Codice Civile art. 2441 - Diritto di opzione 1 .

Guido Romano
Alessandro Silvestrini

Diritto di opzione 1.

[I]. Le azioni di nuova emissione e le obbligazioni convertibili in azioni devono essere offerte in opzione ai soci in proporzione al numero delle azioni possedute. Se vi sono obbligazioni convertibili il diritto di opzione spetta anche ai possessori di queste, in concorso con i soci, sulla base del rapporto di cambio.

[II].L'offerta di opzione deve essere depositata presso l'ufficio del registro delle imprese e contestualmente resa nota mediante un avviso pubblicato sul sito internet della società, con modalità atte a garantire la sicurezza del sito medesimo, l'autenticità dei documenti e la certezza della data di pubblicazione, o, in mancanza, mediante deposito presso la sede della società.Per l'esercizio del diritto di opzione deve essere concesso un termine non inferiore a quattordici giorni dalla pubblicazione dell'offerta nel sito internet della società con le modalità sopra descritte, o, in mancanza, dall'iscrizione dell'offerta nel registro delle imprese2.

[III]. Coloro che esercitano il diritto di opzione, purché ne facciano contestuale richiesta, hanno diritto di prelazione nell'acquisto delle azioni e delle obbligazioni convertibili in azioni che siano rimaste non optate. Se le azioni sono quotate in mercati regolamentati o negoziate in sistemi multilaterali di negoziazione, i diritti di opzione non esercitati devono essere offerti nel mercato regolamentato  o nel sistema multilaterale di negoziazione dagli amministratori, per conto della società, entro il mese successivo alla scadenza del termine stabilito a norma del secondo comma, per almeno due sedute , salvo che i diritti di opzione siano già stati integralmente venduti3 .

[IV]. Il diritto di opzione non spetta per le azioni di nuova emissione che, secondo la deliberazione di aumento del capitale, devono essere liberate mediante conferimenti in natura. Nelle società con azioni quotate in mercati regolamentati o negoziate in sistemi multilaterali di negoziazione lo statuto può altresì escludere il diritto di opzione nei limiti del dieci per cento del capitale sociale preesistente, a condizione che il prezzo di emissione corrisponda al valore di mercato delle azioni e ciò sia confermato in apposita relazione da un revisore legale o da una società di revisione legale. Le ragioni dell'esclusione o della limitazione nonché i criteri adottati per la determinazione del prezzo di emissione devono risultare da apposita relazione degli amministratori, depositata presso la sede sociale e pubblicata nel sito internet della società entro il termine della convocazione dell'assemblea, salvo quanto previsto dalle leggi speciali.4.

[V]. Quando l'interesse della società lo esige, il diritto di opzione può essere escluso o limitato con la deliberazione di aumento di capitale 5.

[VI]. Le proposte di aumento di capitale sociale con esclusione o limitazione del diritto di opzione, ai sensi del primo periodo del quarto comma o del quinto comma del presente articolo, devono essere illustrate dagli amministratori con apposita relazione, dalla quale devono risultare le ragioni dell'esclusione o della limitazione, ovvero, qualora l'esclusione derivi da un conferimento in natura, le ragioni di questo e in ogni caso i criteri adottati per la determinazione del prezzo di emissione. La relazione deve essere comunicata dagli amministratori al collegio sindacale o al consiglio di sorveglianza e al soggetto incaricato della revisione legale dei conti 6 almeno trenta giorni prima di quello fissato per l'assemblea. Entro quindici giorni il collegio sindacale deve esprimere il proprio parere sulla congruità del prezzo di emissione delle azioni. Il parere del collegio sindacale e, nell'ipotesi prevista dal quarto comma, la relazione giurata dell'esperto designato dal Tribunale ovvero la documentazione indicata dall'articolo 2343-ter, terzo comma, devono restare depositati nella sede della società durante i quindici giorni che precedono l'assemblea e finché questa non abbia deliberato; i soci possono prenderne visione 7. La deliberazione determina il prezzo di emissione delle azioni in base al valore del patrimonio netto, tenendo conto, per le azioni quotate in mercati regolamentati 8, anche dell'andamento delle quotazioni nell'ultimo semestre.

[VII]. Non si considera escluso né limitato il diritto di opzione qualora la deliberazione di aumento di capitale preveda che le azioni di nuova emissione siano sottoscritte da banche, da enti o società finanziarie soggetti al controllo della Commissione nazionale per le società e la borsa ovvero da altri soggetti autorizzati all'esercizio dell'attività di collocamento di strumenti finanziari, con obbligo di offrirle agli azionisti della società, con operazioni di qualsiasi tipo, in conformità con i primi tre commi del presente articolo. Nel periodo di detenzione delle azioni offerte agli azionisti e comunque fino a quando non sia stato esercitato il diritto di opzione, i medesimi soggetti non possono esercitare il diritto di voto. Le spese dell'operazione sono a carico della società e la deliberazione di aumento del capitale deve indicarne l'ammontare.

[VIII]. Con deliberazione dell'assemblea presa con la maggioranza richiesta per le assemblee straordinarie può essere escluso il diritto di opzione per le azioni di nuova emissione, se queste sono offerte in sottoscrizione ai dipendenti della società o di società che la controllano o che sono da essa controllate 9.

 

[1] V. nota al Capo V.

[2] Comma sostituito dall'art. 20, d.l. 24 giugno 2014 n. 91 conv., con modif., in l. 11 agosto 2014, n. 116. Il testo precedente recitava: «L'offerta di opzione deve essere depositata presso l'ufficio del registro delle imprese. Salvo quanto previsto dalle leggi speciali per le società con azioni quotate in mercati regolamentati, per l'esercizio del diritto di opzione deve essere concesso un termine non inferiore a trenta giorni dalla pubblicazione dell'offerta». Successivamente l'art. 44, comma 4, lett. a), d.l. 16 luglio 2020, n. 76, conv. con modif. in l. 11 settembre 2020, n. 120, in sede di conversione, con entrata in vigore il 15 settembre 2020,   ha così sostituito l'ultimo periodo del presente comma. Il testo precedente era il seguente: «Per l'esercizio del diritto di opzione deve essere concesso un termine non inferiore a quindici giorni dalla pubblicazione dell'offerta». 

