Legge - 22/06/2016 - n. 112 art. 6 - Istituzione di trust, vincoli di destinazione e fondi speciali composti di beni sottoposti a vincolo di destinazione (A)Istituzione di trust, vincoli di destinazione e fondi speciali composti di beni sottoposti a vincolo di destinazione (A)
1. I beni e i diritti conferiti in trust ovvero gravati da vincoli di destinazione di cui all'articolo 2645-ter del codice civile ovvero destinati a fondi speciali di cui al comma 3 dell'articolo 1, istituiti in favore delle persone con disabilita' grave come definita dall'articolo 3, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, accertata con le modalita' di cui all'articolo 4 della medesima legge, sono esenti dall'imposta sulle successioni e donazioni prevista dall'articolo 2, commi da 47 a 49, del decreto-legge 3 ottobre 2006, n. 262, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2006, n. 286, e successive modificazioni. 2. Le esenzioni e le agevolazioni di cui al presente articolo sono ammesse a condizione che il trust ovvero i fondi speciali di cui al comma 3 dell'articolo 1 ovvero il vincolo di destinazione di cui all'articolo 2645-ter del codice civile perseguano come finalita' esclusiva l'inclusione sociale, la cura e l'assistenza delle persone con disabilita' grave, in favore delle quali sono istituiti. La suddetta finalita' deve essere espressamente indicata nell'atto istitutivo del trust, nel regolamento dei fondi speciali o nell'atto istitutivo del vincolo di destinazione. 3. Le esenzioni e le agevolazioni di cui al presente articolo sono ammesse se sussistono, congiuntamente, anche le seguenti condizioni: a) l'istituzione del trust ovvero il contratto di affidamento fiduciario che disciplina i fondi speciali di cui al comma 3 dell'articolo 1 ovvero la costituzione del vincolo di destinazione di cui all'articolo 2645-ter del codice civile siano fatti per atto pubblico; b) l'atto istitutivo del trust ovvero il contratto di affidamento fiduciario che disciplina i fondi speciali di cui al comma 3 dell'articolo 1 ovvero l'atto di costituzione del vincolo di destinazione di cui all'articolo 2645-ter del codice civile identifichino in maniera chiara e univoca i soggetti coinvolti e i rispettivi ruoli; descrivano la funzionalita' e i bisogni specifici delle persone con disabilita' grave, in favore delle quali sono istituiti; indichino le attivita' assistenziali necessarie a garantire la cura e la soddisfazione dei bisogni delle persone con disabilita' grave, comprese le attivita' finalizzate a ridurre il rischio della istituzionalizzazione delle medesime persone con disabilita' grave; c) l'atto istitutivo del trust ovvero il contratto di affidamento fiduciario che disciplina i fondi speciali di cui al comma 3 dell'articolo 1 ovvero l'atto di costituzione del vincolo di destinazione di cui all'articolo 2645-ter del codice civile individuino, rispettivamente, gli obblighi del trustee, del fiduciario e del gestore, con riguardo al progetto di vita e agli obiettivi di benessere che lo stesso deve promuovere in favore delle persone con disabilita' grave, adottando ogni misura idonea a salvaguardarne i diritti; l'atto istitutivo ovvero il contratto di affidamento fiduciario ovvero l'atto di costituzione del vincolo di destinazione indichino inoltre gli obblighi e le modalita' di rendicontazione a carico del trustee o del fiduciario o del gestore; d) gli esclusivi beneficiari del trust ovvero del contratto di affidamento fiduciario che disciplina i fondi speciali di cui al comma 3 dell'articolo 1 ovvero del vincolo di destinazione di cui all'articolo 2645-ter del codice civile siano le persone con disabilita' grave; e) i beni, di qualsiasi natura, conferiti nel trust o nei fondi speciali di cui al comma 3 dell'articolo 1 ovvero i beni immobili o i beni mobili iscritti in pubblici registri gravati dal vincolo di destinazione di cui all'articolo 2645-ter del codice civile siano destinati esclusivamente alla realizzazione delle finalita' assistenziali del trust ovvero dei fondi speciali o del vincolo di destinazione; f) l'atto istitutivo del trust ovvero il contratto di affidamento fiduciario che disciplina i fondi speciali di cui al comma 3 dell'articolo 1 ovvero l'atto di costituzione del vincolo di destinazione di cui all'articolo 2645-ter del codice civile individuino il soggetto preposto al controllo delle obbligazioni imposte all'atto dell'istituzione del trust o della stipula dei fondi speciali ovvero della costituzione del vincolo di destinazione a carico del trustee o del fiduciario o del gestore. Tale soggetto deve essere individuabile per tutta la durata del trust o dei fondi speciali o del vincolo di destinazione; g) l'atto istitutivo del trust ovvero il contratto di affidamento fiduciario che disciplina i fondi speciali di cui al comma 3 dell'articolo 1 ovvero l'atto di costituzione del vincolo di destinazione di cui all'articolo 2645-ter del codice civile stabiliscano il termine finale della durata del trust ovvero dei fondi speciali di cui al comma 3 dell'articolo 1 ovvero del vincolo di destinazione di cui all'articolo 2645-ter del codice civile nella data della morte della persona con disabilita' grave; h) l'atto istitutivo del trust ovvero il contratto di affidamento fiduciario che disciplina i fondi speciali di cui al comma 3 dell'articolo 1 ovvero l'atto di costituzione del vincolo di destinazione di cui all'articolo 2645-ter del codice civile stabiliscano la destinazione del patrimonio residuo. 4. In caso di premorienza del beneficiario rispetto ai soggetti che hanno istituito il trust ovvero stipulato i fondi speciali di cui al comma 3 dell'articolo 1 ovvero costituito il vincolo di destinazione di cui all'articolo 2645-ter del codice civile, i trasferimenti di beni e di diritti reali a favore dei suddetti soggetti godono delle medesime esenzioni dall'imposta sulle successioni e donazioni di cui al presente articolo e le imposte di registro, ipotecaria e catastale si applicano in misura fissa. 5. Al di fuori dell'ipotesi di cui al comma 4, in caso di morte del beneficiario del trust ovvero del contratto che disciplina i fondi speciali di cui al comma 3 dell'articolo 1 ovvero del vincolo di destinazione di cui all'articolo 2645-ter del codice civile istituito a favore di soggetti con disabilita' grave, come definita dall'articolo 3, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, accertata con le modalita' di cui all'articolo 4 della medesima legge, il trasferimento del patrimonio residuo, ai sensi della lettera h) del comma 3 del presente articolo, e' soggetto all'imposta sulle successioni e donazioni prevista dall'articolo 2, commi da 47 a 49, del decreto-legge 3 ottobre 2006, n. 262, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2006, n. 286, e successive modificazioni, in considerazione del rapporto di parentela o coniugio intercorrente tra disponente, fiduciante e destinatari del patrimonio residuo. 6. Ai trasferimenti di beni e di diritti in favore dei trust ovvero dei fondi speciali di cui al comma 3 dell'articolo 1 ovvero dei vincoli di destinazione di cui all'articolo 2645-ter del codice civile, istituiti in favore delle persone con disabilita' grave come definita dall'articolo 3, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, accertata con le modalita' di cui all'articolo 4 della medesima legge, le imposte di registro, ipotecaria e catastale si applicano in misura fissa. 7. Gli atti, i documenti, le istanze, i contratti, nonche' le copie dichiarate conformi, gli estratti, le certificazioni, le dichiarazioni e le attestazioni posti in essere o richiesti dal trustee ovvero dal fiduciario del fondo speciale ovvero dal gestore del vincolo di destinazione sono esenti dall'imposta di bollo prevista dal decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 642. 8. In caso di conferimento di immobili e di diritti reali sugli stessi nei trust ovvero di loro destinazione ai fondi speciali di cui al comma 3 dell'articolo 1, i comuni possono stabilire, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, aliquote ridotte, franchigie o esenzioni ai fini dell'imposta municipale propria per i soggetti passivi di cui all'articolo 9, comma 1, del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23. 9. Alle erogazioni liberali, alle donazioni e agli altri atti a titolo gratuito effettuati dai privati nei confronti di trust ovvero dei fondi speciali di cui al comma 3 dell'articolo 1 si applicano le detrazioni previste dall'articolo 83, comma 1, secondo periodo, del decreto legislativo 3 luglio 2017, n. 117, e le deduzioni di cui al comma 2 del predetto articolo 83 con il limite ivi indicato elevato al 20 per cento del reddito complessivo dichiarato e comunque nella misura massima di 100.000 euro annui1. 10. Le agevolazioni di cui ai commi 1, 4, 6 e 7 si applicano a decorrere dal 1° gennaio 2017; le agevolazioni di cui al comma 9 si applicano a decorrere dal periodo d'imposta 2016. 11. Con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, da emanare, di concerto con il Ministro del lavoro e delle politiche sociali e il Ministro delegato per la famiglia e le disabilita, entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, sono definite le modalita' di attuazione del presente articolo 2. 12. Alle minori entrate derivanti dai commi 1, 4, 6 e 7, valutate in 10 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2017, e dal comma 9, valutate in 6,258 milioni di euro per l'anno 2017 e in 3,650 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2018, si provvede ai sensi dell'articolo 9.
--------------- (A) In riferimento all'applicazione dell'esenzione dall'imposta sulle successioni e donazioni , vedi: Risposta Agenzia delle Entrate 11/03/2022 n. 103 [1] Comma modificato dall'articolo 89, comma 10, del D.Lgs. 3 luglio 2017, n. 117 e successivamente sostituito dall'articolo 31, comma 2, lettera b), del D.Lgs. 3 agosto 2018, n. 105. [2] Comma modificato dall'articolo 3, comma 4, lettera d), del D.L. 12 luglio 2018, n. 86, convertito con modificazioni dalla Legge 9 agosto 2018, n. 97. InquadramentoA fronte della previsione generalissima dettata dal comma 1 dell'art. 2740 c.c., secondo cui il debitore risponde dell'adempimento delle obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri, regola che il comma 2 della stessa disposizione al tempo stesso circoscrive e rafforza, giacché ammette limitazioni di responsabilità derogatorie della regola generale, ma solo ed esclusivamente nei casi che è la legge — non l'autonomia negoziale — a stabilire, hanno preso corpo, negli ultimi decenni, talune figure caratterizzate dall'emergere di un vincolo di destinazione impresso dal proprietario disponente su uno o più beni ricompresi nel suo patrimonio, vincolo consistente nella funzionalizzazione di essi al raggiungimento di uno scopo, con conseguente effetto di separazione patrimoniale — come è stato detto in dottrina — o di «segregazione» dei beni medesimi, non suscettibili, così, di essere aggrediti, almeno in linea di principio (fatto in particolare salvo il caso del fruttuoso esperimento dell'azione revocatoria, ove ne ricorrano i presupposti), da creditori il cui credito non sia originato in vista della realizzazione dello scopo prefissato. Il congegno della separazione patrimoniale ha ad esempio trovato applicazione con l'art. 22 d.lgs. n. 58/1998 (t.u.f.); l'art. 4 d.lgs. n. 124/1993, come riformata dalla l. n. 335/1995 (fondi pensione); l'art. 3, comma 2, l. n. 130/1999 (cartolarizzazione dei crediti); la l. n. 402/1999 (cartolarizzazione dei crediti Inps); l'art. 22 d.l. n. 350/2001, come modificato in sede di conversione dalla l. n. 409/2001 (cartolarizzazione dei crediti d'imposta e contributivi); l'art. 8, d.l. n. 63/2002, convertito dalla l. n. 112/2002 (società per il finanziamento delle infrastrutture). Possono poi rammentarsi le tradizionali figure codicistiche dell'eredità giacente (artt. 528 ss. c.c.) e dell'eredità accettata con beneficio di inventario (artt. 484 ss. c.c.), nonché della dote, ormai vietata dall'art. 166-bis c.c., della cessione dei beni ai creditori ex art. 1980, comma 3 c.c., dei fondi costituiti per la previdenza e assistenza dei prestatori di lavoro disciplinati dall'art. 2117 c.c.. Ricorre ancora un tipico fenomeno di «segregazione», tale da determinare la creazione di masse patrimoniali distinte, nel caso del fondo patrimoniale, introdotto dagli artt. 167 ss. c.c. nell'ambito della riforma del diritto di famiglia, fondo mediante il quale — in vista della soddisfazione di un interesse costituzionalmente rilevante, avuto riguardo alla previsione degli artt. 29 e 30 Cost. — i coniugi, ovvero un terzo, destinano beni al soddisfacimento dei bisogni della famiglia, sicché, ai sensi dell'art. 170 c.c., l'esecuzione sui beni conferiti al fondo patrimoniale e sui frutti di essi non può aver luogo per debiti che il creditore conosceva essere stati contratti per scopi estranei ai bisogni della famiglia. Dà luogo poi al sorgere di un fenomeno di separazione patrimoniale la previsione degli artt. 2447-bis e ss. c.c., dettata con riguardo alla creazione di patrimoni destinati ad uno specifico affare, nel qual caso l'effetto di segregazione di una massa di beni sociali, nei limiti in cui essa è normativamente consentita, trova un limite nella facoltà riconosciuta ai creditori sociali di fare opposizione entro determinati termini, ai sensi del comma 2 dell'art. 2447-quater c.c.. Particolare rilievo, per i fini della trattazione che segue, riveste il dettato dell'art. 2645-ter c.c., introdotto nel 2006, concernente la trascrizione di atti di destinazione per la realizzazione di interessi meritevoli di tutela riferibili a persone con disabilità, a pubbliche amministrazioni, oltre ad altri enti o persone fisiche: norma che, come si vedrà, è stata oggetto di una interpretazione minimale, secondo cui essa si limiterebbe a sancire l'opponibilità ai terzi di fattispecie già normativamente contemplate, ma anche di una lettura assai più elastica la quale trae dalla medesima argomento a dimostrazione dell'istituzione di un negozio tipico di destinazione «puro». Il tema si interseca con quello dei limiti di ammissibilità della figura del trust, mutuata nell'ordinamento interno dal diritto anglosassone, per il tramite della Convenzione fatta a L'Aja il 1° luglio 1985 sulla legge applicabile ai trusts e sul loro riconoscimento, ratificata dall'Italia con l. n. 364/1989, entrata in vigore in data 1° gennaio 1992: negozio, il trust, mediante il quale — basterà per ora dire — un soggetto (settlor) trasferisce una massa di beni ad un altro (trustee), attribuendogli il potere di amministrarli secondo direttive prestabilite, a cui il trustee è vincolato, e nell'interesse di un terzo beneficiario. Anche in questo caso la peculiarità dell'istituto è costituita dalla separazione dei beni conferiti in trust rispetto al patrimonio del trustee. Ancor più di recente occorre rammentare, anche per le ricadute in ordine al tema dell'ammissibilità del trust, la c.d. legge sul «dopo di noi» (l. n. 112/2016, recante: «Disposizioni in materia di assistenza in favore delle persone con disabilità grave prive del sostegno familiare»), la quale individua nel trust uno dei possibili strumenti finalizzati alla tutela del disabile, il che milita secondo alcuni nel senso della conferma dell'ammissibilità della segregazione patrimoniale nel solo caso di espressa previsione normativa, mentre altri sostengono che l'innovazione normativa confermerebbe la generale ammissibilità della stipulazione di trusts interni. Il trustIl trust — vocabolo che all'origine possiede un significato ad un dipresso assimilabile a fiducia — è un istituto elaborato nell'ambito del common law, per lungo tempo rimasto ignoto agli ordinamenti di civil law, fintanto che il dibattito sull'argomento, come si accennava, non si è sviluppato, presso di noi, a seguito della ratifica della Convenzione dell'Aja 1º luglio 1985. Nel common law il trust presenta in linea di massima una struttura trilaterale. Semplificando, può dirsi che un soggetto, il settlor, o disponente, trasferisce ad un altro soggetto, il trustee, investendolo del legal title, la titolarità di individuati beni (o diritti), i quali costituiscono la trust property, nell'interesse del o dei beneficiari (beneficiary) del trust, in quanto titolari di un equitable interest. Merita subito precisare, tuttavia, che la menzionata definizione si attaglia ai trust costituiti per espressa volontà del settlor mediante apposito atto istitutivo, caratterizzantesi come negozio unilaterale, che può essere tanto un atto inter vivos quanto mortis causa. L'ordinamento anglosassone conosce però anche trust non espressamente istituiti (Lupoi, 2016, 16 ss.; 538; Guarnieri, 375), come: -) gli implied trusts, i quali, quantunque in applicazione di una norma di equity, sorgono pur sempre dalla volontà del disponente, che però non è espressa, ma è manifestata implicitamente, ossia per fatti concludenti; -) i constructive trusts, i quali sorgono per effetto di una norma di equity, dinanzi all'integrarsi di determinate fattispecie, indipendentemente dalla volontà del disponente; -) i resulting trust, i quali sorgono pure essi da una norma di equity nei casi in cui esista un trust, ma sia inidoneo a produrre i suoi effetti, ovvero sia eticamente censurabile. Nel modello ordinario del trust espressamente istituito, in particolare, il disponente, come si accennava, trasferisce al trustee il diritto di proprietà sui beni costituenti la trust property: e, tuttavia, occorre qui evidenziare che la proprietà di cui si discorre è altra cosa rispetto a quella conosciuta nei sistemi di civil law, ossia, come recita il nostro art. 832 c.c., il diritto di godere e disporre in modo pieno ed esclusivo. Il trustee diviene così titolare dei beni, e, però, il suo diritto di proprietà incontra un preciso limite, in dipendenza dell'obbligo sul medesimo gravante di amministrare i beni nell'interesse del beneficiario. In tal modo, la trust property, che ovviamente non fa ormai più parte del patrimonio del settlor, costituisce un patrimonio separato rispetto ai beni personali del trustee, vincolata al raggiungimento dello scopo del trust, e non può di conseguenza essere aggredita dai suoi creditori personali: nel che si realizza il congegno di segregazione cui si è già fatto cenno. Ricordata la contrapposizione tra common law ed equity, l'una elaborata, caso dopo caso, dalla giurisprudenza delle corti di Westminster a partire dalla conquista normanna, l'altra, anch'essa di origine giurisprudenziale, formatasi presso la Court of chancery fin dal XVI secolo, allo scopo di temperare la rigidità del common law, occorre ancora dire, quanto al trust, che la posizione giuridica del trustee è tutelata dal common law, in forza del quale egli è proprietario della trust property, e così titolare dei relativi poteri. Al contrario, la tutela del beneficiario è attuata mediante l'equity, in funzione della realizzazione dell'equitable interest, che costituisce fondamento stesso dell'istituto. In tale contesto il trust dà luogo ad un concorso di posizioni soggettive aventi ad oggetto la trust property, giacché al trustee spetta la legal ownweship in base al common law, mentre al beneficiario compete la equitable ownership in base all'equity. Accanto alle tre figure di cui si è detto, settlor o disponente, trustee e beneficiario, tendenzialmente necessarie (anche se quella del beneficiario può talora mancare), può esservi una quarta figura, quella del protector o enforcer, sorta di controllore dell'amministrazione del trust, da noi identificato come guardiano del trust. Può essere attribuito al protector o enforcer un potere di veto tale da consentirgli di bloccare quelle decisioni del trustee che egli non condivida. Il protector o enforcer è assoggettato ad un'obbligazione fiduciaria nei confronti dei beneficiari, in forza della quale può giungere a sollevare il trustee dall'incarico e sostituirlo, ove ne ricorrano i presupposti. Esemplificativamente, tenuto conto delle diverse finalità perseguite, possono individuarsi le seguenti tipologie di trust: trust di garanzia, istituito al fine di garantire il verificarsi di un determinato evento; trust liquidatorio, diretto alla liquidazione di beni per il pagamento di creditori; voting trust, che consiste in un accordo tra soci che mettono in trust le proprie azioni allo scopo di attribuire ad un trustee l'esercizio del diritto di voto in assemblea; housing trust, nel quale al trustee è attribuito il compito di gestire il patrimonio immobiliare per realizzare il progetto di social housing, incassare e gestire i canoni dai beneficiari delle opere di edilizia sociale e di incassare e gestire i contributi derivanti da sponsor pubblici e privati; unit trust, costituito per gestire fondi comuni di investimento mobiliare o immobiliare; charitable trust, che persegue finalità socialmente meritevoli di attenzione e comunque filantropiche; trust per disabili, con il quale si intende garantire l'assistenza ad un soggetto debole, anche dopo la scomparsa dei familiari o comunque dei soggetti che si prendono ordinariamente cura di lui; trust successorio, volto alla programmazione e gestione del passaggio generazionale del patrimonio familiare. Il trustee Al centro del trust c'è la figura del trustee, che è titolare del diritto sulla trust property, ma è parimenti obbligato all'osservanza di prescrizioni dirette al raggiungimento dello scopo del trust, in vista del soddisfacimento dell'interesse del beneficiario. In particolare, il diritto di cui il trustee è titolare, e che gli deriva, elettivamente, dall'atto del disponente, è come si diceva riconosciuto e tutelato dal common law; le obbligazioni del trustee affondano le radici nell'atto di disposizione istitutivo del trust, il deed of trust, ed il loro adempimento è sanzionato dal sistema dell'equity, oltre che, ove presenti, da appositi provvedimenti legislativi, i Trustee Acts. L'obbligazione principale del trustee consiste allora nell'adempiere le prescrizioni dettate dal deed of trust, dal quale egli non può discostarsi, a meno che: i) non sia esso stesso ad attribuirgli tale potere; ii) vi sia il consenso unanime dei beneficiari; iii) abbia così disposto l'autorità giudiziaria, ma nei soli casi di urgenza, nei quali il ritardo potrebbe compromettere gli interessi del beneficiario (v. Trustee Act del 1925, sect. 57). È dunque il deed of trust a regolamentare il rapporto, cristallizzandosi in esso la volontà del disponente, il settlor, il quale gode della più ampia libertà nella fissazione delle obbligazioni del trustee: tale atto si inserisce sì nel sistema normativo fissato dalla giurisprudenza e dai Trustee Acts, che, però, dettano in generale norme dispositive, così derogabili dalla volontà del disponente e chiamate ad operare solo nel caso in cui il disponente non abbia diversamente disposto (Lupoi, 2016, 16 ss). Resta fermo che il deed of trust non può contenere disposizioni viziate da genericità, illiceità, contrarietà all'ordine pubblico ovvero tali da nullificare l'essenza stessa del trust, quale strumento volto al perseguimento dell'equitable interest. È stato così affermato che la responsabilità del trustee per comportamento contrario a buona fede non può essere esclusa, giacché una simile limitazione travolgerebbe lo stesso vincolo fiduciario posto a base del trust. E dunque, « there is an irreducible core of obligations owed by the trustees», gravando sul trustee il «duty to perform the trust honestly and in good faith for the benefit of the beneficiaries» (Armitage v. Nurse [1998], in Ch., 241). Più specificamente, possono ravvisarsi: -) un dovere del trustee di amministrare la trust property entro i limiti prescritti dal trust deed ed in buona fede, al fine di realizzare il miglior risultato per i beneficiari, mantenendo i beni in trust separati dal proprio patrimonio personale o da altri patrimoni amministrati in trust; -) un dovere del trustee di comportarsi in modo imparziale; -) un dovere del trustee di curare la contabilità e rendendo conto del suo operato ai beneficiari che ne facciano richiesta; -) un dovere del trustee di corrispondere ai beneficiari quanto loro dovuto. Il trustee è tenuto ad amministrare personalmente la trust property, non potendo delegare a terzi i propri compiti. Ciò discende dalla natura fiduciaria del rapporto, la quale fa presumere che il disponente, nello scegliere un determinato trustee, abbia inteso affidargli in esclusiva l'incarico conferitogli. Il trustee non deve operare in conflitto di interessi. In ipotesi di più trustee, le decisioni devono essere prese all'unanimità, a meno che l'atto istitutivo non autorizzi la decisione a maggioranza. Nell'espletamento dell'incarico il trustee deve conformarsi ad un parametro di diligenza più o meno intenso, a seconda che operi professionalmente o meno (v. Speight v. Gaunt [1882], in 22, Ch., D., 727). Non sono ammesse clausole di esclusione della responsabilità. In particolare, il Trustee Act del 2000 ha disciplinato il duty of care del trustee, fissando il principio secondo cui questi deve comportarsi con la diligenza di un prudente uomo d'affari, avendo riguardo alla sua specifica conoscenza o esperienza, nonché, in caso di trustee professionista, alla conoscenza o esperienza che sia ragionevole aspettarsi da chi svolga l'incarico professionalmente. Fissati i limiti menzionati, il trustee gode di ampia discrezionalità nell'adempimento delle sue obbligazioni ed è titolare di tutti i poteri di amministrazione della trust property, sicché, ad esempio, può decidere se e come utilizzare i frutti prodotti dai beni conferiti in trust, può concederli in locazione, e finanche alienarli, se allo scopo di effettuare investimenti vantaggiosi per il beneficiario (Lupoi, 2016, 16 ss.). In caso di inadempimento (breach of trust) del trustee, determinato da violazione di un obbligo, egli è perciò stesso responsabile, non occorrendo la prova della sussistenza di fraud (ossia dolo) o dell'incuria del trustee: si tratta, cioè, di responsabilità oggettiva. Laddove il trustee abbia operato nell'esercizio di poteri discrezionali, occorre verificare se il parametro di diligenza di volta in volta richiesto sia stato osservato. Le azioni a tutela del trust In caso di breach of trust, ovvero anche in caso di fondato timore che una tale situazione possa concretizzarsi, il sistema dell'equity accorda al beneficiario del trust il rimedio dell'injunction, ordine rivolto al trustee di adottare un determinato comportamento, positivo o negativo che sia: un ordine, cioè, di fare o non fare qualcosa. Può dunque trattarsi di una prohibitory injunction, consistente nel divieto di porre in essere ovvero nell'ordine di cessare un determinato comportamento; può trattarsi di una mandatory injunction, volta cioè ad ordinare al trustee di porre in essere un determinato atto o attività. Sono previsti altresì provvedimenti di tipo inibitorio, preventivamente diretti ad orientare il futuro comportamento del trustee a fronte di una sua condotta la quale faccia pronosticare il verificarsi di un danno al beneficiario. Il rilascio dell'ingiunzione presuppone l'insufficienza dei rimedi previsti dal common law ed in particolare del risarcimento del danno. L'onere della prova ricade sul beneficiario, il quale deve dimostrare il verificarsi — attuale o pronosticabile — del breach of trust. L'inosservanza da parte del trustee dell'ingiunzione emessa dal giudice è sanzionata con il contempt of court. Quest'ultimo, spesso indicato semplicemente come contempt, è l'offesa consistente nell'essere disobbedienti o non rispettosi nei confronti di una corte o dei suoi componenti, per effetto di comportamenti che si pongano in contrasto o comunque ledano l'autorità e la dignità della corte, Conseguenza del contempt of court è l'irrogazione di una sanzione pecuniaria, da corrispondersi alla parte lesa. Altro rimedio contro il breach of trust è l'azione di tracing, la quale consente al beneficiario di recuperare il bene qualora il trustee lo abbia abusivamente alienato o incamerato nel suo patrimonio. Il tracing è un processo legale mediante il quale il ricorrente dimostra ciò che è accaduto alla sua proprietà, identifica i proventi e le persone che li hanno gestiti o ricevuti e chiede al tribunale di assegnare un rimedio recuperatorio della proprietà, o un equivalente della proprietà persa. Il tracing si colloca nell'ambito dell'equity ed è soggetto alle consuete limitazioni che la caratterizzano. Con riguardo al trust l'azione di tracing può essere impiegata quando il trustee infranga l'obbligo di conservare i beni in trust, alienandoli a terzi ovvero appropriandosene. Tramite il tracing il beneficiario recupera il bene, non solo presso il trustee, ma anche presso l'eventuale terzo acquirente, e cioè titolare, a determinate condizioni, del diritto di seguito, ottenendo, se del caso, un privilegio rispetto agli altri creditori del convenuto sul bene oggetto di tracing. Quanto all'attitudine dell'azione di tracing a produrre effetti nei riguardi dei terzi acquirenti, occorre dire che l'alienazione dei beni ricompresi nel trust fund da parte del trustee è linea di principio valida, ma può risultare viziata secondo l'equity. Nel sistema di equity, quindi, il tracing conduce alla creazione di un constructive trust sul bene acquisito dal terzo, costituito allo scopo si soddisfare le finalità verso le quali il trust è indirizzato. Tale congegno trova però un limite nella regola bona fide purchaser without notice. Detta regola trova applicazione nelle giurisdizioni di common law con riguardo alla disciplina della proprietà si riferisce al caso di una parte incolpevole che acquista la proprietà senza consapevolezza di rivendicazioni di qualsiasi altra parte in ordine a tale proprietà. Anche quando una parte trasmette fraudolentemente una proprietà ad un bona fide purchaser, quest'ultimo conserverà un titolo valido e tale da consentirgli di resistere alle rivendicazioni dell'altra parte. Il beneficiario, dunque, è titolare del diritto, attribuitogli dall'equity, di agire in via recuperatoria nei confronti degli aventi causa del bene in trust illegittimamente alienato dal trustee, ad eccezione dell'acquirente a titolo oneroso in buona fede, la cui posizione prevale su quella del beneficiario. Deve trattarsi di un acquirente di buona fede perché without notice, che non sia cioè a conoscenza di alcuna violazione dei propri doveri da parte del trustee. Ne discende che, al fine di creare un constructive-trust è necessario che in capo al terzo avente causa dal trustee, divenuto proprietario secondo il common law, vi sia una qualche consapevolezza dei diritti dei beneficiari (v. Agip (Africa) v. Jackson [1990], in Ch., 265). Viene sottolineato in dottrina che l'azione di tracing, a pur in presenza della sua connotazione recuperatoria, ha natura di azione personale e non reale. Erroneamente, dunque, il tracing è accostato all'azione di rivendicazione, giacché la prima porta soltanto a rintracciare il bene al fine di rimediare alla violazione dell'obbligo incombente sul trustee. Il beneficiario, dunque, non mira ad ottenere una pronuncia dichiarativa della sua proprietà sul bene, proprietà che del resto egli non ha, come si è già visto, appartenendo il bene stesso al trustee, ma agisce al fine di ottenere l'adempimento di un'obbligazione restitutoria gravante sul convenuto (Lupoi, 2016, 16 ss). Ulteriore strumento di protezione contro il breach of trust è il provvedimento di revoca del trustee, il quale può essere adottato anzitutto in forza di apposita clausola contenuta nell'atto costitutivo del trust. Il potere di revoca è generalmente affidato allo stesso disponente o ad un protector, al quale spetta, in base al trust deed, il compito di verificare l'osservanza da parte del trustee dei doveri di amministrazione che gli competono. Il trustee può inoltre essere sollevato dall'incarico in applicazione del Trustee Act del 1925, art. 36, qualora si allontani dal Regno Unito per oltre un anno, ovvero rimanga inerte o manifesti incapacità o inidoneità. L'art. 41 dello stesso testo riconosce poi al giudice il potere di revoca del trustee. Quanto all'esercizio di tale potere la norma stabilisce quanto segue: «The court may, whenever it is expedient to appoint a new trustee or new trustees, and it is found inexpedient difficult or impracticable so to do without the assistance of the court, make an order appointing a new trustee or new trustees either in substitution for or in addition to any existing trustee or trustees, or although there is no existing trustee. In particular and without prejudice to the generality of the foregoing provision, the court may make an order appointing a new trustee in substitution for a trustee who is convicted of felony, or is a lunatic or a defective, or is a bankrupt, or is a corporation which is in liquidation or has been dissolved». Il giudice dispone dunque di un ampio margine di discrezionalità nel pronunciare la revoca del trustee, ogni qual volta ciò appaia opportuno per la corretta amministrazione del trust. Qualora vi siano più trustee, la revoca può essere disposta in tutti i casi in cui i contrasti tra loro determinino l'impossibilità di agire nell'interesse del trust. Il dibattito sul trust in ItaliaIl dibattito sul trust in Italia ha avuto il suo esordio già in epoca antecedente l'adozione della Convenzione dell'Aja. La difficoltà della materia discende dalla stessa configurazione dell'istituto, che impedisce un suo agevole ingresso ed adattamento all'ordinamento interno e, anzi, lo rende profondamente eccentrico rispetto ad esso. La difficoltà di amalgama del trust con il nostro ordinamento discende anzitutto dall'eterogeneità del concetto di ownership, proprio dei sistemi anglosassoni, che designa anche la relazione fra il trustee ed il trust found, rispetto al concetto di proprietà nei sistemi di civil law: nei paesi di common law è difatti sconosciuto l'istituto della proprietà, intesa come diritto pieno ed assoluto sul bene, giacché la piena disponibilità nei confronti della proprietà terriera costituiva appannaggio reale e, dunque, era sottratta ai privati. In tale situazione è andata delineandosi la nozione di ownership, che si caratterizza non già come diritto assoluto sulla cosa, bensì come relazione dinamica tra il soggetto e il bene, relazione che si instaura per l'appunto tra il trustee e gli estate oggetto del trust. La difficoltà di trasporre il concetto di ownership nell'ordinamento interno ha in epoca remota comportato contrastanti decisioni, le quali, prima della Convenzione, hanno diversamente qualificato la relazione col trust found dei soggetti coinvolti. In una risalente pronuncia (Trib. Oristano 15 marzo 1956, in Foro it., 1956, I, 1019) è stato affermato — oggi possiamo agevolmente dire che la soluzione era errata — che nel caso del trust si assiste ad uno sdoppiamento della proprietà e che sia il trustee che il beneficiario debbono essere considerati proprietari. In altra occasione (Trib. Casale Monferrato 13 aprile 1984, in Riv. not., 1985, 240) è stato correttamente stabilito che il proprietario dei beni oggetto del trust è a tutti gli effetti il trustee. Il dibattito si è poi di molto incrementato in conseguenza della ratifica della Convenzione fatta a L'Aja il 1° luglio 1985 sulla legge applicabile ai trusts e sul loro riconoscimento, ratificata dall'Italia con l. 16 ottobre 1989, n. 364, alla quale ha fatto seguito il provvedimento del Ministero degli affari esteri del 5 dicembre 1991 con cui è stato dichiarato che «la convenzione entrerà in vigore per l'Italia... il 1º gennaio 1992». La legge di ratifica testé citata, secondo un orientamento ampiamente condiviso, non ha recepito l'istituto del trust nell'ordinamento italiano, né ha integrato il nostro diritto dettando una disciplina per il trust (Rescigno, 457; Castronovo, Il trust e «sostiene Lupoi», 451; Castronovo, Trust e diritto civile italiano, 1323; Gambaro, 1995, 638). La Convenzione dell'Aja, difatti, è una convenzione di diritto internazionale privato, intesa a risolvere conflitti di leggi e a individuare il diritto applicabile per la soluzione degli stessi (Gazzoni, Tentativo dell'impossibile, 2001, 18; Gazzoni, In Italia tutto è permesso, 2001, 1251; Rescigno, 456; Castronovo, Il trust e «sostiene Lupoi», 450; Gambaro, 638; Di Majo, 95; Zoppini, 2007, I, 337; Broggini, 410; Morace Pinelli, 2007, 131). È stato dunque affermato che il trust, a seguito dell'adesione alla Convenzione dell'Aja, non è divenuto istituto di diritto interno (Zoppini, 337; Luminoso, 993). È stato poi ampiamente discusso, in dottrina e in giurisprudenza, come meglio si vedrà tra breve, se in base alla Convenzione possa essere riconosciuto il trust c.d. interno, ossia un trust in cui tutti gli elementi, con la sola eccezione della legge applicabile, sono radicati nell'ordinamento italiano (per la negativa, oltre a Gazzoni, Tentativo dell'impossibile, 2001, 18; Gazzoni, 2001, 1251; Rescigno, 456; Castronovo, Il trust e «sostiene Lupoi», 450; Di Majo, 95; Zoppini, 337; Bianca, 1999, 202; per l'affermativa tra gli altri Lupoi, 1997, 411; Scalisi, 187). Successivamente alla ratifica della convenzione si sono avute le prime decisioni concernenti la utilizzabilità del trust nel nostro ordinamento giuridico, oltre a sentenze che hanno negato la sua compatibilità con i principi di diritto del nostro ordinamento. Tra le prime, nel senso dell'ammissibilità della figura, merita ricordare Trib. Lucca 23 settembre 1997, in Foro it. 1998, I, 2007, che ebbe a qualificare come disposizione istitutiva di trust e non come sostituzione fedecommissaria la disposizione con cui il testatore aveva dichiarato di «lasciare in eredità» al fiduciario, in proprietà assoluta, ogni suo avere, ma a beneficio della figlia; Trib. Roma 8 luglio 1999, in Giur. it., 2001, secondo cui «la titolarità dei beni in trust risiede in capo al trustee quale patrimonio separato, suscettibile di costituire autonomo centro di imputazione» (tesi, quella che identifica nel trust un autonomo centro di imputazione giuridica, destinata come si vedrà ad essere definitivamente superata). Per tale via è venuta in evidenza la questione — su cui si tornerà più avanti — della trascrivibilità o meno di una scrittura con firme autenticate da notaio istitutiva di trust per l'affidamento al trustee di beni immobili e diritti immobiliari. È stata affermata la trascrivibilità dell'atto «atteso che, con la cessione di essi dal settlor al trustee, si ha un trasferimento qualificato di beni in trust, da cui risulta un patrimonio separato» (Trib. Bologna 18 aprile 2000, in Nuovo dir., 2001, 793). Nei medesimi termini anche Trib. Pisa 27 dicembre 2001, in Riv. not., 2002, 188, secondo cui, per quanto attiene al regime di pubblicità del trust, «analizzata la ratio complessiva e nonostante la mancata previsione espressa e le difficoltà di attuazione, non sembra si possa negare l'utilità per le parti e per i terzi della trascrizione dell'atto in questione. Né tantomeno si individuano motivi di incompatibilità di alcun tipo con l'ordinamento»; in tali termini anche Trib. Milano 29 ottobre 2002, in Riv. not., 2003, 253, e ciò perché, «in analogia con la previsione di cui all'art. 2647 c.c. per la costituzione del fondo patrimoniale, anche l'atto costitutivo del trust va assoggettato a trascrizione». La configurazione del trust finora descritta, secondo talune opinioni dottrinali, renderebbe l'istituto inconciliabile con regole basilari del sistema: quella secondo cui i diritti reali costituiscono un numerus clausus; quella, di cui si è dato conto in apertura, secondo cui il debitore risponde delle obbligazioni con tutti i suoi beni; quella secondo cui la proprietà, alla luce della definizione datane dall'art. 832 c.c., si manifesta nel potere di godere e disporre in modo pieno ed esclusivo (si vedano, a questo riguardo, le serrate critiche di Gazzoni, 11). Secondo altri, nel trust vi è un unico diritto reale spettante al trustee, mentre il beneficiario non ha un diritto reale sulla trust property, bensì un diritto obbligatorio, personale, nei confronti del trustee, il quale è tenuto nei suoi confronti allo svolgimento delle attività dirette alla realizzazione dell'equitable interest. In tal senso viene richiamata la giurisprudenza della Corte di giustizia secondo cui l'unico diritto reale individuabile nel trust è per l'appunto quello del trustee mentre non vi è un diritto reale del beneficiario sulla trust property (Corte giust. CE 17 maggio 1994, causa C-294/92, in Trust, 2004, 112). È stato così affermato che la caratteristica del trust sta nell'obbligazione fiduciaria gravante sul trustee, di guisa che il diritto del beneficiario «non tocca il contenuto del diritto, ma ne limita l'esercizio o ne vincola la finale destinazione» (Lupoi, 1992, 966), tant'è — si osserva — che il trust inglese non necessariamente comporta il finale effetto dell'acquisto della proprietà in capo al beneficiario, attesa la previsione di trust nei quali spetta al beneficiario esclusivamente il conseguimento di una rendita ed altresì di trust — c.d. charitable trust — nei quali addirittura manca la figura del beneficiario (v. in tal senso già Palazzo, 1998, 770; Santoro, 976). La giurisprudenza, per parte sua, affronta il problema dell'ingresso del trust nell'ordinamento interno valorizzando la ratifica della Convenzione dell'Aja alla quale già si è fatto riferimento. Viene osservato, in breve, che il trust è ormai un istituto indirettamente recepito del nostro ordinamento e pertanto non occorre, al fine di stabilirne la validità, vagliarne la meritevolezza, caso per caso, così come impone, per i contratti atipici, l'art. 1322 c.c.. Il trust, difatti, è un istituto di per sé meritevole di tutela in quanto la valutazione di tale meritevolezza è stata compiuta dal legislatore con la l. n. 364/1989 di ratifica della Convenzione sulla legge applicabile ai trust e sul loro riconoscimento adottata all'Aja il 1° luglio 1985: sicché non è più necessario il giudizio di meritevolezza caso per caso da parte del giudice (Cass. n. 9637/2018). Resta nondimeno fermo che l'Italia non ha una legge volta a disciplinare il trust, tale non potendo essere considerata la l. n. 112/2016, nota come legge del «dopo di noi», che si è limitata a fissare un regime fiscale di favore al fine di promuovere la stipula del cosiddetto «trust di protezione» a beneficio delle persone con disabilità grave. Il trust mantiene dunque i caratteri del negozio atipico, e, in quanto espressione di autonomia negoziale, pur dopo la ratifica della Convenzione dell'Aja, che ha impegnato l'Italia a riconoscere nel proprio ordinamento gli effetti dei trust stipulati in conformità alla Convenzione stessa, va scrutinato sotto il profilo della causa concreta. Oltre ad essere riconosciuti i trusts istituiti all'estero, si è per questa via giunti ad ammetterne l'istituzione in Italia del cosiddetto «trust interno», quantunque l'elemento di estraneità sia dato solo dalla legge regolatrice scelta dalle parti, ma il negozio coinvolga soggetti (disponente, trustee e beneficiari) residenti in Italia ed abbia a oggetto beni situati in Italia. Il trust è così disciplinato dalla legge straniera richiamata nell'atto istitutivo, ma, in applicazione degli artt. 13, 15, 16 e 18 della Convenzione, è sempre possibile per il giudice italiano effettuare la verifica di compatibilità con l'ordinamento interno, in particolare nelle materie relative alla protezione dei minori e degli incapaci, agli effetti personali e patrimoniali del matrimonio, alla successione ereditaria, al trasferimento di proprietà e alle garanzie reali, alla protezione dei creditori in casi di insolvibilità, alla protezione dei terzi di buona fede. I tratti caratterizzanti il trust vanno ricercati nell'art. 2 della Convenzione, secondo cui per trust si intende il negozio posto in essere da un soggetto, il costituente (o settlor), mediante atto tra vivi o mortis causa, attraverso il quale taluni beni vengono posti sotto il controllo di un trustee nell'interesse di un beneficiario o per un fine specifico. Con il trust, in altre parole, il disponente trasferisce in proprietà ed affida a un altro soggetto di sua fiducia uno o più beni, affinché quest'ultimo ne assuma il controllo e li gestisca nel rispetto delle finalità stabilite all'atto di costituzione e nell'interesse dei beneficiari. Generalmente il programma negoziale è realizzato mediante un primo atto, di natura programmatica e unilaterale, al quale seguono uno o più negozi traslativi, volti al trasferimento dei beni al trustee. Per i fini della realizzazione dello scopo cui il trust tende, è previsto che esso produca il rilevante effetto della c.d. segregazione, ovvero la separazione dei beni conferiti nel trust dal restante patrimonio del trustee, il quale a sua volta non gode di tutte le prerogative proprietarie, non potendo fare suoi i frutti, né godere dei beni stessi ma è tenuto solo a utilizzarli e gestirli nell'interesse dei beneficiari. In tal senso va letto l'art. 2 della Convenzione, in cui si dice che: «Il trust è caratterizzato dai seguenti elementi: a) i beni in trust costituiscono una massa distinta e non sono parte del patrimonio del trustee; b) i beni in trust sono intestati al trustee o ad un'altra persona per conto del trustee; c) il trustee è investito del potere e onerato dell'obbligo, di cui deve rendere conto, di amministrare, gestire o disporre dei beni in conformità alle disposizioni del trust e secondo le norme imposte dalla legge al trustee». Il detto effetto segregativo può essere dunque riguardato da un duplice versante: per un verso esso si produce nei confronti del disponente, dal momento che egli perde la proprietà dei beni che vengono conferiti nel trust, in forza degli atti di disposizione posti in essere in esecuzione dell'atto costitutivo; per altro verso si verifica con riguardo al patrimonio personale del trustee, giacché i beni conferiti nel trust non si confondono nel patrimonio del trustee. Ciò non esclude, come di seguito si vedrà, che la giurisprudenza riponga particolare cautela nel misurarsi con i problemi del trust, spesso considerato quale strumento suscettibile di impiego per finalità elusive dei diritti dei creditori. Trust e negozio fiduciarioSecondo alcuni la figura che in civil law si avvicina maggiormente al trust è il negozio fiduciario (Castronovo, Trust e diritto civile italiano, 1335; Gambaro, Il diritto di proprietà, 1995, 632; Gazzoni, In Italia tutto è permesso, 1254): e si è difatti già accennato che il vocabolo trust può tradursi alla lettera nel nostro «fiducia». In particolare «il trust trova il suo elemento di analogia rispetto al negozio fiduciario nella causa fiduciae» (Castronovo, Trust e diritto civile italiano, 1336), con la conseguenza che «il riconoscimento di quest'ultima come causa traslativa serve a dare corso, per questo profilo, anche al trust» (op. loc. cit.). Occorre nondimeno sottolineare che la causa fiduciaria negli ordinamenti di civil law costituisce il fondamento di effetti profondamente diversi, sotto numerosi aspetti, da quelli del trust (Castronovo; Gazzoni; Gambaro, 635). Anzitutto nel negozio fiduciario l'attribuzione proprietaria a favore del fiduciario è piena, e i limiti derivanti dal pactum fiduciae si traducono in semplici obblighi a carico dello stesso riguardo all'uso e alla disposizione dei beni trasferitigli (Carnevali, 4; Galgano, 518 s.; Roppo, 686). Da ciò discende che la posizione giuridica del fiduciante e del beneficiario è tutelata solo sul piano obbligatorio e non erga omnes (Galgano, 524; Di Majo, 97), sicché, se il fiduciario cede il bene ad un terzo, in violazione del patto, il trasferimento è valido ed il patto non è opponibile al terzo, neppure se a lui noto. Viceversa, nel trust il beneficiario è ab origine investito di una attribuzione che conferisce al medesimo, secondo quanto già osservato, un diritto di sequela (tracing) che, come si è visto in precedenza, gli consente di recuperare il bene dal terzo che lo abbia acquistato dal trustee infedele e che (se in mala fede) è tenuto a rilasciarlo al beneficiario stesso (Castronovo, Trust e diritto civile italiano, 1337; Gambaro, 1995, 648). Il trust si caratterizza inoltre per l'effetto c.d. segregativo, ossia per la separazione dei beni del trust rispetto al patrimonio del trustee. I beni trasferiti con il negozio costitutivo di trust formano un patrimonio separato rispetto a quello del trustee e non possono essere aggrediti dai suoi creditori (Gambaro, 1995, 649). Tutto ciò non accade nel negozio fiduciario, giacché nessuna norma di legge — fatto salvo il discorso sull'art. 2645-ter c.c., di cui si parlerà più avanti — prevede nel nostro ordinamento una articolazione del patrimonio del fiduciario, né una limitazione di responsabilità potrebbe essere disposta dalle parti nell'esercizio della loro autonomia privata (Gazzoni, 1251; Castronovo, Il trust e «sostiene Lupoi», 449) attesa la natura imperativa dell'art. 2740, comma 2, c.c. Trust e altre figure aventi tratti comuniCon la riforma del diritto societario, contenuta nel d.lgs. n. 6/2003, è stato introdotto nell'ordinamento, con gli artt. dal 2447-bis al 2447-decies c.c., l'istituto dei «patrimoni destinati ad uno specifico affare». Con l'espressione «patrimoni destinati» (Messineo, 386), ci si riferisce all'esistenza di un vincolo di destinazione, di scopo, che si innesta su un congegno di separazione di una massa di beni rispetto al restante patrimoniodel soggetto. Si parla in particolare di patrimonio separato, o destinato che dir si voglia — è stato affermato — «ad indicare il distacco di una massa patrimoniale da un patrimonio o da diversi patrimoni «di provenienza», in modo da dar luogo ad un'unità particolare avente una propria destinazione (da qui, anche la qualificazione in termini di patrimonio di destinazione) ed una sorte giuridica più o meno indipendente e strettamente connessa con tale destinazione. Caratteristiche di tali entità unitarie dovrebbero essere la non distraibilità dei singoli elementi dalla destinazione che li unifica e la loro sottoposizione a speciali misure di conservazione e di amministrazione, nonché la concentrazione su di esse della garanzia, in forma più o meno esclusiva, e perciò della responsabilità per le obbligazioni trovanti la loro causa nella destinazione suddetta» (Bigliazzi Geri, 280). L'espressione «patrimonio separato» descrive allora una massa di beni distinti dal restante patrimonio facente capo ad un soggetto, in quanto caratterizzati dal vincolo di destinazione ad un determinato scopo, con l'effetto caratteristico di stabilire un doppio ordine di limiti, l'uno concernente il potere di disposizione del titolare, l'altro tale da determinare una contrazione dell'ambito della responsabilità patrimoniale del soggetto (Messinetti, 103). La riforma del diritto societario (d.lgs. n. 6/2003), nell'introdurre la disciplina dei «patrimoni destinati», costituisce espressione dei principi contenuti nell'art. 4, comma 4, l. n. 366/2001, con la quale il legislatore delegante disponeva, alla lett. b) di «consentire che la società costituisca patrimoni dedicati ad uno specifico affare, determinandone condizioni, limiti e modalità di rendicontazione, con la possibilità di emettere strumenti finanziari di partecipazione ad esso; prevedere adeguate forme di pubblicità; disciplinare il regime di responsabilità per le obbligazioni riguardanti detti patrimoni e la relativa insolvenza». In applicazione di detta disposizione è stata introdotta la sezione di cui si è detto in apertura di paragrafo, dedicata ai patrimoni separati delle società per azioni destinati ad uno specifico affare. Si tratta di una disciplina di carattere generale, dedicata a tutte le società per azioni, con la quale si è inteso impiegare il congegno della separazione patrimoniale in un'ottica promozionale e produttivistica (Niutta, 102). La disciplina dei patrimoni separati, cioè, risponde all'esigenza di dotare le società per azioni di strumenti di limitazione di responsabilità nello svolgimento di uno specifico affare, senza che occorra costituire una specifica società, e così, in definitiva, di incrementare l'attitudine produttiva della società (Angeloni, 36). La costituzione di un patrimonio destinato, come evidenzia la Relazione governativa al d.lgs. n. 6/2003, permette la separazione giuridica di una parte del patrimonio dall'intero patrimonio sociale. La finalità principale dell'introduzione delle menzionate norme è consistita in altri termini nell'offrire all'imprenditore uno strumento alternativo alla società unipersonale e analogo al trust, grazie al quale sia possibile realizzare l'obiettivo della separazione patrimoniale, individuando una categoria di beni o di rapporti da conferire ad una determinata attività, lasciando nel contempo la piena titolarità degli stessi alla società conferente. La separazione patrimoniale realizzata dall'art. 2447-bis si connota per un peculiare congegno di imputazione della responsabilità, giacché la separazione avviene sul piano reale con l'individuazione dei beni