Codice Civile art. 1133 - Provvedimenti presi dall'amministratore.

Alberto Celeste

Provvedimenti presi dall'amministratore.

[I]. I provvedimenti presi dall'amministratore nell'ambito dei suoi poteri [1130-1131] sono obbligatori per i condomini. Contro i provvedimenti dell'amministratore è ammesso ricorso all'assemblea, senza pregiudizio del ricorso all'autorità giudiziaria nei casi e nel termine previsti dall'articolo 1137.

Inquadramento

L'art. 1133 c.c. – la cui rubrica reca il titolo «provvedimenti presi dall'amministratore» ed il cui testo è rimasto invariato anche a seguito della Riforma del 2013 – premesso che i provvedimenti presi dall'amministratore nell'àmbito dei suoi poteri sono obbligatori per i condomini, prevede che, contro i provvedimenti adottati dallo stesso amministratore, sia contemplato il ricorso all'assemblea, senza pregiudizio del ricorso all'autorità giudiziaria nei casi e nel termine previsti dall'art. 1137 c.c.

Si premette, innanzitutto, che, nel corso del presente commento, si adotterà il termine «reclamo» quando il condomino coinvolge l'assemblea ed il termine «ricorso» qualora lo stesso condomino opti per la via giudiziaria, e ciò soltanto per mera comodità espositiva ed al fine di non creare confusione, perché la disposizione codicistica utilizza la stessa terminologia («ricorso») per entrambi i tipi di riesame.

La norma citata merita un'attenta analisi sia per la genericità del contenuto, sia per le problematiche che la stessa può suscitare.

In particolare, se è pacifica la possibilità di riesame, da parte dell'assemblea e del giudice, dei provvedimenti adottati dall'amministratore, lo stesso disposto che contempla tale possibilità, ossia l'art. 1133 c.c., pone sul tappeto diverse questioni, tra le quali: a) si dovrà verificare se la norma possa o meno essere derogata da un regolamento, specie se di natura contrattuale, non figurando la stessa nel comma 4 dell'art. 1138 c.c.; b) si dovrà precisare per quali tipi di provvedimenti sia ammessa l'impugnativa, accertando se sussista una stretta connessione tra i provvedimenti soggetti a reclamo ed i poteri consistenti nell'oggetto del mandato, e se la disciplina riguardi anche quegli atti di mero arbitrio, cioè presi al di fuori dei suoi poteri; c) esternando due vie da percorrere, si dovrà accertare se l'una, la prima, sia o meno presupposto dell'altra, in quanto la norma non permette di individuare con assoluta certezza se il passaggio della doglianza all'assemblea sia comunque pregiudiziale al ricorso all'autorità giudiziaria; d) si dovrà individuare quale sia il controllo dell'assemblea sul provvedimento, cioè se di merito o di mera legittimità; e) si dovrà acclarare se il reclamo o il ricorso all'art. 1137 c.c. sospendano o meno l'obbligatorietà del provvedimento; f) si dovranno ricostruire dal punto di vista procedurale le modalità per il reclamo all'assemblea, in ordine alla forma da adottare ed ai termini da rispettare; e g) si dovrà esaminare il ricorso all'autorità giudiziaria, le possibilità di adire il magistrato ed i limiti del suo sindacato.

Evoluzione storica

La norma affonda le sue radici nel testo preparatorio della disciplina del condominio portato nel r.d. n. 56 del 1934, che, all'art. 19, così affermava: «Tutti i reclami, riferentisi all'uso delle cose comuni, devono essere diretti all'amministratore. Le norme da lui date, nell'àmbito dei suoi poteri, sono obbligatorie per i condomini, salvo il ricorso al consiglio di amministrazione ed all'assemblea da parte del condomino che si ritenga leso».

Quindi, un primo reclamo veniva diretto all'amministratore, quale diretto mandatario, e riguardava eventuali abusi o eccessi in cui poteva incorrere un amministratore che, anziché avere di mira i comuni interessi, perseguisse unicamente un proprio interesse personale; in alternativa, veniva consentito il ricorso al consiglio di condominio – allora denominato consiglio di amministrazione ed oggi contemplato nell'art. 1130-bis, comma 2, c.c. – che, tuttavia, come si può intuire, era ben lungi dall'offrire al condomino un'idonea garanzia.

Già allora, però, la predetta disposizione lasciava intravedere una sorta di costruzione piramidale che registrava, partendo dal basso, al primo posto il singolo condomino, soggetto alle norme dell'amministratore, al secondo posto l'amministratore stesso, in grado di «dettare legge» all'interno del suo condominio, e sulla cima l'assemblea, quale giudice supremo dell'operato dell'amministratore, chiamata a valutare la legittimità dei suoi provvedimenti su reclamo del singolo condomino.

Veniva così attuata una forma di tutela dei condomini dagli abusi perpetrati dall'amministratore nell'esercizio delle sue funzioni, tutela che, tuttavia, si dimostrava inadeguata ogni volta che la realtà condominiale era composta da condomini che, lungi dall'inimicarsi l'amministratore, finivano con il sacrificare l'interesse del ricorrente.

Un primo cambiamento si è avuto con la Relazione al Re al codice civile del 1942, in cui si legge: «ho conservato (art. 1133) la facoltà del condomino, ammessa dall'art. 19 del decreto medesimo, di ricorrere all'assemblea contro i provvedimenti dell'amministratore, senza pregiudizio del ricorso all'autorità giudiziaria contro le deliberazioni dell'assemblea nei casi in cui l'impugnativa è ammessa»

Probabilmente, il Ministro Guardasigilli aveva avvertito l'incompletezza della precedente normativa laddove non faceva menzione della possibilità per il condomino di ricorrere all'autorità giudiziaria, ma neanche questa soluzione era completamente soddisfacente per il condomino ricorrente, il quale continuava ad essere obbligato a ricorrere prima all'assemblea e solo dopo, in caso di esito sfavorevole, al magistrato, mediante impugnativa della deliberazione negativa, nei modi e nei termini di cui all'art. 1137 c.c.