[3] V. Avviso di rettifica in G.U. 4 luglio 2003, n. 153. L'art. 19, d.lg. 28 dicembre 2004 n. 310 ha sostituito alla parola «sui» la parola «in». Successivamente le parole «per almeno cinque riunioni, entro il mese successivo alla scadenza del termine stabilito a norma del secondo comma» sono state sostituite dalle parole «entro il mese successivo alla scadenza del termine stabilito a norma del secondo comma, per almeno cinque sedute, salvo che i diritti di opzione siano già stati integralmente venduti» dall'art. 2, d.lg. 11 ottobre 2012 n. 184. Da ultimo, le parole «o negoziate in sistemi multilaterali di negoziazione» e le parole «o nel sistema multilaterale di negoziazione»  sono state inserite e   le parole «due sedute»  sono state sostituite alle parole «cinque sedute»  dall'art. 44, comma 4, lett. b) d.l. 16 luglio 2020, n. 76, conv., con modif. in l. 11 settembre 2020, n. 120, in sede di conversione, con entrata in vigore il 15 settembre 2020. 

[4] V. Avviso di rettifica in G.U. 4 luglio 2003, n. 153. Successivamente le parole «dal revisore legale o dalla società di revisione legale», che l'art. 37, comma 21, d.lg. 27 gennaio 2010 n. 39, aveva sostituito alle parole «dalla società incaricata della revisione contabile», sono state ora sostituite dalle parole «da un revisore legale o da una società di revisione legale» dall'art. 2, d.lg. 11 ottobre 2012 n. 184. Da ultimo, l'art. 44, comma 4, lett. c) d.l. 16 luglio 2020, n. 76, conv., con modif. in l. 11 settembre 2020, n. 120, con entrata in vigore il 15 settembre 2020,  ha aggiunto, in sede di conversione, le parole «o negoziate in sistemi multilaterali di negoziazione» e le parole  «Le ragioni dell'esclusione o della limitazione nonché i criteri adottati per la determinazione del prezzo di emissione devono risultare da apposita relazione degli amministratori, depositata presso la sede sociale e pubblicata nel sito internet della società entro il termine della convocazione dell'assemblea, salvo quanto previsto dalle leggi speciali» . Vedi, inoltre, quanto disposto dall'art. 44, comma 3, d.l. n. 76/2020, cit.

[5] L'art. 2, d.lg. 11 ottobre 2012 n. 184, ha soppresso le parole: «, approvata da tanti soci che rappresentino oltre la metà del capitale sociale, anche se la deliberazione è presa in assemblea di convocazione successiva alla prima», poste al termine del comma. Ai sensi dell'art. 12, comma 11, d.l. 29 novembre 2008 n. 185, conv, con modif., in l. 28 gennaio 2009 n. 2, «le deliberazioni previste dall'articolo 2441, quinto comma, e dall'articolo 2443, secondo comma, del codice civile sono assunte con le stesse maggioranze previste per le deliberazioni di aumento di capitale dagli articoli 2368 e 2369 del codice civile. I termini stabiliti per le operazioni della specie ai sensi del codice civile e del d.lg. 24 febbraio 1998, n. 58, sono ridotti della metà».

[6] Le parole «del controllo contabile» sono state sostituite dalle parole «della revisione legale dei conti» dall'art. 37, comma 21, d.lg. 27 gennaio 2010 n. 39.

[7] L'art. 1, d.lg. 29 novembre 2010 n. 224 ha sostituito le parole «Il parere del collegio sindacale e la relazione giurata dell'esperto designato dal tribunale nell'ipotesi prevista dal quarto comma devono restare depositati nella sede della società durante i quindici giorni che precedono l'assemblea e finché questa non abbia deliberato; i soci possono prenderne visione», con le parole «Il parere del collegio sindacale e, nell'ipotesi prevista dal quarto comma, la relazione giurata dell'esperto designato dal Tribunale ovvero la documentazione indicata dall'articolo 2343-ter, terzo comma, devono restare depositati nella sede della società durante i quindici giorni che precedono l'assemblea e finché questa non abbia deliberato; i soci possono prenderne visione».

[8] Le parole «in mercati regolamentati» sono state sostituite alle parole «in borsa» dall'art. 191b) d.lg. n. 310, cit.

[9] Comma modificato dall'art. 2, d.lg. 11 ottobre 2012 n. 184. Il testo recitava: «Con deliberazione dell'assemblea presa con la maggioranza richiesta per le assemblee straordinarie può essere escluso il diritto di opzione limitatamente a un quarto delle azioni di nuova emissione, se queste sono offerte in sottoscrizione ai dipendenti della società o di società che la controllano o che sono da essa controllate. L'esclusione dell'opzione in misura superiore al quarto deve essere approvata con la maggioranza prescritta nel quinto comma.».

Inquadramento

L'art. 2441 c.c. attribuisce ai soci, nell'ipotesi di aumento di capitale a pagamento, il diritto di opzione, cioè la facoltà di sottoscrivere le azioni di nuova emissione proporzionalmente alla quota di partecipazione posseduta. Tale diritto spetta anche ai possessori di obbligazioni convertibili.

Viene così protetto un preciso interesse dell'azionista (sia dell'azionista attuale, sia di quel potenziale azionista che è il possessore di obbligazioni convertibili): l'interesse a mantenere inalterata la sua quota di partecipazione al capitale sociale, conservando, da un lato, il medesimo “peso” che, nei rapporti interni, aveva prima della deliberazione di aumento e, dall'altro, le plusvalenze patrimoniali attive accumulatesi nel corso della gestione, che andrebbero altrimenti proporzionalmente a vantaggio dei nuovi sottoscrittori di azioni (Campobasso, 509; Cottino, 518; Galgano, 403).

