Codice Civile art. 2289 - Liquidazione della quota del socio uscente.Liquidazione della quota del socio uscente. [I]. Nei casi in cui il rapporto sociale si scioglie limitatamente a un socio [2284-2286], questi o i suoi eredi hanno diritto soltanto ad una somma di danaro che rappresenti il valore della quota. [II]. La liquidazione della quota è fatta in base alla situazione patrimoniale della società nel giorno in cui si verifica lo scioglimento. [III]. Se vi sono operazioni in corso, il socio o i suoi eredi partecipano agli utili e alle perdite inerenti alle operazioni medesime. [IV]. Salvo quanto è disposto nell'articolo 2270, il pagamento della quota spettante al socio deve essere fatto entro sei mesi dal giorno in cui si verifica lo scioglimento del rapporto. InquadramentoLa formulazione dell'art. 2289 c.c. pone in evidenza che il socio uscente (e gli eredi di quello defunto) non hanno il diritto di ricevere «in natura» la parte del patrimonio sociale corrispondente ai beni conferiti ma solo quello di avere «una somma di danaro» che rappresenti il valore della propria quota: il diritto alla liquidazione della quota, avendo fin dall'origine ad oggetto una somma di danaro, è pertanto un credito di valuta e, come tale, è soggetto al principio nominalistico sancito dall'art. 1277 c.c. (Cass. I, n. 5732/1999; nello stesso senso Ghisiglieri-Guido, 100): ne consegue che la svalutazione monetaria può assumere rilievo solo in caso di adempimento non tempestivo (vale a dire entro il termine di sei mesi stabilito dall'ultimo comma dell'art. 2289 c.c.), secondo i principî dettati dall'art. 1224 c.c., per i quali il creditore ha l'onere di provare che il tasso di svalutazione annuo sia superiore a quello degli interessi legali e che, pertanto, il maggior danno non sia stato assorbito dalla liquidazione degli interessi (Cass. I, n. 816/2009). La Cassazione ha puntualizzato che detto principio trova applicazione anche nel caso in cui lo scioglimento del rapporto sociale, limitatamente ad un socio, determini il venir meno della pluralità dei soci, rilevando che anche in tale ipotesi, non può riconoscersi un diritto del socio receduto, o degli eredi del socio defunto, a partecipare alla liquidazione della società ed a pretendere una quota di liquidazione, anziché il controvalore in denaro della quota di partecipazione, in quanto lo scioglimento della società costituisce un momento successivo ed eventuale, rispetto allo scioglimento del rapporto sociale limitatamente al socio, e trova causa non tanto nel venir meno della pluralità dei soci, quanto nel persistere per oltre sei mesi della mancanza della pluralità medesima (Cass. I, n. 2812/1976). L'obbligazione relativa alla liquidazione della quota ha quindi in ogni caso natura pecuniaria e, pertanto, la svalutazione monetaria sul credito alla somma calcolata sulla base dell'art. 2289 c.c., assume rilevanza quando, non essendo avvenuto l'adempimento entro il termine di sei mesi previsto dall'ultimo comma del citato art. 2289 c.c., diventino applicabili i principî sul risarcimento del danno conseguente alla mora del debitore (Cass. I, n. 5407/1983). Ha ribadito la Cassazione che l'obbligazione di liquidare la quota al socio uscente, avendo ad oggetto, sin dalla sua origine, una somma di denaro, ha natura di debito non già di valore, bensì di valuta, soggetto, pertanto, al principio nominalistico di cui all'art. 1277 c.c., potendo la svalutazione monetaria assumere rilievo solo in mancanza di tempestivo adempimento (da compiersi entro il termine di sei mesi previsto dall'ultimo comma dell'art. 2289 c.c.), con conseguente applicabilità dei principî sul risarcimento del danno da mora debendi; peraltro, a tal fine, il creditore – pur potendosi presumere secondo l'id quod plerumque accidit, in quanto egli riveste la qualità di imprenditore commerciale, che la somma dovuta, se tempestivamente pagata, sarebbe stata reimpiegata e così