L'attuale art. 1133 c.c. realizza finalmente una piena tutela del condomino contro gli abusi dell'amministratore: infatti, il testo della norma, in modo difforme dal dettato del Relatore, non impone il previo reclamo all'assemblea, ma prevede una doppia possibilità di giudizio per l'operato dell'amministratore, che potrà alternativamente dover rispondere dei propri provvedimenti dinanzi all'assemblea e poi dinanzi all'autorità giudiziaria, o direttamente dinanzi al magistrato non potendo, in tal caso, contare su eventuali appoggi da parte dei condomini meno coraggiosi e leali nei confronti degli altri.

Oggi, dunque, il condomino, che si ritenga leso dai provvedimenti dell'amministratore, potrà decidere tra il reclamo all'assemblea ed il ricorso all'autorità giudiziaria, indirizzando la propria opzione in base al contesto condominiale in cui vive.

Pertanto, qualora esista la possibilità che i condomini non siano obiettivi nei confronti dell'amministratore, ma anzi ne subiscano l'autorità, il ricorrente avrà tutto l'interesse ad adire sùbito il magistrato, evitando imbarazzanti verifiche di fedeltà, e ottenendo un giudizio libero ed incondizionato che determinate realtà condominiali, orientate verso la salvaguardia del quieto vivere a detrimento dell'interesse del singolo, non potrebbero garantirgli.

In buona sostanza, il legislatore ha lasciato piena facoltà al condomino della scelta dell'organo cui portare per la discussione il provvedimento dell'amministratore.

Obbligatorietà per tutti i condomini

L'art. 1133 c.c. esordisce affermando che «i provvedimenti presi dall'amministratore nell'àmbito dei suoi poteri sono obbligatori per tutti i condomini».

Ciò si spiega agevolmente in vista della finalità di conferire alle prescrizioni imposte dall'amministratore per la gestione della cosa comune un'immediata operatività che, altrimenti, potrebbe essere preclusa o gravemente ritardata da atteggiamenti ostruzionistici dei relativi destinatari.

La predetta obbligatorietà, però, stante la peculiarità dell'istituto del condominio, non esclude che i provvedimenti presi dall'amministratore siano soggetti al riesame da parte dell'assemblea su richiesta di ciascun condomino; in questa prospettiva, l'assembleapotrebbe revocarli, modificarli o addirittura adottare autonomamente provvedimenti rientranti nella competenza dell'organo rappresentativo (in argomento, v. Cass. II, n. 4437/1985, ad avviso della quale il licenziamento del portiere di un edificio condominiale disposto dall'amministratore, ai sensi dell'art. 1130, n. 2, c.c., non esclude il potere dell'assemblea dei condomini, la quale sia intervenuta sul medesimo oggetto su richiesta dell'amministratore per ratificarne l'operato, di «revocare» il licenziamento stesso)

Risulta, quindi, evidente, da un lato, che i provvedimenti dell'amministratore sono obbligatori per tutti i condomini e, dall'altro, che le attribuzioni dell'amministratore – nel condominio, a differenza di quel che succede nelle associazioni e nelle società – non si presentano come esclusive, ma sempre coesistenti e, talvolta, subordinate a quelle dell'assemblea, che rimane pur sempre l'organo veramente sovrano.

Derogabilità da parte del regolamento

A questo punto, ci si è chiesto, preliminarmente, se un regolamento, specie se contrattuale, possa o meno derogare al contenuto dell'art. 1133 c.c., in quanto il successivo art. 1138, comma 4, c.c. non pone la norma in questione tra quelle dichiarate inderogabili; in altri termini, la questione è se una clausola contenuta in un regolamento di condominio possa o meno precludere il reclamo all'assemblea avverso i provvedimenti adottati dall'amministratore o, addirittura, possa impedire al condomino di investire sul punto l'autorità giudiziaria.

Al riguardo, va ricordato che il legislatore, al fine di assicurare una regolare disciplina ai rapporti condominiali, si è premurato, nell'àmbito dell'autonomia dei condomini, di fissare determinati limiti che non possono essere derogati dagli stessi; anzi, lo stesso legislatore, mediante l'art. 1138, comma 4, c.c., pone una duplice limitazione, l'una consistente nel fatto che «le norme del regolamento non possono in alcun modo menomare i diritti di ciascun condomino, quali risultano dagli atti di acquisto e dalle convenzioni», e l'altra consistente nel fatto che «in nessun caso possono derogare alle disposizioni degli artt. 1118, comma 2, 1119,1120,1129,1131,1132,1136 e 1137» c.c.

Quindi, «in alcun modo» i primi, e «in nessun caso» le seconde, il che sembra confermare indirettamente che la norma in questione, ossia l'art. 1133 c.c., non compresa in nessuna delle predette limitazioni, possa essere ristretta nella sua applicabilità concreta o addirittura posta nel nulla da un'apposita clausola regolamentare (v., tra le tante, Cass. II, n. 7894/1994).

Un ausilio alla soluzione della questione di cui sopra può venire, però, mutuando le considerazioni svolte in ordine alla derogabilità del disposto dell'art. 1137 c.c. – nuovo testo – secondo cui, contro le deliberazioni contrarie alla legge o al regolamento di condominio, ogni condomino assente, dissenziente o astenuto può adire l'autorità giudiziaria chiedendone l'annullamento nel termine perentorio di trenta giorni – che decorre dalla data della deliberazione per i dissenzienti o astenuti e dalla data della comunicazione della deliberazione per gli assenti – precisando che l'azione di annullamento non sospende l'esecuzione della deliberazione, a meno che la suddetta sospensione venga disposta dal magistrato.

La giurisprudenza di legittimità ha, infatti, evidenziato che, per la formulazione datavi e per la sua identificabile ragione normativa, oltre che per la sede, l'art. 1137 c.c. è posto a regolare, per l'oggetto al quale ha riguardo, sul piano sostanziale, con il carattere di inderogabilità stabilito dal successivo art. 1138 c.c., il concreto rapporto che intercorre tra l'ente collettivo organizzato (condominio) ed il suo singolo componente (condomino), sì da garantire adeguatamente i rispettivi interessi, quando essi vengono a collidere, e, nel contempo, da soddisfare, in modo parimenti adeguato, la generale esigenza della certezza e stabilità delle situazioni giuridiche, per un verso, fissando il principio dell'impugnabilità dell'atto viziato da parte del condomino dissenziente, di cui è quindi esclusa la soggezione passiva alla volontà collettiva irregolarmente formata senza il suo consenso, e, per altro verso, consentendo la facoltà di impugnazione entro circoscritti limiti temporali, e perciò assoggettandola a decadenza; per la suddetta previsione legislativa della facoltà di ricorrere all'autorità giudiziaria contro le deliberazioni affette da vizio, è pertanto assicurata agli interessi considerati, in particolare a quelli del condomino dissenziente, congrua tutela giurisdizionale, e di tale tutela è sancita l'irrinunciabilitàa priori e l'insopprimibilità mediante norma del regolamento condominiale (Cass. II, n. 4218/1983).