Il diritto di opzione ha perciò un proprio valore economico, che l'azionista può monetizzare cedendolo a terzi, qualora non voglia o non possa concorrere all'aumento del capitale sociale (Campobasso, 509), tant'è che nella pratica viene talvolta incorporato in una cedola trasferibile separatamente dal certificato azionario (Cass. n. 1319/1989).

Il diritto di opzione viene qualificato da alcuni autori come diritto di prelazione, poiché concede ai vecchi soci di “essere preferiti” ai terzi nell'acquisto delle azioni di futura emissione (Ferrara,Corsi, 710); secondo un'altra visuale, considerato che i soci hanno diritto alla sottoscrizione delle azioni a prescindere da offerte migliori da parte di terzi, si tratterebbe di un caso di cd. prelazione impropria, cioè ad un prezzo di emissione predeterminato dalla società in modo fisso (Ginevra 2013, 277); altri ancora sostengono che ricorrerebbe un'ipotesi di opzione in senso tecnico, risolvendosi il diritto di opzione nella facoltà di accettare la proposta irrevocabile di sottoscrizione proveniente dalla società, riconducibile nello schema previsto dall'art. 1331 c.c. (Frè, 769).

Il diritto di opzione spetta agli azionisti di ogni categoria ed ai possessori di obbligazioni convertibili ed ha per oggetto una quota proporzionale di azioni ed obbligazioni convertibili di nuova emissione: ove preesista all'aumento di capitale una sola categoria di azioni e si decida di emettere azioni di più categorie, ogni socio avrà diritto a ciascuna categoria di azioni di nuova emissione in proporzione alla quota di capitale posseduta; ove, invece, preesistano all'aumento di capitale più categorie di azioni e la società deliberi di articolare l'aumento di capitale in più categorie, in base alla cd. regola di prossimità – enunciata dall'art. 145, comma 8, TUF con riferimento alle azioni di risparmio, ma ritenuta di generale applicazione –ciascuna categoria di azionisti ha diritto di ricevere prioritariamente in opzione azioni della stessa categoria e, solo se non vengono rispettate le proporzioni fra le categorie, avrà diritto di ricevere azioni di altra categoria, secondo un ordine di prossimità (Ginevra, 2618; Campobasso, 509).

Le novità introdotte dal c.d. Decreto Semplificazioni

Il D.L. 16.7.2020, n. 76, c.d. Decreto Semplificazioni, convertito, con modificazioni, dalla L. 11.9.2020, n. 120, ha introdotto, oltre ad alcune norme di carattere transitorio ed emergenziale in materia di aumento di capitale, alcune modifiche - principalmente in materia di società quotate - ai commi 2, 3 e 4 dell'art. 2441 c.c..

In primo luogo, l'art. 44 del menzionato Decreto Semplificazioni - recependo quanto previsto sul punto dall'art. 72, Dir. UE 14.6.2017, n. 1132/2017 - ha ridotto, modificando l'ultimo periodo del secondo comma, da quindici a quattordici giorni il termine minimo per l'esercizio del diritto di opzione ed ha disposto che tale termine inizia a decorrere dal momento della pubblicazione della relativa offerta sul sito internet della società o, in mancanza, dall'iscrizione della relativa delibera nel registro delle imprese.

Sotto altro aspetto, con il predetto intervento normativo, è stata prevista, anche per le società quotate in mercati regolamentati o negoziate in sistemi multilaterali di negoziazione, la possibilità di offrire, nel mercato e nel sistema multilaterale, i diritti di opzione non esercitati, entro il mese successivo alla scadenza dei 14 giorni per almeno due sedute (non più cinque), salvo che i diritti non siano già stati integralmente venduti.

Il terzo comma dell'art. 44 del D.L. 16.7.2020, n. 76, c.d. Decreto Semplificazioni, convertito, con modificazioni, dalla L. 11.9.2020, n. 120, ha, poi, ampliato la disposizione dell'art. 2441, quarto comma, secondo periodo, che facoltizza le società quotate in mercati regolamentati ad introdurre in statuto la possibilità di escludere il diritto di opzione nei limiti del 10% del capitale sociale. L'estensione operata dall'art. 44 riguarda il perimetro soggettivo delle società che possano avvalersi della facoltà dell'art. 2441, quarto comma, secondo periodo: non si tratta solo delle società quotate in mercati regolamentati, ma altresì delle società con azioni « negoziate » in sistemi multilaterali di negoziazione. Per l'esclusione del diritto di opzione negli aumenti di capitale deliberati dalle società con azioni quotate su mercati regolamentati o su sistemi multilaterali di negoziazione sono, quindi, state mantenute ferme le condizioni previste dall'originaria formulazione dell'art. 2441, 4 comma, ossia la necessità di una previsione statutaria ed il limite quantitativo del 10% del capitale preesistente a condizione che il prezzo di emissione corrisponda al valore di mercato delle azioni.

Inoltre, a seguito delle modifiche apportate dal citato art. 44 del d.l. 16 luglio 2020, n. 76, convertito nella L. 11 settembre 2020, n. 120, l'art. 2441, quarto comma, secondo periodo, dispone anche per gli aumenti di capitale ivi previsti l'obbligo di redigere e depositare, entro il termine di convocazione dell'assemblea, una relazione contenente le ragioni dell'esclusione o della limitazione dell'opzione, nonché i criteri adottati nella determinazione del prezzo di emissione.

