Decreto legislativo - 10/02/2005 - n. 30 art. 98 - Oggetto della tutela

Nicola Rumine

Oggetto della tutela

1. Costituiscono oggetto di tutela i segreti commerciali. Per segreti commerciali si intendono le informazioni aziendali e le esperienze tecnico-industriali, comprese quelle commerciali, soggette al legittimo controllo del detentore, ove tali informazioni:

a) siano segrete, nel senso che non siano nel loro insieme o nella precisa configurazione e combinazione dei loro elementi generalmente note o facilmente accessibili agli esperti ed agli operatori del settore;

b) abbiano valore economico in quanto segrete;

c) siano sottoposte, da parte delle persone al cui legittimo controllo sono soggette, a misure da ritenersi ragionevolmente adeguate a mantenerle segrete1.

2. Costituiscono altresì oggetto di protezione i dati relativi a prove o altri dati segreti, la cui elaborazione comporti un considerevole impegno ed alla cui presentazione sia subordinata l'autorizzazione dell'immissione in commercio di prodotti chimici, farmaceutici o agricoli implicanti l'uso di nuove sostanze chimiche.

Inquadramento

La cooperazione tecnologica è il contratto con cui due o più parti, generalmente imprese, si impegnano a condividere diritti di proprietà intellettuale o comunque informazioni confidenziali, assumendo contestualmente decisioni in ordine al loro impiego nonché dettando regole in ordine alla titolarità e al godimento di eventuali diritti di proprietà intellettuale scaturenti dalla cooperazione.

Nel contratto di cooperazione sono dunque indicati gli obblighi dei contraenti, è individuato il regime di impiego delle risorse tecnologiche condivise ed è infine regolata la gestione degli eventuali diritti di proprietà intellettuale sorti quale effetto dell'esecuzione del contratto.

Le parti, infatti, mettono gratuitamente a disposizione le rispettive conoscenze pregresse per finalità di ricerca scientifica.

La natura del contratto e la disciplina applicabile

Siamo di fronte a un contratto atipico, al quale la dottrina maggioritaria ritiene applicabili le norme del contratto d'opera intellettuale, ovvero gli artt. 2230 ss. c.c. (Amiconi, 117; Candian, 517; Maccario-Addante, 1470; Zeno Zencovich, 142).

In ambito comunitario la diffusione del contratto in esame e la sua rilevanza sul piano economico e sociale hanno contribuito alla diffusione di clausole contrattuali standard, spesso elaborate da enti finanziatori.

Questo è il caso, ad esempio, dei modelli di consortium agreement annessi alla decisione n. 1982/2006/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio, concernente il settimo programma quadro della Comunità europea per le attività di ricerca, sviluppo tecnologico e dimostrazione (2007-2013).

In tale atto normativo si evidenziava che uno degli obiettivi della Comunità europea era quello di rafforzare le basi scientifiche e tecnologiche dell'industria comunitaria, garantendo in tal modo un elevato livello di competitività a livello internazionale.

A tal fine si prevedeva che la Comunità assumeva il compito di promuovere tutte le attività di ricerca ritenute necessarie, in particolare incoraggiando le imprese, ivi comprese le piccole e medie imprese, i centri di ricerca e le università nelle loro attività di ricerca e sviluppo tecnologico ed era inoltre individuata l'opportunità di dare priorità a settori e progetti per i quali il finanziamento e la cooperazione europei sono di particolare importanza e si traducono in valore aggiunto.

Tramite il sostegno alla ricerca, alle frontiere della conoscenza, alla ricerca applicata e all'innovazione, la Comunità europea intendeva favorire le sinergie nella ricerca europea e consolidare quindi le basi dello Spazio europeo della ricerca (Granieri, 2006, 75).

In ambito comunitario viene poi in rilievo il regolamento UE n. 1217/2010 del 14 dicembre 2010.

Il punto centrale è che le intese intercorse tra soggetti imprenditoriali e volte a perseguire finalità di ricerca e di sviluppo tecnologico possono essere esentate dall'applicazione dell'art. 101 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea.

Inoltre è previsto che nell'accordo di ricerca e sviluppo le parti debbano assicurarsi di avere pieno accesso, per lo svolgimento di ulteriori attività di ricerca, sviluppo o sfruttamento, ai risultati finali dell'attività comune di ricerca e sviluppo e in particolare agli eventuali diritti di proprietà immateriale e know-how, non appena tali risultati siano disponibili.

