Codice Civile art. 2479 bis - Assemblea dei soci (1).Assemblea dei soci (1). [I]. L'atto costitutivo determina i modi di convocazione dell'assemblea dei soci, tali comunque da assicurare la tempestiva informazione sugli argomenti da trattare. In mancanza la convocazione è effettuata mediante lettera raccomandata spedita ai soci almeno otto giorni prima dell'adunanza nel domicilio risultante dal registro delle imprese (2). [II]. Se l'atto costitutivo non dispone diversamente, il socio può farsi rappresentare in assemblea e la relativa documentazione è conservata secondo quanto prescritto dall'articolo 2478, primo comma, numero 2). [III]. Salvo diversa disposizione dell'atto costitutivo l'assemblea si riunisce presso la sede sociale ed è regolarmente costituita con la presenza di tanti soci che rappresentano almeno la metà del capitale sociale e delibera a maggioranza assoluta e, nei casi previsti dai numeri 4) e 5) del secondo comma dell'articolo 2479, con il voto favorevole dei soci che rappresentano almeno la metà del capitale sociale. [IV]. L'assemblea è presieduta dalla persona indicata nell'atto costitutivo o, in mancanza, da quella designata dagli intervenuti. Il presidente dell'assemblea verifica la regolarità della costituzione, accerta l'identità e la legittimazione dei presenti, regola il suo svolgimento ed accerta i risultati delle votazioni; degli esiti di tali accertamenti deve essere dato conto nel verbale. [V]. In ogni caso la deliberazione s'intende adottata quando ad essa partecipa l'intero capitale sociale e tutti gli amministratori e sindaci sono presenti o informati della riunione e nessuno si oppone alla trattazione dell'argomento. (1) V. nota al Capo VII. (2) Le parole «registro delle imprese» sono state sostituita alle parole «libro dei soci» dall'art. 16, comma 12 novies, del d.l. 29 novembre 2008, n. 185, conv., con modif., nella l. 28 gennaio 2009, n. 2. Ai sensi del comma 12 undecies del medesimo art. 16 del d.l. n. 185 del 2008, conv. con modif., dalla l. n. 2 del 2009, le disposizioni entrano in vigore il sessantesimo giorno successivo alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto. Entro tale termine, gli amministratori delle società a responsabilità limitata depositano, con esenzione da ogni imposta e tassa, apposita dichiarazione per integrare le risultanze del registro delle imprese con quelle del libro dei soci. InquadramentoIn un'ottica di valorizzazione dell'autonomia statutaria, il legislatore demanda all'atto costitutivo di determinare nella maniera più confacente alle aspettative dei soci i percorsi deliberativi assembleari, dettando una disciplina in larga parte suppletiva. La disciplina dell'assemblea dei soci è, dunque, nelle s.r.l., concentrata nel solo articolo in commento che tratta delle modalità di convocazione di essa, della rappresentanza dei soci, della costituzione dell'assemblea, dell'individuazione del presidente della riunione e dei compiti a lui demandati, dello svolgimento e dei quorum necessari per l'approvazione delle deliberazioni. Si tratta di una disciplina in più parti lacunosa che richiede all'interprete uno sforzo per riportare a sistema i singoli «frammenti» di norme contenute nella disposizione. I soggetti legittimati alla convocazione. L'applicazione analogica dell'art. 2367 c.c.La norma non indica i soggetti legittimati a convocare l'assemblea limitandosi a disciplinare le modalità di comunicazione dell'avviso. Prima della riforma del diritto societario del 2003, la disciplina della convocazione dell'assemblea di società a responsabilità limitata era ricavata sulla falsariga delle disposizioni in materia di società per azioni, mediante la tecnica dei rinvii alla disciplina della seconda. Una simile tecnica legislativa è stata però abbandonata dalla riforma la quale ha inteso predisporre, per tale tipo societario, un apparato normativo autonomo e, almeno tendenzialmente, autosufficiente. Nella mutata prospettiva, quindi, anche in materia di convocazione dell'assemblea della società a responsabilità limitata, la riforma ha rinunziato ad operare un rinvio alle norme dettate in materia della società azionaria disciplinando la materia in argomento attraverso l'art. 2479-bis c.c. Come correttamente osservato dalla dottrina (Cian, 59), il contenuto normativo dell'art. in commento si presenta estremamente generico e fortemente lacunoso, ma ciò trova una razionale spiegazione nella volontà del legislatore di ampliare in modo significativo gli spazi dell'autonomia statutaria alla quale è lasciata libertà nel definire, nel modo più consono al caso concreto, le tecniche di convocazione dell'assemblea, pur nel perimetro dei principî inderogabili che possono essere enucleati all'interno della normativa in commento. L'art. 2479-bis c.c. prevede le modalità di convocazione dell'assemblea (demandando all'atto costitutivo di determinare i modi di convocazione dell'assemblea dei soci, comunque tali da assicurare la tempestiva informazione sugli argomenti da trattare e prevedendo una disciplina suppletiva secondo la quale, in difetto di previsione statutaria, la convocazione è effettuata mediante lettera raccomandata spedita ai soci almeno otto giorni prima dell'adunanza nel domicilio risultante dal registro delle imprese), ma tace sulla questione dei soggetti legittimati ad attivare il procedimento che conduce alla riunione assembleare. Con specifico riferimento a tale ultimo aspetto, due sono le questioni, peraltro legate tra loro, che avevano impegnato la dottrina e la giurisprudenza successivamente alla riforma. In particolare, si discuteva, da una parte, sui soggetti legittimati a tale incombente (e, in particolare, se tale legittimazione spettasse in via esclusiva agli amministratori ovvero se fosse attribuita anche ai soci titolari di una determinata aliquota di capitale sociale ovvero ancora a tutti i soci indistintamente) e, dall'altra, sulla possibilità, in caso di inerzia da parte dei soggetti legittimati, di applicazione analogica a tali società dell'art. 2367 a mente del quale se gli amministratori o i sindaci non provvedono, il tribunale, ove il rifiuto risulti ingiustificato, può ordinare con decreto la convocazione dell'assemblea, designando la persona che deve presiederla. Le due questioni appaiono intrecciate tra loro in quanto, ad esempio, l'attribuzione diretta del potere di convocare l'assemblea ad ogni singolo socio escluderebbe in radice ogni ragione per riconoscere l'applicabilità analogica dell'art. 2367 c.c. alla società a responsabilità limitata (così, infatti, Salanitro, 79), mentre, al contrario, la restrizione della legittimazione a convocare l'assemblea ai soli amministratori imporrebbe di andare alla ricerca di sistemi che garantiscano una qualche forma di partecipazione dei soci di minoranza ai processi decisionali. Ovviamente, non può revocarsi in dubbio la legittimazione dell'organo amministrativo in quanto la convocazione costituisce un potere immanente nella stessa funzione gestoria. Si può, però, discutere se, in caso di amministrazione affidata a più persone e sempre in difetto di previsione statutaria apposita, la legittimazione spetti ai singoli amministratori ovvero agli amministratori congiuntamente e come frutto di una deliberazione collegiale. Il primo orientamento si fonda sulla base della lettera della norma di cui all'art. 2479 c.c. ove la facoltà di sollecitare la decisione dei soci su un determinato argomento viene espressamente riconosciuta a «uno o più amministratori» (così, Zanarone, 1315; Sanfilippo, 803, che precisa che il potere di convocazione può essere esercitato dal singolo amministratore nonostante l'inerzia o il diverso avviso della maggioranza degli altri amministratori; Mirone, 490; Carbonara, 86): tale tesi, che appare convincente, si fonda sulla considerazione che la disciplina della