Codice Civile art. 2447 nonies - Rendiconto finale (1).Rendiconto finale (1). [I]. Quando si realizza ovvero è divenuto impossibile l'affare cui è stato destinato un patrimonio ai sensi della lettera a) del primo comma dell'articolo 2447-bis, gli amministratori (2) redigono un rendiconto finale che, accompagnato da una relazione dei sindaci e del soggetto incaricato della revisione legale dei conti (3), deve essere depositato presso l'ufficio del registro delle imprese. [II]. Nel caso in cui non siano state integralmente soddisfatte le obbligazioni contratte per lo svolgimento dello specifico affare cui era destinato il patrimonio, i relativi creditori possono chiederne la liquidazione mediante lettera raccomandata da inviare alla società entro novanta giorni (4) dal deposito di cui al comma precedente. In tale caso, si applicano esclusivamente le disposizioni sulla liquidazione delle società di cui al capo VIII del presente titolo, in quanto compatibili (5). [III]. Sono comunque salvi, con riferimento ai beni e rapporti compresi nel patrimonio destinato, i diritti dei creditori previsti dall'articolo 2447-quinquies. [IV]. La deliberazione costitutiva del patrimonio destinato può prevedere anche altri casi di cessazione della destinazione del patrimonio allo specifico affare. In tali ipotesi ed in quella di fallimento della società si applicano le disposizioni del presente articolo. (1) V. nota al Capo V. (2) Le parole «o il consiglio di gestione» che figuravano dopo le parole «gli amministratori» sono state soppresse dall'art. 1 d.lg. 17 gennaio 2003, n. 6, come modificato dall'art. 5 1 d.lg. 6 febbraio 2004, n. 37. (3) Le parole «revisione contabile» sono state sostituite dalle parole «revisione legale dei conti» dall'art. 37, comma 23, del d.lg. 27 gennaio 2010, n. 39. (4) V. Avviso di rettifica in G.U. 4 luglio 2003, n. 153. (5) Periodo così sostituito dall'art. 20 d.lg. 28 dicembre 2004, n. 310. InquadramentoIl vincolo di destinazione cessa al verificarsi di cause legali, ossia una volta che lo specifico affare sia stato realizzato, ovvero quando il suo compimento è divenuto impossibile (primo comma), nonché per le cause stabilite nella delibera costitutiva o nel contratto di apporto (cause convenzionali, ult. comma). Fra le cause di cessazione della destinazione pare essere inclusa anche la liquidazione giudiziale (prima del nuovo Codice della crisi e dell’insolvenza, il “fallimento”) della società. Una parte della dottrina ritiene che l’apprezzamento dell’impossibilità rientra nella valutazione discrezionale degli amministratori: trattandosi di discrezionalità tecnica, però, sarebbe sempre sindacabile, con la conseguenza che la mera volontà della società non sarebbe sufficiente a determinare la cessazione del vincolo di destinazione (Giannelli, 1270). Tale precisazione assume particolare rilievonei casi in cui la deliberazione costitutiva del patrimonio destinato stabilisca secondo quanto previsto nell’ultimo comma della norma in commento, altri casi di cessazione della destinazione del patrimonio. Questi non potranno risolversi in atti di natura meramente potestativa o in scelte discrezionali degli amministratori (Comporti, 1009) dovendo piuttosto essere riconducibili a parametri oggettivi, quali, ad esempio, il sopravvenuto diverso apprezzamento di opportunità dell’affare, la modifica sostanziale delle sue condizioni di redditività o, ancora, la sopravvenuta inadeguatezza del patrimonio al raggiungimento dello scopo prefissato (Tondo, 1363, ). Fra le ipotesi di impossibilità sopravvenuta, si include anche la «insolvenza» (rectius: incapienza) del patrimonio, per tale intendendosi l’incapacità del patrimonio destinato a soddisfare regolarmente i suoi creditori (Comporti, 1009). La durata dell’affare può essere determinata in via convenzionale, così come è previsto per altre ipotesi di cessazione, oltre a