Codice Civile art. 2463 - Costituzione (1).Costituzione (1). [I]. La società può essere costituita con contratto o con atto unilaterale. [II]. L'atto costitutivo deve essere redatto per atto pubblico e deve indicare: 1) il cognome e il nome o la denominazione, la data e il luogo di nascita o lo Stato (2) di costituzione, il domicilio o la sede, la cittadinanza di ciascun socio; 2) la denominazione, contenente l'indicazione di società a responsabilità limitata, e il comune ove sono poste la sede della società e le eventuali sedi secondarie; 3) l'attività che costituisce l'oggetto sociale; 4) l'ammontare del capitale, non inferiore a diecimila euro, sottoscritto e di quello versato; 5) i conferimenti di ciascun socio e il valore attribuito crediti (3) e ai beni conferiti in natura; 6) la quota di partecipazione di ciascun socio; 7) le norme relative al funzionamento della società, indicando quelle concernenti l'amministrazione, la rappresentanza; 8) le persone cui è affidata l'amministrazione e l'eventuale soggetto incaricato di effettuare la revisione legale dei conti (4); 9) l'importo globale, almeno approssimativo, della spese (5) per la costituzione poste a carico della società. [III]. Si applicano alla società a responsabilità limitata le disposizioni degli articoli 2329, 2330, 2331, 2332 e 2341. [IV]. L'ammontare del capitale può essere determinato in misura inferiore a euro diecimila, pari almeno a un euro. In tal caso i conferimenti devono farsi in denaro e devono essere versati per intero alle persone cui è affidata l'amministrazione (6). [V]. La somma da dedurre dagli utili netti risultanti dal bilancio regolarmente approvato, per formare la riserva prevista dall'articolo 2430, deve essere almeno pari a un quinto degli stessi, fino a che la riserva non abbia raggiunto, unitamente al capitale, l'ammontare di diecimila euro. La riserva così formata può essere utilizzata solo per imputazione a capitale e per copertura di eventuali perdite. Essa deve essere reintegrata a norma del presente comma se viene diminuita per qualsiasi ragione (6). (1) V. nota al Capo VII. (2) Le parole «lo Stato» sono state inserite dall'art. 3 d.lg. 17 gennaio 2003, n. 6, come modificato dall'art. 5 1ii) d.lg. 6 febbraio 2004, n. 37. (3) Leggasi: ai crediti. (4) Le parole «gli eventuali soggetti incaricati del controllo contabile» sono state sostituite dalle parole «l'eventuale soggetto incaricato di effettuare la revisione legale dei conti» dall'art. 37, comma 24, del d.lg. 27 gennaio 2010, n. 39. (5) Leggasi: delle spese. (6) Comma aggiunto dall'art. 9, comma 15 ter, d.l. 28 giugno 2013, n. 76, conv., con modif., in l. 9 agosto 2013, n. 99. InquadramentoIl comma 1 dell'articolo in commento ribadisce che la società a responsabilità limitata può essere costituita per contratto o per atto unilaterale. Il legislatore detta una disciplina autonoma per quanto riguarda le indicazioni che devono essere contenute nell'atto costitutivo, rinviando, per numerosi profili e, in particolare, per quanto attiene alle condizioni ed al procedimento di costituzione, alla nullità della società ed alla responsabilità solidale e illimitata per le operazioni compiute in nome della società prima dell'iscrizione, alla disciplina della società azionaria. La disciplina dell'atto costitutivo è, dunque, completata dal richiamo agli artt. 2329,2330,2331,2332 e 2341 c.c., al cui commento si rinvia. L'atto costitutivo.L'atto costitutivo, in quanto atto espressione di autonomia privata, può assumere, alternativamente, natura di contratto o di atto unilaterale (art. 2463 comma 1) (Salamone, 68). L'atto costitutivo della società appartiene all'area del contratto – o, più genericamente, del negozio giuridico, attesa la possibilità che esso sia formato unilateralmente (Zanarone, 206) – e rientra tra i contratti con comunione di scopo (Santini, 53). Ad esso, saranno, dunque, applicabili le norme generali in materia di contratto (Santini, 54, che precisa che anche nell'ipotesi in cui la società nasca da atto unilaterale si tende a fare applicazione delle norme sul contratto, essendo comunque quell'atto suscettibile di divenire un contratto, fonte di un rapporto contrattuale tra più persone) e, in particolare, l'art. 1322, comma 1, c.c. secondo il quale le parti possono liberamente determinare il contenuto del contratto sia pure nei limiti imposti dalla legge (Zanarone, 207). Anche persone giuridiche (sia private che pubbliche) possono partecipare all'atto costitutivo, così come i minorenni debitamente autorizzati. Non è previsto un numero massimo di soci (Santini, 55). Atto costitutivo e statuto.L'art. in commento si caratterizza per l'assenza di ogni riferimento allo «statuto» della società, non essendo né richiamata né riprodotta una disposizione quale quella contenuta, nella disciplina delle società per azioni, nel comma 3 dell'art. 2328 c.c. secondo il quale, da una parte, lo statuto contenente le norme relative al funzionamento della società, anche se forma oggetto di atto separato, costituisce parte integrante dell'atto costitutivo e, dall'altra, in caso di contrasto tra le clausole dell'atto costitutivo e quelle dello statuto prevalgono le seconde. La dottrina unanime, tuttavia, evidenzia come sia legittimo disciplinare le regole relative al funzionamento della società in un apposito allegato dell'atto costitutivo (Trimarchi, 159; Cagnasso, 63; Barcellona, 97; Stella Richter, 277). E, infatti, non sussiste alcuna ragione di ordine pubblico che possa impedire all'autonomia privata di potere scindere la complessiva regolamentazione dell'ente «società» in due documenti (Barcellona, 98; Cagnasso, 62) costituiti rispettivamente dall'«atto costitutivo» e dallo «statuto». Il primo è destinato ad indentificare le parti ed a indicare le specifiche disposizioni direttamente connesse con la vicenda costitutiva e, in quanto tali, valevoli solo una