In questa prospettiva, ad esempio, dovrebbe considerarsi invalida una clausola regolamentare, anche se contrattuale, con la quale si inibisca al singolo condomino di impugnare le decisioni dell'assemblea dinanzi all'autorità giudiziaria, o si limiti fortemente tale diritto contemplando un ristretto termine per proporre opposizione; è, quindi, possibile che un condomino possa rinunciarea posterioriad impugnare una deliberazione viziata ma già adottata, ma una disposizione di natura, per così dire, preventiva, introdotta nel regolamento condominiale si porrebbe in evidente ed insanabile conflitto con principi di livello costituzionale.

Trasponendo le osservazioni sin qui fatte all'impugnativa dei provvedimenti adottati dall'amministratore, si potrebbe sostenere che possa essere introdotta da un regolamento un'apposita disposizione che disciplini la materia del reclamo all'assemblea (e successivo coinvolgimento della questione all'autorità giudiziaria) in ordine alle modalità o/e ai termini, mentre dovrebbe ritenersi priva di efficacia quella clausola che escluda tout court ogni impugnativa in proposito.

Oggetto del riesame

Il legislatore non ha stabilito quali siano i provvedimenti dell'amministratore che possano essere oggetto di impugnativa, ovvero quando la parola dell'amministratore è «legge» all'interno del condominio e, conseguentemente, riesaminabile dinanzi all'assemblea o/e all'autorità giudiziaria.

Ripercorrendo, però, la lettera dell'art. 1133 c.c. emerge quella costruzione a gradi (cui si è accennato supra); la scala gerarchica prevede l'assemblea al vertice, in un gradino inferiore l'amministratore con i suoi atti e, in ultima posizione, i singoli condomini: stando così le cose, è chiaro, in primo luogo, che i provvedimenti che si pongono tra l'assemblea che può giudicarli ed i condomini che devono osservarli, non possono essere altro che decisioni proprie dell'amministratore, non indotte in alcun modo dall'assemblea.

In buona sostanza, non si potrà ridurre tutto alla mera affermazione che i provvedimenti ex art. 1133 c.c. siano quelli rientranti nell'àmbito delle attribuzioni dell'amministratore di cui all'art. 1130 c.c., la cui vasta portata comprende anche i provvedimenti necessariamente dovuti – si pensi all'esecuzione delle deliberazioni assembleari – nei quali vi è stata in precedenza una certa determinazione del volere di un altro soggetto (l'assemblea), rispetto alla quale l'adozione del provvedimento esplica una funzione meramente attuativa.

Solo se e quando l'amministratore risponde di un certo potere discrezionale in ordine all'adozione del provvedimento e delle sue modalità, potrà dirsi che, alla base dell'atto, vi sia effettivamente una libertà di determinazione dello stesso, nel senso che lo può o meno emettere e che il contenuto del provvedimento risale alla sua personale scelta (discrezionalità, quindi, in ordine all'an, al quando ed al quomodo).

In quest'ordine di concetti, va letto il recente decisum dei giudici di legittimità (Cass. II, n. 10865/2016), ad avviso dei quali, in tema di condominio negli edifici, il criterio discretivo tra atti di ordinaria amministrazione, rimessi all'iniziativa dell'amministratore nell'esercizio delle proprie funzioni e vincolanti per tutti i condomini ex art. 1133 c.c., ed atti di amministrazione straordinaria, al contrario bisognosi di autorizzazione assembleare per produrre detto effetto, salvo quanto previsto dall'art. 1135, comma 2, c.c., riposa sulla «normalità» dell'atto di gestione rispetto allo scopo dell'utilizzazione e del godimento dei beni comuni, sicché gli atti implicanti spese che, pur dirette alla migliore utilizzazione delle cose comuni o imposte da sopravvenienze normative, comportino, per la loro particolarità e consistenza, un onere economico rilevante, necessitano della deliberazione dell'assemblea condominiale.

Un'altra considerazione è opportuna: l'art. 1133 c.c. definisce i provvedimenti presi dall'amministratore, «nell'àmbito dei suoi poteri», obbligatori per tutti i condomini, e prosegue nel dire che contro (tali) provvedimenti è ammesso il reclamo all'assemblea.

Orbene, l'àmbito dei suoi poteri è circoscritto nell'art. 1130 c.c. (peraltro, notevolmente arricchito nei contenuti dalla Riforma del 2013), o nel regolamento di condominio – v. Cass. II, n. 13689/2011, ad avviso della quale il provvedimento con il quale l'amministratore di condominio, nell'esercizio dei suoi poteri di curare l'osservanza del regolamento, ai sensi dell'art. 1130, comma 1, n. 1), c.c., e di adottare provvedimenti obbligatori per i condomini, ai sensi dell'art. 1133 c.c., inviti un condomino (nella specie, mediante lettera raccomandata con determinazione di un termine per l'adempimento) al rispetto del divieto regolamentare di collocazione di targhe, senza autorizzazione, sulla facciata dell'edificio, non costituisce atto illecito, e non può, quindi, porsi a fondamento di una responsabilità risarcitoria personale dell'amministratore stesso; cui adde, tra le pronunce di merito, App. Milano 14 dicembre 2011, circa il benestare ad apporre un'insegna pubblicitaria – o, ancora, delineato dall'assemblea con apposita deliberazione.

Perciò, se i provvedimenti presi dall'amministratore «nell'àmbito dei suoi poteri» sono obbligatori per tutti i condomini, significa che tali provvedimenti sono stati assunti nell'àmbito della legge, del regolamento o delle disposizioni date dall'assemblea, e non quando il provvedimento è stato preso al di fuori dei suoi poteri.

