Decreto legislativo - 6/09/2005 - n. 206 art. 47 - Esclusioni 1

Giacomo Bizzarri

Esclusioni1

 

1. Le disposizioni delle Sezioni da I a IV del presente Capo non si applicano ai contratti:

a) per i servizi sociali, compresi gli alloggi popolari, l'assistenza all'infanzia e il sostegno alle famiglie e alle persone temporaneamente o permanentemente in stato di bisogno, ivi compresa l'assistenza a lungo termine;

b) di assistenza sanitaria, per i servizi prestati da professionisti sanitari a pazienti, al fine di valutare, mantenere o ristabilire il loro stato di salute, ivi compresa la prescrizione, la somministrazione e la fornitura di medicinali e dispositivi medici, sia essa fornita o meno attraverso le strutture di assistenza sanitaria;

c) di attivita' di azzardo che implicano una posta di valore pecuniario in giochi di fortuna, comprese le lotterie, i giochi d'azzardo nei casino' e le scommesse;

d) di servizi finanziari;

e) aventi ad oggetto la creazione di beni immobili o la costituzione o il trasferimento di diritti su beni immobili;

f) per la costruzione di nuovi edifici, la trasformazione sostanziale di edifici esistenti e per la locazione di alloggi a scopo residenziale;

g) che rientrano nell'ambito di applicazione della disciplina concernente i contratti del turismo organizzato, di cui al Capo I del Titolo VI dell'Allegato 1 al decreto legislativo 23 maggio 2011, n. 792;

h) che rientrano nell'ambito di applicazione della disciplina concernente la tutela dei consumatori per quanto riguarda taluni aspetti dei contratti di multiproprieta', dei contratti relativi ai prodotti per le vacanze di lungo termine e dei contratti di rivendita e di scambio, di cui agli articoli da 69 a 81-bis del presente Codice;

i) stipulati con l'intervento di un pubblico ufficiale, tenuto per legge all'indipendenza e all'imparzialita', il quale deve garantire, fornendo un'informazione giuridica completa, che il consumatore concluda il contratto soltanto sulla base di una decisione giuridica ponderata e con conoscenza della sua rilevanza giuridica;

l) di fornitura di alimenti, bevande o altri beni destinati al consumo corrente nella famiglia e fisicamente forniti da un professionista in giri frequenti e regolari al domicilio, alla residenza o al posto di lavoro del consumatore;

m) di servizi di trasporto passeggeri, fatti salvi l'articolo 51, comma 2, e gli articoli 62, 64 e 65 3

n) conclusi tramite distributori automatici o locali commerciali automatizzati;

o) conclusi con operatori delle telecomunicazioni impiegando telefoni pubblici a pagamento per il loro utilizzo o conclusi per l'utilizzo di un solo collegamento tramite telefono, Internet o fax, stabilito dal consumatore;

o-bis) relativi ai beni oggetto di vendita forzata o comunque venduti secondo altre modalità dalle autorità giudiziarie 4.

2. Le disposizioni delle Sezioni da I a IV del presente Capo non si applicano ai contratti negoziati fuori dei locali commerciali in base ai quali il corrispettivo che il consumatore deve pagare non e' superiore a 50 euro. Tuttavia, si applicano le disposizioni del presente Capo nel caso di piu' contratti stipulati contestualmente tra le medesime parti, qualora l'entita' del corrispettivo globale che il consumatore deve pagare, indipendentemente dall'importo dei singoli contratti, superi l'importo di 50 euro.

[2] Lettera sostituita, a decorrere dal 1° luglio 2018, dall'articolo 2, comma 1, del D.Lgs. 21 maggio 2018, n. 62.

[3] Lettera sostituita dall'articolo 1, comma 11, lettera a), del D.Lgs. 7 marzo 2023, n. 26 e successivamente modificata dall'articolo 1, comma 5 del D.L. 10 agosto 2023, n. 104, non ancora convertito in legge, la modifica non è stata confermata in sede di conversione del D.L. 104/2023 citato.

Inquadramento

Una parte importante della speciale legislazione consumeristica è certamente quella dedicata alla normazione di quelle particolari ipotesi di contrattazione nelle quali maggiormente si può avere una compromissione degli interessi della parte debole.

Se un soggetto si reca fisicamente presso un negozio, si ritiene che in lui possa ragionevolmente essersi già formata l'idea di una possibilità di acquisto e che comunque sia conscio di entrare in un luogo dedicato alla vendita di beni e servizi. Diversamente, nel caso in cui questi si trovi al di fuori di tale contesto, vi è il timore che la sua volontà possa subire pressioni o che comunque possa non avere quel grado di attenzione che normalmente vi è quando ci si trova in luoghi che si sa essere deputati alla vendita di beni e servizi.

Per tali ragioni, in attuazione di alcune direttive comunitarie ed europee, sono state introdotte una serie di norme dedicate alla tutela del consumatore che si trovi a stipulare un contratto a distanza ovvero al di fuori di locali dedicati al commercio.

L'esigenza di intervenire per la tutela del consumatore quando la contrattazione avviene secondo le predette modalità viene soddisfatta attraverso una disciplina multilivello, partendo dalla previsione di appositi obblighi informativi nella fase precontrattuale, prescrivendo requisiti di forma contenuto dei contratti, disciplinando un particolare diritto di recesso del consumatore e adottando alcune ulteriori disposizioni anche sul fronte rimediale.

Alcune norme speciali, infine, sono state dedicate alla regolamentazione di una specifica ipotesi di contratti a distanza, quelli relativi al commercio a distanza di servizi finanziari, per i quali si è sentita l'esigenza di porre alcune ulteriori norme di dettaglio.

Per quanto attiene alla genesi di questa normativa di settore, essa costituisce il risultato di una successione di norme adottate in attuazione di delibere in ambito comunitario-europeo.

La disciplina sui contratti negoziati fuori dai locali commerciali è stata dapprima introdotta con il d.lgs. n. 50/1992, di attuazione della direttiva 85/577/CEE, per la tutela dei consumatori in caso di contratti negoziati fuori dei locali commerciali; la regolamentazione dei contratti a distanza, invece, era contenuta nel d.lgs. n. 185/1999, di attuazione della direttiva 97/7/CE, riguardante la protezione dei consumatori in materia di contratti a distanza.

Tali provvedimenti sono poi stati abrogati dal cod. cons. (art. 146), all'interno del quale, gli articoli 50 ss. sono stati dedicati alla regolamentazione di tali fattispecie.

In seguito tale complesso normativo è stato innovato ulteriormente con il d.lgs. n. 21/2014, di attuazione della direttiva 2011/83/UE sui diritti dei consumatori.