destinati allo specifico affare e produce in tal senso effetti sotto il profilo dell'organizzazione patrimoniale (Giannelli, 1215). L'analogia con il trust di scopo è determinata dalla correlazione ad uno specifico affare, la cui individuazione assume la funzione di criterio di valutazione della consistenza del patrimonio ad esso destinato. Una certa analogia è poi riscontrabile tra il trust ed il fondo patrimoniale, entrambi caratterizzati dall'esistenza di un patrimonio destinato ad uno scopo, con correlata separazione di detto patrimonio dal residuo del titolare. Inoltre, similmente a quanto avviene nel fondo patrimoniale, nel trust vi è un vincolo di destinazione ad una specifica finalità. Nel fondo patrimoniale si tratta di «bisogni della famiglia», mentre per il trust si ha riguardo ad una finalità non altrettanto utilizzata. Va peraltro rilevato, come si avrà modo di ripetere più avanti con le dovute precisazioni, che il trust ed il fondo patrimoniale si distinguono sotto diversi profili, quali quello dei soggetti che possono istituirli, quello dei beni vincolabili, quello delle regole dell'amministrazione dei beni, quello della portata del vincolo di impignorabilità che si viene a creare sui beni. Per di più nel fondo patrimoniale la veste di beneficiari compete ai componenti della famiglia nucleare, i quali peraltro godono di una semplice aspettativa di fatto ai proventi del fondo e alla destinazione finale dei beni, mentre nel trust i beneficiari possono essere anche persone diverse, estranee alla ristretta cerchia della famiglia nucleare. Anche nella fondazione, come nel trust, vi è un patrimonio destinato ad uno scopo, sicché una qualche sintonia può essere individuata tra le due figure, in particolare nell'ipotesi di charitable trust. Sia nel trust che nella fondazione vi è dunque un patrimonio vincolato ad uno scopo, che non si confonde con il patrimonio di chi li amministra. Tuttavia, la fondazione possiede il requisito della soggettività giuridica, che manca al trust. Il trustee è considerato proprietario dei beni, mentre tale non è l'amministratore della fondazione. Il trust e il contratto a favore di terzo possono essere tra loro accomunati in considerazione del fatto che, in entrambi gli istituti, assume rilievo la destinazione dell'attribuzione patrimoniale a vantaggio del beneficiario, nell'un caso, e del terzo, nell'altro. In particolare, l'effetto traslativo che si produce nel trust presenta qualche analogia con il contratto a favore di terzo con effetti reali. La comparazione tra i due istituti si arresta però ove si consideri la diversa natura dello schema negoziale, giacché il contratto a favore di terzi è per l'appunto un contratto, a differenza del trust, fonte di rapporti obbligatori il cui adempimento è condizionato alla condotta del terzo, che di essa voglia profittare, ex art. 1411 c.c. Un raffronto, sia pure alla lontana, può essere effettuato tra il trust ed il patto di famiglia disciplinato dagli artt. 768-bis ss. c.c. Quest'ultimo istituto è stato introdotto all'interno codice civile dalla l. n. 55/2006, che ha inserito sette nuovi articoli (da artt. 768-bis a 768-octies c.c.) dopo l'art. 768. La ratio della disciplina è quella di favorire il passaggio generazionale dell'impresa o di talune partecipazioni societarie, attraverso il trasferimento in vita dall'imprenditore, o dal titolare delle partecipazioni, a uno o più discendenti, con preclusione di successive contestazioni in sede ereditaria. Il patto di famiglia, in particolare, è il contratto con cui l'imprenditore o il titolare di partecipazioni societarie trasferisce in tutto o in parte l'azienda o le partecipazioni in favore di uno o più discendenti. Trattasi di negozio a forma solenne (come ricavabile dall'art. 768-ter c.c.) e a struttura soggettiva complessa, poiché ad esso devono necessariamente partecipare, oltre all'imprenditore che dispone della propria azienda o delle partecipazioni sociali e ai discendenti assegnatari, anche i (futuri) legittimari esistenti al momento della stipulazione (art. 768-quater). Analoga finalità del passaggio generazionale dell'impresa si presta ad essere perseguita mediante l'impiego del trust, mediante il conferimento dell'azienda, ovvero della partecipazione societaria, nel trust found, con il conferimento alla persona prescelta della veste di trustee, di modo che questi divenga titolare dell'impresa, nell'interesse dei beneficiari, che possono essere individuati in tutti i membri della famiglia dell'imprenditore (Santoro, 99). Naturalmente, le differenze tra l'una e l'altra soluzione sono manifeste, giacché il patto di famiglia è un contratto formale, mentre il trust possiede le caratteristiche di cui si è già detto. Un cenno occorre infine fare alla sostituzione fedecommissaria, ossia alla disposizione testamentaria caratterizzata da una doppia istituzione, l'una in favore di un primo istituito, efficace fin dall'apertura della successione, l'altra in favore di un secondo istituito, efficace dal momento della morte del primo istituito. Il primo istituito, in caso di fedecommesso, non è libero di disporre del patrimonio relitto, ma deve conservarlo per restituirlo al secondo istituito. Si usa comunemente ripetere, perciò, che gli elementi costitutivi della figura sono tre: a) la doppia istituzione; b) l'ordo successivus; c) l'obbligo di conservare per restituire. Il connotato saliente della doppia istituzione sta in ciò, che il testamento contiene due disposizioni, le quali attribuiscono a distinti soggetti la proprietà dei medesimi beni. Né rileva che la doppia istituzione avvenga per titoli diversi. Difatti, «la duplice delazione sui medesimi beni o su parte di essi, può avvenire per lo stesso titolo od anche per un titolo diverso (ad esempio il primo viene chiamato alla successione come erede il secondo come legatario per un bene determinato), senza che venga meno il vincolo fidecommissorio» (Cass. n. 4016/1969). L'ordo successivus sta ad indicare che primo e secondo istituito non succedono l'uno all'altro, ma entrambi direttamente dal medesimo de cuius, sebbene in tempi diversi. Il punto caratterizzante del fedecommesso, però, è costituito dall'obbligo di conservare per restituire, obbligo che si caratterizza — ed in ciò risiede l'elemento di prossimità con il trust — come vero e proprio vincolo di indisponibilità reale sui beni oggetto della disposizione. Il rilievo attuale della sostituzione fedecommissaria, se paragonato a quello che l'istituto ha avuto nel passato, quale strumento di conservazione del patrimonio caduto in successione nell'ambito familiare, è assai modesto. Nel compiere un brevissimo riassunto della storia del fedecommesso, occorre dire che esso, nel codice civile del 1865, era stato oggetto di un fermo divieto, quale ostacolo alla libera circolazione dei beni, tale da favorire il proliferare di fenomeni considerati nocivi, quali la cosiddetta manomorta o il maggiorascato. Il codice civile vigente, nella formulazione anteriore alla l. n. 151/1975, pur mantenendo fermo il divieto, aveva ammesso il fedecommesso entro limiti circoscritti, in considerazione dell'esigenza di tutela del nucleo familiare e di potenziamento economico degli enti pubblici. Attualmente, la sostituzione fedecommissaria — persa la finalità di conservazione dell'integrità del patrimonio familiare — ha acquistato una funzione eminentemente assistenziale, essendo stata ammessa a favore di chi — sia esso una persona fisica o giuridica — abbia cura di un interdetto: ed anche in tale finalità protettiva può essere ravvisato un elemento di vicinanza con il trust, almeno in tal una delle sue declinazioni. In questo senso, l'art. 692 c.c., nella formulazione introdotta dall'art. 197 l. n. 151/1975, dispone che ciascuno dei genitori o degli altri ascendenti in linea retta o il coniuge dell'interdetto possono istituire rispettivamente il discendente o il coniuge, con l'obbligo di conservare e restituire alla sua morte i beni anche costituenti la legittima, a favore della persona o degli enti che, sotto la vigilanza del tutore, hanno avuto cura dell'interdetto medesimo. Analoga — con proprie cautele — è la disciplina della sostituzione fedecommissaria del minore del quale possa presumersi che sarà interdetto. In ogni altro caso — conclude perentoriamente l'art. 692 c.c. — la sostituzione è nulla. La previsione della nullità della sostituzione fedecommissaria pone il problema della sua distinzione da alcune disposizioni testamentarie condizionate, capaci di realizzare effetti affini a quelli del fedecommesso. La Corte di cassazione, in generale, ha sull'argomento osservato: «È da ritenere fedecommesso, vietato dall'art 699 c.c. 1865 ed anche, attualmente, nei limiti di cui all'art. 692 c.c., quella disposizione testamentaria comunque articolata che conferisca secondo un ordine successivo determinati beni ad un istituto per la durata della sua vita ed i medesimi beni ad un altro soggetto (sostituito) dopo la morte del primo, con l'effetto di far gravare sulla situazione giuridica del primo un vincolo reale a favore del secondo. Figure affini al fedecommesso, del quale possono o meno avere la struttura e la funzione secondo una varia configurabilità della disposizione in sede di interpretazione della volontà del de cuius e rispetto al quale possono assumere la natura di clausole negoziali in frode alla legge per quanto concerne l'elusione della nullità della sostituzione fedecommissaria, sono comunemente ritenute la condizione si sine liberis decesserit heres, la sostituzione de residuo o de eo quod supererit, l'istituzione separata nell'usufrutto e nella nuda proprietà. La disposizione con la quale il de cuius lascia a persone diverse rispettivamente l'usufrutto e la nuda proprietà di uno stesso bene non integra gli estremi della sostituzione fedecommissaria quando: a) le disposizioni siano dirette e simultanee e non in ordine successivo, b) i chiamati non succedono l'uno all'altro, ma direttamente al testatore, c) la consolidazione tra usufrutto e nuda proprietà costituisca un effetto non della successione, ma della vis espansiva della proprietà» (Cass. n. 2632/1974). Per individuare l'ambito dei poteri e degli obblighi attribuiti dalla legge all'istituito occorre muovere dalla constatazione che il complesso dei beni ereditari oggetto della sostituzione fedecommissaria si atteggia, rispetto ai beni personali del medesimo, quale patrimonio separato. Ciò — osserva la dottrina — si desume dall'art. 695 c.c., che, nel permettere ai creditori dell'istituito di soddisfarsi sui soli frutti dei beni ereditari, lascia chiaramente intendere che, tra i due patrimoni — quello ereditario e quello personale dell'istituito —, non si verifica confusione (Jannuzzi, 605). Il che, evidentemente, è connaturato alla finalità propria della sostituzione fedecommissaria, la quale, altrimenti, non potrebbe garantire la conservazione del patrimonio relitto ai fini della sua consegna al secondo istituito. Nondimeno, l'esigenza della separazione sorge proprio dal fatto che l'uno e l'altro patrimonio — quello personale e quello ereditario — appartengono entrambi all'istituito, il quale, perciò, è titolare, seppur con le cautele previste dalla legge al fine di evitare la dispersione dei beni, dei poteri di amministrazione e disposizione del compendio ereditario. In questo quadro, l'art. 693 c.c. stabilisce che l'istituito ha il godimento e la libera amministrazione dei beni che formano oggetto della sostituzione, e può stare in giudizio per tutte le azioni relative ai beni medesimi, come attore e come convenuto. Ed inoltre, egli può compiere tutte le innovazioni dirette ad una migliore utilizzazione dei beni. Tuttavia — prosegue l'art. 693 c.c. — all'istituito sono comuni, in quanto applicabili, le norme concernenti l'usufruttuario. L'istituito, dunque, ai sensi del combinato disposto degli artt. 693 e 1002 c.c., deve prendere possesso dei beni e redigere l'inventario. Per quanto attiene al potere di disposizione, occorre fare riferimento alla disciplina dettata dall'art. 694 c.c., che si giustifica in considerazione del vincolo imposto ai beni oggetto della sostituzione fedecommissaria, i quali vanno conservati per essere restituiti al secondo istituito. Il potere di disposizione dell'istituito, dunque, è limitato al compimento degli atti di utilità evidente. E, naturalmente, devono reputarsi a maggior ragione consentiti gli atti determinati da ragioni di necessità, sia essa correlata al patrimonio in sé considerato, ovvero ai bisogni personali dell'istituito (Lorefice, 125). Prosegue l'art. 694 c.c. stabilendo che all'istituito può anche essere consentita, con le necessarie cautele, la costituzione di ipoteche sui beni medesimi a garanzia dei crediti destinati a miglioramenti e trasformazioni fondiarie. Ciò detto, le differenze rispetto al trust sono evidenti: al trust può ricorrere chiunque, mentre solo i soggetti indicati nell'art. 692 c.c. possono ricorrere al fedecommesso; si tratta inoltre di una misura che sottrae definitivamente i beni alla famiglia, poiché il patrimonio affidato in gestione è obbligatoriamente destinato alla persona o agli enti che hanno avuto cura del disabile ma, soprattutto, è applicabile alle sole ipotesi nelle quali vi sia stata una pronuncia di interdizione. Tenuto conto che in seguito alla riforma relativa all'amministrazione di sostegno, la pronuncia di interdizione ha rilevanza residuale, la stessa sorte non potrà che investire anche la diversa figura disciplinata ex art. 692 c.c., che aveva, comunque, già avuto scarsissima applicazione: in tal senso Lupoi, 2004, 335, secondo cui pure: «Trust in favore di soggetti deboli e fedecommesso assistenziale sono, quindi, strutture giuridiche profondamente diverse sebbene facciano riferimento a realtà personali e sociali in gran parte coincidenti». Degli atti di destinazione di cui all'art. 2645-ter c.c. si parlerà più avanti. Il trust autodichiaratoSi discorre di trust autodichiarato con riguardo al caso in cui manchi la normale situazione di alterità tra disponente e trustee, con il conseguente trasferimento di beni dall'uno all'altro: nel trust autodichiarato, cioè, il disponente affida a se stesso l'incarico di trustee di beni che già gli appartengono, in tal modo apponendo sugli stessi il vincolo di destinazione proprio del trust. Nel caso del trust autodichiarato manca il trasferimento di beni dal disponente al trustee, poiché, appunto, il ruolo di trustee è assunto dallo stesso disponente. Dichiarandosi trustee di se stesso, il disponente persegue lo scopo di isolare, all'interno del suo complessivo patrimonio, una parte di beni costituiti in trust, beni che non sarebbero pignorabili dai suoi creditori, eccezion fatta per quei creditori che abbiano maturato le loro ragioni di credito in dipendenza della gestione del trust. È evidente, in simile caso, la labilità del confine con situazioni simulate o fraudolente: nondimeno, l'ammissibilità del trust autodichiarato, che è indiscussa in ambient di common law (Mowbray, Tucker, Le Poidevin, Simpson, Brightwell, Lewin, 39: «The first method of creating a trust is for the settlor to declare himself to be a trustee of property of his. If property is in his own name, he simply makes a declaration»), è riconosciuta con riguardo all'ordinamento interno non soltanto dalla dottrina (Bartoli, 2005, 355), ma anche da una parte della giurisprudenza. Ci si interroga, in proposito, se il trust autodichiarato debba ricomprendersi nell'art. 2 della Convenzione. Il problema — è stato detto, sarebbe «mal posto: non si tratta di decidere se la Convenzione riguarda anche le dichiarazioni unilaterali di trust ... quanto se l'applicazione della legge straniera disciplinante una dichiarazione di trust trovi ostacolo nel nostro ordinamento a prescindere dalla Convenzione ... le leggi straniere regolatrici di una dichiarazione di trust possono trovare applicazione in Italia anche a prescindere dalla Convenzione ... L'alterità non ha ragione di essere perché il trustee assume obbligazioni non verso il disponente, ma unicamente verso i beneficiari o lo scopo del trust: una situazione, questa, che si rinviene anche nel trust autodichiarato» (Lupoi, 2004, 259). Rilievo, nella materia, riveste inoltre l'introduzione dell'art. 2645- terc.c.. Prima di detta norma, sulla quale si tornerà più avanti, numerose perplessità erano sorte circa la possibilità di creare, tramite un vincolo di destinazione derivante da atto unilaterale, una segregazione patrimoniale svincolata da effetti traslativi e finalizzata al perseguimento di scopi atipici (v. in generale per l'inquadramento dell'art. 2645-ter quale norma sugli effetti, ovvero, al contrario, quale norma sugli atti, e sulla non necessaria correlazione tra vincolo di destinazione e effetto traslativo, v. Sciarra, 1251). Successivamente all'entrata in vigore della norma, le opinioni contrarie all'ammissibilità di simili vincoli — come meglio si vedrà più avanti — si sono modificate, anche alla luce della tendenza a considerare il dettato legislativo, nonostante la sua collocazione all'interno del codice, quale norma sugli atti (e non meramente norma sugli effetti) e, dunque, quale definitiva consacrazione, sotto il profilo di astratta ammissibilità, dell'atto destinatorio unilaterale nominato e finalizzato al perseguimento di scopi atipici. Tuttavia, anche a seguito dell'introduzione della citata norma, non è mancato chi, in giurisprudenza, ha inteso mantenere ferma la soluzione restrittiva. È stato così recisamente escluso che l'imposizione di un vincolo di destinazione ai sensi dell'art. 2645-ter c.c. si sostanzi in una nuova tipologia negoziale traslativa, caratterizzata da una causa esclusivamente destinatoria: deve invece ritenersi che la nuova norma introduca nell'ordinamento solo un particolare tipo di effetto negoziale, quello di destinazione, accessorio rispetto agli altri effetti di un negozio tipico o atipico cui si accompagna (Trib. Trieste 7 aprile 2006, in Riv. not., 2007, 2, 367). Sulla scia di tale decisione si colloca una più recente pronuncia (Trib. Reggio Emilia 27 gennaio 2014) la quale osserva che è aperto — in dottrina e in giurisprudenza — il dibattito sulla portata dell'art. 2645-ter c.c. e, in particolare, sull'ammissibilità del «negozio di destinazione puro» (la cui causa è insita nella «volontà destinatoria» del costituente sorretta da meritevolezza), sulla possibilità di strutturare il negozio come atto unilaterale, sulla effettiva meritevolezza degli interessi perseguiti (la norma richiama l'evanescente formulazione dell'art. 1322 c.c.), sulle modalità di trascrizione del vincolo, sulla sua modificabilità/revocabilità da parte del costituente. Riguardo a tale questione — cioè, l'ammissibilità del «negozio di destinazione puro» — ha ritenuto il tribunale di aderire alla giurisprudenza pronunciatasi sul vincolo di destinazione, secondo la quale l'art. 2645-ter c.c. è norma «sugli effetti» e non «sugli atti» (oltre al citato Trib. Trieste, Trib. Reggio Emilia 23 marzo 2007, Trib. Reggio Emilia 22 giugno 2012, Trib. Reggio Emilia 26 novembre 2012, e Trib. Santa Maria Capua Vetere 28 novembre 2013). Dalla collocazione della disposizione tra le norme sulla pubblicità (in una parte del codice civile non attinente al diritto sostanziale, i.e. contratti e obbligazioni) si desume che il legislatore del 2006 non ha inteso coniare una nuova tipologia negoziale, da battezzare come «atto di destinazione». Manca, infatti, qualsiasi elemento per individuare la struttura di un negozio, la sua natura, la sua causa, i suoi effetti. Secondo il tribunale, pare, piuttosto, che la norma consenta di rendere opponibile erga omnes l'effetto «di destinazione», in forza del quale insorge a vantaggio del beneficiario un diritto di credito (personale e non in re) a che il bene trasferito e i suoi frutti siano conservati alla destinazione impressa, diritto pienamente opponibile ai terzi che abbiano trascritto il proprio atto di acquisto del cespite «destinato» successivamente alla trascrizione del vincolo di destinazione. Tuttavia, si ritiene che il predetto effetto debba necessariamente rientrare nel contenuto (eventuale) di un negozio — tipico o atipico — dotato di autonoma causa: in altri termini, «la citata disposizione riguarda esclusivamente gli effetti, complementari rispetto a quelli traslativi ed obbligatori, delle singole figure negoziali a cui accede il vincolo di destinazione e non consente la configurazione di un “negozio destinatorio puro”, cioè di una nuova figura negoziale atipica imperniata sulla causa destinatoria» (così Trib. Reggio Emilia 22 giugno 2012, in Trusts e attività fiduciarie, 2013, 57). Ulteriori elementi che confermano la lettura sinora fornita dalla giurisprudenza si rinvengono secondo lo stesso tribunale nell'esplicitata ratio legis e nella previsione della forma solenne: scopo espresso della disposizione è «rendere opponibile ai terzi il vincolo di destinazione» (nel testo, pur farraginoso, è espressa la finalizzazione della trascrizione: «al fine di rendere opponibile ...»); individuare nell'art. 2645-ter c.c. il supporto normativo del «negozio di destinazione» pare in contrasto, dunque, con la stessa lettera della legge e con la sua ratio; la previsione della particolare forma dell'atto pubblico, poi, è evidentemente destinata a incidere sulla sola trascrizione e in alcun modo potrebbe considerarsi inficiato da nullità il negozio relativo a beni mobili che sia adottato in qualsiasi (diversa) forma; se, invece, si postula l'introduzione del «negozio destinatorio» ex art. 2645-ter c.c., la violazione della forma imposta da tale disposizione dovrebbe comunque condurre a nullità l'intero atto traslativo (e non la sola formalità pubblicitaria), anche se avente ad oggetto mobili. L'opposto orientamento (sostenuto da una parte della dottrina, prevalentemente notarile) ritiene, al contrario, che la «causa destinatoria meritevole di tutela» — desumibile (in tesi) dall'art. 2645-ter c.c. — possa fondare l'atto costitutivo di un vincolo di destinazione «autonomo», non necessariamente collegato ad altra fattispecie negoziale (tipica o atipica). Oltre a quanto sopra esposto in contrasto con siffatta interpretazione, si rileva che la norma così letta sarebbe «eversiva» rispetto alla regola sancita dall'art. 2740 comma 1, c.c., poiché — ammettendo la generalizzata possibilità di costituire autonome masse separate in forza della sola autonomia negoziale (è piuttosto debole l'argine della meritevolezza degli interessi) — sarebbe scardinato il rapporto tra eccezione e regola generale ex art. 2740 c.c. Ha aggiunto il tribunale che, in ogni caso — anche a voler ipoteticamente ammettere l'esistenza di un «negozio destinatorio puro» — occorrerebbe comunque interrogarsi sulla sussistenza, in concreto, di interessi meritevoli di tutela e sulla loro esplicitazione nell'atto pubblico di costituzione del vincolo: l'esclusiva forma prescelta dal legislatore impone al notaio rogante, tra l'altro, di esplicitare nell'atto stesso l'interesse meritevole di tutela sul quale si impernia la causa; se — come si è affermato — la causa destinationis finalizzata alla soddisfazione di esigenze meritevoli sorregge, da sola, l'imposizione del vincolo, non è plausibile che la stessa debba essere ricercata aliunde, ricostruendo l'interesse del conferente tramite altre fonti. Nel caso di specie, l'interesse meritevole di tutela consiste(rebbe) nel «facilitare l'accettazione della procedura da parte dei creditori di V. s.r.l.», interesse certamente riferibile alla società proponente, ma non alla conferente S.B. I., il cui interesse a fornire l'apporto è laconicamente individuato nel fatto «che la titolarità di detta società coincide con quella della società V. s.r.l.». Non ha dunque ritenuto il tribunale di condividere il diverso orientamento secondo cui: «La trascrizione del vincolo di destinazione ex art. 2645-ter c.c. eseguita a favore dei creditori di un imprenditore in crisi non è opponibile ai creditori iscritti successivi, in quanto gli interessi meritevoli di tutela ex art. 2645-ter c.c. attengono rigorosamente alla sfera della solidarietà sociale e, diversamente opinando, si consentirebbe ad un atto di autonomia privata di incidere sul regime legale inderogabile della responsabilità patrimoniale. Pertanto, già in sede di ammissione alla procedura di concordato preventivo, va negata la fattibilità del piano che prefiguri l'acquisizione delle necessarie risorse finanziarie sulla base della menzionata opponibilità» (Trib. Vicenza 31 marzo 2011). Difatti, secondo Trib. Reggio Emilia 27 gennaio 2014, è chiaro nel testo che gli interessi meritevoli di tutela che astrattamente giustificano il vincolo di destinazione devono essere «riferibili a persone con disabilità, a pubbliche amministrazioni, o ad altri enti o persone fisiche»; gli interessi de quibus, dunque, sono ascrivibili ad «altri enti o persone fisiche», sicché la disposizione non può considerarsi delimitata, nella sua portata applicativa, da quei profili di solidarietà sociale che involge il riferimento «a persone con disabilità». La generalità dei creditori di un imprenditore in stato di crisi è un insieme di persone fisiche, enti, persone giuridiche e il dato letterale non avalla una lettura così restrittiva come quella sopra esposta. Per l'invalidità del trust autodichiarato, si trova in epoca ormai trascorsa affermato che è inammissibile — e non è suscettibile di trascrizione — il trust c.d. interno autodichiarato, nel quale disponente e trustee siano la stessa persona, in quanto fattispecie atipica di una fattispecie a sua volta atipica (Trib. Napoli 21 ottobre 2003, in Giur. nap., 2004, 471). Anche in tempi recenti è stato però ribadito — in un caso, tuttavia, nel quale andavano a confluire nella stessa persona fisica le tre figure principali del trust, ivi compresa quella del beneficiario e non dunque, sono le figure del disponente e del trustee — che il trust autodichiarato in cui le figure del disponente, del trustee e del beneficiario coincidono è radicalmente nullo. La finalità di assicurare al disponente il soddisfacimento dei suoi bisogni ed esigenze familiari così da garantirgli il mantenimento dell'attuale tenore di vita, la cura e assistenza, personale e medica, non è meritevole di tutela (Trib. Savona 27 febbraio 2018, in Trusts e attività fiduciarie, 2018, 637). In detta pronuncia viene richiamata l'autorità di Cass. n. 12718/2017, la quale ha affermato che il trust, che non è un soggetto giuridico dotato di una propria personalità, postula, in capo al trustee, una proprietà limitata nel suo esercizio in funzione della realizzazione del programma stabilito dal disponente nell'atto istitutivo a vantaggio del o dei beneficiari, sicché i tre centri di imputazione (disponente, trustee e beneficiario) non possono coincidere. In caso contrario, il trust è affetto da nullità rilevabile di ufficio, in nessun modo differendo la proprietà del trustee da quella piena, per violazione dell'art. 2 della Convenzione dell'Aja. Secondo lo stesso tribunale, inoltre, l'atto dispositivo in parola persegue interessi certamente non meritevoli di tutela, ciò integrando l'ulteriore motivo di nullità di cui all'art. 1322 comma 2 c.c. in relazione all'art. 1418 comma 2 c.c. La finalità dichiarata dell'atto è infatti quella di assicurare al disponente «il soddisfacimento dei propri bisogni ed esigenze familiari al fine di assicurarsi il mantenimento dell'attuale tenore di vita, la cura e assistenza, personale e medica» (art. 2). Trattasi — osserva il giudice — di uno scopo del tutto egoistico (tra l'altro formulato in termini assai generici) che non tiene conto del fatto che attraverso il negozio di destinazione i creditori vedono sottratte determinate poste del patrimonio alla loro generale garanzia. Tale vulnus, che opera sul piano oggettivo nel senso che prescinde dalla consapevolezza che il creditore abbia della inerenza del suo titolo al fine di destinazione, è giustificabile solo dove ricorra un interesse specialmente qualificato. Viene sottolineato che gli interessi idonei a sorreggere una vicenda destinatoria ex art. 2645-ter c.c. ed il conseguente effetto di separazione patrimoniale sono solo quelli godono di una particolare protezione legislativa (se non costituzionale), gli unici che possono giustificare la compressione dell'interesse del ceto creditorio. Tale interpretazione è confortata dalla stessa lettera dell'art. 2645-ter c.c. che espressamente fa riferimento a speciali categorie di persone svantaggiate rispetto alla generalità (es. vi si legge un riferimento alle «persone con disabilità»). Altri interessi possono essere enucleati purché non meramente egoistici e dotati di una adeguata copertura normativa. Nel caso considerato, tuttavia, il tribunale esclude la sussistenza di un interesse meritevole di tutela, dal momento che «l'unico scopo che traspare dall'atto è il fine di assicurare il mantenimento del personale tenore di vita, finalità che però non può essere opposta ai creditori non avendo essa dignità superiore rispetto a quella di questi ultimi di vedere soddisfatto il proprio diritto di credito (e di conservare anch'essi il proprio personale tenore di vita)». In effetti, nella giurisprudenza di merito è presente un orientamento secondo cui la coincidenza soggettiva tra disponente, trustee e beneficiario è causa di nullità del trust (App. Milano 7 novembre 2017, in Trusts e attività fiduciarie, 2018, 295, che si è occupato di un trust autodichiarato avente quale beneficiario principale il disponente e quale beneficiario del residuo un ente del terzo settore e ha ritenuto che esso perseguisse l'illecito scopo di mantenere in capo al disponente-trustee la piena disponibilità dei beni per sottrarli alle pretese dei creditori). Parimenti , Trib. Pavia 12 giugno 2014, in Trusts e attività fiduciarie, 2016, 56, ha ritenuto in frode ai creditori un trust familiare con la stessa caratterizzazione; Trib. Milano, 27 maggio 2013, in Trusts e attività fiduciarie, 2014, 46, ha incidenter tantum pronunciato la nullità di un trust familiare anch'esso connotato dall'unificazione delle tre figure in un unico soggetto; Trib. Milano 26 gennaio 2013, in Trusts e attività fiduciarie, 2013, 537, ha giudicato contrario all'ordine pubblico un trust autodichiarato che il socio unico di una S.r.l. posta in liquidazione aveva istituito sul patrimonio immobiliare di tale società e sui propri beni immobili, nominando se medesimo quale «beneficiario ultimo» e i creditori sociali quali beneficiari immediati. Nella stessa prospettiva è stato affermato che il trust autodichiarato è inidoneo a produrre un effetto di separazione patrimoniale opponibile ai creditori e va dunque rigettata l'opposizione all'esecuzione proposta dal debitore esecutato, disponente-trustee, volta a far accertare l'impignorabilità dei beni esecutati in quanto conferiti in trust (Trib. Roma 22 gennaio 2018, in Trusts e attività fiduciarie, 2018, 534). In linea generale, il tribunale capitolino ha premesso che il trust ha natura di patrimonio separato, destinato a un fine prestabilito, e non ha quindi personalità giuridica, e nemmeno soggettività giuridica. Infatti, l'art. 2 della Convenzione dell'Aja esclude qualsiasi entificazione del trust, definito come il vincolo impresso dal disponente a un insieme di rapporti giuridici, in forza del quale determinati beni o diritti vengono sottoposti al controllo di un trustee, al fine di beneficiare taluni soggetti ovvero al fine di perseguire un determinato scopo. Pertanto, l'unico soggetto di riferimento nei rapporti con i terzi è il trustee, il quale non agisce come legale rappresentante del trust, bensì come soggetto che dispone del diritto. Ne consegue che il pignoramento di beni immobili va eseguito nei confronti del trustee (Cass. n. 2043/2017), che gode di una proprietà limitata nel suo esercizio in funzione della realizzazione del programma stabilito dal disponente nell'atto istitutivo a vantaggio del o dei beneficiari (Cass. n. 12718/2017). Ciò detto, il giudice ha osservato che nel caso considerato si era in presenza di una c.d. «auto-destinazione» a carattere unilaterale: con l'atto pubblico istitutivo del trust, l'opponente, in veste di conferente, aveva costituito un vincolo su una serie di beni immobili in sua titolarità al fine di garantire la sicurezza economica e la migliore qualità di vita dei figli minori. Secondo il tribunale, dunque, la destinazione dei beni al perseguimento della finalità meritevole di tutela ha avuto luogo (non già attraverso il trasferimento a terzi e la contestuale istituzione del vincolo di destinazione, bensì) attraverso la separazione patrimoniale operata dallo stesso titolare dei beni: il soggetto conferente (peraltro, unico soggetto costituito al momento della stipula dell'atto) ha conservato la piena titolarità dei beni, i quali sono stati tuttavia vincolati al perseguimento della finalità indicata mercé la creazione di una sorta di patrimonio separato. Il giudice ha quindi ritenuto di dover verificare se l'atto di destinazione fosse riconducibile al catalogo degli atti di cui all'art. 2645-ter c.c. e fosse, in virtù del combinato disposto con l'art. 2915 c.c., opponibile al creditore pignorante non assistito da garanzia reale. Qui, il giudice ha aderito al costante e copioso orientamento, del quale si è già dato conto, consolidatosi nella giurisprudenza di merito, che ha chiarito che l'art. 2645-ter c.c. è norma «sugli effetti» e non «sugli atti» e, perciò, disciplina esclusivamente gli effetti, complementari rispetto a quelli traslativi e obbligatori, delle singole figure negoziali a cui accede il vincolo di destinazione (si vedano anche Trib. Reggio Emilia 7 giugno 2012, in Guida al dir., 2012, 49-50, 15; Trib. Reggio Emilia 27 gennaio 2014; Trib. Reggio Emilia 12 maggio 2014; Trib. Reggio Emilia 10 marzo 2015, in Trusts e attività fiduciarie, 2015, 274; Trib. Trieste 22 aprile 2015, in Trusts e attività fiduciarie, 2016, 279; Trib. Ravenna 22 aprile 2015, in ilfallimentarista.it). La norma, in definitiva, non conia una nuova figura negoziale, bensì individua un nuovo effetto negoziale strumentale ad attuare la segregazione e così a realizzare appieno il piano effettuale di un programma negoziale determinato attraverso altri istituti, tipici o atipici. La disposizione dell'art. 2645-ter c.c. non riconosce, sul piano sostanziale, la possibilità dell'auto-destinazione unilaterale: sotto il profilo testuale, da un lato, la norma presenta rilevanti indici che depongono in senso contrario alla cosiddetta «auto-destinazione» patrimoniale a carattere unilaterale, in quanto individua espressamente la figura del conferente ed i poteri a lui di cui egli gode. Dall'altro, sotto il profilo sistematico, in un sistema caratterizzato dal principio della responsabilità patrimoniale illimitata e dal carattere eccezionale delle fattispecie limitative di tale responsabilità (art. 2740 c.c.) sottoposte a riserva di legge, la portata applicativa della norma deve essere interpretata in senso restrittivo e, quindi, limitata alle sole ipotesi di destinazione traslativa. Non è ammesso in definitiva dalla predetta norma il cosiddetto vincolo di destinazione autoimposto in cui l'effetto destinatorio è collegato a un atto privo di effetti traslativi che, invece, deve necessariamente collegarsi ad altra fattispecie negoziale tipica od atipica dotata di autonoma causa. Nella stessa prospettiva può leggersi la pronuncia secondo cui il trust autodichiarato istituito allo scopo di proteggere i beni del disponente da illecite vessazioni economiche e avente quale beneficiario principale il disponente stesso e quale beneficiario del residuo un ente del terzo settore persegue l'illecito scopo di mantenere in capo al disponente-trustee la piena disponibilità dei beni al fine di sottrarli alle pretese dei suoi creditori e quindi è nullo (App. Milano 7 novembre 2017, in Trusts e attività fiduciarie, 2018, 295). Ancora, per l'opinione che esclude la liceità del trust autodichiarato, v. Trib. Napoli 1 ottobre 2003, in Trusts e attività fiduciarie, 2004, 74; App. Napoli 27 maggio 2004, in Trusts e attività fiduciarie, 2004, 570; Trib. Udine 31 maggio 2016; Trib. Monza 13 ottobre 2015; Trib. Monza 13 maggio 2015; Trib. Massa 12 aprile 2016; Trib. Bergamo 4 novembre 2015; Trib. Milano 25 agosto 2016, in Trusts e attività fiduciarie, 2017, 177). Secondo altro indirizzo può essere omologato un accordo di separazione consensuale prevedente l'istituzione, da parte di uno dei coniugi, di un trust interno autodichiarato nel quale il disponente, allo scopo di soddisfare le esigenze abitative della figlia minorenne, conferisce un bene immobile di sua proprietà (Trib. Milano 23 febbraio 2005, in Corr. merito, 2005, 667). È così da considerarsi portatore di interessi meritevoli di tutela, l'istituzione del trust interno autodichiarato di tutti i beni del socio accomandatario e amministratore di una Sas posta in liquidazione attraverso un accordo di ristrutturazione ex art. 182-bis l. fall., che abbia come programma dichiarato quello di «favorire la liquidazione armonica della società, prevenendo azioni giudiziarie e procedure concorsuali», atteso che il medesimo è rivolto a perseguire il fine di evitare che i titolari di crediti rimasti estranei all'accordo di ristrutturazione, che vantano crediti contestati possano costituire diritti di prelazione o agire in executivis sui cespiti, facendo naufragare il negozio concluso con la maggioranza, nonostante l'assicurazione di un loro regolare pagamento e l'omologazione del tribunale. In altri termini, il trust interno, istituito nella forma del trust autodichiarato secondo la legge di Jersey, è legittimo ed idoneo a segregare, nel patrimonio del disponente, i beni destinati alle finalità per le quali il trust è istituito, rendendo gli stessi beni vincolati non suscettibili di pignoramento da parte dei creditori personali del disponente-trustee (Trib. Reggio Emilia 14 maggio 2007, in Guida dir., 2007, 26, 50 ed in Giur. merito, 2008, 3, 707). La giurisprudenza, insomma, ammette, oramai, anche la riconoscibilità del trust c.d. autodichiarato (che non ricorre propriamente nella specie, essendo il trustee il liquidatore della società disponente), in cui le figure di settlor e trustee coincidono (Trib. Milano, 16 giugno 2009, in Giustizia a Milano, 2009, 9, 58). Viene peraltro sovente posto l'accento sulle finalità elusive cui il trust autodichiarato può tendere. La S.C., investita del ricorso avverso una ordinanza del tribunale del riesame che confermava il sequestro preventivo sui beni segregati in trust, ha ritenuto in frode ai creditori la costituzione del vincolo autodichiarato in cui il disponente di fatto mantiene la disponibilità dei beni ed esercita i poteri di trustee senza alcun obbligo di giustificare i propri poteri. La finalità ha l'effetto di far considerare i beni nella disponibilità del reo e quindi possibile oggetto di sequestro preventivo. Ritiene poi il trustee mancante della legittimazione ad agire per la tutela di beni che, per effetto delle intervenute cessioni, sono stati ceduti a terzi (Cass. pen. n. 13276/2011). Non è dunque meritevole di tutela il trust liquidatorio autodichiarato costituito a garanzia dell'adempimento del debitore, allorché l'atto istitutivo di tale trust preveda che la liquidazione dei beni in esso conferiti sia demandata a soggetti coincidenti (nel caso del trustee) o comunque riconducibili (nel caso dei garanti) alla figura del debitore-disponente, in quanto la struttura dell'operazione evidenzia il perseguimento d'interessi propri di quest'ultimo piuttosto che quelli dichiarati dei creditori. È perciò inammissibile — in quanto la struttura dell'operazione evidenzia il perseguimento d'interessi propri della società proponente piuttosto che quelli dichiarati dei creditori — la proposta di concordato preventivo con cessione dei beni il cui buon esito venga garantito dalla società proponente attraverso la costituzione di un trust liquidatorio autodichiarato nel cui atto istitutivo sia previsto che la liquidazione dei beni conferiti in trust venga demandata a soggetti (trustee e garanti) integralmente riconducibili alla compagine azionaria della stessa società (App. Catania 16 novembre 2012, in Giust. civ., 2013, I, 2597). Questa la fattispecie. Una società richiede l'ammissione al concordato preventivo nell'ambito della procedura prefallimentare instauratasi a seguito di ricorso per dichiarazione di fallimento presentato da due società. La proposta di concordato prevedeva il pagamento nella misura del 100 per cento dei creditori privilegiati e chirografari entro sessanta mesi dall'omologazione, compatibilmente alla realizzazione dell'attivo di cui la stessa ricorrente disponeva, «cui vanno aggiunti il consistente ricavato della dismissione del patrimonio immobiliare di cui la società ha disposto conferendolo in trust». La società proponente aveva in pratica dichiaratamente istituito un trust liquidatorio a garanzia del buon esito del concordato proposto, appartenente, perciò, alla categoria dei trust liquidatori c.d. « endoconcorsuali », aventi finalità « risanatorie », « di ristrutturazione » e « salvataggio » dalla crisi: ciò emerge chiaramente da quanto previsto nell'atto istitutivo, ove si legge che « il trust ... ha lo scopo di segregare il patrimonio conferito al fine di liquidare i beni che lo compongono e destinare il ricavato della vendita alla soddisfazione della massa di creditori della detta società ». Il tribunale, quindi, ha dovuto verificare «ai fini della valutazione dell'ammissibilità della proposta di concordato, la compatibilità del conferimento dell'intero patrimonio immobiliare al trust» e cioè «se l'atto istitutivo del trust si ponga in contrasto con il nostro ordinamento con specifico riguardo alla procedura di concordato preventivo e se, in particolare, il programma fissato dal disponente persegua interessi meritevoli di tutela ». In seguito a tale verifica il Collegio ha però ritenuto che « l'analisi del trust non consente di pervenire ad una valutazione positiva dello stesso », in quanto « la struttura dell'operazione evidenzia il perseguimento d'interessi propri della disponente, piuttosto che quelli, dichiarati, dei creditori ». Sulla base dell'analisi di una serie di elementi (coincidenza tra la figura del disponente e quella di trustee; previsione di un comitato di garanti (o protectors) corrispondenti a soggetti riconducibili alla compagine azionaria della stessa disponente; mancanza di dati sull'effettivo controllo sul trustee da parte del comitato dei garanti) il Tribunale ha ritenuto il trust non meritevole di tutela e, quindi, nullo. Ciò in quanto il programma perseguito dal trust è in realtà quello di assicurare alla società la continuazione nella gestione dei propri beni immobili, con intenti dilatori sulle istanze di fallimento (e azioni connesse), così ostacolando le pretese creditorie. Sulla base di tali considerazioni, quindi, la proposta di concordato, come sopra avanzata, è stata dichiarata inammissibile e il Tribunale, procedendo all'esame dei due ricorsi per dichiarazione di fallimento, li ha accolti, ritenendo sussistenti tutti i presupposti di legge. La sentenza della Corte di appello trae origine dal ricorso proposto dalla società che ha impugnato la sentenza di primo grado chiedendone la revoca e la prosecuzione della procedura di concordato. La Corte di appello, rigettando il ricorso, ha condiviso il convincimento del Tribunale sugli effettivi interessi della reclamante sottesi all'istituzione del trust. Ciò in considerazione di una serie di elementi: della mancanza, nell'atto istitutivo, di riferimenti alla successiva proposta concordataria; della mancanza di una clausola — assolutamente necessaria in tali fattispecie di trust, anche secondo la dottrina più aperta e liberista — che subordini l'operatività del trust all'omologa del concordato, al fine di evitare il rischio (verificatosi, di fatto, nella fattispecie in esame) che, in caso di rigetto della proposta concordataria, i beni del debitore, ormai costituenti patrimonio segregato, siano sottratti al pagamento dei creditori. Quanto agli altri motivi di reclamo, la Corte ha aderito all'orientamento dei giudici di prime cure sia sull'inderogabilità del potere di controllo del Tribunale sull'attività di liquidazione nell'ambito di una procedura di concordato preventivo; sia sull'inammissibilità della proposta concordataria nonostante la previsione della possibilità di sostituzione dei garanti e del trustee-liquidatore da parte dell'autorità giudiziaria, in quanto tale proposta « così come era formulata, escludeva (sino al momento dell'omologa del concordato) qualsiasi controllo da parte degli organi della procedura sull'attività liquidatoria del trustee, essendo tale controllo esclusivamente rimesso ai Garanti nominati in sede di trust e della cui peculiare condizione sopra si è detto». In altre occasioni è stato affermato che è meritevole di tutela l'atto istitutivo di un trust autodichiarato liquidatorio, istituito dal socio fideiussore a favore dei creditori della società garantita e avente quale causa concreta il soddisfacimento di tali creditori tramite la proporzionale ripartizione, tra questi ultimi, del ricavato della vendita dei beni immobili posti in trust. È tuttavia revocabile l'atto dispositivo di un simile trust nei confronti del singolo creditore qualora siano sussistenti le condizioni dell'azione revocatoria ordinaria (Trib. Forlì 4 febbraio 2015, in Contr., 2015, 437; in Foro it., 2015, I, 2535; in Giur. comm., 2016, II, 1064). Le motivazioni della decisione si fondano su tre passaggi: in primo luogo, sotto il profilo strutturale del trust autodichiarato, il giudice conclude per la sua ammissibilità; in secondo luogo, e in relazione alla validità dello scopo concreto, viene sostenuta la necessità di distinguere, caso per caso, la funzione per la quale il trust liquidatorio è posto in essere e si ritiene meritevole di tutela la finalità, perseguita da un soggetto in bonis, di garantire parte dei propri creditori attraverso una ripartizione sattisfattiva strettamente proporzionale; con il terzo e ultimo profilo, collegato alle condizioni di esperibilità dell'azione revocatoria, l'organo giudicante ritiene infine sussistenti (alla luce della natura gratuita di un siffatto schema privatistico) tanto l'evento dannoso, quanto la consapevolezza del disponente di ledere le ragioni creditorie. La permanente attribuzione del diritto di voto a un soggetto diverso dal socio è incompatibile col principio di ordine pubblico societario della inscindibilità del voto dalla quota sociale. In caso di trust autodichiarato, il socio-trustee non perde la titolarità del voto neanche nell'ipotesi in cui l'atto di trust lo preveda, bensì è solo obbligato, in forza del negozio di trust, ad esercitare il diritto di voto in conformità ai vincoli ivi previsti, la cui violazione, tuttavia, rileva ai soli fini dei rapporti interni al trust (Trib. Lucca 24 aprile 2012, in Giur. comm., 2014, 5, II, 877). Nel caso in esame, il socio unico di una s.r.l. aveva istituito un trust autodichiarato sull'intera partecipazione di cui era titolare. Nell'ambito di tale trust si configuravano le seguenti posizioni giuridiche soggettive: il disponente (al tempo stesso trustee, per definizione stessa di trust autodichiarato, e socio unico della società), un guardiano (a cui spettava, secondo l'atto istitutivo di trust, l'esercizio del diritto di voto), un soggetto beneficiario (al tempo stesso amministratore della società). Ciò determinava la sovrapposizione in capo a un medesimo soggetto di più posizioni giuridiche soggettive. Per un verso l'atto istitutivo del trust e quello costitutivo della s.r.l. contenevano reciproci riconoscimenti per effetto di clausole di rimando. Difatti, lo statuto della società prevedeva che, in caso di costituzione delle quote in vincolo fiduciario o trust, l'esercizio del diritto di voto fosse regolamentato dal relativo negozio istitutivo; dall'altro, l'atto istitutivo di trust contemplava l'ipotesi di un trust fund rappresentato da partecipazioni sociali e attribuiva al protector il relativo esercizio del diritto di voto. Tuttavia, nel momento in cui l'unico socio (trustee) aveva deciso autonomamente di revocare l'amministratore (beneficiario) senza l'intervento del guardiano, il Tribunale ha fatto prevalere l'ordine pubblico societario sulle previsioni dell'atto istitutivo di trust, ritenendo la decisione del trustee legittima nelle sue modalità di estrinsecazione (fermo restando l'eventuale risarcimento dei danni per mancanza di giusta causa nella revoca dell'amministratore) e affermando, soprattutto, che non è possibile attribuire in modo permanente il diritto di voto a un soggetto terzo rispetto alla società (il protector). Alla luce di un'interpretazione guidata dall'art. 1367 c.c., il Tribunale, quindi, ha ritenuto che l'unica modalità con cui la previsione statutaria della s.r.l. potesse validamente operare fosse quella di una previa e obbligatoria consultazione del guardiano da parte del trustee, a seguito della quale il trustee doveva ritenersi vincolato dalle indicazioni fornite dal guardiano. Secondo il giudice, infine, tale ricostruzione sarebbe strumentale ai soli fini dell'operatività del trust e non anche a quelli delle dinamiche societarie, rimanendo la s.r.l. immune da eventuali inadempimenti verificatesi all'interno del trust. Per la liceità del trust autodichiarato v. pure Trib. Pisa 22 dicembre 2001, in Trusts e attività fiduciarie, 2002, 241; Trib. Reggio Emilia 27 agosto 2011, in Trusts e attività fiduciarie, 2012, 61; Trib. Pescara 11 ottobre 2011, in Trusts e attività fiduciarie, 2012, 499; Trib. Ravenna 4 aprile 2013, in Trusts e attività fiduciarie, 2013, 632; Trib. Chieti 14 maggio 2013; Trib. Udine 4 novembre 2013, in Trust, 2014, 437; Trib. Rimini 28 novembre 2013, in Trust, 2015, 197; Trib. Cuneo 20 agosto 2015, in Trust, 2015, 573; Trib. Milano 10 giugno 2014, in Trusts e attività fiduciarie, 2016, 151. Si è sostenuto che un ulteriore argomento a favore della tesi positiva sarebbe rinvenibile nell'art. 2929-bis c.c., che introduce un rimedio alternativo all'azione revocatoria nei confronti di atti costitutivi di «vincoli d'indisponibilità», intendendo con ciò riferirsi, come risulta dalla Relazione di accompagnamento, anche al trust autodichiarato (Muritano, Il nuovo art. 2929-bis c.c.: quale futuro per la protezione del patrimonio familiare?, in dirittobancario.it; Di Sapio , Introduzione all'art. 2929-bis c.c. e al novellato art. 64 l. fall., in Dir. econ. impr., 2016, 238). Sul piano tributario è stato detto che in un trust autodichiarato, destinato al mantenimento della famiglia del disponente il cui patrimonio tornerà a quest'ultima ove vivente al termine del trust o altrimenti ai suoi eredi, la segregazione dei beni non è sorretta dallo spirito di liberalità della donazione e non genera alcuna capacità contributiva nei confronti del trustee, così che non può essere applicata al trasferimento l'imposta sulle successioni e donazioni mancando l'animus donandi e l'arricchimento del soggetto che riceve la liberalità, né il trust è parificabile al vincolo di destinazione (C.t.r. Milano 4 luglio 2012, in Massimario delle commissioni tributarie della Lombardia, 2014, 1, 188). La questione del trust autodichiarato è stata poi oggetto di due ordinanze della S.C. che ne hanno escluso la configurabilità. È stato affermato in massima che l'atto con il quale il disponente vincoli propri beni al perseguimento della finalità di rafforzare una generica garanzia patrimoniale già prestata, nella qualità di fideiussore, in favore di alcuni istituti bancari, pur non determinando il trasferimento di beni ad un beneficiario e l'arricchimento di quest'ultimo, nondimeno è fonte di costituzione di un vincolo di destinazione, sicché resta assoggettato all'imposta prevista dall'art. 2, comma 47, del d.l. n. 262/2006, convertito dalla l. n. 286/2006, la quale — accomunata per assonanza alla gratuità delle attribuzioni liberali — a differenza delle imposte di successione e donazione, che gravano sui trasferimenti di beni e diritti «a causa» della costituzione dei vincoli di destinazione, è istituita direttamente, ed in sé, sulla costituzione del vincolo (Cass. n. 3735/2015). In buona sostanza, la pronuncia pone l'accento sull'assunto secondo cui tratto tipologicamente caratteristico del trust sarebbe il trasferimento a terzi da parte del settlor dei beni costituiti in trust, al fine del conseguimento dell'effetto, con carattere reale, di destinazione del bene alla soddisfazione dell'interesse programmato. Secondo la S.C.: «Il negozio realizzato da C.L., benché sia denominato trust, non ne ha la fisionomia: ne manca, difatti, uno dei tratti tipologicamente caratteristici, ossia il trasferimento a terzi da parte del settlor dei beni costituiti in trust, al fine del conseguimento dell'effetto, con carattere reale, di destinazione del bene alla soddisfazione dell'interesse programmato (...). Conferendo beni in trust, difatti, il disponente mira a modificare il risultato finale del negozio