Stando così le cose, ci si è interrogati se lo stesso reclamo all'assemblea debba essere escluso per i provvedimenti c.d. arbitrari, e ancora, se per questi ultimi sia applicabile quanto previsto dall'art. 1137 c.c. o non piuttosto da altre e ulteriori azioni.

L'art. 1133 c.c. ha voluto significare che, se l'amministratore pone in essere atti arbitrari – cioè fuori dall'àmbito dei suoi poteri – detti atti o provvedimenti non sono obbligatori per i condomini, con il conseguente diritto di non osservarli e senza l'obbligo di ricorrere all'autorità giudiziaria.

Dunque, nell'altra ipotesi, non prevista dalla norma stessa, cioè qualora l'amministratore prenda un provvedimento fuori dell'àmbito dei suoi poteri, il condomino potrebbe comunque ricorrere all'assemblea per ottenere la revoca, ma ciò è facoltativo e non necessario; se poi l'assemblea decida di confermarlo, allora non resta che l'impugnativa ma, questa volta, al di fuori dell'art. 1137 c.c., ove la stessa deliberazione abbia violato la legge o il principio di disposizione del singolo, in pratica, residuando il ricorso all'autorità giudiziaria mediante differenti azioni (ad esempio, il condomino potrebbe esperire un'azione possessoria nei confronti dell'amministratore nel caso in cui questi, esorbitando dai propri poteri, avesse limitato il possesso sulle parti comuni, v. Cass. II, n. 804/1974).

In argomento, e segnatamente con riferimento ad un'azione di manutenzione del possesso promossa nei confronti dell'amministratore, si è sottolineato (Cass. II, n. 10347/2011), che, a norma dell'art. 1133 c.c., l'amministratore di condominio ha il potere di assumere provvedimenti obbligatori nei confronti dei condomini, i quali possono impugnarli davanti all'assemblea e, ricorrendone le condizioni, davanti all'autorità giudiziaria; pertanto, poiché l'amministratore è tenuto a garantire il rispetto del regolamento di condominio allo scopo di tutelare la pacifica convivenza, qualora egli inviti uno dei condomini al rispetto delle leggi o del regolamento vigenti, non è configurabile, a suo carico, alcun atto di turbativa del diritto altrui nel caso in cui egli abbia agito, secondo ragionevole interpretazione, nell'àmbito dei suoi poteri-doveri di cui agli artt. 1130 e 1133 c.c.

In un'ipotesi particolare di prospettato arricchimento senza causa, si è, di recente, puntualizzato (Cass. II, n. 20528/2017) che, al condomino cui non sia riconosciuto il diritto al rimborso delle spese sostenute per la gestione delle parti comuni, per essere carente il presupposto dell'urgenza all'uopo richiesto dall'art. 1134 c.c., non spetta neppure il rimedio sussidiario dell'azione di cui all'art. 2041 c.c. in quanto, per un verso, essa non può essere esperita in presenza di un divieto legale di esercitare azioni tipiche in assenza dei relativi presupposti e, per altro verso ed avuto riguardo al suo carattere sussidiario, esso difetta giacché, se la spesa non è urgente ma è necessaria, il condomino interessato può comunque agire perché sia sostenuta, ai sensi del combinato disposto degli artt. 1133 c.c. (con ricorso all'assemblea) e 1137 e 1105 c.c. (con ricorso all'autorità giudiziaria).

E ancora, in una fattispecie relativa all'impianto elettrico comune – sul presupposto che il singolo condomino non sia titolare, nei confronti del condominio, di un diritto di natura sinallagmatica relativo al buon funzionamento degli impianti condominiali, che possa essere esercitato mediante un'azione di condanna della stessa gestione condominiale all'adempimento corretto della relativa prestazione contrattuale, trovando causa l'uso dell'impianto che ciascun partecipante vanta nel rapporto di comproprietà delineato negli artt. 1117 ss. c.c. – si è, di recente, statuito (Cass. VI/II, n. 16608/2017) che il medesimo condomino non ha azione per richiedere la messa a norma dell'impianto medesimo, potendo al più avanzare, verso il condominio, una pretesa risarcitoria nel caso di colpevole omissione nella sua riparazione o adeguamento, oppure sperimentare altri strumenti di reazione e di tutela, quali, ad esempio, le impugnazioni delle deliberazioni assembleari ex art. 1137 c.c., i ricorsi contro i provvedimenti dell'amministratore ex art. 1133 c.c., la domanda di revoca giudiziale dell'amministratore ai sensi dell'art. 1129, comma 11, c.c., o il ricorso all'autorità giudiziaria in caso di inerzia agli effetti dell'art. 1105, comma 4, c.c.

E infine, riguardo all'ipotesi delineata dall'art. 1132 c.c., si è affermato che l'amministratore di condominio, tenuto conto delle attribuzioni demandategli dall'art. 1131 c.c., può resistere all'impugnazione della deliberazione assembleare ed impugnare la relativa decisione giudiziale senza necessità di autorizzazione o ratifica dell'assemblea, atteso che, in dette ipotesi, non è consentito al singolo condomino dissenziente separare la propria responsabilità da quella degli altri condomini in ordine alle conseguenze della lite, ma solo ricorrere all'assemblea avverso i provvedimenti dell'amministratore ex art. 1133 c.c., ovvero al giudice contro il successivo deliberato dell'assemblea stessa (Cass. II, n. 7095/2017).

Rapporto tra i due rimedi

Una volta stabilito l'àmbito di operatività dell'art. 1133 c.c., ovvero quali siano i provvedimenti in esso menzionati, va verificato come si atteggino i due rimedi – reclamo all'assemblea e ricorso all'autorità giudiziaria – contro gli abusi che l'amministratore perpetri attraverso gli stessi

Ripercorrendo ancora una volta il testo della disposizione si possono fare alcune riflessioni, prima tra tutte che il diritto del condomino di rivolgersi all'autorità giudiziaria non risulta subordinato al preventivo reclamo all'assemblea: pertanto, in tema di provvedimenti dell'amministratore che rientrano nell'orbita dei suoi poteri, non è necessario che gli stessi ricevano il crisma e l'approvazione preventiva dell'assemblea e si traducano in regolari deliberazioni di questo organo sovrano del condominio (Cass. II, n. 2745/1960; tra le pronunce di merito che hanno affrontato tale problematica, si segnala Trib. Ariano Irpino 16 giugno 2011, il quale, in una fattispecie in cui l'amministratore aveva chiesto ai condomini il pagamento di spese afferenti alla manutenzione del terrazzo a livello, ripartite in spregio dell'art. 1126 c.c., ha statuito che l'art. 1133 c.c., nel prevedere la facoltà di ricorrere all'assemblea avverso i provvedimenti che l'amministratore abbia preso in violazione della legge o del regolamento di condominio, fa espressamente salvo il diritto del condomino di rivolgersi immediatamente all'autorità giudiziaria e, pertanto, non subordina tale esercizio al preventivo ricorso all'assemblea).