Per quanto riguarda la regolamentazione della specifica ipotesi di contrattazione a distanza che concerne i servizi finanziari (v. infra), questa inizialmente era contenuta nel d.lgs. n. 190/2005, adottato in attuazione della direttiva 2002/65/CE, concernente la commercializzazione a distanza di servizi finanziari ai consumatori; poi è stata anch'essa inserita all'interno del codice del consumo.

In particolare, come è stato osservato in dottrina, per i contratti negoziati fuori dei locali commerciali l'esigenza di tutela deriva dalla necessità di fronteggiare l'aggressività della tecnica adottata dal commerciante che si fonda sulla sorpresa e sull'incalzante persuasione del consumatore con la conseguenza di indurre quest'ultimo ad effettuare scelte negoziali non adeguatamente ponderate, mentre nei contratti a distanza la mancanza di simultanea presenza fisica delle parti, realizzata tramite tecniche di comunicazione che hanno l'effetto di privare il consumatore del rapporto diretto con il bene o con il servizio oggetto del contratto, determina dei difetti di percezione che impattano sulla possibilità di prestare un consenso libero e consapevole (Rumi, 52 ss.; Perugini, 93).

Mentre lo sviluppo di un diritto privato europeo si trova in una fase ancora non avanzata, nella materia consumeristica si sono registrate delle importanti innovazioni, anche attraverso la rivisitazione della regolamentazione dei contratti a distanza e dei contratti negoziati fuori dei locali commerciali, mediante l'adozione della direttiva 2011/83/UE sui diritti dei consumatori, alla quale si è dato attuazione nel nostro ordinamento con il d.lgs. n. 21/2014. Con l'art. 31 di tale direttiva, in particolare, si sono abrogate le precedenti direttive 85/577/CEE e 97/7/CE a far data dal 13 giugno 2014. Alla base di tale riforma, come evidenziato nei considerando della direttiva, vi è stata tra le altre cose l'esigenza di potenziare lo strumento del commercio transfrontaliero a distanza e fuori dei locali commerciali, che non ha visto una crescita tanto marcata quanto sul piano interno degli Stati. La direttiva 2011/83/UE, quindi, tra i propri obiettivi si è posto quello di rimuovere gli ostacoli allo sviluppo di tali strumenti di contrattazione in ambito europeo: al considerando n. 6, in particolare, si specifica che alcune disparità possono creare importanti barriere nel mercato interno, con un aumento dei costi per i professionisti che cerchino di svolgere la propria attività in ambito transfrontaliero e con una frammentazione che mina la fiducia del consumatore nel mercato interno (Bravo, 6 ss.).

Dunque, oggi la contrattazione a distanza e fuori dei locali commerciali è regolata da una serie di norme che si trovano all'interno del codice del consumo e che costituiscono il risultato di più interventi a livello comunitario-europeo, chiara testimonianza del particolare interesse che tali forme di negoziazione suscitano per il legislatore euro-unitario verso la realizzazione di un mercato unico con adeguati ed uniformi livelli di tutela.

Per quanto concerne la contrattazione a distanza di servizi finanziari, con il d.lgs. n. 221/2007, si è abrogato il menzionato d.lgs. n. 190/2005 e la disciplina sulla commercializzazione a distanza di tali servizi è stata più appropriatamente inserita all'interno del codice del consumo, ponendo così rimedio ad una ingiustificabile svista del Governo che aveva omesso di tenere conto di tale normativa al momento dell'adozione del codice del consumo. La regolamentazione di questo particolare segmento negoziale, a ben vedere, risponde all'esigenza di assicurare il buon funzionamento del mercato interno attraverso la creazione di un livello di protezione elevato ed uniforme dei consumatori in tutti gli Stati membri (De Cristofaro, 173 ss.).

La direttiva 2011/83/UE: un ulteriore passo verso l'armonizzazione della disciplina europea a tutela dei consumatori

Con il presente provvedimento si è fatto un passo avanti verso l'armonizzazione della disciplina posta a presidio degli interessi dei consumatori, con particolare attenzione a quelle forme di contrattazione che presentano maggiori profili di problematicità per la tutela di questi ultimi. Si tratta di un provvedimento che si inserisce all'interno di un più ampio percorso di armonizzazione normativa sul piano europeo, al quale si sono accompagnati altri importanti interventi come la direttiva 2002/65/CE sulla commercializzazione a distanza di servizi finanziari (v. infra), la direttiva 2005/29/CE sulle pratiche commerciali sleali, la direttiva 2008/48/CE sui contratti di credito ai consumatori e la direttiva 2008/122/CE in tema di multiproprietà.

Nelle intenzioni iniziali, la direttiva 2011/83/UE sarebbe dovuta intervenire, oltre che nell'ambito della contrattazione fuori dei locali commerciali e a distanza, anche in materia di clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori e di vendita di beni di consumo e relative garanzie, con abrogazione delle precedenti direttive in argomento 1993/13/CE e 1999/44/CE, il tutto verso il raggiungimento di un'armonizzazione ‘completa' in sostituzione della precedente uniformazione ‘minimale'. Tuttavia, a seguito delle critiche e delle perplessità suscitate da tale disegno riformatore, sia a livello istituzionale che dottrinario, in ambito europeo ma anche all'interno dei singoli Stati, l'impostazione inizialmente adottata dalla Commissione è stata abbandonata dal Consiglio e si sono eliminate le parti di riforma relative alla disciplina delle clausole abusive e della vendita di beni di consumo, limitando l'intervento ai settori della contrattazione fuori dei locali commerciali e a distanza e lasciando più ampi margini di intervento ai singoli Stati nell'attuazione della direttiva; la soluzione di compromesso elaborata dal Consiglio è stata quindi accolta anche dal Parlamento europeo.

Peraltro, come è stato osservato da attenta dottrina, nonostante il suo ridimensionamento rispetto alle prospettive iniziali, la portata innovativa della direttiva risulta certamente di importanza cruciale per l'evoluzione del diritto europeo dei contratti in generale e dei contratti dei consumatori in particolare, poiché con essa sono state implementate delle norme che introducono obblighi informativi di tipo generale (artt. 6-8), delle norme che arricchiscono la disciplina in punto di ius poenitendi (artt. 9-16) e altre disposizioni che innovano positivamente la regolamentazione di tutela dei consumatori (De Cristofaro, 61 ss.).

Come pure è stato evidenziato, l'innovazione apportata con la direttiva 2011/83/UE si apprezza in particolar modo sul piano sistematico, anche per aver condensato in singole previsioni normative, di volta in volta, la disciplina dei contratti a distanza e dei contratti conclusi fuori dei locali commerciali, con particolare attenzione al regime di esclusione (art. 3, par. 3, direttiva 2011/83/UE), ai contenuti degli obblighi informativi (art. 6 direttiva 2011/83/UE), alla regolamentazione del diritto di recesso (artt. 9 ss. direttiva 2011/83/UE), al regime di consegna dei beni e del passaggio del rischio nel caso di contratti di vendita (artt. 18 e 20 direttiva 2011/83/UE), ecc. Dunque la tecnica normativa prescelta ha privilegiato l'accorpamento delle disposizioni relative alle due diverse modalità di contrattazione, fuori dei locali commerciali e a distanza, salvo poi individuare alcuni specifici punti di disciplina autonoma per ciascuna di esse (F. Bravo, 35 ss.).