sottratta al deprezzamento della moneta – ha l'onere di allegare la circostanza che il tasso di svalutazione annuo fosse superiore ed il maggior danno non sia stato assorbito dalla liquidazione degli interessi; nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva negato il maggior danno, in ragione dell'elevato ammontare del saggio degli interessi legali vigente dal momento della decorrenza del credito, sempre rimasti fra il 10% ed il 2,5% annuo (Cass. I, n. 19132/2009). Il recesso da una società di persone è un atto unilaterale recettizio e, pertanto, la liquidazione della quota non è una condizione sospensiva del medesimo, ma un effetto stabilito dalla legge, con la conseguenza che il socio, una volta comunicato il recesso alla società, perde lostatus sociinonché il diritto agli utili, anche se non ha ancora ottenuto la liquidazione della quota, e non sono a lui opponibili le successive vicende societarie (Cass. I, n. 21036/2017). Sussiste un nesso di pregiudizialità logico-giuridica tra la questione della simulazione dell'atto di cessione della quota e quella della liquidazione della stessa in favore del socio uscente, sicché il giudice, chiamato a decidere sull'eccezione di prescrizione del diritto di quest'ultimo alla liquidazione, deve previamente indagare sull'atto di cessione per verificarne l'eventuale simulazione, il cui accertamento determina la permanenza in capo al cedente dello status di socio e il rigetto della domanda di liquidazione (Cass. I, n. 15624/2016). La domanda di liquidazione della quota di una società di persone, formulata dagli eredi del socio defunto, fa valere un'obbligazione non degli altri soci ma della società medesima quale soggetto passivamente legittimato, potendosi altresì evocare in giudizio anche i soci superstiti, qualora siano solidalmente ed illimitatamente responsabili per le obbligazioni sociali, sebbene non siano litisconsorti necessari (Cass. I, n. 10332/2016). Il diritto, riconosciuto agli eredi del socio di una società di persone dal combinato disposto degli artt. 2284 e 2289, comma 1, c.c., alla liquidazione della quota sociale già in titolarità del de cuius, ha natura analoga al diritto di credito che sarebbe spettato al socio stesso per l'ipotesi di recesso attuato prima della morte, sicché è soggetto alla prescrizione quinquennale ex art. 2949 c.c., applicabile a tutti i diritti derivanti dal rapporto sociale, e non al più lungo termine, decennale, sancito dall'art. 2946 c.c., atteso il carattere speciale della prima di tali disposizioni, la cui ratio è quella di assicurare la certezza della definizione dei rapporti societari (Cass. I, n. 22574/2014). La liquidazione della quota del socio receduto da società irregolare, ai sensi dell'art. 2289 c.c., richiamato dall'art. 2297 comma 1, c.c., consiste nella dazione di una somma di danaro, per la cui esecuzione il debitore è costituito in mora alla data della scadenza del termine entro il quale ne è imposto l'adempimento (sei mesi dal giorno in cui si è verificato lo scioglimento della società), ed il corrispondente credito, risultando da una liquidazione che va compiuta attraverso un mero calcolo aritmetico, deve considerarsi liquido ed esigibile. Ne consegue che alla relativa domanda giudiziale va applicato, ai fini dell'individuazione del giudice territorialmente competente, l'art. 1182, comma 3, c.c., trattandosi di obbligazione da eseguirsi, al pari di quella di pagamento di utili, presso il domicilio del creditore (Cass. I, n. 19150/2012). Diritto alla liquidazione della quota: a) derogabilità alla natura pecuniariaLa disposizione contenuta nel comma 1 del citato art. 2289 c.c. è peraltro derogabile (Cass. I, n. 2812/1976) ed è quindi lecita la convenzione con la quale si stabilisca che il diritto al controvalore in denaro della quota spettante al socio uscente (o agli eredi di quello defunto) sia soddisfattoin naturamediante attribuzione di parte dei beni