È chiaro, dunque, che la legge ha lasciato alla libera determinazione del singolo la scelta di ricorrere all'assemblea piuttosto che all'autorità giudiziaria, scelta che sarà legata al contesto condominiale ed alla possibilità di contare su una certa «solidarietà» da parte degli altri condomini che, laddove fosse inesistente, renderebbe inutile obbligare il ricorrente a passare prima attraverso l'assemblea; accreditare la tesi opposta equivarrebbe a fare un passo indietro tornando all'epoca del regio decreto del 1934 – v. supra – che consentiva come unico rimedio il ricorso all'assemblea, privando il ricorrente di tutela in tutti i casi sopra menzionati in cui la maggior parte dei condomini si schierava a favore dell'amministratore.

Ne discende che il legislatore ha inteso lasciare alla discrezionale valutazione del condomino la scelta, e naturalmente quest'ultima sarà determinata dalla preventiva considerazione della manifesta o prevedibile opinione dei condomini e, ove tale considerazione sia volta ad escludere l'eventualità di un annullamento del provvedimento dell'amministratore, il condomino propenderà per l'autorità giudiziaria; invero, costringere in questi casi il condomino a proporre il previo ricorso all'assemblea rappresenterebbe un espediente puramente dilatorio, informato a principi di vieto formalismo (Scarpa, 28).

Pertanto, da un lato, si ritiene che il reclamo all'assemblea sia meramente facoltativo, in quanto il legislatore non ha imposto alcuna «pregiudizialità» in ordine all'espletamento di tale rimedio rispetto al successivo ricorso al magistrato, contemplando, al contrario, un rapporto di «alternatività»; d'altronde, l'art. 1133 c.c. ci dice che l'impugnazione da parte del condomino davanti all'assemblea deve avvenire «senza pregiudizio» della tutela giudiziaria, il che depone per l'autonomia del secondo mezzo di gravame rispetto al primo, nel senso che il ricorso al giudice può essere immediato e non è subordinato al previo esperimento del reclamo all'assemblea (Cass. II, n. 13689/2011; Cass. II, n. n. 960/1977, riguardo alla ripartizione delle spese di manutenzione; Cass. II, n. 804/1974); dall'altro, si è dell'avviso che lo stesso ricorso all'autorità giudiziaria abbia carattere «assorbente», escludendo il reclamo assembleare, poiché il condomino dissenziente, ricorrendo direttamente al magistrato, ha dimostrato la volontà di non richiedere il dibattito in sede assembleare (Cass. II, n. 2353/1950).

Sindacato del massimo organo gestorio

La lettera della legge ci anticipa che il reclamo all'assemblea ha una finalità simile al ricorso gerarchico che troviamo in diritto amministrativo, mentre il ricorso all'autorità giudiziaria ha finalità del tutto diverse: il primo non è subordinato a limiti e condizioni, il secondo è ammesso solo «nei casi» (oltre che nel termine) previsti dall'art. 1137 c.c., il che vuol dire soltanto qualora il provvedimento sia «contrario alla legge o al regolamento di condominio».

A questo punto, va verificato l'àmbito del sindacato dell'assemblea investita del reclamo avverso il provvedimento adottato dall'amministratore: sul punto, si registra una diversità di opinioni in dottrina.

Alcuni (Salis, 232) ritengono che il condomino ha tutto l'interesse a provocare il giudizio dell'assemblea; d'altra parte, nei confronti della decisione di quest'ultima, ove confermi il provvedimento dell'amministratore, il condomino – come vedremo – potrà nuovamente adire il magistrato a sensi dell'art. 1137 c.c.; la legge non pone limiti all'assemblea né di legittimità né di merito, e ciò in relazione a quanto imposto dallo stesso articolo per il ricorso all'autorità giudiziaria.

Altri (Amagliani, 179) sono dell'avviso che il controllo dell'assemblea sia di mera legittimità; in primo luogo, in quanto l'articolo in esame impone identità di presupposti; in secondo luogo, perché compete all'amministratore la predisposizione di una serie di atti, che rientrano ovviamente nelle sue attribuzioni, con competenza predeterminata e non comprimibile, con la conseguenza che l'assemblea sarebbe priva di potere discrezionale sugli atti stessi.

Altri ancora (Peretti Griva, 428) sono nel senso che l'assemblea possa indagare anche sull'opportunità e convenienza dell'atto, pure se l'obbligatorietà ex lege dello stesso potrebbe indurre al contrario; si dice, poi, che l'eventuale e prospettata limitazione del potere dell'assemblea conduce questa ad accettare un provvedimento posto in essere dal suo mandante, ma contrario ai suoi principi.

Appare preferibile quella tesi (Terzago, 387) volta ad evidenziare l'ampiezza del giudizio in capo all'organo sovrano a seguito del reclamo da parte del singolo.

Invero, nel nostro caso, occorre considerare pur sempre il rapporto che intercorre inter partes, cioè il mandato (come, peraltro, ribadito espressamente ora dall'art. 1129, comma 15, c.c.): ora, se è vero che l'assemblea, tramite l'adozione di una deliberazione o l'approvazione di una disposizione regolamentare, possa conferire all'amministratore minori poteri rispetto all'oggetto del mandato (art. 1131 c.c.), è altrettanto vero che la stessa assemblea possa intervenire, confermando o revocando o modificando, il provvedimento del suo mandatario; l'oggetto del mandato, nell'àmbito condominiale, è determinato dal contenuto dell'art. 1130 c.c., ma ciò non toglie che competa al mandante, nel nostro caso all'assemblea, il potere di indirizzare l'attività del mandatario con dichiarazioni determinative che possono assolvere la funzione di specificare il contenuto di tale obbligo.