A tale direttiva il nostro legislatore ha dato attuazione con il menzionato d.lgs. n. 21/2014, con modalità non dissimili da quelle utilizzate per l'attuazione di precedenti direttive in ambito consumeristico, limitandosi alla mera riproduzione all'interno del codice del consumo delle disposizioni della direttiva.

La finalità complessiva di tale intervento è certamente quella di contribuire al migliore funzionamento del mercato interno tra imprese e consumatori, anche attraverso l'incremento della fiducia di questi ultimi, rimuovendo gli ostacoli che rendono più difficoltoso per le imprese l'esercizio di attività transfrontaliere, in modo da promuovere un effettivo mercato interno dei consumatori che realizzi un adeguato bilanciamento tra competitività delle imprese e tutela dei consumatori. A tal fine la direttiva 2011/83/UE prevede l'indisponibilità dei diritti in materia, sancendo così il carattere imperativo di tale disciplina, e impone agli Stati membri di non mantenere o introdurre previsioni divergenti rispetto alla direttiva, c.d. armonizzazione massima (Battelli, 208 ss.)

Come pure è stato messo in luce, peraltro, tutto il nuovo capo I del titolo III del codice del consumo, innovato mediate il menzionato d.lgs. n. 21/2014, è il risultato di una tecnica diversa rispetto a quella adottata in passato nelle precedenti direttive in materia. La direttiva 2011/83/UE muove dalla consapevolezza del legislatore comunitario che la disciplina in ambito consumeristico, stratificatasi con l'introduzione di direttive ad approccio minimale nelle quali si lasciava ai singoli Stati la libertà in sede di recepimento di introdurre forme più incisive di protezione, aveva finito per creare una frammentazione che ostacolava l'ulteriore sviluppo degli scambi transfrontalieri. Con la direttiva 83 si è cercato quindi di creare un maggiore livello di armonizzazione, seguendo la via della c.d. full harmonization; tuttavia, mentre l'armonizzazione massima viene solitamente accompagnata dalla inderogabilità sia in peius che in melius degli standard individuati, nella direttiva 83 ciò non è accaduto completamente poiché l'art. 4 della direttiva lascia salva la possibilità per la direttiva stessa di consentire agli Stati di mantenere o adottare disposizioni divergenti, «incluse le disposizioni più o meno severe per garantire al consumatore un livello di tutela diverso», creando un modello che si potrebbe definire di armonizzazione massima spuria, chiaro segno della difficoltosa mediazione resasi necessaria per l'adozione di questa direttiva (Massa, 38-39).

Ambito di applicazione: profili soggettivi

La normativa in esame si inserisce nella più ampia disciplina dei rapporti tra professionisti e consumatori per la fornitura di beni o per la prestazione di servizi e l'art. 45, lett. a) e b) cod. cons. rinvia alle definizioni generali contenute nell'art. 3, lett. a) e c) cod. cons.

Dunque, per la qualificazione di un soggetto come consumatore, come noto, sarà necessario che si tratti di persona fisica (elemento positivo) che agisce per scopi estranei alla propria attività ‘imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale' (elemento negativo). Peraltro, proprio rispetto a questi elementi, si rendono necessarie alcune importanti precisazioni.

Innanzitutto, in merito all'elemento negativo, si deve qui porre l'accento sulla particolare innovazione introdotta con il considerando n. 17 della direttiva 2011/83/UE a mente del quale, nel caso di contratti conclusi con un duplice scopo, ossia in quei casi in cui un soggetto concluda un contratto sia per finalità estranee alla propria attività professionale sia per scopi rientranti in quest'ultima, qualora lo scopo commerciale sia talmente limitato da non risultare predominante nel contesto generale del contratto, la persona in questione dovrebbe comunque essere considerata un consumatore.

Per quanto concerne invece l'elemento positivo, della necessità che il consumatore sia una persona fisica, questo è stato al centro di un serrato dibattito tra gli interpreti. A ben vedere, la direttiva 2011/83/UE, al considerando n. 13, prevedeva la facoltà per gli Stati membri di estendere l'applicazione delle norme a persone giuridiche e a persone fisiche non consumatori.

Dunque, l'estensione della portata applicativa della disciplina sarebbe dovuta transitare non tanto per un allargamento della nozione di consumatore, quanto piuttosto per l'estensione di specifici segmenti di disciplina anche ad altre categorie di soggetti (F. Bravo, 54 ss.). Tuttavia il legislatore, in sede di attuazione, ha rinunciato a questa facoltà (T. Rumi, 35 ss.).

Con la decisione CGCE, 20 gennaio 2005, c. C-464/01, Gruber c. BayWa AG, nell'individuare il campo di applicazione delle norme di cui agli artt. 13-15 della Convenzione di Bruxelles del 1968, la Corte si è interrogata proprio sulla riconducibilità o meno di un contratto per scopi misti alla nozione di consumatore individuata dalla 14, comma 1 della Convenzione. In tale occasione, premesso che l'art. 13 della Convenzione qualifica come consumatore il soggetto che conclude un contratto per uno scopo estraneo alla sua attività professionale, termini secondo la Corte nettamente restrittivi, e sottolineato che l'obiettivo degli articoli 13 ss. della Convenzione è quello di proteggere efficacemente la persona che si trova presumibilmente in una posizione di debolezza rispetto alla sua controparte, la Corte ha affermato che tali benefici non possono essere concessi a quei soggetti che agiscono per finalità solo in parte estranee alla propria attività professionale. Infatti, dal momento che un soggetto conclude un contratto per un uso connesso alla sua attività professionale, si deve ravvisare l'esistenza di una condizione di parità tra le parti che non giustifica quella particolare protezione che la Convenzione accorda ai consumatori. Tale conclusione non è intaccata dal fatto che il soggetto stia agendo anche per scopi estranei alla propria attività professionale, anche qualora l'uso privato fosse predominante, salvo il caso in cui la finalità professionale perseguita dal soggetto risulti del tutto trascurabile.

A questo proposito si è peraltro sottolineato che la Corte, nella motivazione della sentenza, ha tentato di mitigare gli effetti di questo suo approccio, ritenendo comunque ascrivibile la qualifica di consumatore laddove tra il nesso tra il contratto e l'attività professionale dell'interessato risulti talmente modesto da rivestire un ruolo marginale e trascurabile nel contesto complessivo dell'operazione (Bravo, 52 ss.).