esterno di attribuzione patrimoniale, mediante l'obbligo assunto dal trustee d'imprimere a quanto trasferito la destinazione finale voluta. Conformemente alla definizione di trust, allora (in base all'art. 2 della Convenzione dell'Aja), la causa del relativo negozio sta nella conformazione funzionalmente orientata della proprietà (...). Sul punto, la Suprema Corte (Cass. n. 10105/2014) ha ritenuto che, in base all'art. 2 della Convenzione, lo scopo caratteristico del trust, che ha identificato con quello di costituire una separazione patrimoniale in vista del soddisfacimento di un interesse del beneficiario o del perseguimento di un fine dato, è conseguito mediante la separazione dei beni dal restante patrimonio del disponente e la loro intestazione ad altro soggetto, parimenti in modo separato dal patrimonio di quest'ultimo (...). In maniera ancora più eloquente, si è sancito che «presupposto coessenziale alla stessa natura dell'istituto è che il detto disponente perda la disponibilità di quanto abbia conferito in trust, al di là di determinati poteri che possano competergli in base alle norme costitutive. Tale condizione è ineludibile al punto che, ove risulti che la perdita del controllo dei beni da parte del disponente sia solo apparente, il trust è nullo (sham trust) e non produce l'effetto segregativo che gli è proprio» (Cass. pen. n. 13276/2011; Cass. pen. n. 21621/2014). Difatti, l'art. 2, comma 2, lett. b), della Convenzione espressamente dispone che «i beni in trust sono intestati al trustee o ad un altro soggetto per conto del trustee»; e che il trust postuli l'alienazione dei beni del disponente emerge chiaramente dall'art. 2, comma 3, a norma del quale «il fatto che il disponente conservi alcuni diritti e facoltà o che il trustee abbia alcuni diritti in qualità di beneficiario non è necessariamente incompatibile con l'esistenza di un trust»: il diritto convenzionale, dunque, ammette, in astratto, che possano residuare in capo al settlor «alcuni diritti e facoltà», postulando, in concreto, che il trustee o l'altro soggetto per conto di questo siano terzi rispetto al disponente». Tale ricostruzione è stata poi ribadita da Cass. n. 3886/2015. Ed ancora, l'orientamento restrittivo è stato confermato in sede penale, con l'affermazione del principio secondo cui integra il reato di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte anche la stipulazione di un negozio giuridico simulato, poichè la necessità della declaratoria giudiziale per superare l'effetto segregativo dell'atto dispositivo rende più difficoltoso il recupero del credito erariale (Cass. pen. n. 20862/2017, in fattispecie relativa al conferimento da parte dell'imputato dei beni in un trust cd. autodichiarato o shame trust, che ricorre quando il disponente mantiene il controllo del fondo oppure quando ne dispone come cosa propria, fattispecie nella quale la Corte ha affermato la sussistenza del reato anche ove si ritenga l'atto non simulato, ma nullo o inesistente, precisando, inoltre, che il negozio compiuto al fine di sottrarsi al pagamento di imposte sui redditi o sul valore aggiunto è da considerarsi comunque nullo, ai sensi dell'art. 1418 c.c., per la violazione della norma imperativa rappresentata dall'art. 11 del d.lgs. n. 74/2000). Nondimeno, la S.C., in una pronuncia sulla quale si tornerà più avanti (Cass. n. 21614/2016), si è nuovamente cimentata con il tema del trust autodichiarato, sancendone la legittimità. La pronuncia ha difatti stabilito, con riferimento alla tassazione dovuta, che al trust autodichiarato non si applicano le imposte proporzionali dovute per i trasferimenti di beni e diritti bensì quelle previste in maniera fissa. Muovendo dalla premessa secondo cui il trust non è un soggetto di diritto, ma consiste in un complesso di beni e diritti formalmente intestato al trustee, e però finalizzato alla realizzazione di un programma a favore del beneficiario, la S.C. afferma che il trust autodichiarato costituisce in realtà una forma di donazione indiretta in quanto, in carenza del trasferimento dei beni costituiti in trust (coincidendo disponente e trustee), i beneficiari diverranno attributari dei medesimi non in via immediata bensì in virtù del programma previsto nell'atto istitutivo del trust. È stato dunque stabilito che: «In tema d'imposta ipotecaria e catastale, l'istituzione di un trust cd. autodichiarato, con conferimento di immobili e partecipazioni sociali per una durata predeterminata o fino alla morte del disponente, i cui beneficiari siano i discendenti di quest'ultimo, è riconducibile alla donazione indiretta ed è soggetto all'imposta in misura fissa, atteso che la «segregazione», quale effetto naturale del vincolo di destinazione, non comporta, però, alcun reale trasferimento o arricchimento, che si realizzeranno solo a favore dei beneficiari, successivamente tenuti al pagamento dell'imposta in misura proporzionale». Anche di recente si è ribadito che, poiché ai fini dell'applicazione delle imposte di successione, registro e ipotecaria è necessario, ai sensi dell'art. 53 Cost., che si realizzi un trasferimento effettivo di ricchezza mediante un'attribuzione patrimoniale stabile e non meramente strumentale, nel trust, di cui alla L. 16 ottobre 1989 n. 364 , detto trasferimento imponibile non è costituito né dall'atto istitutivo, né da quello di dotazione patrimoniale fra disponente e trustee, in quanto gli stessi sono meramente attuativi degli scopi di segregazione e costituzione del vincolo di destinazione, bensì soltanto dall'atto di eventuale attribuzione finale del bene al beneficiario. In ogni tipologia di trust, compreso quello auto-dichiarato, l'imposta proporzionale non va anticipata nè all'atto istitutivo nè a quello di dotazione, bensì` riferita a quello di sua attuazione e compimento mediante trasferimento finale del bene al beneficiario (Cass. V, n. 22182/2020). In definitiva, sembra ormai essersi affermato, pur nella persistenza di opinioni difformi, provenienti essenzialmente dalla giurisprudenza di merito, un indirizzo che ammette la liceità del trust autodichiarato: conclusione, quest'ultima, la quale appare del resto suffragata dall'ampio dato giurisprudenziale, del quale si è già in parte dato conto e su cui si tornerà tra breve, che documenta l'ampia messe di azioni revocatorie proposte ed accolte avverso la costituzione di trust autodichiarati: pronunce, queste ultime, le quali presuppongono la validità dell'atto oggetto di revoca e, dunque, di semplice relativa inefficacia nei riguardi dell'attore in revocatoria. Vale accennare che la questione possiede altresì ricadute sul piano disciplinare notarile, giacché la nullità dell'atto di costituzione del trust autodichiarato può implicare — anche se non necessariamente importa — responsabilità professionale del notaio, che invece rimane estraneo agli eventuali profili di revocabilità dell'atto medesimo. Vale in proposito rammentare la decisione di un giudice di merito secondo cui la questione della liceità di un trust autodichiarato si risolve nell'indagine sulla meritevolezza dell'interesse dì volta in volta perseguito, e quindi sull'analisi della causa in concreto: il notaio non dispone di parametri idonei a valutare tale meritevolezza e deve solo rifiutare di ricevere atti espressamente proibiti o affetti da nullità inequivoca (App. Milano 30 gennaio 2017, in Notariato, 2017, 303). La Corte d'appello dopo aver illustrato le diverse posizioni sui requisiti di liceità del trust autodichiarato, si è chiesta se sia o meno compito del notaio valutare la meritevolezza degli interessi per il cui soddisfacimento viene istituito il trust per poi concludere affermando che per la ricevibilità degli atti rileva solo il limite dell'art. 28 della legge notarile e cioè il divieto di ricevere atti affetti da vizi che diano luogo in modo inequivoco alla nullità assoluta dell'atto per contrarietà a norme imperative. In dottrina si è tuttavia replicato che le affermazioni della Corte di legittimità sono riduttive e mortificanti del ruolo del notaio poiché se è pur vero che il notaio non dispone dei mezzi istruttori del giudice per la verifica degli effettivi interessi in gioco è altrettanto vero che l'attività notarile si deve necessariamente sviluppare nel senso di una penetrante indagine volta a tradurre in volontà giuridicamente rilevante l'intento pratico delle parti; quindi necessità di una analisi accurata dell'intenzione delle parti. In altri termini il notaio deve, e si sottolinea l'espressione, svolgere un ruolo decisivo nel chiarire alle parti tutte le conseguenze e implicanze derivanti dall'assetto di interessi che le stesse si propongono di fissare nel documento notarile, e nel dare loro consapevolezza delle conseguenze giuridiche derivanti dalla manifestata volontà. Il controllo demandato al notaio, chiamato a ricevere un atto istitutivo di trust, non è diverso da quello che egli ha il dovere di compiere per qualunque contratto tipico ed è scolpito nella legge notarile ed enunciato a chiare lettere nel Codice deontologico (Brienza, 303). Il trust liquidatorioNel quadro dei negozi di destinazione patrimoniale (fondo patrimoniale; patrimoni destinati ad uno specifico affare ex art. 2447-bis c.c.; cessione dei beni ai creditori; atto di destinazione art. 2645-ter c.c., ecc.: si vedano gli ulteriori esempi contenuti nel paragrafo di apertura) è sorta in anni recente questione in ordine all'ammissibilità del trust c.d. liquidatorio (Leuzzi, 577; Salvatore, 2006, 125; Greco, 219; Greco, in ilfallimentarista.it; Cavallini, 1093; Fimmanò, 2010, II, 90; Fimmanò, 2011, 511; Panzani, 553 ss; Lo Cascio, 2007, 245 ss; Lo Cascio, 2009, 340 ss; D'Arrigo, 451; Fanticini, 585; Farolfi, 616). Numerose sono in argomento le sentenze di merito (Trib. Forlì 4 febbraio 2015, in Contr., 2015, 437; in Foro it., 2015, I, 2535; in Giur. comm., 2016, II, 1064; Trib. Ravenna 22 maggio 2014; Trib. Reggio Emilia 12 agosto 2014, in Trusts e attività fiduciarie, 2014, 630; Trib. Palermo 22 maggio 2014, in Trusts e attività fiduciarie, 2014, 633; Trib. Ravenna 22 maggio 2014, in Trusts e attività fiduciarie, 2014, 635; Trib. Reggio Emilia 27 gennaio 2014, in Trusts e attività fiduciarie, 2014, 643; Trib. Milano 28 marzo 2014, in Trusts e attività fiduciarie, 2014, 650; Trib. Bari 12 febbraio 2013, in Trusts e attività fiduciarie, 2014, 653; Trib. Parma 3 marzo 2005, in Fall., 2005, 558; Trib. Napoli 19 novembre 2008, in Fall., 2009, 636; Trib. Mondovì 16 settembre 2005), ed anche di legittimità (Cass. n. 10105/2014). Occorre dunque domandarsi, quindi, se il trust si presti ad essere impiegato, e con quali limiti e madalità, sia nelle procedure di liquidazione societaria che nelle procedure concorsuali. Secondo alcuni studiosi (Busani-Fanara-Mannella, 56) possono distinguersi: a) i trust protettivi, istituiti da un imprenditore in bonis al fine prevenire azioni esecutive da parte di taluni creditori, si pensi in particolare a banche che abbiano concesso prestiti all'imprenditore, mettendo a loro disposizione attraverso il trust alcuni beni destinati alla loro soddisfazione, di modo da creare una prelazione atipica; b) i trust di salvataggio, istituiti da un imprenditore in stato di crisi reversibile, che sono diretti ad evitare la proposizione di un'istanza di fallimento, o comunque ad incentivare soluzioni negoziali della crisi; c) i trust puramente liquidatori, che realizzano una modalità alternativa alla liquidazione disciplinata dagli art. 2487 ss c.c., consentendo al trustee di eseguire le operazioni di liquidazione; d) i trust definiti falsamente liquidatori, istituiti da imprenditori già insolventi, creati allo scopo di ostacolare la dichiarazione di fallimento. Nel caso scrutinato da Cass. n. 10105/2014 si trattava un trust istituito da una società già in situazione di insolvenza. A seguito dell'istituzione del trust, era stato trasferito al trustee l'intero patrimonio societario, mentre la società si era cancellata dal registro delle imprese. Nonostante la cancellazione, entro il termine previsto dall'art. 10 l. fall., il tribunale competente aveva dichiarato il fallimento della medesima società, giudicando nullo ai sensi dell'art. 1418 c.c. e 13 e 15 lett. e) della convenzione dell'Aja il trust liquidatorio, poiché diretto a realizzare un effetto vietato dall'ordinamento, ossia la sottrazione agli organi della procedura fallimentare della liquidazione dei beni del fallito. Respinto il reclamo contro la sentenza dichiarativa di fallimento, la S.C. ha confermato la decisione, osservando precisando che «l'ordinamento italiano non può accordare tutela al trust se la causa concreta sia quella di segregare tutti i beni dell'impresa a scapito di forme pubblicistiche quale il fallimento. In tali casi, ai sensi dell'art. 15 della Convenzione dell'Aja del 1 luglio 1985, il trust liquidatorio non può essere riconosciuto nell'ordinamento italiano e, anzi, il conflitto con la disciplina inderogabile concorsuale ne determina la inesistenza giuridica nel diritto interno». La pronuncia ha così fissato precisi limiti alla utilizzazione del trust in ambito concorsuale: i) il trust liquidatorio è in linea di principio legittimo, anche nella forma del trust interno; ii) la astratta legittimità del trust liquidatorio, tuttavia, va verificata anche alla luce della causa concreta che sottende alla sua istituzione; iii) ai sensi dell'art. 15 della Convenzione dell'Aja, difatti, l'ordinamento italiano disconosce i trust costituiti in violazione principi di ordine pubblico propri del sistema interno; iv) è quindi riconoscibile il trust la cui causa concreta consista nel favorire la liquidazione di società, attraverso la monetizzare dell'attivo ed il pagamento del passivo, e comunque nel gestire per via negoziale la crisi d'impresa; v) nel caso d'insolvenza tale da determinare la dichiarazione di fallimento, il patrimonio del debitore non può essere sottratto alla procedura pubblicistica di liquidazione, sostituendola con l'attività del trustee; vi) l'ordinamento non può riconoscere un trust sostitutivo della procedura fallimentare, quando la situazione d'insolvenza sia già prodotta, trattandosi di trust non solo nullo, giuridicamente inesistente e, dunque, tamquam non esset, in quanto lesivo di un intero complesso normativo imperativo e di ordine pubblico. Come si è già accennato, la pronuncia dà per ammessa la legittimità del trust interno sia implicitamente riconosciuta (Fanticini, 598). Dopodiché la decisione distingue tre ipotesi di trust liquidatorio, ossia di trust mediante il quale si dispone la segregazione dell'intero patrimonio aziendale per provvedere, in forma privatistica, alla liquidazione del patrimonio sociale: il trust concluso per sostituire la procedura liquidatoria, al fine di realizzare con altri mezzi il risultato equivalente di recuperare l'attivo, pagare il passivo ripartire il residuo e cancellare la società; il trust concluso quale alternativa alle misure concordate di risoluzione della crisi d'impresa, c.d. trust endoconcorsuale; il trust sostitutivo della procedura concorsuale e impeditivo dello spossessamento da parte della procedura. Nella giurisprudenza di merito è stata ritenuta ammissibile la proposta di concordato preventivo recante alterazione della par condicio creditorum limitatamente alla «nuova finanza» messa a disposizione da un terzo, rimanendo il relativo apporto svincolato dalla previsione dell'ultima parte del terzo comma dell'art. 182-quater l. fall., nella misura in cui la sua collocazione in un trust autodichiarato liquidatorio lo renda irrilevante sia sull'attivo che sul passivo (Trib. Chieti 14 maggio 2013, in ilfallimentarista.it). La pronuncia ha in particolare ammesso una proposta concordataria che contemplava una alterazione della par condicio relativamente alla distribuzione tra i creditori della somma apportata quale nuova finanza da parte di un terzo, socio unico di una s.r.l. È stato a tal riguardo osservato (Leuzzi, in ilfallimentarista.it) come, nel quadro della vigente normativa, il piano concordatario risulti ormai atipizzato, giacché la soddisfazione dei creditori può avvenire «attraverso qualsiasi forma»: l'impiego del trust è una di tali modalità di esecuzione del piano, assicurando, tramite la costituzione del vincolo di destinazione, l'effettivo utilizzo dei beni e utilità apportati dal terzo al pagamento dei creditori concorsuali. Il trust — si è aggiunto — è schema operativo utile sotto due profili convergenti: in ragione della messa a disposizione di beni e del meccanismo segregativo-surrogatorio che la connota, esso garantisce i creditori concordatari circa l'autentica destinazione delle risorse al loro soddisfacimento; in forza delle leggi regolatrici, adottabili in forza dell'art. 6 della Convenzione dell'Aja, esso correda la posizione del gestore con obbligazioni fiduciarie minuziose e con uno statuto della responsabilità esauriente e preciso: in particolare il trust circoscrive gli abusi del fiduciario (anche mediante il controllo ascrivibile al c.d. guardiano e articolabile finanche come potere di veto) e li rimedia (pure mediante la revoca dall'ufficio di trustee). D'altro canto l'art. 168 l. fall. prevede per l'istante il concordato il blocco delle azioni esecutive e cautelari, sin dal momento della presentazione del ricorso. Ratio della previsione è l'opportunità di evitare che i c.d. creditori, agendo ciascuno per conto proprio sul patrimonio del debitore, vanifichino le prospettive di una gestione della crisi concordata con la maggioranza dei creditori. Nella rinnovata connotazione contrattualistica del concordato preventivo, nell'ottica di rassicurare i creditori votanti, occorre dare capacità persuasiva all'ipotesi loro prospettata: per motivarli a manifestare voto favorevole sulla proposta, appare basilare che anche i beni di supporto che i terzi volontariamente destinino al concordato siano in linea di principio sottratti alle aggressioni individuali dei creditori e «blindati» al soddisfacimento delle ragioni concorsuali. In tale contesto, dove non giunge l'ambito applicativo dell'art. 168 l. fall., ben agevolmente si spinge il trust: efficace soluzione è il prevedere in proposta che in esso siano conferiti i beni dell'estraneo, con la nomina a trustee di un soggetto professionalmente attrezzato e a protector del commissario giudiziale. Secondo Trib. Bergamo 12 marzo 2018, in ilfallimentarista.it, è ammissibile un concordato misto basato sulla continuità aziendale e sulla cessione degli assets non strategici nonché l'incasso dei crediti segregati in un trust. Questo il caso. Una società, titolare di interessi e beni in Nord Africa, a fronte di una domanda di fallimento proposta da un fornitore, deposita domanda di concordato preventivo anticipata dalla formula prenotativa ex art. 161, comma 6, l. fall. Allo scadere del termine ex art. 161, comma 10, l. fall. la debitrice deposita il piano che prevede: a) la prosecuzione dell'attività in via indiretta con affitto dell'azienda sino all'omologa; b) la restituzione dell'attività alla debitrice all'esito dell'omologa; c) la ricapitalizzazione della debitrice da eseguirsi post omologa da parte di un investitore terzo (già affittuario); d) il conferimento in trust dei beni non strategici siti in Nord Africa (Libia ed Algeria) e dei crediti, con vincolo a favore dei creditori e impegno a cedere il patrimonio destinato a soggetto già individuato previa procedura competitiva ex art. 163-bis l. fall. La domanda propone il soddisfacimento integrale delle spese di prededuzione e dei creditori privilegiati e la suddivisione dei creditori chirografari in 3 classi con offerta di percentuali inferiori al 20%. La domanda propone il soddisfacimento dei ceditori concorsuali nel rispetto del termine di due anni. Il risanamento poggia su un attivo concordatario di € 10.734.082 derivante dall'aumento di capitale (di € 1.300.000) nonché dalla cessione degli assets non strategici e dall'incasso dei crediti segregati in trust. La decisione del tribunale ha esaminato diversi aspetti rilevanti e, tra questi, la questione concernente la devoluzione di tutti gli assets non strategici e dell'incasso dei crediti in un trust fund. Nella specie, il debitore aveva offerto l'incarico di trustee al commissario giudiziale e quello di guardiano al comitato dei creditori, così da ottenere una integrale trasparenza circa le finalità non distrattive perseguite. Secondo il Trib. Ravenna 22 maggio 2014, in Trusts e attività fiduciarie, 2014, 635, può essere omologato un concordato preventivo da realizzarsi mediante il conferimento di nuova finanza, quali partecipazioni societarie, oggetto di un trust per uno scopo a favore dei creditori concordatari della proponente, reso compatibile con le esigenze della liquidazione concorsuale grazie all'attività di vigilanza che il comitato dei creditori e il giudice delegato mantengono nelle rispettive qualità e ruoli unitamente al commissario giudiziale che ricopre anche l'ufficio di guardiano con facoltà di sostituzione ad opera del giudice delegato. Un altro giudice di merito (Trib. Ravenna 4 aprile 2013, in Trusts e attività fiduciarie, 2013, 632) ha affermato essere ammissibile una proposta di concordato preventivo di natura sostanzialmente liquidatoria accompagnata dall'istituzione di un trust con il quale il disponente destini beni propri per la soddisfazione dei creditori ed in cui il nominando commissario giudiziale assuma la funzione di guardiano, con l'onere per il trustee di acquisirne il parere favorevole prima di procedere ad eventuali atti di alienazione dei beni inclusi nel fondo in trust. Tale pronuncia ha ammesso una società a r.l. in liquidazione alla procedura del concordato preventivo che nel caso di specie si caratterizzava per la natura liquidatoria e per la messa a disposizione, in favore della procedura, di nuova finanza ad opera di un terzo mediante il conferimento di due beni immobili, in un trust disciplinato dalla legge di Jersey. L'apporto dei cespiti avveniva attraverso la costituzione di un trust di scopo la cui efficacia era condizionata risolutivamente alla mancata omologazione del concordato entro il termine di diciotto mesi dall'istituzione del trust. Una seconda condizione risolutiva era costituita dal fallimento «in qualsiasi momento» della società in procedura. Il trust non era della tipologia del trust auto-dichiarato poiché il terzo finanziatore assumeva la posizione di disponente e di guardiano; il figlio del medesimo quella di trustee, i creditori concorsuali erano indicati beneficiari del vincolo segregativo, sia pure sotto le predette condizioni risolutive. Era prevista la facoltà per il giudice delegato di revocare e sostituire sia il trustee sia il guardiano. In tal modo il trust aveva svolto la funzione di governare efficacemente la destinazione dei beni di terzi al soddisfacimento dei creditori concorsuali, sul cui maggioritario consenso si decidono le sorti del concordato preventivo: il tutto con vantaggi sia rispetto alla garanzia ipotecaria (che non avrebbe assicurato ai creditori la immediata possibilità di vendita del bene ed il conseguente realizzo del prezzo), sia al conferimento dei beni nella società in procedura (che avrebbe comportato per il terzo l'irrimediabile perdita dei beni sia in caso di mancata omologazione del concordato sia in caso di fallimento). Ancora, Trib. Forlì 4 febbraio 2015, in Contr., 2015, 437; in Foro it., 2015, I, 2535 ed in Giur. comm., 2016, II, 1064, ha ritenuto essere meritevole di tutela il trust auto-dichiarato in cui non sussista alcun trasferimento di beni dal disponente al trustee. Nella specie è meritevole di tutela il trust liquidatorio con il quale il fideiussore di una società, in procinto di presentare una domanda di concordato preventivo, appone sui propri beni un vincolo di destinazione a favore dei creditori del concordato. Detto trust persegue, infatti, la finalità di rassicurare i creditori sulla non dispersione del patrimonio personale del fideiussore, e la segregazione (conseguente alla destinazione) non persegue il mero intento di distogliere dall'azione dei creditori il patrimonio del disponente per renderlo inattaccabile ma quello di facilitare la procedura di concordato, assicurando ai creditori una parità di trattamento. La decisione ha tratto origine dalla concessione di una fideiussione a garanzia dell'adempimento di più crediti contratti da una società e rimasti non soddisfatti. Il fideiussore costituisce un trust vincolando più beni immobili al fine di assicurare ai creditori della società garantita la non dispersione del patrimonio e la successiva liquidazione in previsione della domanda di ammissione alla procedura di concordato preventivo che la società era in procinto di presentare. Si tratta nella specie di un trust interno, autodichiarato con soggetti giuridici italiani e beni posti in Italia retto dalla legge di Jersey. Nel caso in esame il trust conteneva la previsione che il ricavato della vendita fosse versato al guardiano per saldare i creditori secondo un criterio strettamente proporzionale tra l'entità dei loro rispettivi crediti e quella del patrimonio facente parte del fondo in trust posto a garanzia dei loro diritti. Con ricorso ex 702-bis c.p.c. il trustee, che coincide con il disponente, chiede al giudice di merito di accertare l'insussistenza del diritto di due istituti bancari creditori di iscrivere ipoteca su alcuni beni immobili vincolati in trust. I convenuti in via riconvenzionale domandano al tribunale di accertare la nullità dell'atto istitutivo o in subordine di revocare ai sensi dell'art. 2901 c.c. l'atto dispositivo relativo agli immobili destinati in trust. Il tribunale con ampia motivazione rigetta la domanda della ricorrente; rigetta la domanda riconvenzionale di nullità dell'atto istitutivo del trust e accoglie la domanda riconvenzionale subordinata rivolta ad ottenere la dichiarazione di inefficacia dell'atto di disposizione di tutti i beni in trust, cioè l'azione revocatoria ordinaria ex art. 2901 c.c. Il tribunale ha in primo luogo riconosciuto la piena legittimità al trust auto-dichiarato oggetto della controversia. In secondo luogo ha ritenuto riconoscibile e valido il trust liquidatorio che realizza un programma di segregazione funzionale alla liquidazione del patrimonio del disponente al fine di facilitare la procedura di concordato della società garantita, rassicurando i creditori della stessa sulla non dispersione dei beni. Il giudice tuttavia ha accolto l'azione revocatoria ordinaria, risolvendo il conflitto tra l'interesse del disponente a favorire la soluzione della crisi e l'interesse dei suoi creditori a mantenere inalterata la situazione patrimoniale del loro debitore, a favore di questi ultimi. L'eventus damni è ravvisato nella modifica della situazione patrimoniale del debitore. Ancorché non vi sia trasferimento di beni ma mera funzionalizzazione ad uno scopo connessa alla segregazione patrimoniale, ciò è sufficiente a rendere più difficoltosa la realizzazione coattiva del credito e ciò integra pregiudizio per il creditore, secondo un consolidato orientamento della S.C. Il consilium fraudis del disponente è ravvisato dal tribunale nella consapevolezza del pregiudizio che sarebbe derivato ai propri creditori, trattandosi di atto di segregazione successivo alla nascita del credito. Il tribunale, inoltre, equipara l'atto di dotazione dei beni al trust ad un atto a titolo gratuito, in rapporto all'interesse dei terzi beneficiari cioè i creditori della società garantita, escludendo conseguentemente la necessità della partecipatio fraudis. Pur mancando infatti nell'auto destinazione uno spostamento patrimoniale il giudice di merito ha ritenuto di apprezzare la natura gratuita dell'atto in base all'assetto complessivo degli interessi in gioco e non essendo l'atto di dotazione del trust un atto di natura solutoria, viene fatto rientrare nella valutazione del tribunale tra quelli gratuiti. Secondo il Trib. Arezzo 2 dicembre 2014, in ilfallimentarista.it, il trust cd. anticoncorsuale si colloca al di fuori del perimetro concordatario e rende pertanto incompatibile con i principi del nostro ordinamento — tra cui l'art. 2740 c.c., in base al quale il debitore risponde dell'adempimento delle sue obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri — l'atto di segregazione che si attua attraverso la costituzione del trust. Ha in primo luogo osservato il tribunale che, in tema di concordato preventivo, il giudice ha il dovere di esercitare il controllo di legittimità sul giudizio di fattibilità della proposta di concordato, non restando questo escluso dall'attestazione del professionista, mentre rimane riservata ai creditori la valutazione in ordine al merito del detto giudizio, che ha ad oggetto la probabilità di successo economico del piano ed i rischi inerenti. Il menzionato controllo di legittimità si realizza facendo applicazione di un unico e medesimo parametro nelle diverse fasi di ammissibilità, revoca ed omologazione (anche in assenza di opposizione) in cui si articola la procedura di concordato preventivo, e si attua verificandosene l'effettiva realizzabilità della causa concreta: quest'ultima, peraltro, da intendersi come obiettivo specifico perseguito dal procedimento, non ha contenuto fisso e predeterminabile, essendo dipendente dal tipo di proposta formulata, pur se inserita nel generale quadro di riferimento finalizzato al superamento della situazione di crisi dell'imprenditore, da un lato, e all'assicurazione di un soddisfacimento, sia pur ipoteticamente modesto e parziale, dei creditori, da un altro (Cass. S.U., n. 1521/2013). Ha dunque evidenziato il giudice come elemento centrale della proposta concordataria, così come modificata dalla società debitrice, fosse rappresentato dalla costituzione — decorsi tre anni dalla omologazione del concordato e subordinatamente all'integrale pagamento dei crediti prededucibili e dei privilegiati nonché di una quota di quelli chirografari — di un trust a cui destinare tutti i proventi, da distribuire ai creditori chirografi, della vendita dell'energia prodotta dagli impianti fotovoltaici. Ebbene, ciò che caratterizza in generale il trust è lo scopo di costituire una separazione patrimoniale in vista del soddisfacimento di un interesse del beneficiario o del perseguimento di un determinato fine: i beni vengono separati dal restante patrimonio ed intestati ad altro soggetto, parimenti in modo separato dal patrimonio di quest'ultimo. Ora, ben potrebbe il debitore proporre che ad assumere l'onere concordatario sia un trustee, con conseguente sua immediata liberazione, e quindi obbligarsi a conferire i suoi beni ad un trust che abbia lo scopo di adempiere allo stesso, per consentire ai creditori di gestire la fase dello smobilizzo (c.d. trust endo-concorsuale). Questa operazione sarebbe alternativa al concordato con cessione dei beni laddove il debitore designi un trustee come liquidatore dei beni, designazione possibile in quanto l'art. 182 l.f., nella parte in cui prevede la nomina del liquidatore da parte del tribunale, ha natura dispositiva. Nella specie, tuttavia, prevedendo la proposta concordataria il suo adempimento con la costituzione del trust (subordinatamente al pagamento di una percentuale dei creditori chirografari), l'atto di segregazione patrimoniale finisce per collocarsi al di fuori del perimetro concordatario (c.d. trust anti-concorsuale), con conseguente violazione pure dell'art. 2740 c.c. Del resto, la assoluta genericità della proposta nella parte in cui prevede la costituzione e la esecuzione del trust non consente di ritenere la stessa compatibile con il carattere concorsuale della procedura. Da ultimo si è in generale ribadito che L'istituto del trust, introdotto in Italia per effetto del recepimento della Convenzione dell'Aja del 1 luglio 1985, realizza la funzione di costituire una separazione patrimoniale al fine di soddisfare un interesse del beneficiario o di perseguire un determinato scopo. Al generale programma di segregazione si aggiunge lo specifico regolamento degli interessi di volta in volta perseguiti, nel quale si rinviene la causa concreta del negozio. Al fine di valutare la liceità del trust occorre, dunque, individuarne la causa concreta. Un'ipotesi di non meritevolezza del trust liquidatorio va individuata nel caso di preesistente insolvenza dell'imprenditore che sfoci in fallimento: in tal caso la procedura pubblicistica di liquidazione non può essere sostituita con l'attività del trustee e il trust liquidatorio non può, quindi, ricevere tutela (App. Milano 24 aprile 2020, n. 991). Affermazione, quella che precede, conforme al ribadito e più recente insegnamento della S.C. secondo cui, in tema di trust istituito a fini liquidatori, la legittimità dell'atto mediante il quale i beni sono attribuiti al trustee necessita di un vaglio, particolarmente penetrante, da parte del giudice di merito, condotto esaminando l'operazione complessiva in relazione alla causa concreta del programma negoziale e alla meritevolezza degli interessi perseguiti nel rispetto dei limiti posti dalla legge fallimentare e dal sistema delle revocatorie. Pertanto, è ammissibile, ed è assoggettato alla disciplina dell' art. 2558 c.c. , concernente la successione nei contratti in caso di cessione di azienda, il programma di risanamento o liquidazione di una società di capitali attuato per mezzo di un trust cd. liquidatorio, con il quale, nell'interesse dei creditori in attesa di liquidazione, sia conferito ad un trustee, senza confinamento del debito operativo, tutto il patrimonio sociale, in particolare un'azienda, con cancellazione della stessa società ex art. 2495 c.c. e in mancanza di riferimenti alle attività compiute per il soddisfacimento dei detti creditori, riservando al medesimo trustee la scelta gestionale tra continuità aziendale e liquidazione (Cass. III, n. 3128/2020). Il trust familiarePossono ricondursi alla categoria del trust familiare i trust utilizzati quali strumenti di tutela di persone fisiche, in ambito falimiare, al fine di assicurare loro la gestione di un patrimonio di cui godere in futuro ovvero il godimento di una rendita periodica. Se ne ha un esempio in una decisione della S.C., pronunciata in un caso in cui un uomo aveva convenuto in giudizio la ex moglie esponendo che, a seguito di divorzio dichiarato in Inghilterra, luogo di residenza familiare — era stato costituito in favore delle figlie minori il «trust O. and M.» per l'amministrazione della casa familiare sita a Londra, con nomina congiunta dei genitori a coamministratori (trustees), la cui convenzione istitutiva era stata poi modificata nel 1998 quando la donna, insieme con le figlie, si era trasferita dapprima a Roma e poi a Milano; che la convenuta aveva violato le più elementari norme di correttezza amministrativa, conducendo in locazione un appartamento lussuoso, le cui spese, senza documentazione, addebitava al trust; tutto ciò premesso, chiedeva la dichiarazione di decadenza dell'ex moglie dalla carica di coamministratrice, con nomina di altro trustee, o in subordine, l'accertamento dell'obbligo di osservare scrupolosamente gli obblighi di buona amministrazione. Costituitasi, la donna contestava, nel merito, la fondatezza della domanda. In via riconvenzionale, chiedeva la rimozione dell'attore dal ruolo di coamministratore, lamentando che egli avesse rifiutato di collaborare alla gestione del trust. Il giudice adito revocava sia l'attore, che la convenuta dall'incarico di coamministratori del trust, nominando in loro vece due avvocati. Motivava che entrambi i genitori avevano violato gli obblighi di lealtà e correttezza, nella specie particolarmente intensi in tema di amministrazione fiduciaria, attuando una serie di comportamenti pregiudizievoli per le posizioni soggettive delle figlie minori. La Corte territoriale investita dell'appello rigettava il gravame. Affermava che nessuna delle parti aveva offerto la prova dell'altrui responsabilità esclusiva per le inadempienze accertate. Ha in proposito osservato la S.C., nello scrutinare una duplice censura di violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, che si verteva in ipotesi di richiesta di revoca giudiziale da un munus di diritto privato: finalizzato, peraltro, alla tutela di interessi di figli minori trascendenti la libera disponibilità delle parti. Tale incarico non si sostanziava ed esauriva nel compimento di un singolo atto giuridico (come nel mandato), bensì in una attività multiforme e continua che doveva essere sempre improntata a principi di correttezza e diligenza. Non a caso, le norme di cui all'art. 334 c.c., in tema di usufrutto legale, e art. 183 c.c., in tema di comunione legale, contemplano la possibilità della revoca per aver «male amministrato»: formula, necessariamente generica e lata, che può concretarsi non solo per effetto di specifiche violazioni di legge, ma anche quando l'assolvimento della funzione non sia, nel complesso, improntato alla diligenza richiesta dalla natura fiduciaria dell'incarico, così da riuscire lesivo degli interessi che l'istituto mira a proteggere. In quest'ottica l'allegazione di singoli fatti si configura quale prova della negligenza — o, come nella specie, della mancanza di collaborazione tra coamministratori, ridondante perfino in ostruzionismo — piuttosto che quale causa petendi di un diritto eterodeterminato, la cui variazione comporti mutatio libelli. Ciò premesso, ha ritenuto la S.C. che l'atto di citazione e l'originaria comparsa di risposta disvelassero un ampio spettro di violazioni a sostegno della reciproca domanda di revoca, per cattiva gestione del trust, che il giudice dell'impugnazione aveva dunque correttamente posto a base della propria decisione (Cass. n. 16022/2008). Il trust, ddunque, può essere utilizzato come strumento di pianificazione o di destinazione economica familiare (Viglione, 2005, 65; Zoppini, 2002, I, 213; Bocchini, 2001, I, 431). Ciò può aver luogo tanto nella famiglia di diritto, quanto in quella di fatto: nel che subito emerge il tratto di maggior flessibilità ed adattabilità del trust rispetto alle convenzioni matrimoniali ed al fondo patrimoniale, che non può avere applicazione al di fuori della famiglia di diritto. È stato difatti affermato che il trust sia maggiormente funzionale ai bisogni della famiglia anzitutto perché potrebbe essere utilizzato anche per modelli familiari cui il fondo è precluso, ed inoltre perché il vincolo di destinazione potrebbe avere ad oggetto tipologie di beni ulteriori rispetto a quelli individuati nell'art. 167 c.c. Quanto al primo aspetto, difatti, i soggetti che possono accedere al fondo sono essenzialmente i coniugi e i figli minori di una famiglia legittima: è perciò preclusa la possibilità di avvalersi dell'istituto non solo ai conviventi, ma anche al coniuge superstite dopo la morte dell'altro, ovvero a soggetti legati da vincoli di parentela, ma non di coniugio. Si sostiene dunque che il trust costituisce valida alternativa al fondo patrimoniale, considerata l'insuscettibilità di applicazione analogica delle relative norme, atteso il loro carattere eccezionale. Quanto ai cespiti, oggetto del fondo possono essere beni immobili, mobili registrati e titoli di credito nominativi, ossia beni che per loro natura sono suscettibili di palesare gli eventuali vincoli su di essi apposti, ma non beni fungibili, individuati e non, somme di danaro, titoli di credito e strumenti finanziari rappresentativi della ricchezza mobiliare non nominativi. Al riguardo è stato tuttavia osservato che «il vincolo derivante dal trust, tenuto conto del fatto che esso dovrebbe fare riferimento ai medesimi strumenti di pubblicità dichiarativa previsti per il fondo patrimoniale (artt. 2647 e 2685 c.c.), non possa che avere ad oggetto gli stessi beni, sì che sotto questo profilo i due istituti appaiono del tutto equivalenti. Ritengo infatti che non sia possibile trascrivere la qualità di trustee e quindi pubblicizzare il vincolo di destinazione non in ragione della natura dei beni (tramite la trascrizione) ma in virtù delle caratteristiche del soggetto che li gestisce (Nonne, 5). In particolare, il trust mobiliare non potrebbe ipotizzarsi, con efficacia separativa, neppure facendo ricorso al principio generale in tema di beni mobili che collega la pubblicità delle situazioni dominicali al possesso da parte del titolare. Detto possesso sarebbe difatti del tutto anodino in ordine ad eventuali vincoli di destinazione gravanti su tali beni, sì che il terzo non potrebbe averne conoscenza. A differenti conclusioni deve giungersi qualora la realità del vincolo si desuma dall'integrazione di una fattispecie legale complessa, in cui l'atto di autonomia privata ricopra il ruolo di mero requisito per l'applicazione di una determinata disciplina. In tal caso, poiché la separazione è di natura legale, la conoscibilità del vincolo, legata a strumenti di mera pubblicità-notizia, può essere assicurata con varie modalità (Nonne, 1323). Come è stato detto, d'altronde, il trust, a differenza del fondo patrimoniale, può estendersi oltre la durata del matrimonio, è caratterizzato dalla sussistenza dei diritti dei figli-beneficiari sul fondo in trust, consente una gestione dinamica da parte di un terzo, il trustee, il quale è obbligato fiduciariamente nei confronti dei beneficiari (Lupoi, 2016, 366; sul raffronto tra trust e fondo patrimoniale v. pure Lupoi, 2004, 247; Di Landro, 2010, 352). Il trust è talora impiegato anche a fini protettivi di discendenti o familiari privi delle attitudini alla gestione di beni e più in generale del patrimonio familiari, più o meno consistente che sia. È stato perciò ad esempio affermato che il genitore esercente la (olim) potestà può essere autorizzato ad istituire un trust vantaggioso per il figlio minore il cui fondo consista nel patrimonio pervenuto al minore per successione dell'altro genitore, il cui atto istitutivo preveda che il figlio, al raggiungimento della maggiore età, possa decidere di sciogliere o mantenere il vincolo qualora, benché legalmente capace, non si senta pronto a gestire il suo patrimonio (Trib. Milano 6 marzo 2013, in Trusts e attività fiduciarie, 536). La giurisprudenza italiana, di fronte a questo tipo di trust, ha generalmente concluso per l'ammissibilità in astratto dello stesso. Ad esempio, Trib. Cuneo 26 luglio 2017, in iltrustinitalia.it, ha affermato che in un trust con finalità di tutela familiare, ove non risulti provato né dedotto che i disponenti abbiano effettivamente mantenuto la disponibilità di fatto dei beni ed il potere di amministrazione o di disposizione al di là di quanto previsto nell'atto costitutivo, la circostanza che sia stato nominato trustee un soggetto legato al disponente da rapporto familiare e di convivenza non può costituire di per sé solo elemento determinante al fine prova di una simulazione, soprattutto ove si consideri che la scelta del trustee nell'ambito della famiglia del disponente appare compatibile con lo scopo di un trust dichiaratamente istituito per soddisfare le esigenze della figlia dei disponenti. Aggiunge il tribunale che il trust era stato costituito per assicurare risorse future alla figlia del disponente; in astratto si trattava quindi di un interesse meritevole di tutela, considerando il fatto che il nostro ordinamento ormai riconosce e disciplina espressamente una serie di strumenti attraverso i quali si realizza l'effetto di segregazione patrimoniale con destinazione del patrimonio cosi separato al soddisfacimento di interessi di soggetti deboli o di familiari. Per il Trib. Siracusa 17 aprile 2013, in Trusts e attività fiduciarie, 2014, 189, può essere omologata la separazione dei coniugi che contestualmente istituiscono un trust a favore delle loro figlie minori, conferendovi il bene immobile di cui sono entrambi proprietari ma assegnato in sede di separazione alla moglie affinché questa vi coabiti con le minori. Il trust, in cui l'ufficio di trustee è affidato alla madre, ha lo scopo di salvaguardare l'essenziale soddisfacimento delle esigenze abitative delle minori, e dura fino al completamento del loro ciclo di studi ed al raggiungimento dell'autosufficienza economica e comunque fino al raggiungimento del ventiseiesimo anno di età da parte della figlia più giovane. Secondo il Trib. Milano 16 giugno 2017, in Trusts e attività fiduciarie, 2018, 183, un trust familiare regolato dalla legge di Jersey, nella specie istituito nell'esclusivo e preminente interesse di sovvenire alle necessità di vita dei beneficiari, familiari del disponente, non è invalido per via della mancata nomina del guardiano, in quanto tale nomina è prevista a pena di nullità solo se il trust è istituito per uno scopo non caritatevole. Viceversa, il Trib. Bologna 9 gennaio 2014, in Trusts e attività fiduciarie, 2014, 293, ha conosciuto di un trust regolato dalla legge di Jersey e istituito da una coppia di coniugi a beneficio dei propri figli e lo ha dichiarato non riconoscibile in quanto i disponenti si erano riservati un potere assoluto di controllo sul trust, potendo revocare il guardiano, che a sua volta poteva revocare il trustee. Secondo il Tribunale bolognese, malgrado l'art. 9A della legge di Jersey consenta al disponente di riservarsi una serie innumerevole di poteri, ciò non consente di valicare il limite dettato dall'art. 2, ultimo comma, della Convenzione de L'Aja. Per Trib. Lucca 8 aprile 2016, in Trusts e attività fiduciarie, 2017, 170, è revocabile ex art. 2901 c.c. il conferimento in un trust familiare posto in essere dal disponente, fideiussore di una S.r.l. verso la banca agente in revocatoria, quando una parte significativa del debito della debitrice principale era già sussistente e, dunque, successivamente al sorgere del credito, desumendosi la scientia damni del disponente fideiussore, requisito soggettivo richiesto in considerazione della natura gratuita di tale trust, dalla circostanza che egli, in quanto socio ed amministratore della debitrice principale, ben conosceva la sua difficile situazione economico-finanziaria e ravvisandosi l'eventus damni nella circostanza che i beni residui del disponente fideiussore erano gravati da ipoteca giudiziale iscritta a favore di altro creditore. Anche per Trib. Ancona 3 marzo 2016, in Trusts e attività fiduciarie, 2016, 378, è revocabile ex art. 2901 c.c. l'atto di conferimento in un trust familiare posto in essere dal disponente debitore successivamente al sorgere del credito, desumendosi l'eventus damni dalla circostanza che il disponente ha conferito in trust quasi tutti gli immobili di sua proprietà, nonché la partecipazione quasi totalitaria in una s.r.l., e ravvisandosi la scientia damni, requisito soggettivo richiesto in considerazione della natura gratuita di tale trust, nella circostanza che precedentemente al conferimento il disponente aveva ricevuto la notifica delle cartelle esattoriali da parte dei creditori agenti in revocatoria. Per Trib. Padova 2 settembre 2008, in Trusts e attività fiduciarie, 2008, 628, può essere autorizzata l'estromissione di beni dal fondo patrimoniale costituito da entrambi i coniugi per le esigenze della famiglia al fine di vincolare i medesimi beni in un trust istituito da uno dei coniugi stessi a beneficio proprio, dell'altro coniuge e dei figli. I rapporti tra fondo patrimoniale e trust, in relazione alla sostituzione del primo con il secondo, hanno formato oggetto di altri tre provvedimenti giurisprudenziali che precedono il decreto del tribunale di Padova citato. Si tratta di due decreti emessi il 23 ottobre 2002 dal tribunale di Firenze (in Trusts, 2003, 406, su cui v. Bartoli, 387). In un caso, due coniugi consensualmente separati e con un figlio minore chiedono al tribunale di Firenze la modifica delle condizioni di separazione già omologate e di essere pertanto autorizzati ad istituire un trust regolato dalla legge inglese, di durata trentennale, in cui far confluire i beni costituiti in fondo patrimoniale durante il matrimonio. Ciò al fine di tutelare maggiormente il figlio attraverso il mantenimento del vincolo di destinazione su tali beni anche dopo il raggiungimento della sua maggiore età, in considerazione dell'intenzione dei coniugi di addivenire a divorzio, con conseguente scioglimento del fondo patrimoniale. Il tribunale dichiara inammissibile il ricorso motivando che le richieste dei coniugi esulano dal contenuto tipico degli accordi di separazione, che riguardano l'affidamento dei figli, il contributo dei genitori al mantenimento degli stessi e l'eventuale assegno a favore del coniuge economicamente più debole. Al contrario Trib. Milano 8 marzo 2005, in Trusts e attività fiduciarie, 2005, 585, e Trib. Pordenone 20 dicembre 2005, in Trusts e attività fiduciarie, 2006, 247, hanno ritenuto omologabili gli accordi di separazione che includevano l'istituzione di un trust. Anche nel secondo caso i coniugi separati consensualmente, con una figlia minore, adiscono il tribunale ai sensi degli artt. 710 e 711 c.p.c. al fine di ottenere la modifica delle condizioni di separazione già omologate, chiedendo l'autorizzazione a trasferire i beni costituiti in fondo patrimoniale al trustee di un trust istituito dal marito durante il matrimonio. Anche in questo caso il tribunale dichiara il ricorso inammissibile. Il terzo provvedimento è Trib. Milano 7 giugno 2006, in Trusts e attività fiduciarie, 2006, 575, che omologa gli accordi di separazione di due coniugi, con due figli di cui uno minorenne, nei quali è contenuta l'istituzione di un trust autodichiarato. Trib. Torino 31 marzo 2009, in Trusts e attività fiduciarie, 2009, 413, ha poi dichiarato ammissibile un trust costituito durante un procedimento di separazione. Per Trib. Trieste 19 settembre 2007, in Trusts e attività fiduciarie, 2008, 42, in quanto negozio atipico, non esiste una causa del trust direttamente e immediatamente rilevante per l'ordinamento giuridico italiano, mentre ciò che interessa è l'accertamento degli elementi generali proprî del trust stesso nell'ambito della normativa ad esso riferibile (quali: il trasferimento al trustee o la auto-dichiarazione di trust, la segregazione, l'affidamento, i beneficiari o uno scopo, la funzionalizzazione dei diritti trasferiti al trustee e il rapporto fiduciario). Il giudizio di meritevolezza degli interessi perseguiti mediante il trust va effettuato avuto riguardo al programma negoziale voluto dalle parti, di tal che si può parlare di negozio atipico solo quando gli effetti proprî di questo non sono pari a quelli tipici di altri strumenti ordinari. Dinanzi ad un trust discrezionale familiare tendente a creare un patrimonio separato in analogia con il fondo patrimoniale, non attuabile direttamente per non essere i disponesti sposati, la domanda di intavolazione del trasferimento dei diritti reali immobiliari deve essere accolta non rientrando nel procedimento tavolare l'indagine circa le problematiche relative ai reali intenti dei disponenti conviventi more uxorio, i quali probabilmente hanno voluto istituire un trust con effetti di protezione patrimoniale in danno dei creditori più che di tutela delle esigenze della famiglia di fatto, come addotto nel corso del procedimento. Per il Trib. Reggio Emilia 4 dicembre 2006, in Trusts e attività fiduciarie, 2008, 69, in sede di omologazione degli accordi di separazione coniugale concernenti le modalità di adempimento dell'obbligo di contribuzione al mantenimento dei figli da parte del genitore non affidatario, non è sufficiente il semplice trasferimento della titolarità di un immobile al genitore affidatario, bensì è necessario imprimere sull'immobile stesso un vincolo, da attuarsi per mezzo di un atto tipico o di un atto atipico, che realizzi il preminente interesse della prole, sottragga il cespite alla liberà disponibilità del genitore ricevente e attenui il rischio di espropriazione da parte di terzi creditori; Trib. Milano 23 febbraio 2005, in Riv. not., 2005, 851, ritiene omologabile il verbale della separazione personale consensuale fra coniugi tra le cui condizioni sia previsto anche che uno dei coniugi istituisca un trust (che preveda come trustee lo stesso disponente) un immobile di sua proprietà al fine di adibirlo ad abitazione della figlia e dell'altro coniuge, con previsione dell'obbligo di trasferimento dello stesso immobile alla figlia al compimento dei trent'anni di quest'ultima. Da notare che il verbale omologato viene anche trascritto (come atto giudiziario) nella Conservatoria dei Registri Immobiliari. Per il Trib. Modena 11 dicembre 2008, in Dir. fam. pers., 2009, 1256, è opportuna e legittima, ex art. 2645-ter c.c., a tutela e salvaguardia dei beni mobili ed immobili, presenti e futuri di un minore soggetto a tutela e protutela, l'istituzione, a richiesta del protutore, di un trust che vincoli i beni predetti al soddisfacimento delle esigenze, personali e patrimoniali, del minore predetto, qualora, anche alla luce di un motivato parere redatto da un c.t.u., il trust sia conveniente ed utile al minore stesso; il provvedimento del g.t. deve prevedere il rendiconto annuale e deve contenere la designazione e la nomina di un trustee esperto e di sicuro affidamento, affiancato da un guardiano