 La dottrina ha osservato che quest'ultima modifica normativa al disposto dell'art. 2441 c.c. vuole in certa misura allineare (in realtà non perfettamente perché non è previsto nel nuovo art. 2441, quarto comma, seconda frase, il parere di congruità del collegio sindacale), in punto di informazione assembleare, la fattispecie particolare di esclusione o limitazione dell'opzione del quarto comma, secondo periodo, dell'art. 2441 a quanto previsto per ogni altra ipotesi di limitazione, esclusione o non spettanza dell'opzione. Si richiede ora infatti, ai sensi dell'art. 2441, quarto comma, secondo periodo, non solo che sia redatta apposita relazione da un revisore legale o da una società di revisione ma anche che sia redatta una relazione degli amministratori in cui risultino «le ragioni dell'esclusione o della limitazione (dell'opzione) nonché i criteri adottati per la determinazione del prezzo di emissione». Secondo questa interpretazione dottrinale, inoltre, è escludere che la necessità di illustrare le ragioni dell'esclusione o limitazione del diritto di opzione implichi la necessità di una particolare qualificazione di tali ragioni (MARCHETTI). Peraltro questa dottrina ha evidenziato che la necessità di una relazione per le società quotate risulta superflua perché la relazione illustrativa è richiesta dalla normativa di settore (art. 125-ter TUF e Regolamento Emittenti, Allegato 3 - Schema 2, che continua ad applicarsi) per ogni delibera assembleare di società quotata. Sempre con riguardo alla relazione prevista dalla nuova formulazione del quarto comma dell'art. 2441 c.c. è stato evidenziato, poi, più in generale, che il riferimento al “criterio” di determinazione del prezzo sta a significare che la determinazione puntuale sulla base dei criteri stessi potrà avvenire a cura degli amministratori al momento dell'emissione delle nuove azioni, e non già al momento dell'assunzione della delibera di aumento di capitale.

La procedura di offerta.

Per assicurare il rispetto del diritto di opzione dei soci, il secondo comma della disposizione in esame predetermina il procedimento di raccolta delle nuove sottoscrizioni, stabilendo che l'offerta societaria sia pubblicata – in via separata dalla delibera di aumento di capitale – presso il registro delle imprese ad opera degli amministratori e contestualmente resa nota attraverso un avviso pubblicato sul sito internet della società; dal momento di siffatta pubblicazione decorre un termine per l'esercizio del diritto di opzione, da precisare nell'offerta medesima, ma comunque non inferiore a quindici giorni.

La pubblicazione dell'offerta in opzione è posta nell'interesse esclusivo dei soci e pertanto ad essa i soci stessi possono rinunciare con delibera unanime, dispensando gli amministratori dall'effettuarla (Trib. Milano, 19 giugno 1993).

La delibera assembleare deve specificare il termine concesso ai soci per l'esercizio del diritto di opzione: in difetto d'indicazione, il termine per l'esercizio del diritto di opzione deve ritenersi coincidente con quello previsto dall'art. 2441 c.c. (Trib. Napoli, 12 gennaio 1989).

Prima della scadenza della data finale fissata nella delibera di aumento di capitale, ove non sia prevista nella delibera l'immediata efficacia delle singole sottoscrizioni, da una parte la società non può emettere le nuove azioni e, dall'altra, il sottoscrittore non può esercitare i diritti sociali connaturati alla partecipazione acquisita. Ne deriva che, ove fosse convocata un'assemblea durante il periodo intermedio, il vecchio azionista avrà un diritto di voto proporzionale alla frazione di capitale originariamente possedute mentre il terzo nuovo sottoscrittore non potrà intervenire in assemblea né esprimere un voto, non essendo ancora socio di pieno diritto (Trib. Torino, 4 settembre 2013, in Banca, Borsa, tit. cred., 2015, 5, II, 604).

Il Comitato Interregionale dei Consigli Notarili del Triveneto ha affermato che il termine previsto dall'art. 2441 c.c. per l'esercizio del diritto di opzione non può essere ridotto per disposizione statutaria o con deliberazione assembleare adottata a maggioranza, essendo soltanto consentito che tutti i soci della società rinuncino a tale termine di legge in riferimento allo specifico aumento di capitale deliberato (massima H.G.1).

La prelazione sull'inoptato.

Per quanto concerne la sorte dei titoli non optati, il terzo comma della disposizione in esame distingue le società quotate da quelle non quotate.

Per queste ultime, coloro che hanno esercitato l'opzione hanno diritto di prelazione nella loro sottoscrizione, purché ne abbiano fatto contestuale richiesta: finalità della norma è di evitare o limitare manovre sui titoli inoptati degli amministratori, privilegiare patrimonialmente, con la doppia prelazione, gli azionisti preesistenti, facilitare per quanto possibile l'assorbimento dell'operazione di aumento (Cottino, 522).

La previsione della contestualità tra l'adesione all'offerta in opzione e la richiesta di assegnazione delle azioni inoptate è strumentale, oltre che all'interesse della società al collocamento delle azioni di nuova emissione, al rispetto della parità di trattamento fra i soci (Ginevra, 2016, 2625).

Nel silenzio della norma, si ritiene che ciascun azionista possa chiedere che gli vengano assegnate anche tutte le azioni rimaste inoptate; solo se le richieste superino il numero delle azioni disponibili, si dovrà procedere a riparto, in proporzione della partecipazione sociale di ciascun richiedente (Campobasso, 510; Ferrara,Corsi, 711).

La natura giuridica del diritto di prelazione è controversa: vi è chi ritiene che il diritto in questione sia un'estensione dell'originario diritto di opzione, di guisa che sarebbe connotato delle stesse caratteristiche (Frè, 769); per altri, invece, la prelazione di cui all'art. 2441, comma 3, c.c. è un diritto diverso ed autonomo dal diritto di opzione, che non origina da quest'ultimo, ma che deriva in via diretta dalla delibera di aumento e viene qualificato come una prelazione in senso proprio (Ginevra, 2016, 2625; Weigmann, 612), con la conseguenza che gli amministratori per l'offerta in prelazione sulle azioni inoptate possano prevedere condizioni diverse.

In giurisprudenza, si è quindi affermato (v. Cass. n. 2850/1996) che, in sede di aumento di capitale, il consiglio di amministrazione di una società per azioni può legittimamente fissare, per i soci che abbiano esercitato la richiesta di prelazione sui titoli inoptati, un sovrapprezzo maggiore rispetto a quello fissato per l'opzione.

Tale diritto di prelazione non viene invece riconosciuto agli azionisti delle società con azioni quotate sui mercati regolamentati, prevedendo in tal caso la norma in commento che i diritti di opzione non esercitati siano offerti in borsa dagli amministratori per almeno cinque riunioni: il corrispettivo eventualmente conseguito dalla cessione di tali diritti integra un provento straordinario per la società, da non confondersi con il conferimento (Ferrara,Corsi, 711).