A ben vedere, il considerando n. 17 della direttiva 2011/83/UE offre un'importante indicazione in merito alla problematica classificazione dei contratti conclusi per scopi misti, cioè di quei contratti che vengono conclusi al fine di procurarsi un bene o un servizio per un suo utilizzo sia nell'ambito dell'attività imprenditoriale sia al di fuori di essa, affermando che in caso di non predominanza dello scopo commerciale il contratto debba essere considerato proprio del consumatore. Come è stato evidenziato, questa formulazione del considerando sembrerebbe esprimere una scelta del legislatore comunitario di volersi discostare dall'orientamento espresso dalla Corte di Giustizia in sede di interpretazione dell'art. 13 della Convenzione di Bruxelles del 1968 (De Cristofaro, 67 ss.; si vedano anche Battelli, 214 ss. e Rumi, 35 ss.; sulla normativa precedente si veda anche quanto osservato da Valentino, 668 ss.).

Ciò precisato, si deve comunque osservare che il nostro legislatore, diversamente da quanto avvenuto in altre esperienze europee, non ha recepito la precisazione del considerando n. 17 nella definizione generale di consumatore, ma non v'è dubbio che di tale indicazione si debba tenere conto sul piano interpretativo e applicativo, quantomeno con riferimento alle disposizioni attuative della direttiva 2011/83/UE. In ogni caso graverà sul professionista che vi abbia interesse l'onere di dimostrare la prevalenza degli scopi professionali della controparte nel contesto complessivo del contratto (De Cristofaro, 68 ss.). Peraltro, in dottrina è stata messa in dubbio l'utilità del criterio offerto dal considerando n. 17, poiché la mera prevalenza, da sola, richiede la verifica dell'intenzione dell'acquirente al momento della conclusione del contratto (Rumi, 35 ss.).

Nel vigore della normativa precedente, si è affermato che, in tema di contratti negoziati fuori dei locali commerciali, non riveste la qualità di consumatore la persona fisica che, attraverso il contratto, si procuri un bene o un servizio nell'ambito dell'organizzazione di un'attività professionale da intraprendere, prendendo l'iniziativa di ricercare il bene e il servizio medesimo, proprio per realizzare una siffatta organizzazione (Cass. VI, n. 24731/2013).

Per quanto attiene alla nozione di professionista, come anticipato, anche in questo caso l'art. 45, lett. b) cod. cons. ha operato un rinvio all'art. 3, lett. c) cod. cons. contenente la definizione generale. A questo proposito, si rendono opportune alcune brevi considerazioni che emergono dal confronto della definizione generale contenuta nel codice del consumo con quella indicata nell'art. 2, comma 2, della direttiva 2011/83/UE.

In quest'ultima disposizione, in particolare, si specifica che il professionista può essere tanto un soggetto privato quanto pubblico; inoltre, si precisa che rientra nella nozione di professionista anche quel soggetto che opera tramite altra persona che agisce in suo nome e per suo conto. Nel codice del consumo, invece, manca la prima specificazione sul soggetto pubblico e, in merito al secondo profilo evidenziato, si parla più sinteticamente di ‘intermediario'.

Si è evidenziato che la mancata indicazione dei soggetti di natura pubblica nel codice del consumo non deve essere letta come intenzione di escluderli dal novero dei professionisti, ma deriva piuttosto dal convincimento che la categoria delle persone giuridiche ricomprenda già, al suo interno, entrambe le ipotesi (Rumi, 41 ss.).

Per quanto attiene poi al riferimento all'intermediario contenuto nella definizione generale di professionista del codice del consumo, si è sottolineato che si tratta di una norma antielusiva, volta a colpire la pratica di servirsi di intermediari non professionali per l'esercizio di attività imprenditoriali. L'indicazione degli «intermediari» piuttosto che il riferimento, contenuto all'art. 2, comma 2 della direttiva, a «qualsiasi altra persona che agisca in suo nome e per suo conto», deve essere letta come volontà di ampliare le maglie di tutela del consumatore, andando a ricomprendere nella nozione di professionista anche quei casi in cui il soggetto che si interpone nei rapporti tra il professionista e il consumatore non sia né un rappresentante né un mandatario ma più semplicemente un terzo che operi comunque nell'interesse del professionista (Rumi, 41 ss.)

La Cass., ord. n. 21763/2013, ha avuto modo di rilevare che secondo la giurisprudenza di legittimità, per l'applicazione della disciplina di cui agli artt. 1469-bis c.c. e ss., relativa ai contratti del consumatore, si considera consumatore la persona fisica che, pur svolgendo attività imprenditoriale o professionale, conclude un contratto per la soddisfazione di esigenze della vita quotidiana estranee all'esercizio di dette attività, mentre si considera professionista tanto la persona fisica quanto quella giuridica, sia pubblica che privata, che invece utilizza il contratto nel quadro della sua attività imprenditoriale o professionale. Affinché ricorra la figura del professionista non è necessario che il contratto sia posto in essere nell'esercizio dell'attività imprenditoriale o professionale, essendo sufficiente che venga stipulato per uno scopo connesso all'esercizio dell'attività imprenditoriale o professionale (cfr., inoltre, Cass. n. 18863/2008, Cass. 23892/2006, Cass. 11933/2006, Cass. 10127/2001).

Segue: profili oggettivi

L'ambito oggettivo di applicazione della disciplina contenuta nelle sezioni I-IV del capo I, titolo III, parte III cod. cons., a seguito dell'intervento riformatore operato con il d.lgs. n. 21/2014, in attuazione della direttiva 2011/83/UE, risulta particolarmente articolato e complesso.

Mentre l'art. 46 cod. cons., in prima battuta, sembrerebbe effettivamente estendere il campo operativo di tale disciplina a qualsiasi contratto concluso tra un professionista e un consumatore, inclusi i contratti per la fornitura di acqua, gas, elettricità o teleriscaldamento, vi sono numerose perimetrazioni applicative delle quali si deve necessariamente tenere conto.

Innanzitutto vi è nutrito elenco di ben tredici ipotesi di esclusione disciplinato dall'art. 47 cod. cons., come per i contratti aventi ad oggetto la «creazione di beni immobili o la costituzione o il trasferimento di diritti su beni immobili» (art. 47, comma 1, lett. e) cod. cons.), per i contratti concernenti il «turismo organizzato di cui al capo I del Titolo VI dell'Allegato 1 al decreto legislativo 23 maggio 2011, n. 79» (art. 47, comma 1, lett. g, cod. cons.), per i contratti «stipulati con l'intervento di un pubblico ufficiale [...]» (art. 47, comma 1, lett. i, cod. cons.), per i contratti «di fornitura di alimenti, bevande o altri beni destinati al consumo corrente nella famiglia e fisicamente forniti da un professionista in giri frequenti e regolari al domicilio, alla residenza o al posto di lavoro del consumatore» (art. 47, comma 1, lett. l) cod. cons.), per i contratti conclusi mediante distributori automatici ovvero locali commerciali automatizzati art. 47, comma 1, lett. n) cod. cons.), ecc.