tantum, quali ad es., il capitale sociale, le quote di partecipazione, sistema di amministrazione, denominazione, sede sociale ed oggetto; (Barcellona, ivi). Lo statuto contiene il corpus di norme relative all'organizzazione, al funzionamento ed allo scioglimento della società (Trimarchi, 160) ed è, quindi, destinato a indicare le regole strutturali valevoli per tutta la durata della società. D'altra parte, merita di essere evidenziato come, oggi, a seguito delle modifiche apportate dal d.l. 9 febbraio 2012, n. 5 (convertito in l. 4 aprile 2012, n. 35), l'art. 2477 menzioni espressamente anche lo «statuto». Secondo una parte della dottrina (Sciuto, 666), tuttavia, dinanzi ad un esplicito enunciato legislativo che impone all'atto costitutivo di indicare «le norme sul funzionamento della società», una partizione atto costitutivo/statuto non può più essere intesa come duplicità di documenti autonomi, di cui l'uno sia separato benché allegato al primo e di questo considerato «parte integrante»; potendo tutt'al più, eventualmente, manifestarsi come duplicità di «sezioni» di un documento che sia però unitario e creato per atto pubblico. Lo statuto dovrà poi essere redatto in forma pubblica (Revigliono, 1735; Salamone, 69; Stella Richter, 33, secondo il quale deve ritenersi tramontato il convincimento secondo cui lo statuto sarebbe una scrittura privata allegata all'atto costitutivo, imponendosi la forma pubblica per entrambi i documenti; Sciuto, 667, il quale – considerando che non risulta più menzionata la possibilità che uno statuto possa costituire oggetto di «atto separato» allegato all'atto costitutivo di s.r.l. – giustifica una tale conclusione sulla base delle considerazione che lo «statuto» costituisce la previsione delle «norme sul funzionamento della società» parte non solo «integrante» dell'atto costitutivo, ma a tutti gli effetti «integrata» in esso e, quindi, meglio pensabile come unitario strumento contrattuale). Discende dalla necessità della forma pubblica che il notaio rogante dovrebbe dare lettura anche dello statuto (l. not., art. 51, comma 2, n. 8) ed indagare la reale volontà delle parti (Sciuto, 667). I contrasti tra atto costitutivo e statuto.In assenza del richiamo allo «statuto», come documento separato ed autonomo rispetto all'atto costitutivo, e, in particolare, in assenza di una previsione analoga a quella contenuto nell'u.c. dell'art. 2328 c.c., che attribuisce preminenza, in caso di contrasto, alle clausole contenute nello statuto rispetto a quelle indicate nell'atto costitutivo, la dottrina si è interrogata sulle modalità di risoluzione eventuali «antinomie statutarie» (così le definisce, Sciuto, 668) tra «norme relative al funzionamento della società» (eventualmente inserite nell'atto separato) e le restanti previsioni dell'atto costitutivo. Secondo un orientamento, sarebbe possibile applicare, in via analogica, la richiamata norma dettata per la società azionaria (Cagnasso, 63, Trimarchi, 161). Secondo la maggioranza degli autori, tuttavia, se da un lato non potrebbe farsi ricorso alla applicazione analogica della norma richiamata in ragione della intervenuta, a seguito della riforma, emancipazione del tipo della società a responsabilità limitata dal tipo della società per azioni, dall'altro dovrebbero trovare applicazione gli ordinari criteri di interpretazione del contratto sulla base di una valutazione complessiva dei due documenti (Revigliono, 1737; Barcellona, 100; Salamone, 69; Sciuto, 668, secondo il quale nella società a responsabilità limitata, al contrario che nella società per azioni, il solco fra atto costitutivo e statuto sembra essere stato tendenzialmente ripianato – in particolare se si segue l'interpretazione secondo la quale l'atto costitutivo configura un unico contratto, unitario oggetto di eventuali modificazioni – con la conseguenza che non sussistono particolari ragioni per privilegiare interpretativamente alcune sue previsioni su delle altre: ciò, secondo l'Autore, vale, tendenzialmente, quand'anche i soci abbiano previsto una sezione documentale denominata «statuto», poiché la eliminazione di una giustapposizione fra atto costitutivo e statuto tenderà a eliminare anche eventuali contrapposizioni fra le relative previsioni). La forma dell'atto costitutivo.L'atto costitutivo deve essere redatto per atto pubblico. La suddetta forma è richiesta a pena di nullità dell'atto. La forma notarile dell'atto costitutivo è richiesta in ragione del controllo di legalità sostanziale che il notaio, a seguito della soppressione del giudizio di omologazione demandato al tribunale, deve svolgere al momento della costituzione della società. Al contrario di quanto è consentito nella società azionaria, non è qui ammessa la costituzione per pubblica sottoscrizione perché ciò contrasterebbe con la norma di cui all'art. 2468 c.c., secondo la quale le partecipazioni non possono essere rappresentate da azioni, né costituire oggetto di offerta al pubblico di prodotti finanziari. L'esigenza dell'atto pubblico ad substantiam per la costituzione di una società a responsabilità limitata comporta, in applicazione dell'art. 1351 c.c., che va stipulato nella stessa forma anche il contratto preliminare inteso alla futura costituzione della società (Cass. n. 5578/1997; Cass. n. 12712/2012, secondo la quale l'atto pubblico, prescritto ad substantiam dagli artt. 2332 e 2463 c.c. per la costituzione della società a responsabilità limitata, è necessario, ai sensi dell'art. 1351 c.c., per la forma del contratto preliminare avente ad oggetto la futura costituzione della società, non anche per la forma del contratto preliminare avente ad oggetto la compravendita dell'intero capitale della società, una volta che essa sia stata costituita). L'interpretazione dell'atto costitutivo.Generalmente, si afferma che l'interpretazione dell'atto costitutivo debba essere ispirata a criteri essenzialmente