estraneo al gruppo familiare del minore e di pari affidamento e competenza tecnica; fermo restando che, raggiunta la maggiore età, il minore, se capace, può disporre la cessazione del trust. Per Trib. Cagliari 4 agosto 2008, in Banca borsa tit. cred., 2010, II, 797, ai fini della valutazione in ordine alla sussistenza di un intento fraudolento, in pregiudizio ai creditori, da parte di chi trasferisce dei beni in trust familiare, si può tenere conto dell'entità del debito rispetto al valore del bene oggetto del trasferimento. Anche la S.C. si è occupata del trust familiare, affermando che ai fini della revocatoria ordinaria, il trust familiare è un atto a titolo gratuito: l'istituzione di trust familiare (nella specie, per fare fronte alle esigenze di vita e di studio della prole) non integra, di per sé, adempimento di un dovere giuridico, non essendo obbligatoria per legge, ma configura — ai fini della revocatoria ordinaria — un atto a titolo gratuito, non trovando contropartita in un'attribuzione in favore dei disponenti (Cass. n. 19376/2017). Soluzione, quella così massimata, conforme al precedente secondo cui, in caso di procedura fallimentare a carico di uno dei coniugi, il negozio costitutivo in fondo patrimoniale dell'abitazione del fallito e della sua famiglia è suscettibile di revocatoria a norma dell'art. 64 l. fall., dovendosi pure escludere che tale costituzione possa considerarsi di per sé, così ricadendo in una delle esenzioni previste dalla seconda parte dell'art. 64 cit., come atto compiuto in adempimento di un dovere morale nei confronti dei familiari, a meno che non si dimostri, in concreto, l'esistenza di una situazione tale da integrare, nella sua oggettività, gli estremi del dovere morale, nonché il proposito del solvens di adempiere solo a tale dovere con l'atto in questione (Cass. n. 19029/2013). In caso di bancarotta, poi, è legittimo il sequestro conservativo dei beni immobili costituiti in trust familiare perché, di fatto, ancora riconducibili alla disponibilità dell'imputato. Ad affermarlo è la Cassazione per la quale il trust familiare è uno strumento giuridico lecito che, tuttavia, può giustificare finalità di frode ai creditori sottraendo una quota dei beni del patrimonio (Cass. pen. n. 8041/2016). Trust e azione revocatoriaCon una recente decisione in precedenza ricordata (Cass. n. 9637/2018) la S.C. per un verso ha ribadito la compatibilità del trust con l'ordinamento interno, ma, per altro verso, ha posto in evidenza la possibilità che esso sia impiegato quale strumento volto a sottrarre beni alla garanzia generica spettanti ai creditori in forza della regola generale stabilita dall'art. 2740 c.c., così da rimanere esposto al rimedio dell'azione revocatoria, a seconda dei casi ordinaria o fallimentare. La vicenda nella specie scrutinata concerneva per l'appunto una revocatoria ordinaria esperita nei confronti di una coppia di coniugi e dei loro figli, al fine di ottenere la dichiarazione di inefficacia dell'atto istitutivo di trust con il quale il marito, debitore dell'attore, aveva creato, secondo la prospettazione di questi, un patrimonio separato volto a recare pregiudizio alle sue ragioni. In accoglimento della domanda, il giudice di primo grado aveva dichiarato l'inefficacia dell'atto pubblico istitutivo del trust, in forza del quale la moglie assumeva la veste di trustee ed i figli quella di beneficiari. La Corte d'appello investita dell'impugnazione proposta dalla coppia aveva confermato la sentenza di primo grado, rilevando anzitutto, in rito, che solo il trustee doveva considerarsi litisconsorte necessario, mentre tali non erano i beneficiari, i quali erano però da ritenere titolari di una posizione di fatto che tale da legittimarne la partecipazione al giudizio di revoca, attesa la sua attitudine ad incidere sul loro diritto. Ciò premesso, la corte d'appello aveva affermato che l'atto istitutivo del trust era da qualificarsi quale atto a titolo gratuito ai fini dell'azione revocatoria, essendo stati trasferiti i beni al trustee senza corrispettivo, e che tale atto era altresì idoneo a costituire un patrimonio separato, diretto alla sottrazione dei beni alla garanzia dei creditori, come era confermato dalla circostanza che il settlor si era riservato il potere insindacabile di sostituire sia il trustee che i beneficiari. La S.C. ha sostanzialmente confermato l'impianto, pur aggiungendo importanti precisazioni dal versante processuale: ha cioè ritenuto che i figli, beneficiari del trust, non fossero legittimati passivi dell'intentata azione revocatoria e, dunque, ha in parte qua cassato la sentenza impugnata e deciso nel merito, dichiarando l'inammissibilità della domanda avanzata nei loro confronti. La pronuncia, come si diceva, ha evidenziato come non sia in discussione la meritevolezza in astratto ex art. 1322 c.c. dell'istituto del trust: tale valutazione, difatti, è stata già compiuta dal legislatore con l'emanazione della legge 16 ottobre 1989 n. 364 che ha ratificato e dato esecuzione in Italia la Convenzione dell'Aja del 1° luglio 1985, offrendo così «cittadinanza nel nostro ordinamento (...) all'istituto in oggetto, per cui non è necessario che il giudice provveda di volta in volta a valutare se il singolo contratto risponda al giudizio previsto dal citato art. 1322 c.c.». L'idoneità del trust a realizzare interessi meritevoli di tutela è stata però valutata dal legislatore solo in astratto, il che non esclude che la figura, in concreto, possa prestarsi a possibili censure di inefficacia. Ciò può accadere tutte le volte in cui la stessa sia impiegata per scopi contrari a norme imperative, come accade quando il conferimento di beni in trust sia finalizzato alla creazione di un patrimonio separato derivante dall'effetto segregativo prodotto dal negozio. I giudici di legittimità hanno poi ovviamente recepito la valutazione del fatto insindacabilmente compiuta dai giudici di merito, ponendo l'accento sull'anteriorità del credito rispetto all'atto istitutivo del trust, sulla natura gratuita di questo negozio, sul sostanziale mantenimento della titolarità dei beni in capo al settlor, derivante dal potere di sostituire ad libitum sia il trustee che i beneficiari. In effetti il trust, così come altri strumenti, quale in particolare il fondo patrimoniale, si presta agevolmente ad essere impiegato per aggirare le garanzie di cui all'art. 2740 c.c. e quindi per sottrarre i beni alla legittima soddisfazione dei creditori del disponente. Con riferimento alla legittimazione passiva nella revocatoria, la citata Cass. n. 9637/2018 si pone sulla scia della giurisprudenza precedente, la quale aveva già chiarito che essa compete, oltre che al debitore, al trustee, come del resto desumibile dallo stesso art. 11 della Convenzione dell'Aja. Non sono invece passivamente legittimati i beneficiari del trust, poiché l'interesse alla corretta amministrazione del patrimonio in trust non integra una posizione di diritto soggettivo attuale in favore dei beneficiari ai quali siano attribuite dall'atto istitutivo soltanto facoltà, non connotate da realità, assoggettate a valutazioni discrezionali del trustee (Cass. n. 19376/2017). Nell'azione revocatoria ordinaria avente ad oggetto un bene in trust, il beneficiario è in definitiva litisconsorte necessario esclusivamente nel caso di atto di disposizione patrimoniale a titolo oneroso (Cass. n. 13388/2018). In quest'ultima decisione è stato altresì chiarito che nell'azione revocatoria ordinaria avente ad oggetto un bene in trust, lo stato soggettivo del terzo rilevante nel caso di un atto di disposizione patrimoniale a titolo oneroso è quello del beneficiario e non quello del trustee (Cass. n. 13388/2018). Ha osservato la S.C. che l'indagine in ordine ai presupposti dell'azione revocatoria di cui all'art. 2901 c.c., se posta in relazione al trust, risente delle peculiarità di quest'ultimo istituto, figura giuridica proveniente da una tradizione, quale quella di common law, estranea alle caratteristiche proprie del codice civile italiano. Le nozioni di atto di disposizione patrimoniale e di terzo, contenute nell'art. 2901 c.c., vanno perciò parametrate alle peculiarità di un istituto che attribuisce alla disposizione del patrimonio un contenuto differente dalla tradizionale visione della circolazione dei beni. Rammenta la pronuncia che, come si è già avuto modo di osservare, l'istituto del trust risulta recepito nell'ordinamento italiano nei limiti della legge 16 ottobre 1989, n. 364, di ratifica della Convenzione dell'Aja. Il trust resta regolato dalla legge scelta dal costituente (ai sensi dell'art. 6, o da quella che con esso ha più stretti legami, secondo l'art. 7), alla stregua dei requisiti contemplati dalla legge n. 364 del 1989 citata. Il fulcro del sistema risiede nel rapporto istituito dal costituente in base al quale i beni vengono posti sotto il controllo di un trustee nell'interesse del beneficiario o per un fine specifico. I beni del trust costituiscono una massa distinta e non fanno parte del patrimonio del trustee, pur essendo intestati al nome di costui, ed il trustee deve amministrarli e disporne secondo il programma del trust (art. 2). Oggetto di regolamentazione della legge applicabile al trust sono anche «i rapporti tra il trustee ed i beneficiari, ivi compresa la responsabilità personale del trustee verso i beneficiari» (art. 8, comma 2, lett. g). Si intende che dei due effetti che connotano il trust rispetto ai beni che ne sono l'oggetto, quello di destinazione e quello segregativo (o creazione di un patrimonio separato), è il primo quello principale, essendo l'effetto segregativo (da cui la sottrazione all'aggressione da parte dei creditori personali del trustee (art. 11, comma 1, lett. a) strumentale alla realizzazione dell'interesse cui mira la destinazione del bene, e cioè l'interesse del beneficiario (o altro fine specifico, come prevede l'art. 2 della disciplina in discorso). L'interesse del beneficiario (o altro fine specifico) integra quindi la ragione della costituzione del trust. L'effetto dell'atto di disposizione patrimoniale è rappresentato dalla dissociazione fra intestazione dei beni al nome del trustee e titolarità dell'interesse al bene, che è quello del beneficiario e non del trustee. Ai fini dell'azione revocatoria, il cui esercizio a protezione dei creditori trova fondamento nella stessa legge di ratifica ed esecuzione della convenzione sul trust (art. 15 lett. e), il profilo dell'intestazione del bene comporta la legittimazione passiva del trustee, in quanto titolare del diritto ceduto in base all'atto dispositivo e del quale si domanda l'inefficacia relativa. Sulla scia della giurisprudenza precedente (Cass. n. 25800/2015 e Cass. n. 2043/2017), viene perciò ribadito che, come accennato, la legittimazione in giudizio nei confronti dei terzi spetta al trustee, il quale dispone in via esclusiva dei diritti conferiti nel patrimonio vincolato. Il profilo della titolarità dell'interesse al bene condiziona invece l'estensione del campo del litisconsorzio necessario. Ricorda la S.C. che l'interesse alla corretta amministrazione del patrimonio in trust non integra una posizione di diritto soggettivo attuale in favore dei beneficiari ai quali siano attribuite dall'atto istitutivo soltanto facoltà, non connotate da realità, assoggettate a valutazioni discrezionali del trustee; conseguentemente, deve escludersi che i beneficiari non titolari di diritti attuali sui beni siano legittimati passivi e litisconsorti necessari nell'azione revocatoria avente ad oggetto i beni in trust, spettando invece la legittimazione, oltre al debitore, al trustee, in quanto unico soggetto di riferimento nei rapporti con i terzi (in armonia con quanto già affermato dalla menzionata Cass. n. 19376/2017). Prosegue la Cass. n. 13388/2018 osservando che ai fini del conseguimento dello scopo dell'azione revocatoria quest'ultima viene indirizzata nei confronti dell'atto di disposizione patrimoniale, e cioè l'atto mediante il quale il bene viene intestato in capo al trustee, e non nei confronti dell'atto istitutivo del trust, il quale costituisce il fascio di rapporti che circonda l'intestazione del bene, ma non l'intestazione stessa, ed è neutrale dal punto di vista dello spostamento patrimoniale. Non sembra pertanto poter essere condivisa l'affermazione secondo cui è inammissibile la domanda revocatoria esperita avverso l'istituzione di un trust autodichiarato in quanto il creditore chiede sia dichiarato inefficace soltanto l'atto tramite cui il disponente-trustee acquista i beni oggetto del trust e non anche l'atto istitutivo (Trib. Ascoli Piceno 8 novembre 2017, in Trusts e attività fiduciarie, 2018, 5, 516). Il punto di vista non può però essere limitato al piano formale dell'atto di disposizione ma deve essere esteso a quello sostanziale del rapporto di trust. La programmazione di interessi che caratterizza il trust non resta estranea all'azione revocatoria perché la natura dell'atto di disposizione patrimoniale sotto il profilo della sua gratuità o onerosità dipende dal profilo dell'interesse rispetto al bene. In relazione all'elemento costitutivo della fattispecie di cui all'art. 2901 c.c. rappresentato dall'onerosità dell'atto di disposizione torna in primo piano il criterio dell'interesse che l'intestazione formale, quale punto di riferimento della dichiarazione d'inefficacia relativa dell'atto di disposizione, aveva in un primo tempo lasciato in ombra. Ai fini della qualificazione in termini di gratuità o onerosità dell'atto deve aversi riguardo al criterio dell'interesse e dunque al rapporto fra il disponente ed il beneficiario. L'onerosità dell'atto di disposizione patrimoniale non può essere posta in relazione all'eventuale compenso stabilito per l'opera del trustee, perché l'onerosità dell'incarico affidato al trustee attiene non alle caratteristiche e dunque al rapporto di trust ma all'eventuale remunerazione per il mandato conferito. Il corrispettivo risale non al rapporto di trust, di cui non rappresenta un effetto, ma all'incarico conferito che vi soggiace. Onerosità e gratuità non possono non essere poste in relazione all'interesse che qualifica il rapporto di trust, che è quello del beneficiario e non del trustee. Viene così in primo piano il rapporto sottostante fra disponente e beneficiario, che potrà avere caratteristiche, fra l'altro, di un rapporto di garanzia (in relazione al credito concesso al disponente) o solutorio oppure in alternativa di soddisfazione dei bisogni della famiglia. L'atto a titolo oneroso è identificabile solo nel primo caso e non in quello relativo allo scopo di famiglia. Il requisito soggettivo dell'azione revocatoria rilevante nel caso dell'atto a titolo oneroso (art. 2901, comma 1, n. 2, c.c.) dovrà essere valutato in relazione al beneficiario quale titolare dell'interesse rispetto al quale emerge l'onerosità dell'atto. Negli atti a titolo gratuito, come nel caso di dotazione patrimoniale per far fronte ai bisogni della famiglia, invece il beneficiario potrà anche non avere conoscenza dell'atto di disposizione patrimoniale. Lo stato soggettivo rilevante dal punto di vista del terzo è così quello del beneficiario e non del trustee ed acquista rilievo, come previsto dalla norma, nel caso di atto di disposizione patrimoniale nell'ambito di trust a titolo oneroso. Il problema del litisconsorzio necessario nell'azione revocatoria relativa a disposizione patrimoniale in trust va dunque risolto, secondo Cass. n. 13388/2018, sulla base del criterio della natura dell'atto e della rilevanza dell'elemento psicologico dal punto di vista del terzo. Se, avuto riguardo all'interesse del beneficiario, l'atto dispositivo è da qualificare come atto a titolo oneroso, lo stato soggettivo del terzo è elemento costitutivo della fattispecie e dunque il terzo, beneficiario dell'atto, è litisconsorte necessario. Se invece l'atto dispositivo è a titolo gratuito, lo stato soggettivo del terzo non è elemento costitutivo della fattispecie ed il beneficiario non è litisconsorte necessario nell'azione revocatoria avente ad oggetto i beni in trust. L'estensione del litisconsorzio necessario è proiezione degli elementi costitutivi della fattispecie. In questo quadro non acquista rilievo il rapporto fra il beneficiario ed il trustee. Che il primo sia titolare di un diritto di credito o di una mera aspettativa nei confronti del secondo è vicenda che resta relativa al rapporto interno fra questi due soggetti ed è oggetto di regolamentazione legislativa ai fini della «responsabilità personale del trustee verso i beneficiari» (art. 8, comma 2, lett. g), l. n. 364/1989). Tale vicenda non attiene al punto di vista dei terzi (in particolare i creditori del disponente) e resta estranea agli elementi costitutivi della fattispecie dell'art. 2901 c.c., perché non riguarda né l'intestazione formale della proprietà, che è il profilo rilevante ai fini della circolazione del bene, né lo stato soggettivo della parte beneficiata dallo spostamento patrimoniale. L'ambito del litisconsorzio necessario non è quindi condizionato dalla natura del rapporto fra il beneficiario ed il trustee. Anche nella giurisprudenza di merito è stato stabilito che nel giudizio per la revocatoria del trust autodichiarato è sufficiente citare in giudizio i convenuti in qualità di disponenti. I beneficiari non sono litisconsorti necessari nel giudizio per la revocatoria del trust autodichiarato se non sono titolari di un diritto soggettivo attuale (App. Milano 28 settembre 2017, in Trusts e attività fiduciarie, 2018, 314). Occorre ancora porre l'accento sulla circostanza che la S.C., nella citata Cass. n. 9637/2018, ha confermato la decisione dei giudici di merito nella parte in cui avevano equiparato il conferimento di beni in trust, quale atto a titolo gratuito, al fondo patrimoniale, dal momento che tramite tale atto il disponente intende costituire un patrimonio separato, analogamente a quanto avviene con il fondo patrimoniale previsto dall'art. 167 c.c. Va peraltro ribadito che, come già si è avuto modo di osservare, sebbene il trust e il fondo patrimoniale ben possano essere accomunati dall'angolo visuale dell'assoggettabilità all'azione revocatoria, ove compiuti in pregiudizio dei creditori, essi si distinguono nettamente sotto diversi profili: quello dei soggetti che possono istituirli (nel fondo solo i coniugi ed eventualmente un terzo, nel trust chiunque); quello dei beni vincolabili (nel fondo patrimoniale solo beni immobili, mobili iscritti in pubblici registri e titoli di credito, nel trust qualsiasi utilità economicamente valutabile); quello del regole dell'amministrazione dei beni (rigide e assimilate a quelle dell'amministrazione della comunione legale per il fondo, liberamente impartite dal settlor nel trust); quello della portata del vincolo di impignorabilità che si viene a creare sui beni (in linea di principio non opponibile al creditore di buona fede che abbia ignorato l'estraneità del debito rispetto ai bisogni della famiglia nel fondo patrimoniale, assoluto e opponibile a tutti i creditori estranei agli scopi e alle finalità destinatorie nel trust). Inoltre nel fondo patrimoniale i beneficiari sono necessariamente i componenti della famiglia nucleare e godono di una semplice aspettativa di fatto ai proventi del fondo e alla destinazione finale dei beni; nel trust, invece, i beneficiari possono essere anche altri soggetti, eventualmente appartenenti alla «famiglia allargata». L'interazione tra la disciplina del trust e quella del fondo patrimoniale induce a domandarsi se il primo possa atteggiarsi quale strumento di elusione della normativa cogente dettata per l'amministrazione del fondo. In tale prospettiva è stata ad esempio affermata, in una decisione già altrove ricordata, la necessità della preventiva estromissione dei beni dal fondo patrimoniale prima dell'imposizione del vincolo derivante dall'istituzione del trust a beneficio proprio del disponente, dell'altro coniuge e dei figli (Trib. Padova 2 settembre 2008, in Trusts e attività fiduciarie, 2008, 630). Si è inoltre ritenuto che il trust non offra garanzie di rispetto dei vincoli all'attività di gestione e di amministrazione (che sarebbe compiuta dal trustee) al pari di quelle offerte dalla disciplina del fondo patrimoniale, negandosi per questi motivi ad esempio, l'autorizzazione ai coniugi che intendevano sostituire il fondo patrimoniale con un trust istituito a beneficio della figlia minorenne (Trib. Firenze 23 ottobre 2002, in Trusts e attività fiduciarie, 2003, 406). In tema di revocatoria del trust è ampia anche la giurisprudenza di merito. È stato detto che ai fini dell'accoglimento dell'azione revocatoria ordinaria occorre allegare la prova di un elemento oggettivo cd. eventus damni e di un elemento soggettivo che si atteggia diversamente in dipendenza della natura, onerosa o gratuita, dell'atto ed in relazione al momento del sorgere del credito, se antecedente o successivo all'atto dispositivo. Con particolare riferimento all'istituto del trust, deve poi ritenersi che, ai fini della verifica della natura onerosa o gratuita, occorre avere riguardo ai rapporti tra disponente e beneficiario (Trib. Torre Annunziata, 19 luglio 2018). Sono stati poi giudicati revocabili ex art. 2901 c.c. i conferimenti in un trust familiare effettuati dai due disponenti e da due terzi apportatori, tutti fideiussori nei confronti della banca creditrice agente in revocatoria, successivamente al sorgere del credito, ritenendosi sussistente l'eventus damni per via dell'incapienza del patrimonio residuo dei fideiussori e desumendosi la scientia damni in capo ai disponenti e ai terzi apportatori, requisito soggettivo richiesto in considerazione della natura gratuita di tale trust, dalla pluralità e contestualità degli atti di disposizione, nonché dalla circostanza che i fideiussori, essendo soci ed amministratori della società debitrice principale, erano a conoscenza dell'ingente esposizione debitoria della debitrice principale verso l'attrice e delle difficoltà economiche della medesima (Trib. Ivrea 15 marzo 2017, in Trusts e attività fiduciarie, 2017, 532). Ancora, è stato considerato revocabile ex art. 2901 c.c. il trust familiare autodichiarato istituito dai disponenti, fideiussori di una S.a.s. verso la banca creditrice agente in revocatoria, successivamente al rilascio della fideiussione, desumendosi la scientia damni dalla triplice circostanza che gli immobili oggetto del trust costituivano la sola proprietà immobiliare dei disponenti, che i disponenti non indicavano le ragioni dell'istituzione del trust e che al momento dell'istituzione del trust la situazione della società debitrice era critica e i disponenti dovevano conoscerla in quanto uno era socio accomandatario della debitrice principale e l'altro era suo coniuge e sussistendo l'eventus damni per non avere i disponenti dimostrato che il proprio patrimonio residuo era tale da soddisfare il credito della banca (Trib. Busto Arsizio 19 gennaio 2018, in Trusts e attività fiduciarie, 2018, 5, 515). Secondo un altro giudice di merito è revocabile ex art. 2901 c.c. il trust familiare autodichiarato istituito su beni immobili dal disponente, fideiussore di una S.r.l. verso la banca creditrice agente in revocatoria, successivamente all'assunzione della fideiussione, desumendosi la scientia damni in capo al disponente, requisito soggettivo richiesto in considerazione della natura gratuita di tale trust, dalla circostanza che al momento dell'istituzione del trust il disponente sapeva che la società debitrice principale versava in una situazione finanziaria non rosea e sussistendo l'eventus damni per essersi il disponente liberato mediante l'istituzione del trust di tutti i propri beni immobili e non avere dimostrato la capienza del proprio patrimonio residuo (Trib. Ravenna 28 giugno 2017, in Trusts e attività fiduciarie, 2018, 5, 518). È inoltre revocabile ex art. 2901 c.c. il trust familiare autodichiarato istituito su beni immobili dal disponente, fideiussore di una S.r.l. verso la banca creditrice agente in revocatoria, successivamente al sorgere del credito, dovendo l'eventus damni ritenersi in re ipsa e desumendosi la scientia damni in capo al disponente, requisito soggettivo richiesto in considerazione del carattere autodichiarato di tale trust, dalla duplice circostanza che il disponente ha rilasciato la fideiussione e l'ha successivamente confermata con dichiarazione in cui si dà atto della proroga del finanziamento a favore della società debitrice principale e che il disponente stesso è genitore dell'amministratore di tale società, anche quest'ultimo garante. In caso di azione revocatoria relativa a un trust autodichiarato, la citazione in giudizio del soggetto che riveste entrambe le qualità di disponente e di trustee, anche senza ulteriore specificazione, è sufficiente a far ritenere convenuto in giudizio anche il trustee (App. Torino 29 marzo 2017, in Trusts e attività fiduciarie, 2018, 5, 519). È pure revocabile ex art. 2901 c.c. il trust familiare autodichiarato avente ad oggetto beni immobili istituito dall'amministratore della società agente in revocatoria successivamente al lodo arbitrale che lo condanna al risarcimento nei confronti di detta società, desumendosi la scientia damni in capo al disponente, requisito soggettivo richiesto in considerazione della natura gratuita di tale trust, in re ipsa e ravvisandosi l'eventus damni nella circostanza che il disponente si è spogliato di tutti i propri beni immobili (Trib. Rieti 28 marzo 2017, in Trusts e attività fiduciarie, 2018, 5, 519). Allo stesso modo è revocabile ex art. 2901 c.c. il trust autodichiarato avente finalità di carattere familiare istituito dal disponente, fideiussore verso la banca creditrice agente in revocatoria, successivamente al sorgere del credito, ritenendosi l'eventus damni sussistente in re ipsa e desumendosi la scientia damni in capo al disponente, requisito soggettivo richiesto in considerazione della natura gratuita di tale trust, dal fatto che anteriormente all'istituzione del trust la debitrice principale, non avendo provveduto alla restituzione della quota capitale prevista per talune scadenze, chiedeva all'attrice una modifica di alcuni termini contrattuali (Trib. Asti 14 maggio 2017, in Trusts e attività fiduciarie, 2017, 5, 533). È stato detto che nel giudizio instaurato per la revocatoria del conferimento di beni in trust non è necessaria l'integrazione del contraddittorio nei confronti dei figli del disponente, beneficiari del reddito, in quanto l'assegnazione dei beni a costoro è meramente eventuale, essendosi il disponente riservato la facoltà di nominare i beneficiari finali. È revocabile ex art. 2901 c.c. il trust autodichiarato avente finalità di carattere familiare istituito dal disponente, fideiussore nei confronti della banca creditrice agente in revocatoria, successivamente al sorgere del credito, ritenendosi sussistente l'eventus damni per non avere il disponente dimostrato l'irrilevanza dell'istituzione del trust al fine di soddisfare le ragioni dell'attrice e desumendosi la scientia damni in capo al disponente, requisito soggettivo richiesto in considerazione della natura gratuita di tale trust, dalla duplice circostanza che costui era amministratore e socio di maggioranza della società debitrice principale, nonché contrattualmente obbligato a tenersi informato sui rapporti tra la banca e la debitrice principale, e che il trust veniva istituito in coincidenza con un notevole incremento dell'esposizione debitoria della società (Trib. Savona 14 marzo 2017, in Trusts e attività fiduciarie, 2017, 532). È stato giudicato revocabile ex art. 2901 c.c. il conferimento in trust di un immobile effettuato dall'acquirente inadempiente all'obbligazione di pagamento del prezzo, ritenendosi sussistente l'eventus damni per essere stato l'immobile sottratto alla garanzia dell'adempimento e desumendosi la scientia damni dall'esiguo lasso temporale tra la compravendita e il conferimento (Trib. Parma, 14 marzo 2017, in Trusts e attività fiduciarie, 2017, 532). È stato detto revocabile ex art. 2901 c.c. il trust autodichiarato avente finalità di carattere familiare istituito dal disponente, fideiussore verso la banca creditrice agente in revocatoria, successivamente al sorgere del credito, ritenendosi l'eventus damni sussistente in re ipsa e desumendosi la scientia damni in capo al disponente, requisito soggettivo richiesto in considerazione della natura gratuita di tale trust, dal fatto che anteriormente all'istituzione del trust la debitrice principale, non avendo provveduto alla restituzione della quota capitale prevista per talune scadenze, chiedeva all'attrice una modifica di alcuni termini contrattuali (Trib. Asti 14 marzo 2017, in Trusts e attività fiduciarie, 2017, 532). Va confermata la sentenza di revoca ex art. 2901 c.c. dell'atto istitutivo di trust, essendo nella specie ricompresi nel medesimo atto tanto l'istituzione del trust quanto il conferimento in esso dei beni (App. Brescia 28 febbraio 2017, in Trusts e attività fiduciarie, 2017, 532). Il trust finalizzato a consentire ai beneficiari, figli minori dei disponenti, di abitare e di godere dei frutti degli immobili in esso conferiti non può viceversa ritenersi simulato per il fatto che il guardiano risiede insieme ai disponenti, che uno dei disponenti si è riservato il diritto di abitazione su uno dei suddetti immobili, che manca il libro degli eventi del trust, non essendo questo obbligatorio, e che mancano i rendiconti del trustee, attenendo questi alle modalità con cui il trustee adempie i propri obblighi e non alla validità ed efficacia del trust. È però revocabile ex art. 2901 c.c. l'atto di conferimento in un trust familiare posto in essere dai disponenti, fideiussori della società debitrice principale, successivamente al sorgere del credito, ravvisandosi l'eventus damni nella circostanza che l'unico bene immobile rimasto estraneo al trust risulta gravato da molteplici ipoteche di consistente importo e desumendosi la scientia damni in capo ai disponenti, requisito soggettivo richiesto in considerazione della natura gratuita di tale trust, in re ipsa (Trib. Firenze 23 febbraio 2017, in Trusts e attività fiduciarie, 2017, 532). Il trustee di un trust in cui viene conferito un bene immobile oggetto di precedente compravendita revocata ai sensi dell'art. 2901 c.c. non fa salvo il diritto acquistato su tale bene, in quanto il conferimento è avvenuto a titolo gratuito e la mala fede del trustee, intesa come consapevolezza del vizio di revocabilità della precedente compravendita immobiliare, è desumibile dai rapporti di parentela intercorrenti tra la disponente e lo stesso trustee, sorelle tra di loro e con il debitore, dall'essere l'immobile conferito in trust gravato dal diritto di abitazione in favore del debitore e dall'essere i beneficiari del trust individuati nei figli della disponente, nubile e senza prole (Trib. Massa, 12 gennaio 2017, in Trusts e attività fiduciarie, 2017, 532). È revocabile ex art. 2901 c.c. il trust autodichiarato con cui una società, successivamente al sorgere del credito, destina uno stabilimento produttivo all'esecuzione di stipulandi accordi transattivi con le banche creditrici, ravvisandosi l'eventus damni nella duplice circostanza che la società disponente, avendo precedentemente posto in essere un conferimento di ramo d'azienda, si era spogliata di quasi tutti i suoi beni e la società creditrice agente in revocatoria, non essendo una banca, non poteva beneficiare del trust e desumendosi la scientia damni in capo alla società disponente, requisito soggettivo richiesto inconsiderazione della natura gratuita di tale trust, dal fatto che il trust era stato istituito pochi giorni dopo la concessione della provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo ottenuto dalla società attrice (Trib. Roma 28 dicembre 2016, in Trusts e attività fiduciarie, 2017, 532). È revocabile ex art. 2901 c.c. l'atto di conferimento in un trust familiare posto in essere dal disponente, condannato con sentenza al pagamento di una somma in favore del creditore agente in revocatoria, successivamente al sorgere del credito, ravvisandosi l'eventus damni nella circostanza che il disponente si è spogliato di un consistente patrimonio immobiliare e non ha dimostrato di possedere residualità patrimoniali tali da scongiurare il rischio di danno e desumendosi la scientia damni in capo al disponente, requisito soggettivo richiesto in considerazione della natura gratuita di tale trust, dalla triplice circostanza che costui ha posto in essere il conferimento successivamente all'emissione della sentenza di condanna, i beni conferiti hanno un valore ben superiore a quello dichiarato e il disponente stesso se ne è riservato i diritti di uso ed abitazione (Trib. Alessandria 28 dicembre 2016, in Trusts e attività fiduciarie, 2017, 532). È revocabile ex art. 2901 c.c. l'atto di conferimento in un trust familiare posto in essere dal disponente, fideiussore del coniuge nei confronti della banca creditrice agente in revocatoria, successivamente al sorgere del credito, la cui genesi risale all'accreditamento, ravvisandosi l'eventus damni nella circostanza che il disponente si è spogliato degli unici beni immobili di sua proprietà utilmente aggredibili dalla banca, a nulla rilevando l'iscrizione ipotecaria di primo grado a favore della banca stessa su tali beni, e desumendosi la scientia damni in capo al disponente, requisito soggettivo richiesto in considerazione della natura gratuita di tale trust, dall'aver questi dato luogo al conferimento allorquando lo stato di insolvenza del coniuge, quale titolare di impresa individuale, era conclamato, successivamente alla domanda di ammissione al concordato preventivo (Trib. Bergamo 16 novembre 2016, in Trusts e attività fiduciarie, 2017, 532). È revocabile ex art. 2901 c.c. l'atto di conferimento in un trust familiare posto in essere dal disponente successivamente al sorgere del credito, derivante da sinistro stradale, ravvisandosi l'eventus damni nella circostanza che il valore dei beni residui del disponente non è sufficiente a garantire i creditori agenti in revocatoria e desumendosi la scientia damni, requisito soggettivo richiesto in considerazione della natura gratuita di tale trust, dalla circostanza che il disponente, proprietario del veicolo e dunque responsabile civile, ha conferito i beni in trust successivamente alla condanna in sede penale del conducente (Trib. Catania 18 ottobre 2016, in Trusts e attività fiduciarie, 2017, 532). È revocabile ex art. 2901 c.c. l'atto di conferimento in trust posto in essere dal disponente successivamente al sorgere del credito, vantato dalla di lui ex moglie, ravvisandosi l'eventus damni nella circostanza che il disponente ha conferito in trust tutti i propri cespiti immobiliari e non ha dimostrato che l'atto dispositivo non ha leso l'integrità della garanzia patrimoniale e desumendosi la scientia damni, requisito soggettivo richiesto in considerazione della natura gratuita di tale trust, dalla circostanza che il conferimento è stato compiuto successivamente al mancato pagamento da parte del disponente dei contratti di finanziamento dei quali l'ex moglie era garante e in coincidenza con l'inadempimento da parte del medesimo delle obbligazioni di mantenimento nei di lei confronti. Secondo App. Napoli 14 novembre 2017, in Trusts e attività fiduciarie, 2018, 516, è inammissibile l'azione revocatoria avverso il conferimento in trust che il socio illimitatamente responsabile di una S.n.c. abbia posto in essere anteriormente alla richiesta di ammissione della società stessa a concordato preventivo, in quanto il creditore agisce successivamente all'omologa del concordato. Emerge dunque dalle pronunce finora citate che l'oggetto dell'azione revocatoria non è tanto l'atto istitutivo del trust in se stesso considerato, trattandosi di negozio, come si è detto, di natura programmatica ed unilaterale, bensì gli atti dispositivi di natura traslativa, collocati a falle dell'atto istitutivo e diretti al trasferimento di beni al trustee: solo tali ultimi atti, difatti, possono essere considerati idonei a pregiudicare le ragioni dei creditori, avendo determinato l'uscita dei beni dal patrimonio del debitore. È appena il caso di accennare al problema se il creditore il quale assuma di essere stato pregiudicato dall'atto istitutivo di trust possa oggi giovarsi anche del rimedio previsto dall'art. 2929-bis c.c., introdotto nel quadro delle Misure urgenti in materia civile, fallimentare civile e processuale civile e di organizzazione e funzionamento dell'amministrazione giudiziaria, contenute nel d.l. n. 83/2015, convertito dalla l. n. 132/2015, articolo subito modificato con il d.l. n. 59/2016, convertito dalla l. n. 119/2016. La nuova norma mira a rafforzare la tutela del creditore pregiudicato dall'imposizione, ad opera del proprio debitore, di vincoli di indisponibilità su beni immobili o mobili registrati, ovvero dall'effettuazione di operazioni di alienazione a titolo gratuito, dopo il sorgere del credito: in tal caso al creditore è data la facoltà di procedere direttamente ad esecuzione forzata, senza necessità di ottenere una pronuncia dichiarativa della inefficacia dell'atto pregiudizievole. Ciò a condizione che il creditore: a) sia munito di titolo esecutivo; b) entro un anno dalla trascrizione dell'atto pregiudizievole trascriva il pignoramento o intervenga, nell'esecuzione promossa da altri. È difatti previsto che: «Il creditore che sia pregiudicato da un atto del debitore, di costituzione di vincolo di indisponibilità o di alienazione, che ha per oggetto beni immobili o mobili iscritti in pubblici registri, compiuto a titolo gratuito successivamente al sorgere del credito, può procedere, munito di titolo esecutivo, a esecuzione forzata, ancorché non abbia preventivamente ottenuto sentenza dichiarativa di inefficacia, se trascrive il pignoramento nel termine di un anno dalla data in cui l'atto è stato trascritto». Orbene, l'atto di costituzione del trust dà senz'altro luogo ad un vincolo di indisponibilità, e dunque ricade tra i negozi pregiudizievoli contemplati dalla norma. Sorge però il quesito se l'inciso «compiuto a titolo gratuito» debba essere inteso come riferito soltanto agli atti di alienazione oppure anche ai vincoli di indisponibilità: nel quale ultimo caso l'applicabilità dell'art. 2929-bis c.c. potrà essere ammessa solo ove si sia di fronte ad atti costitutivi di vincolo di destinazione a titolo gratuito. La pubblicità del trust internoAltra questione dirimente, per i fini del funzionamento del trust interno, è quella della sua trascrivibilità e degli effetti della pubblicità nei confronti dei terzi. Per un verso, è agevole rammentare che la trascrizione è un mezzo di pubblicità legale, prevista dagli artt. 2643 ss. c.c., consistente nell'annotazione di determinati atti giuridici in appositi registri pubblici. Lo scopo della trascrizione consiste anzitutto nel favorire la conoscibilità degli atti trascritti da parte della generalità dei consociati, con conseguente attitudine della trascrizione a dirimere potenziali conflitti concernenti la titolarità del medesimo bene, alla stregua dell'art. 2644, comma 1, c.c., secondo cui gli atti enunciati nell'articolo precedente non hanno effetto riguardo ai terzi che a qualunque titolo hanno acquistato diritti sugli immobili in base a un atto trascritto o iscritto anteriormente alla trascrizione degli atti medesimi. Sono in particolare soggetti a trascrizione, per quanto rileva qui, i contratti concernenti beni immobili, sia che ne trasferiscano la proprietà, sia che costituiscano, trasferiscano o modifichino diritti reali di godimento, sia che conferiscono alcuni diritti personali di godimento su immobili. Secondo un orientamento rimasto fino a tempi recenti pressoché fermo, poi, le ipotesi di trascrizione sarebbero esclusivamente quelle previste, con carattere di tassatività, da specifiche disposizioni di legge. Ciò rende evidenti le criticità in cui ci si imbatte quando si esamina il tema della trascrivibilità del trust, giacché l'atto costitutivo di esso non determina, almeno nei termini consueti, il trasferimento della proprietà — i.e. il potere di godere e disporre in modo pieno ed esclusivo, secondo la definizione data dall'art. 832 c.c. — dal settlor al trustee, che certo pieno proprietario non è; criticità, quelle menzionate, le quali divengono ancor più gravi nell'ipotesi di trust autodichiarato, il quale non comporta alcun trasferimento, neppure meramente formale dal uno all'altro soggetto. Per altro verso, è evidente che la configurabilità del trust nell'ordinamento interno, disgiunta dalla sua trascrivibilità, e dunque dalla sua opponibilità ai terzi (in particolare ai creditori sia del disponente che del trustee) non avrebbe senso alcuno. Della trascrizione del trust si occupa l'art. 12 della Convenzione, ove è stabilito che: «Il trustee che desidera registrare i beni mobili e immobili, o i documenti attinenti, avrà facoltà di richiedere la iscrizione nella sua qualità di trustee o in qualsiasi altro modo che riveli l'esistenza del trust, a meno che ciò non sia vietato o sia incompatibile a norma della legislazione dello Stato nel quale la registrazione deve aver luogo». È da credere, in proposito, che, all'interno della norma convenzionale, il termine «registrare», considerato il contesto della frase, che evidenzia la finalità della registrazione quale strumento di conoscenza e di opponibilità ai terzi, debba essere inteso come riferito alla pubblicità legale e, quindi, come sinonimo di «trascrivere». Per la trascrivibilità del trust è orientata una parte della dottrina che appare se non altro quantitativamente maggioritaria (Gambaro, 2002, II, 919; Piccoli, Trascrizione dell'acquisto immobiliare del trustee, in Trusts e attività fiduciarie, 2000, 227), ma certo non univoca (contra Gazzoni, Tentativo dell'impossibile 2001, 11; Gazzoni, In Italia tutto è permesso, 2001, 1247). Secondo l'orientamento restrittivo, occorre por mente al principio del numerus clausus dei diritti reali, che risponde ad un'esigenza di tutela dei terzi, sui quali incombe un dovere di astensione che può discendere solo dalla legge e non da una previsione contrattuale, secondo il disposto dell'art. 1372, comma 2, c.c., quantunque il contratto sia volto a soddisfare un interesse meritevole di tutela. D'altro canto, non può prescindersi dal principio di tipicità degli atti soggetti a trascrizione — quelli, per l'appunto, che hanno ad oggetto diritti reali, per ovvie esigenze di certezza dei traffici e di organizzazione dei registri. I vincoli di indisponibilità o di destinazione posti pattiziamente sono obblighi, come tali non trascrivibili, mentre quelli posti dalla legge sono trascrivibili, a tutto concedere, solo a fini di notizia, in quanto l'inosservanza del divieto comporta l'invalidità dell'atto, per violazione di norma imperativa. In breve, viene affermato che il trust dà vita ad un diritto reale atipico e, come tale, in contrasto con il principio del numero chiuso dei diritti reali che non trova riscontro in alcune delle fattispecie per le quali la legge prevede la formalità della trascrizione, altrettanto tipiche. Secondo il contrapposto orientamento largheggiante, e come si diceva ormai prevalente, il principio dell'indivisibilità del patrimonio sarebbe ormai fortemente ridimensionato (ed in effetti si sono menzionati in apertura numerosi casi di separazione patrimoniale con conseguente infrazione del principio posto dal comma 1 dell'art. 2740 c.c.), cosicché si potrebbe ammettere una limitazione della responsabilità patrimoniale del debitore, ogniqualvolta, specifici interessi in concreto perseguiti in base ad un giudizio obiettivo, siano considerati prevalenti e meritevoli rispetto agli interessi dei creditori. La giurisprudenza si è in più occasione pronunciata sull'interpretazione del citato art. 12 in relazione con gli artt. 2643 ss. c.c., in particolare con riguardo al trasferimento di beni immobili dal disponente al trustee nonché all'acquisto compiuto dallo stesso trustee, ed altresì con riguardo alla autodichiarazione di trust su bene immobile, giudicando in molti casi ammissibile la formalità della trascrizione ed ordinando conseguentemente al Conservatore dei Registri Immobiliari di procedervi ovvero di cancellare la riserva apposta ai sensi dell'art. 2674-bis c.c.. La giurisprudenza, tuttavia, non è univoca. Nell'ottica che ammette la trascrizione, è stato ad esempio affermato — nel caso che, come si è detto, presenta le maggiori difficoltà — che deve essere ordinata la trascrizione di un atto istitutivo di trust nella forma di trust autodichiarato non essendoci nel nostro ordinamento, fatta salva la condizione di liceità e compatibilità prevista dall'ultima parte dell'art. 12 della Convenzione dell'Aja, alcuna disposizione o principio che, ponendosi come limite interno all'applicabilità dell'art. 12 stesso, configuri un divieto di trascrizione del trust neanche qualora esso sia di una tipologia che non comporti effetti traslativi dei beni (App. Venezia 10 luglio 2014, in Vita not., 2014, 1279). Il ragionamento svolto nella specie si compendia in ciò che: l'art. 12 della Convenzione dell'Aja riconosce la facoltà al trustee di registrare i beni mobili e immobili richiedendone l'iscrizione nella sua qualità di trustee o in qualsiasi altro modo che riveli l'esistenza del trust, a meno che non sia vietato o sia incompatibile a norma della legislazione dello Stato nel quale la registrazione deve aver luogo; nel caso in questione, costituito da trust autodichiarato e privo di effetti traslativi, la trascrizione sarebbe in contrasto con la normativa del nostro ordinamento che contempla detto adempimento solo quando si assista a trasferimenti effettivi della proprietà dei beni da assoggettane a vincolo, salvo ipotesi specifiche ben determinate e non assimilabili all'istituto del trust; questa conclusione, a parere del giudice di merito, non può essere condivisa, tenuto conto che la Convenzione dell'Aja, cui l'Italia ha aderito, nel descrivere il trust non lo circoscrive ad atti esclusivamente traslativi dei beni che ne vengono assoggettati, stabilendo solo che ad essi venga data una specifica destinazione e scopo, sicché la valutazione di compatibilità con la legislazione interna va riferita alla ammissibilità nell'ordinamento di ipotesi di sottoposizione a vincoli di beni determinati anche al di fuori di fenomeni separativi della proprietà, o disponibilità, dei beni stessi dal disponente; tale appare principalmente la previsione del fondo patrimoniale, che riconosce ai coniugi la facoltà di attribuire a beni di cui essi conservano la proprietà la specifica destinazione di sopperire ai bisogni della famiglia, atto che attraverso la trascrizione è reso opponibile a terzi e creditori, ma anche la previsione dei patrimoni separati che le società, a norma dell'art. 2447-bis c.c., possono ora istituire sottraendoli alle possibili aggressioni da parte dei creditori della società, sempre alla condizione di attribuire ad essi una specifica destinazione, e l'ipotesi introdotta dall'art. 2645-ter c.c., norma che prevede la trascrizione e opponibilità di atti, o contratti, con cui beni immobili o mobili registrati sono destinati alla realizzazione dei più svariati interessi meritevoli di tutela ai sensi dell'art. 1322, comma 2, c.c., con il solo limite, quindi, della illiceità degli scopi con essi perseguiti, sicché secondo questa disposizione è ora possibile nel nostro ordinamento attribuire rilevanza ed efficacia ai più disparati vincoli di destinazione impressi dall'autonomia privata, senza pretendere che gli interessi sottesi siano già selezionati come meritevoli di riconoscimento da una norma positiva, e comunque anche in assenza di atti traslativi dei beni stessi; all'interno di un siffatto quadro normativo, e fatta salva la condizione di liceità e compatibilità prevista dall'ultima parte dell'art. 12 della Convenzione dell'Aja, non vi sono disposizioni espresse né principi del nostro ordinamento che, ponendosi come limiti interni all'applicabilità dell'art. 12 stesso, configurino un divieto di trascrizione del trust, anche nella forma del trust interno autodichiarato, che non comporti effetti traslativi dei beni e per la cui ammissibilità, ad eccezione del divieto dell'illiceità, deve considerarsi richiesto il solo rispetto delle condizioni stabilite dalla Convenzione, e cioè: l'esistenza di un atto tra vivi o mortis causa (art. 2, comma 1), che attui il trasferimento, o la disponibilità e controllo, dei beni al trustee nell'interesse del beneficiario o per un fine specifico (art. 2, comma 1); la segregazione dei beni rispetto al patrimonio del trustee (art. 2, lett. a) e la loro intestazione ad esso (art. 2, lett. b); l'indicazione dei poteri di amministrazione, gestione e disposizione in capo a quest'ultimo (art. 2, lett. c); la risultanza del trust da atto scritto ed il carattere volontario della sua costituzione (art. 3); la sottoposizione della regolamentazione del trust ad una legge che ne contempli l'istituzione (art. 6). Soluzione, quella così riassunta, riguardo alla quale dovrà almeno sottolinearsi l'obiettiva erroneità del richiamo al principio di autonomia contrattuale sancito dall'art. 1322 c.c. ed in particolare alla regola stabilita dal comma 2 della disposizione secondo cui le parti possono anche concludere contratti che non appartengono ai tipi aventi una disciplina particolare, purché siano diretti a realizzare interessi meritevoli di tutela secondo l'ordinamento giuridico. È difatti agevole obiettare che il precipuo effetto del trust, ricondotto al fenomeno della segregazione, di cui si è detto, consiste nel sottrarre i beni costituenti il trust found alla garanzia generica spettanti, ai sensi dell'art. 2740 c.c., ai creditori del disponente: ma tale norma ammette di essere derogata non già per volontà delle parti, ossia per effetto del principio di autonomia contrattuale, bensì solo ed esclusivamente per legge, giacché, secondo il comma 2 della disposizione, le limitazioni della responsabilità non sono ammesse se non nei casi stabiliti dalla legge. Altra cosa è sostenere, come è stato fatto, che la non applicabilità dell'art. 2740 c.c. emerge dal combinato disposto degli artt. 2 ed 11 della Convenzione che identificano in modo esclusivo la fonte della segregazione: non sarebbe pertanto necessario, al fine di sottrarsi all'applicazione della previsione generale dell'art. 2740 c.c comma 1, invocare la legge di ratifica della Convenzione come una delle possibili deroghe di fonte legale prevista al comma 2. Egualmente è stato osservato che la Convenzione de L'Aja opera direttamente nel tessuto normativo interno, consentendo la trascrizione dell'atto istitutivo di trust; ne consegue che la riserva apposta alla trascrizione dal Conservatore dei Registri Immobiliari deve essere rimossa (Trib. Napoli 16 giugno 2005, in Trusts e attività fiduciarie, 2006, 249). Secondo tale decisione, la Convenzione dell'Aja relativa alla legge sui trusts, pur non contenendo disposizioni che disciplinino e definiscano compiutamente l'istituto del trust, ha indicato i requisiti minimi affinché possa parlarsi di trust: un soggetto settlor si spoglia della proprietà di parte o di tutti i suoi beni con atto tra vivi o mortis causa e li pone sotto il controllo del trustee con l'obbligo di amministrarli nell'interesse di una o più persone. Pertanto i beni del trust costituiscono patrimonio separato e sono intestati al trustee con un vero e proprio trasferimento avente natura reale. Dal fatto che i beni costituiscono patrimonio separato, ne consegue che non possono essere aggrediti dai creditori del trustee neppure in caso di fallimento essendo esclusi dalla sua successione e dal regime patrimoniale proprio del matrimonio. Nel sistema italiano la trascrizione nei pubblici registri rappresenta lo strumento apprestato ai fini dell'opponibilità delle vicende circolatorie dei relativi diritti. Il problema che si pone è quello di superare la natura di numero chiuso degli atti trascrivibili in base all'art. 2643 c.c. Infatti ritenere l'atto di trust non trascrivibile in quanto non rientrante tra gli atti soggetti a trascrizione renderebbe tamquam non esset la ratifica della Convenzione in quanto i beni non potrebbero essere intestati al trustee e non sarebbe opponibile ai terzi l'effetto della separazione dei beni in trust da quelli personali del trustee. Partendo dalla considerazione che è ormai ius receptum l'ammissibilità della trascrizione di atti atipici rispetto alle categorie di cui all'art. 2643 c.c., ammissibilità che fonda le sue radici sul presupposto che tali atti producono comunque effetti riconducibili, anche se in parte, agli effetti dei contratti menzionati dal legislatore (si pensi alla multiproprietà o alla proprietà fiduciaria), occorre ritenere che, in assenza di una disposizione che faccia divieto di trascrizione, la trascrizione del trust discenda dalla stessa legge di ratifica la quale ha introdotto una nuova figura di atto soggetto a trascrizione, quello costitutivo di trust, con il quale sia trasferita