Codice Civile art. 2355 bis - Limiti alla circolazione delle azioni (1).Limiti alla circolazione delle azioni (1). [I]. Nel caso di azioni nominative ed in quello di mancata emissione dei titoli azionari, lo statuto può sottoporre a particolari condizioni il loro trasferimento e può, per un periodo non superiore a cinque anni dalla costituzione della società o dal momento in cui il divieto viene introdotto, vietarne il trasferimento. [II]. Le clausole dello statuto che subordinano il trasferimento delle azioni al mero gradimento di organi sociali o di altri soci sono inefficaci se non prevedono, a carico della società o degli altri soci, un obbligo di acquisto oppure il diritto di recesso dell'alienante; resta ferma l'applicazione dell'articolo 2357. Il corrispettivo dell'acquisto o rispettivamente la quota di liquidazione sono determinati secondo le modalità e nella misura previste dall'articolo 2437-ter. [III]. La disposizione del precedente comma si applica in ogni ipotesi di clausole che sottopongono a particolari condizioni il trasferimento a causa di morte delle azioni, salvo che sia previsto il gradimento e questo sia concesso. [IV]. Le limitazioni al trasferimento delle azioni devono risultare dal titolo. (1)Articolo sostituito dall' art. 1 d.lg. 17 gennaio 2003, n. 6 , con effetto dal 1° gennaio 2004. La legge ha modificato l’intero capo V, ed è stata poi modificata e integrata dal d.lg 6 febbraio 2004, n. 37, la cui disciplina transitoria è dettata dall'art. 6. InquadramentoL'art. 2355-bis c.c. ha ad oggetto i limiti convenzionali al trasferimento delle azioni determinati da accordi intercorsi fra i soci e consacrati nello statuto della società. Lo statuto sociale può subordinare la circolazione delle azioni nominative e di quelle non emesse al verificarsi di determinate condizioni, e può inibirne totalmente la circolazione per un periodo non superiore a cinque anni dalla costituzione della società o dal momento in cui il divieto di circolazione viene introdotto. L'autonomia statutaria può, inoltre, subordinarne il trasferimento delle predette azioni al mero gradimento di organi sociali o di altri soci, purché in tale eventualità venga previsto un obbligo di acquisto oppure il diritto di recesso dell'alienante ed il corrispettivo dell'acquisto o il valore del recesso vengano stabiliti secondo le stesse regole previste per i casi di liquidazione delle azioni a seguito dell'esercizio del diritto di recesso del socio. I limiti statutari alla circolazione delle azioni vincolano tutti i soci, anche quelli futuri. L'inserimento nello statuto di detti limiti alla circolazione delle azioni attribuisce loro efficacia reale. I limiti convenzionali devono risultare sia dallo statuto, sia dal titolo (art. 2355-bis, comma 4, c.c.). I limiti non devono necessariamente riguardare tutte le azioni ma possono anche riguardare soltanto alcune di esse. Ed invero, mediante la creazione di categorie di azioni ai sensi dell'art. 2348 c.c. è possibile caratterizzare ciascuna categoria da un diverso regime di circolazione. Le clausole limitative della circolazione possono essere introdotte o rimosse con le normali maggioranze previste per la assemblea straordinaria poiché, salvo diversa disposizione statutaria, l'introduzione o la rimozione di vincoli alla circolazione dei titoli azionari attribuisce al socio che non ha concorso all'approvazione della relativa deliberazione il diritto di recesso (art. 2437, comma 2, lett. b, c.c.). Limitazioni alla circolazione inter vivosL'art. 2355-bis c.c., da un lato, attribuisce all'autonomia statutaria un ampio margine di manovra nel definire le condizioni per la circolazione delle azioni e dall'altro fornisce ai soci ed ai terzi le necessarie garanzie per evitare che taluni soggetti possano restare «prigionieri» della società (Genghini). In relazione alle limitazioni inter vivos al trasferimento delle azioni è possibile distinguere tra il divieto di trasferimento e le diverse clausole che legano il trasferimento stesso al verificarsi di particolari