s.r.l. riconosce al singolo amministratore poteri particolarmente incisivi non solo nei rapporti tra gli organi sociali, ma anche nella scelta delle tecniche deliberative, essendo consentito a ciascun amministratore, una volta avviato il procedimento decisionale non collegiale, di invocare l'applicazione del metodo assembleare (Sanfilippo, 803). In tal senso, parte della giurisprudenza (Trib. Milano, 12 marzo 2007, in Soc., 2008, 1149; Trib. Milano, 18 gennaio 2007, in Giur. it., 2007, II, 1694; Trib. Milano, 14 gennaio 2005, in Giur. it., 2005, I, 524). L'orientamento che, invece, riserva all'organo amministrativo nel suo complesso il potere di convocare l'assemblea si fonda sul rilievo che l'art. 2487, secondo comma, c.c. – dettato in tema di scioglimento e liquidazione delle società di capitali e quindi applicabile anche alla società a responsabilità limitata – attribuisce a ciascun amministratore, in caso d'inerzia del consiglio, il mero potere d'invocare l'intervento vicario del tribunale. Una lettura sistematica della norma, secondo una simile impostazione, porterebbe ad escludere la legittimazione del singolo amministratore a convocare l'assemblea (in questo senso, Trib. Latina, 22 giugno 2004, in Soc., 2005, 93, in un caso, però, in cui l'atto costitutivo demandava il potere di convocazione all'«organo amministrativo»; Trib. Milano, 30 marzo 2009, in Giur. it. 2009, 2719; Trib. Milano, 19 dicembre 2008, in Giur. it. 2009, 1686). Parte della dottrina afferma del pari la competenza dell'organo amministrativo nel suo complesso ( Pecoraro, 646).Come accennato, in ragione del tenore letterale degli artt. 2479 e 2479-bis, appare preferibile la prima ricostruzione: saranno legittimati a convocare l'assemblea i singoli amministratori. La dottrina e la giurisprudenza si sono, poi, interrogate sulla possibilità di partecipazione dei soci alla fase di avvio del procedimento di convocazione dell'assemblea. Alla ricerca di meccanismi che consentano di offrire, a fronte dell'ostruzionismo degli amministratori – in particolare ove essi siano espressione del socio maggioritario – una tutela al socio di minoranza, il pensiero è subito corso alla possibile applicazione (analogica) dell'art. 2367. Il mancato richiamo o la mancata ripetizione della disciplina di cui all'art. 2367 c.c. costituirebbe, in questa prospettiva, una vera e propria lacuna che giustificherebbe l'applicazione analogica della norma (in questo senso, Pecoraro, 647; Cian, 61). Così, in giurisprudenza, App. Napoli, 20 maggio 2005, in Giur. comm., 2006, II, 646; Trib. Brescia, 8 marzo 2005, in Giur. comm., 2006, II, 328; Trib. Verona, 20 luglio 2004, in Vita Not. 2005, 308. In senso contrario, si è però osservato che la disciplina della convocazione dell'assemblea non presenta alcuna lacuna normativa da colmare attraverso il ricorso al procedimento analogico, in quanto il legislatore ha inteso, sul punto, predisporre una disciplina autonoma ed autosufficiente costruita sulla base del principio della centralità del socio e della partecipazione di questi ai processi decisionali (Sanfilippo, 804). D'altra parte, l'impossibilità di fare ricorso all'applicazione analogica dell'art. 2367 c.c. è stata argomentata anche sulla base del carattere eccezionale della norma (in giurisprudenza, App. Lecce, 23 giugno 2005, in Foro it. 2006, I, 1549; Trib. Roma, 30 novembre 2004, in Vita not. 2005, 1, 314). Sotto un ultimo profilo, è stato osservato che predicare l'applicabilità analogica dell'art. 2367 c.c. alla società a responsabilità limitata comporterebbe l'applicabilità, a questo tipo di società, di una disciplina più gravosa e penalizzante per il singolo socio rispetto alla disciplina della società azionaria. Infatti, integrando la disciplina con l'applicazione dell'art. 2367 c.c. si finirebbe per ammettere un significativo innalzamento della soglia soggettiva, dal momento che sarebbero legittimati a ricorrere al tribunale i soci titolari di un terzo del capitale sociale e non già quelli titolari di un decimo come avviene per le società per azioni (Iezzi, 180, la quale osserva che si tratterebbe di un risultato paradossale, dal momento che l'esigenza di una interpretazione analogica sorge dalla necessità di sanare una sperequazione). La apparente lacuna contenuta nell'art. 2479-bis c.c. può essere colmata attraverso una autointegrazione delle norme che disciplinano questa fase del procedimento assembleare all'interno della società a responsabilità limitata. E tale autointegrazione passa attraverso la valorizzazione del ruolo centrale assunto dai soci all'interno di tale tipo societario a seguito della riforma del diritto societario, valorizzazione che si evidenzia tanto dalla possibilità, prevista dal precedente art. 2479 in favore dei soci che rappresentino almeno un terzo del capitale sociale di sottoporre all'approvazione dei soci taluni argomenti quanto dai penetranti poteri di controllo di cui godono i soci in tale modello societario. In questo senso si è orientata la giurisprudenza di merito, secondo la quale non sussiste, nella società a responsabilità limitata, la possibilità di convocare l'assemblea con provvedimento del tribunale e su richiesta della minoranza, essendo stato soppresso ogni richiamo alla corrispondente disciplina in materia di società azionaria né potendosi ricorrere all'analogia in mancanza di un vuoto normativo (Trib. Roma, 22 settembre 2016; Trib. Milano, 10 novembre 2014, in www.giurisprudenzadelleimprese.it; Trib. Milano, 7 maggio 2012, in Soc. 2012, 837, che ha ritenuto l'art. 2367 estraneo al sistema della società a responsabilità limitata, sottolineando che il suo richiamo «finirebbe per svalutare l'abrogazione del precedente art. 2486 c.c.»; Trib. Novara, 21 aprile 2009, in Giur. comm. 2010, II, 861; App. Lecce, 23 giugno 2005, in Foro it. 2006, 1, 1549). La convocazione dell'assemblea da parte del socio titolare di un terzo del capitale socialeEsclusa l'applicabilità analogica dell'art. 2367 c.c. alle società a responsabilità limitata e considerato che tale esclusione potrebbe condurre ad una paralisi della vita societaria ove la richiesta di convocazione da parte di una determinata aliquota del capitale sociale (si pensi al caso delle società pariteticamente partecipate) incontrasse l'inerzia ostruzionistica dell'amministratore, la giurisprudenza è andata alla ricerca di «meccanismo alternativo» – fondato sull'autointegrazione della disciplina del tipo societario – che possa rappresentare un giusto contemperamento degli interessi. E tale meccanismo viene ad essere correttamente individuato nel riconoscere il potere di convocare l'assemblea al socio che sia titolare di un terzo del capitale sociale. È stato, così, autorevolmente affermato che, il potere di convocare l'assemblea, in caso di inerzia dell'organo di gestione, deve riconoscersi, nel silenzio della legge e dell'atto costitutivo, ai soci che rappresentino almeno un terzo del capitale sociale, stante, da un lato, il mancato richiamo, nella disciplina di tali società, dell'art. 2367 c.c., dettato per le società per azioni e non applicabile in via analogica, attesa la forte differenza tra i due tipi societari, e, dall'altro, l'inutilizzabilità dell'art. 2487 c.c., in quanto relativo alla nomina e revoca non degli amministratori ma dei liquidatori (Cass. n. 10821/2016). La soluzione della giurisprudenza di legittimità scioglie così, in maniera condivisibile, i problemi interpretativi causati dal silenzio del codice, problemi interpretativi che, in passato, avevano dato vita a tre distinti orientamenti. Rimasta isolata la tesi più restrittiva che attribuiva la possibilità di convocare l'assemblea esclusivamente all'organo gestorio (in questo senso, Guizzi, 1009 ss.), secondo altro orientamento dottrinario (in questo senso, Rordorf, 1204; così, anche Salanitro, 78), la