Ma soprattutto si deve considerare che, nonostante l'art. 46 cod. cons. faccia riferimento a «qualsiasi contratto», tale complesso normativo risulta circoscritto a categorie contrattuali specificamente indicate: contratto di vendita (art. 45, lett. e) cod. cons.); contratto di servizi (art. 45, lett. f) cod. cons.); contratto per la fornitura di acqua, gas, elettricità e teleriscaldamento (artt. 45 e 46 cod. cons.); contratto per la fornitura di un contenuto digitale reso accessibile mediante modalità e strumenti diversi da un supporto materiale consegnato al consumatore (art. 45, lett. m, cod. cons.).

Per tali ragioni, attenta dottrina ha osservato che per quanto si tratti di un ambito di operatività a «compasso allargato», queste nome non costituiscono una legislazione quadro dei contratti b2c, almeno non nei termini che la rubrica del Capo I – Dei diritti dei consumatori nei contratti – lascerebbe intendere (Pagliantini, 796 ss.).

Inoltre, come è stato pure sottolineato, non rientrano oggi nell'ambito di applicazione degli artt. 48 ss. cod. cons. alcune fattispecie negoziali che la Corte di Giustizia aveva ritenuto di includere nell'ambito di operatività della precedente direttiva 85/577/CEE, come per i contratti di fideiussione conclusi da una persona fisica con un istituto di credito per garantire i debiti contratti con quest'ultimo da un'altra persona fisica per scopi di natura privata/familiare – Dietzinger C-45/96, i contratti di credito fondiario — Heininger C-481/99 — e i contratti aventi ad oggetto l'adesione di un consumatore ad un fondo immobiliare chiuso costituito in forma di società di persone qualora tale adesione si risolva in una forma di investimento di capitali e non abbia come scopo prevalente quello di far divenire il consumatore socio della società – Fritz C-215/08 (Pagliantini, 796 ss. e G. De Cristofaro, 77 ss.; si veda anche Rumi, 74 ss.).

Si è sottolineato il risultato di positiva riorganizzazione delle esclusioni raggiunto dall'attuale art. 47 cod. cons. Prima dell'ultima modifica, invero, la materia delle esclusioni era frammentata, a seconda delle modalità di conclusione del contatto, in tre distinti articoli: l'art. 46 sui contratti negoziati fuori dei locali commerciali e gli artt. 51 e 55, comma 1, sui contratti a distanza; la coordinazione di queste norme, in particolare, aveva dato luogo a non pochi dubbi ermeneutici. A fronte della disorganizzazione normativa precedente, l'art. 47 si presenta certamente come innovazione positiva, anche se non sempre si è tenuto conto delle differenti rationes sottese alle diverse modalità di conclusione dei contratti (Rumi, 83 ss.).

Queste quattro categorie contrattuali risultano individuate dalle norme del codice del consumo attraverso delle apposite definizioni e specificazioni; peraltro, alcuni dubbi si possono porre sulla loro esatta perimetrazione. Se poi si esaminano le disposizioni contenute nelle sez. I-IV del capo I, titolo III, parte III cod. cons., possiamo individuare anche alcune limitazioni del loro campo applicativo previste dalle stesse singole norme.

La normativa in materia di contratti conclusi a distanza e fuori dei locali commerciali, dunque, si inserisce nel solco di un intervento riformatore di più ampio respiro, che ha tentato di gettare le basi per una più profonda armonizzazione; tuttavia, anche alla luce di tutte le articolazioni normative messe in evidenza sul piano oggettivo, la portata di questa disciplina ne esce relativamente ridimensionata, tra categorie contrattuali considerate, esclusioni, e perimetrazioni del campo applicativo di norme specifiche.

Come è stato messo in luce in dottrina, dai «contratti di vendita», individuati in forza delle disposizioni di cui alle lett. e) «contratto di vendita» e c) «bene» dell'art. 45 cod. cons., sembrerebbero doversi escludere i contratti di permuta, mancando in capo al consumatore la corresponsione di un «prezzo». Più complessa appare invece la questione della inclusione o meno dei contratti d'appalto o d'opera con i quali il professionista si obbliga a realizzare, con materiali propri o del consumatore, una determinata opera poi da trasferire o consegnare a quest'ultimo: considerato il carattere essenziale del trasferimento di proprietà a carico del professionista, questi negozi sembrano piuttosto inquadrabili come «contratti di servizio» e ciò anche in considerazione del fatto che nell'art. 45 lett. e) cod. cons., a differenza che nell'art. 128, comma 1 cod. cons., manca un'espressa equiparazione tra i contratti di vendita e i contratti «di appalto, di opera e tutti gli altri contratti comunque finalizzati alla fornitura di beni di consumo da fabbricare o produrre» (De Cristofaro, 70 ss.).

Si è poi evidenziata un'ulteriore stratificazione operativa tra le norme in commento, osservando che soltanto gli artt. 62, 64, 65 e 66-bis – 66-quinquies cod. cons. trovano applicazione per ciascuna delle categorie contrattuali sopra individuate, indipendentemente dal luogo e dalle modalità di conclusione del contratto. In merito alle norme sugli obblighi di informazione precontrattuale, invece, alcune trovano applicazione solo in caso di conclusione del contratto a distanza (artt. 49 e 51 c. cons.), altre in caso di contratti conclusi fuori dei locali commerciali (artt. 49 e 50 cod. cons.), altre ancora per i contratti «diversi dai contratti a distanza o negoziati fuori dei locali commerciali» (art. 48 cod. cons.). Per quanto concerne poi la regolamentazione dello ius poenitendi, artt. 52-58 cod. cons., questa trova applicazione ai contratti rientranti nelle quattro categorie menzionate che vengano conclusi a distanza o fuori dei locali commerciali, ma con esclusione delle ipotesi indicate all'art. 59 cod. cons. Gli artt. 61 e 63 cod. cons., infine, trovano applicazione solo per i contratti di vendita, indipendentemente dalle modalità e dal luogo di conclusione (G. De Cristofaro, 69 ss.).

Peraltro, nell'ottica di una maggiore coerenza sistematica della normativa a tutela del consumatore, si è ritenuto che l'espressione qualsiasi contratto concluso tra un professionista e un consumatore dovrebbe rimanere legata e circoscritta, salvo il caso dei contratti di vendita per le norme di cui agli artt. 61 e 63 cod. cons., ai soli contratti a distanza o conclusi fuori dei locali commerciali (Rumi, 74 ss.).