oggettivi, fondati esclusivamente sul testo contrattuale (sulla problematica applicata alla s.r.l., in generale, Sciuto, 688 ss.), con esclusione dei criteri che attribuiscano rilievo alla comune intenzione delle parti (criterio che si ben si presta nella regolazione dei contratti bilaterali sinallagmatici, ma che è di difficile applicazione ai contratto plurilaterali con comunione di scopo) ovvero al comportamento di queste successivo alla stipulazione del contratto ovvero, comunque, a dati extrastatutari (così Santini, 142; Salamone, 69). Tale conclusione viene spiegata tanto sulla base del carattere costitutivo della pubblicità cui sono soggette le società (di capitali, in generale) che esclude la rilevanza del «non iscritto» quanto sulla base del fatto che i dati iscritti sono destinati a valere nei confronti di una generalità indistinta di destinatari, composta sia da terzi che da una compagine sociale tendenzialmente numerosa e variabile (Sciuto, 689). In particolare, si evidenzia che è dubbia l'applicabilità agli statuti di società del criterio ermeneutico che poggia sul riferimento alla predisposizione unilaterale del testo contrattuale, c.d. interpretatio contra profitentem, o quella che richiede il contemperamento degli interessi delle parti. Inoltre, lo statuto societario si caratterizza come fonte negoziale tendenzialmente durevole, destinata a trovare applicazione anche nei confronti di parti che possono variare rispetto a quelle originarie. Infine, si è evidenziato come lo statuto di una società di capitali, a differenza dei contratti bilaterali e dei patti sociali di società personali (salvo patto contrario), sia sempre modificabile a maggioranza, sicché potrebbe essere in concreto impossibile, oltre che inutile, riferire ai soci una intenzione comune (De Luca, Napolitano, 688). D'altra parte, il criterio ermeneutico della comune intenzione delle parti non si presta ad essere applicato nei confronti di parti che non abbiano contribuito alla formazione originaria del contratto, ma che siano subentrate per effetto dell'acquisto della partecipazione sociale: in questa prospettiva, appare difficile immaginare che un testo contrattuale possa ricevere interpretazione asimmetrica in presenza di parti originarie e parti che siano subentrate a quelle originarie (De Luca, Napolitano, 689). Peraltro, secondo una parte della dottrina, se queste conclusioni possono certamente valere per un tipo sociale come la società per azioni, esse possono trovare degli adattamenti per quelle società «chiuse» nelle quali prevale il dato personalistico, risultando così «legittimo, in occasione di una concreta lite fra soci, dubitare che ricorra una ragione sistematica – in assenza di espresse deroghe testuali – che escluderebbe l'applicazione dei criteri interpretativi c.d. soggettivi previsti dal diritto generale dei contratti» (Sciuto, 90). Così, criteri di interpretazione «soggettiva» dell'atto costitutivo possono venire in rilievo con riferimento alle clausole destinate ad incidere sui soli rapporti fra soci con esclusione di riflessi sui terzi e quando siano coinvolti, in una data lite, i soci partecipi dell'originaria vicenda negoziale e, precisamente, tutti i soci partecipi dell'originaria vicenda negoziale (Sciuto, 691; Santini, 143). In questi casi, può venire in rilievo la comune volontà delle parti e trovare applicazione l'art. 1362 che nessuna norma ha espressamente derogato in materia di società (Santini, ivi). In questa prospettiva, possono venire in rilievo gli accordi sottesi alla formulazione di una certa clausola circa la portata che essa avrebbe dovuto avere; inoltre può darsi rilievo ai profili soggettivi, allorquando vengano in rilievo clausole statutarie il cui carattere «personalistico» già emerga dalla stessa natura o tenore del precetto che contengono (Sciuto, 692, che menziona le clausole solo formalmente statutarie, ma in realtà avente valore parasociale, le clausole che attribuiscono diritti «particolari» a singoli soci). Secondo autorevole dottrina, poi, almeno in un caso non sarebbero applicabili criteri ermeneutici rigorosamente obiettivi e cioè nell'ipotesi di un regime statutario di impedimento alla circolazione delle partecipazioni: in tale ipotesi l'art. 1362 c.c. con il suo riferimento alla comune intenzione dei contraenti troverà piena applicazione all'atto costitutivo di s.r.l., il quale andrà quindi interpretato nella prospettiva che le controversie relative al significato delle clausole in esso contenute si svolgano tra le parti originarie del medesimo, anche perché i nuovi soci che dovessero entrare nella società verrebbero mesi a parte in sede di subingresso circa le suffette intenzioni (così, testualmente, Zanarone, 217). La giurisprudenza tende, nell'interpretazione dell'atto costitutivo, a fare uso di criteri oggettivi, senza possibilità di fare ricorso a dati extratestuali. Si è affermato che l'interpretazione delle clausole dello statuto sociale deve essere compiuta applicando i criteri ermeneutici previsti dal codice civile per i contratti in generale. Tuttavia, il contratto sociale, contenendo clausole idonee a incidere anche sui terzi estranei all'atto, deve valere per il suo contenuto obiettivo, e pertanto nella sua interpretazione prevale il criterio ermeneutico oggettivo (Trib. Bologna, 15 giugno 2010, in Soc. 2010, 1273). La verifica della sussistenza dello scopo di lucro deve avvenire con esclusivo riferimento al contenuto dell'atto costitutivo e dello statuto iscritti nel registro delle imprese, mentre resta irrilevante l'eventuale sussistenza di elementi di fatto esterni, antecedenti o successivi alla stipula dell'atto, integranti indici di una volontà dei soci difforme da quella manifestata negli atti pubblicati, ed inammissibile, una volta avvenuta l'iscrizione, l'interpretazione dell'atto costitutivo condotta secondo il criterio della comune