legittimazione a convocare l'assemblea spetterebbe a ciascun socio, indipendentemente dalla sua partecipazione al capitale della società. Non osterebbe, infatti, ad una simile conclusione il richiamo contenuto nel primo comma dell'art. 2479 c.c., che attribuisce soltanto ai soci titolari di almeno un terzo del capitale sociale il potere di provocare decisioni su materie non indicate nell'atto costitutivo, poiché tale disposizione sarebbe volta più a definire l'ambito di competenza dell'organo decidente che non ad individuare a chi competa dare impulso al procedimento di decisione. In senso contrario, si è però osservato che il legislatore, quando ha inteso attribuire un particolare potere individuale al singolo socio, lo ha fatto in modo espresso con la conseguenza che il silenzio in punto di legittimazione a convocare l'assemblea appare significativo (così, Sanfilippo, 802, che cita gli esempi degli artt. 2373, 2476, commi 2, 3 e 6, 2479, comma 5, 2479-ter e 2481-bis). Scartata anche l'idea di una legittimazione «diffusa» ad intraprendere l'iniziativa per la convocazione, non resta che ricercare la soluzione nel primo comma dell'art. 2479 e, quindi, nell'attribuzione della legittimazione al socio titolare di un terzo del capitale sociale. E il richiamo all'art. 2479 c.c. è idoneo a sciogliere anche un ulteriore dubbio: la norma è, infatti, chiara nel prevedere che i soci titolari di un terzo del capitale sociale possano «sottoporre» l'argomento alla decisione dei soci e non solo «richiedere» che ciò avvenga (così, Mirone, 94). Infatti, se tale potere di sottoposizione diretta è previsto per le materie non rimesse dalla legge o dall'atto costitutivo alla competenza dei soci, esso deve essere riconosciuto a fortiori per queste ultime, sicché è corretto ritenere che, pur con formulazione tecnicamente discutibile, la legge abbia inteso proprio stabilire una regola generale di legittimazione attiva per le decisioni dei soci. In altre parole, l'attribuzione, di cui all'art. 2479 c.c., ai soci di società a responsabilità limitata, rappresentanti un terzo del capitale sociale, di sottoporre argomenti alla discussione dell'assemblea dei soci, comporta altresì, per via estensiva, il potere di convocazione diretta dell'assemblea su quegli stessi argomenti (Mirone, 494). Questa tesi trova il riscontro della più recente giurisprudenza di merito (Trib. Roma, 22 settembre 2016; Trib. Milano, 27 giugno 2014, in Giur. comm. 2016, II, 175; Trib. Milano, 12 marzo 2013, in Soc. 2013, 791; Trib. Milano, 27 giugno 2014, in Foro it. 2014, I, 3315; Trib. Novara, 21 aprile 2009, in Giur. comm. 2010, II, 861). Si discute se l'autonomia statutaria possa escludere in radice la legittimazione dei soci e concentrare il potere di convocazione dell'assemblea nelle mani degli amministratori così accentuando il profilo capitalistico della società. Una parte della dottrina è su posizioni favorevoli (in particolare, Sanfilippo, 806). Mentre la giurisprudenza di merito ha precisato che il potere dei soci qualificati di convocare l'assemblea sussiste anche nel caso in cui lo statuto ne demanda la convocazione al solo organo gestorio, tenuto conto che la disposizione di cui all'art. 2479, comma 1, c.c. costituisce regola di garanzia inderogabile, e che il rinvio ivi previsto all'atto costitutivo per la disciplina dei «modi di convocazione dell'assemblea» appare piuttosto riferibile alle sole modalità di convocazione in senso stretto, in quanto destinate ad assicurare la tempestiva comunicazione degli argomenti da trattare (mezzo di comunicazione, termini, ecc.), come denotato dalla disciplina contenuta nella seconda parte dello stesso primo comma, che regola appunto tali strette modalità per l'ipotesi di silenzio dell'atto costitutivo (Trib. Milano, 10 novembre 2014, in www.giurisprudenzadelleimprese.it, che richiama, in termini, Trib. Milano 11 novembre 2013; Trib. Roma, 22 settembre 2016, cit.). L'orientamento della giurisprudenza di merito appare meritevole di seguito anche in ragione della esclusione della possibilità, per il socio di minoranza, di ricorrere al tribunale perché disponga la convocazione: infatti, ove lo statuto riservasse il potere di convocazione dell'assemblea all'organo gestorio, il socio di minoranza qualificata non avrebbe alcuno strumento di tutela a fronte dell'inerzia o dell'ostruzionismo dell'amministratore (spesso di diretta espressione del socio di maggioranza). Segue. I limiti all'esercizio del potere dei soci di convocare l'assembleaSe i soci titolari di un terzo del capitale sociale sono, dunque, legittimati a procedere alla convocazione diretta dell'assemblea, tale legittimazione non può, tuttavia, dirsi esente da limiti (sul punto, Romano, par. 6). La già menzionata Cass. n. 10821/2016 ha avuto cura di specificare che il riconoscimento del potere di convocazione dell'assemblea da parte del socio titolare di un terzo del capitale sociale si riferisce al «caso di inerzia dell'organo di gestione». Conseguentemente, il potere del socio (o dei soci) non è un potere libero, ma condizionato che trova il proprio presupposto legittimante nella inerzia degli amministratori. Nella giurisprudenza di merito, si è talvolta evidenziato che il potere del socio di convocare in via diretta l'assemblea, in quanto connaturato allo stesso status di socio, sarebbe concorrente e sussidiario a quello dell'organo amministrativo (Trib. Milano, 10 novembre 2014, in giurisprudenzadelleimprese.it; Trib. Milano, 12 marzo 2013, cit.). La conclusione non sembra del tutto condivisibile ove per potere concorrente si intenda che il suo esercizio possa effettivamente prescindere tanto da una preventiva richiesta avanzata dal socio legittimato all'amministratore quanto dall'effettivo comportamento omissivo di quest'ultimo. Al contrario, ciò che legittima il socio ad attivare il proprio potere (connaturato, questo sì, al suo status) di procedere direttamente alla convocazione dell'assemblea è, comunque, l'inerzia dell'amministratore e la valutazione dell'inerzia presuppone, a sua volta, che il socio abbia sollecitato l'esercizio del relativo compito all'organo gestorio (Trib. Roma, 22 settembre 2016, cit.; Trib. Roma, 3 novembre 2017). D'altra parte, appare del tutto evidente come immaginare l'effettiva concorrenza dei poteri tra soci ed amministratori porterebbe alla paralisi della vita societaria in quanto aprirebbe la strada alla possibilità di svolgimento di assemblee sostanzialmente «parallele» con grave nocumento per l'ordinato svolgersi dei processi decisionali della società. In conclusione, il potere dei soci (titolari di un terzo del capitale sociale) di convocare l'assemblea è subordinato alla ricorrenza del presupposto dell'inerzia dell'organo gestorio. Per converso, una volta che il socio abbia convocato, a seguito del comportamento omissivo dell'organo gestorio, l'assemblea, gli amministratori non potranno procedere a revocare la convocazione medesima. Ciò merita, però, una ulteriore precisazione. Al caso di inerzia dell'amministratore deve equipararsi l'ipotesi di uso non confacente agli interessi della società e del socio richiedente. In particolare, ove, a fronte della richiesta del socio, l'amministratore abbia sì convocato l'assemblea, ma ad una data significativamente lontana nel tempo e ciò non risulti razionalmente spiegabile con le esigenze della società, deve ritenersi che sia legittima la convocazione diretta da parte del socio ad una data più ravvicinata. Parimenti, si può immaginare un intervento diretto del socio titolare di almeno un terzo del capitale sociale sull'ordine del giorno, qualora l'amministratore non abbia inserito uno o più argomenti indicati nella legittima richiesta del socio. Un ulteriore limite al potere del socio deve essere rinvenuto nell'ultimo comma dell'art. 2475 c.c., che demanda «in ogni caso» alla