sociali (Cass. I, n. 896/1973). Un tale accordo, peraltro, comportando il trasferimento al creditore dei beni assegnati, è soggetto ai requisiti di forma di cui all'art. 1350 c.c., ove riguardi beni immobili (Cass. I, n. 2812/1976). Segue: b) beni conferiti in godimentoSecondo la Cassazione, il principio sancito dal comma 1 dell'art. 2289 c.c. non mira ad escludere il diritto del socio recedente alla restituzione del bene, di cui abbia conferito in società soltanto il godimento e l'uso, ma tende unicamente a porre il principio generale che la determinazione della quota spettante al socio uscente sull'attivo sociale non va fatta in natura (Cass. I, n. 2171/1953). In tali decisioni non viene però precisato se il socio uscente (o i suoi eredi) abbiano diritto alla restituzione immediata e incondizionata del bene conferito in godimento o se, al contrario, la società abbia il diritto di continuare ad utilizzarlo per tutta la durata stabilita nel contratto sociale. Né tale chiarimento è stato fornito da Cass. I, n. 5853/1984, con la quale si è precisato che, ove oggetto del conferimento non sia stata la proprietà della cosa conferita, ma solo il godimento della stessa, oggetto della liquidazione – cui ha diritto il socio uscente – non può essere una somma di denaro pari al valore della proprietà del bene – mai entrata nel patrimonio della società – ma una somma che corrisponda all'utilità che la società ricava dall'essere titolare di un diritto di godimento; ovvero con la successiva Cass. I, n. 1027/1993, con la quale i giudici di legittimità si sono limitati a puntualizzare che i beni «non formalmente acquisiti in proprietà» non fanno parte del patrimonio dell'impresa collettiva e che, pertanto, il valore della quota, in tal caso, può essere ragguagliato solo al loro «valore d'uso»: la dottrina prevalente è orientata a ritenere che il socio uscente non possa pretendere la restituzione dei beni conferiti in godimento fin quando dura la società, salvo che non sia stato diversamente pattuito (Campobasso, 216; contra, tuttavia, Menghi, 764). Segue: c) socio d'operaSe il conferimento è di servizi, il socio d'opera ha diritto, in caso di scioglimento parziale del rapporto sociale (nella specie, per recesso), alla liquidazione di una quota proporzionata alla sua partecipazione ai guadagni (Cass. I, n. 5126/1985). Tale socio, infatti, pur non conferendo denaro od altri beni all'atto della costituzione della società, ha diritto, nel caso di scioglimento del rapporto sociale nei suoi confronti, ad una liquidazione della quota rapportata alla maggiore entità del patrimonio sociale rispetto al capitale (art. 2289 c.c.), e la rinuncia a tale quota si traduce in un autonomo negozio, implicante il trapasso in favore degli altri soci dell'ammontare della quota stessa (Cass. I, n. 4909/1986). Segue: d) legittimazione passivaLa Cassazione ha statuito, a sezioni unite, che il diritto alla quota di liquidazione del socio uscente (o degli eredi del socio defunto) ha natura sociale e che, pertanto, la società è passivamente legittimata rispetto alla domanda proposta da tali soggetti per ottenere la liquidazione della quota (Cass.S.U., n. 291/2000), ponendo fine alle incertezze interpretative che si erano determinate su tale specifica questione. Gli stessi principî valgono anche per l'azione promossa dall'ex socio per conseguire la sua quota di partecipazione agli utili inerenti alle operazioni in corso alla data di cessazione del proprio rapporto sociale (Cass. I, n. 6376/2004). Avendo quindi carattere sociale, l'obbligazione non solo deve essere fatta valere nei confronti della società (Cass. I, n. 11298/2001) ma è altresì regolata dall'art. 2267 c.c. essendo il socio uscente «terzo» rispetto alla società, per quanto attiene al soddisfacimento del suo diritto alla liquidazione della quota (Trib. Milano 3 ottobre 1991, in Soc. 1992, 521). La Cassazione ha poi ribadito che la domanda di