Disp. Att. Trans. Codice Civile - 30/03/1942 - n. 318 art. 64

Adriana Nicoletti

1[I]. Sulla revoca dell'amministratore, nei casi indicati dall'undicesimo comma dell'articolo 1129 e dal quarto comma dell'articolo 1131 del codice, il tribunale provvede in camera di consiglio, con decreto motivato, sentito l'amministratore in contraddittorio con il ricorrente 2.

[II]. Contro il provvedimento del tribunale può essere proposto reclamo alla corte d'appello nel termine di dieci giorni dalla notificazione o dalla comunicazione 3.

 

[1] Articolo sostituito dall'art. 19, l. 11 dicembre 2012, n. 220. Il testo precedente recitava: «Sulla revoca dell'amministratore, nei casi indicati dal terzo comma dell'articolo 1129 e dall'ultimo comma dell'articolo 1131 del codice, il tribunale provvede in camera di consiglio, con decreto motivato, sentito l'amministratore medesimo. [II]. Contro il provvedimento del tribunale può essere proposto reclamo alla corte d'appello nel termine di dieci giorni dalla notificazione». La modifica è entrata in vigore il 18 giugno 2013.

[2] A norma dell'art. 27, comma 3, lett. e), n. 1,  del d.lgs. 13 luglio 2017, n. 116, la parola: «tribunale» e' sostituita dalle seguenti: «giudice di pace»; ai sensi dell'art. 32, comma 3, d.lgs. n. 116, cit., come da ultimo modificato dall'art. 6, comma 2, lett. a), d.l. 8 agosto 2025, n. 117, conv., con modif. in l. 3 ottobre 2025, n. 148, tale disposizione entra in vigore il 31 ottobre 2026. 

[3] A norma dell'art. 27, comma 3, lett. e), n. 2,  del d.lgs. 13 luglio 2017, n. 116, il secondo comma e' sostituito dal seguente: «Contro il provvedimento del giudice di pace può essere proposto reclamo in tribunale entro dieci giorni dalla notificazione o dalla comunicazione.»ai sensi dell'art. 32, comma 3, d.lgs. n. 116, cit., come da ultimo modificato dall'art. 6, comma 2, lett. a), d.l. 8 agosto 2025, n. 117, conv., con modif. in l. 3 ottobre 2025, n. 148, tale disposizione entra in vigore il 31 ottobre 2026. 

Inquadramento

L'art. 64 disp. att. c.c., come modificato dalla riforma dell'istituto condominiale del 2012, per la revoca giudiziale del legale rappresentante del condominio richiama, sinteticamente e nel merito, gli artt. 1129 e 1131, comma 4, c.c. i quali indicano i casi in cui l'amministratore può essere rimosso dal suo incarico per effetto di provvedimento giudiziario. Detto soggetto, infatti, può essere revocato sia per comportamenti esplicitamente definiti nelle norme richiamate (quando, senza indugio, non abbia comunicato all'assemblea provvedimenti o citazioni attinenti al condominio ed aventi ad oggetto materie che esorbitano dalle sue attribuzioni oppure se non abbia reso il conto della sua gestione) ovvero nel caso del più ampio ventaglio delle gravi irregolarità, alle quali si possono aggiungere, in considerazione della non esaustività dell'indicazione del legislatore, ulteriori comportamenti illegittimi.

Ove, poi, siano emerse gravi irregolarità fiscali ovvero nell'ipotesi di mancata apertura edutilizzazione del conto corrente condominiale è stato, ancora, previsto che i condomini, anche singolarmente, prima di adire il tribunale competente per promuovere la revoca del legale rappresentante, debbano necessariamente convocare l'assemblea condominiale per fare cessare la violazione e revocare il mandato, mentre, come previsto dalla medesima norma, soltanto nel caso di mancata revoca da parte dell'assemblea, ciascun condomino ha diritto di rivolgersi all'autorità giudiziaria per ottenerne il relativo provvedimento.

Quanto al profilo meramente procedurale l'art. 64 citato si limita a stabilire che il tribunale deve provvedere in camera di consiglio, con decreto motivato, sentito l'amministratore in contraddittorio con il/i ricorrenti.

Le novità contenute nel novellato art. 64 sono sostanzialmente due: la necessità del contraddittorio tra amministratore e ricorrente/i e la circostanza che il termine di decadenza di dieci giorni per proporre il reclamo alla Corte d'Appello (comma 2) decorre anche dal giorno della «comunicazione» del provvedimento giudiziario. Novità che è direttamente collegata all'entrata in vigore del processo telematico.

Il ricorso

L'atto introduttivo del procedimento deve rivestire, in relazione alla generale previsione dell'art. 737 c.p.c., la forma del ricorso e deve essere rivolto al Tribunale del luogo dove si trova l'edificio in condominio. La controversia, infatti, resta inquadrata nell'ambito delle liti condominiali che, come previsto dall'art. 23 c.p.c., per competenza territoriale sono affidate al giudice del luogo dove si trovano i beni comuni o la maggior parte di essi. Competenza che sussiste anche nel caso di scioglimento del condominio, purché la domanda sia proposta entro due anni dall'avvenuta divisione.

Per quanto concerne il contenuto del ricorso è stato ritenuto corretto fare riferimento alla disposizione di carattere generale di cui all'art. 125 c.p.c., che disciplina gli elementi tipici di un complesso di atti, tra i quali anche il ricorso, subordinando l'eventuale revoca ad un'espressa statuizione normativa. Da ciò consegue che l'atto deve contenere l'indicazione dell'ufficio giudiziario, del nome delle parti (al riguardo deve ritenersi sufficiente l'indicazione nominativa del o dei ricorrenti e del condominio cui la domanda inerisce, non essendo utile l'elencazione dei singoli condomini), dell'oggetto dell'istanza e dei motivi sui quali la domanda stessa è fondata (Crescenzi, 266).

Designato il relatore a cura del presidente del Tribunale, per applicazione analogica dell'art. 739 c.p.c., il giudice cui è stata affidata la controversia, riferisce, in camera di consiglio, in ordine al ricorso depositato dai soggetti interessati.

La notifica del ricorso e del decreto presidenziale di fissazione dell'udienza deve essere inoltrata solo all'amministratore, dovendosi escludere pacificamente che questa sia trasmessa anche agli altri partecipanti al condominio.

Il ricorso ed il pedissequo decreto di fissazione dell'udienza non devono essere notificati neppure al condominio, non legittimato né attivamente, né passivamente, come ormai chiarito definitivamente dalla giurisprudenza, che ha affermato che in tema di condominio di edifici, nel giudizio promosso da un condomino per la revoca dell'amministratore, interessato e legittimato a contraddire è soltanto l'amministratore e non anche il condominio, che, pertanto, non può intervenire in adesione all'amministratore stesso, né beneficiare della condanna alle spese del condomino o dei condomini ricorrenti (Cass. II, n. 23955/2013; Cass. II, n. 12636/1995).