competenza dell'organo amministrativo la redazione del bilancio e dei progetti di fusione o scissione. In tali casi, infatti, la convocazione diretta dell'assemblea da parte del socio appare razionalmente inconciliabile con la riserva, in capo agli amministratori, della proposta sulla quale l'assemblea dovrebbe deliberare con la conseguenza che la convocazione da parte del socio non sarebbe comunque idonea a porre rimedio all'inerzia dell'amministratore in punto (non già di convocazione dell'assemblea, ma) di predisposizione della proposta (sul punto, Sanfilippo, 806; Mirone, 494). Le modalità di convocazione. La spedizione della raccomandata.L'art. in commento prevede, poi, che l'atto costitutivo determina i modi di convocazione dell'assemblea dei soci, tali comunque da assicurare la tempestiva informazione sugli argomenti da trattare. In mancanza la convocazione è effettuata mediante lettera raccomandata spedita ai soci almeno otto giorni prima dell'adunanza nel domicilio risultante dal libro dei soci. Costituiva oggetto di dibattito stabilire se dovesse attribuirsi rilevanza decisiva, ai fini della validità ed efficacia della convocazione del socio avente diritto a partecipare all'adunanza, alla sola spedizione dell'avviso (nel domicilio indicato nel registro delle imprese) entro il termine fissato dall'atto costitutivo o dalla legge; o se, ai medesimi fini, fosse altresì rilevante la circostanza che l'avviso, spedito nel rispetto del suddetto termine, sia poi effettivamente giunto a destinazione in tempo utile per consentire al socio la partecipazione all'assemblea. Sul punto, sono intervenute le sezioni unite le quali, esclusa preliminarmente la possibilità di applicare analogicamente le disposizioni dettate per la società per azioni non essendovi alcuna lacuna normativa da colmare per avere dettato il legislatore una disciplina completa ed autonoma, hanno affermato che, salvo che l'atto costitutivo della società a responsabilità limitata non contenga una disciplina diversa, deve presumersi che l'assemblea dei soci sia validamente costituita ogni qual volta i relativi avvisi di convocazione siano stati spediti agli aventi diritto almeno otto giorni prima dell'adunanza (o nel diverso termine eventualmente in proposito indicato dall'atto costitutivo), ma tale presunzione può essere vinta nel caso in cui il destinatario dimostri che, per causa a lui non imputabile, egli non abbia affatto ricevuto l'avviso di convocazione o lo abbia ricevuto così tardi da non consentirgli di prendere parte all'adunanza, in base a circostanze di fatto il cui accertamento e la cui valutazione in concreto sono riservati alla cognizione del giudice di merito (Cass.S.U., n. 23218/2013). In questo senso anche la dottrina, la quale, facendo leva sul principio di correttezza, conclude che rimane viziato il procedimento in cui l'avviso di convocazione, ancorché tempestivamente spedito, risulti pervenuto tanto a ridosso dell'assemblea da non consentire al destinatario di parteciparvi (Sanfilippo, 810; Mirone, 489; Cian, 64; contra, Zanarone, 1323 secondo il quale è sufficiente la spedizione nel termine di almeno otto giorni senza che rilevi la data del ricevimento e ciò in considerazione, da un lato, che se il legislatore avesse inteso privilegiare quest'ultima lo avrebbe fatto espressamente e, dall'altra, che devono ritenersi prevalere le esigenze di certezza nello svolgimento dell'attività sociale rispetto a quelle di informazione). In altre parole, la tempestiva spedizione dell'avviso renderà esenti gli amministratori da responsabilità, ma non potrà garantire la valida costituzione dell'assemblea quando, per qualche disservizio anche indipendente dal comportamento dei soggetti coinvolti, l'avviso sia giunto tardivamente ai destinatari (Carbonara, 84). Ovviamente, alla luce dell'ampia autonomia lasciata ai privati, saranno ammissibili clausole statutarie che riferiscano il termine di convocazione al ricevimento della raccomandata e non alla sola spedizione (Carbonara, 85). Il domicilio al quale inviare l'avviso di convocazione deve essere quello risultante dal registro delle imprese: tuttavia, qualora la società fosse a conoscenza dell'intervenuta variazione non ancora formalmente iscritta, il canone di correttezza dovrebbe imporre la comunicazione dell'avviso presso il nuovo indirizzo (Sanfilippo, 809). Si ritiene, peraltro, che sempre per il medesimo principio, il socio-destinatario dell'avviso, consapevole aliunde della convocazione, non potrebbe invocare l'eventuale irregolarità dell'avviso quale vizio inficiante la convocazione (Sanfilippo, ibidem). La giurisprudenza di merito ha avuto modo di affermare che, poiché le disposizioni contenute nel d.P.R. 11 febbraio 2005, n. 68, consentono l'equiparazione tra missiva raccomandata con ricevuta di ritorno e messaggio di posta elettronica certificata, l'invio di un messaggio di posta elettronica certificata soddisfa i requisiti di forma richiesti dall'art. 2479-bis c.c. per la convocazione dell'assemblea di una società di capitali (Trib. Roma, 31 luglio 2015, in Giur. it. 2016, 638, che ha precisato, altresì, che il principio espresso opera indipendentemente dal fatto che l'indirizzo del socio non sia rinvenibile nel registro delle imprese). Il contenuto dell'avviso di convocazione ed i suoi destinatari.Il contenuto dell'avviso di convocazione – da spedirsi ai soci ed agli altri titolari del diritto di intervento (Zanarone, 1370) – è finalizzato ad assicurare la tempestiva informazione sugli argomenti da trattare. Esso dovrà, quindi, contenere l'indicazione: 1) del giorno e dell'ora dell'adunanza (Zanarone, 1326); 2) del luogo dell'adunanza che coinciderà normalmente con la sede legale salvo che l'atto costitutivo non preveda diversamente (art. 2479 bis comma 3); 3) dell'ordine del giorno costituito da un elenco delle materie da trattare. Si tratta di indicazioni a carattere minimale (Mirone, 489; Zanarone, 1326) la cui carenza implica l'invalidità della conseguente deliberazione ex art. 2479-bis, comma 1, e non già ai sensi del terzo comma della medesima disposizione, non implicando una ipotesi di «carenza assoluta di informazione» (Sanfilippo, 811). Quanto al luogo della convocazione, esso potrà essere anche diverso dalla sede legale, ma pur sempre nell'ambito del medesimo comune (Sanfilippo, 811, che ricava una simile conclusione dal fatto che l'art. 2463, comma 2, n. 2, richiede, come indicazione dell'atto costitutivo di s.r.l., il comune ove è posta la sede sociale). È dubbia la validità di una clausola statutaria che non determinasse neppure il comune di svolgimento dell'assemblea (per la negativa, Sandrelli, 997; in senso favorevole, Cian, 69 che ritiene legittima la clausola che rimetta ai soggetti deputati la facoltà di scegliere il luogo di svolgimento all'interno dell'intero territorio nazionale). Con riferimento all'ordine del giorno, l'enunciazione di esso nell'avviso di convocazione dell'assemblea dei soci di una società ha la duplice funzione di rendere edotti i destinatari circa gli argomenti sui quali essi dovranno deliberare, al fine di consentire la loro partecipazione all'assemblea con la necessaria preparazione ed informazione, e di evitare che sia sorpresa la buona fede degli assenti, con riguardo a materie non incluse nell'ordine del giorno: inoltre, l'ordine del giorno delimita la competenza dell'assemblea, salvo che questa sia totalitaria, impedendo che si possa deliberare su argomenti ulteriori e diversi. L'ordine del giorno, quindi, può assolvere tale funzione soltanto se ha un sufficiente grado di specificità. A tal fine, si evidenzia, in giurisprudenza, che non è necessaria l'indicazione particolareggiata delle materie da trattare, ma è sufficiente una indicazione sintetica, purché chiara e non ambigua, specifica e non generica (cfr., Cass. n. 