liquidazione della quota di una società di persone da parte del socio receduto, crea un'obbligazione in capo non agli altri soci, ma alla società e pertanto, ai sensi dell'art 2266 c.c., va proposta nei confronti della società medesima, quale soggetto passivamente legittimato; non sono, invece, legittimati passivi gli altri soci, in quanto il regime della responsabilità solidale illimitata dei soci, ai sensi dell'art. 2191 c.c., opera solo a favore dei terzi, od anche dello stesso socio, ma per altri fatti non contrattuali (come il pagamento dell'indebito o l'illecito aquiliano), archetipo in cui non rientra il diritto alla liquidazione della quota (Cass. I, n. 816/2009). Si è affermato che il socio di una società personale può avvalersi del beneficium excussionis se chiamato al pagamento della quota di liquidazione al socio receduto (Cass. I, n. 103/1972). Resta fermo che la domanda di liquidazione della quota di una società di persone fa valere un'obbligazione (non degli altri soci, ma) della società, la quale è, pertanto, l'unica ad essere passivamente legittimata (Cass. I, n. 816/2009). Muovendo da tale premessa, si è affermato che, al fine di instaurare il contraddittorio con la società non può ritenersi sufficiente la mera citazione in giudizio di tutti i soci della società di persone singolarmente considerati, a meno che l'interpretazione della domanda non consenta di ritenere che l'attore, pur convenendo in giudizio tutti i soci, abbia in effetti inteso agire nei confronti della società (Cass. I, n. 1036/2009). Il che non toglie che anche i soci superstiti, sebbene non siano litisconsorti necessari possano essere convenuti, qualora siano solidalmente responsabili per le obbligazioni sociali, nel giudizio intrapreso dal socio uscente (o dagli eredi) per la liquidazione della quota (Cass. I, n. 1040/2009). Anche nella giurisprudenza di merito è pacifico che la liquidazione del valore di una quota di partecipazione ad una società in nome collettivo costituisce un’obbligazione che grava direttamente sulla società: i soci, pertanto – pur potendo rispondere in solido ex artt. 2291 e 2304 - non sono litisconsorti necessari in un processo che abbia ad oggetto l’accertamento di tale obbligo (Trib. Palermo, 28 marzo 2018). Segue: e) termine per la liquidazione; derogabilitàL'ultimo comma dell'art. 2289 c.c. stabilisce che il pagamento della quota spettante al socio deve essere effettuato «entro sei mesi dal giorno in cui si verifica lo scioglimento del rapporto»: tale termine può, tuttavia, essere derogato dalla volontà delle parti (Trib. Foggia 20 novembre 1982, in Soc. 1983, 769). Criteri di valutazione della quotaSecondo quanto stabilito dal comma 2 dell'art. 2289, c.c. la liquidazione della quota è fatta «in base alla situazione patrimoniale della società nel giorno in cui si verifica lo scioglimento». Da ciò si è dedotto che la situazione patrimoniale da assumere a base della liquidazione della quota di un socio uscente non può essere redatta – a differenza di quanto accade in caso di recesso da una società per azioni – facendo riferimento all'ultimo bilancio o, comunque, ai criteri di redazione del bilancio annuale di esercizio, ma occorre tener conto dell'effettiva consistenza al momento della uscita del socio, sicché, ai fini della determinazione del valore dell'avviamento – la cui rilevanza, quale elemento del patrimonio sociale, si proietta nel futuro, traducendosi nella probabilità, pur fondata su elementi presenti e passati, di maggiori profitti per i soci superstiti – vanno considerati non solo i risultati economici della gestione passata ma anche le prudenti previsioni della futura redditività dell'azienda (Cass. I, n. 5449/2015). Nello stesso senso Leopoldo, 258. Tale valutazione deve essere naturalmente riferita al momento della uscita del socio dalla società, «rispondendo oltre che ad una esigenza logica, ad un criterio di giustizia che, nel liquidare