intenzione dei contraenti, dovendo al contrario essa basarsi su criteri obiettivi (Cass. n. 13234/2011). Così, la clausola statutaria rinviante a una disposizione di legge va interpretata, alla stregua dei criteri di interpretazione oggettiva degli statuti societari, come rimando alla disciplina pro tempore vigente anche se diversa da quella vigente al tempo dell'introduzione della clausola di rinvio (Trib. Milano, 14 ottobre 2014, decr., in Soc. 2015, 233). L'interpretazione dell'atto costitutivo e dello statuto di una società, così come quella di ogni atto contrattuale, richiedendo l'accertamento della volontà degli stipulanti, in relazione al contenuto del negozio, si traduce in un'indagine di fatto affidata in via esclusiva al giudice di merito, ed è pertanto censurabile in sede di legittimità soltanto nel caso in cui la motivazione risulti talmente inadeguata da non consentire di ricostruire l'iter logico seguito dal giudice per attribuire all'atto negoziale un determinato contenuto, oppure nel caso di violazione delle norme ermeneutiche. La denuncia di quest'ultima violazione esige una specifica indicazione dei canoni in concreto non osservati e del modo attraverso il quale si è realizzata la violazione, mentre la denunzia del vizio di motivazione implica la puntualizzazione dell'obiettiva deficienza e contraddittorietà del ragionamento svolto dal giudice di merito, non potendo nessuna delle due censure risolversi in una critica del risultato interpretativo raggiunto dal giudice, che si sostanzi nella mera contrapposizione di una differente interpretazione (Cass. n. 26683/2006; Cass. n. 2836/1987). Recentemente, è stata fatta dalla giurisprudenza di legittimità una importante applicazione del criterio di interpretazione dello statuto secondo buona fede. La Corte di cassazione ha stabilito che il sindacato di legittimità sull'interpretazione di una clausola statutaria ha ad oggetto non già la ricostruzione della volontà delle parti, bensì solamente la individuazione dei criteri ermeneutici scelti e del processo logico seguito dal giudice di merito, al fine di verificare se questo sia incorso in vizi del ragionamento o in errore di diritto e, sotto altro profilo, che l'interpretazione secondo la formulazione letterale della clausola statutaria debba essere verificata secondo i principî dell'interpretazione funzionale (art. 1369 c.c.) e dell'interpretazione secondo buona fede (art. 1366 c.c.): questi criteri hanno riguardo allo scopo pratico perseguito dalle parti con la stipulazione del contratto e, quindi, alla relativa causa concreta. Sulla base di tali considerazioni, la giurisprudenza ha concluso che, alla stregua del fondamentale criterio di buona fede, illuminato dal rilievo dell'intenzione comune delle parti, appare intrinsecamente contraddittorio, in presenza di una clausola statutaria finalizzata a garantire, con riferimento a determinate materie, un potere di interdizione ad una minoranza determinata, contemporaneamente consentire alla maggioranza non qualificata di modificare liberamente la previsione che tale potere attribuisce. In altre parole, salva una non equivoca diversa volontà negoziale, una clausola che protegga la minoranza richiedendo una maggioranza rafforzata per le delibere aventi ad oggetto gli argomenti concernenti determinate materie non può essere modificata da una maggioranza più limitata (Cass. n. 4967/2016). Anche in dottrina, si è evidenziato che la naturale preferenza per la tesi secondo cui gli statuti di società non possano essere interpretati né alla luce della comune intenzione delle parti, né alla luce del loro comportamento complessivo, non conduce a rigettare l'impiego dei criteri sussidiari di interpretazione del contratto, quello funzionale e quello secondo buona fede: questi criteri non si sovrappongano a quello che esige di indagare la comune intenzione e il comportamento complessivo, e possano essere utili strumenti di interpretazione oggettiva del testo dello statuto (De Luca, Napolitano, 689). In caso di una indicazione del tipo non corrispondente alla disciplina contenuta nell'atto costitutivo, si pone il problema della possibile riqualificazione del tipo e, precisamente, se debba prevalere il dato formale o il contenuto sostanziale dell'atto costitutivo. Una questione di riqualificazione di società per azioni in società consortile è stata affrontata da Trib. Roma 15 dicembre 2017 (in Foro it. 2018, I, 1762) che ha concluso che la qualificazione di una società come società per azioni (ma il ragionamento è estensibile anche alla società a responsabilità limitata) non preclude del tutto connotati peculiari rispetto al tipo legale risultanti dallo statuto ed è anzi possibile che, sotto vari aspetti, nonostante una determinata qualifica, la concreta disciplina della società in questione si caratterizzi per regole diverse, purché non si tratti di regole del tutto incompatibili con il tipo sociale che viene in considerazione, come nei casi in cui si assuma un regime di responsabilità dei soci diverso da quello legalmente previsto (nel caso di specie, si trattava di una società per azioni il cui statuto conteneva, però, una clausola tipicamente consortile: il tribunale ha concluso che la clausola che implicava il funzionamento della società, almeno in alcuni settori, con modalità tipicamente consortili era valida ed impegnava gli amministratori ad operare nel senso ivi previsto). Peraltro, in senso contrario ad ogni possibile riqualificazione del tipo societario, potrebbe evidenziarsi che una operazione ermeneutica non può sottrarsi al confronto con il sistema della pubblicità commerciale connotato dall'inscindibile binomio dell'efficacia costitutiva dell'iscrizione di una società nel registro delle imprese e dell'efficacia sanante dell'iscrizione medesima rispetto ad ogni fattispecie di invalidità della società. In senso diverso, però, si può affermare