Codice Civile art. 2420 bis - Obbligazioni convertibili in azioni (1).

Benedetto Paternò Raddusa

Obbligazioni convertibili in azioni (1).

[I]. L'assemblea straordinaria può deliberare l'emissione di obbligazioni convertibili in azioni, determinando il rapporto di cambio e il periodo e le modalità della conversione. La deliberazione non può essere adottata se il capitale sociale non sia stato interamente versato.

[II]. Contestualmente la società deve deliberare l'aumento del capitale sociale per un ammontare corrispondente alle azioni da attribuire in conversione. Si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni del secondo, terzo, quarto e quinto comma dell'articolo 2346.

[III]. Nel primo mese di ciascun semestre gli amministratori provvedono all'emissione delle azioni spettanti agli obbligazionisti che hanno chiesto la conversione nel semestre precedente. Entro il mese successivo gli amministratori devono depositare per l'iscrizione nel registro delle imprese un'attestazione dell'aumento del capitale sociale in misura corrispondente al valore nominale delle azioni emesse. Si applica la disposizione del secondo comma dell'articolo 2444.

[IV]. Fino a quando non siano scaduti i termini fissati per la conversione, la società non può deliberare né la riduzione volontaria del capitale sociale, né la modificazione delle disposizioni dello statuto concernenti la ripartizione degli utili, salvo che ai possessori di obbligazioni convertibili sia stata data la facoltà, mediante avviso depositato presso l'ufficio del registro delle imprese almeno novanta giorni prima della convocazione dell'assemblea, di esercitare il diritto di conversione nel termine di trenta giorni dalla pubblicazione (2).

[V]. Nei casi di aumento del capitale mediante imputazione di riserve e di riduzione del capitale per perdite, il rapporto di cambio è modificato in proporzione alla misura dell'aumento o della riduzione.

[VI]. Le obbligazioni convertibili in azioni devono indicare in aggiunta a quanto stabilito nell'articolo 2414, il rapporto di cambio e le modalità della conversione.

(1) V. nota al Capo V.

(2) V. Avviso di rettifica in G.U. 4 luglio 2003, n. 153.

Inquadramento

La norma in commento, introdotta ad opera della legge 7 giugno 1974, n. 216, offre una tipizzazione delle obbligazioni convertibili, rimasta sostanzialmente immutata in esito alla novella del 2003, pur senza esaurire le ipotesi di convertibilità delle obbligazioni in titoli azionari offerta dalla prassi negoziale, non tutte pienamente compatibili con la disciplina positiva dettata, in parte qua, dal codice anche a volerne estendere, in via di interpretazione analogica, il portato (Giannelli, 689).

Con le convertibili disciplinate dalla norma in esame, al titolare dell'obbligazione viene attribuita la possibilità di tramutare i titoli in azioni della stessa società emittente (c.d. procedimento diretto), alle condizioni (il c.d. «rapporto di cambio»), nonché secondo tempi e modalità, definiti dalla delibera di emissione, con conseguente mutamento della causa del rapporto: il capitale investito non è più capitale di debito, connotazione ontologicamente propria del mutuo sotteso al prestito obbligazionario, ma si trasforma in capitale di rischio, sul presupposto logico della ritenuta maggiore appetibilità delle azioni, per l'obbligazionista, alla data di scadenza, rispetto a quanto garantito dal rimborso del prestito.

I tratti fondanti la figura presa in considerazione e disciplinata dal codice sono, dunque, per un verso l'alternatività tra rimborso per cassa e conversione in azioni quale scelta ultima rimessa all'obbligazionista al verificarsi dell'evento o della scadenza temporale prevista dalla delibera di emissione. Per altro verso, è necessario che le azioni siano della stessa emittente e comunque di nuova emissione, tanto da imporre la previsione della contestuale delibera di aumento di capitale in termini corrispondenti al confluire, a tale titolo, degli importi versati in origine all'atto della sottoscrizione a titolo di prestito; aumento che deve essere disposto al momento stesso della deliberazione relativa al prestito, ma la cui efficacia risulta condizionata alla scelta resa, alle rispettive scadenze, dal titolare dell'obbligazione.

Per grandi linee, questi elementi consentono sia di tracciare la linea divisoria tra le obbligazioni tipizzate dalla norma in commento ed altre figure che trovano, comunque, nella conversione un tratto comune; sia di seguire un percorso logico coerente nell'individuare quali profili della disciplina in commento siano suscettibili di estensione alle obbligazioni non immediatamente prese in considerazione dalla presente norma.