Deve ancora rilevarsi che, mentre il procedimento per la nomina dell'amministratore è subordinato alla prova di una situazione di oggettiva impossibilità o totale inerzia dell'assemblea a provvedere sulla predetta nomina, nell'ipotesi di domanda di revoca non è configurabile un'analoga pregiudiziale, in quanto detta istanza non deve essere necessariamente preceduta da una sollecitazione di una manifestazione di volontà del'assemblea sui motivi di doglianza del singolo o di più condomini (salva, come visto nei precedenti paragrafi, l'ipotesi di irregolarità fiscali o relative alla mancata apertura ed alla utilizzazione del conto corrente condominiale, per le quali ipotesi è necessaria una preventiva convocazione dell'assemblea per risolvere la questione).

Infatti, in ordine alla domanda di revoca dell'amministratore in via giudiziaria, deve prevalere il rilevo che la gravità e l'urgenza risultano di fatto incompatibili con preventive, ripetute ed inutili convocazioni e discussioni assembleari, poiché, comunque, anche se il parere prevalente dell'assemblea sia contrario alla revoca del legale rappresentante, i soggetti interessati hanno sempre il diritto di adire l'autorità giudiziaria al fine di fare cessare la gestione del condominio da parte dell'amministratore contestato.

L'istanza di revoca giudiziaria dell'amministratore di condominio, promosso da un condomino ai sensi dell'art. 1129 c.c., è improcedibile se non è preceduta dalla convocazione dell'assemblea che deve pronunciarsi su tale revoca. L'assemblea convocata per la nomina del nuovo amministratore non può essere equiparata a quella che deve obbligatoriamente essere convocata per la richiesta di revoca, né la delibera di nomina o conferma dell'amministratore equivale a mancata revoca (App. Torino 5 dicembre 2017).

La decisione è stata oggetto di critica da parte della dottrina (magra) che ha individuato nel provvedimento giurisdizionale una lettura disattenta e superficiale della norma, il cui testo letterale non impone al condomino ricorrente di coinvolgere preventivamente l'assemblea. Contrariamente a quanto sostenuto dai giudici del merito (la Corte d'Appello torinese, infatti, aveva confermato la decisione del primo giudice), infatti, il tenore della norma non lascia spazio a dubbi interpretativi sulla natura facoltativa e non obbligatoria della convocazione dell'assemblea.

La difesa personale

Questione ampiamente discussa concerne la circostanza se nel procedimento di revoca dell'amministratore sia necessario il patrocinio di un difensore.

La risposta, concordemente negativa fornita dalla giurisprudenza di merito e di legittimità, trova il suo fondamento in un elemento decisivo, quale la natura del procedimento in questione, inquadrabile nella c.d. volontaria giurisdizione che, essendo strumentale alla corretta gestione del bene comune (Cass. II, n. 4706/2001), rende l'intervento del giudice di carattere amministrativo e, in ogni caso, privo dei caratteri tipici della decisione e tali da produrre effetti di giudicato sulle contrastanti posizioni soggettive (Cass. II, n. 18730/2005). Ed ancora prima erano state le Sezioni Unite della Cassazione a dettare il medesimo principio, affermando che il procedimento in questione è improntato a rapidità, informalità ed officiosità e che il provvedimento conseguente è diretto, da un lato, alla gestione di interessi plurimi, rivestendo un carattere eccezionale ed urgente, sostitutivo della volontà assembleare, senza però rivestire alcuna attitudine di decisorietà e, dall'altro, alla conseguente stabilità propria dei provvedimenti volti alla tutela di diritti o status, destinati perciò, come tali, ad acquisire valenza di giudicato formale e sostanziale (Cass.S.U.,n. 20957/2004).

Nell'affermare la piena ammissibilità del ricorso per la revoca dell'amministratore, anche se presentato senza l'assistenza del difensore, già in passato, era stato osservato che nei procedimenti di volontaria giurisdizione è obbligatorio il patrocinio di un procuratore solo quando ci si trovi in presenza di un procedimento di natura contenziosa, che involge la cognizione di controversie su diritti soggettivi e status (Trib. Napoli 21 novembre 2007).

Per parte della dottrina, ai fini di una corretta impostazione della questione in generale, occorre prendere le mosse dall'art. 82 c.p.c., secondo il quale le parti non possono stare in giudizio senon con il ministero o con l'assistenza di un difensore, con l'eccezione delle controversie pendenti dinanzi al giudice di pace, per le quali è ammessa la difesa personale quando il valore del giudizio non eccede € 516,46, ovvero dei casi in cui vi sia un'espressa autorizzazione del predetto giudice onorario in considerazione della natura e dell'entità della causa. Detto questo, il passo successivo è quello di vedere se il predetto art. 82 si applica a tutti i procedimenti che si svolgono dinanzi ad un magistrato, oppure se la norma trova applicazione soltanto nell'ambito del modello tipico del giudizio contenzioso, rimanendovi esclusi i procedimenti in camera di consiglio regolati più specificatamente dal capo VI del titolo II del libro IV del codice di procedura civile (Celeste, 37).

Di recente è stata ancora la Suprema Corte a ribadire il principio per cui nel giudizio di revoca dell'amministratore di condominio non è richiesto il patrocinio di un difensore legalmente esercente, ex art. 82, comma 3, c.p.c., trattandosi di un procedimento camerale plurilaterale tipico, che culmina in un provvedimento privo di efficacia decisoria, siccome non incidente su situazioni sostanziali di diritti o status. La conseguenza diretta di tale affermazione è il fatto che il condomino, che agisca per la revoca ove si difenda personalmente e non rivesta anche la qualità di avvocato può richiedere, indicandole in apposita nota, unicamente il rimborso delle spese vive concretamente sopportate e non anche la liquidazione del compenso professionale, che spetta solo al difensore legalmente esercente (Cass. II, n. 15706/2017).

Malgrado ciò si ritiene sia consigliabile che chi agisce in giudizio per chiedere la revoca dell'amministratore dall'incarico ricorra sempre all'assistenza di un legale di fiducia, soprattutto qualora oggetto del giudizio siano ipotesi di gravi irregolarità non contemplate dall'art. 1129, comma 12, c.c. e che potrebbero richiedere un'istruzione del giudizio più complessa rispetto a quella necessaria per accertare comportamenti già precisati e codificati.

L'espressione usata dal legislatore «stare in giudizio», nel passato, era stata variamente interpretata dalla dottrina. Secondo una parte di essa il termine si riferisce alla sola giurisdizione contenziosa (Costa, 674), per altri autori, invece, la predetta espressione riguarda anche la volontaria giurisdizione (salvo che per essa si configurino disposizioni particolari incompatibili con la disciplina generale relativa al processo contenzioso), talchè anche per i procedimenti di volontaria giurisdizione sarebbe di regola necessaria la rappresentanza legale (Mandrioli, 679; Jannuzzi, 718).