che una società di capitali potrebbe anche operare, almeno per determinati ambiti, con modalità tipicamente consortili e che alla riqualificazione in termini consortili della società non sarebbe di ostacolo la pubblicità legale in quanto tale riqualificazione sarebbe fondata su una clausola regolarmente iscritta e che, infine, la riqualificazione in argomento non sarebbe idonea a recare pregiudizio ai terzi. La simulazione.La simulazione di una società di capitali iscritta nel registro delle imprese non è configurabile in ragione della natura stessa del contratto sociale, che non è solo regolatore degli interessi dei soci, ma si atteggia, al contempo, come norma programmatica dell'agire sociale, destinata ad interferire con gli interessi dei terzi, che con la società instaurano rapporti e fanno affidamento sulla sua esistenza, dovendosi ritenere che tipo e scopo sociale, una volta compiute le formalità di legge, siano quelli che emergono dal sistema di pubblicità, sicché l'atto di costituzione dell'ente non può più essere interpretato secondo la comune intenzione dei contraenti e resta consacrato nei termini in cui risulta iscritto ed è portato a conoscenza dei terzi. Tali principî trovano applicazione anche nel caso di trasformazione di una società da un tipo ad un altro previsto dalla legge, ancorché connotato di personalità giuridica, in quanto la vicenda modificativa non si traduce nell'estinzione e nella correlativa creazione di un soggetto nuovo in luogo di quello precedente (Cass. n. 22560/2015, ma già Cass. n. 30020/2011, secondo la quale non è configurabile la simulazione dell'atto costitutivo di società di capitali – nella specie, società a responsabilità limitata – in ragione delle inderogabili formalità che assistono la creazione e l'organizzazione dell'ente, in forza di un contratto sociale non solo regolatore degli interessi dei soci ma, nel contempo, atteggiato come norma programmatica dell'agire sociale, la cui sfera è destinata ad interferire con interessi estranei ai contraenti, donde il rilievo preminente della tutela dei terzi e l'irrilevanza, dopo l'iscrizione della società nel registro delle imprese e la nascita del nuovo soggetto giuridico, della reale volontà dei contraenti manifestata nella fase negoziale. Tale fondamento, espressione del valore organizzativo dell'ente, è sotteso all'art. 2332 c.c., imponendosi dunque una lettura restrittiva dei casi di nullità della società da esso previsti, in nessuno dei quali è, quindi, riconducibile la simulazione). Il contenuto dell'atto costitutivo.Il n. 1 prevede che l'atto costitutivo debba indicare i dati identificativi dei soci (il cognome e il nome o la denominazione, la data e il luogo di nascita o lo Stato di costituzione, il domicilio o la sede, la cittadinanza di ciascun socio): il riferimento alla «sede» del socio è utile al fine di chiarire che possono assumere la qualità di soci anche soggetti diversi dalle persone fisiche. Infatti, anche persone giuridiche (sia private che pubbliche) possono partecipare all'atto costitutivo, così come i minorenni debitamente autorizzati (Santini, 55; Garilli, 1787). Peraltro, oltre alle persone fisiche e persone giuridiche, potranno divenire soci anche associazioni non riconosciute ovvero altri enti anche non soggetti ad iscrizione nel registro delle imprese (Trib. Roma 4 luglio 1984, in Vita not. 1986, 351, Trib. Lucca 2 febbraio 1994, in Soc. 1994. 807). La disposizione di cui al n. 2 (denominazione, contenente l'indicazione di società a responsabilità limitata, e il comune ove sono poste la sede della società e le eventuali sedi secondarie) non richiede che l'atto costitutivo contenga l'indirizzo completo della sede della società: tale norma deve essere, però, coordinata con la disposizione di cui all'art. 111-ter disp. att. c.c. secondo la quale chi richiede l'iscrizione presso il registro delle imprese dell'atto costitutivo di una società deve indicarne nella domanda l'indirizzo, comprensivo della via e del numero civico, ove è posta la sua sede. In caso di successiva modificazione di tale indirizzo gli amministratori ne depositano apposita dichiarazione presso il registro delle imprese. Il cambiamento dell'indirizzo nell'ambito dello stesso comune non costituisce una variazione dell'atto costitutivo e non necessita della relativa deliberazione da parte dell'assemblea straordinaria (Santini, 69; Garilli, 1787; Salamone, 72). La sede sociale può essere stabilita dall'atto costitutivo in qualunque luogo, purché in Italia, ed assumere così il ruolo di sede legale ad ogni effetto (Santini, 70). Per quanto attiene alle sedi secondarie, si ritiene che un estratto dell'atto costitutivo debba essere depositato per l'iscrizione presso l'ufficio del registro delle imprese del luogo in cui la società istituisce sedi secondarie con rappresentanza stabile (in applicazione dell'art. 2330 u.c. c.c. che richiama l'art. 2299 c.c.) (Santini, 71). Al contrario, la dottrina è propensa ad escludere che sia ammissibile l'applicazione, analogica, dell'art. 2365 comma 2 c.c. secondo il quale lo statuto può attribuire alla competenza dell'organo amministrativo l'istituzione o la soppressione di sedi secondarie: si evidenzia, infatti, che la competenza assembleare per le modificazioni dell'atto costitutivo è inderogabile (Cagnasso, 65; Revigliono, 1739; Garilli, 1787). Sebbene non sia espressamente affermato, si ritiene che l'autonomia privata possa formare liberamente la denominazione sociale, con l'unica limitazione esplicitamente prevista della necessaria indicazione di «s.r.l.» (Stella Richter, 36; Garilli, 1787; Santini, 61, che evidenzia come l'indicazione del tipo sociale costituisca il «cuore» della denominazione). L'ampia libertà concessa dal legislatore all'autonomia privata consente, dunque, l'inserimento, nella denominazione sociale, di un nome di fantasia, di un luogo geografico, di