3535/1990). Questo requisito, dunque, non può che essere valutato caso per caso, indagando se le indicazioni contenute nell'avviso di convocazione siano in concreto tali da rendere i soci sufficientemente edotti degli argomenti da trattare. In linea generale, dovrebbe ritenersi insufficiente la mera indicazione, ad es., di «modifiche statutarie» senza alcuna indicazione degli articoli interessati dalla modifica (Salvatore, 633; Rordorf, 1204; Cian, 64). Peraltro, la norma – richiedendo che le modalità di convocazione siano idonee ad assicurare la tempestiva informazione del destinatario – sembra implicare l'inammissibilità di convocazioni verbali o presso l'albo della sede sociale ovvero ancora la pubblicazione in quotidiano a diffusione locale distante dalla sede sociale (Sanfinlippo, 814). Quanto ai destinatari della convocazione, dovranno essere convocati i soggetti che hanno diritto di intervenire in assemblea. Saranno convocati i soci il cui nominativo risulta iscritto nel registro delle imprese con esclusione dei soci morosi (art. 2466, comma 4); i titolari di diritti frazionari di godimento o garanzia (art. 2471-bis); il rappresentante comune (art. 2468 u.c.) (Sanfilippo, 812; Carbonara, 89). Secondo un orientamento, posto che l'art. 2479-bis u.c. dispone che, in ogni caso, la deliberazione s'intende adottata quando ad essa partecipa l'intero capitale sociale e tutti gli amministratori e sindaci sono presenti o informati della riunione e nessuno si oppone alla trattazione dell'argomento, gli amministratori ed i sindaci non dovrebbero essere formalmente convocati all'assemblea, essendo sufficiente una generica informativa (Magliulo, 363). L'orientamento maggioritario, tuttavia, ritiene che non è corretto desumere dalla disciplina dell'assemblea totalitaria le modalità di convocazione, perché la prima prescinde dalla convocazione anche dei soci (Carbonara, 88; Benazzo, 429). Quindi, nell'ipotesi in cui l'assemblea sia stata convocata da un singolo amministratore o dai soci che rappresentano un terzo del capitale sociale, l'avviso deve essere inviato anche ad amministratori e sindaci. La convocazione dell'assemblea è, poi, revocabile, nelle stesse forme previste per l'emanazione dell'avviso, salvo l'ipotesi di convocazione «obbligatoria» (Sanfilippo, 813; Cian, 68): la revoca, che non deve essere subordinata alla sussistenza di un ragionevole motivo, avrà in ogni caso effetto interruttivo del procedimento, quand'anche in concreto ingiustificato (Cian, 68). La rappresentanza in assemblea.Il socio può farsi rappresentare in assemblea e, in tal caso, la relativa documentazione è conservata nel libro delle decisioni dei soci (art. 2479-bis comma 2). La norma fa salva una diversa disposizione dell'atto costitutivo che, dunque, potrà limitare la rappresentanza in assemblea ovvero anche escluderla del tutto. In questa prospettiva, lo statuto potrebbe riconoscere il voto per delega solo per particolari categorie di decisioni ovvero fissare specifici requisiti soggettivi o oggettivi prevedendo, ad es., che la delega sia conferibile solo ad altri soci ovvero indicando il numero massimo di socio rappresentabili dalla medesima persona (così, Cian, 75). La necessità della forma scritta della procura si ricava indirettamente dalla necessità di conservare la documentazione ad essa relativa nel libro delle decisioni dei soci: si afferma che la solennità della forma, nel contesto azionario, è radicabile in esigenze probatorie e di corretto svolgimento dei lavori assembleari che si riproducono in eguale misura anche nella s.r.l. (Cian, 74). Secondo altri, si tratta di una forma impostaad probationem rispondente all'esigenza di attuare un successivo controllo sui requisiti di legittimazione degli intervenuti (Sanfilippo, 817; Magliulo, 367). La delega potrà essere conferita ad un amministratore (Cian, 75; Sanfilippo, 817) in quanto, nella società a responsabilità limitata nella quale non sussiste una forte cesura tra soci ed amministratori, non si riscontrano le necessità poste a base del divieto configurato per la società per azioni (art. 2372, comma 5). Sembra, invece, illegittima la delega affidata ad un sindaco e ciò al fine di preservare l'integrità delle funzioni di controllo a questi affidate (Sanfilippo, 817; Mirone, 496, nt. 52). Non esistendo alcun limite temporale (ove non previsto dall'atto costitutivo), il potere di rappresentanza potrà essere affidato anche con riferimento ad una pluralità indeterminata di assemblee (Cian, 76). Secondo la prassi notarile, l'atto costitutivo o lo statuto della s.r.l. possono disciplinare la facoltà del socio di farsi rappresentare in assemblea, sia per escluderla del tutto, sia determinando ampiezza, limiti, requisiti e forma della delega, non essendo applicabile l'art. 2372 c.c. e salve le norme di diritto comune in tema di rappresentanza. Pertanto, in assenza di espressi divieti contenuti nell'atto costitutivo o nello statuto, il socio di una s.r.l. può delegare un componente dell'organo amministrativo o di controllo o un dipendente della società o una società da questa controllata o un componente dell'organo amministrativo o di controllo o un dipendente di questa (Consiglio notarile Milano, massima n. 63). La delega è poi sempre revocabile, nonostante ogni patto contrario: deve, infatti, prevalere il principio della libertà di voto (Cian, 75). Il presidente dell'assemblea.Il quarto comma dell'articolo in commento, da una parte, affida la presidenza al soggetto indicato nell'atto costitutivo ovvero, in mancanza a quello designato dagli intervenuti e, dall'altro, elenca i poteri ed i doveri del presidente dell'assemblea. Il presidente ha il compito non solo di verificare la regolarità della costituzione dell'assemblea, l'identità e la legittimazione degli intervenuti, ma anche di regolare lo svolgimento dell'adunanza e di accertare i risultati delle votazioni: attività, queste, di cui si deve dar conto nel verbale (Zanarone, 1342). Quanto alla designazione del presidente, essa seguirà la regola di cui all'art. 2371 secondo la quale, ove non indicato nello statuto, il presidente dovrà essere eletto con il voto della maggioranza dei presenti. Si discute, però, in ordine alle modalità con le quali deve avvenire questa elezione: secondo l'orientamento che appare meritevole di seguito, la designazione deve essere decisa «per teste» in quanto, al momento della designazione del presidente, non è stata ancora verificata la legittimazione ad intervenire e, dunque, non può procedersi a calcolare una maggioranza sulla base delle partecipazioni al capitale (Zanarone, 1343, nt. 73; Sanfilippo, 819; contra, Cian, 88, secondo il quale la designazione avviene attraverso una decisione dei soci che deve essere assunta con le maggioranze previste dalla prima parte dell'art. 2479-bis, comma 3). Peraltro, sarà lo stesso presidente così nominato a dovere procedere alla verifica del quorum costitutivo e del quorum deliberativo della deliberazione che lo ha designato (Zanarone, 1343). Per quanto attiene ai poteri del presidente indicati dalla norma (verificare la regolarità della costituzione, accertare l'identità e la legittimazione dei presenti, regolare il suo svolgimento, accertare i risultati delle votazioni), si ritiene che derivino direttamente dalla legge e non dall'assemblea che, conseguentemente, non può incidere su di essi, limitandoli (Salvatore, 639, Sanfilippo, 819). Si è così affermato che l'articolo in esame assegna al presidente poteri originari, inderogabili che gli consegnano un vero e proprio potere decisionale che può essere posto nel nulla soltanto dall'autorità giudiziaria, adita con l'impugnazione della deliberazione (Salvatore, 640). Non è richiesta la individuazione di un segretario. Il verbale.Pur mancando per le società a responsabilità limitata una specifica disciplina della