quelle espressamente previste dalla legge (art. 2447-novies, comma 4, c.c.). L’accertamento della realizzazione dell’affare ovvero della impossibilità di realizzarlo, almeno di primo acchito, farebbero pensare alla necessità che, in ogni caso, occorra comunque stabilire un termine (Colombo, 31; Fimmanò, 964), decorso il quale si dovrebbe verificare la realizzazione dell’affare ovvero che tale realizzazione è divenuta impossibile. La questione relativa alla durata dello specifico affare e in particolare, la questione se in sede di deliberazione occorra necessariamente prevedere un termine di durata dello specifico affare, non è affatto pacifica. Invero, fin dall’entrata in vigore della disciplina in rassegna, si sono manifestati dubbi al riguardo (Abriani, 154; Rubino de Ritis, 824): da un lato perché, essendo stato previsto l’istituto dei patrimoni destinati come alternativo alla costituzione di una società interamente partecipata, esso non avrebbe dovuto avere una tale limitazione temporale, essendo la continuazione dell’attività sociale funzionale all’ottenimento dello scopo di lucro e, dall’altro, perché se fosse stato richiesto un termine quale elemento necessario esso sarebbe dovuto risultare dai requisiti di costituzione. È evidente che, mentre l’accertamento della realizzazione dello specifico affare, almeno in via di principio, non comporta concrete difficoltà ed è dunque di agevole verifica, basandosi su un mero confronto con quanto previsto in sede deliberativa e nel piano finanziario (in cui vanno inserite anche le prospettive e modalità di realizzo), l’accertamento della sopravvenuta impossibilità è, invece, più complicato (Pasquariello, 101 e ss.) Il comma terzo, prevedendo che sono comunque salvi, con riferimento ai beni e rapporti compresi nel patrimonio destinato, i diritti dei creditori previsti dall’articolo 2447-quinquies, stabilisce che le cause appena richiamate incidono sulla destinazione, ma non fanno cessare l’effetto centrale del vincolo di destinazione, ossia la separazione dei beni destinati. Cessa, pertanto, la destinazione, mentre permane la separazione, dandola norma prevalenza ai creditori destinati sui beni e i rapporti compresi nel patrimonio destinato. In conclusione, la cessazione della separazione, e il consequenziale ritorno dei beni destinati nel patrimonio generale della società e la cessazione della destinazione non coincidono necessariamente. Conferma questa conclusione anche lo sganciamento della cessazione della destinazione rispetto al profilo di soddisfazione dei creditori del patrimonio destinato. La soddisfazione delle ragioni dei creditori del patrimonio destinato non ostacola la cessazione della destinazione. In tale ipotesi, la cessazione della separazione, e la conseguente confusione del patrimonio destinato con il patrimonio generale avviene con rispetto all’eventuale patrimonio destinato residuo (Colombo, 49; Bartalena, 293). Le conseguenze di questa soluzione in caso di liquidazione giudiziale (e, prima del nuovo Codice della crisi, fallimento), come chiarito in seguito, sono rilevanti. L'accertamento della cessazione del vincolo di destinazione.La norma in rassegna non indica le formalità attraverso le quali accertare le ipotesi di cessazione del vincolo di destinazione. Si è ritenuto che spetti all'organo di gestione accertare tale cessazione, in virtù del fatto che la legge riconosce in capo ad essi tanto la deliberazione costitutiva quanto la predisposizione del rendiconto definitivo (Comporti, 1010; Fimmanò, 157) e parte della dottrina ha osservato che sarebbe stato preferibile prevedere esplicitamente una deliberazione di accertamento ( Gennari, 1399; Bozza, 133; Santagata, 357). Accertato il verificarsi di una causa di cessazione, gli amministratori sono tenuti a redigere, appunto, il rendiconto finale il quale deve poi essere depositato nel registro delle