Con riferimento a tale specifico profilo. Il Supremo Collegio ha nuovamente escluso l'esigenza del conferimento della procura ad un difensore, sottolineando che la norma dell'art. 82 c.p.c. si riferisce ad un «giudizio», nel quale sta un soggetto, quale «parte di esso», mentre, nella tipica volontaria giurisdizione, non si tratta di un giudizio, non vi è una parte in senso tecnico, semplicemente «c'è un cittadino che chiede un provvedimento a contenuto schiettamente amministrativo, solo soggettivamente giudiziario, nel senso che, per le ragioni più diverse, il legislatore ha scelto di attribuire la decisione ad un giudice anziché, come sarebbe logico, ad un'autorità amministrativa (Cass. II, n. 5814/1987). Prima, si era mostrato dubbioso altro indirizzo giurisprudenziale, che aveva definito «discutibile», nelle sedi di merito, la necessità della rappresentanza di un procuratore legale, dove però la soluzione negativa aveva trovato conforto nell'art 82 citato che, con l'espressione «stare in giudizio», avrebbe dimostrato di volersi riferire ad un «procedimento a parti contrapposte (Cass. II, n. 1130/1965).

In questo senso è stato evidenziato che, date le caratteristiche tipiche del procedimento camerale da applicarsi, quale quello svolto in materia condominiale, lo stesso costituisce uno strumento assai più snello rispetto a quello fornito ai giudici del contenzioso e, soprattutto, più facilmente utilizzabile proprio da soggetti non professionalmente preparati al gioco del processo, in ordine alla possibilità di ricorrere personalmente per la revoca dell'amministratore (Celeste, 37; Terzago, 356).

L'istruttoria

Quanto alla fase istruttoria del giudizio va, anzitutto, rilevato che l'ultimo comma dell'art. 738 c.p.c., prevede la possibilità di una fase, a carattere discrezionale, nella quale il giudice designato quale relatore a norma del comma 1, possa «assumere informazioni». Il legislatore, con questa espressione ha voluto attribuire al giudice un potere di indagine sull'esistenza in concreto dei presupposti indicati nel ricorso. Tale potere prescinde dall'impulso di parte, derogando al principio della disponibilità dei mezzi di prova (caratteristico del giudizio contenzioso).

Il carattere eventuale («il giudice può») dell'acquisizione delle informazioni va ricollegato alla possibilità, per l'interprete, di decidere la controversia sulla base della sola documentazione prodotta da parte ricorrente (ad esempio: attraverso la produzione dei verbali assembleari ovvero dalla documentazione condominiale oppure anche da atti pubblici e privati, che dimostrino chiaramente le irregolarità commesse dal legale rappresentante dell'edificio da lui gestito).

Prima dell'entrata in vigore della riforma, inoltre, era solo consentito al magistrato competente di disporre l'audizione del ricorrente e/o dell'amministratore, in presenza di elementi di incertezza. Dopo la novella del 2012, invece, la legge prevede, come già in precedenza visto, che l'amministratore sia sentito in contraddittorio con il ricorrente (art. 64, comma 1, disp. att. c.c.). Pur non costituendo necessariamente la mancata presenza di una delle parti (o di entrambi i contendenti) all'udienza allo scopo fissata dall'autorità giudiziaria, un elemento determinante per la decisione, certamente può ritenersi che l'omessa presenza di una o di ambedue le parti in detta udienza possa avere una notevole influenza sulle determinazioni del giudicante.

L'obbligo per il Collegio investito della controversia, di sentire l'amministratore convenuto in contraddittorio con la parte ricorrente rappresenta una delle novità rilevanti della riforma del condominio.

Come osservato in dottrina l'espressione usata dal legislatore «sentito l'amministratore in contraddittorio con il ricorrente» non può essere intesa nel senso letterale ovvero che questi debba necessariamente essere udito oppure interrogato sulle circostanze addotte nel ricorso per la sua revoca, ma semplicemente che il procedimento debba svolgersi «in contraddittorio» con l'amministratore, al fine di consentirgli un'idonea difesa (Nasini, 707).

Per quanto riguarda l'ipotesi di un amministratore dimissionario nel corso del giudizio relativo alla sua revoca, permane, comunque, in capo al ricorrente un interesse sostanziale ad ottenere ugualmente una pronuncia che investa il merito della pretesa azionata, poiché l'art. 1129, comma 13, c.c., prevede espressamente che, in caso di revoca l'assemblea non possa nuovamente nominare l'amministratore che sia stato revocato (Trib.Milano 2 dicembre 2016).

Non è da escludere che anche in questo tipo di procedimento si possano rendere necessari accertamenti, anche di carattere tecnico, finalizzati a dimostrare l'effettiva gravità di una o più irregolarità denunciate dal ricorrente rendendo l'istruttoria più complessa, con una evidente ricaduta sulla conseguente condanna al pagamento delle spese processuali.

Per quanto concerne, poi, l'individuazione del soggetto al quale debba fare carico l'onere della prova si ritiene che la parte ricorrente debba solo dimostrare la fonte del suo diritto a conseguire dall'amministratore l'adempimento all'obbligo di gestione quale mandatario del condominio, limitandosi, quindi, ad allegare l'inadempimento effettuato da quest'ultimo, mentre il legale rappresentante del condominio, convenuto per la sua revoca, dovrà provare, per essere assolto dall'istanza di revoca presentata dal ricorrente, la possibile giustificazione del suo affermato e presunto inadempimento.

In argomento si richiama una importante e chiarificatrice decisione di merito, ove si afferma che strutturandosi il procedimento di revoca dell'amministratore condominiale, su istanza di uno o di alcuni soltanto dei condomini, ai sensi dell'art. 1129, comma 3, c.c., come un giudizio di risoluzione anticipata e definitiva del rapporto di mandato esistente tra tutti i condomini e l'amministratore, trova applicazione, in tema di prova, il principio generale operante in materia di inadempimento di un'obbligazione, sicché il condomino, che agisca per la risoluzione del mandato intercorrente con l'amministratore, deve solo provare la fonte del suo diritto a conseguire dall'amministratore l'adempimento dell'obbligo gestorio, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell'inadempimento della controparte, mentre l'amministratore convenuto rimane gravato dell'onere della prova del fatto estintivo della pretesa di revoca, costituito dall'avvenuto adempimento ai suoi obblighi di gestione (Trib. Salerno 12 aprile 2011).

Il provvedimento giudiziale

Come per la richiesta della nomina dell'amministratore giudiziario, anche nel caso di istanza della sua revoca, disciplinato espressamente dall'art. 64 disp. att. c.c., il Tribunale provvede in camera di consiglio, in composizione collegiale, sentito l'amministratore in contraddittorio con il ricorrente.

I procedimenti camerali, infatti, sono disciplinati dall'art. 50-bis, comma 2, c.p.c. con riferimenti a quelli di cui agli artt. 737 ss. c.p.c. (Cass. S.U., n. 12609/2012).

Tutto ciò, naturalmente, fino a quando diventerà operativa la legge-delega n. 57/2016 la quale, stabilendo fra gli altri il principio che dovrà essere affidato alla competenza del giudice di pace il contenzioso concernente il condominio («le cause e i procedimenti di volontaria giurisdizione in materia di condominio degli edifici»), farà venire meno ogni ipotesi di collegialità (Lazzaro-Di Marzio-Petrolati, 366).

Il procedimento si conclude, quindi, con la pronuncia di un provvedimento di accoglimento o di rigetto dell'istanza presentata dalla parte ricorrente, redatto in forma di decreto motivato (art. 737 c.p.c.), datato e sottoscritto dal presidente del collegio giudicante (art. 135, ultimo comma, c.p.c.).