la quota del socio defunto, non si debba tener conto di una gestione sociale alla quale non hanno partecipato né il socio né i suoi eredi» (Cass. I, n. 814/1968, in cui si osserva che tale principio trova applicazione anche nel caso in cui, per la stima della azienda sociale, sia adottato il sistema della capitalizzazione del reddito, non imponendo necessariamente tale sistema che si debba aver riguardo ai soli redditi futuri e non esistendo alcun ostacolo logico alla sua adozione con riferimento ai redditi ottenuti in un dato momento o ai redditi passati). Poiché deve aversi riguardo al valore effettivo (e non a quello risultante dalla contabilità), tra gli elementi che concorrono alla determinazione della quota di liquidazione del socio uscente deve essere considerato anche il valore di avviamento dell'azienda, trattandosi di un valore aggiuntivo che è dovuto all'organizzazione dei beni ed è quindi superiore al valore che questi assumono considerati atomisticamente (Cass. I, n. 9392/1999; nello stesso senso Di Sabato, 197). La Cassazione ha precisato che la valutazione dell'avviamento va effettuata in base alle concrete attitudini produttive dell'azienda, nella sua realtà dinamica esistente alla data dello scioglimento del rapporto sociale (Cass. I, n. 4246/1977), e che il riferimento fatto dal giudice di merito alla «prassi commerciale» per valutare il valore dell'avviamento sulla base dell'ultimo reddito (risultante dalla dichiarazione fiscale) non si traduce in un giudizio secondo equità ovvero secondo usi normativi, fuori dei casi consentiti dalla legge, ma integra un procedimento di computo alla stregua di elementi presuntivi (Cass. I, n. 4210/1992). Sempre in argomento, si è deciso che, nel caso di recesso di un socio da società che fornisce mezzi di supporto ad un professionista (nel caso di specie un gabinetto di analisi chimico-cliniche) è escluso che nella quota da liquidarsi possa essere ricompreso il valore di avviamento dello studio, in quanto la clientela del professionista non può essere ricollegata alla società che lo supporta, essendo espressione dello stretto rapporto personale che collega i clienti (o pazienti) alla persona fisica del professionista medesimo (Cass. I, n. 5656/1992). Nel calcolo della quota di liquidazione vanno inoltre computati gli utili, eventualmente realizzati, di competenza del socio (cfr. art. 2262 c.c.), tra i quali rientrano anche quelli eventualmente derivanti da un affare cui la società ha partecipato attraverso la partecipazione (prevista dallo statuto) ad altra società (Cass. I, n. 1439/1974). L'esistenza dell'obbligo di liquidare la quota obbligo a carico della società, secondo i criteri specificati dal secondo comma del citato art. 2289 c.c., comporta per gli amministratori – anche nel caso in cui il de cuius abbia partecipato all'amministrazione della società – l'obbligo di rendere il conto della gestione ai sensi dell'art. 2261, comma 2, c.c. onde consentire la formazione, in nome e per conto della società, di una società, di una situazione patrimoniale straordinaria aggiornata, nel rispetto dei criteri di redazione del bilancio (Cass. I, n. 1036/2009). Per l'art. 265 c.p.c., in caso di mancata presentazione del conto, il giudice può ammettere il creditore (e cioè, nel caso di specie, il socio uscente o i suoi eredi) a determinare con giuramento le somme a lui dovute. Nella sentenza appena richiamata sembra invece affermarsi che, in detta ipotesi, il giuramento possa essere deferito ai soci «nella loro qualità di amministratori» e, quindi, alle persone tenute a rendere il conto. Dalla considerazione che – secondo quanto stabilito dal secondo comma dell'art. 2289 c.c. – la liquidazione della quota deve essere fatta « in base della situazione patrimoniale della società nel giorno in cui si verifica lo scioglimento del rapporto sociale limitatamente al socio » si è dedotto che eventuali debiti sorti a carico della