Nel caso in cui residuino azioni non sottoscritte dopo che si sia conclusa anche l'offerta dell'inoptato, gli amministratori saranno liberi di collocarle presso eventuali terzi (Campobasso, 510).

Conseguenze della violazione dei diritti di opzione e prelazione.

Nessuna previsione è dettata con riferimento all'ipotesi del mancato rispetto, da parte degli amministratori, dei diritti di opzione e prelazione del socio.

È dubbio pertanto se al socio titolare del diritto pretermesso competa una tutela reale o meramente obbligatoria.

Parte della dottrina si è espressa in favore della realità della protezione offerta al socio, osservando che gli amministratori difetterebbero del potere giuridico di collocare le azioni in violazione del diritto di opzione, con conseguente diritto dei soci di ottenere coattivamente le azioni richieste, sul presupposto della nullità o inefficacia della emissione anteriormente compiuta e ciò in quanto il divieto per gli amministratori di collocare le azioni presso terzi, derivando direttamente dalla legge, esulerebbe dall'ambito di applicazione dell'art. 2384, comma 2, c.c. (Ginevra, 1997, 596; Bianchi, 134).

La medesima dottrina, tuttavia, in uno scritto successivo ha parzialmente rivisto tale posizione, rilevando che l'ipotizzato difetto dell'organo di gestione non riguarderebbe il potere rappresentativo nell'emissione delle azioni, quanto la legittimazione ad esercitare un potere di disposizione limitato ex lege, con la conseguenza di dover ritenere applicabile alla fattispecie la sanzione dell'annullabilità, opponibile al terzo sottoscrittore solo in caso di mala fede (Ginevra, 2627).

  Sulla questione è intervenuta la giurisprudenza di legittimità, che ha avuto modo di affermare che la deliberazione assembleare di aumento del capitale sociale di una società per azioni, che sia stata assunta con violazione del diritto di opzione, non è nulla, ma meramente annullabile, in quanto tale diritto è tutelato dalla legge solo in funzione dell'interesse individuale dei soci ed il contrasto con norme, anche cogenti, rivolte alla tutela di tale interesse determina un'ipotesi di mera annullabilità (Cass. n. 2670/2020).

In senso favorevole al riconoscimento di una tutela reale si è pronunciato App. Napoli, 8 luglio 1982, secondo cui l'attribuzione del diritto di prelazione e, a fortiori, del diritto di opzione, opera in modo reale, creando un vincolo obiettivo d'indisponibilità del titolo, la cui violazione determina la nullità del trasferimento o della emissione ed intestazione delle nuove azioni al terzo, ancorché in buona fede. Anche secondo Trib. Genova, 26 novembre 2021, n. 2553, la violazione del diritto di opzione previsto dall'art. 2441 c.c. costituisce un vizio di annullabilità della delibera poiché tale diritto è tutelato dalla legge solo in funzione dell'interesse individuale dei soci ed il contrasto con norme rivolte alla tutela di tale interesse determina un'ipotesi di mera annullabilità; da ciò deriva che l'impugnazione della delibera è inammissibile se trascorra, alla data della notifica dell'atto introduttivo, il termine di novanta giorni stabilito dall'art. 2377 c.c., decorrente dall'iscrizione nel registro delle imprese della delibera medesima, trattandosi di un termine previsto a pena di decadenza, che non patisce interruzioni né sospensioni.

In senso contrario, invece, Trib. Bari, ord. 4 giugno 2010, per il quale l'indubbia natura individuale dell'interesse presidiato dall'art. 2441 c.c. comporta che l'esclusione, la limitazione o comunque la violazione di tale diritto non siano sanzionate da nullità.

Secondo Trib. Catania, ord. 18 dicembre 1995, in caso di già avvenuta sottoscrizione da parte di terzi delle azioni vincolate al diritto di opzione dei soci di una s.p.a. è da escludere che con il solo atto unilaterale dei soci stessi possa perfezionarsi in loro favore la vicenda acquisitiva della partecipazione sociale, per cui solo una pronuncia avente contenuto di accertamento costitutivo da rendersi nei confronti dei terzi può costituire per i soci il “titolo” dell'acquisto della partecipazione illegittimamente assegnata a terzi.

Propende decisamente per una tutela esclusivamente risarcitoria Trib. Trieste, ord. 3 settembre 2002, secondo cui l'acquisto delle azioni inoptate, avvenuto in violazione del diritto di prelazione di cui al comma 3 dell'art. 2441 c.c., deve considerarsi valido ed efficace; la predetta violazione potrà dar luogo esclusivamente ad una tutela di tipo risarcitorio, senza tuttavia incidere sulla posizione dei terzi acquirenti in buona fede; perché la prelazione abbia efficacia reale è infatti necessario che abbia fonte legale e che sia espressamente previsto dalla legge il riscatto, quale rimedio per il caso di sua violazione; in difetto, la prelazione, ancorché prevista dalla legge, non potrà che assumere un contenuto obbligatorio: il suo mancato rispetto, come nel caso di cui all'art. 2441, comma 3, c.c., può dar titolo esclusivamente ad un'azione risarcitoria in favore del socio pretermesso, oltre che ad un'azione di responsabilità nei confronti degli amministratori. Non potendosi pertanto prospettare una statuizione di condanna alla restituzione delle azioni, ed escludendosi qualsiasi controversia in ordine alla proprietà o al possesso di azioni, risulta inaccoglibile il ricorso diretto ad ottenere il sequestro giudiziario delle azioni acquistate in violazione del diritto di prelazione.

La limitazione e l'esclusione del diritto di opzione.

I commi 4, 5 e 8 della norma in commento prevedono quattro casi in cui è consentito escludere o limitare il diritto di opzione.

I. Quando le azioni di nuova emissione «devono essere liberate mediante conferimenti in natura» (comma 4).

L'interesse della società a procurarsi da terzi determinati beni a titolo di conferimento è per legge valutato come prevalente rispetto all'interesse individuale dei soci alla sottoscrizione dell'aumento (Campobasso, 510).