imprese. Tale rendiconto finale dovrebbe essere sottoposto alla stessa pubblicità prevista per la deliberazione di costituzione del patrimonio separato, anche in ragione del rilievo operativo che lo stesso assume: è nel momento in cui si realizza l'affare che si pone fine al vincolo di destinazione e quindi quella parte di patrimonio destinato torna a far parte del patrimonio generale. Tuttavia, la norma in rassegna si riferisce solo al «deposito» nel registro delle imprese e non prevede invece l'iscrizione dello stesso e ciò, secondo parte della dottrina, rappresenterebbe argomentazione decisiva per ritenere che, per il verificarsi dell'effetto estintivo, non occorre affatto alcuna deliberazione (Fimmanò, 162). Al riguardo si è ritenuto che, quindi, sarebbe da escludersi che tale adempimento «pubblicitario» (deposito ordinario) sia idoneo ad assicurare l'opponibilità della cessazione del vincolo di destinazione e anche per tale ragione è stato sostenuto che si debba escludere un potere-dovere dell'ufficio del registro delle imprese in merito al controllo sostanziale circa la verifica della cessazione del vincolo di destinazione (Santagata, 368). La legge non disciplina il contenuto del rendiconto finale. Si può ritenere, in ogni caso, che esso consista in una ordinata esposizione delle partite di dare ed avere connesse al perseguimento dell'affare; un'indicazione può trarsi all'art. 2447-septies, comma 2, e anche dall'art. 2423 c.c., e, ad avviso di chi scrive, nonostante le innegabili differenze, il modello da seguire è quello del bilancio finale di liquidazione (in vario senso si vedano Comporti, 1010; Gennari, 1401; Santagata, 365). Nel caso in cui l'affare non si protragga oltre l'esercizio in cui è iniziato, si deve ritenere che il rendiconto finale coincida con il rendiconto periodico disciplinato dall'art. 2447-septies co. 2. Unitamente al rendiconto, deve essere presentata una relazione redatta dai sindaci e dal soggetto incaricato della revisione contabile (Comporti, 1008). La richiesta di liquidazione dei creditori insoddisfatti.Dal deposito del rendiconto finale inizia a decorrere il termine di novanta giorni per la richiesta della liquidazione da parte dei creditori insoddisfatti, ipotesi che si verifica quando il patrimonio destinato è insufficiente rispetto alle pretese e perciò, anche durante la fase di liquidazione, resterà efficace la separazione patrimoniale; ciò anche sulla base dell'espressa salvezza dei diritti di cui all'art. 2447-quinquies che è fatta dal successivo comma 3 dell'art. 2447-novies. Questa salvaguardia suggerisce, inoltre, che la funzione della richiesta di liquidazione è di attivare il pagamento preliminare dei connessi debiti (Tondo, 1363) e non di impedire la separazione patrimoniale tra patrimonio destinato e generale (Inzitari, 302). Nell'ipotesi in cui gli amministratori, pur in presenza di una causa di cessazione del patrimonio destinato, non provvedano alla redazione e al deposito del rendiconto finale, essi potranno essere chiamati a rispondere nei confronti dei creditori per i danni conseguenti all'omissione (Niutta, 216). La richiesta di liquidazione – formalizzata in una lettera raccomandata – impedisce il ritorno dei beni nel patrimonio generale della società: si consente ai creditori particolari il mantenimento della garanzia patrimoniale esclusiva sui beni del patrimonio destinato. L'apertura della la fase liquidatoria è dunque lasciata ai creditori insoddisfatti, con la conseguenza che nonostante la mancata soddisfazione dei creditori e in assenza di una specifica richiesta, gli amministratori potrebbero porre fine all'affare, redigere e depositare il rendiconto finale. Anche in assenza di previsione espressa è da ritenere che siano sempre gli amministratori a doversi occupare della liquidazione ai quali spetterà verosimilmente la nomina dei liquidatori, salvo