eventi o condizioni. Tra queste ultime è possibile riconoscere: clausole di prelazione, clausole di mero gradimento, clausole di gradimento non mero, clausole del c.d. tetto massimo, e clausole disciplinanti il diritto e l'obbligo di «covendita» delle partecipazioni. La clausola di prelazione è quella clausola statutaria che impone al socio che intenda trasferire le proprie azioni di offrirle preventivamente agli altri soci che, a parità di condizioni, dovranno essere preferiti rispetto a soggetti terzi acquirenti non soci. È evidente che la ratio della norma sia quella di evitare l'ingresso in società di soggetti non graditi ai soci. Con riferimento ai requisiti formali che l'offerta rivolta agli altri soci deve avere, secondo l'orientamento societario elaborato dal Comitato Triveneto dei Notai (Massima H.I.14), «l'offerta di prelazione è valida quando ricorrono tutti gli elementi per informare in modo completo i soci o la società sui termini del contratto che si vuole offrire», e quindi deve contenere l'indicazione del prezzo delle azioni, le modalità di pagamento dello stesso, nonché le eventuali ulteriori indicazioni richieste dallo statuto. Il Comitato Triveneto dei Notai evidenzia inoltre che, ove statutariamente prevista, è legittima la clausola di prelazione che consenta la possibilità di offerta cumulativa da parte di una pluralità di soci ad un prezzo globale (Massima H.I.15). Si distingue, inoltre, tra una clausola di prelazione c.d. propria che rispetta, come detto, la parità di condizioni nel trasferimento delle azioni ed una clausola di prelazione c.d. impropria che ricorre quando manca la parità di condizione e la prelazione è estesa a negozi nei quali la prestazione dell'acquirente non sia fungibile (ad es. donazione). Una clausola di prelazione cd. impropria deve ritenersi ammissibile a patto che preveda criteri precisi di determinazione del prezzo. In proposito secondo il Consiglio Notarile di Milano (Massima n. 85) «devono ritenersi inefficaci (salvo che sia espressamente previsto il diritto di recesso) le clausole di prelazione contenute in statuti di s.p.a. che attribuiscano il diritto di esercitare la prelazione, al di là dei limiti temporali di cui all'art. 2355-bis, comma 1, c.c., per un corrispettivo, diverso da quello proposto dall'alienante, determinato con criteri tali da quantificarlo in un ammontare significativamente inferiore a quello che risulterebbe applicando i criteri di calcolo previsti in caso di recesso». Circa la natura giuridica della clausola di prelazione avente ad oggetto l'acquisto delle azioni sociali, la giurisprudenza di legittimità (Cass. c. sez. III, 23luglio 2012, n.12797) e di merito (Trib. Roma Sez. spec. Impresa, 26 maggio 2021, n. 9249) è concorde nall'attribuire efficacia reale alla stessa., Ne consegue che in caso di violazione, quest'ultima sarà opponibile anche al terzo acquirente. Il Tribunale romano, inoltre, interrogandosi sulla natura giuridica dell'atto traslativo realizzzato in violazione della clausola, nel solco del consolidato orientamento giurisprudenziale che esclude la nullità del trasferimento della quota operato in violazione del patto di prelazione, non costituendo ipotesi di violazione di norma imperativa, è giunto alla conclusione che non si verificherebbe né la dichiarazione di nullità né quella di inefficacia assoluta dell'atto; l'atto, infatti, sarebbe solo relativamente inefficace con la conseguenza che l'inefficacia potrebbe essere fatta valere solo dalla società (o nei confronti di essa). L'organo interessato, quale soggetto portatore dell'interesse sotteso alla clausola (regolare l'organizzazione interna della società), sarebbe l'organo amministrativo tuttavia ciò non esclude l'efficacia inter partes dell'atto traslativo. Le clausole di mero gradimento, invece, vietate prima della riforma dall'art. 22 della l. n. 281/1985, sono oggi ammesse purché la clausola stessa preveda il correttivo di cui all'art. 2355-bis, comma 2, c.c., ovvero un obbligo di acquisto o il diritto di recesso a favore del socio