Qualora alla ricerca e allo sviluppo partecipino organismi accademici, istituti di ricerca o imprese che svolgono attività di ricerca e sviluppo a titolo commerciale, astenendosi in linea di principio dal partecipare allo sfruttamento dei risultati, le parti possono convenire di utilizzare i risultati della ricerca e dello sviluppo soltanto per effettuare ulteriori ricerche.

A seconda delle capacità e delle esigenze commerciali, le parti possono apportare contributi diversi alla cooperazione nella ricerca e nello sviluppo e, pertanto, affinché le differenze di valore o di natura tra i contributi delle parti siano prese in considerazione e compensate, gli accordi di ricerca e sviluppo esentati possono prevedere la remunerazione reciproca delle parti per l'accesso ai risultati finalizzato a ulteriore attività di ricerca o sfruttamento.

In proposito la giurisprudenza comunitaria ha osservato che non costituisce restrizione della concorrenza ai sensi dell'art. 85.1 del Trattato istitutivo della Comunità europea la previsione contenuta in un accordo di cooperazione tecnologica secondo cui, qualora una delle imprese partecipanti venga esclusa dall'accordo, per averlo violato, le sia precluso di utilizzare in proprio la documentazione tecnica acquisita nel corso del rapporto di collaborazione (CGCE, 27 luglio 1990).

Le clausole tipiche del contratto di collaborazione tecnologica

La clausola di riservatezza

L'elemento centrale del contratto di collaborazione tecnologica è rappresentato dalla condivisione delle conoscenze maturate da ciascuna delle parti nell'ambito delle rispettive attività professionali.

Sul punto occorre distinguere le conoscenze pregresse condivise dalle parti, c.d. conoscenze di background, da quelle generate dall'attività di cooperazione contrattuale, anche dette conoscenze di foreground, e infine dalle c.d. conoscenze di sideground, ovvero riferite a settori non direttamente coinvolti nell'attività di ricerca (Granieri, 2006, 83).

In riferimento alle conoscenze di background, per conoscenze pregresse si intendono le informazioni e i diritti di proprietà intellettuale di cui le imprese sono detentrici (dunque anche se non ne sono titolari e che possano utilizzare in virtù di altri accordi), indipendentemente dal fatto che questi siano stati loro concessi o soltanto richiesti.

Generalmente le parti si impegnano a condividere gratuitamente tali conoscenze, nell'intento di agevolare lo svolgimento delle attività oggetto del contratto, nonché di perseguire l'obiettivo contrattuale rappresentato da una data scoperta scientifica (si parla al proposito di diritto di accesso gratuito).

L'utilizzo contrattualmente assegnato alle parti delle conoscenze di background non deve tuttavia trarre in inganno, atteso che non si tratta di reciproca cessione di licenza.

Al contrario le parti sono tenute a utilizzare i dati, le informazioni e le conoscenze, entrate in loro possesso, nei limiti di quanto strettamente necessario per il perseguimento delle attività assegnate.

Del resto la divulgazione e l'utilizzo di tali dati al di fuori degli scopi contrattuali è solitamente vietato da apposita clausola, la c.d. clausola di riservatezza, la cui violazione rende responsabile l'impresa, anche per i fatti materialmente commessi dai loro dipendenti, ausiliari o collaboratori.

È inoltre frequente che le parti prevedano, per il caso di violazione della clausola di riservatezza, la facoltà della parte adempiente di chiedere la risoluzione del contratto ai sensi dell'art. 1456 c.c., oppure di ottenere il pagamento dell'importo oggetto della clausola penale.

Il discorso è ben diverso, invece, per quanto riguarda le conoscenze di foreground, acquisite per effetto delle attività di ricerca oggetto del contratto, le quali, in particolare, sono rappresentate dai beni materiali o immateriali realizzati in esecuzione dell'accordo di collaborazione, anche se non suscettibili di protezione, purché di carattere confidenziale.

Al riguardo si osservi che la gestione, la titolarità e lo sfruttamento patrimoniale delle conoscenze di foreground è rimessa alla volontà delle parti.

Generalmente le parti stabiliscono che qualora la scoperta scientifica sia stata effettuata dal personale dipendente di una sola parte, quest'ultima deve reputarsi l'unica titolare dei diritti di sfruttamento e ha l'esclusivo diritto di presentare la relativa domanda di brevetto.