Il provvedimento riveste un carattere meramente contenzioso e, quindi, differente rispetto a quello emesso dal Tribunale in sede di nomina, ed è reclamabile, come si vedrà, dinanzi alla Corte d'Appello da proporsi con un ricorso da depositare entro dieci giorni dalla sua notifica, ovvero dalla comunicazione del decreto medesimo.

È ormai pacifico che il decreto del Tribunale riveste natura di provvedimento di volontaria giurisdizione, sostitutivo, in caso di accoglimento della domanda, della volontà assembleare, e finalizzato a soddisfare l'esigenza di assicurare una rapida ed efficace tutela dell'interesse ad una corretta gestione dell'amministrazione condominiale in ipotesi tipiche (di cui all'art. 1129, comma 12, c.c.) ovvero anche in ipotesi non direttamente tipizzate, ma sempre tali da compromettere la gestione medesima ed il rapporto fiduciario esistente tra l'amministratore e il condominio.

Le spese legali vanno, di norma, poste a carico del ricorrente (anche alla luce del nuovo regime introdotto dalla riforma) ma, in caso di accoglimento del ricorso, il ricorrente avrà diritto di rivalersi nei confronti del condominio, il quale, sempre in regresso, potrà rivolgersi per il rimborso all'amministratore revocato.

In ordine al momento di efficacia della revoca giudiziale va rilevato che il provvedimento camerale di revoca dell'amministratore del condominio ha efficacia, ex art. 741 c.p.c., dalla data dell'inutile spirare del termine per il reclamo avverso di esso, sicché gli atti compiuti dall'amministratore anteriormente al momento della revoca conservano la loro efficacia (sempre che non siano viziati da alcuna automatica invalidità), continuando a produrre effetti e ad essere giuridicamente vincolanti nei confronti del condominio (Cass. II, n. 454/2017; Cass. II, n. 666/1990).

È stata così esclusa ogni retroattività degli effetti del decreto di revoca emesso dal Tribunale al momento della proposizione della domanda avanzata nel ricorso da parte del singolo o di più condomini.

Inoltre, va sottolineato che il secondo comma dello stesso art. 741 c.p.c. attribuisce al giudice la facoltà di disporre che il decreto abbia immediata efficacia, qualora sussistano motivi di urgenza. Il decreto, in ogni caso, non può mai acquistare autorità di cosa giudicata, dal momento che i condomini possono sempre ricorrere al giudice per chiedere l'emissione di un nuovo provvedimento difforme da quello di rigetto in precedenza pronunciato.

Il provvedimento esaminato, pur non avendo un carattere decisorio, come detto, non preclude in ogni caso, la richiesta di tutela giurisdizionale piena, in un ordinario giudizio contenzioso, del diritto su cui il provvedimento incide. Tale tutela per l'amministratore revocato non potrà essere in forma specifica, ma soltanto risarcitoria o per l'equivalente, non esistendo un diritto dell'amministratore alla stabilità dell'incarico, attesa la sua revocabilità in ogni tempo, in base all'art. 1129, comma 11, c.c. (Lazzaro, 367).

Con la riforma l'assemblea non può più nominare l'amministratore revocato definitivamente, come disposto dal modificato art. 1129, comma 13, c.c. Può ritenersi, invece, che nel corso del procedimento (e, in ogni caso, prima che sia trascorso il termine di dieci giorni per presentare il reclamo avverso il decreto emesso dalla Corte d'appello nel caso di provvedimento di accoglimento dell'istanza di revoca), l'assemblea ha il potere di nominare nuovamente lo stesso amministratore. In tale ipotesi il giudice dovrà dichiarare cessata la materia del contendere tra le parti, anche se i ricorrenti o, comunque, altri condomini dissenzienti, potranno proporre una nuova istanza di revoca, sempre che ne sussistano i presupposti.

Si è posto, in concreto, il problema se, una volta accolta la richiesta di revoca dell'amministratore lo stesso giudice sia competente anche per la nomina di un sostituto del rappresentante e, quindi, se possa, su richiesta della parte ricorrente, procedere contemporaneamente e nel medesimo provvedimento, anche a questa seconda statuizione.

Non si ritiene che ciò sia possibile, anche se in effetti la revoca giudiziaria dell'amministratore produce in seno al condominio un vuoto gestionale. Vuoto che, tuttavia, deve sempre e comunque essere colmato dall'assemblea che resta, in ogni caso, l'organo preposto dalla legge alla nomina del rappresentante legale del condominio.

I condomini, pertanto, a revoca avvenuta, si debbono attivare per procedere alla nomina del nuovo amministratore e solo qualora si verifichino le circostanze per le quali l'assemblea non sia in grado di deliberare (per i motivi già esaminati in precedenza), si potrà nuovamente ricorrere all'autorità giudiziaria, domandando un suo intervento sostitutivo della volontà assembleare, ai sensi dell'art. 1129, comma 1, c.c. (Redivo, 1097).

Il reclamo avanti alla Corte d'Appello

Il comma 2 dell'art. 64 disp. att. c.c. prevede la possibilità di reclamo avverso il decreto emesso in tema di revoca dal Tribunale nel termine di decadenza di dieci giorni dalla notifica o dalla comunicazione (quest'ultima stabilita dalla legge di riforma) del provvedimento emesso sulla revoca dall'autorità giudiziaria.

Non è chiaro se la norma in questione abbia riprodotto, sia pure sinteticamente, il disposto di cui all'art. 739 c.p.c., ove, al secondo comma, si distingue, ai fini della scadenza dei termini per la presentazione del reclamo, tra provvedimenti dati nei confronti di una sola parte (nel qual caso il termine perentorio decorre dalla comunicazione del decreto) ovvero di più parti (nel qual caso la decorrenza scatta dal momento della notifica). Si potrebbe ritenere che avendo il legislatore equiparato i termini «notificazione» e «comunicazione» ciò sia dovuto al solo fatto dell'entrata in vigore del processo telematico. Ciò significherebbe che ove il destinatario non fosse dotato di Pec, formalmente comunicata nell'atto (anche se privato dotato di tale indirizzo di posta certificata), la data di scadenza per la presentazione del reclamo dovrebbe decorrere dalla notificazione del provvedimento di revoca.

Ad avviso della Corte di cassazione la norma deroga espressamente alla regola generale posta dell'art. 739, comma 2, c.p.c. equiparando, ai fini della decorrenza del termine di dieci giorni per il reclamo, la notificazione di esso alla sua

comunicazione eseguita a cura della cancelleria. Si tratta di scelta discrezionale del legislatore, ragionevolmente in linea con la natura celere del procedimento di revoca dell'amministratore, né lesiva del diritto di difesa, in quanto il detto termine decorre dalla piena conoscenza dell'ordinanza, che si ha con la comunicazione predetta ovvero con la notificazione ad istanza di parte (Cass.VI, n. 19859/2020).