trasferente. Secondo il Comitato Triveneto dei Notai: «costituisce clausola di mero gradimento rimettere al potere discrezionale dei soggetti di cui all'art. 2355-bis, comma 2, c.c., la facoltà di concedere o meno il gradimento all'alienazione delle azioni senza dettare condizioni specifiche oggettive alle quali subordinare il gradimento ed affidando quindi il giudizio alla discrezionalità dei soggetti preposti al gradimento» (Massima H.I.1) e parallelamente «non costituiscono clausole di mero gradimento quelle previsioni statutarie che predeterminino le qualità soggettive o le specifiche situazioni oggettive alle quali è subordinata la concessione del gradimento» (Massima H.I.2) sicché per le clausole di gradimento non mero vien meno la necessità di prevedere i correttivi di cui si è detto. Tra le «particolari condizioni» di cui fa menzione il primo comma dell'art. 2355-bis c.c. rientra la clausola del c.d. tetto massimo di possesso azionario, vale a dire quella clausola che impedisce i trasferimenti azionari che comportano in capo all'acquirente il superamento di una percentuale stabilita nello statuto. Opposte, ma per certi versi affini, a quelle c.d. a tetto massimo, suscitano particolare interesse le clausole statutarie che impongono un tetto minimo di possesso delle azioni o delle quote. Secondo il Consiglio Notarile di Milano sono legittime e possono essere configurate: “come regole di circolazione delle partecipazioni, che rendono il trasferimento inefficace nei confronti della società in tutti i casi in cui, per effetto del trasferimento, l'acquirente non consegua il possesso minimo ovvero il venditore lo perda; come regole che subordinano la legittimazione all'esercizio di parte dei diritti sociali alla titolarità di un numero di azioni o di una quota di partecipazione almeno pari o superiori al possesso minimo." Meritano poi una menzione, tra le clausole ipotizzabili in merito ai limiti di circolazione delle azioni, quelle che prevedono in caso di vendita di azioni da parte di un socio il diritto, oppure l'obbligo, degli altri soci di vendere a loro volta le partecipazioni possedute. Secondo il Consiglio Notarile di Milano (Massima n. 88) tali clausole si reputano legittime, «tuttavia, restano soggette alle disposizioni relative ai limiti alla circolazione delle azioni e, ove prevedano l'obbligo di vendita, devono essere compatibili con il principio di una equa valorizzazione della partecipazione obbligatoriamente dismessa». Quanto al divieto di trasferimento, lo stesso potrà essere assoluto, o relativo, a seconda che sia rivolto o meno ad una categoria determinata di destinatari. In relazione al predetto divieto, una questione applicativa di notevole rilevanza pratica è stata posta in merito alla possibilità di prevedere una deroga una tantum al divieto di trasferimento. In proposito secondo il Consiglio Notarile di Milano (Massima n. 92) non è sufficiente il consenso dei soci, espresso al di fuori di un'assemblea straordinaria, per trasferire con effetto verso la società le azioni la cui circolazione è vietata dallo statuto, in conformità al disposto degli articoli 2355-bis, comma 1, c.c. Tuttavia, secondo detto orientamento, nella s.p.a. è comunque legittima la clausola che, nel limite temporale di cinque anni previsto dall'art. 2355-bis, comma 1, c.c., preveda il divieto del trasferimento delle azioni e nel contempo l'ammissibilità del trasferimento stesso in presenza del consenso dei soci. Inoltre, appare opportuno evidenziare che i limiti alla circolazione delle azioni possono riguardare anche la costituzione di usufrutto e pegno. In proposito, secondo il Consiglio Notarile di Milano (Massima n. 34): «sono legittime, anche in assenza del termine di efficacia di cinque anni di cui all'art. 2355-bis, comma 1, c.c., le clausole che vietano la costituzione di usufrutto o di pegno su azioni. Sono legittime, ed efficaci anche in assenza della previsione di un obbligo di acquisto a carico della società o degli altri soci ovvero del diritto di recesso del costituente, le