Diversamente, nel caso in cui i risultati scientifici conseguiti rappresentino il risultato di ricerche svolte congiuntamente dal personale di entrambe le parti, i diritti di sfruttamento spettano a ciascuna di esse, in proporzione della quota di partecipazione.

Laddove le parti decidano di presentare una domanda di brevetto in via congiunta, sono chiamate a raggiungere un accordo circa le modalità con cui regolare la gestione dei diritti di sfruttamento dei relativi brevetti.

Devono stabilire se ciascuna di esse può concedere licenze a terzi e se, in tal caso, può concederle anche in via esclusiva, gratuitamente o dietro il pagamento di una data somma di denaro, accordandosi sulle modalità di ripartizione dei proventi derivanti dalle licenze (Macario-Addante, 1470 ss.).

La clausola di riservatezza è da tempo oggetto di considerazione in giurisprudenza.

Per quanto innanzitutto concerne il concetto di informazione riservata, la giurisprudenza ha chiarito che ai sensi dell'art. 98 d.lgs. n. 30/2005 (c.d. codice della proprietà industriale) costituiscono oggetto di tutela le informazioni aziendali e le esperienze tecnico-industriali quando esse siano segrete, abbiano valore economico e siano sottoposte a misure da ritenersi ragionevolmente adeguate a mantenerle segretea mero titolo di esempio: Trib. Mantova, 3 ottobre 2008, Trib. Milano XIV, 5 ottobre 2010, Cass. pen. V, n. 3211/2023).

Le informazioni oggetto del contratto di cooperazione tecnologica coincidono quindi sostanzialmente con la nozione di know-how.

Deve dunque trattarsi di informazioni riservate necessarie o utili a condurre adeguatamente un processo produttivo o distributivo, il cui valore economico è dato dal risparmio e dal vantaggio dalla loro utilizzazione.

È però anche necessario che le notizie siano sottoposte a misure di protezione idonee a preservarne la segretezza (Trib. Bologna, 16 maggio 2006).

Si è poi osservato che le conoscenze richieste nell'ambito della tecnica industriale per la produzione di un bene o per attuare un processo produttivo, o per il corretto impiego di una tecnologia, nonché le regole di condotta che nel campo della tecnica mercantile vengono desunte da studi ed esperienze di gestione imprenditoriale (cosiddetto know-how in senso ampio), ove presentino il carattere della novità (ovvero quando comportano vantaggi d'ordine tecnologico o competitivo) e della segretezza (cioè quando non sono divulgate), assumono rilievo come autonomo elemento patrimoniale suscettibile di utilizzazione economica da parte del possessore (cosiddetto know-how in senso stretto).

Ciò anche se esse derivino da invenzioni brevettabili che il titolare non intenda brevettare, e preferisca sfruttare in regime di segreto, o da ideazioni minori non costituenti vere e proprie invenzioni brevettabili.

Ne consegue che il contratto di trasferimento di know-how, che è un contratto sinallagmatico atipico, è pienamente valido nel nostro ordinamento giuridico a norma dell'art. 1322 c.c., consistendo nel trasferimento, nelle più diverse forme, delle conoscenze tecniche, da sole o unitamente ad altre utilità, contro un determinato corrispettivo, ancorché le stesse non siano protette da brevetto (Cass. I, n. 659/1992).

Il già menzionato art. 98 del c.d. codice della proprietà industriale individua i contorni della nozione di know-how facendo riferimento a informazioni di natura tecnica, di carattere commerciale, a informazioni relative all'organizzazione o infine a informazioni finanziarie, di gestione o di marketing.

Si è già visto che il valore di tali informazioni è dato dal risparmio realizzato dall'imprenditore con la sua utilizzazione.

Come fatto spesso dalla giurisprudenza, è opportuno ribadire le condizioni cui il legislatore subordina la loro tutela:

a) che siano soggette al legittimo controllo del detentore, sia esso il loro ideatore, sia esso colui che è autorizzato a utilizzarle con il consenso del titolare;

b) che siano segrete: in tal caso, non occorre che siano assolutamente inaccessibili, ma è necessario che la loro acquisizione, quando sia possibile, sia soggetta a sforzi non indifferenti, superiori rispetto a quelli che occorrono per effettuare una accurata ricerca; esse devono altresì, essere state accumulate con un lavoro intellettuale di progettazione individuale;

c) che abbiano valore economico, in quanto sia stato necessario anche uno sforzo economico per ottenerle, mentre analogo sforzo economico sarebbe stato richiesto presumibilmente per duplicarle;

d) che siano sottoposte a misure di segregazione, con particolare riferimento sia ad una protezione fisica, assicurata da sistemi di protezione adeguati, sia a una protezione giuridica, assicurata da un'informazione adeguata, data ai terzi che vengono in contatto con le informazioni, sul carattere riservato e sulla necessità che vanga mantenuto tale (Trib. Bologna, 27 maggio 2008).

