Codice di Procedura Civile art. 807 - Compromesso 1 .Compromesso1. [I]. Il compromesso deve, a pena di nullità, essere fatto per iscritto e determinare l'oggetto della controversia. [II]. La forma scritta s'intende rispettata anche quando la volontà delle parti è espressa per telegrafo, telescrivente, telefacsimile o messaggio telematico nel rispetto della normativa, anche regolamentare, concernente la trasmissione e la ricezione dei documenti teletrasmessi. [1] L'articolo, è stato così sostituito dall'art. 20, d.lg. 2 febbraio 2006, n. 40, a far data dal 2 marzo 2006. . Ai sensi dell'art. 27, comma 3, d.lg. n. 40, cit., la disposizione si applica alle convenzioni di arbitrato stipulate dopo la data di entrata in vigore del decreto. Il testo precedente recitava: «Forma del compromesso. [I]. Il compromesso deve, a pena di nullità, essere fatto per iscritto e determinare l'oggetto della controversia. [II]. La forma scritta s'intende rispettata anche quando la volontà delle parti è espressa per telegrafo o telescrivente. [III]. Al compromesso si applicano le disposizioni che regolano la validità dei contratti eccedenti l'ordinaria amministrazione». Precedentemente l'articolo era stato modificato dall'art. 2 l. 5 gennaio 1994, n. 25. InquadramentoL'arbitrato si fonda sulla volontà delle parti che si manifesta mediante la convenzione d'arbitrato che ha le proprie forme principali nel compromesso, disciplinato dall'art. 807 c.p.c., e relativo ad una determinata controversia già insorta tra le stesse, e la clausola compromissoria, inserita in un contratto con riferimento, in genere, a tutte le controversie derivanti dall'interpretazione ed esecuzione del medesimo. In entrambe le ipotesi, la convenzione d'arbitrato è un negozio con il quale le parti deferiscono ad arbitri la decisione di una o più controversie che tra di esse siano insorte o possano insorgere in relazione ad un determinato rapporto giuridico sostanziale, di natura contrattuale o non contrattuale, e che preclude loro la possibilità di fare ricorso alla giurisdizione statale per la risoluzione delle controversie che ne sono oggetto. Forma scritta ad substantiamLa norma in commento disciplina il compromesso, ossia il negozio diretto a regolare una o più liti già insorte: trattandosi di un contratto, sebbene avente effetti processuali, deve essere interpretato secondo le regole dettate dagli artt. 1362 ss. c.c. (Cass. n. 3472/1969; Cass. n. 616/1974). L'art. 807 c.p.c., modificato dal d.lgs. n. 40/2006, sia nella formulazione del comma 2, sia per l'abrogazione del previgente comma 3, che rendeva applicabile al compromesso le disposizioni in tema di validità dei contratti eccedenti l'ordinaria amministrazione (sicché è da credere che il compromesso debba essere qualificato come atto di ordinaria o straordinaria amministrazione a seconda del rapporto sostanziale cui si riferisce), richiede per il compromesso la forma scritta ad substantiam e l'indicazione dell'oggetto della controversia. Sebbene l'art. 807 c.p.c. richieda per il compromesso la forma scritta ad substantiam, la sua stipulazione non esige la formazione di un unico atto (ad es., un verbale di assemblea condominiale nel quale sia stata raccolta la convenzione con cui un condominio, da una parte, e singoli condomini, dall'altra, abbiano statuito di far decidere da arbitri le controversie fra di essi insorte: Cass. n. 2797/1969), potendo le diverse manifestazioni di volontà emergere da atti distinti, sebbene non contestuali (Cass. n. 10000/2014; Cass. n. 20504/2010; Cass. n. 16332/2007; Cass. n. 2256/2007), purché, a fronte di una proposta scritta di compromesso, la risposta scritta dell'altra parte contenga un'espressa volontà di adesione (Cass. n. 22/1986). È pacifico, peraltro, nella giurisprudenza di legittimità il principio per il quale il requisito