D'altra parte, i poteri del mandatario possono subire modifiche ad opera del mandante, per cui, a maggior ragione, quest'ultimo può valutare di volta in volta il comportamento del primo (ad esempio, se inopportuno, iniquo o poco conveniente).

Peraltro, l'estensione del sindacato, da parte dell'assemblea, anche al merito del provvedimento dell'amministratore, e non limitato alla mera legittimità, deriva anche da rilievi di ordine logico – oltre quelli letterali e sistematici sopra esposti – in quanto la predetta discrezionalità in capo all'amministratore, ad esempio nella disciplina dell'uso delle cose comuni, va pur sempre finalizzata «in modo che ne sia assicurato il miglior godimento a tutti i condomini», giustificando, pertanto, un controllo di opportunità da parte dell'assemblea.

A ciò si aggiungeva, in tema di violazioni del regolamento condominiale, che un sindacato di merito avrebbe potuto operare nei casi in cui il provvedimento sanzionatorio avesse tutti i crismi della legalità, cioè preso nella sfera dei suoi poteri e nell'esatta applicazione del regolamento, ma fosse oltremodo oneroso in relazione all'infrazione, in quanto su ciò il magistrato non avrebbe potuto intervenire, mentre l'assemblea, invece, aveva il diritto di procedere ad una valutazione di congruità fra infrazione e sanzione; tali considerazioni trovano oggi indiretta conferma nell'aggiunta disposta all'art. 70 disp. att. c.c. dal d.l. n. 145 del 2013 (convertito nella l. n. 9 del 2014), laddove si è contemplato che il potere di irrogazione delle suddette sanzioni spetti solo in capo all'assemblea.

Di recente, si tende ad evidenziare il carattere «aperto» dell'elencazione legislativa delle attribuzioni riconosciute all'assemblea condominiale (art. 1135 c.c.); in quanto organo destinato ad esprimere la volontà collettiva dei partecipanti, si sostiene che l'assemblea possa adottare qualunque provvedimento, anche non previsto dalla legge o dal regolamento di condominio, incontrando – a differenza dell'amministratore, i cui maggiori poteri sono regolati dall'art. 1131 c.c. – il solo limite del perseguimento di finalità extracondominiali; limite peraltro soltanto apparente, a fronte della tendenza al progressivo ampliamento degli «interessi comuni dei condomini», in nome delle esigenze di soddisfacimento dei rispettivi bisogni abitativi dei singoli.

Logica conseguenza di questa interpretazione, diciamo così, evolutiva dell'organizzazione condominiale potrebbe essere la valorizzazione del ruolo dell'assemblea quale «giudice» dei ricorsi presentati dai condomini contro gli atti di gestione; si ritiene, comunque, che la rivendicazione della potestà di sindacato dell'assemblea sui compiti dell'amministratore non si riduca all'affermazione del primato dell'organo superiore rispetto alle decisioni dell'inferiore: essa si spiega, piuttosto, con la preferenza per l'assetto democratico del gruppo, regolato dal metodo collegiale e dal principio maggioritario, ed ispirato dall'idea della collaborazione tra i condomini nella gestione dei beni comuni.

Sospensione del provvedimento impugnato

Balza evidente come il disposto dell'art. 1133 c.c. parli esclusivamente di obbligatorietà del provvedimento, senza cenno alcuno alla sospensione dello stesso in caso di reclamo all'assemblea, mentre analoga dizione è stata prevista dall'art. 1137 c.c., che definisce le deliberazioni obbligatorie per tutti i condomini, prevedendo, nel contempo, la sospensione delle stesse da parte del giudice investito dell'impugnativa.

È discussa, quindi, la possibilità di sospendere il provvedimento dell'amministratore impugnato davanti dell'assemblea.

Si parla, del resto, di obbligatorietà, ma non di esecutività, il che vuol dire che i provvedimenti dell'amministratore non producono ipso iure ogni effetto, né sono oggetto di vidimazione da parte del giudice o di «spedizione in formula esecutiva»; d'altra parte, non essendo stato previsto alcun termine per il reclamo all'assemblea – il termine è previsto unicamente per il ricorso all'autorità giudiziaria – non si potrà mai parlare di inoppugnabilità e/o di decadenza dal ricorso.

Resta il fatto dell'atteggiamento positivo o negativo da parte dell'amministratore a seguito del provvedimento – come, ad esempio, la chiusura di una porta, l'impedimento al passaggio, e quant'altro – per cui si rende necessario l'intervento del giudice.

La norma in esame, però, non richiama genericamente il disposto dell'art. 1137 c.c., ma unicamente «i casi e il termine», cioè la contrarietà alla legge e al regolamento nonché la decadenza ove l'impugnativa non sia proposta entro trenta giorni, e ciò porterebbe a sostenere che il reclamo all'assemblea non sospenda l'esecutorietà e che la sospensione possa essere ordinata soltanto dall'autorità giudiziaria dopo un esame delle circostanze del caso; si propende, sul punto, nel ritenere che tale sospensione possa essere disposta dal giudice ai sensi dell'art. 700 c.p.c. (applicato per analogia, v. Cass. II, n. 2178/1952), previa valutazione del pericolo di danno per lo stesso condomino.

Modalità del reclamo all'assemblea

Il provvedimento dell'amministratore – ci si augura in forma scritta, al fine di agevolarne l'impugnabilità – dovrà essere da quest'ultimo portato a conoscenza del condomino; la conoscenza potrà essere data con qualunque mezzo (lettera, raccomandata, telegramma, mail, fax, orale, ecc.), restando pur sempre la prova, a carico dell'amministratore, dell'avvenuta comunicazione ai fini dell'eccezione di decadenza – operativa riguardo al ricorso all'autorità giudiziaria, v. appresso – per il trascorrere del tempo di cui al citato articolo.

Nessun termine di decadenza è, invece, previsto per il reclamo all'assemblea, sicché l'assemblea potrebbe intervenire in ogni momento a seguito dell'iniziativa del condomino, a meno che l'atto di cui si chiede il riesame non abbia dispiegato oramai i propri effetti.

Parimenti nessun formalismo è previsto per il reclamo, salva la prova da parte del condomino di aver «ricorso all'assemblea»; l'articolo in parola ammette il ricorso all'assemblea, ma non richiede il ricorso nel senso tecnico della dizione, sicché il ricorrere sta qui a significare la possibilità per il condomino di fare in modo che l'assemblea intervenga con una sua decisione, cioè con una deliberazione, positiva o negativa.