È stato, per altro verso rilevato che la riforma ha derogato espressamente alla regola generale posta dall'art. 739, comma 2, c.p.c. equiparando, ai fini della decorrenza del termine di dieci giorni per il reclamo, la notificazione di esso alla sua comunicazione eseguita a cura della cancelleria. Si è così sostenuto che sebbene la comunicazione, anche se eseguita tramite la notifica del relativo atto, sia strumento finalizzato ad informare la parte dell'esistenza e del contenuto di uno specifico provvedimento giudiziario, dando la certezza sulla data della sua conoscenza, la notificazione assolve, piuttosto, alla unzione, tipica ed essenziale, di portare, su istanza della parte interessata, l'atto nella sua interezza a conoscenza di destinatari predeterminati (Scarpa, 112).

Decorso il termine dei dieci giorni di cui sopra senza che sia stato proposto reclamo, il decreto acquista efficacia definitiva, ai sensi dell'art. 741 c.p.c.

In tal senso si è espressa anche la costante giurisprudenza di legittimità, che ha logicamente esclusa – data la diversità per natura, funzione e contenuto del provvedimento di volontaria giurisdizione in esame rispetto alla sentenza – una retroattività del decreto risalente al momento dell'istanza di revoca (Cass. II, n. 454/2017; Cass. II, n. 666/1990).

L'impugnazione in Cassazione: inammissibilità e improcedibilità

Sulla questione vi è sempre stato un forte contrasto giurisprudenziale che ha visto, per anni, contrapposti due orientamenti di pari spessore sull'ammissibilità del ricorso per Cassazione ex art. 111 Cost., avverso il decreto con il quale la Corte d'appello, a sua volta, abbia provveduto in sede di reclamo avverso il decreto del tribunale in tema di revoca dell'amministratore del condominio.

Secondo un prevalente orientamento il ricorso straordinario dinanzi alla Suprema Corte era stato dichiarato inammissibile, vertendosi in materia di provvedimento di volontaria giurisdizione, non destinato ad avere effetti sulle posizioni di diritto soggettivo, non potendo passare in giudicato ed essendo sempre modificabile, in senso difforme dal precedente, in seguito alla presentazione di un nuovo ricorso (tra tutte, v. Cass.II, n. 1493/1999; Cass. II, n. 617/1998; Cass. II, n. 2399/1997). Per contro  la Corte si era espressa in senso positivo con numerose altre decisioni, ponendo l'accento sul contenuto sostanzialmente decisorio del provvedimento (Cass. II, n. 8837/1999; Cass. II, n. 3246/1998; Cass. II, n. 4620/1996).

La disputa giurisprudenziale si è composta per effetto di decisione delle Sezioni unite della Cassazione(Cass. S. U., n. 20957/2004), che hanno deciso per l'inammissibilità del ricorso in oggetto ed accogliendo il prevalente orientamento negativo. Peraltro, la Corte con tale decisione poneva le basi per quello che sarebbe stata, poi, con la riforma del 2012, la nuova disciplina in ordine alla condanna delle spese processuali, espressamente prevista dall'art. 1129, comma 11, c.c.

La Suprema Corte, si è uniformata a tale principio ed ha confermato l'inammissibilità del ricorso per cassazione, ai sensi dell'art. 111 Cost., avverso il noto decreto della Corte d'Appello in tema di revoca dell'amministratore condominiale previsto dagli artt. 1129 c.c. e 64 disp. att. c.c., trattandosi di provvedimento di volontaria giurisdizione e ne ha ribadita l'ammissibilità  solo avverso la statuizione relativa alla  condanna al pagamento delle spese del procedimento, concernendo posizioni giuridiche soggettive di debito e credito discendenti da un rapporto obbligatorio autonomo (Giur. costante. Ex multis: Cass. VI-2, n. 5451/2022; Cass. VI-2, n. 2208/2022; Cass. II, n. 1799/2022 ed  altre).

E' parimenti del tutto conforme all'orientamento interpretativo della Corte, consolidatosi sulla base del principio enunciato dalle Sezioni Unite della stessa Cassazione, la conclusione che il procedimento diretto alla revoca dell'amministratore di condominio soggiace al regolamento delle spese ex art. 91 c.p.c.L'art. 91 c.p.c., secondo cui il giudice con la sentenza che chiude il processo davanti a sé dispone la condanna alle spese giudiziali, intende riferirsi, infatti, a qualsiasi provvedimento che, nel risolvere contrapposte pretese, definisce il procedimento, e ciò indipendentemente dalla natura e dal rito del procedimento medesimo.  Pertanto, la norma trova applicazione anche nei provvedimenti di natura camerale e non contenziosa, come quelli in materia di revoca dell'amministratore di condominio, sicché, mentre la decisione nel merito del ricorso di cui all'art. 1129, comma 11, c.c. non è ricorribile in cassazione, la consequenziale statuizione relativa alle spese, in quanto dotata dei caratteri della definitività e della decisorietà, è impugnabile ai sensi dell'art. 111 Cost. (Cass. II, n. 3198/2023. Cfr. Cass. VI, n. 15076/2017; Cass. VI, n. 9348/2017).

Non sono, pertanto, ammissibili  censure proposte sotto forma di vizi in iudicando  o in procedendo, dirette a rimettere in discussione la sussistenza, o meno, delle gravi irregolarità ex art. 1129, comma 12, c.c., ovvero la valutazione dei presupposti legittimanti la statuizione di cessazione della materia del contendere, o, ancora, l'omesso esame di elementi istruttori che avrebbero diversamente potuto determinare il giudice del merito nella declaratoria della soccombenza virtuale  (Cass. VI, n. 24929/2019 Cass. VI, n. 7623/2019).

Con ulteriore decisione di legittimità, peraltro, era stato precisato che in tema di amministrazione della cosa comune, il decreto emesso ai sensi dell'art. 1105, comma 4, c.c. ha natura di provvedimento di volontaria giurisdizione che, essendo suscettibile di revoca e modifica ex art. 742 c.p.c., è privo del carattere di definitività e, quindi, non è impugnabile ai sensi dell'art. 111 Cost., a meno che il provvedimento, travalicando i limiti previsti per la sua emanazione, abbia risolto, in sede di volontaria giurisdizione una controversia su diritti soggettivi (Cass. II, n. 4616/2012). 

La revoca giudiziaria, infatti, non preclude la richiesta di tutela giurisdizionale piena, in un ordinario giudizio di cognizione, del diritto su cui il provvedimento incide (Cass. II. n. 3198/2023).

Sempre in tema di inammissibilità del ricorso per cassazione, ma al momento dell'introduzione del ricorso per la revoca dell'amministratore condominiale, va posta in rilievo una corretta e condivisibile decisione di merito ove si è affermata l'inammissibilità del ricorso per la revoca giudiziale dell'amministratore condominiale per il quale, malgrado l'incarico sia già scaduto abbia continuato a svolgere le proprie finzioni esclusivamente in regime di  prorogatio : il ricorso in questione, infatti, viola il principio della sovranità dell'assemblea che ha il potere di decidere sulla revoca, sottoponendo la stessa al voto e, quindi, all'effettiva manifestazione di volontà, di tutti gli altri condomini, mentre nell'ipotesi di amministratore condominiale che esercita i suoi poteri ad interim, il singolo condomino ha il potere di chiedere legittimamente all'autorità giudiziaria un provvedimento ai sensi dell'art. 1105 c.c. che disponga la nomina di un nuovo amministratore, previa, ovviamente, la dimostrazione che l'assemblea non abbia provveduto in tal senso (Trib. Teramo 29 giugno 2016).