una sigla: si precisa, peraltro, che, in caso di nomi di fantasia, essi non debbano essere tali da provocare confusione con precedenti denominazioni individuali o sociali (Santini, 61; Zanarone, 225, secondo il quale la parte «libera» della denominazione di una s.r.l. non può contenere espressioni idonee a mettere in forse la riconoscibilità della medesima). Peraltro, in particolare, sebbene con riferimento alla disciplina della società per azioni, una parte della dottrina – sulla base della considerazione che la denominazione debba rispondere anche ai principî di buona fede e correttezza e, dunque, al principio di verità – ritiene che sia illegittimo il riferimento nella denominazione di una attività diversa da quella indicata nell'oggetto sociale e ciò al fine di non apparire ingannevole per il pubblico (Frè, 6; contra,Santini, 63), pur non essendo necessario procedere ad un cambiamento della denominazione in occasione di modifiche statutarie che interessino le indicazioni contenute nell'oggetto sociale. L'atto costitutivo deve poi indicare l'attività che costituisce l'oggetto sociale (n. 3). La norma è più stringente rispetto a quella utilizzata ante riforma (ove era richiesta l'enunciazione generica dell'«oggetto sociale»): secondo una parte della dottrina, il legislatore avrebbe così imposto una descrizione specifica del programma di attività che la società intende intraprendere (Cagnasso, 65). L'oggetto sociale può ricomprendere una pluralità di attività, anche eterogenee tra loro, purché non si presentino come «universali» (Trimarchi, 163), essendo comunque necessaria l'identificazione di settori specifici di svolgimento dell'attività di impresa sia pure entro ragionevoli margini di elasticità (Garilli, 1788; Zanarone, 231). In particolare, l'esclusione di una indicazione assolutamente generica dell'oggetto sociale è spiegata sulla base della considerazione che questo – che pure ha perso gran parte del proprio significato nei rapporti con i terzi non fungendo più da limite legale al potere rappresentativo degli amministratori né da metro per valutare l'esuberanza del capitale sociale ai fini della riduzione volontaria – mantiene rilevanza nei rapporti interni come è reso evidente dall'art. 2473 c.c. che attribuisce il diritto di recesso ai soci che non hanno approvato il cambiamento dell'oggetto sociale, dall'art. 2484 che prevede lo scioglimento della società per impossibilità di conseguire l'oggetto sociale e dall'art. 2479 comma 2, n. 5 c.c., nel quale assumono rilevanza le operazioni anche gestorie che comportano una «sostanziale modificazione» dell'oggetto sociale determinato nell'atto costitutivo (Zanarone, 229 ss.). L'attività deve essere poi lecita e possibile oltre che conforme alla normativa codicistica ed a quella prevista da leggi speciali. Deve, ancora, essere indicato l'ammontare del capitale, non inferiore a diecimila euro, sottoscritto e di quello versato (n. 4). Il legislatore, dunque, vuole che figuri nell'atto costitutivo la somma dei beni conferiti, espressa in cifre, somma che dovrà rimanere immutata, salve le modificazioni eseguite nel rispetto della relativa disciplina (Santini, 109): la cifra indicata nell'atto costitutivo deve poi corrispondere alla somma di tutti i conferimenti eseguiti dai soci, sia in denaro che in natura. Ai fini della costituzione della società, non è necessario che l'intero capitale sociale sia stato effettivamente versato, essendo sufficiente che esso sia stato per intero sottoscritto e che sia stato versato almeno il venticinque per cento dei conferimenti in danaro e l'intero sovrapprezzo. Si segnala, però, che, in caso di costituzione con atto unilaterale, l'intero ammontare dei conferimenti deve essere effettivamente versato. Inoltre, il versamento può essere sostituito dalla stipula, per un importo almeno corrispondente, di una polizza di assicurazione o di una fideiussione bancaria con le caratteristiche determinate con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri. Si rinvia al commento degli artt. 2464 e 2465 c.c. Il limitato importo di euro 10.000,00 è finalizzato a rendere lo schema tipologico accessibile alle imprese di minori dimensioni (Garilli, 1788). La scelta del legislatore delegato della riforma si discosta, almeno in parte, dalla previsione della legge delega (art. 3, comma 2, lett. b, l. 3 ottobre 2001, n. 366) secondo la quale il legislatore avrebbe dovuto «determinare la misura minima del capitale in coerenza con la funzione economica del modello». Al contrario, confermando il valore minimo del capitale sociale di s.r.l. nell'importo già stabilito in sede di conversione in euro, non è stata introdotta alcuna disposizione volta ad evitare i problemi di sottocapitalizzazione della società (e, in particolare, della s.r.l.) ed a stabilirne limiti in relazione alla tipologia economica dell'attività imprenditoriale svolta (Garilli, 1788). Devono essere, poi, indicati i conferimenti di ciascun socio e il valore attribuito ai crediti ed ai beni conferiti in natura (n. 5) e la quota di partecipazione di ciascun socio (n. 6). Tale ultima indicazione si presenta necessaria in quanto è consentito (art. 2468 comma 2 c.c.) determinare la partecipazione sociale in misura non proporzionale ai conferimenti. Quanto alla modalità di indicazione della «quota di partecipazione», parte della dottrina ritiene che l'indicazione della quota dovrebbe correttamente esprimersi in termini di proporzione (1/3, 3/5, etc.) o di percentuale (33,3%; 60%; etc.) e non già in termini di valore nominale o di parità contabile rispetto al capitale (Sciuto, 675). Ciò sulla base di tre rilievi: 1) la quota riconosciuta a ciascun socio può non essere proporzionale al conferimento da lui effettuato; 2) l'atto costitutivo potrebbe attribuire ad uno o più soci diritti in misura non proporzionale (non al valore del conferimento del soci, bensì) alla quota