la proprietà di beni immobili. L'incompatibilità della trascrizione del trust con l'ordinamento cui fa riferimento l'art. 12 della Convenzione dell'Aja deve essere valutata dunque in concreto avendo riguardo alla tipologia di beni conferiti in trust essendo evidente che non sarà trascrivibile un trust avente ad oggetto somme di denaro o beni mobili. In altra occasione è stato affermato che sulla base dell'art. 12 della Convenzione de L'Aja, e della relativa legge di ratifica, il trustee è titolare di un diritto potestativo, al quale corrisponde un obbligo dei soggetti deputati alla pubblicità, di ottenere la trascrizione del vincolo di trust su bene immobile, quale che ne sia l'effetto (Trib. Pisa 22 dicembre 2001, in Notariato, 2002, 383). È stato ancora ribadito che va trascritto nei registri immobiliari l'atto con cui un soggetto provvede a nominarsi trustee di un bene immobile di sua proprietà (Trib. Parma 21 ottobre 2003, in Foro it., 2004, I, 1296; in Corr. giur., 2004, 76). Si è osservato, nella pronuncia, che a tale trascrivibilità non osta il principio della tassatività degli atti trascrivibili, ritenuto «da tempo abbandonato». È stato detto inoltre che deve trascriversi in via definitiva ai registri immobiliari la scrittura con firme autenticate da notaio istitutiva di trust per l'affidamento al trustee di beni immobili e diritti, atteso che, con la cessione di essi dal settlor al trustee, si ha un trasferimento qualificato di beni in trust, da cui risulta un patrimonio separato. Oltre le norme codicistiche, ai trusts interni si applica la convenzione dell'Aja, salvo che il trust sia vietato o incompatibile con la legislazione italiana (Trib. Bologna 18 aprile 2000, in Trusts e attività fiduciarie, 2000, 372; in Nuovo Dir., 2001, 793; in Notariato, 2001,45). Si è anche affermato che, ove si volesse ritenere che l'art. 12 della Convenzione dell'Aja sul riconoscimento del trust non sia applicabile ai trusts di diritto interno, bisognerebbe riconoscere la presenza di una lacuna dell'ordinamento, colmabile attraverso il ricorso all'applicazione analogica dell'art. 2647 c.c. Un'ampia decisione resa sul tema ha ritenuto doversi muovere dalla constatazione che con il riconoscimento della Convenzione dell'Aja l'Italia ha inteso esplicitamente introdurre nel nostro ordinamento la figura del trust che costituisce istituto giuridico proprio dei paesi di common law del tutto ignoto al nostro diritto, individuando da un lato la legge applicabile (arti 6-9), dall'altro la riconoscibilità nel nostro ordinamento (artt. 11-14), nonché i requisiti minimi per il riconoscimento (artt. 3-5) e le caratteristiche fondamentali (art. 2). Si è aggiunto che il trust come configurato nell'art. 2 trova gli unici ostacoli discendenti dagli artt. 16, 21 e 22 (richiamati dall'art. 26) in ordine a possibili riserve dello stato aderente alla Convenzione che in sede di ratifica abbia formulato, appunto, le riserve previste dalle menzionate norme; queste, nel caso di specie, lo stato italiano non ha inteso formulare. In tale contesto, l'unico controllo da eseguire, da parte del Conservatore, è soltanto quello della presenza delle caratteristiche specifiche dell'istituto che sono date: a) dalla esistenza di un atto tra vivi o mortis causa (art. 2, primo comma); b) dall'attuato trasferimento dei beni al trustee per un fine specifico (art. 2, primo comma); c) dalla segregazione dei beni (art. 2 lett. a) e dalla loro intestazione al trustee (art. 2 lett. b); dalla indicazione dei poteri di quest'ultimo (art. 2 lett. e); dalla risultanza del trust da atto scritto e del carattere volontario della sua costituzione (art. 3) Fatto tale esame l'unica verifica residua per il Conservatore pare essere il controllo che esista «la legge scelta dal costituente» a mente dell'art. 6, perché costituisce ovvia osservazione che tale legge non potrà mai essere quella italiana che l'istituto non conosce pur avendone recepito la struttura e regolamentato proprio sulla base di scelta rimessa al costituente la legge applicabile al trust convenzionale che lo stato aderente si impegna a riconoscere (art. 11) senza esclusioni. Il tribunale ha quindi ritenuto insussistente qualunque violazione del disposto di cui all'art. 13 che pare costituire norma di chiusura della convenzione. Tale norma afferma soltanto che lo stato italiano «non è tenuto a riconoscere un trust i cui elementi importanti ad eccezione della scelta della legge da applicare, del luogo di amministrazione e della residenza abituale del trustee, sono più strettamente connessi a Stati che non prevedono l'istituto del trust». L'unica possibilità di interpretazione logica dell'art. 13 non è quella di porre detto articolo in conflitto con l'art. 6 («il trust è regolato dalla legge scelta dal costituente») o con l'art. 11 («un trust costituito in conformità alla legge specificata dovrà essere riconosciuto come trust») bensì piuttosto di considerare la norma dì chiusura anche ultronea per ribadire che possono non essere riconosciuti quei trusts che costituiscano frode alla legge siccome volti creare situazioni in contrasto con l'ordinamento in cui devono operare. Pertanto occorre valutare che nel nostro ordinamento vige il principio dell'autonomia privata (art. 1322 c.c.); che la scelta di legge straniera regolatrice del trust costituisce una necessità che discende dalla insussistenza di tale istituto nel nostro diritto, che, infine l'art. 13 in esame vuole porsi nell'alveo del principio posto dall'art. 1344 c.c. che sanziona con la nullità il contratto in frode alla legge. D'altro canto, ove fossero individuati elementi ostativi tout court, verrebbe a cadere qualsiasi effetto al riconoscimento che lo Stato italiano ha operato dell'istituto del trust. La soluzione restrittiva, per di più, si esporrebbe a sospetti di incostituzionalità, giacché mentre allo straniero sarebbe consentito il riconoscimento regolamentato da diritto straniero del trust costituito in Italia, al cittadino sarebbe precluso di avvalersi dell'istituto stesso nel suo paese. Proseguendo, ulteriormente, nella valutazione di eventuali specifici elementi di contrarietà con l'ordinamento italiano il tribunale ha negato qualsiasi possibilità di contrasto del riconoscimento del trust con il principio posto dall'art. 2740 c.c. Un conflitto tra il principio della responsabilità patrimoniale del debitore con tutti i suoi beni e la segregazione in cui si sostanza il trust non configge con principi inderogabili di ordine pubblico perché nel nostro ordinamento vi sono altri istituti in cui la limitazione della responsabilità può attuarsi e nessuno ha mai dubitato della loro legittimità, salvo particolare circostanze in cui rilevi un tentativo di frode alla legge ovvero venga sancita la inefficacia dell'atto per la tutela della par condicio creditorum nella ricorrenza di istituti a tutela dei creditori stessi. Basta pensare all'ipotesi di cui all'art. 1707 c.c. (che sottrae all'azione esecutiva del creditori del mandatario i beni che questi abbia acquisito a nome proprio nel mandato senza rappresentanza) o alla disciplina del fondo patrimoniale (art. 170 c.c. per cui solo i creditori per obbligazioni sorte per i bisogni della famiglia possono agire sui beffi del fondo), oltre che a tutte le ipotesi riconosciute in materia societaria dagli artt. 2447-bis 2447-decies c.c. D'altra parte se tale effetto (la segregazione) non fosse possibile, non avrebbe avuto senso riconoscere il trust per il quale l'effetto tipico è proprio quello indicato, tra gli altri dall'alt. 11, secondo comma, della legge di ratifica. Né il richiamo al numerus clausus dei diritti reali può legittimare il rifiuto di iscrizione. In proposito la indagine deve correttamente partire dalla legge prescelta per regolamentare l'istituto, quella del Jersey, che dispone il trasferimento dei beni dal costituente al trustee, cosicché risulta pacifico che con la convenzione i beni siano stati trasferiti essendone diventato titolare proprio il trustee. Ora tale situazione, che la iscrizione vuole rendere nota ai terzi, non si pone in contrasto né con l'art. 832 c.c., perché il diritto del proprietario di godere dei bene ben potrebbe esprimersi con la consapevole volontà di non goderne affatto, sia perché nell'ambito del principio di tutela dell'autonomia privata già da tempo vengono riconosciute forme di proprietà assolutamente peculiari rispetto al concetto tradizionale (Trib. Bologna 8 aprile 2003, in Riv. not., 2003, 1633; nello stesso senso Trib. Verona 8 gennaio 2003, in Trusts e attività fiduciarie, 2003, 409; Trib. Milano 29 ottobre 2002, in Giur. mil., 2003, 202). Nella medesima prospettiva è stato osservato che la tassatività delle norme sulla trascrizione non andrebbe guardata sotto il profilo dell'atto, ma sotto quello degli effetti. L'art. 2645 c.c., nello stabilire che deve rendersi pubblico «ogni altro atto o provvedimento che produca, in relazione ai beni immobili o a diritti immobiliari taluno degli effetti dei contratti menzionati nell'art. 2643 c.c.», porrebbe cioè un principio di tipicità dei risultati e non di atti, nel senso che va trascritto qualsiasi atto che, pur non rientrando nello schema dei contratti, degli atti o provvedimenti o delle sentenze indicati nell'art. 2643 c.c., tuttavia, produca uno o più degli effetti ad esso rapportabili (Trib. Trieste 23 settembre 2005, in Trusts e attività fiduciarie, 2006, 126). La pronuncia richiama alcune decisioni della S.C., fra le quali, Cass. n. 11250/1997, secondo la quale «il negozio ... finalizzato ad incidere sul regime dominicale della res e, in particolare, su diritti considerati dall'ordinamento, inerenti al bene immobile oggetto della convenzione negoziale, merita pubblicità». Anche Trib. Bologna 18 aprile 2000, in Trusts e attività fiduciarie, 2000, 372, si sofferma sull'esame dell'art. 2645 c.c. che, imponendo la trascrizione anche di ogni altro atto o provvedimento che produca in relazione a beni immobili o diritti immobiliari, taluno degli effetti dei contratti menzionati nell'art. 2643 c.c., impone di considerare che il legislatore abbia attribuito specifica ed esclusiva rilevanza al mutamento giuridico che gli atti producono, indipendentemente dalla natura dell'atto dal quale deriva. A sostegno di ciò, viene evidenziata la non più ritenuta univoca concezione del trasferimento della proprietà, a fronte della multiproprietà e proprietà fiduciaria, all'ammissibilità della trascrizione di istituti, quali le obbligazioni propter rem, ovvero le convenzioni che impongono vincoli di natura urbanistica, alla locazione ultranovennale, i quali determinano una compressione della proprietà i cui effetti rientrano in quelli previsti exartt. 2643 e 2645 c.c. Altra parte della giurisprudenza di merito, invece, appare orientata a negare validità e, di conseguenza, trascrivibilità al trust di diritto interno. Tale orientamento si fonda essenzialmente sul rilievo che i trust di diritto interno non sono legittimati dall'art. 12 della Convenzione dell'Aja, in quanto tale convenzione si applica solo ai trust che presentino elementi di internazionalità (Trib. Firenze 5 giugno 2002, in Foro toscano, 2003, 1, 17). Ha osservato, in particolare, Trib. Belluno 25 settembre 2002, in Foro it., 2003, I, 637; in Riv. dir. internaz. priv. e proc., 2003, 510, che la Convenzione dell'Aja dell'1 luglio 1985 regola conflitti di legge e non ha assunto il carattere di convenzione di diritto sostanziale uniforme; di conseguenza, il trust è riconosciuto nel nostro ordinamento nei limiti dettati dall'art. 13 della stessa e cioè solo quando si tratta di un trust costituito in uno Stato che conosca e disciplini il tipo di trust in questione. Pertanto il c.d. trust interno non trova riconoscimento in Italia e, per tale ragione, non può essere fatto oggetto di pubblicità dichiarativa (nello stesso senso, Trib. S. Maria Capua Vetere 14 luglio 1999, in Trusts e attività fiduciarie, 2000, 251). Ancora, secondo Trib. Udine 28 febbraio 2015, in Corr. giur., 2016, 1097, poiché la Convenzione dell'Aja non impone agli Stati contraenti il riconoscimento dei trust interni, e poiché alla legge di ratifica della Convenzione non può essere attribuito valore normativo diverso ed ulteriore rispetto a quello desumibile dalla Convenzione, siffatti trust non possono essere riconosciuti dal nostro ordinamento o, meglio, i relativi atti di costituzione devono essere dichiarati nulli per impossibilità giuridica dell'oggetto, in quanto volti a creare una forma di segregazione patrimoniale non prevista e non consentita dal nostro ordinamento. Analogamente è stato detto che non può essere trascritto l'atto di costituzione di un trust di diritto interno, nel quale il disponente nomini trustee se stesso, in quanto tale atto finirebbe per elidere la generale garanzia patrimoniale del debitore, di cui all'art. 2740 c.c. (Trib. Napoli 1° ottobre 2003, in Contr., 2004, 7, 722). Ed ancora, il trust c.d. autodichiarato, ove disponente e trustee sono la stessa persona, non è nullo, se regolato dalla legge di uno Stato che lo prevede valido, esso però, ancor prima, non è riconoscibile in Italia, poiché non rispondente al tipo dell'art. 2 Convenzione dell'Aja, 1 luglio 1985. Il trust c.d. interno, invece, non è riconoscibile in Italia, ostandovi l'art. 13 Convenzione (Trib. Monza 13 ottobre 2015, in Quotidiano Giuridico, 2015). Sulla stessa lunghezza d'onda è stato ribadito che è inammissibile nel nostro sistema giuridico il trust «domestico»; di conseguenza, è priva di effetto la trascrizione del negozio costitutivo di detto trust, avvenuta con riserva (App. Napoli 27 maggio 2004, in Il Notaro, 2005, 60). Contrasti si rinvengono anche con riguardo al regime tavolare. È stato detto, in argomento, in una decisione già poc'anzi menzionata, con riferimento ad una richiesta di trascrizione soltanto dell'atto dispositivo a favore del trustee, e non anche dell'atto istitutivo, che, ai fini di rendere operante la previsione pubblicitaria dell'art. 12 della Convenzione dell'Aja, si impone uno specifico intervento normativo volto ad individuare i necessari adempimenti che prevedano, oltre all'intavolazione dell'atto traslativo del bene in capo al trustee, anche la necessaria annotazione del titolo istitutivo del trust (Trib. Belluno 25 settembre 2002, in Foro it., 2003, I, 637; in Riv. dir. internaz. priv. e proc., 2003, 510). La pronuncia richiamo anch'essa l'art. 12 della Convenzione, che legittima la pubblicità degli acquisti immobiliari, salvo che ciò, non sia vietato o sia incompatibile a norma della legislazione dello Stato, nel quale la registrazione deve aver luogo. Nel porre a confronto tale norma con le disposizioni dettate dal r.d. n. 499/1929, il giudice ha formulato un giudizio di incompatibilità, sul rilievo che l'art. 20 lett. h) della legge tavolare richiama previsioni normative nella specie non previste. A riprova dell'assenza di automatismi nel passaggio dalla disciplina della trascrizione, a quella della legge tavolare, la pronuncia si sofferma sulla pubblicità dei contratti preliminari, introdotti con l'art. 2645-bis c.c., il quale ha comportato una modifica integrativa nell'art. 12 del r.d. n. 499/1929. Sempre con riguardo al regime tavolare, Trib. Trento 7 aprile 2005, in Trusts e attività fiduciarie, 2005, 406, ha dato un'interpretazione diversa dell'art. 12 della Convenzione, la quale «costituisce, essa sola, la fonte normativa di riferimento, in quanto l'atto di ratifica della Convenzione ha comportato di per sé l'acquisizione nel sistema sostanziale di un'altra espressa previsione di trascrizione consentita». Ha precisato, in particolare, il tribunale che, l'art. 20, lett. h), r.d. n. 499/1929 consentirebbe alle norme giuridiche che non trovano un proprio corrispondente specifico per la pubblicità nella legge tavolare, di esplicare i loro effetti anche nel predetto sistema, affermando che la pubblicità dell'effetto traslativo trova la sua giustificazione negli artt. 2643 e 2645 c.c., mentre per gli effetti vincolistici, è ipotizzabile un'applicazione analogica dell'art. 2647 c.c., dettato in materia di fondo patrimoniale. Anche Trib. Trieste 23 settembre 2005, in Trusts e attività fiduciarie, 2006, 126, pronuncia già menzionata, conclude per l'intavolazione e non la semplice annotazione del diritto di proprietà a favore del trustee, pur trattandosi, nel caso di specie, di proprietà limitata nel tempo (due anni), in favore del segretario di una Fondazione bancaria, intestatario di un bene comunale per il periodo di esecuzione di opere di ampliamento. Della trascrizione del trust si è occupata anche la S.C., secondo la quale è escluso che il trust possa essere considerato titolare di diritti e tanto meno destinatario di un pignoramento; le esigenze di rigore formale che permeano il regime di pubblicità immobiliare impediscono di riferire al trustee una nota di trascrizione che univocamente identifica nel solo trust il soggetto contro cui è eseguita la formalità (Cass. n. 2043/2017). Nell'occasione la Corte di legittimità ha affrontato la tematica delle modalità del pignoramento di beni conferiti in trust: istituto costantemente definito non già quale ente dotato di personalità giuridica, ma quale semplice insieme di beni e rapporti destinati ad un fine determinato, nell'interesse di uno o più beneficiari, formalmente intestati al trustee. Infatti, «con il trust alcuni beni vengono posti sotto il controllo di un fiduciario, il trustee, nell'interesse di uno o più beneficiari e per un fine determinato. Secondo quanto prevede l'art. 2 della Convenzione dell'Aja dell'1 luglio 1985, resa esecutiva in Italia con la l. n. 364/1989, il vincolo di destinazione mantiene i beni in trust distinti dal patrimonio del trustee, cui è demandato di amministrare, gestire o disporre dei beni in conformità alle disposizioni del trust e secondo le norme imposte dalla legge al trustee; benché il trust non abbia personalità giuridica, dunque, il trustee è l'unico soggetto legittimato nei rapporti con i terzi, in quanto dispone in esclusiva del patrimonio vincolato alla predeterminata destinazione» (Cass. n. 25800/2015). Di conseguenza, è il trustee l'unica persona di riferimento con i terzi e non quale legale rappresentante, ma quale soggetto che dispone del diritto (Cass. n. 25478/2015; Cass. n. 3456/2015): e ciò in quanto l'effetto proprio del trust non è quello di dare vita ad un nuovo soggetto di diritto, ma quello di istituire un patrimonio destinato ad un fine prestabilito (Cass. n. 10105/2014). Quale ulteriore conseguenza, Cass. n. 2043/2017 ha escluso che possa ritenersi in alcun modo il trust titolare di diritti e tanto meno destinatario di un pignoramento che abbia ad oggetto i medesimi: e l'applicazione di tale pacifica conclusione al campo delle esecuzioni civili porta all'ulteriore corollario che i beni conferiti nel trust debbono essere pignorati nei confronti del trustee, perfino a prescindere dall'espressa spendita di tale qualità, relegando ad una valutazione di mera opportunità — e quindi di mera facoltatività — un'apposita menzione dell'appartenenza di quelli ad una massa separata o segregata, quale in genere viene ricostruito il patrimonio che il trust compone. Al contrario, un pignoramento che colpisca beni che si prospettano nella — formale e separata — titolarità di un trust prospetta una fattispecie giuridicamente impossibile secondo il vigente ordinamento interno e, quindi, insanabilmente nulla per impossibilità di identificare un soggetto esecutato giuridicamente possibile, siccome inesistente e quindi insuscettibile tanto di essere titolare di diritti che — soprattutto e per quanto rileva ai fini della proseguibilità del relativo processo esecutivo di subire espropriazioni (cioè coattivi trasferimenti) dei medesimi. Neppure può dirsi che, con le espressioni in concreto adoperate ed adeguatamente prese in considerazione dal giudice dell'esecuzione prima e dal giudice della qui gravata sentenza poi, possa ritenersi che il pignoramento sia stato riferito alla persona del trustee in tale qualità; le testuali espressioni adoperate, soprattutto con la nota di trascrizione (che univocamente identifica nel solo trust il soggetto contro cui è eseguita la formalità) non lasciano dubbi in ordine all'identificazione del soggetto esecutato quale appunto il trust come se fosse soggetto di diritto o «entificato», mentre le esigenze di rigore formale che permeano il regime di pubblicità immobiliare non consentono di interpretare il pignoramento e la relativa nota di trascrizione come riferiti, anziché al trust in persona del trustee, a quest'ultimo di persona, ma in detta specifica qualità: e con questo si devono disattendere anche le relative censure mosse prima in sede di opposizione agli atti esecutivi e poi con il ricorso per cassazione. Nè il fatto che una, per quanto limitata, soggettività giuridica si riconosca a prescindere dalla personalità in senso stretto anche ad altri enti può giovare al creditore del trust; e questo: — non solo per l'ontologica diversità delle fattispecie prese a riferimento (associazioni non riconosciute, società di persone, fondi di investimento) rispetto al trust, che mantiene ferma la titolarità dei beni e dei rapporti, in cui si risolve, in capo al trustee, solo fondando in capo al beneficiario diritti assimilabili a diritti relativi nei confronti di quest'ultimo e dando luogo, a tutto concedere, ad una massa segregata del patrimonio del trustee (e — soprattutto nel caso dei trust autodichiarati — fermo il riscontro della meritevolezza dell'interesse perseguito nei contratti atipici così posti in essere o della validità della causa per non illiceità); — quanto soprattutto perché le altre fattispecie trovano un sicuro riferimento normativo, che consente di ancorare la manifestazione di volontà negoziale delle parti, nella direzione o con l'effetto di una per quanto limitata soggettivizzazione, ad una facoltà espressamente ed univocamente ad essa conferita dalla legge: ciò che istituzionalmente manca nella fattispecie del trust, per il contrario tenore testuale della sola disposizione di diritto interno (la vista norma di ordine di esecuzione della richiamata Convenzione dell'Aja, dove il trust continua ad essere definito un insieme di rapporti) e l'insufficienza del richiamo ad eventuali diversi ordinamenti stranieri prescelti dalle parti a modello della autoregolamentazione concreta, visto che quell'istituto è in genere ricostruito anche negli ordinamenti di provenienza, soprattutto anglosassoni, come privo di soggettività autonoma, oltretutto nel senso romanistico o di civil law. Ed infine si è ribadito che il conferimento di immobili nel trust non sconta le imposte ipotecaria e catastale in misura proporzionale. La pronuncia, riprendendo, alcuni precedenti, giudica illogico ritenere che le imposte ipotecaria e catastale possano applicarsi in misura proporzionale per la trascrizione e la voltura di atti che importano trasferimento di proprietà di beni immobili al momento del conferimento dei beni in trust, in quanto il conferimento determina un trasferimento (a favore del trustee) che risulta: limitato, in quanto il godimento del bene da parte del trustee è compresso dal vincolo di destinazione istituito dall'atto di trust e, quindi, è un diritto limitato rispetto a quello di cui sarebbe titolare il pieno proprietario; temporaneo, in quanto limitato anche nel tempo. In conclusione, il trasferimento definitivo di ricchezza — che rileva quale indice di capacità contributiva in relazione al cui manifestarsi sono pretendibili le imposte proporzionali — si verifica solo al momento del trasferimento finale al beneficiari (Cass. V, n. 7003/2020). Preso atto del prevalente orientamento della dottrina e della giurisprudenza per la trascrivibilità del trust, occorre ancora osservare come ricorrano altresì contrasti in ordine alle modalità della trascrizione: e cioè, se debba effettuarsi un'unica trascrizione contro il disponente ed a favore del trustee, ovvero una duplice trascrizione, contro il disponente ed a favore del trustee nonché contro quest'ultimo, ovvero, ancora, se debba trascriversi contro il disponente ed a favore del trust. In particolare, con riguardo ai trust caratterizzati da un trasferimento di diritti dal disponente al trustee si è in un primo tempo ritenuto occorrente l'espletamento di una sola formalità, cioè la trascrizione effettuata contro il disponente ed a favore del soggetto trustee con indicazione di detta sua qualità sia nel quadro della relativa nota concernente i «soggetti a favore», sia nel quadro concernente «altri aspetti che si ritiene utile pubblicare», ed inoltre con indicazione degli estremi e contenuti essenziali dell'atto istitutivo (Piccoli-Corso-Dolzani, 1397; v. altresì la Nota del Ministero delle Finanze-Dipartimento del Territorio-Direzione Compartimentale del territorio per le regioni Piemonte, Liguria, Val D'Aosta, in Trusts e attività fiduciarie, 2000, 296 ss.). La stessa prospettiva è stata accolta in una pronuncia mediante la quale si è ritenuto ingiustificato il rifiuto del Conservatore dei Registri Immobiliari di trascrivere l'atto di compravendita immobiliare, nel quale l'acquirente è un soggetto che agisce in qualità di trustee (Trib. Chieti 10 marzo 2000, in Trusts, 2000, 372). Con tale decisione il giudice ha accolto il reclamo avverso il rifiuto opposto dal Conservatore dei Registri Immobiliari alla trascrizione di un atto di compravendita immobiliare di cui parte acquirente era un trastee di un trust regolato dal diritto inglese. Secondo il tribunale occorrerebbe infatti considerare che l'articolo 2643 c.c. indica tutti gli atti soggetti a trascrizione, senza alcuna limitazione ricollegabile alle parti contraenti, con conseguente mancanza di giustificazione dell'rifiuto da parte del Conservatore di trascrivere un ordinario atto di compravendita stipulato, da un lato, da una persona fisica e, dall'altro, da un soggetto agente nella qualità di trustee. Si è obbiettato, in dottrina, che tale soluzione finisca per essere se stessa contraddittoria, giacché afferma e nega nello stesso tempo che il trustee sia pieno proprietario dei beni conferiti in trust (Gazzoni, 2001, 1247). Seguendo un diverso suggerimento dottrinale (Gallizia, 148) si è ritenuta necessaria una duplice formalità: una prima trascrizione effettuata contro il disponente ed a favore del trustee, ai sensi dell'art. 2643 c.c., volta ad evidenziare il trasferimento dal disponente al trustee); una seconda trascrizione effettuata contro il trustee, diretta a far constare l'esistenza del vincolo di destinazione sui beni a costui appartenenti, analogamente a quanto previsto dall'art. 2647 c.c. per il fondo patrimoniale. Le modalità così indicate riguardano i trust che comportino un trasferimento di beni immobili o mobili registrati dal disponente al trustee. Per quanto attiene invece alla trascrizione del trust autodichiarato, pare doversi effettuare soltanto la seconda delle due citate trascrizioni, ossia quella contro il trustee (in questo senso Gallizia, 149). In dottrina è stata sostenuta tuttavia anche una distinta tesi, secondo la quale la trascrizione del trust, sia in caso di trust tale da comportare un trasferimento, sia in caso di trust autodichiarato, dovrebbe essere effettuata contro il disponente ed a favore del trust (Parisi, 2011, 608; Parisi, 2014, 374 ss.; Stefani, 414; Franceschini, 385 ss.; Moschetti, 487). La stessa soluzione è stata accolta in giurisprudenza in un caso in cui il disponente aveva devoluto in trust, con relativo trasferimento al trustee, affinché lo stesso ne disponesse nell'interesse dei beneficiari, taluni beni immobili, con riserva a proprio favore il diritto di abitazione. In tale frangente il notaio aveva presentato la relativa nota di trascrizione, compilando il quadro C relativo ai soggetti come segue: contro «B.C.» [ossia il disponente: n.d.r.] ed a favore di «trust B.». Il Responsabile del Servizio di Pubblicità Immobiliare dell'Agenzia del Territorio competente aveva eseguito la formalità «con riserva», in forza della seguente motivazione: «l'ufficio rileva che non è prevista una norma che attribuisca espressamente ai fini della pubblicità immobiliare la possibilità di considerare validamente attuativo per il trasferimento di immobili, un atto di devoluzione effettuato direttamente al trust; si sostiene infatti che il trust non è provvisto di soggettività giuridica e pertanto non esplica i suoi effetti un atto di trasferimento esclusivamente a suo favore; pertanto secondo l'ufficio occorrerebbero due formalità: una per la trascrizione del trasferimento di proprietà e l'altra del vincolo in trust; ricorrendo tali dubbi, si accetta la formalità con riserva». Il tribunale ha invece ritenuto preferibile l'esecuzione di una sola formalità contro il disponente ed a favore del trust, dal momento che la modalità pubblicitaria prospettata dal notaio troverebbe fondamento normativo nell'art. 2645 c.c. che, in sostanza, esclude la tassatività delle fattispecie trascrivibili, disponendo testualmente che «deve del pari rendersi pubblico, agli effetti previsti dall'articolo precedente, ogni altro atto o provvedimento che produce in relazione a beni immobili o a diritti immobiliari taluno degli effetti dei contratti menzionati nell'art. 2643 c.c., salvo che dalla legge risulti che la trascrizione non è richiesta o è richiesta a effetti diversi». Prosegue il tribunale osservando che la tesi del notaio reclamante presenta il vantaggio di non richiedere una nuova trascrizione nel caso di sostituzione del trustee di un trust nel cui fondo sono compresi beni immobili; in tal caso, infatti, è sufficiente l'annotazione alla originaria trascrizione. Ancora, tale modalità presenta un evidente vantaggio pratico nel caso in cui il vecchio trustee revocato oppure gli eredi del trustee defunto non siano collaborativi e disponibili ad intervenire nell'atto con il quale il soggetto titolare del relativo potere nomina il nuovo trustee: infatti, per ottenere una trascrizione contro un soggetto, in mancanza di un atto da cui risulti il suo consenso, occorrerebbe un provvedimento giudiziale; invece, per il semplice compimento dell'annotazione alla trascrizione originaria non sarebbe necessaria la partecipazione all'atto del vecchio trustee, contro il quale non viene effettuata alcuna trascrizione, essendo l'annotazione compiuta a favore e contro i soggetti indicati nella trascrizione cui essa fa riferimento; sarebbe pertanto sufficiente che l'atto di nomina del nuovo trustee in sostituzione del precedente (revocato o venuto a mancare) oppure del trustee aggiuntivo venga sottoscritto dal soggetto competente alla nomina del nuovo trustee e da quest'ultimo, per accettazione, e che si fornisca prova della cessazione del precedente (Trib. Torino 10 febbraio 2011, in Trusts e attività fiduciarie, 2011, 627). Anche secondo Trib. Torino 10 marzo 2014, in Trusts e attività fiduciarie, 2014, 430, la trascrizione di un atto istitutivo di trust, in questo caso autodichiarato, può essere eseguita contro il disponente ed a favore del trust, non presupponendo questa formalità la soggettività del trust e presentando anzi il vantaggio di non dover essere richiesta una nuova trascrizione nel caso di sostituzione del trustee qualora nel fondo in trust siano ricompresi beni immobili, essendo al contrario sufficiente l'annotazione all'originaria trascrizione. La soluzione è stata tuttavia fatta oggetto di critica, per l'ovvia considerazione che, alla luce di un'opinione concordemente riconosciuta in dottrina ed in giurisprudenza, il trust è totalmente privo di soggettività giuridica, e dunque non può essere destinatario di una trascrizione a sé favorevole (Muritano, 2014, 361 ss.; Corsini, 78). Anche la giurisprudenza è pervenuta al medesimo risultato in un caso in cui era stato chiesto che il conferimento in trust di un'azienda fosse intestato al trust e non, invece al trustee, con conseguente accoglimento dell'opposizione alla trascrizione con riserva effettuata dal Conservatore dei Registri Immobiliari. Nel caso considerato il giudice ha ritenuto che i beni conferiti in trust debbano essere intestati al trustee e non invece al trust. Una tale soluzione, che viene indicata come corrispondente alla prassi comunemente invalsa presso le Conservatorie dei Registri Immobiliari, è stata ritenuta conforme alla giurisprudenza di legittimità la quale, sulla base di considerazioni che appaiono riconducibili anche all'ipotesi di trust, tende ad escludere la possibilità di trascrizione dell'acquisto in favore di un fondo che sia privo di personalità giuridica, venendo in rilievo, piuttosto, una ipotesi di patrimonio separato, come tale insuscettibile di vedersi intestato un acquisto immobiliare (Trib. Bassano del Grappa 29 maggio 2013, in Trusts e attività fiduciarie, 2014, 441). In altra occasione è stato parimenti osservato che il trust, definito dall'art. 2 della Convenzione dell'Aja come complesso di «rapporti giuridici» istituiti, con atto tra vivi o per causa di morte, da una persona, disponente, che pone determinati beni sotto il controllo di altra persona, trustee, nell'interesse di un beneficiario o per uno specifico scopo, non ha alcuna autonoma personalità e soggettività giuridica. L'art. 12 della Convenzione legittima solo il trustee a richiedere la pubblicità nella qualità sua propria o in qualsiasi altro modo che rivedi l'esistenza del trust, salvo che ciò sia vietato dalla legge dello Stato in cui la pubblicità debba eseguirsi o sia contare legge incompatibile, il che comporta, avuto riguardo alla normativa italiana, che non consente pubblicità immobiliare contro o a favore di complessi non aventi soggettività giuridica, la pubblicità suddetta possa avvenire unicamente mediante trascrizione in favore del trustee, con la contestuale pubblicità del vincolo a carico di lui, attuabile o con una menzione nella stessa nota di trascrizione in favore o con autonoma trascrizione contro il medesimo trustee. A contraria conclusione non può pervenirsi per il solo fatto che l'agenzia delle entrate attribuisca al trust un codice fiscale, che costituisce un comportamento, per certi versi criticabile, comunque proveniente da una semplice amministrazione, quella finanziaria, non idoneo ad imprimere al trust, in contrasto con il sistema giuridico sopra delineato, una qualsivoglia soggettività giuridica (App. Trieste 30 luglio 2014, in Riv. not., 2014, 1308). Si è poi già in precedenza ricordato che Cass. n. 2043/2017 ha espressamente escluso la configurabilità di una soggettività giuridica del trust. Occcorre qui aggiungere che tale soluzione, oltre a trovare riscontro in un'ampia giurisprudenza di merito (Trib. Velletri 29 giugno 2005, in Trusts e attività fiduciarie, 2005, 577; Trib. Voghera 25 febbraio 2010, in Trusts e attività fiduciarie, 2010, 278; Trib. Reggio Emilia 14 marzo 2011, in Trusts e attività fiduciarie, 2011, 631; Trib. Roma 8 maggio 2013, in Trusts e attività fiduciarie, 2014, 528; Trib. Udine 4 novembre 2013, in Trusts e attività fiduciarie, 2014, 437; Trib. Bassano del Grappa 29 maggio 2013, in Trusts e attività fiduciarie, 2014, 441), è accolta anche in altre decisioni della S.C. (v. le già citate Cass. n. 10105/2014; Cass. n. 3456/2015; Cass. n. 25478/2015; Cass. n. 25800/2015; Cass. n. 17519/2016, ove si sanziona l'infondatezza della censura con cui veniva contestato il mancato riconoscimento della qualità di parte ad un trust, in quanto «come questa Corte ha più volte spiegato, il trust (secondo quanto si trae dall'art. 2 della Convenzione dell'Aja del l° luglio 1985, resa esecutiva in Italia con l. n. 364/1989) non è un ente dotato di personalità, o comunque di distinta soggettività giuridica, suscettibile di operare come centro autonomo di rapporti giuridici e rappresentato dal trustee, ma un insieme di beni destinati ad un fine determinato, formalmente intestati al trustee, che costituisce l'unica persona di riferimento con i terzi, non quale legale rappresentante, ma quale soggetto che dispone del diritto. Ne deriva che non è il trust, in persona del suo legale rappresentante, a poter assumere le vesti di parte in senso sostanziale del processo, quanto piuttosto il suo trustee»; Cass. n. 1873/2016, ove parimenti si legge che «il trust non è un ente dotato di personalità giuridica, bensì un insieme di beni e rapporti destinati ad un fine determinato e solo formalmente intestati al trustee, il quale, pertanto, non vanta alcuno diritto soggettivo in relazione agli stessi, giacché «i beni in trust costituiscono una massa distinta e non sono parte del patrimonio del trustee», come dispone l'art. 2 della Convenzione dell'Aja dell'i luglio 1985, resa esecutiva in Italia con la l. n. 364/1989. Se è vero, dunque, che il trustee è l'unico soggetto di riferimento nei rapporti con i terzi, è altresì vero che il medesimo non opera quale legale rappresentante di un soggetto (che non esiste), ma nella veste formale di colui che dispone dei diritti costituenti oggetto del trust». Si è così da ultimo ribadito, in conformità all'orientamento che appare essersi assestato, che la duplice trascrizione dell'atto di conferimento in trust, la prima contro i disponenti ed in favore del trustee e la seconda contro il trustee ed in favore dei disponenti, è idonea a dare pubblicità all'effetto segregativo, senza comportare alcun ritrasferimento del bene in capo ai disponenti (Trib. Torino 31 gennaio 2018, in Trust, 2018, 417, ove si precisa che il notaio che abbia proceduto alla duplice trascrizione dell'atto di conferimento in trust, la prima contro i disponenti ed in favore del trustee e la seconda contro il trustee ed in favore dei disponenti, non risponde del danno subito dal fondo in trust per essere stata iscritta sui beni in trust ipoteca per debiti riconducibili alla sfera personale del disponente). Atti di destinazione e trustOccorre qui misurarsi con l'interferenza tra la disciplina del trust ed il dettato dell'art. 2645-ter c.c., rubricato: «Trascrizione di atti di destinazione per la realizzazione di interessi meritevoli di tutela riferibili a persone con disabilità, pubbliche amministrazioni, o ad altri enti o persone fisiche». La norma stabilisce che: «Gli atti in forma pubblica con cui beni immobili o beni mobili iscritti nei pubblici registri sono destinati, per un periodo non superiore a 90 anni o per la durata della vita della persona fisica beneficiaria, alla realizzazione di interessi meritevoli di tutela riferibili a persone con disabilità... possono essere trascritti al fine di rendere opponibili ai terzi il vincolo di destinazione». La norma prevede a) la trascrivibilità degli atti con cui beni immobili o mobili registrati vengano destinati, per un periodo non superiore a novanta anni o per la durata della persona fisica beneficiaria, alla realizzazione di interessi meritevoli di tutela, ai sensi dell'art. 1322, comma 2, c.c., riferibili a persone con disabilità, a pubbliche amministrazioni e ad altri soggetti pubblici o privati; b) la opponibilità ai terzi del relativo vincolo di destinazione; c) la non aggredibilità dei beni (con i relativi frutti) così destinati da parte di creditori per debiti non collegati allo scopo di destinazione; d) la possibilità di impiego di tali beni (e dei frutti relativi) esclusivamente per la realizzazione del fine di destinazione. Alcune differenze tra trust ed atti di destinazione possono essere subito evidenziate: -) i l vincolo ha ad oggetto beni immobili o mobili registrati, il trust invece può riguardare qualunque bene ed anche i crediti; -) per la validità del trust è sufficiente la forma scritta e non è necessaria sempre quella dell'atto pubblico, mentre il vincolo può essere apposto solo in forza di atto pubblico, non essendo sufficiente neppure la scrittura privata autenticata; -) per il trust non è previsto obbligatoriamente un limite temporale che invece è fissato in un massimo di novant'anni per il negozio di destinazione; -) il trust non impedisce di per sé l'alienazione dei beni vincolati (ove ricorra la necessità di metterne il ricavato a disposizione delle persone con disabilità, le quali, normalmente beneficiano dei redditi dei beni); al contrario nel caso di vincolo di destinazione l'alienazione dei beni è preclusa. I contributi dottrinali sulla disciplina dettata dall'art. 2645-ter c.c. sono assai numerosi (v. per tutti M. Bianca (a cura di), 2007; AA.VV., 1/2007). In particolare, la riflessione si è appuntata sull'influenza che la disposizione possiede ai fini della disciplina interna del trust. Le soluzioni prospettate sono state molteplici: taluno ha ritenuto che la norma non abbia alcuna incidenza sul trust (Spada, 120; Zoppini, 337; Gazzoni, 2006, II, 165); altri hanno replicato che debbano essere complessivamente rivisitate le conclusioni fino a tal momento raggiunte in ordine alla ammissibilità e alla regolamentazione del trust (Palermo, 85; Petrelli, II, 161). La nuova norma, in deroga al principio generale stabilito dall'art. 1379 c.c., consente di porre in essere un atto, con effetti inter partes, costitutivo di un vincolo di destinazione su un bene immobile o mobile registrato anche per la durata di novant'anni o per la durata corrispondente alla vita della persona fisica beneficiaria. Condizione di validità dell'atto tuttavia è che esso sia diretto a realizzare interessi specificamente qualificati (Luminoso, 993). Specifica l'Autore che deve trattarsi di un interesse particolarmente apprezzabile, il che si desume già dal citato art. 1379 c.c., che prevede in termini generali, per la validità del vincolo, che esso sia diretto a soddisfare un «interesse apprezzabile». Solo un interesse di rango superiore rispetto ad un generico «interesse apprezzabile» può infatti giustificare la deroga al principio generale, ossia una dissociazione tra il potere giuridico (del proprietario) e il suo contenuto economico (destinato ad altri) per un arco temporale assai più lungo di quello consentito dall'art. 1379 c.c.. La norma va perciò letta come se dicesse che la destinazione dei beni è consentita in quanto sia diretta a realizzare interessi riferibili a persone con disabilità o alla pubblica amministrazione ovvero interessi di analoga caratura riferibili a qualunque altro soggetto o ente. In definitiva, interessi collegati a fini di utilità sociale o pubblica non specificamente «preselezionati» dalla legge. L'art. 2645-ter c.c. prevede quindi una categoria di atti che comportano vincoli di destinazione, per sancirne la validità oltre i limiti temporali stabiliti dall'art. 1379 c.c. (ferma l'efficacia degli stessi tra le sole parti). Poiché l'art. 1379 c.c. detta un principio generale di ordine pubblico, la deroga prevista dall'art. 2645-ter c.c. deve considerarsi di stretta interpretazione, non estensibile oltre la previsione testuale. La norma contiene inoltre un'ulteriore deviazione dai principi generali, nello stabilire che gli atti di destinazione in questione, di per sé efficaci inter partes per la durata prevista nello stesso articolo, «possono essere trascritti al fine di rendere opponibile ai terzi il vincolo di destinazione». In tal modo il legislatore ha apportato una ulteriore deroga alla regola dell'art. 1379 c.c., consentendo che il vincolo in questione possa opporsi ai terzi, e in particolare ai creditori (nonostante l'art. 2740, comma 2, c.c.) attraverso la sua trascrizione nei registri immobiliari, ex art. 2915, comma 1, c.c. Secondo alcuni la norma va interpretata conformemente alla sua formulazione letterale, nel senso cioè che trattasi di trascrizione non obbligatoria ma facoltativa, e non costitutiva, il cui effetto è di rendere opponibile ai terzi il vincolo di destinazione nato dall'atto (Luminoso, op. loc. cit.; Palermo, op. cit., 6): sta cioè al destinante decidere se dare vita ad una destinazione di beni con effetti solo tra le parti oppure con efficacia erga omnes utilizzando il congegno della opponibilità proprio della trascrizione. Altra parte della dottrina propende per la natura costitutiva della trascrizione (Petrelli, 190; Spada, 127). In giurisprudenza appare prevalere la tesi che esclude l'influenza dell'art. 2645-ter c.c. sulla disciplina del trust interno. Così, Trib. Firenze 16 maggio 2013, in Trusts e attività fiduciarie, 2013, 531, che ha giudicato valido ma revocabile il trust oggetto del contendere, ha affermato che: «Per quanto concerne il trust autodichiarato, in cui il disponente ed il trustee sono la stessa persona, rileva il giudicante che non risulta dedotta alcuna norma che ne preveda la nullità. La richiamata disciplina di cui all'art. 2645-ter c.c., concernente la trascrizione di atti di destinazione per la realizzazione di interessi meritevoli di tutela riferibili a persone con disabilità, a pubbliche amministrazioni o ad altri enti o persone fisiche, non stabilisce requisiti di validità dell'atto di destinazione (tra cui comprendere il trust) bensì i requisiti per la trascrivibilità e l'opponibilità ai terzi dell'atto stesso». Nello stesso senso, in Trib. Firenze 11 aprile 2013, in Trusts e attività fiduciarie, 2013, 533, pronuncia contenente anch'esso rigetto della domanda di nullità di un trust ed accoglimento della revocatoria, si afferma essere non condivisibile «la prospettazione di parte secondo cui l'atto istitutivo del trust sarebbe viziato da invalidità per la divergenza della sua disciplina rispetto alle previsioni dell'art. 2645-ter c.c., in tema di atti di destinazione di beni immobili o di mobili iscritti in pubblici registri alla realizzazione di interessi meritevoli di tutela, rispetto a determinate categorie di soggetti. A tale proposito si deve osservare che vi è una notevole divergenza tra la ratio dell'istituto appena evocato e quella propria del trust, seppure entrambe le tipologie negoziali producano la segregazione del patrimonio del disponente nell'interesse di un beneficiario o di un determinato programma». Nella già citata Trib. Reggio Emilia 22 giugno 2012, in Trusts e attività fiduciarie, 2013, 57, sono svolte ampie considerazioni sull'art. 2645-ter c.c. e sul suo rapporto col trust. Osserva il tribunale che: «Dall'esame del ricorso per separazione ... risulta che l'accordo tra i coniugi è essenzialmente un «negozio destinatorio puro», col quale, cioè, le parti vogliono imporre su beni di loro proprietà un vincolo di destinazione ex art. 2645-ter c.c.; tale vincolo non si accompagna ad un altro negozio (cessione, trasferimento, ecc.) ... Occorre stabilire se l'art. 2645-ter c.c. ha introdotto nel nostro ordinamento il «negozio di destinazione» (nuova figura negoziale la cui causa si incentra sul vincolo e sulla meritevolezza degli interessi perseguiti con la destinazione dei cespiti) oppure se la norma riguarda esclusivamente gli effetti di un altro negozio (tipico o atipico) al quale — come contenuto eventuale — può essere accompagnato un vincolo di destinazione. 1) Secondo alcuni commentatori con l'introduzione dell'art. 2645-ter c.c. ha trovato ingresso nell'ordinamento una nuova tipologia di atto, un'inedita fattispecie caratterizzata dal vincolo di destinazione; i fautori di tale teoria si suddividono tra coloro che la configurano come un contratto a titolo gratuito e coloro che invece ritengono che possa trattarsi di un contratto oneroso o gratuito oppure di una promessa al pubblico o, ancora, di una disposizione testamentaria. La tesi, da un lato, fa rientrare la previsione normativa nel novero di quelle cause, ammesse dalla legge, idonee a derogare all'universalità della responsabilità patrimoniale, ma, dall'altro, svuota di contenuto il disposto dell'art. 2740, comma 1, c.c., dato che ammette la generalizzata possibilità di costituire autonome masse separate in forza della sola autonomia negoziale (con il solo argine — invero molto debole — fornito dalla meritevolezza degli interessi perseguiti). 