Così, si distinguono dalla ipotesi del codice, le obbligazioni rispetto alle quali la conversione opera automaticamente, al verificarsi di determinate situazioni previste nel regolamento di emissione del prestito, o comunque viene rimessa alla scelta (non dell'obbligazionista) ma della stessa emittente.

A volte, poi, l'opzione di conversione, invece di porsi in alternativa al rimborso, ne costituisce previsione accessoria e distaccata, cumulandosi alla restituzione del capitale erogato (c.d. «obbligazioni cum warrant»), tanto da poter circolare autonomamente dal titolo stesso (Giannelli, 690). In siffatti casi, per il vero, più che di opzione per la conversione, deve, con maggiore coerenza, parlarsi di diritto (potestativo) alla sottoscrizione di azioni dell'emittente o di società terza (Ginevra, 350).

Sotto altro versante, le obbligazioni tipizzate dal codice si differenziano da quelle rispetto alle quali la conversione finisce per riguardare azioni già detenute in portafoglio dalla emittente o di società terze (procedimento indiretto), mettendo in crisi il profilo codicistico della necessaria, contestuale alla emissione, delibera di aumento di capitale.

Sul piano economico, l'operazione prevista dalla norma in commento consente alla società di acquisire liquidità, al pari di ogni altra ipotesi di prestito obbligazionario, e al contempo, di programmare un aumento di capitale in via differita (Picardi, 907); permette all'obbligazionista di scegliere tra il rimborso per cassa e il tramutamento dell'investimento in titoli partecipativi al capitale di rischio della emittente, ampliando dunque il raggio delle possibilità di realizzazione dell'investimento e spostando in avanti il momento della scelta rispetto a quello della dazione della somma investita, trascorso un periodo di studio della società finanziata (Ginevra, 347).

Sul piano della ricostruzione giuridica, l'operazione concretizzata nella emissione delle obbligazioni convertibili si muove tra le alternative del negozio unitario con causa complessa (Simonetto, 193), e quella dei più negozi collegati (Cavallo Borgia, 234).

In giurisprudenza, si è sostenuto che, nelle obbligazioni convertibili, il diritto alla percezione degli interessi e al rimborso del valore nominale si associa alla facoltà – esercitabile in via alternativa al rimborso – di sottoscrivere azioni, da liberare con la somma già versata all'atto della sottoscrizione delle obbligazioni. In coerenza, sarebbe duplice il rapporto sottostante: contratto di mutuo da un lato e patto d'opzione (avente ad oggetto la novazione del rapporto di mutuo rapporto di società) dall'altro (App. Genova, 11 luglio 1994).

La facoltà di conversione è invece pacificamente configurata in termini di opzioneexart. 1331 c.c. (Cavallo Borgia, 242): alla data prevista dal regolamento del prestito, il titolare deve solo esercitare il diritto potestativo inerente alla conversione, dando il via al dispiegamento di efficacia del già deliberato, corrispondente, aumento di capitale, senza che la emittente debba prestare ulteriori atti di assenso, essendo obbligata, già a monte, a procedere alla emissione delle relative azioni (Campobasso, Le obbligazioni, 444), tanto da legittimare una eventuale azione ex art. 2932 c.c.

Più discusso è il tema relativo all'oggetto del patto di opzione: per alcuni, il relativo contenuto concreta una novazione causale del rapporto di mutuo obbligazionario in rapporto di partecipazione azionaria (Galgano, 396); per altri, l'opzione sostanzia una ipotesi di compensazione tra il credito incorporato nel titolo obbligazionario e il debito di conferimento (Cottino, 479).

La previsione, a monte, dell'aumento di capitale e la obbligatorietà, per la emittente, di procedere alla conversione, una volta esercitata l'opzione, permette di ricostruire la posizione del titolare delle obbligazioni convertibili in termini di potenziale partecipazione azionaria e non di mera aspettativa. Tanto trova conforto nel disposto di cui al comma 1 dell'art. 2441 c.c.: se è vero, infatti, che sia le azioni di nuova emissione come anche le obbligazioni convertibili vanno offerte in opzione ai soci, è parimenti previsto che l'opzione vada estesa anche ai titolari di obbligazioni convertibili già in essere.