detenuta (art. 2468, comma 3 c.c.); 3) la quota è insensibile al variare del capitale nominale come dimostrato dal disposto di cui all'art. 2482-quater c.c. (Sciuto, 674). Secondo altra parte della dottrina, tuttavia, le quote potrebbero essere identificate anche attraverso l'indicazione di un valore nominale (Magliulo, 34). Si rinvia, per il resto, al commento degli artt. 2464,2465 e 2468 c.c. L'atto costitutivo, poi, deve contenere le norme relative al funzionamento della società e, precisamente, quelle concernenti l'amministrazione, la rappresentanza (n. 7) con indicazione delle persone cui è affidata l'amministrazione e la revisione legale dei conti (n. 8). Tali indicazioni appaiono necessarie in relazione alla varietà dei modelli che l'autonomia privata è legittimata ad adottare. La durata della società ed i criteri di ripartizione degli utili.La riforma del diritto societario ha eliminato due importanti indicazioni che, in precedenza, dovevano essere contenute nell'atto costitutivo: la durata della società ed i criteri di ripartizione degli utili (art. 2475, comma 1, n. 6 e 9, c.c., ante riforma). È certo, dunque, che la società possa avere durata indeterminata, come è reso evidente dalla circostanza che l'art. 2473, comma 2, c.c. attribuisce, in tal caso, a ciascun socio, il diritto di recesso, esercitabile in ogni momento con un preavviso di almeno centottanta giorni, periodo di preavviso che l'atto costitutivo può eventualmente aumentare senza potere superare l'anno. Qualora l'atto costitutivo non preveda espressamente né un termine di durata, né l'indicazione della durata medesima, la società si intenderà contratta a tempo indeterminato (Santini, 133; Sciuto, 671). Si ritiene, però, che, in caso di determinazione della durata, non siano valide le clausole di proroga tacita del termine, essendo necessario in tale caso ricorrere ad una espressa modificazione dell'atto costitutivo (Santini, ivi; Garilli, 1786) In giurisprudenza, di vedano Cass., n. 5472/1998; App. Torino 10 febbraio 1984, in Vita not. 1985, 359. Come già accennato, l'atto costitutivo non deve più prevedere i criteri di ripartizione degli utili. Si è ritenuto, infatti, una simile indicazione superflua alla luce del disposto di cui all'art. 2468, comma 2 e 3, c.c. secondo i quali, da un lato, i diritti sociali spettano ai soci in misura proporzionale alla partecipazione da ciascuno posseduta e, dall'altro, l'atto costitutivo può prevedere l'attribuzione a singoli soci di particolari diritti riguardanti l'amministrazione della società o la distribuzione degli utili. L'atto costitutivo può prevedere che una parte degli utili venga riservata ai soci fondatori (Santini, 135). La società a responsabilità limitata a capitale ridotto.Con il d.l. 22 giugno 2012, n. 83 (c.d. Decreto Crescita) è stata introdotta (all'art. 44) la società a responsabilità limitata a capitale ridotto, con disciplina modificata dalla legge di conversione, cioè l. 7 agosto 2012, n. 134. La società a responsabilità limitata a capitale ridotto è stata abrogata dal d.l. 28 giugno 2013, n. 76, convertito con l. 9 agosto 2013, n. 98, che ha (i) consentito a tutte le s.r.l. la costituzione con capitale inferiore a 10.000,00 euro e altresì (ii) modificato la s.r.l. semplificata (di cui all'art. 2463-bis c.c.). In questo modo, i modelli di s.r.l. sono, oggi, due: (1) la s.r.l. «ordinaria» che può costituirsi con capitale inferiore a euro 10.000 con regole, per così dire, «alternative di protezione del capitale»; (2) la s.r.l. semplificata, anch'essa con capitale simbolico, soci senza limiti anagrafici, amministratori anche estranei, statuto standard obbligatorio (cfr. art. 2463-bis c.c.) (così, Montalenti, 428). I commi 4 e 5 dell'articolo in commento, per come introdotti dall'art. 9 comma 15-ter, d.l. 28 giugno 2013, n. 79 (poi convertito con modificazioni in l. 9 agosto 2013, n. 99), introducono, dunque, un sottotipo (Trimarchi, 145) di società a responsabilità limitata comunemente denominata, mantenendo la dizione dell'antecedente costituito dall'art. 44 d.l. 22 giugno 2012, n. 83, società a responsabilità limitata a capitale ridotto (ovvero «nuova società a responsabilità limitata a capitale ridotto», così, Busani, 1068; o, secondo altri, s.r.l. «a capitale unitario», così, Santini, 179, o, secondo altri ancora, «nuova s.r.l. sottocapitalizzata», così, Garilli, 1795). In questo modo, i commi in commento modificano semplicemente la disciplina del capitale sociale della s.r.l., consentendo a chiunque di costituire una società a responsabilità limitata con un capitale sociale pari ad almeno un euro, senza che ciò determini la necessità di adottare un particolare codice organizzativo, né una specifica denominazione sociale (così, testualmente, Garilli, 1795). Tale società si caratterizza per essere dotata di un capitale sociale inferiore al minimo prescritto per il tipo generale dall'art. 2463, comma 2, n. 4 c.c. e, quindi, necessariamente compreso tra 1,00 e 9.999,99 euro. Al contrario, la società con capitale ridotto non si caratterizza sotto il profilo soggettivo dei soci, in quanto non sono richieste particolari condizioni soggettive dei soggetti che partecipano alla sua costituzione (Santini, 180). Inoltre, i conferimenti possono consistere esclusivamente in denaro, non essendo ammissibile il ricorso a conferimenti in natura, di crediti, di opere o servizi; i conferimenti medesimi devono essere interamente versati a coloro cui è attribuita l'amministrazione della società (Fico, par. 4; Busani, 1082, il quale evidenzia, nt. 42, come la norma provoca una paradossale conseguenza: qualora il capitale della «nuova s.r.l.c.r.» sia attestato a un valore nominale superiore a 2.500 euro, in sede di atto costitutivo occorre un versamento superiore a quello che dovrebbe essere effettuato per la costituzione di una s.r.l. «ordinaria» non unipersonale). In altre parole, i