della forma scritta ad substantiam richiesto dall'art. 807 c.p.c. è soddisfatto anche quando la volontà negoziale di compromettere la causa sia contenuta in atti separati e in documenti prodotti in copia da ciascuna delle parti e non disconosciuti (Cass. I, n. 20504/2010, in Riv. arb., 2011, 69, con nota di Ungaretti Dell'Immagine). Si ritiene, in particolare che il requisito della forma scritta ad substantiam richiesto per la validità del compromesso e della clausola compromissoria non postula che la volontà negoziale sia indefettibilmente espressa in un unico documento recante la contestuale sottoscrizione di entrambe le parti, potendo realizzarsi anche con lo scambio delle missive contenenti rispettivamente la proposta e l'accettazione del deferimento della controversia ad arbitri, dovendosi interpretare la richiesta di costituzione di un collegio arbitrale e la relativa accettazione come concorde volontà di compromettere la lite in arbitri (cfr. Cass. I, n. 2256/2007, in una fattispecie nell'ambito di un contratto d'appalto il cui capitolato speciale conteneva una clausola compromissoria, una delle parti aveva nominato il suo arbitro e l'altra, in adesione all'iniziativa, aveva nominato il proprio). Il requisito della forma scritta ad substantiam è richiesto anche per l'eventuale preliminare di compromesso, ex art. 1352 c.c. Dal versante della disciplina probatoria, la previsione della forma scritta a pena di nullità esclude che il contratto possa essere provata a mezzo testimoni (fatta eccezione per l'ipotesi di smarrimento del documento ex artt. 2724-2725 c.c.) o a mezzo di giuramento o confessione. La nullità del compromesso per difetto di forma determina il difetto di potestas iudicandi in capo agli arbitri, difetto rilevabile d'ufficio nel giudizio di impugnazione, anche in sede di legittimità, con il solo limite del giudicato (con riguardo alla clausola compromissoria v. Cass. n. 10132/2006; Cass. n. 10729/2013). Il comma 2 chiarisce che la forma scritta s'intende rispettata anche quando la volontà delle parti è espressa non soltanto per telegrafo o telescrivente (era così già secondo il vecchio testo), ma anche per telefacsimile o messaggio telematico nel rispetto della normativa, anche regolamentare, concernente la trasmissione e la ricezione dei documenti teletrasmessi. Sulla scorta di tale previsione, si è affermato che deve considerarsi stipulato per iscritto ai sensi dell'art. 807 c.p.c. l'accordo arbitrale la cui conclusione sia avvenuta con invio al proponente tramite mail ordinaria (non certificata) di una copia recante la sottoscrizione autografa del testo dell'accordo (Coll. Arbitrale Roma 10 maggio 2012, in Riv. arb., 2014, n. 3, 601, con nota di Ravidà). Quanto all'ambito applicativo della norma in commento, poi, in sede applicativa si è ritenuto che la clausola contenente la previsione di un arbitrato irrituale non deve essere in ogni caso redatta per iscritto a pena di nullità, in quanto tale previsione generale è dettata dall'art. 807 c.p.c. in riferimento al solo arbitrato rituale; la forma scritta è richiesta solo se la clausola concerne rapporti che derivano da alcuni degli atti previsti dall'art. 1350 c.c., mentre, se la clausola arbitrale concerne altri rapporti, è sufficiente che di essa si dia prova scritta, che può consistere in qualsiasi attestazione scritta attribuibile alle parti circa l'esistenza del mandato compromissorio anche successiva alla pattuizione ed a carattere meramente ricognitivo, mentre non è richiesta ai fini della sua efficacia una specifica approvazione per iscritto, ex art. 1341 c.c. (Trib. Milano, sez. VII, 26 febbraio 2015, n. 2625). Casistica In tema di arbitrato rituale, il requisito della forma scritta richiesto dall'art. 807 c.p.c. è soddisfatto quando la volontà negoziale di compromettere la causa è contenuta