verbalizzazione, non si dubita della necessarietà che gli accadimenti svoltisi nell'ambito della riunione debbano trovare riscontro in un verbale (Benazzo, 429; Carbonara, 92). Ad esso, infatti, fanno riferimento l'art. 2478, comma 2 che impone la trascrizione del verbale nel libro delle decisioni dei soci, l'art. 2480 che rende obbligatoria la redazione del verbale da parte di un notaio nel caso di modificazioni dell'atto costitutivo e la norma in commento che prevede che il verbale debba dar conto degli esiti degli accertamenti compiuti dal presidente. Attesa l'assoluta identità di ratio, poi, la dottrina ritiene applicabile, in via analogica, l'art. 2375 che specifica il contenuto del verbale dell'assemblea (Cian, 94; Salvatore, 642), senza possibilità di procedere ad una verbalizzazione sintetica. Al più, in ragione del minore affollamento dell'assemblea di società a responsabilità limitata, è possibile fare a meno della figura del segretario (Cian, ibidem). Dovranno essere indicati nel verbale i nominativi dei soci intervenuti e l'ammontare delle quote nella titolarità di ciascuno e l'identificazione del voto espresso dai singoli soci. L'art. 2375 c.c., nel richiedere un «allegato», esige non solo la presenza del documento scritto che presenti un contenuto idoneo ad integrare le dichiarazioni presenti nel verbale (con riferimento alle indicazioni circa i partecipanti, le rispettive quote di capitale rappresentate, soci favorevoli, assenti o dissenzienti), ma, altresì, che tale documento faccia corpo col verbale costituendone parte integrante. Ciò si verifica solo ove il foglio di presenze sia espressamente richiamato nel predetto verbale, o quantomeno materialmente inserito, accluso, allo stesso (Cass. n. 603/2017). Ancora, l'art. 2375 è applicabile anche alle s.r.l. nella parte in cui ammette una non contestualità della verbalizzazione che dovrà comunque avvenire senza ritardo, nei tempi necessari per la tempestiva esecuzione degli obblighi di deposito o di pubblicazione (Carbonara, 92, nt. 197; Sandrelli, 1008, il quale nota che anche la decisione degli amministratori di aumentare il capitale sociale deve risultare da verbale redatto dal notaio «senza indugio» e non contestualmente). Il verbale deve essere, poi, sottoscritto dal verbalizzante. Nella giurisprudenza di merito, si è affermato che devono risultare dal verbale assembleare ovvero da altro documento conservato presso la sede sociale i nominativi dei soci presenti in assemblea personalmente o per delega e le relative quote (Trib. Padova, 25 febbraio 2005, in Giur. comm., II, 451). È illegittima, e deve dunque essere annullata, la delibera assunta dall'assemblea di una società a responsabilità limitata, il cui verbale, contravvenendo al disposto dell'art. 2375, non consente di conoscere i nominativi dei soci presenti né il voto espresso da ciascuno di essi in merito all'argomento posto all'ordine del giorno (Trib. Roma, 31 marzo 2017, in Giur. it., 2018, 141). Devono, infatti, applicarsi analogicamente le norme di cui all'art. 2375: pertanto, anche la giurisprudenza di legittimità ha affermato che le disposizioni dell'art. 2377, comma 5, n. 3, c.c. devono essere interpretate alla luce dell'art. 2375 c.c., nel senso che le carenze della verbalizzazione prive di influenza ai fini della validità della deliberazione sono solo quelle che non pregiudicano la verifica circa il contenuto, gli effetti e la validità della deliberazione (ciò vale, ad esempio, per l'indicazione delle modalità di voto, quando esse non siano imposte dalla legge o dallo statuto) (Cass. n. 603/2017). Il rinvio dell'assemblea e l'applicazione dell'art. 2374 alla società a responsabilità limitata.L'art. in commento non richiama né detta una disciplina analoga a quella prevista, nelle società azionarie, dall'art. 2374 a mente del quale i soci intervenuti che riuniscono un terzo del capitale rappresentato nell'assemblea, se dichiarano di non essere sufficientemente informati sugli oggetti posti in deliberazione, possono chiedere, per una sola volta per il medesimo oggetto, che l'assemblea sia rinviata a non oltre cinque giorni. Sulla base della considerazione che la norma offre una risposta ad una esigenza comune ai due tipi societari costituita dall'accesso ad un'informazione ulteriore rispetto a quella contenuta nell'ordine del giorno e da acquisirsi nel corso dell'adunanza assembleare e, dunque, sulla base della sussistenza di un vero e proprio diritto di informazione in merito all'oggetto posto in decisione, una parte della dottrina ritiene l'art. 2374 applicabile analogicamente alla società a responsabilità limitata (Zanarone, 1340; Mirone, 497; Cian, 91, nt. 155). In senso contrario, si evidenzia che le società di capitali sono governate dal principio maggioritario e che, quindi, diritti quali quello di cui all'art. 2374 c.c. (riservati ad una minoranza), essendo in contrasto con tale principio, dovrebbero essere espressamente sanciti dalla legge, direttamente o almeno con un richiamo (Trasatti, 673). Osterebbero all'applicazione analogica della norma alla s.r.l. la natura eccezionale della deroga alla regola di maggioranza insista all'istituto del rinvio (Trasatti, ivi, che pure segnala la stranezza di un sistema che accorda ad una minoranza qualificata, pari almeno ad un terzo del capitale sociale, il diritto di sottoporre argomenti all'approvazione dei soci ex art. 2479 c.c., ma non quello di rinviarne la decisione) e l'ampiezza dei poteri informativi spettanti ai soci nella s.r.l. D'altra parte, la concessione alla minoranza del diritto di rinvio si spiega nell'ambito di un tipo sociale caratterizzato dall'ampiezza della compagine sociale e dalla separazione tra proprietà e gestione imprenditoriale che implica una scarsa informazione della prima sulla vita sociale. Tuttavia, l'atto costitutivo potrebbe disciplinare lo svolgimento dell'assemblea sulla falsariga della disciplina dettata in tema di s.p.a. (Sanfilippo, 807). Anzi, secondo un certo orientamento, l'atto costitutivo potrebbe non solo accordare alla minoranza il diritto in argomento, ma anche sganciarlo dai presupposti applicativi stabiliti dall'art. 2374, estendendo, da un lato, il beneficio ai soci titolari di una partecipazione inferiore ad un terzo del capitale sociale ovvero, dall'altro, il lasso temporale di rinvio. Si veda l'Orientamento n. I.B.34. del Comitato Triveneto dei notai in materia di atti societari, secondo la quale «stante la meritevolezza dell'interesse tutelato (postulata per le società azionarie dalla disposizione contenuta nell'art. 2374 c.c.), si ritiene legittima una clausola statutaria che attribuisca ad una minoranza di soci, più o meno qualificata, la facoltà di richiedere il rinvio dell'assemblea di non oltre cinque giorni nel caso in cui si dichiarino insufficientemente informati sugli argomenti all'ordine del giorno. In tal caso la nuova seduta si deve considerare una mera continuazione della prima e non richiederà un'autonoma convocazione». Si dubita, peraltro, che l'atto costitutivo possa assegnare al socio un potere di rinvio sbilanciato rispetto alle effettive esigenze di informazione e tale da compromettere la funzionalità del procedimento deliberativo (Sanfilippo, 808) come nel caso in cui il potere di rinvio sia affidato a ciascun socio senza previsione di alcuna soglia partecipativa ovvero sia conformato nel senso di ottenere un rinvio maggiore di cinque giorni. In giurisprudenza, si afferma che la norma di cui all'art. 2374, che consente ai soci rappresentanti almeno un terzo del capitale rappresentato dall'assemblea, di chiederne il rinvio, è dettata per le società per azioni e non sembra applicabile analogicamente anche alle società a responsabilità limitata, in quanto il legislatore ha riconosciuto ai soci che non partecipano all'amministrazione della società penetranti