La revoca giudiziaria dell'amministratore e la mediazione obbligatoria

L'art. 71-quater disp. att. c.c., introdotto nella disciplina condominiale dalla l. n. 220 del 2012 – al cui commento si rinvia – contiene alcune disposizioni che hanno dettato le linee per il procedimento di mediazione obbligatoria in tale ambito.

Per quanto qui di interesse va esaminata la questione se il conflitto che si può determinare tra il condominio e l'amministratore, a causa del suo illegittimo e grave comportamento nei confronti dell'ente dal medesimo gestito, sia da considerare controversia condominiale e, in caso positivo, se si debba applicare anche al procedimento previsto dall'art. 64 la preventiva mediazione obbligatoria.

Secondo la dottrina, tra le controversie condominiali sono comprese quelle insorte tra il condominio e l'amministratore (c.d. interne, a differenza di quelle che interessano l'ente ed i terzi, classificate come «esterne»). Ai fini dell'applicabilità delle norme in materia di mediazione ciò che conta, al di là dei soggetti coinvolti, è il fatto che la discussione verta sulle norme in tema di condominio previste dal codice civile e dalle disposizioni di attuazione del codice civile (Nicola, 593; Scalettaris, 260).

La questione concernente la revoca giudiziaria dell'amministratore merita un particolare approfondimento, determinato dalla natura di volontaria giurisdizione del relativo procedimento che, per espressa disposizione normativa (art. 5, comma 4, lett. f, del d.lgs. n. 28/2010 e successive modificazioni), è escluso dalla mediazione obbligatoria in quanto procedimento camerale.

Per il procedimento diretto alla revoca dell'amministratore si dovrebbe fare una distinzione tra il caso in cui lo stesso si svolga – come ovviamente è consentito – nelle forme del giudizio ordinario ed il caso in cui si ricorra al procedimento di cui all'art. 64 disp. att. c.c. Solo per quest'ultimo si deve ritenere che – alla luce della normativa richiamata – non sia richiesta la mediazione a pena di improcedibilità (Scalettaris, 260). Tale esclusione dipenderebbe non dal tipo di procedimento adottato ma dal fatto che in questo caso l'amministratore è convenuto in giudizio personalmente e non quale rappresentante del condominio (Ravenna, 633).

Recente giurisprudenza è intervenuta incidentalmente sulla questione in oggetto. La Suprema Corte, infatti, in ordine ad una nuova fattispecie ha affermato (riportandosi al precedente e consolidato orientamento di carattere generale) che il decreto con il quale la Corte d'appello, in sede di reclamo su di un provvedimento di revoca dell'amministratore del condominio, dichiari improcedibile la domanda per il mancato esperimento del procedimento di mediazione ex art. 5 del d.lgs. 4 marzo 2010, n. 28, non costituisce sentenza ai fini ed agli effetti di cui all'art. 111, comma 7, Cost., essendo sprovvisto dei richiesti caratteri della definitività e decisorietà, in quanto non contiene alcun giudizio in merito sui fatti controversi, non pregiudica il diritto del condominio ad una corretta gestione dell'amministrazione condominiale, né il diritto dell'amministratore allo svolgimento del suo incarico: trattasi, dunque, di provvedimento non suscettibile di acquisire forza di giudicato, che non può, pertanto, costituire autonomo oggetto di impugnazione (Cass. II, n. 1237/2018: nella fattispecie, la mancata presenza della ricorrente nell'incontro davanti al mediatore equivaleva a mancato avveramento della condizione di procedibilità).

La stessa Corte, poi, ha ritenuto inammissibile la censura che la parte ricorrente aveva rivolto al decreto impugnato, sotto forma di vizio «in procedendo», diretta a sindacare la decisione sulla questione della soggezione del giudizio di revoca dell'amministratore di condominio al procedimento di mediazione ai sensi del d.lgs. n. 28/2010. Invero – ha proseguito il giudicante – pur essendo pacifica l'applicazione alle controversie in materia condominiale (come disposto dall'art. 71-quater disp. att. c.c.) dell'istituto della mediazione di cui all'art. 5, comma 1, del d.lgs. n. 28/2010, anche in rapporto all'art. 64 disp. att. c.c., deve considerarsi che tale norma, senza possibilità di equivoci, dispone che il meccanismo della condizione di procedibilità non si applica ai procedimenti in camera di consiglio, essendo proprio il giudizio di revoca dell'amministratore condominiale un procedimento camerale plurilaterale tipico (per il merito App. Palermo 31 luglio 2018),

Inoltre, va considerato che questo procedimento riveste un carattere eccezionale ed urgente (oltre che sostitutivo della volontà assembleare); è ispirato dall'esigenza di assicurare una valida ed efficace tutela ad una corretta gestione dell'amministrazione condominiale (a fronte del pericolo di grave danno derivante da determinate condotte dell'amministratore), per cui deve essere improntato a celerità, informalità ed ufficiosità, ma, in ogni caso, non riveste alcuna efficacia decisoria e lascia salva al mandatario revocato la facoltà di chiedere la tutela giurisdizionale del diritto provvisoriamente inciso, facendo valere le sue ragioni attraverso un processo cognizione piena (che, tuttavia, non può porsi come un riesame del decreto).

La Corte, peraltro, aveva respinto anche il secondo motivo di ricorso, con il quale si era sostenuto che il procedimento per la revoca dell'amministratore del condominio non soggiace alla mediazione obbligatoria, in quanto la giurisprudenza, anche a sezioni unite, aveva costantemente affermato che detto procedimento è un procedimento di volontaria giurisdizione e non produce una sentenza, per cui, a prescindere dal profilo della motivazione dei giudici del merito sulla procedibilità, certamente non è impugnabile in cassazione poiché, come visto, sprovvisto dei caratteri della definitività e della decisorietà (in questo senso si veda anche App. Napoli 22 aprile 2024, n. 1156).

Nel merito va anche segnalata una precedente decisione che va nel  senso opposto e con la quale si afferma che il procedimento di mediazione deve essere esperito prima di avviare l'azione giudiziale per la revoca dell'amministratore di condominio giacché la controversia, in base al combinato disposto dagli artt. 71-quater e 64 disp. att. c.c., rientra tra quelle soggette a detto obbligo ai sensi del d.lgs. n. 28/2010 (Trib. Vasto 4 maggio 2017).

La decisione è stata oggetto di critica, essendo stato affermato che aderendo alla decisione del Tribunale di Vasto e portando alle estreme conseguenze la regola della prevalenza della lex specialis (art. 71-quater disp att. c.c.), dovrebbe concludersi che anche il procedimento camerale finalizzato alla nomina (giudiziale) dell'amministratore di condominio dovrebbe essere sottoposto al preventivo obbligatorio esperimento della mediazione (nardone).

Le spese

La questione inerente l'ammissibilità di una condanna alle spese processuali nel caso di revoca giudiziaria dell'amministratore condominiale è stata per lungo tempo oggetto di contrasto tra gli interpreti.