Se dal punto di vista soggettivo il complesso normativo in discorso non tradisce le attese, sul diverso piano oggettivo i confini applicativi risultano certamente più ristretti di quanto le ampie e aperte formule utilizzate non lascino intendere (Massa, 37 ss.).

Nel vigore della normativa precedente, come è stato precisato in sede di legittimità, l'individuazione della competenza relativamente ad una controversia concernente l'acquisto di strumenti finanziari fuori dei locali commerciali, deve essere effettuata ai sensi dell'art. 63 cod. cons.; invero, l'art. 46 esclude l'applicabilità delle sole norme contenute nella sezione prima dello stesso capo, riguardanti la disciplina dei contratti negoziati fuori dei locali commerciali ma non anche quelle di cui alla sezione terza (Cass. VI, n. 11860/2014; si vedano anche Cass. VI, n. 8167/2013 e Cass. VI, n. 5974/2012).

Sempre nel quadro normativo previgente, per quanto riguarda i contratti di assicurazione c.d. “unit linked”, si è avuto modo di precisare che trattandosi di contratti di assicurazione sulla vita, per essi non trova applicazione l'art. 3, n. 2, lett. d) della direttiva 85/577/CEE sulla tutela dei consumatori nei contratti negoziati fuori dei locali commerciali; per tale ragione, il diritto dell'assicurato di rinunciare al contratto è regolato esclusivamente dagli articoli 35 e 36 della direttiva 2002/83/CE sull'assicurazione sulla vita (Corte di Giustizia U.E., 1 marzo 2012, c-166/11, Alonso c. Nationale Nederlanden).

Con riferimento all'individuazione della competenza territoriale, nel quadro anteriore alla novella, nella giurisprudenza di merito si era evidenziata la necessità di distinguere il foro esclusivo del consumatore relativo ad una competenza territoriale esclusiva ma derogabile con clausola oggetto di trattativa individuale (ex art. 33, comma 2, lett. u, cod. cons.), dall'ipotesi del foro inderogabile del luogo di residenza del consumatore disciplinato dall'art. 63 in merito alle sole controversie concernenti i contratti negoziati fuori dei locali commerciali e i contratti a distanza (Trib. Venezia 27 settembre 2006).

I contratti negoziati fuori dei locali commerciali

Per individuare i casi in cui un contratto possa essere considerato negoziato fuori dei locali commerciali e quindi assoggettabile alla relativa disciplina contenuta nel titolo III, parte III cod. cons., si deve fare riferimento alle disposizioni contenute nell'art. 45, lett. h) e i) cod. cons.

Ai sensi della lett. h) «contratto negoziato fuori dei locali commerciali», in particolare, si considerano negoziati fuori dei locali commerciali i contratti tra professionista e consumatore che siano stati: conclusi in un luogo diverso dai locali del professionista alla presenza fisica e simultanea di quest'ultimo e del consumatore, anche laddove vi sia stata un'offerta del consumatore (art. 45, lett. h), nn. 1 e 2 cod. cons.); conclusi nei locali del professionista o mediante mezzi di comunicazione a distanza, immediatamente dopo che il consumatore è stato avvicinato personalmente e singolarmente in un luogo diverso dai locali del professionista, alla presenza fisica e simultanea di quest'ultimo e del consumatore (art. 45, lett. h), n. 3 cod. cons.); conclusi durante viaggi promozionali organizzati dal professionista stesso con lo scopo o comunque aventi l'effetto di promuovere e vendere beni o servizi al consumatore (art. 45, lett. h), n. 4 cod. cons.). In forza della lett. i), per locale commerciale si deve intendere qualsiasi locale immobile adibito alla vendita al dettaglio in cui il professionista esercita la sua attività in modo permanente, ovvero qualsiasi locale mobile adibito alla vendita al dettaglio in cui il professionista esercita la sua attività in modo abituale.

Come già osservato nel paragrafo precedente, oggi non rientrano nel campo applicativo della normativa in discorso una serie di ipotesi che la Corte di Giustizia aveva invece ricondotto alla direttiva 85/577/CEE. A ciò si aggiunga, sempre in un'ottica di restringimento del perimetro dell'istituto in discorso, il nutrito elenco di esclusioni di cui al menzionato art. 47 cod. cons. nonché le limitazioni sullo ius peonitendi previste dall'art. 59 cod. cons.

Rispetto al quadro normativo precedente, si è innalzata la soglia economica minima di applicazione delle norme in questione, da 26 a 50 euro.

Si è osservato che la disciplina in tema di contratti conclusi fuori dei locali commerciali rappresenta uno dei profili più interessanti della nuova normativa, con la quale si è realizzata una svolta nella disciplina consumeristica. Prima del recepimento della direttiva 2011/83/UE il codice del consumo era caratterizzato da un approccio di tipo casistico e l'art. 45, in particolare, individuava quattro fattispecie di contratti conclusi fuori dei locali commerciali; con il d.lgs. n. 21/2014 l'elencazione precedente è stata sostituita con una formula di carattere generale in cui si richiede che la conclusione del contratto avvenga al di fuori dei locali commerciali del professionista, quindi a prescindere dal precedente riferimento a luoghi determinati o dal ricorrere di particolari situazioni come la sottoscrizione di una nota d'ordine (Rumi, 52 ss.).

In termini analoghi si è affermato che per la definizione del contratto concluso fuori dei locali commerciali il legislatore europeo non ha riprodotto la definizione di cui alla precedente normativa, optando per una diversa soluzione concettuale mediante una formulazione a carattere generale con l'individuazione di requisiti oggettivi valevoli per molteplici fattispecie. In questo modo si è attuato quanto era già stato realizzato sul piano dei contratti a distanza, individuando una modalità di conclusione del contratto capace di attraversare più tipologie negoziali (Siragusa, 17 ss.).

Per l'applicazione delle disposizioni in materia di contratti conclusi fuori dei locali commerciali è necessario e sufficiente che il consumatore manifesti la propria volontà negoziale in un luogo diverso dai locali commerciali del professionista come sopra individuati, di fronte a quest'ultimo ovvero a un soggetto che agisce in suo nome o per suo conto. A differenza dell'art. 45 previgente, dove erano individuati in positivo i luoghi in cui doveva essere manifestata la volontà, adesso l'art. 45 lett. h) richiede solo che ciò avvenga in un qualsiasi luogo diverso dai locali commerciali del professionista. Inoltre, si è sottolineato come adesso non sia esclusa la qualificazione di contratto concluso fuori dei locali commerciali per il caso in cui la visita del professionista al domicilio o al luogo di lavoro del consumatore sia avvenuta su espressa richiesta di quest'ultimo, ribadendo in questo modo la scelta a suo tempo già compiuta dal legislatore italiano al momento del recepimento della direttiva 85/577/CEE, in occasione del quale aveva deciso di approntare sul punto un livello più elevato di protezione del consumatore (G. De Cristofaro, 77 ss.). In tal senso si è evidenziato che la scelta di tutelare il consumatore anche nei casi in cui vi sia stata una sua iniziativa rappresenta un cambiamento da parte del legislatore europeo, il quale aveva escluso tale ipotesi nella precedente direttiva 85/577/CEE (Siragusa, 17 ss.).