Il reclamo (senza particolari formalità) va presentato per iscritto all'amministratore, il quale è tenuto a convocare, entro un termine congruo a seconda delle esigenze del caso, un'assembleaad hoc per decidere al riguardo, salvo che già sia stata convocata un'assemblea ordinaria o straordinaria, potendo tale argomento essere discusso tra le «varie ed eventuali» del relativo ordine del giorno.

Qualora l'amministratore si renda inottemperante o nulla possa fare al riguardo (ad esempio, in caso di revoca o di rinuncia al mandato), si ritiene che alla fattispecie non sia applicabile il disposto dell'art. 66, comma 1, disp. att. c.c., in quanto sarebbe illogico, nell'inerzia dell'amministratore nel convocare l'assemblea, pretendere il reperimento di altri condomini, titolari del previsto valore millesimale (un sesto del valore dell'edificio), al fine di convocare l'assemblea per l'esame del provvedimento oggetto del reclamo; d'altra parte, a tale inerzia può supplire lo stesso condomino, che resta comunque soggetto al limite temporale di cui all'art. 1137 c.c., sicché può provocare con sollecitudine la pronuncia del magistrato.

La questione di cui sopra potrebbe ora trovare una soluzione nel novellato art. 1129 c.c. che, al comma 12, n. 1), contempla, tra le cause di revoca giudiziaria dell'amministratore, la «grave irregolarità» consistita nella «omessa convocazione dell'assemblea ... negli altri casi stabiliti dalla legge», tra i quali può senz'altro annoverarsi l'ipotesi prevista dall'art. 1133 c.c.

Legittimato a proporre il ricorso è, senza dubbio, il singolo condomino, ma potrebbe sostenersi che, per analogia, anche l'amministratore possa adire l'assemblea: questa conclusione, peraltro, trova giustificazione nella qualifica di organismo «superiore» in capo all'assemblea, vedendo così ribaditi i propri ampi poteri (oltre che di indirizzo) di controllo sulle condotte dell'amministratore (si pensi al sindacato sull'operato in occasione del rendiconto a fine gestione).

È stato, infatti, rilevato che, a norma dell'art. 1133 c.c., i singoli condomini possono ricorrere all'assemblea contro i provvedimenti presi dall'amministratore nell'àmbito dei suoi poteri, ma ciò consente di affermare che anche l'amministratore può rivolgersi alla medesima assemblea per provocarne una deliberazione che sancisca la disciplina da lui adottata per l'uso delle cose comuni, al fine di vincere l'asserita resistenza di uno dei condomini (Cass. II, n. 3024/1975: nella specie, era stata impugnata per illegittimità, in quanto incidente sui poteri dell'amministratore, la deliberazione assembleare provocata dallo stesso amministratore, sull'asserito diritto di un condomino di parcheggiare la propria autovettura nell'androne carraio dell'edificio, in forza di una clausola del suo contratto di acquisto).

Non appare, tuttavia, corretto il ricorso all'analogia, in quanto mancherebbe sia la lacuna da colmare che l'identità di ratio: il reclamo del condomino all'assemblea tende, infatti, a togliere efficacia ad un provvedimento dell'amministratore, mentre il ricorso di quest'ultimo è volto solo ad una conferma del proprio operato da parte dell'organismo superiore, ma l'amministratore è già in grado di sollecitare una deliberazione di conferma del provvedimento adottato potendo convocare l'assemblea, più semplicemente, ai sensi dell'art. 66, comma 1, disp. att. c.c., ogni qual volta «lo ritiene necessario».

Nell'indetta riunione condominiale, l'amministratore illustrerà i motivi del provvedimento che ha adottato, sicché l'assemblea deciderà a maggioranza semplice, non rientrando tale materia tra quelle che necessitano di un quorum qualificato, trattandosi di materia (potenzialmente) rientrante tra le attribuzioni dell'amministratore (argomentando a contrario dall'art. 1136, comma 4, c.c.), sempre che la stessa, nel modificare il provvedimento dell'amministratore, non adotti contestualmente un atto di straordinaria amministrazione, di per sé richiedente la maggioranza più elevata (prevista dall'art. 1136, comma 2, c.c.).

In ordine ai possibili esiti del reclamo all'assemblea, quest'ultima potrà o rigettare il reclamo, confermando sostanzialmente il provvedimento dell'amministratore, oppure accogliere lo stesso, revocando o modificando il provvedimento in oggetto, e ciò sia per ristabilire il disposto legislativo o regolamentare che era stato violato sia sulla base di una diversa valutazione di opportunità in ordine alla decisione presa dall'amministratore (v. anche supra).

Nell'ipotesi di accoglimento del reclamo, è preferibile distinguere, da un lato, se il provvedimento dell'amministratore riguardava un solo condomino – si pensi al di parcheggio della moto nel cortile – nel qual caso è consequenziale che il condomino impugnante viene ad essere, per così dire, reintegrato nel suo diritto e potrà compiere quanto l'amministratore gli aveva interdetto; dall'altro, se lo stesso provvedimento interessava un aspetto generale della vita condominiale – si pensi all'orario dei giochi dei bambini nel giardino comune – per cui la decisione dell'amministratore risulta caducata nei confronti di tutti i condomini, dovendo essere la materia nuovamente regolamentata dalla stessa assemblea, nel qual caso si registra l'affidamento all'organo collegiale di entrambe le fasi dell'impugnazione: quella «rescindente», con la revoca del provvedimento dell'amministratore viziato, ma anche quella «rescissoria», con l'adozione di un nuovo atto di gestione destinato a sostituire il primo.

Ricorso all'autorità giudiziaria

Il ricorso all'autorità giudiziaria segue quanto previsto dall'art. 1137 c.c.: il libello introduttivo sarà depositato presso la cancelleria del magistrato competente; potrà contenere l'istanza di sospensione del provvedimento, anche ai sensi dell'art. 700 c.p.c. con la fissazione anticipata dell'udienza di discussione sul punto; ricorso, istanza e pedissequo provvedimento andranno, poi, notificati all'amministratore.

