Codice Civile art. 2461 - Responsabilità degli accomandatari verso i terzi (1).

Giuseppe Fichera

Responsabilità degli accomandatari verso i terzi (1).

[I]. La responsabilità dei soci accomandatari verso i terzi è regolata dall'articolo 2304.

[II]. Il socio accomandatario che cessa dall'ufficio di amministratore non risponde per le obbligazioni della società sorte posteriormente all'iscrizione nel registro delle imprese della cessazione dall'ufficio.

(1) V. nota al Capo VI.

Inquadramento

Dal rinvio operato all'art. 2304, si evince con sicurezza che la responsabilità illimitata degli azionisti accomandatari è sussidiaria, in quanto essi godono del beneficium excussionis di modo che i creditori sociali potranno pretendere il pagamento dagli accomandatari solo dopo aver escusso senza successo la s.a.p.a. quand'anche fosse in liquidazione (Corsi, 220). Secondo una teoria dottrinale, la natura di tale responsabilità sarebbe quella di un garante cui competa l'azione di regresso (Costi, 115). In realtà, configurare l'azionista accomandatario come un mero garante implicherebbe una degradazione della posizione dell'accomandatario, il quale finirebbe per rispondere, al pari degli accomandanti, nei limiti della quota sottoscritta (Galgano, 467, nt. 5).

In giurisprudenza è stato affermato espressamente (Cass. n. 100/1968) che nelle società in accomandita i soci accomandatari rispondono solidalmente, per le obbligazioni contratte dalla società, ma sussidiariamente, sicché i creditori della società devono, prima di rivolgersi agli accomandatari, escutere il capitale sociale, avendo la società autonomia patrimoniale.

Il limite temporale della responsabilità

È chiaro che l'azionista accomandatario va esente da responsabilità per le obbligazioni sociali sorte successivamente all'iscrizione sul registro delle imprese della cessazione dalla carica, ma i dati legislativi non sembrano altrettanto inequivoci per quanto concerne le obbligazioni sociali pregresse rispetto all'assunzione dello status di accomandatario. Sul tema si veda il commento all'art. 2457 c.c.

L’apertura della liquidazione giudiziale dell’azionista accomandatario

Il problema dell'estensione delle responsabilità degli accomandatari si riverbera sulla questione dell'assoggettamento alla liquidazione giudiziale degli stessi azionisti accomandatari ai sensi dell'art. 256 c.c.i.i., che si applica ai soci illimitatamente responsabili.

Conseguentemente, si riproducono le tesi contrapposte in coerenza con gli assunti relativi all'ambito della responsabilità. Così, nella vigenza della vecchia legge fallimentare del '42, si era affermato che gli accomandatari restano sottratti al fallimento, richiamando le norme in materia di bancarotta sul comune rilievo che l'art. 222 l.fall. (oggi art. 328 c.c.i.i.) estende l'applicabilità delle norme incriminatrici espressamente ai soci illimitatamente responsabili delle società personali e non anche agli azionisti accomandatari (Corsi, 248; Costi, 209). A tali affermazioni si era replicato che gli azionisti accomandatari rispondono di bancarotta, ai sensi degli artt. 216 e 217 l.fall. (Galgano, 467), ovvero, secondo altri, ex art. 223 l. fall. (Di Sabato, 722).

La Corte di Cassazione ha affermato (Cass. n. 2711/2009) che l'art 147 l.fall., nella parte in cui commina l'estensione del fallimento della società ai soci illimitatamente responsabili, si riferisce a quelle società che, in base al tipo legale, sono strutturalmente conformate in modo tale da comportare, nonostante l'autonomia patrimoniale o, addirittura, la personalità giuridica, come nella società in accomandita per azioni, la responsabilità illimitata e solidale dei soci, o di una categoria di essi, per tutte le obbligazioni sociali, secondo una ratio che imputa l'insolvenza a titolo di responsabilità oggettiva sulla base dell'accettazione del rischio di impresa.

La questione, peraltro poteva dirsi risolta in senso affermativo già dalla legge di riforma delle procedure concorsuali attuata con il d.lgs. 9 gennaio 2006, n. 5 (Castellano, 665, nt. 4). Infatti, il nuovo testo dell'art. 147 – oggi integralmente riprodotto dall'art. 256 c.c.i.i. – precisa che la sentenza che dichiara il fallimento (rectius l'apertura della liquidazione giudiziale) di una società appartenente ad uno dei tipi regolati nei capi III, IV e VI del libro quinto del codice civile, produce anche il fallimento dei soci, pur se non persone fisiche, illimitatamente responsabili.

Rimane dunque isolata quella dottrina che, negando che l'accomandatario sia un socio illimitatamente responsabile, afferma che anche il nuovo testo si riferisce espressamente solo ai soci illimitatamente responsabili e, quindi, non agli accomandatari della s.a.p.a. (Barcellona, Costi,Grande Stevens, 272, nt. 31).

L'estensione del fallimento è limitata dall'art. 256, comma 2, c.c.i.i.. al caso che l'insolvenza «attenga, in tutto o in parte, a debiti esistenti alla data della cessazione della responsabilità illimitata». La liquidazione giudiziale  del socio non potrà essere dichiarato decorso un anno dallo scioglimento del rapporto sociale o dalla cessazione della responsabilità illimitata.

Bibliografia

Barcellona, Costi, Grande Stevens, Società in accomandita per azioni, in Comm. S.B. Bologna-Roma, 2005; Castellano, Sub art. 147, in Fallimento delle società, in Santangeli (a cura di), Il nuovo fallimento, Milano, 2006; Corsi, Le nuove società di capitali, Milano, 2003; Costi, Sub artt. 2462-2471. Della società in accomandita per azioni, in Comm. S.B, Roma-Bologna, 1973; Di Sabato, Diritto delle società, Milano, 2003; Galgano, Il nuovo diritto societario, in Tr.Gal., XXIX, Padova, 2003.

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