La disciplina introdotta a seguito della riforma mantiene, benché con alcune modifiche, il caso delle ‘vendite su escursione' all'interno della fattispecie di vendita fuori dei locali commerciali. Si tratta di una normativa finalizzata a tutelare il consumatore rispetto a forme di negoziazione che si estrinsecano in situazioni ambientali non preordinate all'acquisto e che quindi lo possono cogliere impreparato (D'Auria, 349 ss.).

In merito alla soglia economica minima, con l'art. 47, comma 2 cod. cons. si è avvalso della possibilità prevista dal par. 4, art. 3, direttiva 2011/83/UE, e ha introdotto un'esclusione per i contratti aventi ad oggetto la fornitura di beni mobili, servizi o contenuti digitali per un corrispettivo fino a 50 euro. È stato osservato che in questo modo si è eroso l'ambito di operatività della relativa disciplina rispetto al previgente art. 46, comma 2, che appunto ancorava la sottrazione alla inferiore somma di 26 euro (G. De Cristofaro, 77 ss.).

Con specifico riferimento ai contratti conclusi durante viaggi promozionali organizzati dal professionista stesso con lo scopo o comunque aventi l'effetto di promuovere e vendere beni o servizi al consumatore, già nel vigore della normativa precedente la Corte di Giustizia CE, 22 aprile 1999, C-423/97, Travel Vac Sl c. Antelm, aveva avuto modo di precisare che se il commerciante invita il consumatore a recarsi personalmente in un luogo determinato, distinto dai locali dove il commerciante esercita abitualmente le proprie attività e non chiaramente individuato come locale di vendita al pubblico, situato ad una certa distanza rispetto all'abitazione del consumatore, si rientra nella fattispecie dei contratti stipulati durante escursioni organizzate fuori dai locali commerciali ai sensi della direttiva 85/577/CEE ed il consumatore può esercitare il diritto di recesso senza dover dimostrare che la propria volontà è stata influenzata o comunque manipolata dal commerciante.

In forza di quanto previsto all'articolo 2, punto 9 della direttiva 2011/83/UE, lo stand di un professionista collocato presso una fiera commerciale, dove egli esercita le proprie attività pochi giorni all'anno, è un ‘locale commerciale' se, in considerazione delle circostanze del caso concreto, un consumatore normalmente informato e ragionevolmente attento possa aspettarsi che detto professionista vi eserciti le proprie attività e gli proponga di concludere un contratto; la verifica di tali circostanza deve essere effettuata dal giudice nazionale (CGUE, 7 agosto 2018, c-485/17, Verbraucherzentrale Berlin c. Unimatic).

Un altro aspetto di particolare interesse della normativa introdotta in attuazione della direttiva 2011/83/UE, con il citato d.lgs. n. 21/2014, è la previsione contenuta nell'art. 45, lett. h), n. 3, che include nei contratti negoziati fuori dei locali commerciali anche le ipotesi in cui il consumatore abbia concluso il contratto negli stessi locali del professionista, ovvero mediante mezzi di comunicazione a distanza, subito dopo essere stato avvicinato personalmente e singolarmente in un luogo diverso dai locali del professionista, alla presenza fisica e simultanea del professionista e del consumatore.

Si è osservato che questa disposizione, che riproduce fedelmente la previsione contenuta nell'art. 2, n. 8), lett. c), direttiva 2011/83/UE, probabilmente è il frutto dell'influenza della normativa precedentemente adottata in materia dal legislatore tedesco, § 312 BGB, vecchio testo, mediante la quale la disciplina dei c.d. Haustürgeschäfte era stata applicata anche alle ipotesi in cui il consumatore avesse manifestato la propria volontà negoziale nei locali commerciali del professionista ovvero non in presenza di quest'ultimo qualora il consumatore fosse stato indotto alla negoziazione tramite trattative orali avvenute presso il proprio domicilio o il proprio luogo di lavoro in occasione di una visita non richiesta del professionista medesimo (G. De Cristofaro, 77 ss.).

Si è altresì evidenziato che, mentre l'attuale individuazione normativa dei contratti a distanza risulta sostanzialmente invariata rispetto a quella precedente la modifica conseguente l'attuazione della direttiva 2011/83/UE, la fattispecie relativa ai contratti negoziati fuori dei locali commerciali risulta sensibilmente ampliata essendovi adesso ricompreso, oltre al contratto concluso in luogo diverso dai locali commerciali alla presenza fisica e simultanea del professionista e del consumatore, anche il contratto concluso nei locali commerciali del professionista «immediatamente dopo che il consumatore è stato avvicinato personalmente e singolarmente in un luogo diverso dai locali del professionista» (art. 45, lett. h), n. 3 cod. cons.). Diversamente da quanto previsto dall'art. 45 cod. cons. abrogato, che circoscriveva la tutela del consumatore ad una serie specifica di ipotesi, l'attuale configurazione della fattispecie si incentra non più sulla sola fase conclusiva del contratto ma anche sul primo contatto tra le parti, venendosi così a colmare una lacuna della precedente disciplina che aveva mancato di includere tale ipotesi (Perugini, 93-94).

Un altro aspetto che è stato messo in luce nella normativa riformata concerne la mancata riproduzione della previsione a suo tempo contenuta nell'art. 45, lett. d) cod. cons., che includeva tra i contratti negoziati fuori dei locali commerciali anche quelli conclusi per corrispondenza o comunque in base a cataloghi consultati dal consumatore in assenza del professionista, disposizione priva di corrispondenza nella direttiva 85/577/CEE che aveva creato rilevanti problemi di coordinamento con la normativa sui contratti a distanza (Siragusa, 77 ss.).

Nel vigore della normativa previgente, ai sensi del menzionato d.lgs. n. 50/1992, con riferimento ai contratti negoziati fuori dei locali commerciali si è precisato che, dovendo procedere ad un'interpretazione coerente con le finalità della normativa comunitaria, che è quella di evitare negoziazioni che possano cogliere di sorpresa il consumatore, non rientrano tra i contratti e le note d'ordine sottoscritti in «area pubblica o aperta al pubblico» quelli sottoscritti in stand allestiti all'interno di fiere. Invero, la peculiare tutela approntata dalla normativa richiamata, presuppone che le trattative avvengano in luoghi pubblici o aperti al pubblico, non destinati di per sé alle negoziazioni, ed ai quali il consumatore acceda per finalità estranee a quella di acquistare, vendere o contrattare, di modo che l'eventuale iniziativa del professionista lo possa cogliere di sorpresa (Cass. VI, n. 22863/2014).