Sotto quest'ultimo versante, infine, va rimarcato che la piena equiparazione tra soci e obbligazionisti qualificati giustifica la tesi della certa limitabilità del diritto di opzione legato ad ogni forma di aumento di capitale (dunque anche quella differita contestuale alla emissione della obbligazioni convertibili) per entrambe le categorie in oggetto al verificarsi dei presupposti di cui ai commi 4 e 5 del citato art. 2441 c.c. (Picardi, 928).

Lo statuto speciale delle obbligazioni convertibili.

L'esigenza di garantire la puntuale soddisfazione di tutte le richieste di conversione, impone, all'emittente, contestualmente all'emissione del prestito, di deliberare un corrispondente aumento di capitale. Da qui l'ambivalenza dell'operazione sottesa al prestito realizzato tramite le convertibili tipizzate dal codice; ambivalenza cui consegue uno statuto disciplinare delle relative obbligazioni piuttosto composito, perché destinato a pescare dalle specifiche indicazioni normative offerte dagli artt. 2420-bis e ter c.c., dalle norme generali dettate per le obbligazioni nonché dalle previsioni del codice in tema di aumento di capitale, sempre nei limiti di quanto queste ultime possano ritenersi compatibili con le ragioni di discontinuità imposte dalle disposizioni speciali proprie del tipo di obbligazioni in esame.

In primo luogo, emerge con evidenza che la contestualità con l'aumento di capitale porta a derogare alla regola generale prevista dall'art. 2410 c.c. in punto di competenza alla deliberazione della emissione del prestito, qui riservata all'assemblea straordinaria, salva la delega agli amministratori ex art. 2420-ter c.c.

Va, poi, segnalato che, in esito alla novella apportata dal d.l. n. 83/2012, sia le obbligazioni convertibili previste dall'art. 2420-bis, sia quelle «cum warrant» sono esonerate dal rispetto dei limiti quantitativi imposti dall'art. 2412, comma 1, grazie alla eccezione in tal senso prevista dal comma 5 dello stesso articolo. Non è chiarito, tuttavia, se tale deroga, estranea al perimetro immediato dell'art. 2420-bis, possa riguardare anche i casi di c.d. «procedimento indiretto», relativo ad azioni possedute dalla emittente o di società terze: in dottrina, si è sostenuto che la tesi meno restrittiva possa trovare un riscontro interpretativo muovendo dal confronto con il tenore del comma 1, lettera b), dell'art, 93-bis del TUF (Luoni, 579).

Certo è, comunque, che, grazie a siffatta innovazione, deve ritenersi legittima l'emissione di obbligazioni convertibili in termini superiori al doppio del capitale sociale sottoscritto e delle riserve, secondo l'ultimo bilancio approvato; e ciò impone di rivedere gli ordinari rapporti di forza che corrono tra soci, finanziatori esterni (tali sono i titolari di obbligazioni convertibili sino alla spendita del diritto consacrato nell'opzione) ed ente emittente. È di tutta evidenza, infatti, che l'assenza del limite finisce ancora più che nel passato per legittimare l'ipotesi che tramite l'aumento di capitale differito sotteso al prestito veicolato tramite le convertibili si possa riconoscere una posizione di controllo ai titolari delle dette obbligazioni, anche se non soci (Pisani, 69).

Sono, invece, certamente coerenti con la disciplina propria delle obbligazioni in oggetto le disposizioni generali dettate in tema di contenuto delle indicazioni da riportate sul titolo (art. 2414 c.c., integrato dai riferimenti specifici di cui al comma 6 della norma in commento, in punto di specificazione del rapporto di cambio e delle modalità della conversione) nonché quelle relative alla organizzazione degli obbligazionisti (artt. 2415-2419 c.c.).

Infine, la norma in commento replica, con qualche lieve differenza, la disciplina dettata in tema di aumento di capitale. In particolare va evidenziato che viene vietata l'emissione laddove il capitale sociale non sia stato integralmente versato: in ciò la disciplina in esame si distanzia parzialmente dal tenore dell'art. 2438 c.c., che non invalida a monte la delibera di aumento, ma vieta agli amministratori di darvi esecuzione sino a quando non saranno interamente liberate le azioni emesse in precedenza.

Si fa, inoltre, esplicito richiamo alle disposizioni di cui ai commi da 2 a 5 dell'art. 2346 c.c.

In parte qua tale richiamo si mostra di particolare interesse, anche considerando che, con la novella del 2003, è venuto meno il divieto di emettere obbligazioni convertibili per somme inferiori al loro valore nominale, originariamente previsto dal comma 3 della norma in disamina.