2) Altra parte della dottrina ritiene, al contrario, che sia stato disciplinato soltanto l'effetto, riferibile ad una pluralità di negozi tipici o atipici, caratterizzato da un vincolo di scopo opponibile ai terzi e, in particolare, ai creditori «estranei». Secondo tale soluzione ermeneutica — che trova riscontro nella vaghezza dei contorni del presunto «atto di destinazione» (mancanza di qualsiasi elemento per individuare con certezza la struttura del negozio, bilaterale o unilaterale, la sua natura, a titolo oneroso o gratuito, i suoi effetti, traslativi o meramente obbligatori) e, inoltre, nella collocazione della disposizione tra le norme sulla pubblicità (in una parte del codice civile non attinente al diritto sostanziale e alle disposizioni sui negozi) — l'effetto «destinatorio» previsto dalla novella non fa altro che confermare la tendenza ordinamentale alla specializzazione della garanzia patrimoniale per effetto di atti di autonomia privata, purché dotati di autonoma causa, peraltro rispondente all'esigenza di tutela di interessi meritevoli (col rischio, comunque, di privare di significato la riserva di legge prevista dall'art. 2740, comma 2, c.c., invero già abbondantemente erosa nell'ordinamento). Ritiene il Collegio di aderire alla giurisprudenza sinora pronunciatasi sul vincolo di destinazione, secondo la quale l'art. 2645-ter c.c. è norma «sugli effetti» e non «sugli atti» « [...] in particolare, la citata disposizione riguarda esclusivamente gli effetti, complementari rispetto a quelli traslativi ed obbligatori, delle singole figure negoziali a cui accede il vincolo di destinazione e non consente la configurazione di un «negozio destinatorio puro», cioè di una nuova figura negoziale atipica imperniata sulla causa destinatoria ... a ciò si aggiunge, inoltre, che nel caso di specie difetta un atto traslativo dell'immobile e che, quindi, il vincolo di destinazione dovrebbe reputarsi come «autoimpresso» sulla quota di proprietà di ciascuno. Questo Collegio, infatti, non condivide l'opinione dottrinale [...] che ammette il cosiddetto «vincolo di destinazione autoimposto (o autodichiarato)», cioè la riconduzione dell'effetto destinatorio ad un atto privo di effetti traslativi. Sotto il profilo testuale, le parole «conferente» e «beni conferiti» contenute nell'art. 2645-ter c.c. presuppongono un'alterità soggettiva (e, quindi, un trasferimento) dal conferente ad un altro individuo, fattispecie incompatibile con un atto unilaterale (al di fuori dell'ipotesi, diversa, del trust); infatti, il verbo confero deriva da cum-ferre e le espressioni sopra riportate richiedono, dunque, un atto traslativo (ferre) compiuto tra soggetti distinti. Del resto, quando la legge si riferisce ai «conferimenti» del diritto societario (artt. 2253,2343 ss., 2440 c.c.) o al conferimento per la costituzione di fondi di garanzia (art. 2548 c.c.), al conferimento negli ammassi (art. 837 c.c.) o al verbo «conferire» impiegato dalle norme (artt. 737,739,740,751 c.c.) in tema di collazione (termine che deriva, a sua volta, proprio dal verbo conferre) è sempre con riguardo a trasferimenti di beni tra soggetti diversi. Anche in giurisprudenza si rinviene il termine «conferimento», impiegato per indicare l'inserimento in comunione convenzionale tra coniugi di uno o più beni che, in assenza di convenzione, sarebbero da considerare personali ex art. 179 c.c. L'art. 2645-ter c.c., inoltre, attribuisce al conferente il potere di agire per l'adempimento dello scopo; non potendosi ipotizzare che il conferente convenga in giudizio se stesso, si deve giocoforza concludere che la norma dà per scontato l'intervento di un soggetto diverso, a cui il diritto sul bene vincolato è (e deve essere) trasferito. Nemmeno può ravvisarsi nelle condizioni sottoposte dai coniugi al tribunale un trust autodichiarato, fattispecie alla quale non è possibile ricondurre, neanche con sforzo di riqualificazione, il negozio destinatorio ex art. 2645-ter c.c.». A proposito dell'art. 2645-ter c.c. un'attenta opinione dottrinale ha rilevato: «Men che meno può quindi ritenersi essere venuto ad esistenza una sorta di trust all'italiana». Invero, si è da alcuni sostenuto che il legislatore del 2006 è riuscito a introdurre, con la fattispecie normativa in analisi, la disciplina italiana sul trust: «a seguito del nuovo art. 2645-ter c.c. il nostro Stato non può più essere annoverato tra quelli che non prevedono l'istituto del trust e conseguentemente l'art. 13 della Convenzione dell'Aja non potrebbe più essere invocato per negare il riconoscimento ad un trust interno»; tale irrealistica affermazione — che illusoriamente attribuisce all'art. 2645-ter c.c. la qualità (del tutto insussistente) di «concentrato» di intere biblioteche di statutes e di precedents di common law (peraltro formatisi nel corso di secoli) sull'istituto del trust — appare seguita soltanto dall'isolata pronuncia di Trib. Brindisi 28 marzo 2011, in cui si legge: «per il resto i due istituti tendono a coincidere quanto ai loro tratti salienti. ... La qual cosa non consente (più) di affermare ... che il trust interno non è disciplinato dall'ordinamento italiano». Le differenze tra il trust e il vincolo di destinazione sono molteplici: è diversa l'essenza, perché nel trust la stessa risiede nell'affidamento al trustee mentre nel vincolo si trova nella destinazione dei beni, che costituisce il baricentro dell'art. 2645-ter c.c. ...; è diversa la disciplina, perché col vincolo ex art. 2645-ter c.c. il «conferitario» non assume necessariamente delle obbligazioni rispetto ai beneficiari (si tratta di una «figura statica» in cui il soddisfacimento dei beneficiari deriva dai beni conferiti e non da attività gestorie), né esiste una regolamentazione normativa dell'operato del «conferitario» o possono applicarsi le disposizioni sul mandato, mentre nel trust il trustee deve adoperarsi per il raggiungimento della finalità o dello scopo non potendo restare inerte rispetto agli interessi dei beneficiari (anche per questo una nota dottrina individua nel vincolo di destinazione soltanto «un frammento di trust»); è diversa la funzione delle norme perché, come già esposto, l'art. 2645-ter c.c. introduce «nell'ordinamento solo un particolare tipo di effetto negoziale, quello di destinazione ... accessorio rispetto agli altri effetti di un negozio tipico o atipico cui può accompagnarsi ... non si è voluto introdurre nell'ordinamento un nuovo tipo di atto a effetti reali, un atto innominato, che diventerebbe il varco per l'ingresso del tanto discusso negozio traslativo atipico...Non c'è infatti alcun indizio da cui desumere che sia stata coniata una nuova figura negoziale» (Trib. Trieste 7 aprile 2006), mentre la l. n. 364/1989 (di ratifica della Convenzione de L'Aja) ha dato ingresso al negozio di trust; sono diverse la causa (intesa come funzione economico-sociale) e la valutazione della medesima, perché «Mentre la costituzione di un trust interno merita un giudizio positivo di liceità mercé il semplice rispetto della Convenzione e del limite dell'ordine pubblico, invece il cittadino italiano che volesse raggiungere lo scopo di vincolare determinati beni per un certo fine ai sensi dell'articolo 2645-ter c.c. dovrebbe sperare nell'esito positivo del vago giudizio di meritevolezza dell'interesse» (Trib. Trieste 7 aprile 2006), è diverso l'effetto del «conferimento», perché l'attribuzione al trustee non è mai definitiva ed è anzi meramente strumentale all'esercizio del compito affidato, mentre il conferimento disciplinato dall'art. 2645-ter c.c. determina un'assegnazione definitiva (tanto che nemmeno si profila, nella norma, la possibilità di sostituire il «conferitario» inadempiente, mentre è pacifica la revocabilità del trustee per fattispecie di breach of trust). Nel caso di specie l'istituzione di un trust (con trasferimento dei beni a un trustee nell'interesse dei nipoti) costituirebbe, probabilmente, la soluzione alle esigenze manifestate dai ricorrenti; oltre a superare le obiezioni sopra formulate con riferimento al «negozio destinatorio puro» e all'assenza di atti traslativi della proprietà (il trust autodichiarato è pacificamente ammesso dalla giurisprudenza italiana ...), l'istituto offrirebbe anche maggiori vantaggi e garanzie per i beneficiari (ai quali sarebbero attribuiti i diritti proprietari equitativi — equitable proprietary claims — riconosciuti dalla legge regolatrice ai titolari della equitable ownership; inoltre, in caso di inadempienza del trustee, sarebbe possibile mantenere inalterata la destinazione impressa ai beni mediante la revoca e sostituzione del trustee stesso, eventualmente anche ad opera di un «guardiano»). Tuttavia, è impedita al Tribunale la possibilità di apportare variazioni alle condizioni espresse dai coniugi nel ricorso per separazione consensuale, né comunque pare praticabile la via del trust di istituzione giudiziale (l'art. 20 della Convenzione de L'Aja esclude tali trust dal suo ambito di applicazione in assenza di espressa dichiarazione di estensione; inoltre, l'art. 2908 c.c. consente pronunce costitutive nei soli casi previsti dalla legge)». Anche Trib. Trieste 7 aprile 2006, in Trusts e attività fiduciarie, 2006, 417, richiamato nella pronuncia trascritta, ha affermato che l'art. 2645-ter c.c. non ha introdotto nel nostro ordinamento un nuovo tipo di negozio avente causa destinatoria, ma ha soltanto inteso prevedere la trascrivibilità di «un particolare tipo di effetto negoziale, quello di destinazione», eventuale nonché «accessorio rispetto agli altri effetti di un negozio tipico o atipico cui può accompagnarsi»; ciò in quanto la norma stessa, oltre ad esser stata collocata fra le norme in tema di pubblicità immobiliare, non conterrebbe «alcun indizio da cui desumere che sia stata coniata una nuova figura negoziale, di cui non si sa neanche se sia unilaterale o bilaterale, a titolo oneroso o gratuito, a effetti reali o obbligatori» (nello stesso senso delle decisioni da ultimo citate v. pure Trib. Trieste 19 settembre 2007, in Trusts e attività fiduciarie, 2008, 42; Trib. Reggio Emilia 22 giugno 2012, in Trusts e attività fiduciarie, 2013, 57; Trib. Urbino 11 novembre 2011, in Trusts e attività fiduciarie, 2012, 401; Trib. Reggio Emilia 27 gennaio 2014; Trib. S. Maria Capua Vetere 28 novembre 2013; Trib. Trieste 22 aprile 2015; Trib. Novara 27 ottobre 2015; Trib. Trieste 22 marzo 2016, in Trusts e attività fiduciarie, 2016, 623). In altra pronuncia analogamente orientata è stato dichiarato inammissibile un concordato preventivo il quale prevedeva l'apporto esterno di un terzo mediante costituzione di un trust (Trib. Reggio Emilia 11 agosto 2014). Pur considerando il trust strumento astrattamente idoneo a vincolare i beni di terzi al buon esito della procedura concordataria, il tribunale ha concluso nel senso che l'esercizio di un'azione revocatoria del suo atto di dotazione, da parte dei creditori del disponente, avrebbe pregiudicato la fattibilità del concordato, con la conseguenza che lo stesso doveva essere dichiarato inammissibile (analogamente Trib. Verona 13 marzo 2012, in Fall., 2012, 972). Ancora per l'inammissibilità del vincolo di destinazione nell'ambito della procedura concordataria, è stato ritenuto nullo, per mancanza di meritevolezza dell'interesse perseguito, il vincolo istituito a beneficio esclusivo dei creditori risultanti dalle scritture contabili, con esclusione di eventuali creditori non ancora accertati (App. Trieste 19 dicembre 2013, in Trusts e attività fiduciarie, 2014, 290, che, procedendo alla valutazione della meritevolezza, ha ritenuto insufficiente la sola liceità dell'atto, occorrendo procedere ad una comparazione tra l'interesse sacrificato, quello dei creditori, e l'interesse realizzato con l'atto di destinazione, soprattutto in considerazione del fatto che a un atto negoziale unilaterale del debitore non può essere riconosciuta un'efficacia protettiva valida erga omnes analoga a quella riconosciuta alla proposta di concordato giudiziale ex art. 168 l. fall.). Anche con riguardo al settore dell'esecuzione immobiliare è stato affermato che il vincolo di cui all'art. 2645-ter c.c. non può essere unilateralmente auto-destinato su di un bene già in proprietà con un negozio destinatorio puro, ma può unicamente collegarsi ad altra fattispecie negoziale tipica o atipica dotata di autonoma causa (Trib. Reggio Emilia 12 maggio 2014, in Riv. not., 2014, 1261). La soluzione restrittiva è condivisa da parte della dottrina (Manes, 629; Tonelli, 338; Lenzi, 230). Altra parte della dottrina è di opinione opposta (Lupoi, 242; Bartoli, 2007, 1297; Morace Pinelli, 456; La Porta, 1069). Anche parte della giurisprudenza è orientata al riconoscimento dell'ammissibilità del negozio di destinazione, in particolare nell'ambito delle procedure concorsuali. È stato così ritenuto meritevole di tutela il trust, con il quale il fideiussore di una società, il quale intendeva presentare una domanda di concordato preventivo, aveva apposto sui propri beni un vincolo di destinazione a favore dei creditori del concordato e, nel contempo, protetto i beni, allo scopo di evitare che gli stessi creditori (ossia quelli più aggressivi) potessero acquisire diritti poziori o comunque posizioni di privilegio, astrattamente in grado di inficiare il soddisfacimento dell'eguale diritto degli altri creditori (Trib. Forlì 4 febbraio 2015, ove si afferma che tale trust perseguirebbe la finalità di rassicurare i creditori sulla non dispersione del patrimonio personale del fideiussore e sulla successiva liquidazione degli immobili conferiti, di guisa che l'atto non persegue il fine di distogliere dai creditori il patrimonio del disponente, ma quello di facilitare la procedura di concordato; analogamente Trib. Palermo 22 maggio 2014, in Trusts e attività fiduciarie, 2014, 633). Ancora, è stata ritenuta ammissibile una proposta di concordato preventivo garantita sia attraverso un vincolo di destinazione, ai sensi dell'art. 2645-ter c.c., sia per mezzo di un trust di scopo, permettendo il pagamento in percentuale anche dei creditori chirografari, in un primo momento esclusi per incapienza della società debitrice. Si è detto, in particolare, che, «ove il vincolo di destinazione si innesti su una procedura di concordato è da questa che riceve la propria causa concreta apparendo del tutto lecito rafforzare nell'interesse di tutti i creditori concordatari un vincolo di destinazione di somme o beni a favore degli stessi da parte dei soggetti terzi che detto atto di disposizione poi sottoscrivono» (Trib. Ravenna 22 maggio 2014, in Fall., 2015, 203; in Trusts, 2014, 635). Favorevole all'impiego del trust in funzione concordataria è poi la decisione che ha ritenuto meritevole di accoglimento la proposta di concordato con cessione dei beni, ove l'attività di liquidazione dell'attivo sia demandata a una nuova compagine societaria (con funzione di assuntore del concordato), le cui quote siano costituite in un trust di scopo, nell'interesse dei creditori concordatari, con la nomina del commissario giudiziale nel ruolo di guardiano del trust e di un soggetto dallo stesso indicato nel ruolo di trustee (Trib. Bologna 14 ottobre 2014). Una ulteriore pronuncia concerne il caso in cui un terzo, nel trasferire gli immobili di sua proprietà al trust, aveva costituito un patrimonio separato, non aggredibile dai suoi creditori, allo scopo di favorire il buon esito della procedura concorsuale, mentre il tribunale aveva previsto, in aggiunta, che il commissario giudiziale assumesse la funzione di guardiano (Trib. Ravenna 4 aprile 2013, in Trusts e attività fiduciarie, 2013, 632; per la nomina del guardiano nella persona del commissario v. pure Trib. Milano 28 marzo 2014, in Trusts e attività fiduciarie, 2014, 650). Il congegno di funzionamento del trust non è, perciò, inconciliabile con i principi regolatori della procedura di concordato preventivo, dovendo, al contrario, essere assoggettata alla verifica giudiziale la concreta raggiungibilità dello scopo (Trib. Milano 29 ottobre 2010, in Guida dir., 2011, 7, 75). In relazione all'azione revocatoria promossa dai creditori personali dei soggetti disponenti di un trust liquidatorio, finalizzato a soddisfare i debiti delle società partecipate, nonché alcuni loro debiti personali, è stato affermato che il trust è valido strumento per vincolare i beni personali di terzi, garanti dell'adempimento della proposta con il proprio patrimonio, e che la costituzione di un trust sia più efficiente della concessione della garanzia reale sui beni, assicurando la loro effettiva destinazione, nei limiti della percentuale concordataria offerta al pagamento dei creditori (Trib. Bari 12 febbraio 2013, in Trusts e attività fiduciarie, 2014, 650). Con specifico riferimento poi all'atto di destinazione, in una vicenda ove si lamentava la mancata considerazione, nella proposta concordataria, delle ipoteche iscritte sui beni del patrimonio destinato, ma successivamente alla trascrizione dell'atto istitutivo del vincolo, il tribunale ha rammentato l'orientamento contrario all'applicazione dell'art. 2645-ter c.c. a fini concordatari «si fonda su una rigorosa concatenazione argomentativa: 1) il vincolo di destinazione è valido ed efficace solo se persegue interessi di solidarietà sociale; 2) tale specifica funzionalizzazione emerge dal complessivo tenore dell'art. 2645-ter, che, prima di rinviare genericamente all'art. 1322, comma 2, c.c., richiama in particolare «persone con disabilità e pubbliche amministrazioni», così implicitamente imponendo la dimensione superindividuale dell'interesse perseguito; 3) la nullità del vincolo di destinazione, su cui si basa la proposta, determina l'opponibilità all'impresa, che presenta la domanda di concordato, delle ipoteche iscritte fino alla presentazione della stessa ex art. 168 l. fall.; 4) il piano che si fonda sulla validità del vincolo di destinazione, in quanto conduce alla pretermissione dei creditori ipotecari successivi, deve considerarsi affetto da non fattibilità rilevabile dal tribunale. Questo collegio non ritiene di condividere l'assunto di partenza del ragionamento illustrato, infatti il rinvio generico dell'art. 2645-ter c.c. alla meritevolezza ex art. 1322, comma 2, c.c., non legittima alcun a ulteriore delimitazione degli interessi che i privati possono perseguire costituendo un vincolo di destinazione; in questo senso parte della dottrina ha tratto argomento dai lavori preparatori e dalla finalità perseguita di introdurre con ampiezza un istituto che potrebbe favorire investimenti nel nostro Paese; ma in questo senso depone in modo decisivo il tenore testuale e l'assenza di una definizione di solidarietà sociale, altrimenti lasciata all'assoluta discrezionalità del giudice, che avrebbe come unico criterio orientativo la ristretta menzione della disabilità o quella assolutamente ambigua di pubblica amministrazione; considerato quindi senza limiti il rinvio alla meritevolezza ex art. 1322, comma 2, c.c., ed evitando di addentrarsi nel dibattito sulla definizione di tale ultima nozione, questo collegio nota che senza dubbio la finalità perseguita nel caso di specie, che consiste nell'assicurare una soddisfazione proporzionale ai creditori non ancora muniti di causa di prelazione, deve reputarsi degna di riconoscimento dall'ordinamento, infatti con la trascrizione si rende conoscibile la crisi, si preserva il patrimonio da atti di distrazione, si evita che alcuni creditori, come gli istituti di credito, possano avvantaggiarsi rispetto ad altri grazie alle informazioni acquisite nell'ambito della propria attività professionale» (Trib. Lecco 26 aprile 2012). Ancora, a fronte di un atto di destinazione, ex art. 2645-ter c.c., posto in essere da una società su beni immobili di sua proprietà in favore di un'altra società, allo scopo di favorire l'omologazione della proposta di concordato preventivo da essa prospettata, è stato stabilito che dovesse essere riconosciuta la meritevolezza ex art. 1322 c.c., «essendo pienamente meritevole ai sensi del predetto articolo l'interesse al soddisfacimento dei creditori sociali sotteso al suddetto atto di destinazione e dovendosi ritenere efficace l'atto di destinazione ex art. 2645-ter c.c., qualora il patrimonio sia vincolato a garanzia dei creditori di una società in crisi e, in particolare, ove tale società intenda instaurare una procedura di concordato preventivo» (Trib. Prato 12 agosto 2015, in Fall., 2016, 600; in Trusts, 2015, 575). Più di recente è stato affermato essere ammissibile la proposta di concordato liquidatorio, nel quale il pagamento dei creditori chirografari dipenda dalla vendita di immobili del terzo (nella specie, socio della proponente), conferiti da quest'ultimo attraverso un atto di destinazione, ai sensi dell'art. 2645-ter c.c., con procura irrevocabile a vendere conferita al nominando liquidatore, in quanto il detto vincolo realizza interessi meritevoli di tutela ex art. 1322 c.c. (Trib. Catania 14 dicembre 2017, in Fall., 2018, 767). Malgrado le perplessità espresse da parte della giurisprudenza di merito in ordine alla possibilità di prevedere l'apporto del terzo tramite costituzione del vincolo ex art. 2645-ter c.c., puro, ossia svincolato da atti di trasferimento della proprietà dei beni su cui viene istituto il vincolo il tribunale ha ravvisato «indici normativi — segnatamente nella normativa fiscale — nel senso della configurabilità di atti di destinazione svincolati da atti di trasferimento; (...) depongono in tal senso: a) l'art. 2, comma 47, d.l. n. 262/2006 che ha istituito l'imposta sulle successioni e donazioni: i) sui trasferimenti di beni e diritti per causa di morte, per donazione o a titolo gratuito; ii) sulla costituzione di vincoli di destinazione; b) il comma 49 del d.l. innanzi citato che ha stabilito le aliquote applicabili per: i) donazioni; ii) atti di trasferimento a titolo gratuito dei beni; iii) costituzione di vincoli di destinazione; c) l'art. 6 della l. n. 112 del 2016 che ha previsto che: «I beni e i diritti conferiti in trust ovvero gravati da vincoli di destinazione di cui all'art. 2645-ter c.c. (...) istituiti in favore delle persone con disabilità grave (...) sono esenti dall'imposta sulle successioni e donazioni»; (...) che la previsione di possibile imposizione fiscale rispetto anche alla mera istituzione del vincolo di destinazione (e quindi a prescindere dal suo collegamento con un trasferimento della proprietà) consente di inferire una volontà del legislatore di attribuire alla disposizione di cui all'art. 2645-ter c.c. le caratteristiche di un istituto di diritto sostanziale; (...) conforta la superiore conclusione anche la posizione della Corte di cassazione in ordine alle citate disposizioni fiscali e secondo cui: «Con disposizione innovativa, il d.l. n. 262/2006, art. 2, comma 47 (...), come convertito, prescrive che «è istituita l'imposta sulle successioni e donazioni sui trasferimenti di beni e diritti per causa di morte, per donazione o a titolo gratuito e sulla costituzione di vincoli di destinazione ... Il tenore della norma evidenzia che l'imposta è istituita non già sui trasferimenti di beni e diritti a causa della costituzione di vincoli di destinazione, come, invece, accade per le successioni e le donazioni, in relazione alle quali è espressamente evocato il nesso causale: l'imposta è istituita direttamente, ed in sé, sulla costituzione dei vincoli. ...Vincoli, che, come sostengono sentenza e controricorrente, designano non negozi, bensì l'effetto giuridico di destinazione, mediante il quale si dispone, ossia si pone fuori da sé (e non necessariamente in favore di altri da sé) un bene, orientandone i diritti dominicali al perseguimento degli obiettivi voluti: alla disposizione non è coessenziale l'attribuzione a terzi, in quanto mercé la destinazione si modula, non si trasferisce il diritto (...). L'imposta sulla costituzione di vincolo di destinazione è un'imposta nuova, accomunata solo per assonanza alla gratuità delle attribuzioni liberali, altrimenti gratuite e successorie; essa riceve disciplina mediante un rinvio, di natura recettizio-materiale, alle disposizioni del d.lgs. n. 346/1990 (in quanto compatibili: d.l. n. 262 del 2006, art. 2, comma 50, come convertito), ma conserva connotati peculiari e disomogenei rispetto a quelli dell'imposta classica sulle successioni e sulle donazioni ... Ciò in quanto nell'imposta in esame, a differenza che in quella tradizionale, il presupposto impositivo è correlato alla predisposizione del programma di funzionalizzazione del diritto al perseguimento degli obiettivi voluti; là dove l'oggetto consiste nel valore dell'utilità della quale il disponente, stabilendo che sia sottratta all'ordinario esercizio delle proprie facoltà proprietarie, finisce con l'impoverirsi (...). Se questa imposta abbisognasse del trasferimento e, quindi, dell'arricchimento, essa sarebbe del tutto superflua, risultando sufficiente quella classica sulle successioni e sulle donazioni, nelle quali il presupposto d'imposta è, giustappunto, il trasferimento, quantunque condizionato o a termine, dell'utilità economica ad un beneficiario: si prospetterebbe, in definitiva, l'interpretatio abrogans della disposizione in questione (...). Ciò posto, il legislatore, evocando soltanto l'effetto, ha inequivocabilmente attratto nell'area applicativa della norma tutti i regolamenti capaci di produrlo (...). Tra questi, vanno annoverati anche gli atti di destinazione contemplati dall'art. 2645-ter c.c., che, sebbene sia precipuamente volto a disciplinare la pubblicità dell'effetto destinatorio e gli effetti — specialmente di opponibilità ai terzi — da questa derivanti, finisce col delineare un atto con effetto tipico, reale, perchè inerente alla qualità del bene che ne è oggetto, sia pure con contenuto atipico purchè rispondente ad interessi meritevoli di tutela, assurgendo per questo verso a norma sulla fattispecie (...). La norma risponde difatti all'esigenza di rendere tipica la volontà destinataria; se così non fosse, essa sarebbe inutile, essendo già consentito dal principio di libertà, proprietaria e negoziale, di fare l'uso che si crede dei propri beni e, quindi, anche di impiegarli per determinate finalità.» (Cass. n. 3735/2015; nello stesso senso: Cass. n. 3886/2015); ammessa in astratto la possibilità di istituire un vincolo di destinazione ex art. 2645-ter c.c. svincolato da un atto di trasferimento, occorre verificare se l'istituto sia invocabile per ottenere l'effetto di vincolare un bene del disponente alla soddisfazione dei creditori di un diverso soggetto; (...) la problematica involge due diversi profili: a) la configurabilità di una meritevolezza dell'interesse ex art. 1322 c.c. richiesta dall'art. 2645-ter c.c. nell'ipotesi in cui beneficiario della destinazione sia un ente; b) la compatibilità di una simile ricostruzione col principio di responsabilità patrimoniale di cui all'art. 2740 c.c. del terzo che istituisce il vincolo; ... quanto al primo degli indicati profili, tramite il proprio apporto economico il terzo rende possibile per la proponente l'accesso alla procedura di concordato (altrimenti precluso per la mancata soddisfazione del ceto chirografario nella misura minima del 20%); (...) un simile interesse si profila in linea col più recente evolversi della legislazione della crisi d'impresa e della preferenza che l'ordinamento accorda alla soluzione concordataria piuttosto che al fallimento; (...) ritenuto, quanto al secondo dei citati profili, deve rilevarsi come un eventuale pregiudizio dei creditori del terzo per effetto della costituzione del vincolo di destinazione appare efficacemente tutelabile tramite l'esperimento dell'azione revocatoria ex art. 2901 c.c. ovvero il ricorso all'istituto di cui all'art. 2929-bis c.c., trattandosi di atto a titolo gratuito; (...) allo stato non si profilano elementi per ritenere inammissibile la proposta di concordato depositata». Si deve però segnalare che la soluzione adottata nella decisione trascritta si fonda sui responsi di alcune decisioni di legittimità pronunciata in ambito tributario, le quali, come tra breve si vedrà, sembra siano state superate. Vi è da dire, infine, che l'ammissibilità di un negozio di destinazione puro è riconosciuta altresì da quelle decisioni che ne predicano la revocabilità, in presenza delle condizioni richieste dall'art. 2901 c.c.. Desta interesse, in tal senso, App. Torino 14 giugno 2017, secondo cui è revocabile l'atto di destinazione ex art. 2645-ter c.c., per fini meritevoli di tutela, in quanto sono irrilevanti le argomentazioni relative alla temporaneità dello stesso, dal momento che è stato costituito per la durata della vita della conferente; peraltro a legittimare la convinzione che l'intento ulteriore fosse quello di sottrarre alla disponibilità dei creditori il bene secretato, vale quanto esplicitato nelle premesse dell'atto con cui la conferente si è riservata l'uso dell'immobile quale abitazione ancorché congiuntamente alla figlia. La decisione è stata resa in un caso in cui una donna, fideiussore di una società che faceva capo al marito, in relazione al credito vantato nei confronti di essa da una banca, aveva costituito un vincolo di destinazione sull'unico immobile di sua proprietà in epoca in cui la situazione economica della società si era già fortemente deteriorata. A fronte della domanda di revocatoria proposta dalla banca, il giudice di primo grado aveva anzitutto qualificato l'atto di destinazione ex art. 2645-ter c.c., quale atto a titolo gratuito e, quindi, sottoposto alla disciplina di cui all'art. 2901, comma 1, c.c., ponendo quindi in evidenza, per i fini dell'accoglimento della domanda, l'irrilevanza della meritevolezza del fine perseguito dall'atto di destinazione, così esplicitato nell'atto pubblico: «garantire la figlia, ragazza madre, un alloggio dignitoso per la stessa e per la prole. Il motivo che spinge la conferente alla presente disposizione trova origine nella circostanza che la figlia si trova senza un lavoro idoneo a garantire e soddisfare le esigenze di vita per se stessa e per il figlio minore. Il vincolo viene istituito per la durata della vita della conferente e dovrà essere dichiarato estinto con il decesso». Nello stesso senso si è pronunciata la Corte d'appello, sottolineando che, quanto alle doglianze di parte appellante in ordine alla ritenuta «irrilevanza della meritevolezza del fine perseguito con l'atto di destinazione, anche queste risultano del tutto insufficienti a contrastare il lineare argomentare della sentenza di primo grado, che ha ricordato come «la revocazione dell'atto prescinde del tutto da una siffatta valutazione. La reale esistenza di quelle esigenze potrebbe infatti rilevare qualora si dovesse valutare la natura effettiva o simulata dell'atto posto in essere, ma non in una fattispecie in cui, la posizione del terzo, beneficiario dell'atto a titolo gratuito, non viene in alcun modo in considerazione»». Profili processualiCon riguardo al trust occorre accennare a talune problematiche processuali emergenti dalla giusirprudenza (v. in generale sul tema Dittrich, appinter.csm.it; Corsini, 2012). Un giudice di merito (Trib. Crotone 29 settembre 2008, in Trusts e attività fiduciarie, 2009, 37), pur riconoscendo che il trust è ormai per effetto del recepimento della Convenzione dell'Aja, ha dichiarato inammissibile la domanda avanzata dal disponente per la nomina di un nuovo guardiano in sostituzione di quello, dimissionario, nominato all'atto istitutivo del trust. secondo il giudice è nulla, in quanto contraria all'ordine pubblico, la clausola dell'atto istitutivo di trust che rimetta al presidente del tribunale la sostituzione del guardiano di un trust quando la clausola stessa imponga la scelta tra due nominativi indicati dal disponente, in quanto, da un lato, manca nell'ordinamento giuridico interno una norma imperativa che legittimi un siffatto esercizio della funzione giurisdizionale rientrante nell'ambito della volontaria giurisdizione, e, dall'altro lato, siffatta clausola vincola illegittimamente la libertà di scelta del giudice poiché non consente che questi possa esercitare la sua funzione di terzo estraneo garante della legalità. Conseguentemente, è inammissibile il ricorso che sia stato presentato dal disponente al presidente del tribunale affinché questi provveda alla sostituzione del guardiano conformemente al dettato dell'atto istitutivo del trust. Osserva la decisione che appartiene «al sistema delle norme imperative e come tali inderogabili quella relativa alla titolarità dell'azione processuale e dei rimedi apprestati dal legislatore per la tutela dei diritti»: è cioè la legge interna a regolare i casi e i modi del ricorso al giudice, mentre, nel caso di specie, era stato presentato un ricorso in volontaria giurisdizione senza nemmeno indicare la disposizione normativa che consentiva di ottenere la nomina di un nuovo protector. Secondo il presidente del tribunale non v'è «alcuna norma dell'ordinamento italiano che giustifichi l'istanza, così radicando la competenza di questo presidente a provvedere, né il ricorrente ha fornito elementi per valutare se un'analoga istanza sarebbe proponibile al giudice inglese. È vero che il nostro sistema giuridico contempla diverse ipotesi in cui si prevede l'intervento del presidente per la designazione di terzi, sempre con la disciplina dei criteri e delle garanzie necessarie ad assicurare l'indipendenza e la realizzazione degli scopi di legge. Così nella nomina dell'amministratore di condominio, nel fondo patrimoniale, in materia societaria e della famiglia, nella nomina degli arbitri. Vi è che nessuna delle norme nelle materie suddette appare applicabile analogicamente al caso di specie, non solo per la tipologia della figura in esame (protector), non assimilabile né all'amministratore né all'arbitro, ma anche per le modalità stesse della designazione. Si consideri che il protector, chiamato guardiano, è un controllore e custode delle finalità del trust ma allo stesso tempo è un fiduciario dell'attuazione del trust, nominato dal disponente, al quale quest'ultimo conferisce poteri che avrebbe potuto riservare a se stesso. Si rileva, inoltre, che l'art. 6 dell'atto istitutivo del trust, prevede letteralmente che «ove il protector nominato dal disponente muore o non può accettare l'incarico ovvero è impossibilitato ad adempiere allo stesso, per impossibilità riconosciuta e comprovata, il presidente, su istanza del disponente, sceglie tra due nominativi indicati dallo stesso disponente». Tale disposizione, vincolando la libertà di scelta del giudice, appare illegittima. Si ritiene, infatti, che lasciare all'assoluta discrezionalità del disponente l'indicazione dei nominativi tra i quali il presidente del tribunale deve operare la scelta, contrasta con il nostro sistema giuridico in quanto non permette all'organo giudicante di esercitare la sua funzione di terzo estraneo garante della legalità nella piena libertà ed autonomia. Ne consegue che il detto articolo 6, nella parte che interessa, viola una disposizione inquadrabile nel sistema delle norme di ordine pubblico e non può avere alcuna operatività, a prescindere dalla legittimità stessa delle dimissioni che hanno dato origine all'istanza. In conclusione l'istanza, per come proposta, è inammissibile». Lo stesso tribunale (Trib. Crotone 26 maggio 2009, in Trusts e attività fiduciarie, 2009, 650) e per analoghe motivazioni, ha respinto il ricorso avanzato dalle beneficiarie minorenni del medesimo trust per ottenere la nomina di un curatore speciale e la contestuale autorizzazione di questo a presentare istanza al presidente del tribunale per la designazione di un guardiano: il giudice ha ribadito che la previsione dell'atto istitutivo del trust che rimette siffatta nomina al presidente del tribunale viola i principi di ordine pubblico dell'ordinamento italiano in punto di tipicità dei provvedimenti di volontaria giurisdizione. Viceversa, il tribunale di Milano ha ritenuto di poter procedere alla nomina del conciliatore per la risoluzione delle controversie concernenti un trust disciplinata dall'atto istitutivo del trust stesso, atteso che siffatta nomina era presupposto necessario per ogni ulteriore azione innanzi all'autorità giudiziaria ordinaria (Trib. Milano 17 luglio 2009, in Trusts e attività fiduciarie, 2009, 649). Come è stato osservato (Fanticini, in astra.csm.it), il provvedimento, molto succinto, oltre a contenere un errore procedurale (l'art. 50-bis c.p.c., certamente non derogabile con atti di autonomia privata, prescrive che il procedimento camerale, anche di volontaria giurisdizione, deve svolgersi innanzi al tribunale in composizione collegiale, salvo diversa disposizione normativa, nel caso del tutto mancante), trascura il fatto che l'autorità giudiziaria era stata chiamata ad intervenire in una vicenda di carattere privatistico in virtù del solo atto istitutivo del trust, senza alcuna norma interna che giustificasse l'esercizio dei poteri giurisdizionali e la possibilità stessa di adire il giudice. In una successiva occasione (Trib. Genova 29 marzo 2010, in Trusts e attività fiduciarie, 2010, 408) il presidente del tribunale ha nominato un nuovo trustee in sostituzione del precedente, dimissionario, rilevando che la clausola dell'atto istitutivo del trust attributiva di tale potere era conforme all'art. 51 della Trusts Jersey Law e non contrastava con norme imperative o principi di ordine pubblico interno dell'ordinamento italiano. Occorre quindi ricordare il provvedimento (Trib. Reggio Emilia 6 ottobre 2008, in Trusts e attività fiduciarie, 2009, 35) secondo cui il trustee di un trust auto-dichiarato che, nella propria qualità, sia parte processuale di un procedimento giudiziale, non può essere ascoltato quale testimone in sede di assunzione dei mezzi di prova per il principio nemo testis in causa propria (essendo, infatti, incompatibile la posizione di parte del processo con quella di testimone); né può rendere l'interrogatorio formale, in quanto non gode della libera disponibilità dei diritti in trust, essendo questi vincolati al conseguimento della finalità o dello scopo del trust. Osserva la decisione: «È escluso che il predetto possa essere assunto come testimone, dato che nell'ordinamento italiano vige il principio nemo testis in causa propria il quale sancisce l'incompatibilità tra la posizione processuale di parte, attuale o potenziale, e quella di testimone (non possono annoverarsi tra i testimoni la persona che propone la domanda giudiziale e quella nei cui confronti la domanda è posta e nemmeno i rappresentanti legali, organici o volontari, e tutti coloro che sono titolari di un interesse nella lite). Nemmeno può essere ammesso l'interrogatorio formale del C. quale trustee: infatti, al di là delle considerazioni sull'ammissibilità dei capitoli formulati ..., il mezzo istruttorio mira (art. 228 c.p.c.) a provocare la confessione giudiziale, che il trustee non potrebbe comunque rendere non avendo la libera disponibilità dei diritti in trust (art. 2731 c.c.). I beni affidati, difatti, sono vincolati alla realizzazione del compito e il vincolo impresso esclude che il trustee, pur essendo «titolare» dei cespiti, possa essere considerato loro «proprietario» con conseguente facoltà di disporre liberamente delle res (la destinazione allo scopo del patrimonio in trust e la sua insensibilità alle vicende del trustee costituisce l'essenza dell'effetto segregativo, caratteristica fondamentale dell'istituto, che trova supporto normativo, oltre che nella legge regolatrice straniera, anche nell'art. 11 della Convenzione de L'Aja). Esaminando alcune fattispecie similari di diritto italiano (più familiari all'interprete), si rileva che per analoghe ragioni (indisponibilità dei diritti da parte del dichiarante) la giurisprudenza ha escluso l'ammissibilità dell'interrogatorio formale del curatore fallimentare (che non ha la disponibilità — al di fuori delle regole che disciplinano la procedura concorsuale — dei beni e dei diritti del fallimento, pur essendo questo rappresentato dal curatore) o dei genitori del minore (la capacità dei rappresentanti dei minori di stare in giudizio ex art. 75 c.p.c. non implica la capacità di rendere la confessione di fatti sfavorevoli, proprio perché i rappresentanti non hanno il potere di disporre dei beni della prole minorenne senza l'autorizzazione del giudice tutelare ex art. 320 c.c.). L'interrogatorio libero non è — secondo la dottrina e la giurisprudenza prevalenti — un mezzo di prova e, comunque, anche aderendo all'opposto orientamento, si tratterebbe di mezzo istruttorio sottratto alla disponibilità delle parti e rimesso all'apprezzamento del giudice nel caso (che qui non ricorre) in cui se ne ravvisi la necessità od opportunità». Il provvedimento trova il proprio fondamento nell'art. 12 l. n. 218/1995, il quale stabilisce che: «Il processo civile che si svolge in Italia è regolato dalla legge italiana» e, conseguentemente, l'ammissibilità dei mezzi istruttori proposti dalle parti in una causa che convolge un trust deve essere esaminata con riferimento alla lex fori. In applicazione delle disposizioni del processo italiano, è poi difficile immaginare una testimonianza dei beneficiari del trust — i quali, vantando (quantomeno) un'aspettativa giuridicamente tutelata sul patrimonio in trust o sui suoi frutti, potrebbero spiegare un intervento ad adiuvandum del trustee nelle controversie che possano incidere sul trust-fund. Da escludere anche una testimonianza del disponente, che, in base al rapporto giuridico col trustee, ha interesse a soddisfare col trust un'esigenza o un'obbligazione o a realizzare uno scopo anche non patrimoniale (Fanticini, in astra.csm.it). Tuttavia è stato osservato in dottrina (Lupoi, 2009, 401) che: «La Corte Europea dei Diritti Umani, con la nota sentenza del 27 ottobre 1993, n. 274, ha affermato che, nelle controversie che oppongono interessi privati, «la parità delle armi» implica l'obbligo di offrire a ciascuna parte una ragionevole opportunità di presentare la propria causa, incluse le prove, in condizioni che non la pongano in posizione di netto svantaggio rispetto all'avversario. Nella fattispecie specifica, dunque, la Corte di cassazione ha ritenuto che vi sia violazione dell'art. 6, n. 1 laddove la prova di un accordo verbale richieda l'escussione di un testimone per parte, ma, in base alla legge nazionale, la testimonianza di uno di essi sia considerata inammissibile. In un caso del genere, infatti, solo uno dei contendenti potrebbe assumere la prova orale richiesta, a tutto discapito della posizione difensiva dell'altro. Il dictum della Corte, ovviamente, si presta ad essere generalizzato ad ogni situazione analoga e a riguardare anche eventuali profili di inammissibilità dell'interrogatorio formale (o di analoghe forme di audizione della parte), laddove tale mezzo di prova sia l'unico strumento istruttorio utilmente spendibile dalla parte interessata, di talché, se non ammesso, la parte stessa si troverebbe nella materiale impossibilità di soddisfare l'onere probatorio gravante su di lei». Il trustee, innanzi a domande giudiziali proposte nei suoi confronti nella sua qualità, al fine di non pregiudicare la consistenza del fondo in trust, deve determinare di volta in volta quale posizione assumere nel giudizio, sia per ciò che concerne la stessa costituzione in giudizio, sia per quanto attiene la difesa da assumere, avendo sempre riguardo all'incidenza che la domanda proposta nei suoi confronti possa avere sul fondo in trust, all'apparente fondatezza della stessa o meno ed alla possibilità di recupero delle spese del giudizio (Trib. Firenze 17 novembre 2009, in Trusts e attività fiduciarie, 2010, 174). È poi ovvia notazione che il trustee di un trust autodichiarato non può stare in giudizio se non con l'assistenza di un difensore, salvo che si tratti di causa pendente dinanzi al giudice di pace e il cui valore non eccede un milione di lire, ai sensi dell'art. 82 c.p.c. (Trib. Latina 30 marzo 2017, in Trust, 2018, 82). In tema di notifiche è stato affermato che la cartella di pagamento notificata dall'agente della riscossione direttamente al trust è giuridicamente inesistente per carenza di legittimazione passiva: correttamente infatti la notifica sarebbe dovuta arrivare al trustee e non al trust (C.t.p. Lombardia Milano 27 marzo 2018, in Notariato, 2018, 351). Dunque anche l'avviso di rettifica e liquidazione notificato al trust deve essere annullato, in quanto il trust non costituisce un soggetto giuridico dotato di propria personalità ed è quindi carente di legittimazione passiva (C.t.p. Lombardia Milano 5 ottobre 2017, in Trust, 2018, 330). In materia di litisconsorzio necessario, è stato affermato che, poiché l'estensione del litisconsorzio necessario è proiezione degli elementi costitutivi della fattispecie, nell'azione revocatoria ordinaria avente ad oggetto l'atto di dotazione di un bene in trust il beneficiario è litisconsorte necessario soltanto nel caso in cui tale atto sia stato posto in essere a titolo oneroso, dal momento che, solo in questa ipotesi, lo stato soggettivo del terzo rileva quale elemento costitutivo della fattispecie (Cass. n. 13388/2018). Nel giudizio per la revocatoria del trust autodichiarato è dunque sufficiente citare in giudizio i convenuti in qualità di disponenti. I beneficiari non sono litisconsorti necessari nel giudizio per la revocatoria del trust autodichiarato se non sono titolari di un diritto soggettivo attuale (App. Milano 28 settembre 2017, in Trusts e attività fiduciarie, 2018, 314). Deve poi escludersi che i figli minori del debitore siano litisconsorti necessari nel giudizio promosso dal creditore per sentire dichiarare l'inefficacia dell'atto con il quale il primo abbia costituito in trust alcuni immobili di sua proprietà allorché il tenore delle clausole dell'atto istitutivo non consenta di qualificare i beneficiari né come attuali beneficiari di reddito con diritti quesiti, né come beneficiari finali con diritto immediato a ricevere beni del trust (cfr. Cass. n. 19376/2017, concernente un caso il riconoscimento della qualità di beneficiari di reddito era rimesso alla discrezionalità del trustee, mentre i beneficiari finali avrebbero potuto ricevere dal medesimo, in luogo degli immobili in trust, una somma di denaro). È litisconsorte necessario rispetto all'azione di nullità del trust e all'azione revocatoria del relativo conferimento il beneficiario titolare di una posizione individuata (Trib. Lucca 8 aprile 2016, in Trusts e attività fiduciarie, 2017, 171). Il trustee è litisconsorte necessario nel giudizio promosso dal terzo creditore del disponente per sentir dichiarare la simulazione o, in subordine, l'inefficacia ex art. 2901 c.c. dell'atto di conferimento di beni in trust, in considerazione del fatto che il trustee è il soggetto che amministra il patrimonio nell'interesse dei beneficiari, nonché il proprietario fiduciario del bene o del diritto il cui trasferimento è impugnato (Trib. Milano 20 maggio 2015, in Trusts e attività fiduciarie, 2016, 380). Posto che il trust non costituisce un soggetto giuridico a sé stante, la sua mancata evocazione nel giudizio in cui si discute della validità del medesimo non configura violazione del principio del contraddittorio, né delle regole sul litisconsorzio necessario (Cass. n. 10105/2014). I beneficiari del trust, i quali vantano diritti nei confronti del trustee e sul trust-found in maniera analoga a quanto accade per il coniuge del soggetto che ha costituito il fondo patrimoniale, sono litisconsorti necessari nella causa di revocatoria dell'atto di dotazione del trust (Trib. Reggio Emilia 26 aprile 2012). Nell'ambito dell'azione promossa per la revocatoria dell'atto di dotazione di un trust è necessaria la chiamata in causa dei beneficiari c.d. contingent. Tali beneficiari sono, infatti, titolari di una aspettativa sui beni in trust, e — tale situazione — porta a qualificarli come litisconsorti necessari. Ciò comporta che devono necessariamente essere chiamati in giudizio attraverso l'ordine di integrazione del contraddittorio ex art. 102 c.p.c. (Trib. Reggio Emilia 26 aprile 2012, in Trusts e attività fiduciarie, 2012, 493). Secondo un giudice di merito, la legittimazione passiva in un procedimento volto ad ottenere la revoca dell'atto di disposizione dei beni in trust, in quanto in pregiudizio degli interessi del creditore procedente con azione revocatoria, sussiste in capo al trustee poiché questi gode della capacità processuale attiva e passiva in ordine ai beni in trust, mentre i beneficiari hanno soltanto un interesse al trasferimento finale dei beni secondo il programma dettato nel trust (Trib. Cassino 8 gennaio 2009, in Trusts e attività fiduciarie, 2009, 419). In materia esecutiva è stato detto che è improcedibile il pignoramento eseguito nei confronti di un trust, e non nei confronti del trustee, per inesistenza del soggetto escusso. Il trust è un rapporto fra soggetti, non è un ente autonomo a sé stante, né è provvisto di soggettività giuridica, né opera tramite il trustee, bensì è il trustee che agisce nella sua qualità di titolare dei beni (Trib. Reggio Emilia 25 marzo 2013, in Foro Padano, 2013, 351). Deve essere sospesa l'azione esecutiva presso terzi promossa esclusivamente e direttamente nei confronti di un trust sulla base di un titolo esecutivo ottenuto nei confronti del trustee in proprio e nella sua qualità atteso che il trust, in quanto semplice rapporto giuridico e non autonomo soggetto di diritto, è privo di legittimazione passiva (Trib. Voghera 25 febbraio 2010, in Trusts e attività fiduciarie, 2010, 278). In tema di pignoramento, va accolta l'opposizione del trustee quando il medesimo riesca a provare che all'epoca della notifica dell'atto di pignoramento fosse l'unico proprietario dei beni oggetto dell'esecuzione immobiliare, anche se facenti parte di un patrimonio separato rispetto al proprio personale e vincolato alla finalità del trust (Trib. Cuneo 20 agosto 2015, in www.dejure.it). La successione nell'ufficio di trustee si configura ai fini processuali quale successione a titolo derivativo e particolare e non a titolo universale. Conseguentemente, qualora nel corso di un procedimento giudiziale il trustee primo nominato si dimetta e trasferisca il fondo in trust al trustee secondo nominato non si verifica alcun evento interruttivo del processo (Trib. Reggio Emilia 6 marzo 2010, in Trusts e attività fiduciarie, 2010, 274). Il sopravvenuto fallimento della s.r.l. che ha conferito in un trust solutorio l'intero patrimonio sociale e la conseguente restituzione alla procedura fallimentare dei beni conferiti in tale trust importa la cessazione della materia del contendere nel giudizio di opposizione instaurato dal trustee avverso il decreto ingiuntivo ottenuto dalla banca creditrice della società disponente. La clausola di proroga della giurisdizione contenuta nell'atto istitutivo non vincola la banca creditrice della società disponente (Trib. Pescara 24 febbraio 2017, in Trusts e attività fiduciarie, 2017, 537). Secondo il tribunale di Roma difetta l'interesse ad agire per sentire dichiarare la nullità dell'atto istitutivo di trust in capo all'attore il quale non vanti alcun diritto di credito nei confronti del disponente. Lo scioglimento del trust importa la cessazione della materia del contendere nella causa intentata per la dichiarazione di nullità del relativo atto istitutivo (Trib. Roma 18 dicembre 2017, in Trusts e attività fiduciarie, 2018, 403). Viene osservato: «L'avv. ... ha instaurato il presente giudizio al fine di sentire dichiarare la nullità dell'atto istitutivo del trust ... sia in quanto costituito al solo fine di ledere i diritti dei creditori (e in particolare dell'istante) e, dunque, in frode alla legge sia in quanto simulato. Ritiene il tribunale che la domanda debba essere rigettata per difetto di interesse di parte attrice. Come è noto, ai sensi dell'art. 1421 c.c., la nullità di un contratto (come di un atto) può essere fatta valere da chiunque vi abbia interesse. Tuttavia, come è noto, la legittimazione generale all'azione dì nullità, in virtù della quale la nullità del negozio può essere fatta valere da chiunque vi abbia interesse, non esime l'attore — in particolare quando egli sia «terzo» rispetto al contratto — dal dimostrare la sussistenza di un proprio concreto interesse ad agire, per cui l'azione stessa non è proponibile in mancanza della prova, da parte dell'attore, della necessità di ricorrere al giudice per evitare una lesione attuale del proprio diritto e il conseguente danno alla propria sfera giuridica ... Infatti, l'eccezione di parte e la rilevabilità d'ufficio in ogni stato e grado del giudizio della nullità del contratto devono coordinarsi con i principi fondamentali del processo tra i quali il principio della domanda, della disposizione delle prove e quello della preclusione derivante dal giudicato interno ... Giova peraltro precisare che l'interesse ad agire, per giurisprudenza costante, deve sussistere non solo nel momento in cui è proposta l'azione (o l'impugnazione), ma anche al momento della decisione, perché è in relazione quest'ultimo che l'interesse va valutato ... Tanto chiarito, l'avv. ... deduce il proprio interesse, in maniera chiara sebbene non espressa, all'azione di nullità dell'atto di costituzione del trust in ragione dell'essere egli creditore del disponente ... In particolare, l'attore deduce di avere svolto, in favore di questi, attività professionale in relazione alla quale avrebbe maturato un rilevante credito ... cristallizzato in due decreti ingiuntivi ... In altre parole, la domanda di nullità e/o inefficacia del trust ... proposta da parte attrice è basata sul timore della perdita delle garanzie patrimoniali del disponente ... ostative al soddisfacimento del credito vantato nei confronti della stessa, mentre la declaratoria di nullità dell'atto di costituzione del trust consentirebbe all'attore di procedere ad aggredire i beni a questo conferiti. Ebbene, ritiene il tribunale che non sussista l'interesse ad agire dell'avv. ... per far valere la nullità dell'atto costitutivo del trust non risultando, ad oggi, egli creditore del disponente. Come risulta dagli scritti difensivi di entrambe le parti, con sentenza n. 13500/2017 ... i decreti ingiuntivi sopra richiamati sono stati revocati ed è stato riconosciuto all'odierno attore il complessivo importo di € 18.910,00, somma che ... ha già corrisposto a parte attrice. Tale evento, peraltro non disconosciuto dall'attore, risulta essere rilevante in quanto determina la sopravvenuta inesistenza del credito posto a fondamento dell'odierno giudizio di nullità e/o inefficacia del trust ... Il risultato utile e giuridicamente apprezzabile che il ricorrente si prefissava con l'attivazione del presente giudizio è, pertanto, venuto a mancare; anche qualora la presente domanda fosse accolta, nessun beneficio ulteriore sarebbe arrecato al promotore dell'odierno giudizio non avendo egli titolo per aggredire 1 beni conferiti nel trust ... Sotto altro ed ulteriore profilo, il difetto di interesse ad agire in capo all'avv. ... per sentire dichiarare la nullità dell'atto istitutivo del trust ... deriva dall'intervenuto scioglimento del trust. Giova premettere che il trust è un ente privo di personalità giuridica, costituendo un mero insieme di beni e rapporti destinati ad un fine determinato, formalmente intestati al trustee, il quale è l'unico soggetto che, nei rapporti con i terzi, è titolare dei diritti conferiti nel patrimonio vincolato. Nel caso in esame, il ... rassegnava le dimissioni dall'ufficio di trustee con atto del 24 febbraio 2009. Il ... originario trustee, trasferiva a favore del Sig. ... quale nuovo trustee del trust la totalità dei beni in questione. Con tale atto il Sig. ... pertanto, iniziava a ricoprire entrambe le figure di settlor/disponente e trustee e si vedeva formalmente intestati, nuovamente, i beni immobili oggetto del trust. Quindi ... lo scioglimento del trust». Profili tributariSi è già detto che il 1º luglio 1985 è stata promossa a l'Aja una Convenzione relativa al trust, istituto, come risulta dal preambolo della Convenzione, «creato dai tribunali di equità dei paesi della common law». Scopo della Convenzione era quello di regolare e promuovere, negli Stati aderenti, il riconoscimento degli effetti di tale particolare strumento di autonomia negoziale proprio dei sistemi di common law. Gli effetti del riconoscimento, come previsto dalla Convenzione, comportano che il trust sia regolato dalla legge scelta dalle parti o da quella individuata secondo le regole della stessa convenzione (art. 7: «Qualora non sia stata scelta alcuna legge, il trust sarà regolato dalla legge con la quale ha più stretti legami»). Dalla definizione contenuta nell'art. 2 della Convenzione si desume che «per trust s'intendono i rapporti giuridici istituiti da una persona, il costituente — con atto tra vivi o mortis causa — qualora dei beni siano stati posti sotto il controllo di un trustee nell'interesse di un beneficiario o per un fine specifico». I beni conferiti in trust costituiscono una massa distinta e non fanno parte del patrimonio del trustee. Detti beni sono intestati a nome del trustee o di un'altra persona per conto del trustee. Riguardo ai beni menzionati il trustee è investito del potere e onerato dell'obbligo, di cui deve rendere conto, di amministrare, gestire o disporre secondo i termini del trust e le norme particolari impostegli dalla legge. Gli articoli successivi contengono norme volte a disciplinare l'istituto del trust, il suo riconoscimento dalla legislazione nazionale di ciascuno Stato ed il valore normativo della Convenzione. L'art. 11 della Convenzione stabilisce che il riconoscimento «implica quanto meno che i beni del trust siano separati dal patrimonio personale del trustee, che il trustee abbia le capacità di agire in giudizio ed essere citato in giudizio, o di comparire in qualità di trustee davanti a un notaio o altra persona che rappresenti un'autorità pubblica». Va ancora ricordato: a) che i creditori personali del trustee non possano sequestrare i beni del trust; b) che i beni del trust sono separati dal patrimonio del trustee in caso di insolvenza di quest'ultimo o di sua bancarotta; c) che i beni del trust non fanno parte del regime matrimoniale o della successione dei beni del trustee. Ricapitolando quanto già detto in precedenza, occorre rammentare che lo scopo e la natura del trust si evincono chiaramente