Per quanto concerne l'onere probatorio della rivelazione di segreti aziendali, per poter considerare raggiunta la prova occorre che la dedotta rivelazione emerga dagli atti di causa, in modo diretto, attraverso la prova del mezzo di comunicazione impiegato a tal fine (informativa verbale, passaggio di documenti o altro) ovvero, in modo indiretto, in virtù dell'accertata realizzazione presso l'impresa concorrente di procedure di lavorazione riproducenti, in tutto o in parte, gli accorgimenti tecnologici coperti da segreto.

Ad ogni modo, quando per produrre un bene occorrono conoscenze che hanno il carattere della novità e della segretezza, queste rilevano come elemento patrimoniale autonomo, che può essere utilizzato economicamente dal possessore (know-how in senso stretto), anche se derivino da invenzioni brevettabili, ma che il titolare non voglia brevettare o preferisca sfruttare in regime di segreto (Cass. I, n. 23045/2009).

Rispetto al problema della quantificazione del danno derivante dall'illecita divulgazione di informazioni riservate si deve tenere conto dell'immediata disponibilità del know-how dei disegni progettuali acquisiti illecitamente.

Infatti il vantaggio concorrenziale acquisito illecitamente ha un sicuro rilievo economico, relativamente a fattori quali:

a) il risparmio derivante dall'acquisizione degli altrui elaborati;

b) la possibilità di procedere a un'immediata attività di concorrenza praticando anche offerte che scontano il minor onere sostenuto per studi ed elaborazioni tecniche e progettuali;

c) il minor impegno organizzativo per la non necessità di reperire e preparare adeguati settori di progettazione e disegno (App. Milano, 13 giugno 2007).

Fermo quanto sopra esposto, deve evidenziarsi che la rivelazione di informazioni riservate potrebbe configurare anche un comportamento di concorrenza sleale ai sensi dell'art. 2598, n. 3 c.c., determinato appunto dalla sottrazione, dall'uso e dalla divulgazione di documenti che, seppure contemplino tecnologie preesistenti, sono da considerare segreti e riservati, in quanto riguardano non singole invenzioni o macchine, ma l'insieme e la combinazione di informazioni costituenti un know-how acquisito e perfezionato in anni di lavoro e impegno (Trib. Milano, 31 marzo 2004  e più di recente Cass. II, n. 18034/2022).

Sotto il profilo penalistico, è stato affermato che la sussistenza di presupposti per la brevettabilità exart. 2585 c.c. della scoperta o dell'applicazione rivelata non costituisce una condizione per la configurabilità del reato di rivelazione di segreti industriali ai sensi dell'art. 623 c.p.

Il reato di rivelazione di segreti industriali si configura quindi anche nell'ipotesi di rivelazione, da parte di soggetto che ne abbia conoscenza per ragioni professionali, di informazioni riguardanti la realizzazione del prototipo di un determinato impianto industriale, destinate a rimanere segrete.

Nel caso preso in esame dalla Suprema Corte l'imputato era venuto a conoscenza di notizie sul prototipo di un dato dispositivo per ragioni di collaborazione professionale e le aveva impiegate, a profitto di altra società di cui era amministratore unico, costruendo e commercializzando detto dispositivo (Cass. pen., V, n. 25174/2005).

Ai fini della configurabilità del delitto di rilevazione di segreti scientifici o industriali non è necessario che le applicazioni industriali siano originali o nuove, per cui non vi sono ostacoli nel farvi rientrare il know-how aziendale, dovendosi intendere lo stesso come il complesso delle informazioni industriali necessarie per la costruzione, l'esercizio e la manutenzione di un impianto.

In particolare si è stabilito che il concetto di notizia destinata al segreto può essere apprezzato sotto due profili: sotto l'aspetto soggettivo, con riferimento all'avente diritto al mantenimento del segreto stesso (il titolare dell'azienda); sotto l'aspetto oggettivo all'interesse a che non vengano divulgate notizie attinenti ai metodi (di progettazione, produzione e messa a punto dei beni prodotti) che caratterizzano la struttura industriale, ossia il cosiddetto know-how, vale a dire quel patrimonio cognitivo e organizzativo necessario per la costruzione, l'esercizio, la manutenzione di un apparato industriale.