Sotto tale versante si è piuttosto provveduto ad un puntuale coordinamento con la nuova disciplina in tema di azioni prive di indicazione del valore nominale: le obbligazioni, al pari delle azioni, possono, quindi, essere emesse anche sotto la pari, e senza indicazione del loro valore nominale. E dunque ammissibile il c.d. «disaggio», purché la somma versata da ciascun obbligazionista al momento della sottoscrizione non sia inferiore al valore delle azioni offerte in conversione in linea con quanto previsto dal comma 5 dell'art. 2346 (Cimmino, 393).

Le modalità della conversione e l'esercizio dell'opzione.

Ai sensi del primo comma, la deliberazione di emissione del prestito deve prevedere il rapporto di cambio e le modalità, anche temporali, attraverso le quali dovrà effettuarsi la conversione.

Si tratta di indicazioni imprescindibili, destinate ad inficiare radicalmente la validità della relativa delibera, ove assenti; indicazioni che il comma 6 impone di ribadire sul titolo stesso.

Malgrado la decisività del portato di tali indicazioni, la norma non ne descrive il contenuto.

Rispetto al rapporto di cambio, destinato ad esprimere l'entità della partecipazione azionaria (numero e valore nominale complessivo delle azioni) conseguibile in cambio di un determinato numero di obbligazioni di un dato valore nominale (Cimmino, 393), si discute in dottrina se lo stesso debba essere lo stesso lungo l'intero arco temporale che porta alla conversione o se invece possa mutare al variare dei diversi momenti eventualmente previsti in delibera per procedere alla conversione. Soluzione, quest'ultima, che pare preferibile purché non valga a mettere in crisi, rendendola incerta, la determinazione massima del capitale sociale oggetto dell'aumento differito (Picardi, 915).

Anche in ordine ai tempi ed ai modi della conversione, la norma non detta indicazioni vincolanti.

Il regolamento di emissione, dunque, potrà contenere espresse indicazioni in ordine alle formalità di esercizio dell'opzione, rispettate le quali, grazie alla sostanziale accettazione della proposta irrevocabile veicolata dalla emittente (consacrata all'atto della sottoscrizione del prestito obbligazionario secondo i contenuti deliberati in sede di emissione dello stesso), si estingue il rapporto di prestito e l'obbligazionista diviene socio, senza che occorra attendere il rilascio dei titoli (Picardi, 917).

Nel primo mese di ciascun semestre gli amministratori avranno l'obbligo di provvedere all'emissione delle azioni spettanti agli obbligazionisti che abbiano esercitato l'opzione nel semestre precedente: il che lascia ampi margini di azione alla emittente, la quale potrà prevedere che il diritto di conversione sia esercitabile in ogni momento (c.d. conversione continua), ovvero in un unico periodo o in più periodi determinati durante la vita del prestito o, ancora, a partire da un termine iniziale successivo all'emissione o sino ad un termine finale antecedente la data di scadenza (Cimmino, 398).

Entro il mese successivo all'emissione delle azioni, gli amministratori sono inoltre tenuti al deposito per l'iscrizione nel registro delle imprese di un'attestazione afferente l'aumento del capitale, in misura corrispondente al valore nominale delle azioni emesse a seguito dell'esercizio dei diritti di conversione. Sino a tale momento, l'aumento di capitale non potrà essere menzionato negli atti della società in ragione di quanto previsto dal comma 2 dell'art. 2444, cui si richiama esplicitamente il comma 3 della norma in commento.

Le vicende societarie destinate ad incidere sul rapporto di cambio.

La veste di potenziali azionisti ascritta ai titolari di obbligazioni convertibili impone altresì di verificare quali possano essere gli effetti delle vicende societarie che, lungo il corso del rapporto e prima del momento nel quale è consentita la conversione, possano incidere sul rapporto di cambio, modificando i contenuti di quella partecipazione sociale prospettica delineata al momento della emissione del prestito.

Tale dinamica è presa in considerazione dall'articolo in commento, senza tuttavia esaurire i possibili profili di mutamento della struttura organizzativa e finanziaria della emittente destinati a ripercuotersi sulla eventuale futura posizione sociale dei possessori di obbligazioni convertibili.