dalla norma dell'art 2 della Convenzione: il trust non ha personalità giuridica atteso che con esso si intendono i rapporti giuridici — istituiti con atto tra vivi o mortis causa da una persona, il costituente — inerenti a beni amministrati da un trustee nell'interesse di un beneficiario o per un fine specifico. Il trust dà dunque luogo ad un rapporto giuridico tra più soggetti: il disponente, il trustee e i beneficiari. Il primo dispone di una massa di beni a favore del trustee, il quale li vincola al perseguimento di un fine a lui soggettivamente estraneo, che in genere è volto a beneficio di soggetti terzi; i beni conferiti in trust vanno a costituire un patrimonio separato con la conseguenza che il patrimonio segregato in trust non può essere aggredito dai creditori (né dagli aventi causa) personali del disponente e/o del trustee, formando così una massa separata e distinta. Il trust, quindi, inteso come l'insieme di rapporti giuridici, non può, come si è già avuto modo di osservare, essere considerato «persona giuridica». Anzi, secondo una decisione in precedenza ricordata (Trib. Reggio Emilia 25 febbraio 2014, in Riv. not.,2014, 389), è «un soggetto giuridico inesistente», nel senso cioè che il trust non può essere inteso come un soggetto giuridico che svolge la propria attività attraverso la persona fisica del trustee, alla stregua di una società che agisce per mezzo del suo legale rappresentante. Benché il trust non abbia personalità giuridica, tuttavia, il trustee è l'unico soggetto legittimato nei rapporti con i terzi, in quanto dispone in esclusiva del patrimonio vincolato. E l'inesistenza della soggettività del trust si desume proprio dalla citata norma contenuta nell'art. 2 della Convenzione che definisce l'istituto un insieme di beni e di rapporti giuridici destinati ad un fine determinato, nell'interesse di uno o più beneficiari, e formalmente intestati al trustee, il quale, pertanto, disponendo in via esclusiva dei diritti conferiti nel patrimonio vincolato «è l'unico soggetto legittimato a farli valere nei rapporti con i terzi, anche in giudizio» (Cass. n. 25800/2015). La caratteristica più rilevante del trust, come si evince dall'art. 2 della Convenzione, è che i beni o diritti oggetto del trust costituiscono un patrimonio separato da quello del trustee, inattaccabile dai suoi creditori; a maggior ragione i beni non possono essere aggrediti dai creditori del disponente, dato che i cespiti sono usciti dalla sua sfera di appartenenza a seguito del trasferimento al trustee. La cosiddetta «segregazione patrimoniale» è tratto saliente ed essenziale del trust che, secondo l'art. 11 della Convenzione è ad esso connaturata in quanto l'effetto proprio del trust non è quello di dare vita ad un nuovo soggetto di diritto, ma quello di istituire un patrimonio destinato ad un fine prestabilito (Cass. n. 10105/2014). In definitiva il negozio di trust determina un fenomeno di segregazione patrimoniale di un bene, senza creare una autonoma personalità giuridica, «da non confondere con il vincolo di destinazione ex art. 2645 ter c.c., privo di formali effetti traslativi (al momento dell'istituzione) e perciò, dal punto fiscale, non idoneo ad esprimere una «capacità contributiva» (C.t.r. Venezia Mestre, 21 febbraio 2012; anche per C.t.p. Bologna 30 ottobre 2009, in Riv. not., 2010, 429, «i vincoli di destinazione e i trust sono istituti ben diversi e non è affatto scontato considerare i secondi come una particolare specificazione dei primi, essendo necessaria, per l'assoggettabilità al tributo, una valutazione caso per caso che tenga conto della natura giuridica del negozio e degli effetti che l'atto di trust produce». L'introduzione nell'ordinamento interno dell'istituto del trust ha, come intuitivo, suscitato numerose questioni di natura fiscale, sia dal versante della imposizione diretta che indiretta, come da quello dei tributi i.c.i. i.m.u.. L'imposizione applicabile con riguardo al conferimento in trust di beni immobili Particolarmente discussa è stata la questione dell'imposizione applicabile con riguardo al conferimento in trust di beni immobili. Il quesito concerne il trattamento tributario, ai fini delle imposte indirette, del conferimento di immobili in trust, occorrendo stabilire se l'atto debba scontare l'imposta in misura proporzionale oppure in misura fissa. Secondo l'Agenzia delle entrate (circolare n. 48/E/2007) l'atto istitutivo con il quale il disponente esprime la volontà di costituire il trust, che non contempli anche il trasferimento di beni nel trust (disposto in un momento successivo), se redatto con atto pubblico o con scrittura privata autenticata, va assoggettato all'imposta di registro in misura fissa ai sensi dell'art. 11 della Tariffa, parte prima, del d.P.R. n. 131/1986, quale atto privo di contenuto patrimoniale. Al contrario, il conferimento di beni nel trust — cioè l'atto dispositivo con il quale il settlor vincola i beni in trust — è un negozio a titolo gratuito e va assoggettato all'imposta sulle successioni e donazioni in misura proporzionale, sia esso disposto mediante testamento o per atto inter vivos. Il trust, osserva l'Amministrazione delle finanze, si concretizza in un rapporto giuridico complesso che ha un'unica causa fiduciaria. Tutte le vicende del trust (istituzione, dotazione patrimoniale, gestione, realizzazione dell'interesse del beneficiario, il raggiungimento dello scopo) sono collegate dalla medesima causa. Ciò induce a ritenere, a parere dell'Agenzia delle entrate, che la costituzione del vincolo di destinazione avvenga sin dall'origine a favore del beneficiario (naturalmente nei trust con beneficiario) e sia espressione dell'unico disegno volto a consentire la realizzazione dell'attribuzione liberale. Conseguentemente, ai fini della determinazione delle aliquote, che si differenziano in dipendenza del rapporto di parentela e affinità, occorre guardare al rapporto intercorrente tra il disponente e il beneficiario (e non a quello tra disponente e trustee). Nel trust di scopo, gestito per realizzare un determinato fine, senza indicazione di beneficiario finale, l'imposta è inoltre dovuta con l'aliquota prevista per i vincoli di destinazione a favore di «altri soggetti». Anche le imposte ipotecaria e catastale, dovute rispettivamente per la formalità della trascrizione e per la voltura catastale, sono dovute in misura proporzionale. Con la successiva circolare n. 3/E/2008, l'Agenzia delle entrate ha precisato che la costituzione di beni in trust rileva, in ogni caso, ai fini dell'applicazione dell'imposta sulle successioni e donazioni, indipendentemente dal tipo di trust. Pertanto, anche nel trust autodichiarato, in cui il settlor assume le funzioni di trustee, l'attribuzione dei beni in trust, pur in assenza di formali effetti traslativi, deve essere assoggettato all'imposta sulle successioni e donazioni. Tale affermazione trae argomento dalla natura patrimoniale del conferimento in trust nonché dall'effetto segregativo che esso produce sui beni conferiti indipendentemente dal trasferimento formale della proprietà. Il soggetto passivo dell'imposta sulle successioni e donazioni è il trust, in quanto immediato destinatario dei beni oggetto della disposizione segregativa, ed essa deve essere corrisposta al momento della segregazione del patrimonio; la successiva devoluzione ai beneficiari dei beni vincolati in trust non realizza, ai fini dell'imposta sulle successioni e donazioni, un presupposto impositivo ulteriore; i beni, infatti, hanno già scontato l'imposta sulla costituzione del vincolo di destinazione al momento della segregazione in trust, funzionale all'interesse dei beneficiari. Infine, la circolare ribadisce che in riferimento all'ipotesi in cui i beni siano costituiti in trust successivamente all'istituzione del trust medesimo, l'istituzione del trust è un atto privo di contenuto patrimoniale, da assoggettare, se redatto per atto pubblico o scrittura privata autenticata, all'imposta di registro in misura fissa. La S.C. ha seguito in un primo tempo tali indicazioni, ma, in epoca più recente, è pervenuta ad una soluzione diversa, affermando che l'effetto segregante del trust, e cioè la separazione di beni dal patrimonio del disponente, comporta che, ai fini fiscali, il momento impositivo si realizzi col trasferimento finale, e non iniziale, dei beni al beneficiario. Ciò si desume dalla decisione secondo cui, in tema d'imposta ipotecaria e catastale, l'istituzione di un trust cd. autodichiarato, con conferimento di immobili e partecipazioni sociali per una durata predeterminata o fino alla morte del disponente, i cui beneficiari siano i discendenti di quest'ultimo, è riconducibile alla donazione indiretta ed è soggetto all'imposta in misura fissa, atteso che la «segregazione», quale effetto naturale del vincolo di destinazione, non comporta, però, alcun reale trasferimento o arricchimento, che si realizzeranno solo a favore dei beneficiari, successivamente tenuti al pagamento dell'imposta in misura proporzionale (Cass. n. 21614/2016). Ed anche di recente si è ribadito che, ai fini dell'applicazione delle imposte proporzionali di successione e donazione, di registro ed ipotecaria è necessario un trasferimento effettivo di ricchezza mediante un'attribuzione patrimoniale stabile e non meramente strumentale. Tale condizione non è realizzata dall'atto istitutivo di trust, né da quello di dotazione patrimoniale di esso, ma solo dall'eventuale attribuzione finale al beneficiario. Pertanto, non è legittimo applicare l'imposta sulle successioni e donazioni del 4% all'atto istitutivo di trust che preveda quale beneficiario lo stesso disponente ed in caso di premorienza i suoi figli, in quanto tale atto non è in grado di determinare un arricchimento/trasferimento stabile e reale in capo ad alcuno (Cass. V, n. 10256/2020). uLa decisione del 2016, come si diceva, ha mutato il corso della precedente giurisprudenza della S.C. ( Cass. n. 4482/2016 ; Cass. n. 5322/2015 ; Cass. n. 3886/2015 ; Cass. n. 3737/2015 ; Cass. n. 3735/2015 ), la quale aveva affermato, con una interpretazione della norma contenuta nell' art. 2, commi 47 e 49 del d.l. n. 262/2006 , convertito dalla l. n. 286/2006 , che detta norma ha una portata innovativa atteso che istituisce l'imposta direttamente sulla costituzione dei vincoli («è istituita l'imposta ... e sulla costituzione di vincoli di destinazione, secondo le disposizioni del testo unico delle disposizioni concernenti l'imposta sulle successioni e donazioni, di cui al d.lgs. n. 346/1990 »), vincoli, che designano non negozi, bensì l'effetto giuridico di destinazione, mediante il quale si dispone, ossia si pone fuori da sé, un bene, orientandone i diritti dominicali al perseguimento degli obiettivi voluti. I passaggi decisivi della citata Cass. n. 4482/2016 si possono identificare nei seguenti snodi motivazionali: a ) «nel dictum di questa Corte... l 'imposta è istituita direttamente, ed in sé, sulla costituzione dei vincoli»; b ) «la costituzione di un vincolo di destinazione su beni (nel caso di specie attraverso l'istituzione di un trust ), costituisce — di per sé ed anche quando non sia individuabile uno specifico beneficiario — autonomo presupposto impositivo in forza della l. n. 286/2006 , art. 2, comma 47, che assoggetta tali atti, in mancanza di disposizioni di segno contrario, ad un onere fiscale parametrato sui criteri di cui alla imposta sulle successioni e donazioni». Si è replicato che quella così prospettata costituisce interpretazione forzata della norma contenuta nel citato comma 47 dell'art. 2 l. n. 286/2006 (Pennarola, 193), sia perché in questa non è previsto il trust come negozio da assoggettare ad imposte indirette in genere, ed in particolare alle imposte sulle successioni e donazione, sia perché i vincoli di destinazione e i trust sono istituti ben diversi e non si possono considerare i secondi come una particolare specificazione dei primi, essendo necessaria, per l'assoggettabilità al tributo, una valutazione caso per caso che tenga conto della natura giuridica del negozio e degli effetti che l'atto di trust produce. Il tipo di trust autodichiarato costituisce una forma di donazione indiretta, nel senso che per suo mezzo il disponente provvederà a beneficiare i suoi discendenti non direttamente e bensì a mezzo del trustee in esecuzione di un diverso programma negoziale. Difatti la costituzione del trust — come è normale che avvenga per «i vincoli di destinazione» — produce soltanto efficacia «segregante» i beni eventualmente in esso conferiti e questo sia perché degli stessi il trustee non è proprietario bensì amministratore e sia perché i ridetti beni non possono che essere trasferiti ai beneficiari in esecuzione del programma negoziale stabilito per la donazione indiretta (artt. 2 e 11 Convenzione dell'Aja del 1° luglio 1985). L'appena veduta osservazione è fondamentale perché consente di comprendere l'inconsistenza della tesi che, pur riconoscendo che quella applicabile al trust è l'imposta sulle donazioni e sulle successioni, sostiene l'erroneo convincimento che il conferimento di beni nel trust dia luogo a un reale trasferimento imponibile. Un reale trasferimento che è invece all'evidenza impossibile perché del tutto contrario al programma negoziale di donazione indiretta per cui è stato predisposto e che prevede la temporanea preservazione del patrimonio a mezzo della sua «segregazione» fino al trasferimento vero e proprio a favore dei beneficiari. Per l'applicazione dell'imposta sulle successioni e sulle donazioni manca quindi il presupposto impositivo della liberalità alla quale può dar luogo soltanto un reale arricchimento mediante un reale trasferimento di beni e diritti. D'altronde l'art. 53 Cost., non pare poter tollerare un'imposta, a meno che non sia un'imposta semplicemente d'atto come è per es. quella di registro, senza relazione alcuna con un'idonea capacità contributiva. In tal senso già C.t.p. Bologna 30 ottobre 2009, in Riv. notariato, 2010, 429, ha affermato che «un trust istituito al solo scopo di realizzare una reciproca garanzia non genera alcun arricchimento né potenziale né effettivo in capo al trustee o in capo ai disponenti, donde l'inapplicabilità dell'imposta sulle donazioni». In analoga prospettiva, C.t.r. Venezia Mestre 21 febbraio 2012, nell'affermare che «il trust si sostanzia nella semplice separazione di beni dal patrimonio del disponente: il momento impositivo si realizza nel momento del trasferimento finale, e non iniziale, dei beni al beneficiario», ha chiarito che «non può consentirsi all'interprete estendere la categoria dei negozi con vincolo di destinazione a negozi che tali non sono: i primi vengono sottoposti a tassa proporzionale perché comportano un evidente incremento patrimoniale e quindi sono espressione di capacità contributiva; i secondi al contrario né causano, al momento della loro istituzione, l'incremento patrimoniale né sono rivelatori di capacità contributiva». È stato parimenti osservato che «l'imposta ipotecaria e catastale relativa al negozio giuridico del trust va applicata in misura fissa e non proporzionale poiché i beneficiari sono titolari di un diritto sottoposto a condizione sospensiva che non consente loro al momento del trust di ottenere i beni, non essendo ipotizzabile alcun arricchimento» (C.t.p. Latina 8 gennaio 2013). Secondo C.t.p. Lodi 4 aprile 2011, in Riv. dir. trib., 2012, 146, e C.t.p. Brescia 11 gennaio 2006 n. 205, in Riv. dott. comm., 2007, 141: «L'atto dispositivo di costituzione di un trust, redatto in forma pubblica, è assoggettato alla sola imposta fissa di registro ex art. 11 della tariffa, parte prima, d.P.R. n. 131/1986 (e non all'imposta proporzionale del 3% del valore del conferimento, in applicazione dell'art. 9 d.P.R. n. 131/1986), poiché dall'atto di conferimento, in quanto tale, non può farsi conseguire una favorevole certezza di positivi risultati gestionali, tanto che lo stesso patrimonio consegnato in gestione potrebbe affievolirsi». A conforto della tesi della non imposizione del trust con un'imposta proporzionale è la constatazione che il d.l. 3 ottobre 2006, n. 262, convertito dalla l. n. 286/2006, non include esplicitamente il negozio di trust tra gli atti da assoggettare alle imposte indirette col sistema proporzionale. Il presupposto delle imposte sulle donazioni e successioni è l'arricchimento patrimoniale a titolo di liberalità, presupposto impositivo che non ricorre nella costituzione di un trust e ciò sia quando il negozio non sia stato costituito a beneficio di un soggetto terzo diverso dai disponenti, per cui «dal trasferimento della proprietà dei beni non scaturisce alcun arricchimento del settlor» (C.t.r. Lombardia Milano 21 gennaio 2016 n. 346). L'atto di trasferimento iniziale dei beni in trust non produce dunque alcun arricchimento, sicché soltanto successivamente, al verificarsi degli eventi condizionati, ossia quando il trustee attribuirà il fondo in trust ai beneficiari, si realizza il presupposto impositivo, consistente nell'effettivo arricchimento dei beneficiari, con conseguente obbligo in capo a questi ultimi di denuncia ai sensi dell'art. 19 d.P.R. n. 131/1986 e del conseguente pagamento delle imposte dovute (C.t.p. Firenze 12 febbraio 2009, in Guida dir., 2011, 89; ancora in senso critico nei confronti del pregresso orientamento della S.C., v. C.t.p. Forlì n. 199/2017;C.t.p.Milano n. 3946/2017;C.t.p.Brescia n. 490/2017;C.t.p. Pesaro n. 387/2017;C.t.p.Treviso n. 125/2017;C.t.p. Bologna, n. 213/2017,C.t.p. Bologna, n.215/2017, 216/2017, 219/2017, 220/2017, 221/2017;C.t.p.Milano n. 1468/2017; C.t.r. Milano n. 6758/2016; C.t.r. Torino n. 326/2016; C.t.r. Firenze n. 795/2016; C.t.r. Salerno n. 4922/2016; C.t.r. Milano n. 2845/2016;C.t.p. Torino n. 1879/2015;C.t.p.Lucca, n. 728/2015). Su tale linea si è collocata la citata Cass. n. 21614/2016, la quale ha scrutinato l'opinione dell'Agenzia delle entrate, svolta in conformità al contenuto della menzionata Circolare n. 48/E del 6 agosto 2007, nonché a quello della Circolare n. 3/E del 22 gennaio 2008, le quali, come si è già visto, sostengono che gli «effetti segreganti» del trust, autodichiarato o meno, danno luogo ad un trasferimento dei beni conferiti che deve assoggettarsi a tassazione secondo le regole di cui alla reintrodotta legge sulle successioni e donazioni exd.lgs. n. 346/1999. E ciò, secondo l'Amministrazione, in ragione dell'art. 2, comma 47 ss., d.l. n. 262 cit. che prevede «l'istituzione» dell'imposta sulle successioni e sulle donazioni anche «sulla costituzione dei vincoli di destinazione» e nei quali — si afferma — debbono farsi rientrare anche i trust, autodichiarati o no. Tanto è vero che, in assenza di conferimento di beni, sono le stesse circolari n. 48/E e n. 3/E cit. a dire che il trust debba scontare soltanto l'imposta di registro in misura fissa, atteso che in questo caso è mancante qualsiasi trasferimento di ricchezza, con la conseguenza che l'atto di costituzione del trust, non accompagnato da alcun conferimento, non andrebbe assoggettato all'imposta di successione e donazione proprio perché quest'ultima non è un'imposta d'atto, bensì un'imposta che tassa il trasferimento di ricchezza liberale. Viceversa, la S.C., disattendendo l'idea dell'Amministrazione appena riassunta, e capovolgendo il proprio precedente orientamento, ha infine stabilito che l'istituzione di un trust con conferimento di immobili deve scontare le imposte in misura fissa e non proporzionale, perché la fattispecie si inquadra in quella di una donazione indiretta cui è funzionale la «segregazione» quale effetto naturale del vincolo di destinazione, una «segregazione» da cui non deriva quindi alcun reale trasferimento di beni e arricchimento di persone, trasferimento e arricchimento che dovrà invece realizzarsi a favore dei beneficiari, i quali saranno perciò nel caso successivamente tenuti al pagamento dell'imposta in misura proporzionale. La riscossione del tributo donativo deve essere perciò rinviato alla successiva fase di effettiva devoluzione del patrimonio del trust ai beneficiari. Analogamente, in materia di imposte ipotecaria e catastale, la S.C. è stata molto chiara: la tassazione proporzionale del trust rileva solo nel momento in cui venga concretamente realizzato il trasferimento definitivo del patrimonio in capo al trustee comportando l'attribuzione, fino a quel momento, una semplice separazione del patrimonio; nel trust, assimilabile ad una donazione liberale, il fisco può, dunque, applicare le imposte, quale quella ipotecaria, ex art. 1, d.lgs. n. 347/1990, o catastale ex art. 10, comma 2, d.lgs. n. 347/1990, in misura fissa attesa la mancanza dell'incremento patrimoniale in capo al beneficiario (Cass. n. 25478/2015; Cass. n. 25480/2015). In definitiva, per effetto del trust immobiliare i beneficiari divengono esclusivamente titolari di una posizione qualificabile come di aspettativa giuridica, ragion per cui l'imposta si applica solo quando il trustee, realizzato il programma predisposto dal disponente nell'atto istitutivo, arricchisce effettivamente i beneficiari. Analogamente a quanto avviene con la costituzione di un fondo patrimoniale la cui costituzione non consiste in un atto traslativo a titolo oneroso, né in un atto avente per oggetto prestazioni a contenuto patrimoniale, né, infine, in un atto avente natura meramente ricognitiva, ma realizza una convenzione istitutiva di un nuovo regime giuridico, diverso da quello precedente ed è «costitutivo di beni in un patrimonio avente un vincolo di destinazione a carattere reale, in quanto vincola l'utilizzazione dei beni e dei frutti solo per assicurare il soddisfacimento dei bisogni della famiglia» (Cass. n. 8289/2003). In tali casi, ai fini dell'imposta di registro, il regime di tassazione non è quello dell'imposta proporzionale, di cui agli artt. 1 (atti traslativi a titolo oneroso), 3 (atti di natura dichiarativa), o 9 (atti diversi, aventi ad oggetto prestazioni a contenuto patrimoniale), della tariffa, parte prima, allegata al d.P.R. n. 131/1986, e ciò perché l'atto istitutivo di trust va inquadrato nella categoria residuale disciplinata dall'art. 11 della tariffa stessa, con conseguente applicabilità dell'imposta nella misura fissa ivi indicata (Cass. n. 12071/2008): analogamente è da dirsi per le imposte ipotecarie e catastali che rappresentano una consequenzialità dell'imposta di registro ed in quanto tali si applicano in misura fissa. Secondo la dottrina (Pennarola, 193), inoltre, la non confondibilità del trust con i vincoli di destinazione si ricava dalla l. n. 112/2016, art. 1, comma 3, che mira, tra l'altro, ad «agevolare le erogazioni da parte di soggetti privati, la stipula di polizze di assicurazione e la costituzione di trust, di vincoli di destinazione di cui all'art. 2645-ter c.c. e di fondi speciali, composti di beni sottoposti a vincolo di destinazione e disciplinati con contratto», agevolazione che consiste nella esenzione dall'imposta sulle successioni e donazioni prevista dall'articolo 2, commi da 47 a 49, del d.l. n. 262/2006, convertito, con modificazioni, dalla l. n. 286/2006, e successive modificazioni: «I beni e i diritti conferiti in trust ovvero gravati da vincoli di destinazione di cui all'articolo 2645-ter del codice civile ovvero destinati a fondi speciali di cui al comma 3 dell'articolo 1, istituiti in favore delle persone con disabilità grave come definita dall'art. 3, comma 3, della l. n. 104/1992,... sono esenti dall'imposta sulle successioni e donazioni prevista dall'art. 2, commi da 47 a 49, del d.l. n. 262/2006, convertito, con modificazioni, dalla l. n. 286/2006, e successive modificazioni». La novella legislativa ora riportata non legittima ad affermare che quindi l'atto istitutivo di trust, con finalità diverse da quelle previste dalla l. n. 112/2016, sconti le imposte indirette ed in particolare le imposte sulle successioni e donazioni in misura proporzionale: per queste ultime imposte il presupposto della loro applicabilità è l'arricchimento patrimoniale che con l'istituzione del trust non si verifica inizialmente in capo al futuro beneficiario atteso che il «trasferimento di beni e diritti» — per effetto della segregazione propria del negozio di trust, avviene condizionatamente e nel rispetto del programma predisposto dal disponente. La S.C. è anche di recente tornata sul tema delle imposte indirette da applicarsi al trust. Secondo la S.C., il trust non rappresenta «un atto avente per oggetto prestazioni a contenuto patrimoniale», cui applicarsi, in via residuale, l'imposta in via proporzionale del 3%, ai sensi dell'art. 9 tariffa allegata al d.P.R. n. 131/1986. Infatti, tale norma disciplina tutte le fattispecie fiscalmente rilevanti diverse da quelle indicate nelle restanti disposizioni, purché, però, si tratti di fattispecie onerose, e, in questo specifico senso, aventi un contenuto patrimoniale (Cass. n. 13626/2018). Con tale decisione, e con la successiva Cass. n. 15469/2018, la S.C. si è pronunciata riguardo al regime fiscale da applicare, ai fini delle imposte indirette, in caso di conferimento di beni in un trust. Entrambe le decisioni affermano concordemente che l'atto istitutivo di un trust non può essere considerato quale atto a contenuto patrimoniale ai fini dell'imposta di registro, per il solo fatto che il consenso prestato dal disponente riguarda un vincolo su beni muniti di valore economico. Viene posto l'accento sulle caratteristiche tipiche del trust come istituto giuridico, sia sulle caratteristiche del sistema impositivo di registro, in cui l'elemento essenziale, alla luce della quale leggere la nozione di prestazione «a contenuto patrimoniale», è l'onerosità. Infatti, l'art. 9 della tariffa, parte 1, d.P.R. n. 131/1986 (T.U. imposta di registro) va intesa quale clausola di chiusura diretta a disciplinare la generalità delle fattispecie fiscalmente rilevanti diverse da quelle indicate nelle restanti disposizioni, sempre che si tratti di fattispecie onerose, e in questo specifico senso aventi un contenuto patrimoniale. La lettura di tale norma ma poi condotta in uno con l'art. 43 del T.U., il quale definisce la base imponibile per l'applicazione dell'imposta. In particolare, la lett. h) di tale disposizione prevede che si deve fare riferimento «all'ammontare dei corrispettivi in danaro pattuiti per l'intera durata del contratto». Ciò dimostra, per la S.C., che, ai sensi dell'art. 9 della tariffa, la prestazione «a contenuto patrimoniale» è quella onerosa (Cass. n. 975/2018). Le decisioni citate concordano anche nel ritenere non applicabile al trust l'art. 2, comma 47, del d.l. n. 262/2006, che ha introdotto «l'imposta sulle successioni e donazioni sui trasferimenti di beni e diritti per causa di morte, per donazione o a titolo gratuito e sulla costituzione di vincoli di destinazione», la cui disciplina è indicata per relationem nel d.lgs. n. 346/1990, «concernenti l'imposta sulle successioni e donazioni». In particolare, Cass. n. 15469/2018, che si è occupata di un trasferimento di un immobile, ha escluso che «il conferimento dei beni in trust dia luogo ad un reale trasferimento imponibile», perché contrario «al programma negoziale di donazione indiretta per cui è stato predisposto e che prevede la temporanea preservazione del patrimonio a mezzo della sua segregazione fino al trasferimento vero e proprio a favore dei beneficiari». Cass. n. 13626/2018, invece, che si è occupata di un trust c.d. «solutorio», ritiene che la tesi secondo la quale l'ambito di applicazione dell'imposta di donazione sarebbe stato esteso anche ai vincoli di destinazione, non sia condivisibile, giacché condurrebbe all'errata conclusione che si tratti di un nuovo tributo indipendente dal trasferimento di ricchezza discendente dal conferimento di beni e che troverebbe il suo presupposto impositivo nella semplice costituzione di «vincoli d'indisponibilità». Secondo la S.C. il dato letterale non autorizza una tale conclusione, giacché l'unica imposta espressamente istituita è stata la reintrodotta imposta sulle successioni e sulle donazioni, alla quale, per ulteriore espressa disposizione, debbono andare anche assoggettati i «vincoli di destinazione», con la scontata conseguenza che il presupposto dell'imposta rimane quello stabilito dall'art. 1 d.lgs. n. 346/1990, ovvero quello del reale trasferimento di beni o diritti e, quindi, quello del reale arricchimento dei beneficiari. In difformità da Cass. n. 15469/2018, la successiva Cass. n. 13626/2018 ritiene che, nel caso specifico, l'imposta di donazione sarebbe da applicare, con l'aliquota maggiore dell'8%, al momento del trasferimento dei beni nel trust. Nel commentare la decisione, la dottrina (Gallio) ha ricordato che, secondo la Convenzione dell'Aja del 1985, ratificata senza riserve dall'Italia con l. n. 364/1989, il trust è un rapporto giuridico che nasce da un atto dispositivo inter vivos o mortis causa, con cui il soggetto disponente (settlor) trasferisce tutti o parte dei suoi beni (asset) ad un trustee, il quale avrà il compito di amministrarli e gestirli secondo quanto previsto nell'atto istitutivo del trust e nell'interesse di un beneficiario o al fine del raggiungimento di un determinato scopo (purpose). Figura egualmente tipica dell'istituto del trust è quella del guardiano (protector o enforcer), nominato dal disponente quale supervisore dell'operato del trustee, il quale avrà, in particolare, il potere di revocare e sostituire il trustee medesimo. L'effetto principale e connaturato al trust e, più precisamente, al sotteso atto di dotazione dei beni, come si è già avuto modo di ricordare, è il c.d. «effetto segregativo» che determina la separazione dei beni conferiti nei confronti sia del patrimonio del disponente, sia del patrimonio del trustee, con la conseguenza che i medesimi beni non potranno essere oggetto di azioni esecutive e/o cautelari da parte dei creditori, una volta decorso il termine previsto. Viene aggiunto che il problema della legittimità del c.d. trust «interno», ovvero del trust in cui tutti gli elementi soggettivi e oggettivi siano legati ad un ordinamento, come quello italiano, che non qualifica lo specifico rapporto come trust, sembrerebbe risolta, almeno in parte, con la legge sul c.d. «Dopo di noi» (l. n. 112/2016), laddove, per la prima volta, viene disciplinato dal punto di vista civilistico l'istituto del trust. Con la costituzione di vincoli di destinazione, tra i quali potrebbe rientrare anche l'istituto del trust, sorge il dubbio se le imposte indirette debbano essere applicate in misura proporzionale nel momento della segregazione dei beni o successivamente. Secondo Cass. n. 15469/2018, ciò dovrebbe verificarsi al momento in cui i beni immobili verranno trasferiti ai beneficiari. Al contrario, invece, Cass. n. 13636/2018, ritiene che il trasferimento ad un trust, costituito da parte di una società per azioni, con lo scopo di alienare delle quote di una società a responsabilità limitata, conferite nel relativo fondo, per provvedere al pagamento della propria esposizione debitoria, sconterebbe immediatamente l'imposta di donazione dell'8%. In particolare, i giudici di legittimità ritengono che, con tale tipologia di trust, non essendo auto-dichiarato, si viene a realizzare un trasferimento di beni a favore del trustee, con emersione della potenziale capacità economica del destinatario (immediato) del trasferimento. Per questo motivo, non essendoci rapporti di parentela, di affinità o di coniugo, tra la società disponente ed i futuri beneficiari (i relativi creditori), sarebbe giustificata l'applicazione dell'aliquota residuale dell'8%. Le ragioni poste a sostegno di Cass. n. 15469/2018 evidenziano che, con il conferimento dei beni in trust, non vi sarebbe alcun trasferimento di ricchezza, presupposto che, invece, si verificherebbe solamente al momento dell'assegnazione degli immobili ai beneficiari. Pertanto, l'imposta di donazione non dovrebbe essere applicata, mentre le imposte ipotecarie e catastali lo dovrebbero essere in misura fissa e non proporzionale. Nella decisione viene citata anche Cass. n. 21614/2016, che ha sancito importanti principi in merito alla tassazione indiretta dei trust. In particolare, con tale pronuncia non è stata condivisa la tesi dell'Agenzia delle Entrate, secondo la quale gli effetti segregativi del trust, anche se «auto-dichiarato», danno luogo ad un trasferimento dei beni. Infatti, con l'atto di costituzione dell'istituto, non vi sarebbe il trasferimento di ricchezza liberale e, come tale, da tassazione ai fini dell'imposta di donazione. Del resto, tale interpretazione troverebbe conferma in alcuni documenti della stessa amministrazione finanziaria (si citano le Circolari n. 48/E del 6 agosto 2007 e la n. 3/E del 22 gennaio 2008), laddove è stato sostenuto che il trust, in assenza di conferimento, sconterebbe soltanto l'imposta di registro in misura fissa, atteso che, in questo caso, sarebbe mancante qualsiasi trasferimento di ricchezza, con la conseguenza che l'atto di costituzione del trust, non accompagnato da alcun conferimento, non andrebbe assoggettato all'imposta di successione e donazione proprio perché quest'ultima non è un'imposta d'atto e bensì un'imposta che tassa il trasferimento di ricchezza liberale. Infatti, la costituzione del trust, come è normale che avvenga per «i vincoli di destinazione», produce soltanto efficacia segregante dei beni eventualmente in esso conferiti e questo, sia perché degli stessi il trustee non è proprietario, bensì amministratore, sia perché i ridetti beni non possono che essere trasferiti ai beneficiari in esecuzione del programma negoziale stabilito per la donazione indiretta. Pertanto, nella fattispecie in esame mancherebbe un reale trasferimento che è invece all'evidenza impossibile, dal momento che sarebbe del tutto contrario al programma negoziale di donazione indiretta per cui è stato predisposto, il quale prevede la temporanea preservazione del patrimonio a mezzo della sua «segregazione» fino al trasferimento vero e proprio a favore dei beneficiari. L'assenza di un reale arricchimento mediante un reale trasferimento di beni e diritti non permetterebbe di considerare verificato il presupposto impositivo della liberalità e, quindi, dell'applicazione dell'imposta di donazione. Le conclusioni, invece, di Cass. n. 13626/2018 sono a favore dell'applicazione immediata dell'imposta di donazione, in quanto, nel caso di specie. il trasferimento a favore dell'attuatore fa emergere la potenziale capacità economica del destinatario (immediato) del trasferimento. Infatti, coerentemente con la natura e l'oggetto del tributo, sarebbero rilevanti i vincoli di destinazione in grado di determinare effetti traslativi in vicende non onerose, collegati al trasferimento di beni e diritti, che realizzano un incremento stabile, misurabile in moneta, di un dato patrimonio con correlato decremento di un altro. Il vincolo di destinazione, in tal caso, sarebbe idoneo a produrre un effetto traslativo funzionale al (successivo ed eventuale) trasferimento della proprietà dei medesimi beni vincolati a favore di soggetti beneficiari diversi dal soggetto disponente» senza alcun effetto di segregazione del bene. E questo si verificherebbe nel caso oggetto della controversia dove i contraenti vollero il reale trasferimento delle quote e dei relativi diritti al trustee, sia pure ai fini della liquidazione, e quindi il reale arricchimento del beneficiario. In merito alla natura dell'atto di istituzione del trust, è stato ancora ricordato (Gallio) che la S.C. ha recentemente sancito, come poc'anzi accennato, che un trust c.d. «solutorio» avrebbe natura onerosa, al contrario di quello costituito, ad esempio, per la soddisfazione dei bisogni della famiglia (così Cass. n. 13388/2018). Se tale interpretazione fosse stata confermata anche dalla citata pronuncia n. 13626/2018, avendo il trasferimento come oggetto quote, sarebbe stata applicabile l'imposta di registro in misura fissa, ai sensi dell'art. 11 della Tariffa, parte prima, allegata al d.P.R. n. 131/1986, mentre l'imposta di donazione non sarebbe stata dovuta, mancando l'elemento della gratuità. La stessa dottrina anche rammentato che dal punto di vista dell'imposizione indiretta il trattamento tributario della segregazione dei beni in un trust è stato oggetto di numerosi contrasti giurisprudenziali. Infatti, l'oggetto della discussione si basa sulla problematica del momento in cui si possa definire realizzato il presupposto impositivo e, in particolare, se, all'atto del conferimento dei beni da parte del disponente, siano dovute l'imposta di donazione e le altre imposte indirette in misura proporzionale (registro, ed ipotecarie e catastali, qualora siano presenti dei beni immobili), oppure in misura fissa. Per quanto riguarda l'imposta di donazione, secondo alcune pronunce giurisprudenziali della S.C., ogni fonte di costituzione di vincoli di destinazione sarebbe assoggettabile all'imposta di donazione (Cass. n. 3735/2015; Cass. n. 3886/2015; Cass. n. 3737/2015). La tesi dei giudici di legittimità appena citati sarebbe coerente con quanto stabilito dall'Agenzia delle Entrate (con la Circolare n. 3/E del 2008, par. 5.4.2), la quale ha chiarito che la costituzione di beni in trust rileva, in ogni caso, ai fini dell'applicazione dell'imposta sulle successioni e donazioni, indipendentemente dal tipo di trust utilizzato. Tale affermazione trarrebbe giustificato motivo dalla natura patrimoniale del conferimento in trust, nonché dall'effetto segregativo che esso produce sui beni conferiti indipendentemente dal trasferimento formale della proprietà e, da ultimo, dal complessivo trattamento fiscale del trust che escluderebbe dalla tassazione il trasferimento dei beni a favore dei beneficiari. La S.C., con le due pronunce in esame, è giunta sostanzialmente alle medesime conclusioni, seppur attraverso un percorso ermeneutico differente. In particolare, ha preso le mosse dall'art. 2, comma 47, d.l. n. 262/2006, che ha introdotto «l'imposta sulle successioni e donazioni sui trasferimenti di beni e diritti per causa di morte, per donazione o a titolo gratuito e sulla costituzione di vincoli di destinazione, secondo le disposizioni» del d.lgs. n. 346/1990 (vecchio testo unico dell'imposta sulle successioni e donazioni). Pertanto, stante il dato normativo letterale poc'anzi riportato, il legislatore avrebbe introdotto, accanto all'imposta sulle successioni e donazioni, una nuova fattispecie impositiva sulla costituzione di vincoli di destinazione, che, peraltro, a differenza dell'imposta su successioni e donazioni, prima non esisteva nell'ordinamento e colpisce soltanto la costituzione del vincolo di destinazione, a prescindere dall'esistenza di qualsivoglia trasferimento. Da ultimo è stato detto che ai fini della individuazione dell'imposta applicabile al trust, ritenuto troppo rigido l'orientamento che assume che l'imposta proporzionale sia automaticamente collegata alla costituzione dei vincoli senza valutarne gli effetti, occorre valutare caso per caso, soprattutto nel trust autodichiarato, se il negozio sia o meno riconducibile alla donazione indiretta, considerando che la segregazione, quale effetto naturale del vincolo di destinazione, non comporta alcun reale trasferimento o arricchimento, che si realizzeranno solo a favore dei beneficiari, successivamente tenuti al pagamento dell'imposta in misura proporzionale. Alla luce dei principi costituzionali legati alla capacità contributiva ex art. 53 Cost., l'imposta proporzionale è, pertanto, legittima qualora il trasferimento a favore dell'attuatore faccia emergere la potenziale capacità economica del destinatario (immediato) del trasferimento. Coerentemente con la natura e l'oggetto del tributo, sono rilevanti i vincoli di destinazione in grado di determinare effetti traslativi collegati al trasferimento di beni e diritti, che realizzano un incremento stabile, misurabile in moneta, di un dato patrimonio con correlato decremento di un altro (Cass. n. 31445/2018). Ai fini della determinazione dell'imposta di registro — nel regime, applicabile ratione temporis, relativo agli atti formati anteriormente alla data del 3 ottobre 2006 — nell'ipotesi di costituzione di trust assume rilevanza l'onerosità ovvero la gratuità dello stesso, posto che, nel primo caso, è soggetto a tassazione in misura proporzionale del tre per cento, ai sensi dell'art. 9 della Tariffa, parte prima, allegata al d.P.R. n. 131/1986, mentre nel secondo è tassato in misura fissa, ex art. 11 della medesima Tariffa (Cass. n. 13141/2018). Trust e imposte sui redditi Per quanto riguarda le imposte sui redditi il trust è disciplinato dal d.P.R. n. 917/1986 (TUIR), come novellato dalla l. n. 296/2006 (legge finanziaria 2007), che con l'art. 1, comma 74, ha incluso, ai fini dell'imposta sul reddito, tra i soggetti passivi indicati nell'art. 73 del TUIR, sia i trust residenti in Italia sia i trust istituiti in uno Stato diverso, quando, successivamente alla loro costituzione, un soggetto residente nel territorio dello Stato effettui in favore del trust un'attribuzione che importi il trasferimento di proprietà di beni immobili o la costituzione o il trasferimento di diritti reali immobiliari, anche per quote, nonché vincoli di destinazione sugli stessi. Dispone, altresì, la norma che «nei casi in cui i beneficiari del trust siano individuati, i redditi conseguiti dal trust sono imputati in ogni caso ai beneficiari in proporzione alla quota di partecipazione individuata nell'atto di costituzione del trust o in altri documenti successivi ovvero, in mancanza, in parti uguali». Il comma 75 dell'art. 1 della l. n. 296/2006 aggiunge, tra i redditi di capitale previsti dall'art. 44, comma 1, del TUIR, anche quelli imputati al beneficiario di trust ai sensi dell'art. 73, comma 2, «anche se non residenti». Il comma 76 dell'art. 1 aggiunge tra i soggetti obbligati alla tenuta delle scritture contabili previsti dall'art. 13 del d.P.R. n. 600/1973, anche i trust. È stata così riconosciuta al trust un'autonoma soggettività tributaria estendendo ad esso l'imposta tipica delle società, degli enti commerciali e non commerciali. Con delibera del Secit (Servizio Centrale degli Ispettori Tributari) dell'11 maggio 1998 è stato affermato che «gli aspetti peculiari dell'istituto consentono di ritenere assoggettabile ad imposizione fiscale il trust in quanto connotato nei suoi elementi costitutivi (disponibilità del patrimonio, percezione di un reddito, trasferimento della ricchezza nella forma e con il contenuto previsti dalle norme impositive) dalla capacità giuridica-economica alla contribuzione (art. 53 Costituzione)». Sulla materia importanti chiarimenti provengono dalla circolare dell'Agenzia delle Entrate n. 48/E del 6 agosto 2007, il cui contenuto va considerato in dettaglio. Vi si legge che il comma 74 dell'art. 1 della finanziaria 2007, modificando a tal fine l'art. 73 del TUIR, ha dunque definitivamente sancito l'appartenenza del trust ai soggetti passivi dell'imposta sul reddito delle società. In particolare, sono soggetti all'imposta sul reddito delle società: i trust residenti nel territorio dello Stato che hanno per oggetto esclusivo o principale l'esercizio di attività commerciali (enti commerciali); i trust residenti nel territorio dello Stato che non hanno per oggetto esclusivo o principale l'esercizio di attività commerciali (enti non commerciali); i trust non residenti, per i redditi prodotti nel territorio dello Stato (enti non residenti). L'art. 73 individua, ai fini della tassazione, due principali tipologie di trust: trust con beneficiari di reddito individuati, i cui redditi vengono imputati per trasparenza ai beneficiari (trust trasparenti); trust senza beneficiari di reddito individuati, i cui redditi vengono direttamente attribuiti al trust medesimo (trust opachi). Come chiarito dalla Circolare n. 48/E dell'Agenzia delle entrate del 6 agosto 2007, avente ad oggetto: «Trust. Disciplina fiscale rilevante ai fini delle imposte sui redditi e delle imposte indirette», è tuttavia possibile che un trust sia al contempo opaco e trasparente. Ciò avviene, ad esempio, quando l'atto istitutivo preveda che parte del reddito di un trust sia accantonata a capitale e parte sia invece attribuita ai beneficiari. In questo caso, il reddito accantonato sarà tassato in capo al trust mentre il reddito attribuito ai beneficiari, qualora ne ricorrano i presupposti, vale a dire quando i beneficiari abbiano diritto di percepire il reddito, sarà imputato a questi ultimi. Dopo aver determinato il reddito del trust, il trustee indicherà la parte di esso attribuito al trust — sulla quale il trust stesso assolverà l'IRES — nonché la parte imputata per trasparenza ai beneficiari, su cui questi ultimi assolveranno le imposte sul reddito. In alternativa all'imposizione in capo al trust o ai beneficiari, taluni redditi di natura finanziaria sono soggetti a ritenuta a titolo d'imposta o ad imposta sostitutiva. Un trust che non esercita attività commerciale, compreso, quindi, tra i soggetti di cui all'art. 73, comma 1, lett. c), e che possiede, ad esempio, titoli soggetti alle disposizioni del d.lgs. n. 239/1996, vede gli interessi, premi ed altri frutti relativi a detti titoli sottoposti ad imposizione sostitutiva, ai sensi dell'art. 2 del decreto sopra richiamato. Sono altresì assoggettati a ritenuta d'imposta i redditi delle obbligazioni e titoli similari indicati nell'art. 26, comma 1, d.P.R. n. 600/1973 percepiti da trust non esercenti attività d'impresa commerciale. Inoltre, taluni redditi diversi di natura finanziaria indicati nell'art. 67, comma 1, lettere da c-bis) a c-quinquies) del TUIR, se percepiti da trust non commerciali residenti, sono assoggettati ad imposizione sostitutiva delle imposte sui redditi nella misura del 12,50%. La residenza del trust è individuata, con taluni adattamenti che tengono conto della natura dell'istituto, secondo i criteri generali utilizzati per fissare la residenza dei soggetti di cui all'art. 73 del TUIR. Ai sensi del comma 3 di tale articolo, un soggetto IRES si considera residente nel territorio dello Stato al verificarsi di almeno una delle condizioni sotto indicate per la maggior parte del periodo di imposta: sede legale nel territorio dello Stato; sede dell'amministrazione nel territorio dello Stato; oggetto principale dell'attività svolta nel territorio dello Stato. Considerando le caratteristiche del trust, di norma i criteri di collegamento al territorio dello Stato sono la sede dell'amministrazione e l'oggetto principale. Il primo di essi (la sede dell'amministrazione) risulterà utile per i trust che si avvalgono, nel perseguire il loro scopo, di un'apposita struttura organizzativa (dipendenti, locali, ecc.). In mancanza, la sede dell'amministrazione tenderà a coincidere con il domicilio fiscale del trustee. Il secondo criterio (l'oggetto principale) è strettamente legato alla tipologia di trust. Se l'oggetto del trust (beni vincolati nel trust) è dato da un patrimonio immobiliare situato interamente in Italia, l'individuazione della residenza è agevole; se invece i beni immobili sono situati in Stati diversi occorre fare riferimento al criterio della prevalenza. Nel caso di patrimoni mobiliari o misti l'oggetto dovrà essere identificato con l'effettiva e concreta attività esercitata. Per individuare la residenza di un trust si potrà fare utile riferimento alle convenzioni per evitare le doppie imposizioni. Come è noto, le convenzioni bilaterali per evitare le doppie imposizioni si applicano alle persone residenti di uno o di entrambi gli Stati contraenti che, in qualità di soggetti passivi d'imposta, subiscono una doppia imposizione internazionale. È possibile che i trust diano luogo a problematiche di tassazione transfrontaliera con eventuali fenomeni di doppia imposizione o, all'opposto, di elusione fiscale. Un trust, infatti, può realizzare il presupposto impositivo in più Stati, quando, ad esempio, il trust fund sia situato in uno Stato diverso da quello di residenza del trustee e da quello di residenza del disponente e dei beneficiari. La nuova disciplina fiscale contiene, altresì, disposizioni che mirano a contrastare possibili fenomeni di fittizia localizzazione dei trust all'estero, con finalità elusive. Al riguardo, il comma 3 dell'art. 73 del TUIR, introduce due casi di attrazione della residenza del trust in Italia. Si considerano residenti nel territorio dello Stato, salvo prova contraria, i trust e gli istituti aventi analogo contenuto istituiti in Paesi che non consentono lo scambio di informazioni (paesi non inclusi nella cosiddetta white list approvata con decreto del Ministro delle Finanze 4 settembre 1996 e successive modificazioni) quando almeno uno dei disponenti ed almeno uno dei beneficiari siano fiscalmente residenti nel territorio dello Stato. La norma menziona gli «istituti aventi analogo contenuto» a quello di un trust. Si è voluto in questo modo tenere conto della possibilità che ordinamenti stranieri disciplinino istituti analoghi al trust ma assegnino loro un nomen iuris diverso. Per individuare quali siano gli istituti aventi contenuto analogo si deve fare riferimento agli elementi essenziali e caratterizzanti dell'istituto del trust. È rilevante, inoltre, stabilire in quale momento la residenza fiscale di un disponente e di un beneficiario attrae in Italia la residenza fiscale del trust. In primo luogo, non sembra necessario che la residenza italiana del disponente e del beneficiario sia verificata nello stesso periodo d'imposta. Infatti la residenza del disponente, in considerazione della natura istantanea dell'atto di disposizione, rileva nel periodo d'imposta in cui questi ha effettuato l'atto di disposizione a favore del trust. Eventuali cambiamenti di residenza del disponente in periodi d'imposta diversi sono irrilevanti. Per la parte riguardante il beneficiario, la norma è applicabile ai trust con beneficiari individuati. La residenza fiscale del beneficiario attrae in Italia la residenza fiscale del trust anche se questa si verifica in un periodo d'imposta successivo a quello in cui il disponente ha posto in essere il suo atto di disposizione a favore del trust. Ai fini dell'attrazione della residenza in Italia è, infine, irrilevante l'avvenuta erogazione del reddito a favore del beneficiario nel periodo d'imposta. Si considerano, inoltre, residenti nel territorio dello Stato i trust istituiti in uno Stato che non consente lo scambio di informazioni quando, successivamente alla costituzione, un soggetto residente trasferisca a favore del trust la proprietà di un bene immobile o di diritti reali immobiliari ovvero costituisca a favore del trust dei vincoli di destinazione sugli stessi beni e diritti. In tal caso, è proprio l'ubicazione degli immobili che crea il collegamento territoriale e giustifica la residenza in Italia. Nelle due ipotesi considerate dalla norma, la residenza è attratta in Italia nel presupposto che il trust sia istituito in un Paese con il quale non è attuabile lo scambio di informazioni. La norma vuole evidentemente colpire disegni elusivi perseguiti attraverso la collocazione fittizia di trust interni (trust con disponente, beneficiario e beni in trust nel territorio dello Stato) in paesi che non consentano lo scambio di informazioni. In buona sostanza, ai fini dell'attrazione della residenza, rileva il fatto che un trust, caratterizzato da elementi collegati con il territorio italiano (un disponente e un beneficiario residente o immobili siti in Italia e conferiti da un soggetto italiano) sia istituito, ossia abbia formalmente fissato la residenza in un paese non incluso nella white list. Come conseguenza della presunzione di residenza fiscale nel territorio dello Stato, tutti i redditi del trust, ovunque prodotti, sono imponibili in Italia secondo il principio del world wide income. Al contrario, per i trust non residenti, l'imponibilità in Italia riguarda solo i redditi prodotti nel territorio dello Stato ai sensi dell'art. 23 del TUIR. Sono compresi nella white list i seguenti Paesi: Albania; Algeria; Argentina; Australia; Austria; Azerbajan; Bangladesh; Belgio; Bielorussia; Brasile; Bulgaria; Canada; Cina; Corea del Sud; Costa d'Avorio; Croazia; Danimarca; Ecuador; Egitto; Emirati Arabi Uniti; Estonia; Federazione Russa; Filippine; Finlandia; Francia; Germania; Giappone; Grecia; India; Indonesia; Irlanda; Israele; Jugoslavia; Kazakistan; Kuwait; Lituania; Lussemburgo; Macedonia; Malta; Marocco; Mauritius; Messico; Norvegia; Nuova Zelanda; Paesi Bassi; Pakistan; Polonia; Portogallo; Regno Unito; Repubblica Ceca; Repubblica Slovacca; Romania; Singapore; Slovenia; Spagna; Sri Lanka; Stati Uniti; Sud Africa; Svezia; Tanzania; Thailandia; Trinidad e Tobago; Tunisia; Turchia; Ucraina; Ungheria; Venezuela; Vietnam; Zambia. In entrambi i casi di attrazione in Italia di trust non residenti, la norma opera una presunzione relativa di residenza; rimane quindi la possibilità per il contribuente di dimostrare l'effettiva residenza fiscale del trust all'estero. Quale soggetto passivo d'imposta, sia esso trasparente o opaco, il trust è tenuto ad adempiere gli specifici obblighi previsti per i soggetti IRES, ad iniziare dall'obbligo