Pur essendo l'interesse sociale oggetto di previa valutazione legislativa, non si è in presenza di una esclusione automatica del diritto di opzione, in quanto la sussistenza dell'interesse all'acquisizione del bene in natura deve essere dimostrata in concreto (Guerrera, 1177), come indirettamente risulta dal comma 6 della previsione in commento, dove è puntualizzato che sugli amministratori incombe l'obbligo di indicare le ragioni del conferimento in natura: in particolare, deve risultare la coerenza rispetto allo specifico programma di aumento di capitale di quel dato conferimento in natura (Ginevra, 2016, 2631).

La norma non fa riferimento al conferimento di crediti e perciò parte della dottrina esclude con riferimento a tale ipotesi la possibilità di escludere il diritto di opzione (Campobasso, 510), mentre altri autori l'ammettono, pur riconoscendo che l'eventualità di una loro peculiare strumentalità ad un dato piano di aumento di capitale appare più rara a verificarsi, dovendo trattarsi di crediti relativi a beni che la società non ha altro modo di procurarsi (Ginevra, 2016, 2631).

II. Quando «l'interesse della società lo esige» (comma 5).

Si discute se la società possa ricorrere al procedimento di esclusione soltanto quando sia “necessario” per la realizzazione dell'interesse sociale, cioè quando esso costituisca l'unico mezzo per soddisfare le esigenze della impresa ovvero se vi si possa ricorrere anche nell'ipotesi in cui l'esclusione rappresenti uno tra gli strumenti a disposizione, magari il più conveniente.

La prima tesi, diffusa nella letteratura più risalente (Rosapepe, 54), afferma che per la legittimità dell'esclusione del diritto di opzione, occorre che l'aumento di capitale con l'ingresso del terzo sia “operazione strettamente essenziale” alla realizzazione dell'interesse sociale e dunque di fatto necessaria per la sopravvivenza della s.p.a. (Trib. Roma, 23 marzo 1962 ha ritenuto necessaria ai fini dell'esclusione del diritto di opzione la presenza di uno “stato di necessità”); per la seconda visuale, ora prevalente, basta invece che la sottoscrizione dell'aumento di capitale ad opera del terzo sia preferibile rispetto ad eventuali altre prospettazioni, in vista del raggiungimento degli scopi sociali (Di Sabato, 452; Campobasso, 511).

In posizione per così dire intermedia vi è chi – premesso che l'interesse sociale rilevante come parametro di valutazione è l'interesse concreto e particolare in funzione del quale l'aumento di capitale è stato deliberato in tutta discrezionalità dall'assemblea – ritiene legittima l'esclusione del diritto di opzione soltanto se “necessaria” per la realizzazione del piano in vista del quale è stato deliberato l'aumento di capitale (Ginevra, 2013, 279); di conseguenza, non sarà possibile contestare la legittimità dell'esclusione del diritto di opzione allegando l'inopportunità del piano perseguito con l'aumento di capitale (salvo naturalmente il caso in cui il piano in parola sia strumentale ad un cd. abuso di maggioranza), ma non si potrà neppure sostenere la legittimità di tale esclusione sul semplice assunto della mera convenienza – ai fini della buona riuscita dell'aumento di capitale – del collocamento presso terzi delle azioni di nuova emissione, dovendo piuttosto dimostrarsi che quel piano impone necessariamente un tale collocamento esterno (Ginevra, 2016, 2630; Cottino, 522).

La Suprema Corte si è di recente occupata della questione afferente il significato dell'espressione "quando l'interesse sociale lo esige" sostenendo un'interpretazione che attenua il rigore della lettera della norma, ossia il riferimento all'esigenza che l'esclusione o la limitazione del diritto di opzione sia indispensabile e/o necessaria per il perseguimento dell'interesse sociale. Nella specie, secondo la Corte di legittimità, affinchè, ai sensi dell'art. 2441 c.c. sia consentito sacrificare il diritto di opzione attribuito al socio, non è necessario che tale sacrificio costituisca l'unico inderogabile mezzo per realizzare l'interesse della società, ma è sufficiente che, in presenza di un interesse di particolare natura ed intensità, nella scelta del modo di realizzare l'aumento di capitale la predetta soluzione appaia preferibile e ragionevolmente più conveniente. (Nella vicenda sottoposta alla cognizione della Suprema Corte la Cassazione ha confermato la sentenza della Corte d'appello la quale ha ravvisato un interesse della società a ridurre il termine legale per l'esercizio dell'opzione da trenta a ventuno giorni, avendo la società urgenza di provvedere, al pagamento del prezzo dovuto per l'acquisto all'asta di un compendio aziendale in quanto la perdita dell'acquisto avrebbe comportato un pregiudizio per la società acquirente, riducendone le potenzialità produttive. Cass. I n.3779/ 2019).

 È, peraltro, pacifico che l'accertamento circa la sussistenza dell'interesse sociale ex art. 2441 c.c. è rimesso al giudice del merito ed è incensurabile in sede di legittimità fatta salva la deduzione di un vizio di motivazione.

La giurisprudenza, infatti,  sottolinea la necessità, ai fini della legittima esclusione del diritto di opzione, di una motivazione non generica e tautologica, ma dotata di sufficiente concretezza, in modo da consentire al giudice non soltanto di prendere atto che è stato addotto un interesse sociale, ma anche di valutarne la sussistenza e la reale consistenza; in definitiva, tramite la motivazione, l'interesse sociale deve dimostrarsi effettivo e riconoscibile (Trib. Milano, 7 febbraio 2006; Trib. Salluzzo, 10 aprile 2001; >Trib. Verona, 22 luglio 1993).

