il contrasto con l'ordine pubblico internazionale, anche laddove la pratica della surrogazione di maternità sia il frutto di una scelta libera e consapevole della donna, indipendente da contropartite economiche e revocabile sino alla nascita del bambino (Cass. sez. Un. n. 38162/2022). In tema di efficacia nell'ordinamento interno di atti adottati all'estero, non contrasta con i principi di ordine pubblico internazionale il riconoscimento degli effetti del provvedimento giurisdizionale straniero di adozione di minore da parte di coppia omoaffettiva maschile che attribuisca lo "status" genitoriale secondo il modello dell'adozione piena, non costituendo elemento ostativo il fatto che il nucleo familiare sia omogenitoriale, ove sia esclusa la preesistenza di un accordo di surrogazione di maternità a fondamento della filiazione (Cass. Sez. Un., 31 marzo 2021, n. 9006).

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