diversa previsione. La norma in commento prevede la generale applicabilità delle regole sulla liquidazione previste dagli articoli dal 2484 al 2496 c.c (Pasquariello, 268-273). Il fallimento della società è causa di liquidazione del patrimonio destinato (arg. ex n. 4, art. 2447-novies). Ne consegue che gli adempimenti previsti dall'art. 2447-novies dovrebbero essere posti in essere automaticamente per effetto della dichiarazione di fallimento. Anche in questa materia, quindi, un ruolo rilevante l'avrà l'autonomia del curatore che potrà decidere in che modo amministrare il patrimonio. Ed infatti l’art. 262 c.c.i.i. (art. 155 l. fall.) attribuisce al curatore la gestione separata del patrimonio destinato che, per conservarne la funzione produttiva, può essere ceduto a terzi. Sebbene sia una gestione di carattere transitorio è soggetta alla vigilanza del comitato dei creditori (Santagata De Castro, 359). Il patrimonio destinato è posto in liquidazione nel caso in cui non è possibile procedere con la cessione. Vengono osservate in questa ipotesi le disposizioni in tema di liquidazione della società. La norma prende in considerazione l’ipotesi in cui il patrimonio destinato è capiente mentre il patrimonio generale è insolvente. La finalità risiede nel salvaguardare il valore di realizzo del patrimonio destinato in sede concorsuale. Parte della dottrina ha pertanto rilevato che la liquidazione debba essere considerata quale extrema ratio (Santagata De Castro, 359). L’art. 263 c.c.i.i. (art. 156 l. fall.) disciplina l’ipotesi opposta dell’incapienza del patrimonio separato (Comporti, 955). E’ stato rilevata la disparità di trattamento del patrimonio destinato insolvente nel caso in cui la società si trovi in bonis dal momento che, in questa ipotesi, non si procede alla liquidazione giudiziale ma alla sola liquidazione. E’ parimenti stato evidenziato quale profilo critico che questa nuova disciplina trova applicazione solo in caso di fallimento, mentre sono escluse le altre procedure concorsuali e, in particolare, la liquidazione coatta amministrativa (Comporti, 957). BibliografiaAbriani, La struttura finanziaria della società di capitali nella prospettiva della riforma, in Riv. dir. comm., 2002, I-II, parte 1, 131 ss.; Anello, Profili civilistici e fiscali dei patrimoni dedicati, in Corr. Trib., 2003, XLI, 4485 ss.; Arleo, Sub art. 2447-novies, in Commentario al codice civile, a cura di Cendon, I, 2008; Bloch e Cuda, Gli aspetti fiscali della gestione dei patrimoni «dedicati», in Corr. trib., 2003, II, 128 ss.; Bartalena, Le nuove tipologie di strumenti finanziari, in Banca borsa, 2004, III, parte 1, 293 ss.; Bertuzzi, Bozza, Sciumbata, Patrimoni destinati, partecipazioni statali, S.A.A., Milano, 2003; Capolupo, Il regime fiscale dei patrimoni dedicati, in Fisco 2004; Colombo, La disciplina contabile dei patrimoni destinati: prime considerazioni, in Banca borsa, 2004, IV, parte 1, 30; Colombo, Associazione in partecipazione, perdite subordinate ed iscrizione in bilancio, in Aa.Vv., Ricapitalizzazione delle banche e nuovi strumenti di ricorso al mercato, Milano, 1983; Comporti, Sub art. 2447-novies, in La riforma delle società, a cura di Sandulli e Santoro, II, 2003; De Angelis, Patrimoni destinati a specifici affari di s.p.a: profili contabili e fiscali, in Dir. e prat. 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Liber amicorum Gian Franco Campobasso, a cura di Abbadessa, Portale, I, 2007, 817 ss.; Santagata De Castro, Dei patrimoni destinati ad uno specifico affare, in Il codice civile, Commentario fondato da Schlesinger e diretto da Busnelli, Milano, 2013; Schlesinger, Patrimoni destinati a specifici affari e profili disciplina contabile e profili di distinta, in Dir. e prat. Soc., 2003, III, 6 ss.; Tondo, I patrimoni separati dalla tradizione all’innovazione, in Vita notarile, 2005, III, parte 2, 13630 ss. |