A fronte della dottrina prevalente, che si era espressa nel senso dell'esclusione di tale pronuncia (trattandosi di procedimento di volontaria giurisdizione), la giurisprudenza si era pronunciata in modo non univoco, attribuendo parte di essa un particolare rilievo alla natura contenziosa del tipo di giudizio, seppure rientrante pacificamente nell'ambito della giurisdizione volontaria.

La Suprema Corte, infatti (chiamata a decidere in materia di ricorso avverso il provvedimento di condanna del ricorrente alle spese, pronunciato dalla Corte d'Appello unitamente alla conferma del decreto di rigetto del Tribunale dell'istanza di revoca dell'amministratore di un condominio), in un primo momento aveva affermato che il provvedimento  contenente il regolamento delle spese processuali, emesso in sede di volontaria giurisdizione e sull'erroneo presupposto della sussistenza di una controversia su diritti, era stato considerato ricorribile per cassazione ai sensi dell'art. 111 Cost. (Cass. II, n. 3246/1998).

In epoca successiva, veniva dichiarato che il procedimento di nomina o di revoca dell'amministratore di condominio anche quando si inserisce in una situazione di conflitto tra i condomini o tra alcuni condomini e l'amministratore ha natura di procedimento di volontaria giurisdizione e, pertanto, si sottrae all'applicabilità delle regole dettate dagli artt. 91 ss. c.p.c. in materia di spese processuali, le quali postulano l'identificabilità di una parte vittoriosa e di una parte soccombente in esito alla definizione di un conflitto di tipo contenzioso. Ne consegue che le spese relative al procedimento in oggetto devono  rimanere a carico del soggetto che le abbia anticipate assumendo l'iniziativa giudiziaria e interloquendo nel procedimento (Cass. II, n. 4706/2001).

Riguardo, poi, al concetto di soccombenza che figura nell'art. 91 c.p.c., occorre identificarlo nella situazione di chi è tenuto a subire le conseguenze dell'azione (di revoca), e cioè di colui che l'abbia esercitata (il condomino istante) e non l'abbia vista accogliere, oppure di colui (l'amministratore) nei confronti del quale è stata esercitata e, nonostante abbia contraddetto sulla stessa, l'abbia vista accolta. Del resto, è la stessa legge (art. 64, comma 1, disp. att. c.c.) che prevede il contraddittorio, sia pure da svolgersi nella cornice modesta del rito camerale. Si conferma, quindi, la sussistenza di una vera e propria  controversia di natura contenziosa, che però trova la sua trattazione in via eccezionale in  sede camerale per espressa previsione di legge, in considerazione del prevalente interesse del condominio ad una trattazione abbreviata e di rapida soluzione. Né osta che il conseguente provvedimento sia suscettibile di revoca o di modifica (per motivi sopravvenuti o per motivi già prospettati) e non dia luogo ad un giudicato, giacché quel che rileva è che, divenuta irrevocabile la destituzione, la revoca ha senz'altro efficacia costitutiva di risoluzione del rapporto di incarico, e con il relativo procedimento si attua in via definitiva la regolamentazione di posizioni di diritto soggettivo.

Ragionando diversamente, si costringerebbe la parte vittoriosa, condomino o amministratore, ad esperire, in separata sede, un autonomo giudizio per far riconoscere la sua pretesa risarcitoria – in pratica, il rimborso delle spese sostenute per la propria difesa – ai sensi dell'art. 2043 c.c. nei confronti di colui che l'ha ingiustamente provocata.

Quindi, le Sezioni Unite della Cassazione, pur ribadendo che il decreto camerale di  revoca dell'amministratore non è ricorribile ai sensi dell'art. 111 Cost., ha precisato che lo stesso rimane impugnabile in via autonoma per le sole spese processuali (giurisprudenza costante. Da ultimo, Cass. II, n. 28466/2019; Cass. S.U., n. 20957/2004), risultando irrilevante che la liquidazione operata dal giudice del merito acceda ad un provvedimento avente natura, formale e sostanziale, di volontaria giurisdizione che – si ribadisce – non è ricorribile per cassazione (Cass. VI, n. 7623/2019).

Confermando ancora il consolidato orientamento, in tempi più recenti si è ancora affermato che nell'ipotesi di rigetto del ricorso proposto dai singoli partecipanti per la revoca dell'amministratore condominiale, deve ritenersi che nei confronti dei medesimi debba essere emesso provvedimento di condanna al pagamento delle spese processuali, non ammettendo il principio della soccombenza ex art. 91 c.p.c. alcuna distinzione di natura o di rito e dovendo, quindi, applicarsi a tutti i procedimenti, compresi quelli di volontaria giurisdizione, nei quali vi siano posizioni contrapposte (Cass. II, n. 15040/2013; Cass. II, n.14562/2011). Il condomino che chiede ingiustamente la revoca dell'amministratore senza una valida ragione sarà condannato al pagamento dei danni ai sensi dell'art. 96 c.p.c., poiché tale sanzione si applica in tutti i casi in cui l'azione risulti pretestuosa per contrarietà al diritto vivente ed alla giurisprudenza consolidata, ovvero per la manifesta inconsistenza giuridica o la palese e strumentale infondatezza dei motivi di impugnazione (Cass. VI, n. 27326/2019).

Nel giudizio promosso da un condomino per la revoca  dell'amministratore legittimato ed interessato contraddire è solo l'amministratore e non anche il condominio che, pertanto, non può intervenire in adesione all'amministratore, né beneficiare della condanna alle spese del condomino ricorrente (Cass. II, n. 23955/2013).

Il procedimento diretto alla revoca dell'amministratore di condominio soggiace al  regolamento delle spese ex art. 91 c.p.c. – secondo il principio della soccombenza – dovendosi escludere, nella disciplina anteriore all'entrata in vigore della legge di riforma n. 220 del 2012 (art. 1129, comma 11, c.c. a norma del quale, in caso di accoglimento della domanda da parte del Tribunale adìto per la revoca dell'amministratore del condominio, il ricorrente per le spese legali, ha titolo di rivalsa nei confronti del condominio che, a sua volta, può rivalersi nei confronti dell'amministratore revocato) che queste siano ripetibili nel rapporto interno tra il condomino vittorioso che le ha anticipate ed il condominio, nei cui confronti pure si producono gli effetti della decisione, in quanto è nel rapporto processuale tra le parti del giudizio che le spese trovano la loro esclusiva regola di riparto (Cass. II, n. 18487/2014).

La modifica apportata dal legislatore è più che corretta, in quanto il condominio è – come rilevato anche in precedenza – estraneo al procedimento di revoca del suo legale rappresentante, per cui è logico che ogni spesa legale debba essere sostenuta dal condomino ricorrente (o dai condomini ricorrenti) mentre, in caso di revoca del legale rappresentante dell'edificio per gravi irregolarità accertate lo stesso soggetto deve vedersi riconosciuto il diritto di rivalersi per dette spese, ove documentate, nei confronti dell'ente, il quale, a sua volta, avrà il diritto di agire in rivalsa verso l'amministratore revocato.

Sollevato il problema di quali possano essere i riflessi processuali conseguenti all'omessa pronuncia del giudice che non abbia liquidato, d'ufficio, le spese processuali, come previsto dagli artt. 91 e 92 c.p.c., restando indifferente la circostanza in cui la parte vittoriosa abbia o meno fatto espressa domanda, è stato osservato che il problema si pone innanzi tutto in sede di gravame in sede di appello rispetto al decreto di accoglimento o rigetto dell'istanza di revoca.