società in periodi d'imposta successivi, e non costituenti passività relative alla gestione pregressa, non sono ascrivibili al socio receduto (Cass. I, n. 1182/2006). Inoltre, la Suprema Corte, peraltro, ha chiarito che il rispetto del criterio temporale, secondo il quale la liquidazione della quota del socio uscente deve essere effettuata in base alla situazione patrimoniale della società nel giorno in cui il rapporto cessa, non può essere derogato, in favore del criterio del "giorno più prossimo" ovvero di quello del più vicino bilancio d'esercizio, neppure in caso di assenza di documentazione in concreto idonea alla valutazione della quota, dovendo in tal caso farsi ricorso a criteri sostitutivi, ancorché presuntivi (Cass. n. 22346/2021 in Giur. comm. 2022, 648 ss., con nota di Nieddu Arrica). Domanda e termine per la liquidazione della quotaSecondo un giudice di merito, la domanda di liquidazione della quota di una società di persone, da parte del socio receduto o escluso, ovvero degli eredi del socio defunto, fa valere un'obbligazione non degli altri soci ma dell'intera compagine sociale. Siffatta domanda va proposta nei confronti della società quale soggetto passivamente legittimato, a nulla rilevando la circostanza che di questa facessero parte solamente due soci. E infatti, anche nella società di persone composta da due soli soci, ove la morte di uno di esso determini il venir meno della pluralità dei soci, lo scioglimento del rapporto particolare del socio defunto si verifica alla data del suo decesso, mentre i suoi eredi acquistano contestualmente il diritto alla liquidazione della quota secondo i criteri fissati dall'art. 2289 c.c., vale a dire un diritto di credito a una somma di denaro equivalente al valore della quota del socio defunto in base alla situazione patrimoniale della società nel giorno in cui si è verificato lo scioglimento. Siffatto credito trova un limite legale rappresentato dalla situazione patrimoniale della società al momento in cui si coglie il rapporto societario del singolo socio (receduto, escluso o deceduto), situazione che deve comprendere tutto ciò che può influire sulla consistenza patrimoniale della società stessa ivi compresi gli atti di gestione compiuti dagli amministratori sino a quel momento. Nell'ambito delle società di persone, gli eredi del socio defunto non acquisiscono la posizione di quest'ultimo nella società, non assumendo pertanto la qualità di soci e avendo soltanto il diritto alla liquidazione della quota del loro dante causa, diritto che sorge indipendentemente dal fatto che la società continui o si sciolga. Ne deriva che la mancata liquidazione della quota in parola rappresenta un inadempimento dei soci supersiti, ma non determina, in mancanza di accordo, il subentro nella società dell'erede del socio. Nella fattispecie, si è evidenziato come il giudice di prime cure avesse ignorato tali principî, avendo proceduto come se le parti attrici avessero agito come dei soci in sede di liquidazione della società in nome collettivo, mentre esse, in qualità del defunto socio, avevano diritto solo a vedersi liquidata la quota del loro dante causa secondo la specifica previsione ex art. 2289 c.c. (App. Roma III, 7 marzo 2014 n. 1555). È stato altresì affermato che l'art. 2289 c.c. prevede che nel caso di scioglimento del rapporto sociale relativamente ad un solo socio questi o i suoi eredi hanno diritto soltanto ad una somma di denaro che rappresenti il valore della quota che deve essere pagata dalla società che è soggetto passivo dell'obbligazione entro sei mesi dal giorno in cui si verifica lo scioglimento del rapporto. Poiché, non essendo stato impugnato il relativo capo della sentenza, non vi è più contestazione in ordine alla legittimità del recesso, non vi è dubbio che alla scadenza del termine semestrale decorrente dalla comunicazione del recesso è maturato in capo al socio receduto il diritto di credito della