I contratti a distanza

L'individuazione della fattispecie dei contratti a distanza, che ci viene adesso offerta dall'art. 45, lett. g) cod. cons., non ha subito particolari innovazioni rispetto a quanto previsto dal previgente art. 50, lett. a) e b) cod. cons.

Viene qualificato come «a distanza» qualsiasi contratto concluso, tra un professionista e un consumatore, nel quadro di un regime organizzato di vendita o prestazione di servizi a distanza, senza la presenza fisica e simultanea del professionista e del consumatore, mediante l'uso esclusivo di uno o più mezzi di comunicazione a distanza fino alla conclusione del contratto, compresa la conclusione stessa.

Si tratta dunque di molteplici elementi che servono a connotare questa particolare tipologia di conclusione del contratto, in presenza dei quali si ritiene necessario approntare degli adeguati strumenti di tutela a favore del consumatore che viene privato del rapporto diretto con il bene o con il servizio oggetto del contratto e dove manca la simultanea presenza fisica delle parti.

Innanzitutto, dunque, la conclusione deve avvenire nel quadro di un regime organizzato di vendita o di prestazione di servizi a distanza, pertanto non è sufficiente che il professionista abbia occasionalmente condotto una negoziazione a distanza ma è necessario che questa si inserisca in un apposito meccanismo realizzato a tal fine dal professionista stesso o anche da un terzo.

All'opposto dei contratti negoziati fuori dei locali commerciali, come figura ad essi complementare, si richiede in questo caso che non vi sia la presenza fisica e simultanea del professionista e del consumatore altrimenti, a ben vedere, si rientrerebbe nell'altra categoria negoziale. Ciò, a maggior ragione, anche in considerazione dell'ampliamento (v. supra) delle ipotesi di contratti negoziati fuori dei locali commerciali a seguito dell'introduzione di una fattispecie di carattere generale.

La conclusione del contratto deve essere posta in essere mediante l'uso esclusivo di uno o più mezzi di comunicazione a distanza che, per le ragioni esposte, dovranno essere utilizzati non soltanto per il perfezionamento dell'accordo ma pure per la conduzione delle trattative.

Si è precisato che il regime organizzato per la stipulazione a distanza di contratti di vendita di beni o di prestazione di servizi può essere stato creato tanto dal professionista quanto da un terzo, poiché ciò che rileva è l'esistenza del sistema in sé; in mancanza di un tale “regime”, si tratterà di una negoziazione e di una conclusione occasionali e come tali al di fuori delle finalità sottese alla disciplina in esame (G. De Cristofaro, 82 ss.).

In merito alle innovazioni introdotte rispetto al regime previgente, si è evidenziata la significativa modifica apportata con l'ampliamento del campo applicativo anche ai casi in cui il regime di vendita o di prestazione a distanza sia organizzato da un terzo diverso dal professionista, come per una piattaforma on-line. A questo proposito il considerando n. 20 della direttiva 2011/83/UE ha cura di precisare che da tale allargamento debbano ritenersi esclusi i casi dei siti web in cui vengano offerte informazioni soltanto sul professionista, sui beni e/o servizi da lui prestati e sui suoi dati di contatto (D'Auria, 352 ss.).

Come risulta dal dato normativo ed evidenziato dalla dottrina, la negoziazione e la stipulazione del contratto devono avvenire inter absentes, senza la presenza fisica e simultanea del consumatore e del professionista, sia per la fase di negoziazione che per quella di conclusione del contratto: le parti non devono essersi trovate fisicamente nello stesso luogo in alcuna fase e ciò trova conferma nell'uso del termine “esclusivo” riferito all'utilizzazione dei mezzi di comunicazione a distanza (Siragusa, 13 ss.). Quindi, se la conclusone a distanza del contratto è preceduta da una visita del consumatore presso i locali del professionista, si potrà rientrare nell'alveo della disciplina in esame solo a condizione che in tale occasione il consumatore si sia limitato a un'attività di mera raccolta di informazioni, non invece se vi sia stata una trattativa tra le parti. Parimenti, si dovrà escludere la ricorrenza di un contratto a distanza qualora tale modalità comunicativa abbia riguardato soltanto la trattativa e non anche la conclusione del contratto (G. De Cristofaro, 82 ss.; si vedano anche Viglione, 440 ss. e D'Auria, 352 ss.).

Per quanto concerne il requisito dell'assenza fisica del bene peraltro, nel vigore della precedente normativa certa dottrina ne aveva relativizzato, quantomeno in parte, l'importanza, osservando che l'impossibilità di visionare e apprezzare il bene è solo una delle ragioni che giustificano l'applicazione della normativa in discorso. In tal senso, si è osservato che con l'art. 51, lett. b) cod. cons. previgente, il legislatore aveva escluso l'applicazione della normativa di tutela con riferimento al caso dei contratti conclusi mediante distributori automatici o locali commerciali automatizzati e non per ogni ipotesi di presenza fisica del bene; quindi, si sarebbe potuto immaginare il caso applicativo del consumatore contattato telefonicamente e al quale, prima di concludere il contratto, fosse stata spedita in visione la merce da acquistare (Viglione, 440 ss.).

Per mezzi di comunicazione a distanza deve intendersi qualsiasi mezzo che, senza la presenza fisica e simultanea del consumatore e del professionista, possa essere impiegato per la conclusione tra loro del contratto, dove per ‘senza la presenza fisica e simultanea' si intende il fatto che consumatore e professionista (o suo intermediario) non siano fisicamente presenti nello stesso contesto spazio-temporale. A questo proposito, poi, si ricorda come nell'allegato I al d.lgs. n. 185/1999 era stato inserito un elenco indicativo di possibili tecniche di comunicazione, quali gli stampati con e senza indirizzo, le lettere circolari, ecc., ma che tale elenco non è stato richiamato dal legislatore nonostante il diverso parere reso dal Consiglio di Stato, sezione consultiva per gli atti normativi, parere 20 dicembre 2004 n. 11602 (D'Auria, 353 ss.).

In relazione alla disciplina contenuta nella direttiva abrogata 97/7/CE, si è avuto modo di precisare che l'art. 6, n. 1, comma 1, seconda frase e n. 2, concernente la protezione dei consumatori in materia di contratti a distanza, non consente che uno Stato membro adotti una normativa interna che autorizzi il fornitore ad addebitare le spese di consegna dei beni al consumatore nel caso in cui quest'ultimo eserciti il suo diritto di recesso (Corte di Giustizia UE, 15 aprile 2010, C-511/08, Handelsgesellschaft Heinrich c. Verbraucherzentrale Nordrhein-Westfalen).

Bibliografia

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