Quanto ai profili tipizzati, con il comma 4, l'articolo in commento preclude ogni possibile delibera volta alla riduzione volontaria del capitale o alla modifica statutaria delle previsioni relative alla distribuzione degli utili se non viene consentito agli obbligazionisti di optare in anticipo per la conversione rispetto all'originario termine di scadenza.

Si tratta, all'evidenza, di modifiche inerenti la struttura dell'emittente non immediatamente incidenti sul rapporto di cambio ma destinate a mutare i termini del rapporto sociale che potrebbe concretizzarsi al momento della conversione: da qui l'esigenza di garantire allo stesso, tramite una anticipazione della conversione, di partecipare attivamente ai momenti di formazione di tali deliberazioni, anche acquisendo la necessaria legittimazione per azionare in via giudiziale ogni ragione volta a tutelare la sua, assunta, partecipazione societaria.

In questa ottica, l'avviso relativo alla assemblea nella quale verranno trattati i suddetti temi dovrà essere depositato per la pubblicazione nel registro delle imprese almeno 90 giorni prima della relativa data di convocazione; intervenuta la pubblicazione dell'avviso, i possessori di obbligazioni convertibili potranno optare in anticipo per la conversione entro i 30 giorni successivi. E tale indicazione normativa altro non ricalca (salvo qualche marginale differenza) se non quella, connotata dalla medesima ratio, legata ai fatti di fusione (comma 2 dell'art. 2503-bis) e scissione (grazie al richiamo che il comma 5 dell'art. 2506-ter pone al contenuto della norma sulla fusione). Sotto questo versante va rimarcato, piuttosto, che la norma sulla fusione legittima la tesi (Picardi, 925) del mantenimento, in capo ai possessori delle obbligazioni convertibili che non hanno optato per la conversione anticipata, del potere di azionare l'opzione al momento della scadenza originaria prevista dalla delibera di emissione; con l'aggiunta, ex comma 3 dell'art. 2503-bis, che in caso di fusione, vanno garantiti, a questi ultimi, diritti analoghi a quelli previsti originariamente, salvo che le modifiche non siano state accettate dalla maggioranza degli obbligazionisti ex art. 2415 c.c.

Il comma 5 della disposizione in commento disciplina, inoltre, le ipotesi di immediata incidenza sul rapporto di cambio, offerte dall'aumento gratuito del capitale sociale o dalla riduzione non volontaria ma imposta dalle perdite: in siffatti casi si impone una rimodulazione del rapporto di cambio, in proporzione alla misura dell'aumento o della riduzione.

Non va trascurato, infine, che altre modifiche statutarie potrebbero indirettamente incidere sull'interesse dell'obbligazionista ad esercitare l'opzione della conversione (si pensi ad un cambiamento dell'oggetto sociale, ad esempio): in questi casi la tutela del possessore di obbligazioni convertibili potrebbe passare o dalla tesi secondo la quale tali modifiche costituiscono una variazione del prestito (cosi da imporre la preventiva approvazione dell'assemblea ex art. 2415 c.c.); oppure legittimando il rappresentante comune ad impugnare la decisione assembleare assunta dalla emittente, per l'abuso perpetrato dagli azionisti in danno degli obbligazionisti qualificati (Ginevra, 350).

Bibliografia

Campobasso, Le obbligazioni, in Tr. Colombo-Portale, Torino, 1994; Cavallo Borgia, Della società per azioni, Le obbligazioni convertibili in azioni, Milano, 1978, 234; Cimmino, L'emissione di obbligazioni convertibili in azioni, in Soc. 2014, 4; Cottino, Diritto commerciale, I, 2, Padova, 1999; Galgano, Il nuovo diritto societario, in Tr. Galgano, XXIX, Padova, 2003; Giannelli, Obbligazioni convertibili, convertende e a conversione sintetica, in Riv. soc. 2016, 689; Ginevra, Le obbligazioni, in Diritto commerciale, a cura di Cian, II, Torino, 2014, 347; Luoni, Le obbligazioni convertibili, in Società per azioni, Costituzione e finanziamento, a cura di Cottino, Sarale, in Nuova giur. sist. Bigiavi, Torino, 2013, 579; Picardi, Sub art. 2419, in Commentario al Codice civile, diretto da E. Gabrielli, Torino, 2014; Pisani, Il controllo dei creditori, in Banca borsa tit. cred., 2017, 1; Simonetto, Le obbligazioni convertibili in azioni. Alcune questioni di base, in Il bilancio di esercizio, Padova, 1976.

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