È stata in passato dichiarata la nullità per illiceità dell'oggetto della delibera che esclude o limita il diritto di opzione quando la società non provi il particolare interesse sociale che tale esclusione o limitazione giustifica (Cass. n. 133/1987), ma tale orientamento è stato più di recente abbandonato, in base al rilievo che la nullità ricorre solo in caso di contrasto con norme poste a tutela d'interessi generali, mentre il contrasto con norme, anche cogenti, volte alla tutela dell'interesse dei singoli soci determina la semplice annullabilità della delibera (Cass. n. 1361/2011; Cass. 2670/2020).

La procedura da osservare per l'esclusione del diritto di opzione nei due casi sopra indicati (quando cioè sia deliberato l'aumento di capitale mediante conferimenti in natura ovvero quando l'interesse della società lo esige) prevede la predisposizione da parte degli amministratori di una relazione, «dalla quale devono risultare le ragioni dell'esclusione o della limitazione, ovvero, qualora l'esclusione derivi da un conferimento in natura, le ragioni di questo». Nella stessa relazione occorre indicare «i criteri adottati per la determinazione del prezzo di emissione», di modo che l'organo di controllo possa esprimere il proprio parere, che deve rimanere depositato presso la sede della società nei quindici giorni precedenti l'assemblea, circa la «congruità del prezzo di emissione delle azioni

».

La determinazione del prezzo non è peraltro libera, in quanto l'ultima parte del sesto comma detta una previsione intesa ad evitare l'annacquamento delle partecipazioni dei soci di fronte all'ingresso del terzo, il quale riceverebbe un indebito vantaggio là dove, per la presenza di riserve, la partecipazione acquisita fosse di valore significativamente superiore all'importo da lui versato per la sottoscrizione delle nuove azioni: la norma stabilisce così che «la deliberazione determina il prezzo di emissione delle azioni in base al valore del patrimonio netto, tenendo conto, per le azioni quotate nei mercati regolamentati, anche dell'andamento delle quotazioni nell'ultimo semestre

».

Ciò significa che, se il patrimonio netto risulta superiore al capitale, il prezzo di emissione conterrà un sovrapprezzo corrispondente alla differenza di valore fra patrimonio e capitale: alla società è però lasciato un margine di discrezionalità nella determinazione del relativo ammontare (Campobasso, 511) e ciò in quanto l'espressione usata («in base al valore del patrimonio netto») individua un criterio non rigido, che consente di tener conto non soltanto del patrimonio netto, ma anche di ulteriori elementi suscettibili di suggerire variazioni di prezzo (Ferrara, Corsi, 715).

I giudici di legittimità hanno chiarito che il sopraprezzo imposto ad ogni azione di nuova emissione in occasione di un aumento del capitale sociale trova la sua giustificazione nella differenza tra consistenza del patrimonio della società ed importo del capitale sociale ed ha la funzione di impedire il depauperamento del valore reale del titolo. L'importo del sopraprezzo è determinato nel momento in cui avviene l'emissione delle azioni e non nel momento in cui si conclude l'operazione di conferimento: a nulla rilevano perciò gli incrementi patrimoniali che derivano dall'aumento di capitale, in quanto essi sono destinati ad influenzare le future emissioni di azioni, ma non esplicano alcun effetto su quelle anteriori (Cass. n. 9523/2001).

Il Consiglio Notarile di Milano ha stabilito che, in occasione di aumenti di capitale con conferimenti in natura o di crediti o in denaro con esclusione o limitazione del diritto di opzione, non sia necessaria, ove vi sia il consenso unanime dei soci, la predisposizione della relazione degli amministratori e del parere di congruità del collegio sindacale né il rispetto dei criteri stabiliti dall'art. 2441, comma 6, c.c. per la determinazione del prezzo di emissione (massima XIV).

Analogamente il Comitato Interregionale dei Consigli Notarili del Triveneto (nella massima H.G.17) ha affermato che è legittimo deliberare all'unanimità, e con il consenso di tutti gli eventuali obbligazionisti convertibili, un aumento di capitale senza sovrapprezzo, ciò anche se sia escluso o limitato il diritto di opzione senza che sia ovviamente necessario rispettare la procedura di cui al sesto comma dell'art. 2441 c.c.

III. Quando lo preveda lo statuto nelle società con azioni quotate in mercati regolamentati.

Il legislatore della riforma ha introdotto una nuova ipotesi di esclusione statutaria parziale del diritto di azione per le società con azioni quotate nei mercati regolamentati, nelle quali è possibile, con apposita previsione, «escludere il diritto di opzione nei limiti del dieci per cento del capitale sociale preesistente, a condizione che il prezzo di emissione corrisponda al valore di mercato delle azioni

».

La norma si spiega con la considerazione che nelle società con azioni quotate, entro certi limiti, l'istituto del diritto di opzione non è indispensabile alla protezione degli interessi cui è in genere finalizzato, stante la pressoché totale surrogabilità dello strumento previsto dall'art. 2441 c.c. con la naturale possibilità del socio di uno spontaneo acquisto diretto, nel mercato regolamentato, delle azioni eventualmente necessarie al mantenimento della percentuale partecipativa ed alla salvaguardia del correlativo valore dell'investimento (Ginevra, 2016, 2637); e tale rilievo spiega pure perché il diritto di opzione può essere escluso soltanto entro il limite del dieci per cento del capitale preesistente, corrispondendo tale percentuale alla misura minima di flottante che il legislatore dà per presupposta in ogni società con azioni quotate in mercati regolamentati: in tale contesto, la previsione legale che impone la condizione «che il prezzo di emissione corrisponda al valore di mercato delle azioni» risponde all'esigenza di evitare, oltre che l'annacquamento del valore patrimoniale delle azioni, un artificiale impatto del collocamento delle nuove azioni sui correnti valori di listino (Ginevra, 2016, 2638).

Ove ricorra l'apposita previsione statutaria, l'esclusione del diritto di opzione non richiederà una specifica motivazione (Guerrera, 1178), essendo in questo caso la conformità all'interesse sociale della deliberazione presunta dalla legge (Benassi, 1652).