Il fatto che il giudice del reclamo, confermando la pronuncia sul punto del giudice di prima istanza, non abbia statuito sulle spese del procedimento camerale, legittima il condomino o l'amministratore vittorioso a denunciare tali errores in procedendo in cassazione.

Se, poi, non sia stato proposto il ricorso per cassazione, resta da risolvere l'ulteriore problema circa l'eventuale preclusione di un nuovo giudizio nel quale far valere la predetta pretesa al rimborso delle spese, e ciò anche al di fuori dell'invocazione dell'art. 2043 c.c., ma riportando direttamente l'istanza nell'alveo dell'art. 91 c.p.c.

Al riguardo, in ordine alla causa ordinaria promossa da un condomino per la rifusione delle spese legali del procedimento di revoca dell'amministratore del condominio, una sentenza di merito ha affermato che l'impugnazione in cassazione è l'unico modo per  dolersi di detta omissione, per cui la mancata impugnazione del decreto della corte d'appello aveva fatto maturare la preclusione (Pret. Monza 30 novembre 1990). Infatti, era stato già rilevato che la pronuncia sulle spese del giudizio costituisce capo autonomo della decisione, rispetto al quale l'interesse ad impugnare sorge in modo immediato e diretto dalla pronuncia stessa, non presentando esso alcun collegamento con gli altri punti della decisione. Conseguentemente, la parte che intende dolersi della pronuncia sulle spese, contenute nella sentenza d'appello notificata, deve proporre ricorso per cassazione nel termine perentorio previsto dal comma 2 dell'art. 325 c.p.c. (Cass. II, n. 4829/1982; contra, Cass. II, n. 3521/1981).

Cenni sulla volontaria giurisdizione in materia condominiale

All'istituto del condominio si applica anche il disposto di cui all'art. 1105 c.c., comma 4, c.c., norma concernente la comunione ma pacificamente operativa in sede condominiale giusto il rinvio di cui all'art. 1139 c.c., per effetto della quale se non si prendono i provvedimenti necessari per l'amministrazione della cosa comune o non si forma una maggioranza ovvero se la deliberazione non viene eseguita, ciascun partecipante può ricorrere all'autorità giudiziaria. In questo caso il Tribunale adito dovrà provvedere in camera di consiglio ex art. 737 c.p.c., potendo anche, se del caso, nominare un amministratore.

La caratteristica della volontaria giurisdizione in materia condominiale va ravvisata nel fatto che l'autorità giudiziaria può, in linea di principio, essere direttamente adita dai singoli condomini (anche senza avvocato) ovvero, in taluni casi, anche dallo stesso amministratore, nell'ipotesi di richiesta di nomina del suo successore, ove dimissionario o revocato (naturalmente qualora l'assemblea non vi provveda) oppure ancora nell'ipotesi di comprovata inerzia o di impossibilità di funzionamento dell'ente condominiale, onde ottenerne un provvedimento che consenta di superare e risolvere il problema.

Da ciò deve dedursi che il Tribunale non ha alcun potere di intervenire nel merito della gestione condominiale, poiché l'azione giudiziale ha una funzione di mera supplenza, esplicabile quando l'ente rimanga bloccato per dimostrata inerzia o impossibilità di operare (ad esempio nelle ipotesi in cui l'amministratore non esegua le delibere adottate o non provveda all'ordinaria amministrazione, ovvero l'assemblea, pur convocata allo scopo, non riesca, ad esempio, a deliberare in ipotesi quali la regolamentazione sulla sosta ed il parcheggio delle vetture dei condomini oppure all'approvazione di un regolamento condominiale, quando sia obbligatorio, cioè quando il numero dei condomini sia superiore a dieci, come previsto dalla legge di riforma dell'istituto all'art. 1138 c.c.).

È, pertanto, necessario che i condomini e lo stesso amministratore, prima di rivolgersi all'autorità giudiziaria, convochino l'assemblea condominiale per deliberare sul punto, ai fini di una loro legittimazione all'instaurazione del procedimento in questione.

La giurisprudenza della Suprema Corte si è sempre espressa, ancora in tempi recenti, in conformità dei principi sopra esposti, affermando che i provvedimenti emessi relativamente all'amministrazione della cosa comune, essendo suscettibili di revoca e modifica, ai sensi dell'art. 742 c.p.c. non hanno il carattere di definitività e, quindi, non sono ricorribili nel merito in cassazione, salvo che per le spese, precisando, altresì, che il decreto emesso ex art. 1105, comma 4, c.c. ha natura di provvedimento di volontaria giurisdizione e, come tale, non è impugnabile in cassazione, a meno che, travalicando i limiti previsti per la sua emanazione,, abbia risolto, appunto in sede di volontaria giurisdizione, una controversia su diritti soggettivi (Cass. II, n. 4616/2012; Cass. II, 12881/2005; Cass. II,24140/2004).

È stato, ancora, ritenuto che il singolo condomino non è titolare, nei confronti del condominio, di un diritto di natura sinallagmatica relativo al buon funzionamento degli impianti condominiali (nella specie, dell'impianto elettrico comune), che possa essere esercitato mediante un'azione di condanna della stessa gestione condominiale all'adempimento corretto della relativa prestazione contrattuale, trovando causa l'uso dell'impianto che ciascun partecipante vanta nel rapporto di comproprietà delineato negli artt. 1117 ss. c.c. Da ciò consegue che il condomino non ha azione per richiedere la messa a norma dell'impianto medesimo potendo, al più avanzare, verso il condominio, una pretesa risarcitoria nel caso di colpevole omissione nella sua riparazione o adeguamento, ovvero sperimentare altri strumenti di reazione e di tutela. Quali, ad esempio, l'impugnativa delle deliberazioni assembleari ex art. 1137 c.c., i ricorsi contro i provvedimenti dell'amministratore ex art. 1133 c.c., la domanda di revoca giudiziale dell'amministratore ex art. 1129, comma 11, c.c. o il ricorso all'autorità giudiziaria in caso di inerzia agli effetti dell'art. 1105, comma 4, c.c. (Cass. II, n. 16608/2017).

Il provvedimento con cui l'autorità giudiziaria nomina ex art. 1105, comma 4, c.c. un amministratore della cosa comune, al fine di supplire all'inerzia dei partecipanti alla comunione, ha natura di atto di giurisdizione volontaria, perciò privo di carattere decisorio o definitivo, in quanto revocabile e reclamabile ai sensi degli artt. 739,742 e 742-bis c.p.c. e, di conseguenza non ricorribile per cassazione ex art. 111, comma 7, Cost., salvo che il provvedimento, travalicando i limiti previsti per la sua emanazione, abbia risolto in sede di volontaria giurisdizione, una controversia su diritti soggettivi (Cass. II, n. 15548/2017: nella specie, la Suprema Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso con il quale si lamentava l'irregolare costituzione del contraddittorio nel giudizio di reclamo avanti alla Corte d'Appello, in virtù delle concrete modalità di notifica dell'atto introduttivo di detta fase processuale).

Bibliografia

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