Pertanto l'oggetto della tutela penale del reato in questione deve ritenersi il segreto industriale in senso lato, intendendosi per tale quell'insieme di conoscenze riservate e di particolari modus operandi, in grado di garantire la riduzione al minimo degli errori di progettazione e realizzazione e dunque la compressione dei tempi di produzione.

Un caso giurisprudenziale ha riguardato due dipendenti di un'azienda di progettazione software che avevano rassegnato le proprie dimissioni per passare alle dipendenze di altra ditta, cui avevano conferito le loro specifiche conoscenze per la realizzazione di un macchinario a raggi x, destinato all'industria alimentare e realizzato con modalità e caratteristiche essenziali analoghe a quelle prodotto nella prima azienda (Cass. pen., V, n. 25008/2001).

Ai fini fiscali, infine, è stato osservato che il concetto di know-how aziendale rientra nella nozione generale di avviamento e che risulta illegittimo l'operato dell'Ufficio che non abbia tenuto conto di tale voce, correttamente evidenziata nell'atto di cessione di azienda, nel rettificare il valore dell'avviamento ai fini dell'imposta di registro (C.t.r. Lombardia, Milano, n. 429/2010).

La clausola relativa alla cessione del brevetto

Merita considerazione l'eventualità della cessione del brevetto relativo alle scoperte scientifiche o tecnologiche conseguite in esecuzione dell'attività di cooperazione.

In proposito il contratto può prevedere un diritto di opzione, in base al quale se soltanto una parte intende brevettare i risultati di una scoperta scientifica e l'altra dichiara per iscritto di non essere interessata a presentare la domanda di brevetto, la parte interessata deve inviare all'altra una comunicazione contenente la manifestazione della propria volontà di acquisire, gratuitamente, la quota della parte rinunciante (Macario-Addante, 1470 ss.).

La clausola relativa al diritto di accesso

L'espressione diritto di accesso si riferisce ai diritti, distinti dalle licenze assegnate a terzi, che le parti decidono di conferirsi reciprocamente, in dipendenza di un contratto che abbia ad oggetto il compimento di attività di ricerca.

La disciplina contrattuale del diritto di accesso, decisiva per la buona esecuzione del contratto, stabilisce infatti chi possa, e a quali condizioni sia consentito, accedere alle conoscenze altrui, siano esse pregresse (background) o generate dalle attività oggetto della collaborazione (foreground).

Assume particolare importanza la definizione del know-how, sia per quanto riguarda l'accesso alla tutela prevista nella legislazione vigente, sia per quanto riguarda l'esatta definizione delle conoscenze oggetto di condivisione.

Per ciò che riguarda gli scopi del diritto di accesso è inoltre essenziale che le parti mettano gratuitamente a disposizione le proprie conoscenze per le attività relative all'esecuzione del contratto, ma ciascuna di esse è tenuta a utilizzarle solo per le finalità proprie del contratto di collaborazione.

Infatti la soluzione del libero accesso al background per l'esecuzione favorisce la collaborazione, evitando nel contempo il moltiplicarsi di liste di esclusione, sempre che si specifichi che il background messo a disposizione da ciascuno è limitato a quanto necessario per svolgere l'attività dedotta in contratto.

Per evitare contestazioni sulla portata del termine «necessario», le parti hanno la facoltà di definirne liberamente l'ambito, preferibilmente in allegati ad hoc, e quindi di concordare l'esclusione di conoscenze preesistenti dal diritto d'accesso.

La lista, che potrebbe anche essere formulata positivamente, deve essere sufficientemente chiara, in modo tale da evitare contestazioni successive e nulla vieta che detta esclusione possa essere anche temporanea, ovvero limitata a una determinata applicazione di una conoscenza pregressa.

Rispetto alle conoscenze generatesi parallelamente allo svolgimento delle attività (sideground) è utile specificare se ad esse si applichi o meno la disciplina prevista per le conoscenze preesistenti, oppure se l'accesso è consentito soltanto a fronte del pagamento di royalties o di altri corrispettivi (Granieri, 2006, 148; Macario-Addante, 1470 ss.).