Quindi, l'impugnazione deve essere proposta, pena la decadenza, entro trenta giorni decorrenti dalla comunicazione del provvedimento dell'amministratore al condomino o dalla conoscenza da parte di quest'ultimo.

Al riguardo, si è precisato che, di decadenza, si può parlare soltanto se si tratta di provvedimento dell'amministratore annullabile per inosservanza di regole formali, mentre qualora si verifichi l'ipotesi di lesione di diritti dei singoli condomini (oggetto impossibile o illecito), si è in presenza di nullità radicale del provvedimento, con la conseguenza che, essendo un'azione di accertamento, il ricorso è proponibile oltre l'anzidetto termine di trenta giorni (Cass. II, n. 3775/1981, ad avviso della quale il rimedio dell'impugnazione offerto dall'art. 1137 c.c. nei confronti delle deliberazioni assembleari, e la disciplina relativa, anche in ordine alla decadenza, riguarda unicamente le deliberazioni annullabili e non quelle nulle, per cui il provvedimento con cui l'amministratore del condominio, esorbitando dai suoi poteri, leda i diritti dei singoli condomini sulle cose comuni, in quanto affetto da radicale nullità, è impugnabile davanti all'autorità giudiziaria, con azione non soggetta ai termini di decadenza di cui agli artt. 1133 e 1137 c.c.; v., altresì, Cass. II, n. 472/1976, circa il diritto di transitare con veicoli sul cortile comune per accedere alle aree di rispettiva pertinenza previsto dal regolamento condominiale).

Inoltre, per superare la decadenza per inosservanza del termine, non può essere invocata l'illiceità della condotta dell'amministratore, né la mancata approvazione del suo operato da parte dell'assemblea, in quanto non è la deliberazione di quest'ultima, ma l'operato dell'amministratore che viene impugnato secondo le disposizioni degli artt. 1133 e 1137 c.c. (Cass. II, n. 12851/1991; Cass. II, n. 2745/1960).

L'assenza di ragguagli ad opera dell'art. 1133 c.c. ha fatto pensare a qualcuno (Girino, 519) alla possibilità della doppia istanza, all'assemblea ed al giudice, ma la soluzione sembra azzardata; in realtà, scelta la via del ricorso all'autorità giudiziaria, il condomino non può ricorrere contemporaneamente all'assemblea, né il giudice può rimettere le parti davanti all'assemblea per cui dovrà decidere sul ricorso; qualora, invece, sia stata adita l'assemblea, il condomino potrà ricorrere avverso la deliberazione di conferma e/o ratifica, impugnando la stessa.

Si avrà, pertanto, il provvedimento dell'amministratore, il reclamo all'assemblea, la statuizione di conferma da parte di quest'ultima, l'impugnativa della deliberazione ex art. 1137 c.c., la sentenza del giudice di prime cure, il gravame e la sentenza di appello, il ricorso per cassazione contro quest'ultima; in tutto quattro controlli: uno ad opera dell'assemblea e tre da parte del giudice.

Resta da acclarare quali sono i limiti del sindacato dell'autorità giudiziaria, nel senso se esso sia di sola legittimità o esteso anche al merito del provvedimento dell'amministratore.

Per giurisprudenza costante (v., tra le altre, Cass. II, n. 1165/1999; Cass. II, n. 2217/1971; Cass. II, n. 2767/1968), il sindacato giudiziario opera solo sulla legittimità dell'atto: il giudice non può sostituire la deliberazione assembleare con la sentenza, in quanto deve limitarsi alla declaratoria di illegittimità della stessa; la situazione non muta nella fattispecie in esame, in quanto la norma in parola fa espresso riferimento ai «casi .... previsti dall'art. 1137» c.c., cioè all'ipotesi inerente l'accertamento se la deliberazione, nella nostra ipotesi il provvedimento dell'amministratore, è contrario alla legge o al regolamento, precludendo, al contempo, ogni sindacato di merito, sicché, ad esempio, non potrebbe essere lamentato al magistrato l'incongruo utilizzo del potere discrezionale dell'amministratore nel disciplinare l'uso delle cose comuni (sul diverso àmbito di sindacato dell'assemblea, v. supra).

Una puntualizzazione sulla delimitazione delle rispettive forme di tutela è venuta dal Supremo Collegio: l'inerzia dell'amministratore nel compimento di un atto di ordinaria amministrazione non legittima il singolo condomino a rivolgersi all'autorità giudiziaria in sede contenziosa, senza avere, in precedenza, provocato la convocazione dell'assemblea condominiale; la mancata convocazione dell'organo assembleare, la mancata formazione della volontà maggioritaria, l'adozione di una deliberazione poi ineseguita legittimano, per l'effetto, il condomino ad agire non in sede contenziosa, bensì di volontaria giurisdizione, giusto il disposto dell'art. 1105 c.c., mentre la deliberazione di maggioranza risulterà impugnabile in via contenziosa nelle sole ipotesi di lesione di diritti individuali dei partecipanti dissenzienti, oppure di violazione di legge o di regolamento condominiale, non rilevando, in contrario, la disposizione di cui all'art. 1133 c.c. – a mente della quale il ricorso avverso i provvedimenti dell'amministratore, per il singolo condomino, è proponibile, oltre che all'assemblea, anche all'autorità giudiziaria – poiché detta norma delimita la possibilità di esercizio della ivi prevista facoltà ai casi espressamente stabiliti nel successivo art. 1137 – ostativo, per l'autorità giudiziaria, all'esercizio di qualsivoglia sindacato di merito sulle deliberazioni dell'assemblea – escludendo, pertanto, che il giudice possa, in sede contenziosa, sopperire all'inerzia dell'amministratore nel compimento di atti di ordinaria amministrazione (Cass. II, n. 7613/1997).

Bibliografia

Amagliani, L'amministratore e la rappresentanza degli interessi condominiali, Milano, 1992; Girino, Il concetto di provvedimento dell'amministratore (1133 c.c.), in Contr. impr. 2004, 519; Peretti Griva, Il condominio di case divise in parti, Torino, 1960; Salis, Il condominio negli edifici, in Trattato di diritto privato dir. da Vassalli, Torino, 1959; Scarpa, Il controllo dell'assemblea sui provvedimenti dell'amministratore, in Immobili & diritto 2011, 28, fasc. 11; Terzago, Il condominio. Trattato teorico-pratico, Milano, 2015.

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