somma corrispondente al valore della quota in base alla situazione patrimoniale esistente al momento del recesso. Nessuna rilevanza, pertanto, possono avere le successive vicende societarie posto che alla scadenza del termine indicato non si era verificata alcuna causa di scioglimento della società, essendo rimasta la pluralità dei soci che è venuta meno solo in epoca successiva e quando ormai il diritto del receduto si era perfezionato. Ne consegue che non vi è alcuna interferenza tra il procedimento di liquidazione della società e il giudizio relativo alla liquidazione della quota conseguente all'inadempimento della società medesima dal momento che il diritto fatto valere con il primo non è quello al riparto conseguente allo scioglimento dell'ente collettivo che comporta la cessazione del rapporto sociale con effetti per tutti i soci con conseguente suddivisione tra tutti i partecipanti del patrimonio residuato al pagamento dei debiti ma quello alla liquidazione della quota del singolo socio che recede dal rapporto che ad una somma di denaro corrispondente al valore della sua partecipazione (App. Bari I, 20 dicembre 2012 n. 1388). Le operazioni in corsoIl principio stabilito dal comma 2 dell'art. 2289 c.c. deve essere coordinato con il contenuto del comma 3 della stessa disposizione, in cui si precisa che, se vi sono operazioni in corso, il socio o i suoi eredi «partecipano agli utili e alle perdite inerenti alle operazioni medesime». Il concetto di «operazioni in corso», ai cui utili ed alle cui perdite partecipa il socio uscente di una società di persone (art. 2289, comma 3, c.c.), ricomprende – per la Cassazione – tutte quelle operazioni che, pur non in atto al momento dello scioglimento del rapporto sociale, debbono considerarsi la conseguenza necessaria ed inevitabile dei rapporti giuridici preesistenti, anche se, quindi, la definizione di questi ultimi sia intervenuta a seguito di un giudizio instaurato solo successivamente all'uscita del socio (Cass. I, n. 1027/1993). E, secondo la stessa Corte, il diritto del socio recedente da una società di persone all'ottenimento degli utili conseguibili da un'operazione in corso, pur essendo collegato al diritto alla liquidazione della quota sociale, costituisce un diritto autonomo che si definisce nella sua esistenza e nel suo contenuto solo nel momento in cui l'operazione si conclude, ed è da tale momento, perciò, e non da quello del recesso, che comincia a decorrere il termine di prescrizione del menzionato diritto (Cass. I, n. 6709/1982). In tema di liquidazione della quota del socio receduto da società di persone (nella specie, società in accomandita semplice), l'art. 2289, comma 3, c.c., nel porre a favore ed a carico di detto socio, rispettivamente, gli utili e le perdite inerenti ad «operazioni in corso» alla data del recesso, si riferisce alle sopravvenienze attive e passive che trovino la loro fonte in situazioni già esistenti a quella data. Esso, pertanto, trova applicazione con riguardo alle somme versate dalla società in base a condono fiscale attinente a violazioni commesse prima del recesso, anche se richiesto in epoca successiva – sempre che non siano in discussione la sussistenza della violazione ed il carattere vantaggioso della definizione agevolata – in quanto la relativa istanza e gli ulteriori adempimenti connessi sono rivolti ad estinguere un debito già sorto (Cass. V, n. 8823/2016). Di converso l'art. 2289, comma 3, c.c. non è applicabile alla situazione di fatto rappresentata dall'occupazione di un terreno di proprietà della società da parte di una porzione di fabbricato appartenente ai soci di essa, situazione che solo astrattamente è idonea a far sorgere un credito indennitario in capo all'ente, ma che non costituisce all'attualità una componente attiva (Cass. I n. 26501/2022). Sempre in argomento si è ritenuto che il socio di una società in nome di persone (nella specie, in nome