Completata la fase di ricerca vera e propria, l'accesso alle conoscenze preesistenti di proprietà di un'altra parte per scopo di utilizzo (sfruttamento e/o ricerca ulteriore) è normalmente consentito soltanto a titolo oneroso, a condizioni eque e non discriminatorie.

Il medesimo trattamento è previsto per l'accesso alle nuove conoscenze, conseguenti all'esecuzione del contratto e di proprietà di una sola delle parti, che non siano indispensabili all'altra parte per proseguire la propria attività.

Generalmente l'accesso non è garantito in via automatica, ma presuppone una richiesta scritta della parte interessata, la quale specifichi che l'uso è funzionale esclusivamente agli scopi di ricerca.

A tal fine potrebbe risultare utile inserire nel contratto un limite temporale entro il quale esercitare il diritto di accesso (per esempio, entro un certo termine dalla conclusione delle attività di ricerca) ovvero la possibilità di estendere la rosa dei soggetti legittimati a esercitare il diritto di accesso alle informazioni di background (ad esempio comprendendo le società controllanti o quelle controllate).

I diritti di accesso, in ogni caso, non conferiscono alcun diritto di concedere sublicenze (Macario-Addante, 1470 ss.).

La clausola penale

Nella pratica degli affari è frequente l'inserimento di clausole penali volte a predeterminare l'entità del danno dovuto in caso di inadempimento di una delle parti.

Nel contesto degli accordi di cooperazione tecnologica una siffatta soluzione è prevista in riferimento alla violazione degli obblighi di riservatezza, ossia nel caso in cui vengano utilizzate o divulgate illecitamente informazioni confidenziali.

La penale può ovviamente essere ridotta equitativamente dall'autorità giudiziaria ai sensi dell'art. 1384 c.c. (Silla, 136).

A tale ultimo riguardo la giurisprudenza ha stabilito che il criterio cui il giudice deve fare riferimento per esercitare il potere di riduzione della penale non è la valutazione del danno che sia stato accertato o risarcito, bensì l'interesse che la parte ha, secondo le circostanze, all'adempimento della prestazione cui ha diritto (Cass. I, n. 10626/2007; Cass. sez. lav., n. 7835/2006).

Tra l'altro la riduzione della clausola penale di eccessiva entità può essere disposta dal giudice anche d'ufficio, per cui si è ritenuto che la relativa domanda di riduzione può essere proposta per la prima volta anche in appello, sempre che siano state dedotte e dimostrate dalle parti le circostanze rilevanti al compimento del giudizio di manifesta eccessività della clausola penale stessa (Cass. I, n. 19320/2018; in senso conforme Cass. VI, n. 17731/2015; Cass. II, n. 7180/2012; Cass. III, n. 21297/2011).

Il giudice può inoltre ridurre la penale, non solo quando è manifestamente eccessiva, ma anche quando l'obbligazione sia stata in parte adempiuta (Cass. III, n. 15753/2018).

In ordine alla natura della clausola penale, è stato poi affermato che essa non ha natura e finalità sanzionatoria o punitiva, ma assolve la funzione di rafforzare il vincolo contrattuale e di liquidare preventivamente la prestazione risarcitoria e che quando essa è eccessiva può essere equamente ridotta dal giudice (Cass. III, n. 1183/2007).

La clausola penale ha tuttavia una causa distinta da quella del contratto cui afferisce, anche se collegata e complementare al primo (Cass. II, n. 10046/2018).

Foro competente e clausola compromissoria

Nell'eventualità dell'insorgenza di controversie relativamente all'esecuzione, alla risoluzione o all'interpretazione del contratto, le parti possono riservare la decisione sulle stesse alla competenza esclusiva dell'autorità giudiziaria di una data circoscrizione territoriale.

In alternativa, soprattutto nei contratti aventi carattere internazionale, è frequente la previsione di una clausola compromissoria, con cui si devolve ogni futura controversia tra le parti al giudizio di arbitri, nominati con i criteri indicati o dalla clausola stessa o nel regolamento eventualmente richiamato.

Attraverso la clausola compromissoria si può esprimere la scelta per una decisione di equità o secondo diritto, con l'ulteriore precisazione che in caso di contratti internazionali occorre accertare che in base alle legislazioni dei Paesi interessati non esistano obblighi inderogabili circa le competenze di un determinato foro, che infatti vanificherebbero l'efficacia della clausola stessa (Silla, 139-140).

Bibliografia

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