Codice Civile art. 2352 - Pegno, usufrutto e sequestro delle azioni (1).

Gianluca Scarchillo

Pegno, usufrutto e sequestro delle azioni (1).

[I]. Nel caso di pegno o usufrutto sulle azioni, il diritto di voto spetta, salvo convenzione contraria, al creditore pignoratizio o all'usufruttuario. Nel caso di sequestro delle azioni il diritto di voto è esercitato dal custode.

[II]. Se le azioni attribuiscono un diritto di opzione, questo spetta al socio ed al medesimo sono attribuite le azioni in base ad esso sottoscritte. Qualora il socio non provveda almeno tre giorni prima della scadenza al versamento delle somme necessarie per l'esercizio del diritto di opzione e qualora gli altri soci non si offrano di acquistarlo, questo deve essere alienato per suo conto a mezzo banca od intermediario autorizzato alla negoziazione nei mercati regolamentati.

[III]. Nel caso di aumento del capitale sociale ai sensi dell'articolo 2442, il pegno, l'usufrutto o il sequestro si estendono alle azioni di nuova emissione.

[IV]. Se sono richiesti versamenti sulle azioni, nel caso di pegno, il socio deve provvedere al versamento delle somme necessarie almeno tre giorni prima della scadenza; in mancanza il creditore pignoratizio può vendere le azioni nel modo stabilito dal secondo comma del presente articolo. Nel caso di usufrutto, l'usufruttuario deve provvedere al versamento, salvo il suo diritto alla restituzione al termine dell'usufrutto.

[V]. Se l'usufrutto spetta a più persone, si applica il secondo comma dell'articolo 2347.

[VI]. Salvo che dal titolo o dal provvedimento del giudice risulti diversamente, i diritti amministrativi diversi da quelli previsti nel presente articolo spettano, nel caso di pegno o di usufrutto, sia al socio sia al creditore pignoratizio o all'usufruttuario; nel caso di sequestro sono esercitati dal custode.

(1)Articolo sostituito dall' art. 1 d.lg. 17 gennaio 2003, n. 6 , con effetto dal 1° gennaio 2004. La legge ha modificato l’intero capo V, ed è stata poi modificata e integrata dal d.lg 6 febbraio 2004, n. 37, la cui disciplina transitoria è dettata dall'art. 6. Il testo dell'articolo recitava: «[I]. Nel caso di pegno o di usufrutto sulle azioni, il diritto di voto spetta, salvo convenzione contraria, al creditore pignoratizio o all'usufruttuario. [II]. Se le azioni attribuiscono un diritto di opzione, questo spetta al socio. Qualora il socio non provveda almeno tre giorni prima della scadenza al versamento delle somme necessarie per l'esercizio del diritto di opzione, questo deve essere alienato per conto del socio medesimo a mezzo di un agente di cambio o di un istituto di credito. [III]. Se sono richiesti versamenti sulle azioni, nel caso di pegno, il socio deve provvedere al versamento delle somme necessarie almeno tre giorni prima della scadenza; in mancanza, il creditore pignoratizio può vendere le azioni nel modo stabilito dal comma precedente. Nel caso di usufrutto, l'usufruttuario deve provvedere al versamento, salvo il suo diritto alla restituzione al termine dell'usufrutto. [IV] Se l'usufrutto spetta a più persone, si applica il secondo comma dell'articolo 2347».

Inquadramento

La previsione dell'art. 2352 c.c. è diretta a disciplinare gli effetti sulla vita societaria della costituzione di vincoli sulle azioni. La norma disciplina gli effetti anche in caso di sequestro.

La disciplina previgente

La formulazione dell'attuale art. 2352 c.c. segue una linea ideale di perfezionamento e completamento rispetto alla disciplina precedente.

Infatti, l'art. 2352 c.c. era così formulato: «Pegno e usufrutto di azioni. I — Nel caso di pegno o di usufrutto sulle azioni, il diritto di voto spetta, salvo convenzione contraria, al creditore pignoratizio o all'usufruttuario. II — Se le azioni attribuiscono un diritto di opzione, questo spetta al socio. Qualora il socio non provveda almeno tre giorni prima della scadenza al versamento delle somme necessarie per l'esercizio del diritto di opzione, questo deve essere alienato per conto del socio medesimo a mezzo di un agente di cambio o di un istituto di credito. III — Se sono richiesti versamenti sulle azioni, nel caso di pegno, il socio deve provvedere al versamento delle somme necessarie almeno tre giorni prima della scadenza; in mancanza, il creditore pignoratizio può vendere le azioni nel modo stabilito dal comma precedente. Nel caso di usufrutto, l'usufruttuario deve provvedere al versamento, salvo il suo diritto alla restituzione al termine dell'usufrutto. IV — Se l'usufrutto spetta a più persone, si applica il secondo comma dell'art. 2347».