clausole di mero gradimento riferite alla costituzione di usufrutto o di pegno su azioni». In ordine alle clausole statutarie che vietano il trasferimento parziale delle azioni, ossia di quelle clausole che subordinano il trasferimento alla condizione che il socio alienante trasferisca tutte le azioni o la sua intera partecipazione, il Consiglio Notarile di Milano con la massima n. 201, si è espresso ritenendole "legittime” in quanto “non integrano un “divieto” di alienazione, ai sensi dell'artt. 2355-bis, comma 1, c.c., né un'ipotesi di “intrasferibilità” delle partecipazioni, ai sensi dell'art. 2469, comma 2, c.c.”. Pertanto, “nelle s.p.a., la loro introduzione nello statuto dà luogo alla causa legale di recesso di cui all'art. 2437, comma 2, lett. b), c.c., ove lo statuto non disponga diversamente”. Infine, il Consiglio Notarile di Milano, con la massima n. 194 ha sancito la legittimità della clausola statutaria che subordina l'efficacia del trasferimento delle azioni di s.p.a. o delle quote di s.r.l. alla preventiva adesione da parte dell'acquirente ad un determinato patto parasociale. Si tratta di una clausola che limitando la libera circolazione delle azioni vuole determinare un nesso tra lo statuto sociale e un patto parasociale. In tema di circolazione delle azioni e di limiti alla circolazione, recente giurisprudenza di merito (Trib. Roma, sez. spec. impresa, 9 maggio 2017) ha avuto occasione di affermare che il tenore letterale dell'art. 2355-bis, comma 1, c.c. depone nel senso di inquadrare la clausola di prelazione come regola di organizzazione della società, stabilendo che il trasferimento della partecipazione sociale abbia effetto nei confronti della stessa solo in seguito ad una precisa «procedura» prevista nello statuto e voluta dai soci (cfr., in particolare, Cass. n. 12370/2014). La clausola di prelazione deve, pertanto, essere oggetto di una interpretazione tendenzialmente restrittiva sulla base di due importanti considerazioni: da un lato, la ricostruzione del contenuto di tali limiti statutari richiede un'attenta lettura e interpretazione del relativo testo, non essendo disponibile un'analitica regolamentazione suppletiva dei medesimi; dall'altro lato, questa stessa attività interpretativa deve essere condotta nella consapevolezza del delicato bilanciamento tra la natura, in linea di principio, eccezionale di ogni vincolo alla circolazione delle azioni, rispetto alla regola generale della libera trasferibilità, e la tutela sostanziale degli interessi in gioco. La medesima decisione non ha mancato di rilevare, sulla funzione della clausola di prelazione inserita nello statuto di una società per azioni, che, in materia di società per azioni, la circolazione delle partecipazioni sociali libera da vincoli rappresenta la regola applicabile in mancanza di diverse scelte statutarie, la quale contribuisce alla formazione di quello statuto legale residuale composto di norme derogabili. Ebbene, nell'ambito dei limiti contrattuali alla libera circolazione delle azioni, la clausola di prelazione si pone come strumento di ricerca di un bilanciamento tra due precise esigenze: quella di chi è intenzionato a cedere la propria partecipazione e, dunque, a realizzare l'investimento; e quella degli altri soci, interessati a evitare una vicenda, ossia l'ingresso in società di soggetti terzi, che può alterare l'equilibrio dei rapporti personali. Questo bilanciamento si realizza mediante il riconoscimento, in capo ai soci diversi da quello intenzionato a cedere le azioni, di un diritto di preferenza rispetto al terzo potenziale acquirente; un diritto di preferenza, le cui condizioni di operatività è compito delle parti stabilire. In tal senso, la scelta di inserire nello statuto una clausola di prelazione è indice della volontà dei soci di sottoporre l'alienazione delle azioni a particolari condizioni, dotando così l'organizzazione sociale di una specifica regola per la possibilità di intervento di nuovi investitori. Se così non fosse non si comprenderebbe perché i soci non si