collettivo) la quale abbia ottenuto un mutuo artigiano garantito con fideiussione dagli stessi soci è tenuto, salva diversa volontà delle parti, a contribuire al pagamento delle rate di mutuo stipulato prima del recesso, la cui scadenza si verifichi successivamente, potendo le rate di mutuo considerarsi operazioni in corso perché, pur se esse non sono in atto al momento dello scioglimento del vincolo, costituiscono tuttavia una conseguenza inevitabile dei rapporti giuridici preesistenti (Cass. I, n. 6966/1996). Nello stesso senso Vidiri, 1037; Ferri, 681. Liquidazione giudiziale: onere della provaL'onere di provare il valore della quota del socio defunto di una società di persone, ai fini della liquidazione della stessa quota in favore degli eredi, incombe – secondo la Cassazione – sui soci superstiti e non sugli eredi del socio: da tale premessa i giudici di legittimità hanno tratto argomento per affermare che, dal mancato assolvimento di tale onere il giudice del merito può desumere, anche in base al disposto dell'art. 116 c.p.c., presunzioni contrarie all'assunto dei soci superstiti, tanto più queste unitamente a quelle ricavate dagli accertamenti fiscali a carico della società e dagli investimenti effettuati dalla medesima, siano utilizzate non per accertare il valore del patrimonio sociale, ma solo per escludere che i risultati ottenuti dal consulente tecnico d'ufficio siano superiori ai valori effettivi (Cass. I, n. 814/1968; nella giurisprudenza di merito cfr. Trib. Milano, 28/01/2021). Azione revocatoriaSi è ritenuto che non sia soggetta a revocatoria, ai sensi dell'art. 2901 c.c., la liquidazione della quota del socio uscente da parte di una società di persone, essendo revocabili solo gli atti di disposizioni patrimoniali che il debitore compia discrezionalmente, ma non già gli atti che egli ponga in essere perché è obbligato a compierli, quale la liquidazione del diritto di partecipazione del socio uscente (Cass. I, n. 1750/1969, in cui si precisa tuttavia che la possibilità di revoca può sussistere in caso di proporzione tra la quota e la somma liquidata, per la parte incidente su tale differenza). Clausola compromissoriaÈ stata dichiarata valida la clausola compromissoria contenuta nell'atto costitutivo di una società in nome collettivo, che devolva ad arbitri (arbitrato irrituale o libero) le controversie tra soci, in ordine alla liquidazione della quota sociale del socio receduto (Trib. Bari 11 gennaio 1990, Giur. it. 1990, I, 2, 566; Trib. Pavia 17 dicembre 1987, in Soc. 1988, 270). In senso diametralmente opposto si è però espresso il Trib. Como 2 marzo 1987, in Soc. 1987, 816, secondo cui non è compromettibile in arbitri la controversia relativa alla liquidazione della quota del de cuius e quella relativa al pagamento degli utili sociali, in quanto coinvolge gli interessi generali relativi alla vita della società e quella dei creditori sociali. BibliografiaG.F. Campobasso, Diritto commerciale, II, Diritto della società, a cura di M. Campobasso, II, Torino, 2017; Cottino, Diritto commerciale, I, 2, Padova, 1994, 237; Di Sabato, Diritto delle società, Milano, 2011; G. Ferri, Manuale di diritto commerciale, a cura di Angelici e G.B. Ferri, Torino, 2016; Ghisiglieri, Guido, Lo scioglimento del rapporto sociale limitatamente a un socio (art. 2284-2290), in Nuova giur. civ. 1994, II, 100; Leopoldo, Criteri di stima del valore effettivo della quota di liquidazione spettante al socio escluso di società di persone, in Dir. fall. 2009, 258; Menghi, Conferimento di beni in godimento e liquidazione della quota, in Giur. comm. 1985, II, 764; Nieddu Arrica, Il criterio temporale e l'onere probatorio nella valutazione della quota a seguito dello scioglimento del singolo rapporto nelle società di persone, in Giur. comm. 2022, 648 ss.; Vidiri, Società in nome collettivo: liquidazione della quota del socio uscente ed «operazioni in corso», in Giust. civ. 1997, I, 1037. |