La nuova norma, pertanto, sembrerebbe intervenire nella direzione di dare soluzione alle questioni controverse che erano emerse durante la vigenza del testo precedente.

Il pegno e l'usufrutto

È pacifico che le azioni possono essere costituite in usufrutto, in pegno nonché formare oggetto di misure catelari ed esecutive. La costituzione di tali vincoli nelle azioni nominative, ai fini della produzione degli effetti nei confronti della società e dei terzi, avviene mediante annotazione del relativo vincolo, a cura della società emittente, sul titolo e nel libro dei soci. Dalla  lettura piana del comma 1 dell'art. 2352 c.c. emerge chiaramente che il diritto di voto in caso di pegno o di usufrutto spetta al titolare del vincolo, ed inoltre in caso di sequestro che l'esercizio di tale diritto sia attribuito al custode. Viene fatto salvo dalla norma il patto contrario delle parti in deroga.

Alla base di questa soluzione vi è l'opinione che il creditore pignoratizio e l'usufruttario esercitino il diritto di voto  iure proprio e non come legittimazione derivata. In sostanza l'art. 2352 c.c. sembrerebbe, quindi, costituire in capo al creditore pignoratizio e all'usufruttuario una posizione giuridica piena sull'azione, tale da consentire loro la partecipazione alle attività societarie. In ogni caso i titolari del diritto parziario sull'azione sono obbligati a tener conto degli interessi del socio in sede di esercizio di diritto al voto. Essi sono vincolati alla regola generale secondo cui non possono recargli pregiudizio dovendo conformare il loro comportamento alla buona fede e alla correttezza, ed essendo tenuti – in caso contrario – esclusivamente a conseguenze di natura risarcitoria.

In materia di pignoramento di quote sociali la giurisprudenza di merito (Trib Roma, sez. XVI, 20 gennaio 2020)  ha stabilito che, in ossequio all'ultimo comma del presente articolo, il diritto di ispezione dei libri sociali spetta sia al socio che al creditore pignoratizio.  

Il sequestro

Nella vigenza del vecchio testo, in caso di sequestro giudiziario, sia la giurisprudenza e sia la dottrina, con un elevato livello di coesione sul tema, ammettevano la possibilità che l'esercizio del diritto di voto spettasse al sequestratario.

In sostanza il giudice, in sede di emanazione del provvedimento di sequestro sulle azioni, avrebbe dovuto specificare l'individuazione dei criteri di amministrazione delle «cose sequestrate» ex art. 676 c.p.c., e affidare per conseguenza la gestione del diritto di voto al soggetto a cui era assegnata la res sequestrata.

Il tenore testuale della norma attuale, nella sua ampiezza interpretativa, elimina alla radice anche qualsiasi distinzione che invece nel passato sorgeva in relazione alla disciplina in caso di sequestro conservativo: in caso di sequestro delle azioni, qualsiasi ne sia la natura, il titolare del diritto di voto nelle assemblee ordinarie e straordinarie è il custode.

In senso conforme, la giurisprudenza di merito (Trib. Roma, sez. spec. Impresa, 22 febbraio 2021, n. 3099) ritiene che in caso di partecipazione sociale soggetta a sequestro preventivo penale, la legittimazione ad impugnare la delibera assembleare spetta al custode.

L'esercizio del diritto d'opzione

La regola prevista dall'art. 2352, comma 2, c.c. contiene anch'essa una norma di radicale chiarezza.

Infatti «se le azioni attribuiscono un diritto di opzione, questo spetta al socio ed al medesimo sono attribuite le azioni in base ad esso sottoscritte», pertanto, è inequivocabile – rispetto alla passata disciplina – che al socio (in questo caso anche nudo proprietario ovvero debitore pignorato) spetti l'esercizio del diritto di opzione e conseguentemente la titolarità delle azioni acquistate. Su queste azioni oggetto di acquisto, a seguito di diritto d'opzione, non si estende il vincolo gravante sui titoli originari.

Peraltro, la norma commentata regola anche la fase patologica dell'esercizio del diritto d'opzione, per cui, nel caso in cui il socio non provveda, almeno tre giorni prima della scadenza del diritto d'opzione, al versamento delle somme necessarie, sembrerebbe che il creditore pignoratizio sia obbligato ad offrire il diritto di opzione agli altri soci e successivamente – in caso di esito negativo – a venderlo per mezzo di un intermediario autorizzato. In linea di massima la norma sin da subito appare strutturata in modo esile: manca qualsiasi riferimento di dettaglio, la tempistica non sembrerebbe essere adeguata, ed infine, prima facie ci potrebbero essere delle difficoltà di coordinamento interpretativo con quanto stabilito dall'art. 2441, comma 3, c.c.