in un atto scritto, ciò che è ravvisabile, per un contratto di appalto redatto per iscritto, ogni qual volta sia in esso contenuto un richiamo a norma regolamentare che preveda l'espletamento dell'arbitrato, risultando — ad esempio — una inutile duplicazione la riproduzione in atto autonomo della clausola compromissoria contenuta nell'art. 43 d.P.R. n. 1063/1962 (Cass. I, n. 5540/2004). L'art. 15, comma 3, del d.m. dell'Agricoltura 1° luglio 2002, n. 743, secondo cui, in difetto di preventiva accettazione, la nomina dell'arbitro da parte dell'Agenzia per l'erogazione in agricoltura (AGEA) equivale ad accettazione della proposta di compromesso da parte dei richiedenti/beneficiari dei contributi agricoli dell'Unione Europea, non si pone in contrasto con l'art. 807 c.p.c. (nella formulazione applicabile ratione temporis) atteso che, anche per tale disposizione il requisito della forma scritta ad substantiam per la validità del compromesso può realizzarsi anche con lo scambio di missive contenenti la proposta e l'accettazione, rispondendo tale interpretazione ad una esigenza di deformalizzazione dell'obbligo pur conservandone il nucleo indefettibile dell'incontro effettivo, e riscontrabile per iscritto, di volontà sulla compromettibilità e sull'oggetto del compromesso. Ne consegue che, essendosi l'AGEA autoassoggettata al procedimento arbitrale per le controversie relative ai contributi agricoli di provenienza (ed in presenza di una specifica predisposizione unilaterale della completa disciplina delle forme di soluzione delle controversie diverse dal ricorso all'autorità giudiziaria), non occorre, ai fini della validità di un compromesso, una specifica approvazione per iscritto del compromesso, essendo sufficiente la nomina dell'arbitro (Cass. I, n. 10436/2014). La sottoscrizione della polizza di carico «per semplice ricevuta» della merce ivi trasportata, pur implicando adesione del destinatario al contratto di trasporto marittimo, non può assumere il valore di accettazione di un clausola compromissoria, unilateralmente inserita dal mittente nel detto documento (Cass. n. 3362/1991). In sostanza, la sottoscrizione della polizza di carico non può assumere, ex se, il valore di accettazione di un clausola compromissoria per arbitrato estero in mancanza di espresso e specifico richiamo a quest'ultima, trattandosi di pattuizione da stipularsi per iscritto e, quindi, in una forma che condiziona la possibilità di delibazione del lodo eventualmente ottenuto dalla parte interessata, secondo le previsioni in tal senso desumibili dall'art. II della Convenzione di New York del 10 giugno 1958, resa esecutiva in Italia con l. n. 62 /1968 (Cass. n. 21655/2017). BibliografiaBriguglio, Inderogabilità della competenza territoriale ex art. 810 c.p.c., in Riv. arb., 1993, 430; Fazzalari, L'arbitrato, Torino, 1997; Gennari, Superato il «doppio binario» l'arbitrato societario rimane vincolato al vago confine della disponibilità dei diritti, in Riv. dir. comm., 2014, I, 551; La China, L'arbitrato: il sistema e l'esperienza, Milano, 2011; Menchini (a cura di), La nuova disciplina dell'arbitrato, Padova, 2010, 65; Punzi, Disegno sistematico dell'arbitrato, Padova, 2012; Ravidà, Sull'efficacia della pronuncia del giudice che declina la propria competenza in favore dell'arbitro e sulla forma dell'accordo di arbitrato, in Riv. arb., 2014, n. 3, 604; Ricci, Il nuovo arbitrato societario, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2003, 521; Ricci, La convenzione di arbitrato e le materie arbitrabili nella riforma, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2007, 759; Ruffini, Il patto compromissorio, in Fazzalari (a cura di), La riforma della disciplina dell'arbitrato, Milano, 2006; Ungaretti dell'Immagine, Brevi note sulla forma della convenzione arbitrale, in Riv. arb., 2011, 73. |