poteri di controllo costituiti dal diritto di avere notizie dagli amministratori sullo svolgimento degli affari sociali e di consultare i libri e i documenti relativi all'amministrazione (Trib. S. Maria Capua Vetere, 31 maggio 2012, in Banca, borsa, tit. cred. 2014, II, 61; Trib. Milano, 22 dicembre 2015, in IlSocietario.it; contra, in passato, Trib. Milano, 23 ottobre 2013, in giurisprudenzadelleimprese.it, che aveva riconosciuto, in entrambi i due tipi sociali capitalistici, l'esigenza imprescindibile di garantire una partecipazione informata ai lavori assembleari quale elemento essenziale per la formazione di una «volontà comune»). Si precisa, peraltro, che resta ferma la possibilità di prevedere tale meccanismo in sede di formazione dello statuto (Trib. Nola, 21 febbraio 2008). Qualora l'assemblea, regolarmente tenutasi, decida con l'accordo di tutti i soci la prosecuzione della seduta ad altra data, in cui, sempre con l'intervento di tutti i soci, sia disposto a maggioranza e senza alcuna deliberazione l'ulteriore differimento ad altro giorno, è valida la deliberazione adottata in questa sede, giacché – essendo stati i presenti edotti del prosieguo della assemblea regolarmente tenutasi – non è necessario, in assenza di variazioni dell'ordine del giorno originario, un nuovo avviso di convocazione, mentre, d'altra parte, non ricorrono i presupposti stabiliti dall'art. 2374 c.c. per il rinvio dell'adunanza (così, Cass. n. 23329/2006). Secondo la pronunzia ora richiamata, in caso di assemblea totalitaria, l'aggiornamento dell'assemblea non richiede un nuovo avviso di convocazione dei soci i quali, in quella sede, vengono resi edotti della data della nuova assemblea «in prosecuzione» e del relativo ordine del giorno (che potrebbe anche essere modificato attesa la circostanza che i soci, essendo presenti, sarebbero comunque a conoscenza di tali modifiche). In altre parole, in presenza della totalità dei soci, l'accordo di differire l'adunanza ad una diversa data vale a sostituire l'avviso di convocazione, giacché tutti sono posti nella possibilità di conoscere il giorno e il luogo in cui si terrà il prosieguo dell'assemblea. Al contrario, qualora l'assemblea in cui i soci presenti decidano di aggiornare la discussione ad una nuova seduta non sia totalitaria, vige la regola generale del necessario avviso di convocazione ai soci assenti. Infatti, il rinvio dell'assemblea crea una cesura nella continuità dei lavori dell'assemblea che impedisce di considerare la seconda – peraltro tenutasi diversi giorni dopo – una mera prosecuzione della prima (Trib. Roma, 29 luglio 2015, in ilSocietario.it). I quorum costitutivi e deliberativi.Innovando rispetto alla disciplina pregressa, il terzo comma dell'articolo in commento, se, da una parte, non ha riproposto la distinzione tra assemblea ordinaria e straordinaria, dall'altra ha distinto tra quorum costitutivo e quorum deliberativo. Salva diversa disposizione dell'atto costitutivo, infatti, l'assemblea è regolarmente costituita con la presenza di tanti soci che rappresentano almeno la metà del capitale sociale e delibera a maggioranza assoluta e, nei casi previsti dai numeri 4) e 5) del secondo comma dell'art. 2479, con il voto favorevole dei soci che rappresentano almeno la metà del capitale sociale. Con riferimento al quorumcostitutivo, l'assemblea è regolarmente costituita con la presenza di tanti soci che rappresentano almeno la metà del capitale sociale. Si ritiene debba essere esclusa da detto quorum la partecipazione del socio moroso ove si ritenga che egli non abbia neppure diritto di presenziare all'assemblea (Cian, 78). Non dovrebbe essere computata neppure la quota del socio della cui esclusione l'assemblea sia chiamata a deliberare (così, Cian, 78; Sanfilippo, 823). Con riferimento al quorumdeliberativo, si distinguono due ipotesi, in quanto l'assemblea delibera: 1) a maggioranza assoluta nella normalità dei casi; 2) con il voto favorevole dei soci che rappresentano almeno la metà del capitale sociale quando si tratti di deliberazioni aventi ad oggetto modificazioni dell'atto costitutivo ovvero il compimento di operazioni che comportano una sostanziale modificazione dell'oggetto sociale determinato nell'atto costitutivo o una rilevante modificazione dei diritti dei soci (art. 2479, nn. 4 e 5). Va anche evidenziato che il quorum deliberativo da ultimo menzionato è quello ordinariamente previsto per tutte le decisioni assunte con il metodo extrassembleare. Nel computo del quorum deliberativo si deve tenere conto dei soci astenuti come dimostrato dalla circostanza che l'impugnazione delle deliberazioni spetta ai «soci che non vi hanno consentito»: la maggioranza assoluta deve intendersi, quindi, quale maggioranza del capitale presente in assemblea (Sanfilippo, 823). Secondo una dottrina, oggi rimasta isolata (Rosapepe, 171), per l'approvazione della deliberazione sarebbe sufficiente il voto favorevole della sola metà del capitale sociale a prescindere dall'eventuale raggiungimento della maggioranza: una tale conclusione si spiegherebbe con istanze efficientistiche finendo per superare il rischio di situazioni di stallo decisionale frequenti nelle società a ristretta base sociale (Salvatore, 637). Secondo la dottrina maggioritaria, tuttavia, occorre pur sempre il rispetto della regola maggioritaria con la conseguenza che il voto favorevole dei soci rappresentativi della metà del capitale sociale sarà sufficiente per l'approvazione della deliberazione solo se questa sia effettivamente maggioritaria e, quindi, non ottenga altrettanti voti contrari (Marasà, 706; Cian, 82; Sanfilippo, 824). In giurisprudenza, si segnala Trib. Salerno, 30 gennaio 2007, secondo il quale, in ipotesi di società a responsabilità limitata composta da soli due soci (titolari ciascuno del 50% del capitale sociale), deve dichiararsi invalida, perché non presa in conformità dell'art. 2479-bis, comma 3, c.c., la deliberazione assembleare con la quale sia approvato il bilancio di esercizio con il voto favorevole di uno solo dei due soci entrambi presenti, imponendo il quorum legale deliberativo della maggioranza assoluta il riscontro del voto a favore espresso dalla metà più uno dei votanti, rapportata al numero dei soci che abbiano partecipato all'assemblea. In questo senso si è espresso anche Trib. Nocera Inferiore, 6 maggio 2010 (in Giur. it., 2010, 2552), secondo il quale il principio maggioritario che disciplina il meccanismo di approvazione delle delibere assembleari di s.r.l., non può essere soppresso da una clausola statutaria che richieda il voto favorevole di almeno la metà del capitale sociale, posto che, in presenza di una società con due soci aventi un'identica partecipazione sociale e in contrasto fra loro, l'assemblea non potrebbe validamente deliberare in quanto si avrebbero sempre due espressioni di voto contrarie, ma di egual valore. Anche la prassi notarile si è espressa nel medesimo senso. Si afferma che le decisioni dei soci adottabili con il voto favorevole di almeno la metà del capitale sociale, comunque formate (consenso o consultazione scritta, delibera assembleare), non sono approvate qualora detta metà non costituisca anche una maggioranza, il che avviene quando l'altra metà del capitale sociale abbia espresso voto contrario e che il contratto sociale non può derogare al principio esposto (Consigli notarili triveneto, massima I.B.6). Come evidenziato, l'atto costitutivo può predisporre una disciplina dei quorum diversa da quella dettata dall'articolo in commento sia in aumento sia in diminuzione. Sebbene, come detto, l'atto costitutivo possa modificare i quorum tanto costitutivi che deliberativi, si ritiene che esso non possa scardinare la regola maggioritaria, prevedendo l'approvazione della deliberazione con la sola metà del capitale sociale (Sanfilippo, 824, che evidenzia