limitino a regolare il loro diritto di prelazione in un patto parasociale, se non perché vogliano elevare il loro interesse individuale, a mantenere omogenea la compagine sociale, a interesse «organizzativo» della società. L'inserimento della clausola nello statuto costituisce dunque presunzione del suo carattere sociale. Limitazioni alla circolazione mortis causaCon riguardo ai limiti alla circolazione delle azioni mortis causa è possibile distinguere tra un divieto di trasferimento mortis causa, da un lato, e le clausole di consolidazione o di accrescimento, di prelazione e di gradimento, mero o non mero, mortis causa dall'altro lato. Ai sensi dell'art. 2355-bis, comma 3, c.c. la necessità di prevedere uno dei correttivi previsti dal comma 2 dell'art. 2355-bis c.c. si applica in ogni ipotesi di clausole che sottopongono a particolari condizioni il trasferimento a causa di morte delle azioni, salvo che sia previsto il gradimento e questo sia concesso. Con riferimento alla fattispecie in commento, occorre coordinare l'esigenza di evitare l'ingresso in società di terzi non graditi con il rispetto del divieto di patti successori di cui all'art. 458 c.c. Secondo parte della dottrina (Di Fabio, Stanghellini, Tucci) anche il divieto di trasferimento mortis causa appare ipotizzabile e legittimo purché venga garantito agli eredi del socio defunto un diritto alla liquidazione delle azioni. Meno stringente rispetto al divieto di trasferimento mortis causa appare la clausola statutaria c.d. di consolidazione e/o di accrescimento secondo la quale in caso di morte del socio le sue azioni si accrescano in proporzione ai soci superstiti i quali sono tenuti a liquidare la quota all'erede. Del pari ammissibile risulta la clausola di prelazionemortis causa secondo la quale in caso di morte del socio spetta ai soci superstiti il diritto di prelazione nell'acquisto. Trattandosi di prelazione c.d. impropria appare corretto ipotizzare che la legittimità di tale previsione statutaria si leghi ad una precisa determinazione del prezzo delle azioni, coerentemente con quanto rilevato in tema di prelazione c.d. impropria inter vivos. Infine, l'autonomia statutaria potrebbe anche prevedere le richiamate clausole di gradimento mortis causa mero, o non mero, con le quali il trasferimento mortis causa viene subordinato al giudizio insindacabile dell'organo amministrativo, in caso di clausola di mero gradimentomortis causa, oppure viene subordinato al possesso da parte dell'erede di determinati requisiti. In entrambi i casi deve essere previsto uno dei due correttivi di cui al comma 2 dell'art. 2355-bis ed, a seconda che venga concesso o meno il gradimento degli organi sociali, opererà il diritto di recesso oppure l'obbligo di acquisto. BibliografiaCampobasso, Diritto commerciale, 2, Diritto delle società, Torino, 2009; Dentamaro, Commento all’art. 2355-bis, in Codice delle Società, a cura di Bonilini, Confortini, Abriani, Torino, 2016; Dentamaro, Divieto di alienazione e altre preclusioni al trasferimento di azioni ex art. 2355 bis c.c. tra limite quinquennale e recesso, in Notariato 2/2022; Di Fabio, Riforma societaria e circolazione delle partecipazioni azionarie, in Riv. not. 2003; Aa.Vv., Le società di capitali e le cooperative, a cura di Genghini, Milano-Padova, 2015; Stanghellini, Commento all’art. 2355-bis, in Comm entario alla riforma delle società, a cura di Marchetti, Bianchi, Ghezzi, Notari, Milano, 2008; Ladislao, I limiti alla circolazione delle azioni, Il Societario, 2023; Rizzi, La clausola di prelazione statutaria tra punti saldi e arresti giurisprudenziali incerti, Il Societario, 2022; Tucci, Limiti alla circolazione delle azioni, in Il nuovo diritto delle società. Liber Amicorum Campobasso, a cura di Abbadessa, Portale, Torino, 2006; Comitato Interregionale dei consigli notarili delle tre Venezie, Orientamenti societari, in notaitriveneto.it; Consiglio Notarile di Milano, Massime Notarili in materia societaria, Milano, 2015; Consiglio Notarile di Milano, Massime commissione società, 2022 |