Più controversa l’ipotesi di aumento a titolo onoroso del capitale sociale. In particolare, si discute in dottrina circa la possibilità di estendere o meno il pegno alle azioni optate e/o al corrispettivo della vendita del diritto di opzione. Oggi, l'orientamento prevalente esclude l'estensione del vincolo pignoratizio alle azioni optate, mentre la ammette in relazione al ricavato della vendita del diritto di opzione.

L'aumento gratuito del capitale e i versamenti sulle azioni

In caso di aumento gratuito del capitale si capovolge la linea dettata in caso di esercizio del diritto d'opzione ed è infatti espressamente prevista l'estensione del pegno, dell'usufrutto o del sequestro alle azioni di nuova emissione. Alla base di questa regola presiede l'idea di fondo secondo cui l'aumento di capitale gratuito non sia il risultato di un nuovo e diverso apporto economico, ma al contrario un vero e proprio ingrandimento del valore delle azioni.

In modo parallelo si agisce in ordine ai versamenti sulle azioni. Infatti, se sono richiesti versamenti, nel caso di pegno, il socio deve provvedere al versamento delle somme necessarie almeno tre giorni prima della scadenza e in mancanza il creditore pignoratizio dovrà procedere come nel caso previsto per l'esercizio del diritto d'opzione. Diversamente in caso di usufrutto sarà l'usufruttuario a dover provvedere al versamento, e facendosi salvo il suo diritto alla restituzione al termine dell'usufrutto.

L'esercizio dei diritti amministrativi diversi dal diritto al voto e dal diritto d'opzione

In linea di massima la norma prevista dall'art. 2352, comma 6, c.c. pone quanto meno due aspetti generali ed ineludibili: un primo diretto a non individuare specificamente i diritti diversi, e quindi, a riempire lo spazio di disciplina rimasto vacante con una tecnica di rinvio, e un secondo, dettando una regolamentazione generale ed univoca per tutti questi casi. Pertanto, l'esercizio dei diritti amministrativi diversi dal diritto di voto e dal diritto d'opzione spetta, salvo che dal titolo o dal provvedimento del giudice risulti diversamente, nel caso di pegno o di usufrutto, sia al socio sia al creditore pignoratizio o all'usufruttuario; nel caso di sequestro al custode.

Prima della riforma in materia, invece, era opinione dominate che i diritti amministrativi “diversi” seguissero la sorte del diritto di voto e che, dunque, potessero essere esercitati soltanto dal titolare del diritto parziario. Oggi, invece, alla luce della novella legislativa la regola è l’esercizio concorrente di tali diritti tra il socio ed il creditore pignoratizio o l’usufruttario. Pertanto, ciò che si verifica è una "dissociazione", seppur limitata ai casi eccezionali specificatamente previsti dal legislatore, tra la titolarità della partecipazione sociale con i connessi diritti e la legittimazione all'esercizio degli stessi. (in tal senso Trib. Roma, sez. XVI, 202020).

È evidente che questa regola non sempre potrà essere di agevole interpretazione ed applicazione. Infatti, per quanto relativo alla presente limitata trattazione, alcune fattispecie di macroscopico conflitto possono individuarsi già in tema di impugnazione delle delibere assembleari e di esercizio del diritto di recesso. Un rilievo di incompatibilità emergerebbe, infatti, nel caso di esercizio del diritto all'impugnazione da parte del socio nei confronti di una delibera assembleare che potrebbe – in ipotesi – essere stata adottata con il voto favorevole del soggetto legittimato all'esercizio del diritto di voto con le stesse azioni, in qualità, quindi, dal creditore pignoratizio o dall'usufruttuario. Maggiori e più ampi elementi di complessità emergono per quanto riguarda il diritto di recesso di cui all'art. 2437 c.c. Se è vero che in linea generale il diritto di recesso viene sempre qualificato come un atto di esclusiva spettanza del socio, al di là della sua attribuzione al novero dei diritti amministrativi o meno, è anche evidente che la dicotomia tra il riconoscimento del diritto di recedere esclusivamente in capo al socio e il diritto di votare esclusivamente in capo al titolare del diritto parziario pone un contrasto netto ed evidente. Infatti, il diritto di recesso spetta solo ai soci che non hanno concorso alle deliberazioni.

Tanto con l'ulteriore precisazione che la giurisprudenza di legittimità ha sempre ritenuto che la legittimazione del socio sia esclusa nell'ipotesi in cui il titolare del diritto parziario abbia votato in favore dell'adozione della delibera

Casi particolari.

È dubbia l'applicabilità analogica della norma in questione al fine di disciplinare i vincoli sulle quote di società personali, al c.d. «leasingazionario» e sugli strumenti finanziari partecipativiex art. 2346 c.c.

Bibliografia

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