Il Consiglio Notarile di Milano nella massima n. 90 ha stabilito che la clausola statutaria che consenta l'esclusione del diritto di opzione nei limiti del dieci per cento del capitale preesistente possa essere introdotta con le normali maggioranze dell'assemblea straordinaria, anche contestualmente alla delibera di aumento di capitale con parziale esclusione del diritto di opzione: in tal caso, l'efficacia delle deliberazione di aumento di capitale resterà tuttavia subordinata all'iscrizione nel registro delle imprese sia della clausola che la consente, sia dell'aumento di capitale medesimo.

IV. Quando le azioni di nuova emissione siano offerte in sottoscrizione ai dipendenti.

L'ipotesi contemplata dall'ultimo comma della disposizione in commento è finalizzata al coinvolgimento dei dipendenti nella vita della società, nel presupposto che l'acquisto di una partecipazione al capitale di rischio da parte dei lavoratori possa costituire un incentivo per migliorarne la produttività (Guerrera, 1179).

Dopo le modifiche apportate al testo normativo dal d.lgs. n. 184/2012, la norma non fa più alcuna distinzione, in relazione ai quorum assembleari necessari, a seconda che l'offerta in parola concerna o meno una percentuale inferiore al quarto delle nuove emissioni, sì che qualunque sia la misura dell'eventuale offerta azionaria ai dipendenti – che riguardi una parte o la totalità dell'aumento di capitale – la disciplina è la stessa, potendosi con l'ordinaria maggioranza richiesta per le assemblee straordinarie prevedere tale destinazione soggettiva delle azioni di nuova emissione, anziché offrire le stesse in opzione.

L'opzione indiretta.

Non costituisce un caso di esclusione del diritto di opzione la c.d. opzione indiretta, che si concreta in una particolare modalità di esercizio dell'opzione: infatti, per collocare con più facilità i titoli ovvero per esigenze congiunturali la società emittente si avvale di intermediari autorizzati, i quali sottoscrivono l'aumento con l'obbligo di offrirlo agli azionisti della società senza pregiudicare in alcun modo il loro diritto di opzione: l'intermediario assume il rischio del mancato successo dell'offerta, sottoscrivendo le azioni per conto di altro soggetto, ancora da determinarsi, il quale assumerà su di sé gli effetti del negozio di sottoscrizione, secondo una dinamica simile a quella del contratto per persona da nominare, con la conseguenza che, nel caso di mancata sottoscrizione da parte degli opzionisti, l'intermediario diverrà a tutti gli effetti socio (Ginevra, 2016, 2640).

È fatto divieto all'intermediario, titolare medio tempore delle azioni sottoscritte, di esercitare il diritto di voto durante la detenzione delle azioni offerte azionisti e ciò al fine di evitare indebite interferenze dello stesso nella vita della società (Campobasso, 513); quanto ai diritti patrimoniali, la dottrina ritiene che debbano essere esercitati dall'intermediario a vantaggio degli azionisti e quindi con retrocessione in loro favore dei dividendi riscossi e della altre utilità medio tempore percepite (Campobasso, 513).

Il divieto del voto, disposto per la c.d. opzione indiretta dall'ultimo comma dell'art. 2441 c.c., non è previsto dalla direttiva UE 2017/1132 14 giugno 2017, relativa ad alcuni aspetti del diritto societario e nella quale è rifusa la c.d. seconda direttiva sulla formazione ed il mantenimento del capitale nelle società di tipo azionario. Il paragrafo 7 dell'art. 72 della direttiva stabilisce infatti che «non vi è esclusione del diritto d'opzione ai sensi dei paragrafi 4 e 5 quando, secondo la decisione sull'aumento del capitale sottoscritto, le azioni sono emesse a banche o altri istituti finanziari per essere offerte agli azionisti della società in conformità dei paragrafi 1 e 3 ».

  Una dottrina, peraltro, ha osservato che il divieto del voto di cui all'ultimo comma dell'art. 2441 c.c. può costituire un disincentivo alla sottoscrizione, evidenziando che tale ostacolo potrebbe essere superato senza interventi legislativi mediante l'emissione di strumenti finanziari partecipativi convertibili in azioni. E ciò con la precisazione che la possibilità di costruire operazioni dal risultato economicamente simile, ma giuridicamente differente rispetto a quello dell'opzione indiretta, e comunque idonee a raggiungere gli scopi voluti, deve operare, però, pur sempre nel rispetto della parità di trattamento, del divieto delle operazioni in conflitto di interessi e, più in generale, del divieto dell'abuso di diritto (SPOLIDORO).

Bibliografia

Benassi, Sub art. 2439, in Il nuovo diritto delle società, a cura di Maffei Alberti, Padova, 2005; Bianchi, Le operazioni sul capitale sociale, Padova, 1998; Campobasso, Diritto commerciale, 2, Diritto delle società, Torino, 2012; Cottino, Le società. Diritto commerciale, Padova, 1999; Di Sabato, Diritto delle società, Milano, 2005; Ferrara, Corsi, Gli imprenditori e le società, Milano, 2009; Frè, Delle società per azioni, in Comm. S.B., Bologna-Roma, 1972; Galgano, Diritto commerciale. Le società, Bologna, 2016; Ginevra, in Le società per azioni, diretto da Abbadessa, Portale, Milano, 2016; Ginevra, Le azioni. Creazione ed estinzione, in Diritto commerciale, a cura di Cian, Torino, 2013; Ginevra, Mancato rispetto del diritto di opzione nel collocamento delle azioni di nuova emissione e tutela del socio, in Banca, borsa, tit. cred. 1997, II, 591; Guerrera, in Società di capitali, Commentario, a cura di Niccolini, Stagno d'Alcontres, Napoli, 2004; Marchetti, Provvedimenti emergenziali (c.d. decreto “Semplificazioni”) ed aumento di capitale, in Riv. Soc., 4, 1165 ss.; Rosapepe, L'esclusione del diritto di opzione degli azionisti, Milano, 1988; Weigmann, La prelazione sui titoli inoptati, in Giur. comm. 1992, II, 612; Spolidoro, Nuove e diverse soluzioni di aumento del capitale e diritto di opzione in situazioni di emergenza, in Riv. Soc., 2, 2020, 406 ss..

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