come, in caso di compagine paritetica, ciò condurrebbe all'instabilità dei deliberati, legati di volta in volta dalla formulazione in positivo o in negativo del deliberando; contra,Zanarone, 1363, che ammette la legittimità di clausole dell'atto costitutivo che ritengano sufficiente il consenso di una sola metà del capitale sociale o addirittura di una minoranza, come ad es. avviene attraverso il meccanismo del voto di lista per l'elezione delle cariche sociali). Parimenti, sembrerebbero da escludere l'ammissibilità di quote a voto escluso o limitato ovvero di quote a voto plurimo con riferimento a taluni o a tutti gli argomenti di competenza dell'assemblea: tale conclusione viene giustificata sulla base della duplice considerazione che i diritti particolari dei soci (art. 2468) possono riguardare (soltanto) l'amministrazione della società e la distribuzione degli utili e che il principio di democraticità, fondato su basi capitalistiche, non è derogabile (Cian, 86; Sanfilippo, 825; Mirone, 499). Secondo la dottrina, sarebbero illegittime anche le clausole che attribuiscono, per il caso di stallo, ad un determinato soggetto un voto decisivo (Mirone, 498). Si pone, poi, il problema della validità delle clausole unanimistiche. In giurisprudenza, ma con riferimento alla disciplina anteriore alla riforma, si era statuito che la clausola dello statuto che richieda l'unanimità dei consensi ai fini dell'approvazione delle deliberazioni di assemblea straordinaria è nulla per violazione del principio maggioritario, sia se riferita alla totalità dei soci presenti in assemblea, sia se riferita ai soci titolari dell'intero capitale sociale. Successivamente alla riforma, una parte della dottrina ha ritenuto legittima l'introduzione della regola unanimistica (Marasà, 713; Zanarone, 1362; Salvatore, 638; Rosapepe, 172). In tal senso anche la prassi notarile (Consiglio notarile Milano, massima n. 42). Altra dottrina (Sanfilippo, 827) ritiene che occorra distinguere tra deliberazioni «essenziali» (a pena di scioglimento) e «non essenziali» per la sopravvivenza della società. Con riferimento a queste ultime, non vi sono ostacoli all'introduzione di una simile regola; con riferimento alle prime, invece, una simile previsione, comportando l'attribuzione al socio di un potere di veto in relazione a delibere essenziali per la vita della società, finirebbe per collidere con la regola che assegna il potere di scioglimento anticipato a quei soli soci che dispongono di una partecipazione al capitale sociale almeno pari alla metà del capitale sociale. In questa prospettiva, la regola unanimistica non sarebbe legittima per le deliberazioni di approvazione del bilancio e di nomina degli amministratori. Coerentemente, tale dottrina arriva a ritenere illegittime, per tali tipologie di deliberazioni, le clausole dell'atto costitutivo che impongano l'approvazione da parte di una percentuale del capitale sociale così elevata da attribuire ai soci la disponibilità di quorum impeditivi, preclusivi all'approvazione di siffatte delibere (Sanfilippo, 829). L'assemblea totalitaria.L'ultimo comma della disposizione in commento introduce, anche per la società a responsabilità limitata, la disciplina dell'assemblea totalitaria, assente in epoca precedente alla riforma. Il carattere totalitario della convocazione rende irrilevanti eventuali irregolarità nel procedimento di convocazione e, finanche, la stessa assenza della convocazione. Ai fini della possibilità di considerare totalitaria la riunione è necessaria la presenza dei soci che rappresentino l'intero capitale sociale, mentre è sufficiente che gli amministratori ed i sindaci siano preventivamente (Zanarone, 1373, nt. 150) informati della riunione. È sufficiente una comunicazione informale (Magliulo, 423) che riporti, ancorché in modo sommario, l'indicazione delle materie su cui verterà la discussione (Carbonara, 94, nt. 201). Come si vede, la norma si distacca dall'omologa disciplina prevista per la società per azioni laddove è necessaria la presenza, oltre che dell'intero capitale sociale, della maggioranza dei componenti degli organi amministrativi e di controllo (art. 2366 comma 4). È necessario che il verbale contenga l'indicazione dell'avvenuto adempimento dell'obbligo informativo (Carbonara, 94). Il diritto di opposizione va, poi, riconosciuto a tutti i soggetti legittimati ad intervenire in assemblea e, dunque, sia ai soci che agli amministratori o ai sindaci (ancorché non presenti) (Sanfilippo, 832; Cagnasso, 304). L'opposizione – che non deve essere motivata non potendo essere sindacata dagli agli altri soci – imporrà non un semplice rinvio della riunione, ma di procedere ritualmente alla convocazione di una nuova assemblea (Serra, 120; Cian, 67, nt. 69; Sanfilippo, 832). Il potere di interdizione, spettante ai soci, agli amministratori ed ai sindaci, deve essere esercitato all'apertura della discussione assembleare e, comunque, prima della deliberazione (Carbonara, 94, nt. 203). È dubbia la legittimità di clausole dell'atto costitutivo che rendano più difficile la costituzione dell'assemblea totalitaria, ad es., richiedendo la maggioranza, come nella s.p.a., o la totalità degli organi amministrativi e di controllo. Sembra prevalere la tesi secondo la quale la disciplina dettata dall'art. in commento è inderogabile, in ragione del favor per la semplificazione dei procedimenti deliberativi nella s.r.l. (Carbonara, 96; Magliulo, 430). Nel caso di deliberazione adottata dall'assemblea di una società a responsabilità limitata, in difetto di regolare convocazione, qualora nel relativo verbale sia dato atto della partecipazione di tutti i soci — personalmente, ovvero in quanto rappresentati su delega – incombe su colui il quale impugna la deliberazione l'onere di provare il carattere non totalitario dell'assemblea (cfr. Cass. n. 17950/2005, la quale in applicazione di tale principio, ha confermato la sentenza di merito secondo la quale gravava sull'impugnante l'onere di dimostrare che nessuna delega era stata rilasciata dal socio non personalmente presente, ovvero che la delega doveva ritenersi invalida). La deliberazione adottata malgrado il valido esercizio dell'opposizione è annullabile (Trib. Catania, 10 gennaio 2002, in Soc. 2002, 879). In una s.r.l., l'assenza di una regolare convocazione e l'omissione di una preventiva informazione sui temi all'ordine del giorno rivolte agli organi di gestione e controllo (o al liquidatore) ostano alla qualificazione come totalitaria dell'assemblea, dal momento che una delibera si deve intendere validamente adottata da un'assemblea in forma totalitaria solo quando vi partecipa l'intero capitale sociale, quando tutti gli amministratori e sindaci siano presenti o almeno informati della riunione e nessuno si opponga alla trattazione dell'argomento. È, dunque, è annullabile la decisione dei soci assunta in forma non assembleare per mancanza della preventiva informazione degli amministratori (ovvero, nel caso di specie, del liquidatore), ai quali la legge riconosce la facoltà di opporsi e di richiedere l'utilizzo del metodo assembleare fino a che non si sia perfezionata la decisione e ai quali comunque spetta la legittimazione a partecipare all'iter formativo delle decisioni sociali e ad impugnare le stesse (Trib. Milano, 14 settembre 2016, in Soc. 2017, 554). La partecipazione totalitaria del capitale sociale sana il vizio di mancata convocazione; pertanto, una volta che colui che impugna la delibera abbia dimostrato la sua mancata partecipazione all'assemblea cui essa si riferisce, è sufficiente che il medesimo alleghi di non aver ricevuto alcuna convocazione, spostandosi sulla società convenuta l'onere di provare di aver ottemperato a tale obbligo (Trib. Roma, 15 giugno 2015, in Soc. 2016, 368). 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