conferimenti devono: 1) essere necessariamente in danaro; 2) essere interamente liberati all'atto della sottoscrizione; 3) essere versati nelle mani dell'organo amministrativo (Santini, 186). Si tende ad escludere che l'obbligo di esecuzione del conferimento possa essere anche solo parzialmente sostituito dalla prestazione di una polizza assicurativa o di una fideiussione bancaria ai sensi dell'art. 2464, comma 4 c.c. dal momento che è richiesto l'integrale versamento dei conferimenti (Rescigno, 73; Garilli, 1796). Secondo la dottrina, qualora un aumento del capitale sociale porti questo ad un importo di almeno 10.000 euro, trovano integrale applicazione le norme di cui agli art. 2481 ss. c.c., con la conseguenza che i conferimenti potrebbero anche assumere forme diverse dal danaro e che viene meno l'obbligo di accantonamento a riserva legale di un quinto degli utili (Santini, 187). Il legislatore ha, poi, previsto una «riserva da accumulo» (Santini, 187; su tali profili, e sull'integrazione sistematica tra art. 2463, comma 4, e 2430 c.c., si veda Rescio, 1881 ss.), imponendo di dedurre dagli utili netti risultanti dal bilancio di esercizio regolarmente approvato una somma pari, almeno, al venti per cento degli stessi, attraverso l'accantonamento alla riserva legale, sino a quando tale riserva non abbia raggiunto, unitamente al capitale sociale, l'ammontare di diecimila euro. La riserva così formata può essere utilizzata soltanto per imputazione a capitale sociale e per copertura di eventuali perdite di esercizio e, in ogni caso, deve essere reintegrata nel caso in cui viene diminuita. La norma costituisce la mediazione tra opposte esigenze: quella dei soci di costituire la società pur non disponendo di adeguate somme di danaro da vincolare a capitale sociale; quello dei creditori di potere fare affidamento, in tempi ragionevoli, su mezzi vincolati di importo complessivamente non inferiore a diecimila euro (Fico, ibidem). In altre parole, il legislatore ha previsto che il capitale corrispondente al minimo legale (ordinario) si formi in modo progressivo attraverso gli utili futuri e, a tal fine, ha imposto che al termine di ciascun esercizio siano accantonati a riserva legale utili pari al quinto del loro ammontare (Fico, ibidem; Busani, 1068, che parla di patrimonializzazione forzosa). Successivamente, una volta raggiunto l'importo di diecimila euro, torna vigente la regola ordinaria, per la quale un ventesimo degli utili netti deve essere destinato, in ogni esercizio, a integrare la riserva legale, e ciò fino a che essa non abbia raggiunto il quinto del capitale sociale (Busani, ibidem, che precisa debba tornarsi ad applicare la regola dell'accantonamento del quinto degli utili, ove la somma di capitale e riserva legale scenda, per qualsiasi ragione, sotto la soglia dei diecimila euro). La dottrina maggioritaria ritiene, peraltro, che con l'introduzione della società a responsabilità limitata a capitale ridotto il legislatore abbia compiuto la scelta di modificare l'importo minimo del capitale sociale della s.r.l., senza però toccare la disciplina del capitale nominale (Garilli, 1797; Cian, 1122; Rescigno, 90; Busani, 1079; Marasà, 1090; Santini, 189, secondo la quale le s.r.l. con capitale inferiore ad euro 10.000 sono società nelle quali, comunque, vige il principio del capitale fisso, principio la cui applicazione è legata alla distinzione tra capitale sociale e patrimonio netto, e non tanto all'esistenza di un minimo di capitale significativo). Conseguentemente, anche a questo sottotipo di s.r.l. si applicherà la disciplina in ordine alla riduzione del capitale sociale per perdite allorquando queste ultime abbiano intaccato per oltre un terzo la cifra del capitale sociale come indicato nell'atto costitutivo. La plausibilità di questa scelta, sul piano della politica legislativa, è stata definita quanto meno discutibile, se si pensa che la perdita di una manciata di centesimi basta, in una società con il minimo di capitale, ad innescare i meccanismi dell'art. 2482-ter e che conseguentemente essa è destinata a nascere già condannata, se non vengono iniettate dall'esterno almeno le risorse necessarie per la stessa sua registrazione e costituzione (Cian, 1123). Conseguentemente, qualora le perdite subite siano superiori ad un terzo del capitale sociale, l'assemblea potrà, in via alternativa (Santini, 190): 1) ridurre il capitale sociale ad almeno un euro; 2) rinviare la decisione alla successiva assemblea di bilancio in occasione della quale il capitale dovrà essere ridotto se la perdita non sia stata medio tempore assorbita e ridotta a meno di un terzo del capitale sociale; 3) ove la perdita abbia azzerato l'intero capitale sociale, ridurre immediatamente il capitale sociale a zero, con contestuale ripianamento delle perdite (mediante versamenti dei soci) ed il contemporaneo aumento del capitale medesimo ad almeno un euro; 4) trasformare la società in società di persone. In difetto dell'adozione di simili provvedimenti, la società si scioglie. Si ritiene, infine, che i finanziamenti che i soci eseguono in favore di una s.r.l. costituita ai sensi dei comma 4 e 5 dell'articolo in commento siano soggetti alle previsioni di cui all'art. 2467 c.c. (v.). BibliografiaBarcellona, Atto costitutivo e statuto, in S.r.l. Commentario, a cura di Dolmetta, Presti, Milano, 2011; Busani, La nuova società a responsabilità semplificata e la nuova s.r.l. con capitale inferiore a 10mila euro, in Soc. 2013, 1068; Cagnasso, La società a responsabilità limitata, in Trattato di diritto commerciale, diretto da Cottino, V, I, Padova, 2007; Cian, S.r.l., s.r.l. semplificata, s.r.l. a capitale ridotto. Una nuova geometria del sistema o un sistema disarticolato?, in Riv. soc. 2012, 1101; De Luca, Napolitano, Maggioranze rafforzate e principio di «autoprotezione». 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