di presentare annualmente la dichiarazione dei redditi. Inoltre il trust residente dovrà necessariamente dotarsi di un proprio codice fiscale e, qualora eserciti attività commerciale, di una propria partita IVA. Tutti gli adempimenti tributari del trust sono assolti dal trustee. Il comma 76 dell'articolo unico della finanziaria 2007, nel modificare l'articolo 13 del d.P.R. n. 600/1973, ha incluso fra i soggetti obbligati a tenere le scritture contabili: i trust che hanno per oggetto esclusivo o principale l'esercizio di attività commerciale (primo comma, lettera b); i trust che non hanno per oggetto esclusivo o principale l'esercizio di attività commerciale (comma 2, lett. g). I trust che hanno per oggetto esclusivo l'esercizio di attività commerciali sono pertanto obbligati alla tenuta delle scritture contabili previste dall'art. 14 del decreto citato. Analogamente, i trust che esercitano attività commerciale in forma non esclusiva sono obbligati alla tenuta delle scritture contabili secondo le disposizioni di cui all'art. 20 del decreto. Come già accennato, il trust è tenuto a presentare le dichiarazioni dei redditi nei modi e nei tempi stabiliti per i soggetti IRES. Nei casi in cui il periodo di imposta di un trust trasparente non coincida con l'anno solare, il reddito da questo conseguito è imputato ai beneficiari individuati alla data di chiusura del periodo di gestione del trust stesso. Il trust è tenuto altresì ad adempiere gli obblighi formali e sostanziali relativi all'IRAP previsti dal d.lgs. n. 446/1997, in quanto soggetto passivo rientrante, a seconda dell'attività svolta, nelle fattispecie di cui all'art. 3, comma 1, lett. a) ed e) del medesimo decreto. Il trasferimento di beni in un trust ai fini delle imposte sui redditi sconta un trattamento differenziato che varia in funzione del soggetto che l'effettua (imprenditore o non imprenditore) e della tipologia di bene trasferito. Qualora il trasferimento riguardi beni relativi all'impresa (beni merce, beni strumentali, beni patrimoniali), questi fuoriescono dalla disponibilità dell'imprenditore in quanto destinati a finalità estranee all'impresa. Ciò comporta per il disponente imprenditore il conseguimento di componenti positivi di reddito da assoggettare a tassazione secondo le disposizioni del TUIR, nonché l'assoggettamento ad IVA ai sensi dell'art. 2, comma 2 n. 5 del d.P.R. n. 633/1972. In particolare, il trasferimento di beni merce comporterà il conseguimento di un ricavo d'esercizio ai sensi dell'art. 85, comma 2 del TUIR da quantificare sulla base del valore normale ai sensi dell'art. 9, comma 3, dello stesso testo. Il trasferimento di beni diversi da quelli che generano ricavi (beni strumentali, beni patrimoniali dell'impresa), invece, genererà plusvalenze o minusvalenze rilevanti ai fini della determinazione del reddito d'impresa ai sensi degli articoli 58, 86 e 87 del TUIR. Anche in tali fattispecie il valore da prendere a riferimento per il calcolo della plusvalenza è il valore normale di cui al citato art. 9, comma 3. Ove il trasferimento in trust abbia ad oggetto un'azienda, il relativo profilo fiscale deve essere esaminato alla luce del disposto dell'art. 58, comma 1, del TUIR che esclude il realizzo di plusvalenze in caso di trasferimento d'azienda per causa di morte o per atto gratuito; in tal caso l'azienda è assunta ai medesimi valori fiscalmente riconosciuti nei confronti del dante causa. La ratio della norma consente di ritenere che, nel caso di trasferimento dell'azienda in trust, si conservi la neutralità fiscale a condizione che il trustee assuma l'azienda agli stessi valori fiscalmente riconosciuti in capo al disponente. Nel caso di beni diversi da quelli relativi all'impresa, il trasferimento al trust, in assenza di corrispettivo, non genera materia imponibile ai fini della imposizione sui redditi, né in capo al disponente non imprenditore né in capo al trust o al trustee. Per quest'ultimo, infatti, anche se imprenditore, non si avranno sopravvenienze attive ex art. 88, comma 3, lett. b), del TUIR, in quanto i beni trasferiti in trust non si confondono con il patrimonio dell'imprenditore (trustee) ma costituiscono un patrimonio separato. Qualora il trasferimento dei beni in trust abbia ad oggetto titoli partecipativi il trustee acquisisce l'ultimo costo fiscalmente riconosciuto della partecipazione. Tale regime di neutralità non può, tuttavia, essere garantito nel caso in cui i titoli oggetto del trasferimento siano detenuti nell'ambito di un rapporto amministrato di cui all'art. 6 d.lgs. n. 461/1997; nella specie, infatti, il trasferimento dei titoli dal conto del settlor a quello del trust, poiché indirizzato verso un conto intestato a un soggetto diverso da quello di provenienza, ricade nell'ipotesi dell'art. 6, comma 6, del citato d.lgs. n. 461/1997, che assimila tali trasferimenti a cessioni a titolo oneroso. In tal caso, l'intermediario abilitato applica le relative imposte. Il trattamento fiscale della cessione dei beni durante la vita del trust non presenta particolari problemi operativi, in quanto desumibile dalle ordinarie disposizioni che ai fini delle imposte sui redditi disciplinano detta operazione. In particolare, quando le cessioni siano poste in essere nell'esercizio dell'impresa, la relativa disciplina fiscale varia in funzione della categoria di appartenenza del bene ceduto. Nel caso di cessioni non effettuate nell'esercizio dell'impresa potranno realizzarsi, ricorrendone i presupposti, le fattispecie reddituali previste dall'art. 67 del TUIR. Per la determinazione delle plusvalenze dovrà farsi riferimento ai valori fiscalmente riconosciuti in capo al disponente, fermo restando che il trasferimento dei beni dal disponente al trustee non interrompe il decorso del quinquennio di cui all'art. 67, mentre nel caso di cessioni di beni acquistati dal trust si farà riferimento al prezzo pagato. Il comma 74, lett. b), dell'articolo unico della finanziaria 2007 aggiunge al comma 2 dell'art. 73 del TUIR il seguente periodo: «Nei casi in cui i beneficiari del trust siano individuati, i redditi conseguiti dal trust sono imputati in ogni caso ai beneficiari in proporzione alla quota di partecipazioni individuata nell'atto di costituzione del trust o in altri documenti successivi ovvero in mancanza in parti uguali». Premesso che il presupposto di applicazione dell'imposta è il possesso di redditi, per «beneficiario individuato» è da intendersi il beneficiario di «reddito individuato», vale a dire il soggetto che esprime, rispetto a quel reddito, una capacità contributiva attuale. È necessario, quindi, che il beneficiario non solo sia puntualmente individuato, ma che risulti titolare del diritto di pretendere dal trustee l'assegnazione di quella parte di reddito che gli viene imputata per trasparenza. Infatti, a differenza dei soci delle società trasparenti, che possono autonomamente stabilire i criteri di distribuzione degli utili societari, i beneficiari di un trust non hanno alcun potere in ordine all'imputazione del reddito del trust, cui provvede unicamente il trustee sulla base dei criteri stabiliti dal disponente. L'art. 73 dispone che i redditi siano imputati «in ogni caso» ai beneficiari, cioè indipendentemente dall'effettiva percezione, secondo un criterio di competenza. Tale precisazione si è resa necessaria per coordinare la tassazione per trasparenza del trust con la natura del reddito attribuito al beneficiario, che è considerato reddito di capitale. Contrariamente, infatti, al principio di cassa che in via ordinaria informa la determinazione del reddito di capitale, nella tassazione per trasparenza il medesimo reddito viene imputato al beneficiario indipendentemente dall'effettiva percezione, secondo il principio della competenza economica. Il reddito imputato per trasparenza verrà tassato secondo le aliquote personali del beneficiario. Naturalmente, l'effettiva percezione dei redditi da parte dei beneficiari rimane una mera movimentazione finanziaria, ininfluente ai fini della determinazione del reddito. Ove abbia scontato una tassazione a titolo d'imposta o di imposta sostitutiva in capo al trust che lo ha realizzato, il reddito non concorre alla formazione della base imponibile, né in capo al trust opaco né, in caso di imputazione per trasparenza, in capo ai beneficiari. Ad una doppia imposizione ostano i principi generali dell'ordinamento interno che impediscono l'imposizione in capo a più soggetti passivi di redditi prodotti o realizzati in dipendenza di uno stesso presupposto (art. 163 del TUIR). Sulla base dei medesimi principi, i redditi conseguiti e correttamente tassati in capo al trust prima della individuazione dei beneficiari (quando il trust era opaco), non possono scontare una nuova imposizione in capo a questi ultimi a seguito della loro distribuzione. Il credito d'imposta per le imposte pagate all'estero in via definitiva, disciplinato dall'articolo 165 del TUIR, spetta al trust nel caso di trust opaco. Qualora, invece, il trust sia trasparente ed il reddito sia imputato ai beneficiari, il credito d'imposta spetta ai singoli beneficiari in proporzione al reddito imputato, analogamente a quando disposto dall'art. 165, comma 9, per le società che hanno optato per il regime della trasparenza. Infine, nel caso in cui il trust attribuisca solo parte del reddito ai beneficiari e sia, quindi, in parte opaco e in parte trasparente, la detrazione spetta al trust e ai beneficiari in proporzione al reddito imputato. Il comma 75 dell'art. 1 della finanziaria 2007 inserisce all'art. 44 del TUIR, dopo la lett. g-quinquies), la lett. g-sexies), secondo cui sono redditi di capitale «i redditi imputati al beneficiario di trust ai sensi dell'art. 73, comma 2, anche se non residenti». Il trust residente imputa per trasparenza i propri redditi: ai beneficiari residenti; ai beneficiari non residenti. In tale ultimo caso, il reddito attribuito al beneficiario non residente, viene tassato in Italia: trattandosi di reddito di capitale corrisposto da soggetto residente, infatti, lo stesso si considera prodotto in Italia ai sensi dell'art. 23, comma 1, lett. b) del TUIR. Il trust non residente, che è soggetto passivo IRES per i soli redditi prodotti in Italia, imputa per trasparenza tali redditi ai soli beneficiari residenti, quali titolari di redditi di capitale. La Circolare del 27 dicembre 2010, n. 61, dell'Agenzia delle entrate, recante: «Ulteriori chiarimenti in merito alla disciplina fiscale dei trust», ha confermato il contenuto della precedente, ma ha qualificato come inesistenti, perché interposte, alcune tipologie di trust, quando, in particolare: i) trust che il disponente (o il beneficiario) può far cessare liberamente in ogni momento, generalmente a proprio vantaggio o anche a vantaggio di terzi; ii) trust in cui il disponente è titolare del potere di designare in qualsiasi momento sé stesso come beneficiario; iii) trust in cui il disponente (o il beneficiario) risulti, dall'atto istitutivo ovvero da altri elementi di fatto, titolare di poteri in forza dell'atto istitutivo, in conseguenza dei quali il trustee, pur dotato di poteri discrezionali nella gestione ed amministrazione del trust, non può esercitarli senza il suo consenso; iv) trust in cui il disponente è titolare del potere di porre termine anticipatamente al trust, designando sé stesso e/o altri come beneficiari (cosiddetto trust a termine); v) trust in cui il beneficiario ha diritto di ricevere attribuzioni di patrimonio dal trustee; vi) trust in cui è previsto che il trustee debba tener conto delle indicazioni fornite dal disponente in relazione alla gestione del patrimonio e del reddito da questo generato; vii) trust in cui il disponente può modificare nel corso della vita del trust i beneficiari; viii) trust in cui il disponente ha la facoltà di attribuire redditi e beni del trust o concedere prestiti a soggetti dallo stesso individuati; ix) ogni altra ipotesi in cui potere gestionale e dispositivo del trustee, così come individuato dal regolamento del trust o dalla legge, risulti in qualche modo limitato o anche semplicemente condizionato dalla volontà del disponente e/o dei beneficiari. Il problema dell'applicazione delle regole enucleate nella predetta Circolare si è posto a seguito di un avviso di accertamento notificato al disponente di un trust per il recupero delle imposte e degli oneri accessori concernenti redditi che per l'ufficio tributario erano fittiziamente del trust, ma di fatto venivano distribuiti al disponente: secondo il fisco il trust era interposto fittiziamente sicché non era soggetto passivo d'imposta in ordine ai proventi recuperati a tassazione, perché privo dei requisiti richiesti a fini tributari. Il giudice tributario ha accolto il ricorso del disponente affermando che nella il trust non configurava alcuna delle ipotesi elencate dalla Circolare predetta (C.t.p. Novara 21 maggio 2013, in Corr. Trib., 2013, 2769, ove si afferma: «La possibilità per i disponenti di modificare i beneficiari è funzionale ad esigenze di flessibilità in ambito familare e successorio, onde tenere conto dell'evoluzione degli eventi nel tempo, e la stessa eventualità che i disponenti finiscano per coincidere con i beneficiari è ammessa dalla prassi operativa e dalla migliore dottrina; la possibilità di ottenere l'anticipata estinzione del trust non è libera, deve essere congiunta e comunque non è costituita statutariamente come diritto; le manifestazioni di volontà (desideri) delle disponenti non sono vincolanti per il trustee, che deve comunque aver riguardo alle finalità del trust; l'ampiezza dei poteri del guardiano concerne, in sostanza, la facoltà di esprimere pareri in ordine a particolari atti, analogamente a quanto accade anche in ambito societario (poteri dell'assemblea e del socio accomandante ex art. 2320 c.c.); la revocabilità del trustee può essere giustificata dalla lunga durata prevista per il trust stesso, e dall'opportunità di mantenere nel tempo un rapporto di fiducia con il soggetto incaricato». Nella giurisprudenza di merito è stato affermato «che il trust rappresenta un atto fraudolento idoneo e chi, al fine di evadere le imposte sui redditi e sul valore aggiunto, si avvale di società di comodo e dei trust pone in essere atti simulati e fraudolenti, integrando il reato di cui all'art. 11 d. lgs. n. 74/2000» (Trib. Firenze 18 luglio 2016). Analogo è il caso in cui il trustee, amministratore fiduciario del trust, disposta la liquidazione finale dei beneficiari del trust, mantiene in attività il medesimo con l'intento fraudolento di evitare nei suoi confronti controlli di natura fiscale e di non dovere presentare la dichiarazione dei redditi rappresentati da compensi dovutigli per l'assolvimento dei compiti di amministratore dei beni segregati. In tale fattispecie è stato ritenuto integrato il reato commesso dal trustee di dichiarazione fraudolenta mediante artifici, ex art. 3 d.lgs. n. 74/2000, e cioè mediante l'utilizzo strumentale del trust per occultare i propri redditi e quindi non dichiararli così sottraendoli all'imposizione fiscale (Cass. pen. n. 24533/2013, secondo la quale: «Ai fini della configurabilità del delitto di dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici (art. 3 d. lgs. n. 74/2000), il presupposto dell'imposizione tributaria relativamente ai redditi derivanti dall'esercizio di arti o professioni, anche se assoggettati a ritenuta di acconto, va individuato nel momento in cui essi sono stati percepiti. Fattispecie in cui è stata ritenuto integrato il reato con riferimento ad un professionista che avendo maturato i compensi professionali per la gestione di un trust, lo aveva lasciato nella disponibilità del trust, così sottraendolo all'imposizione fiscale»). Trust e tributi i.c.i.-i.m.u. Occorre ancora affrontare il problema dell'applicazione al trust dei tributi i.c.i.-i.m.u.. Il d.lgs. n. 23/2011 con l'art. 8, comma 1, ha istituito l'imposta comunale che ha sostituito, per la componente immobiliare, l'imposta sul reddito delle persone fisiche (i.r.p.e.f.) e le relative addizionali dovute in relazione ai redditi fondiari relativi ai beni non locati, e l'imposta comunale sugli immobili (i.c.i.). Il presupposto impositivo dell'i.m.u. è il possesso di immobili diversi dall'abitazione principale. Ciò detto, vale rammentare che il trust dà vita, dal punto di vista strutturale, ad un rapporto giuridico (almeno) trilatero, intercorrente tra il disponente, il trustee e i beneficiari: il primo dispone di un complesso di beni a favore del trustee, vincolandoli al perseguimento di un fine estraneo alla sua sfera patrimoniale, che può assumere i contenuti più vari, anche se per lo più si ricollega alla tutela del beneficiario. I beni conferiti in trust vanno a costituire un patrimonio separato (cd. effetto segregativo), con la conseguenza che il patrimonio segregato in trust non può essere aggredito dai creditori (né dagli aventi causa) personali del disponente e/o del trustee, formando così una massa separata e distinta. Quindi, presupposto coessenziale all'istituto del trust è che il disponente perda la disponibilità di quanto conferito in trust, al di là di determinati poteri che possano competergli in base alle norme costitutive, per avere affidato i beni a un terzo perché li amministri e gestisca quale proprietario (nel senso di titolare dei diritti ceduti) per poi restituirli, alla fine del periodo di durata del trust, ai soggetti indicati dal disponente stesso. Ciò posto, occorre sottolineare che nelle leggi istitutive sia dell'i.m.u. sia dell'i.c.i. il trust non compare come soggetto passivo dei relativi tributi, ma questo non autorizza ad affermare che il trust immobiliare sfugge alla imposizione fiscale della imposta inerente al bene conferito. Non sembra potersi sostenere che esiste carenza di soggettività passiva per i.c.i. o per i.m.u. in capo al trust per il fatto che titolare del trust found è il tustee, giacché, come si è avuto modo di evidenziare, questi amministra e gestisce i beni conferiti nel trust nell'interesse dei beneficiari indicati dal disponente. Ne discende che per l'i.m.u. sia per l'i.c.i. la soggettività passiva non può che essere del trust (Pennarola, 193). Ed in tal senso può leggersi C.t.p. Parma 6 giugno 2012, in Dir. giust., 2012, secondo cui: «Il trust che dispone di un immobile in piena proprietà, senza la dimostrazione delle sue finalità sociali, è soggetto all'imposta i.c.i.». Nello stesso senso può leggersi la massima secondo cui l'avviso di accertamento con il quale sia contestato un versamento i.c.i. inferiore al dovuto in relazione ad un bene conferito in trust non può e non deve essere notificato al trustee sic et simpliciter, addebitandogli personalmente le conseguenze dell'asserito mancato pagamento, ma deve essergli notificato nella sua qualità di trustee, addebitando l'onere al patrimonio del trust (CTP Piemonte Alessandria 19 luglio 2017, in Fisco, 2017, 42, 4092). È stato anche stabilito che il trust può essere considerato soggetto passivo ai fini i.c.i. qualora risulti titolare di diritto di proprietà in ordine ad un immobile, sicché esso può essere ammesso alla esenzione di cui all'art. 7, lett. i), d.lgs. n. 504/1992 solo ed esclusivamente quando l'immobile viene conferito ad un ente (trust) con finalità assistenziali (C.t.p. Emilia-Romagna Parma 6 giugno 2012, in Corr. trib., 2012, 43, 3369). Ed ancora, il trust a cui siano stati trasferiti dei beni immobili è soggetto passivo dell'i.c.i. in quanto la titolarità in capo al trust è solo funzionale alla gestione del bene, mentre per l'applicazione dell'esenzione di cui all'art. 7, primo comma, lett. i), del d.lgs. n. 504/1992, è necessaria la prova della sua finalità non lucrativa e dell'utilità sociale (C.t.p. Emilia-Romagna Parma VI,giugno 2012, in Boll. trib., 2013, 8, 609). Da ultimo è stato ribadito che il trustee non è soggetto passivo ai fini dell'i.m.u. e dunque è annullabile per carenza di legittimazione passiva l'avviso di accertamento dell'i.m.u. che gli sia stato notificato. Soggetto passivo ai fini dell'i.m.u. è il trust (C.t.p. Salerno 26 giugno 2018, in Trusts e attività fiduciarie, 2019, 87). Vi si osserva che in ordine all'imposta i.m.u. l'art. 9, comma 1 d.lgs. n. 23/2011, statuisce che i soggetti passivi dell'imposta municipale propria sono il proprietario di immobili, inclusi i terreni e le aree edificabili, a qualsiasi uso destinati, ivi compresi quelli strumentali o alla cui produzione o scambio è diretta l'attività dell'impresa, ovvero il titolare di diritto reale di usufrutto, uso, abitazione, enfiteusi, superficie sugli stessi... mentre nulla prevede riguardo l'ipotesi di immobili concessi in trust. In genere, la struttura di trust è la seguente: un rapporto in virtù del quale un dato soggetto, denominato trustee, al quale sono attribuiti i diritti e i poteri di un vero e proprio proprietario, gestisce un patrimonio che gli è stato trasmesso da un altro soggetto, denominato disponente, per uno scopo stabilito nell'interesse di uno o più beneficiari o per uno scopo specifico. In altri termini è stata riconosciuta la soggettività passiva del trust, identificando quindi l'istituto, ma solo ai fini tributari. A parere del Collegio, il riconoscimento della soggettività passiva dell'i.m.u. sul trust discende dalla riproduzione, anche per ciò che concerne il tributo locale in questione, dello schema normativo che il legislatore ha espressamente delineato al fine di giungere al riconoscimento della soggettività tributaria del trust in materia di imposte dirette. Infatti non appare preferibile la soluzione che attribuisce al trustee la soggettività passiva dell'i.m.u. in quanto quest'ultimo esercita i poteri di gestione dei beni nell'interesse altrui. Il godimento degli immobili da parte del trustee è solo funzionale al soddisfacimento dell'interesse per cui il trust è stato istituito e che è estraneo ad esso. Ciò comporta la difficoltà di riferire il presupposto dell'imposta al trustee il quale non manifesta alcuna capacità contributiva propria relativamente al cespite immobiliare posseduto. Viceversa tale capacità contributiva appare riferibile direttamente e più correttamente al trust. In conclusione, nel caso che ci occupa si privilegia la soluzione che, in analogia a quanto stabilito dalla disciplina in materia di imposte sui redditi, considera il soggetto passivo il trust». Trust e diritto di stabilimento Le disposizioni del Trattato sul Funzionamento dell'Unione Europea relative alla libertà di stabilimento ostano, in circostanze come quelle oggetto del procedimento principale, in cui i trustees sono trattati, secondo il diritto nazionale, come un unico e permanente organismo di persone, distinto dalle persone che possono di volta in volta ricoprire il ruolo di trustees, alla normativa di uno Stato membro, come quella del Regno Unito, che prevede l'assoggettamento ad imposta degli utili non realizzati afferenti al patrimonio del trust, qualora la maggioranza dei trustees trasferisca la sua residenza in un altro Stato membro, senza permettere il prelievo differito dell'imposta in tal modo dovuta (Corte giustizia UE 14 settembre 2017, n. 646). Con tale pronuncia la Corte di giustizia si è espressa in merito alla compatibilità, con il Trattato dell'UE, della normativa di uno Stato membro, nella specie il Regno Unito, che prevede la tassazione immediata dei beni detenuti in trust, nel caso in cui la sede dei trustee venga trasferita in altro Paese membro. Si trattava, nel caso considerato, di alcuni trust costituiti da un cittadino di Cipro a vantaggio dei suoi figli e di altri familiari. In tali trust erano state collocate anche azioni di un holding, che controllava talune società riconducibili allo stesso cittadino cipriota. Al momento della costituzione dei trusts, il quest'ultimo, sua moglie ed i loro figli risiedevano nel Regno Unito. I trustee originari erano lo stesso cittadino cipriota ed una trust company, con sede nel Regno Unito, ma, successivamente, a seguito del trasferimento della residenza da parte del predetto a Cipro, erano stati nominati altri trustee lì residenti, di modo che, a seguito di tale operazione, la maggioranza dei trustee aveva cessato di risiedere nel Regno Unito. Gli stessi, successivamente alla loro nomina, avevano venduto le azioni già menzionate, ma l'Amministrazione finanziaria inglese aveva sostenuto che il fatto generatore di tale imposta fosse stata la nomina dei nuovi trustee, la quale aveva fatto sì che la maggioranza di essi non fosse più residente nel Regno Unito, con la conseguenza che la sede amministrativa del trust si poteva considerare trasferita a Cipro nel corso di tale periodo di imposta. I destinatari dell'imposizione fiscale hanno impugnato il provvedimento, affermando che l'immediata tassazione a seguito del trasferimento di sede avrebbe determinato una lesione della libertà di circolazione sancita dal diritto dell'Unione. Viceversa, secondo l'amministrazione finanziaria inglese, al trust, considerata la sua natura giuridica, non competeva il diritto di stabilimento nei termini invocati dagli impugnanti. Dopo di che il giudice nazionale investito della vicenda ha rinviato la questione alla Corte di giustizia, che ha affermato il principio più sopra ricordato. La decisione si sofferma sulla possibilità di applicare anche al trust il principio di libertà di stabilimento. Viene ricordato che l'art. 49 del Trattato sul Funzionamento dell'Unione Europea vieta le restrizioni alla libertà di stabilimento dei cittadini di uno Stato membro nel territorio di un altro Stato membro. Secondo l'art. 54, comma 1, TFUE, le società costituite conformemente alla legislazione di uno Stato membro e aventi la sede sociale, l'amministrazione centrale o il centro di attività principale all'interno dell'Unione sono equiparate, ai fini dell'applicazione delle disposizioni del Trattato relative alla libertà di stabilimento, alle persone fisiche aventi la cittadinanza degli Stati membri. Ai sensi dell'art. 54, comma 2, TFUE, per società si intendono le società di diritto civile o di diritto commerciale, ivi comprese le società cooperative, e le altre persone giuridiche contemplate dal diritto pubblico o privato, ad eccezione delle società che non si prefiggono scopi di lucro. Pertanto, considerato che il trust non risulta elencato nelle specifiche fattispecie previste dal TFUE, si è posto il dubbio se questo istituto possa avvalersi della libertà di stabilimento. Risulta pacifico, infatti, che i trust non possono essere considerati società di diritto civile o commerciale, includendovi le società cooperative. Occorre, pertanto, determinare se tali trusts possano rientrare nella nozione di «altre persone giuridiche», contemplati dal diritto pubblico o privato, che perseguono scopi di lucro, ai sensi dell'art. 54, comma 2, TFUE. La Corte di Giustizia, nella sentenza in discorso ha fornito un responso positivo ed ha stabilito che, un ente come il trust il quale, in forza del diritto nazionale, disponga di diritti e di obblighi che gli consentono di agire in quanto tale e che eserciti un'attività economica effettiva, può avvalersi della libertà di stabilimento. Viene ricordato, infatti, che, secondo la Convenzione dell'Aja del 1985 (Convenzione che, come si è avuto modo di ripetere in più occasioni, è stata ratificata senza riserve dall'Italia con l. n. 364/1989), il trust è un rapporto giuridico che nasce da un atto dispositivo inter vivos o mortis causa, con cui il soggetto disponente (settlor) trasferisce tutti o parte dei suoi beni (assets) ad un trustee il quale avrà il compito di amministrarli e gestirli secondo quanto previsto nell'atto istitutivo del trust e nell'interesse di un beneficiario o al fine del raggiungimento di un determinato scopo (purpose). Figura egualmente tipica dell'istituto del trust è quella del guardiano (protector o enforcer), nominato dal disponente quale supervisore dell'operato del trustee, il quale avrà, in particolare, il potere di revocare e sostituire il trustee medesimo. L'effetto principale e connaturato al trust e, più precisamente, al sotteso atto di dotazione dei beni, è il c.d. «effetto segregativo» che determina la separazione dei beni conferiti nei confronti sia del patrimonio del disponente sia del patrimonio del trustee, con la conseguenza che i medesimi beni non potranno essere oggetto di azioni esecutive e/o cautelari tanto da parte dei creditori particolari del disponente (in Italia una volta decorso il termine annuale previsto dal nuovo art. 2929-bis c.c.), quanto da quelli del trustee. L'attività del trustee, considerata la separazione di cui sopra ed essendo intrinsecamente collegata allo stesso trust in rapporto alla proprietà e alla gestione del patrimonio del trust, costituisce un tutto inscindibile con quest'ultimo. In tale contesto, la Corte ritiene che detto trust costituisca un ente che dispone dei diritti e degli obblighi che gli consentono di agire in quanto tale nell'ordinamento giuridico di cui trattasi. Conseguentemente, nel caso in cui venga accertato che il trust prosegua uno scopo di lucro e, quindi sia privo di scopo caritativo o sociale, essendo costituito, ad esempio, affinché i beneficiari fruiscano degli utili prodotti dai beni appartenenti allo stesso trust, lo stesso può usufruire della libertà di stabilimento quando viene trasferita la sede dell'amministrazione in un altro Paese dell'UE. Accertato che il trust in esame poteva beneficiare di tale principio, la Corte di giustizia ha affermato che viene violata la libertà di stabilimento qualora, nel caso del trasferimento della sede amministrativa di un trust in uno Stato membro diverso, la normativa nazionale prevede la tassazione degli utili non realizzati risultanti dal patrimonio appartenente al trust in occasione di tale trasferimento, con assolvimento immediato della relativa imposta; e questo, malgrado tale imposizione non si verificherebbe nel caso di un trasferimento analogo all'interno del territorio nazionale. Al contrario, secondo la Corte, è da considerare legittima l'applicazione di un'imposta sui plusvalori in uscita, al fine di mantenere inalterato il diritto degli Stati ad una equa ripartizione dell'imposta, purché la materiale tassazione venga differita al momento in cui gli asset vengono materialmente realizzati nello Stato «di destinazione». Trust e vincoli di destinazione a tutela del disabileLa l. n. 112/2016, recante: «Disposizioni in materia di assistenza in favore delle persone con disabilità grave prive del sostegno familiare», mira a dare risposte in parte nuove ad un problema senz'altro preesistente — quello che hanno dinanzi per lo più, anche se non solo, i genitori di un figlio disabile, non autosufficiente, i quali intendano avvalersi degli strumenti civilistici disponibili per programmare l'assistenza del figlio quando essi non potranno più occuparsene —, problema la cui soluzione, era finora ricercata attraverso le figure giuridiche disponibili e, però, incontrava importanti ostacoli. La nuova legge contiene in realtà disposizioni alquanto eterogenee, unificate dalla finalità di assistenza dei disabili gravi: -) vi sono disposizioni che mirano alla tutela del disabile privo di mezzi, o comunque di mezzi sufficienti, nel qual caso sono previsti sia interventi che vanno a gravare sulla collettività, e per essa sulla fiscalità generale (si tratta della istituzione del Fondo per l'assistenza alle persone con disabilità grave prive del sostegno familiare), sia interventi diretti ad agevolare erogazioni da parte di soggetti privati, attraverso l'impiego della leva fiscale; siamo qui in presenza di una impostazione di tipo assistenziale, che appare ripetitiva di schemi consunti; si tratta di un impianto — per essere più chiari — che va in una direzione diversa dalla legge sull'amministrazione di sostegno, la quale mira in definitiva a salvaguardare quel poco o molto di soggettività che residua nel beneficiario, impianto che sembra ben rappresentato dall'espressione «presa in carico della persona interessata», che si trova nell'art. 1, quasi che si trattasse di un oggetto; -) vi sono poi disposizioni pensate per i genitori di disabili «in vista del venir meno del sostegno familiare», ossia, essenzialmente per il tempo successivo alla loro morte. A questo riguardo interessa in particolare l'art. 6 della legge, che prevede l'istituzione di trust, vincoli di destinazione e contratto di affidamento fiduciario di fondi speciali composti di beni sottoposti a vincolo di destinazione. Gli strumenti tradizionalmente disponibili a tutela del disabile Prima della nuova legge gli interessati potevano avvalersi anzitutto degli strumenti offerti dal diritto successorio, che, tuttavia, presentano gravi rigidità, le quali datano dall'epoca di introduzione del code civil, del 1804: ove l'intento di ridurre il peso della proprietà terriera in mano all'aristocrazia si tradusse, tra l'altro, nella previsione della quota di legittima nonché nella previsione di nullità delle sostituzioni fedecommissarie. Ora, già la legittima — la quale pure garantisce che ciascuno dei legittimari ed in particolare dei figli abbia il suo — può in certi casi costituire un ostacolo alla tutela del disabile, giacché, in buona sostanza, impedisce al testatore di disporre interamente (o comunque in misura tale da intaccare la legittima degli altri aventi diritto) dei propri beni in suo favore: la disposizione in favore del disabile, ma lesiva della quota di legittima degli eventuali legittimari, sarebbe difatti suscettibile di essere neutralizzata con l'azione di riduzione. Tutto ciò si combina con il principio della chiamata del legittimario in eguale quota astratta, nonché con la regola dell'eguaglianza qualitativa e quantitativa dei lotti, sancita negli artt. 718 e 727 c.c.. La situazione italiana è poi aggravata dall'ulteriore irrigidimento derivante dal divieto dei patti successori, uno dei maggiori punti dolenti dell'attuale disciplina della successione per causa di morte. Quanto alla sostituzione fedecommissaria, si tratta della disposizione testamentaria caratterizzata da una doppia istituzione, l'una in favore di un primo istituito, efficace fin dall'apertura della successione, l'altra in favore di un secondo istituito, efficace dal momento della morte del primo istituito. Il primo istituito, in caso di fedecommesso, non è libero di disporre del patrimonio relitto, ma deve conservarlo per restituirlo al secondo istituito. Si usa comunemente ripetere, perciò, che gli elementi costitutivi della figura sono tre: a) la doppia istituzione; b) l'ordo successivus; c) l'obbligo di conservare per restituire (v. Cass. n. 9320/1998). Il connotato saliente della doppia istituzione sta in ciò, che il testamento contiene due disposizioni, le quali attribuiscono a distinti soggetti la proprietà dei medesimi beni. L'ordo successivus sta ad indicare che primo e secondo istituito non succedono l'uno all'altro, ma entrambi direttamente dal medesimo de cuius, sebbene in tempi diversi. Il punto caratterizzante del fedecommesso, però, è costituito dall'obbligo di conservare per restituire, obbligo che si caratterizza come vero e proprio vincolo di indisponibilità reale sui beni oggetto della disposizione. La sostituzione fedecommissaria così concepita aveva in buona sostanza, quando era lecita, una funzione di conservazione del patrimonio dell'ambito familiare, ma offriva anche alcune possibilità di tutela del disabile — almeno in alcune tipologie di disabilità — e si prestava ad essere conformata diversamente a seconda che il disabile fosse o meno capace di agire e, in altri termini, fosse afflitto da una disabilità soltanto fisica o psichica. Attraverso la sostituzione fedecommissaria era in particolare possibile istituire in primo luogo il disabile ed in secondo luogo il soggetto che fosse stato chiamato ad occuparsene. La sostituzione fedecommissaria è oggi vietata. La riforma del diritto di famiglia del 1975 è intervenuta sulla materia, prevedendo all'art. 692 c.c. per l'appunto che i genitori, i nonni e il coniuge dell'interdetto possono istituire quest'ultimo, l'interdetto, con l'obbligo di conservare e restituire alla sua morte i beni anche costituenti la legittima, a favore della persona o degli enti che, sotto la vigilanza del tutore, hanno avuto cura dell'interdetto medesimo. La stessa disposizione si applica nel caso del minore di età, che presumibilmente verrà interdetto al raggiungimento della maggiore età. In ogni altro caso — stabilisce infine la norma — la sostituzione fedecommissaria è nulla. Il complesso dei beni ereditari oggetto della sostituzione fedecommissaria, nel quadro di applicazione dell'art. 692 c.c., si atteggia, rispetto ai beni personali dell'istituito, quale patrimonio separato. Ciò si desume dall'art. 695 c.c., che, nel permettere ai creditori dell'istituito di soddisfarsi sui soli frutti dei beni ereditari, lascia chiaramente intendere che, tra i due patrimoni — quello ereditario e quello personale dell'istituito —, non si verifica confusione. Il che, evidentemente, è connaturato alla finalità propria della sostituzione fedecommissaria, la quale, altrimenti, non potrebbe garantire la conservazione del patrimonio relitto ai fini della sua consegna al secondo istituito. In tale contesto, l'art. 693 c.c. stabilisce che l'istituito ha il godimento e la libera amministrazione dei beni che formano oggetto della sostituzione, e può stare in giudizio per tutte le azioni relative ai beni medesimi, come attore e come convenuto. Ed inoltre, può compiere tutte le innovazioni dirette ad una migliore utilizzazione dei beni. Ebbene, l'istituto del fedecommesso previsto dall'art. 692 c.c. — istituto che sembra avere avuto applicazione molto scarsa — è per lo più inidoneo alla tutela del disabile, e ciò per due fondamentali ragioni: -) la prima risiede in ciò, che il fedecommesso in questione è disposto in favore dell'interdetto: ma non è affatto detto che il disabile sia anche interdetto, giacché può benissimo trattarsi di un disabile fisico, ma perfettamente capace di agire e, quindi, tale da non poter essere interdetto, per l'ovvia considerazione che l'interdizione, ai sensi dell'art. 414 c.c. è riservata alle persone in condizioni di abituale infermità di mente tale da renderle incapace di provvedere alla cura dei loro interessi; -) la seconda, ma forse la prima in ordine logico, si riconnette al fatto che l'interdizione è istituto che, lungi dal tutelare il destinatario della misura, gli infligge, se così si può dire, il colpo di grazia, ed è ampiamente superato dall'amministrazione di sostegno che, però, non interagisce con la previsione dettata dall'art. 692 c.c.: il legislatore, cioè, non ha ritenuto di aggiornare la norma, modernizzandola e rendendola applicabile al beneficiario dell'amministrazione di sostegno. Ciò a tacere del fatto che questa norma prevede una limitazione soggettiva certamente distonica, giacché non è previsto che l'istituzione e successiva sostituzione possa essere disposta ad esempio in favore del fratello del disponente. Uno strumento più malleabile, meglio adattabile caso per caso, tradizionalmente impiegato per apprestare la necessaria tutela ad un disabile, o più in generale ad un soggetto debole, è quello del modus testamentario. In tal senso ha ad esempio affermato la S.C. che la disposizione testamentaria con cui sia imposto all'erede di prestare presso di sé assistenza materiale e morale ad un terzo, vita natural durante, configura un onere ai sensi dell'art. 647 c.c., assimilabile, nel contenuto e nella portata, al vitalizio alimentare ex art. 1872 c.c. (Cass. 25 febbraio 1981, n. 1154; Cass. 17 gennaio 2003, n. 626). Il modus garantisce tuttavia al testatore il quale intenda proteggere il disabile una tranquillità piuttosto ridotta: l'apposizione del modus al testamento non fa altro che determinare il sorgere di un'obbligazione a carico dell'erede o del legatario, obbligazione che in caso di inadempimento va fatta valere per le vie legali, senza, in particolare, che i beni oggetto della disposizione testamentaria subiscano alcuna «segregazione» in vista del soddisfacimento dell'onere. Tralasciando dunque l'ipotesi che il testatore abbia fatto male i propri conti, e cioè si sia fidato di una persona che non ha in realtà alcuna intenzione di adempiere il modus, è ben possibile che l'erede o legatario con onere rimanga con le tasche vuote, e conseguentemente anche il disabile rimanga privo di tutela. Il trust come strumento di tutela del disabile Data l'insufficienza degli strumenti tradizionali sono nati dalla riflessione della dottrina e dalla esigenza della pratica nuovi istituti impiegati anche per i fini della tutela del disabile e, più in generale, delle persone deboli. In tale prospettiva, il trust riveste particolare rilevanza nell'area relativa alla tutela dei soggetti con disabilità: ciò dipende dalle caratteristiche di flessibilità ed adattabilità del trust alle diverse situazioni, flessibilità ed adattabilità che consentono di organizzare la gestione del patrimonio familiare al fine di garantire le aspettative di vita del disabile (v. in argomento Santuari; Venchiarutti, 46 ss.; Garrone, 310; Palazzo, 192; Arrigo, 2003). Attraverso il trust, anzitutto, il disabile riceve una tutela particolarmente efficace in ragione dell'insensibilità del trust found alle vicende personali del trustee, come pure del disponente. L'istituto, inoltre, spiega i suoi effetti anche dopo la scomparsa dei familiari del disabile. La flessibilità dello strumento, suscettibile di essere adeguatamente modellato attraverso il trust deed, consiste di farne un impiego non solo difensivo, ma propositivo e di sostegno del soggetto debole. Difatti, l'utilità che il trust permette di soddisfare si colloca non solo dal versante degli interessi di natura patrimoniale, ma anche da quello dei peculiari interessi personali di volta in volta rilevanti, dall'assistenza infermieristica alla partecipazione a gruppi o comunità (La Torre). Si deve ricordare la decisione che ha nominato un amministratore di sostegno ad un disabile, beneficiario di un trust, incaricandolo di controllare e vigilare l'operato del trustee (Trib. Roma 26 ottobre 2009, Guida al diritto, 2011, Dossier, 7, 79). Si trattava nel caso di specie di un uomo, poi deceduto, che aveva istituito un trust conferendo taluni beni al trustee, individuato nella persona di un avvocato, con lo scopo di assicurare a sé ed al fratello «il mantenimento del più che agiato, solito, loro tenore di vita, a seguito del verificarsi di situazioni di necessità di loro assistenza morale e materiale» ed assicurare «condizioni agiate pari alle attuali, con l'assistenza di un collaboratore domestico fisso e nella attuale residenza o in residenza equivalente, ed anzi, ancor più agiate, impiegando i frutti, ma, eventualmente, anche il capitale del patrimonio pervenuto al trustee e vincolato in trust»; con testamento pubblico, poi, la stessa persona aveva nominato erede universale di tutti i suoi beni il già istituito trust «Vincenzo-Luigi». Il fratello del defunto, beneficiario del trust, era affetto da psicosi schizofrenica cronica di tipo paranoide caratterizzata da un'importante alterazione del suo rapporto con la realtà: per tale condizione, risultava solo parzialmente in grado di gestire somme di denaro e necessitava di sostegno per compiere atti di gestione. Con particolare riguardo al trust, il giudice investito della nomina dell'amministratore di sostegno del fratello del defunto ha osservato: «a) il settlor ... Vincenzo non ha previsto la nomina di un protector, ossia di un soggetto chiamato a tutelare lo scopo del trust, a collaborare con il trustee nelle scelte che questi deve compiere ed a controllarne l'operato, a vigilare sulla cura della persona; b) in conformità a quanto prevedono l'art. 2, comma 2, lett. c) e l'art. 8 lett. j) della Convenzione dell'Aja del 1 luglio 1985, ratificata dall'Italia con l. n. 364/1989, ed a quanto prevede il Trustee Act 1925 sect. 102, norma del diritto inglese applicabile in base all'art. 6 del trust, il disponente ha previsto l'obbligo di rendiconto annuale nei confronti del beneficiario che tuttavia, a causa della patologia di cui soffre, non appare in grado di esercitare un'adeguata verifica della regolarità del rendiconto medesimo; c) in conformità a quanto prevede l'art. 15 della Convenzione dell'Aja, le norme ed i principi della Convenzione non possono ostacolare le disposizioni di diritto internazionale privato inderogabili in materia di protezione di persone incapaci, tale dovendosi considerare l'art. 43 della legge 31 maggio 1995, n. 218, che individua nella legge italiana la normativa regolatrice delle misure di protezione degli incapaci maggiori di età di nazionalità italiana; 8) date le condizioni di salute di ... Luigi, la nomina di un amministratore di sostegno è, pertanto, misura di protezione necessaria ... per la vigilanza sull'assistenza e sull'amministrazione del patrimonio dell'interessato e del trust di cui è beneficiario». Dopodiché il giudice ha nominato un amministratore di sostegno affidandogli anche il controllo e vigilanza sull'operato del trustee. Va poi menzionata la pronuncia secondo cui può essere autorizzata l'attuazione della disposizione testamentaria che preveda l'istituzione di un trust in favore di uno dei figli del de cuius, disabile, avente quale finalità l'amministrazione e l'impiego dei beni indicati nel testamento per far fronte al mantenimento, alla cura e all'assistenza del disabile (Trib. Milano 5 marzo 2010, in Trusts e attività fiduciarie, 2010, 623, che ha autorizzato un tutore a dare esecuzione alle disposizioni testamentarie del padre dell'interdetto, ed in particolare a procedere all'istituzione di trust ai sensi dell'art. 2645-ter c.c., come disposto per testamento dal defunto padre dell'interdetto medesimo). Ancora il Tribunale di Genova ha affermato che l'amministratore di sostegno può essere autorizzato dal giudice tutelare all'istituzione di un trust nell'interesse dello stesso beneficiario della procedura e del di lui figlio, anch'egli soggetto disabile (Trib. Genova 14 marzo 2006, in Giur. merito, 2006, 2644). Del trust ha avuto modo di occuparsi ad altro riguardo anche la Corte di cassazione. Così Cass., n. 16022/2008, sul trust familiare, qualificato munus di diritto privato, che si sostanzia non nel compimento di un singolo atto giuridico, bensì in un'attività multiforme e continua, sentenza che si è peraltro cimentata infine con profili di ammissibilità e d'altro canto riguardava un trust internazionale e non interno; Cass. n. 24813/2008, che, nell'escludere ricorresse un patto successorio vietato ex artt. 458 e 589 c.c., in ordine alle disposizioni testamentarie poste in essere da due soggetti e dirette a costituire un'unica fondazione nominandola erede universale, ha riflettuto sulla tendenza alla progressiva erosione della portata del divieto dei patti successori, evidenziata, salvi i diritti dei legittimari, dal recepimento nella normativa nazionale dell'istituto di common law del trust. Desta interesse, nella materia, la questione dei poteri che possono essere affidati al trustee, in particolare con riguardo alle autorizzazioni prescritte dagli 374 ss. c.c.. In un remoto provvedimento, già a suo tempo menzionato, venne affermato che, essendo l'executor trustee «proprietario dei beni immobili siti in Italia a tutti gli effetti», egli poteva liberamente disporne, senza necessità di autorizzazione (Trib. Casale Monferrato 13 aprile 1984, in Riv. not., 1985, 240). Viceversa, la dottrina era divisa. Secondo alcuni autori le autorizzazioni dovevano ritenersi comunque necessarie (Salvatore, 102, secondo il quale: «Qualora in ipotesi beneficiario fosse designato un minore, gli atti di disposizione sui beni costituti in trust dovrebbero essere assoggettati alla disciplina contemplata dagli artt. 374 e 375 c.c., che subordinano all'autorizzazione del giudice tutelare o del tribunale il compimento di atti che possano depauperare il patrimonio del minore»). Altra parte della dottrina propendeva invece per la validità della clausola del trust deed che autorizzasse il trustee ad agire senza autorizzazione giudiziale, massime nel caso in cui la qualifica di trustee fosse assunta dai genitori di un beneficiario minorenne. Tale soluzione veniva ricondotta sia all'art. 15 della Convezione dell'Aja, che consente di temperare le conseguenze negative di una applicazione eccessivamente rigorosa del regime autorizzatorio, tale da ridurre in modo consistente i poteri gestori conferiti al trustee nell'area di common law (Muritano), sia sulla base della disciplina del fondo patrimoniale ex art. 169 c.c., che consente il compimento di atti di straordinaria amministrazione, anche nell'ipotesi in cui via siano figli minori, senza bisogno dell'autorizzazione giudiziale, se «espressamente consentito nell'atto di costituzione». In tale prospettiva assume particolare rilievo l'atto istitutivo di trust, potendo esso delineare nel modo più appropriato i poteri del trustee. Altro profilo problematico è quello legato alla possibilità che l'istituzione del trust determini una lesione della quota riservata ai legittimari. In simile ipotesi — è stato detto — i legittimari pretermessi possono avvalersi dell'azione di riduzione nei confronti dell'erede-beneficiario ovvero nei confronti del trustee. In giurisprudenza è stato difatti ritenuto soggetto ad azione di riduzione un trust lesivo dei diritti dei legittimari: «il trust non determina la nullità della scheda testamentaria, neppure per la parte costituente lesione delle aspettative del legittimario, ma semplicemente «non è di ostacolo» alla possibilità di applicare le disposizioni di diritto interno strumentali alla reintegrazione della quota riservata ai legittimari; e ciò è tanto vero che, nel comma conclusivo, lo stesso art. 15 così si esprime: «qualora le disposizioni del precedente paragrafo siano di ostacolo al riconoscimento del trust, il giudice cercherà di realizzare gli obiettivi del trust con altri mezzi giuridici”» (Trib. Lucca 23 settembre 1997, in Foro it., 1998, I, 2007). Ed è stato pure affermato che «trattandosi di trust interno, esso è del tutto legittimo anche qualora il suo effetto sia quello di privare un erede del disponente della sua quota di legittima: il legittimario deve agire in riduzione e non per la nullità del trust, qualificando i trasferimenti dal disponente al trustee quali liberalità indirette» (Trib. Venezia 4 gennaio 2005, in Trusts e attività fiduciarie, 2005, 245). Anche di recente è stato ribadito che «è riducibile la disposizione testamentaria mediante la quale il de cuius lascia al coniuge, in qualità di trustee, il proprio residuo patrimonio, pretermettendo le due figlie, a favore di ciascuna delle quali il trust prevede esclusivamente il versamento di una esigua somma di denaro. Il conferimento dei beni in trust non è inquadrabile nell'istituto della donazione e dunque non se ne può tenere conto in sede di riunione fittizia» (Trib. Lucca 19 aprile 2017, in Trusts e attività fiduciarie, 2017, 645). Secondo il tribunale, il de cuius «nell'agosto 2002 aveva costituito negli Stati Uniti il Trust Agreement of A.G. — poi rettificato in data 10 marzo 2010 — all'interno del quale aveva fatto confluire tutti i suoi beni mobili ed immobili presenti nel territorio americano, nominando sé stesso e la moglie amministratori. Ebbene, poiché il de cuius ha disposto con testamento che tutti i suoi beni relitti (vale a dire quelli presenti in Italia e negli Stati Uniti d'America) vadano al trustee (M.P.A.G.), ne discende che le figlie L.A.G. e A.G., in favore delle quali nel trust è stato previsto il versamento a ciascuna della sola somma di $ 1.000,00, devono considerarsi eredi legittimarie pretermesse. Le disposizioni del testamento e del trust devono, quindi, essere ricondotte alla disciplina italiana in tema di diritti riservati ai legittimari in caso di successione». La soluzione desta cospicue perplessità. Nel caso considerato il disponente aveva istituito il trust con atto tra vivi, spogliandosi dunque dei suoi beni in favore di esso e nominando trustee se stesso e la moglie; in seguito lo stesso disponente aveva disposto per testamento dei propri — sembra da credere ulteriori — beni in favore del trust. Ora, il fascio di problemi che la vicenda pone, e che qui non possono essere se non sfiorati, non paiono prestarsi alla soluzione semplificatrice offerta dal tribunale. Anzitutto, occorre distinguere l'ipotesi del trust istituito per atto tra vivi e quella del trust istituito con testamento ovvero della disposizione testamentaria con cui il de cuius abbia disposto in favore del trust. In entrambi i casi sorge in primo luogo questione in ordine all'identificazione del legittimato passivo di un'ipotetica azione di riduzione, giacché, in effetti, sia il trustee che il beneficiario, con diversi argomenti non implausibili, ben potrebbero opporre all'erede sedicente pretermesso di non aver ricevuto dal defunto un bel nulla. In effetti, quanto al rapporto settlor-trustee è stato osservato (Salvatore, 2019, 15) che nel trasferimento di ricchezza che il disponente effettua a favore del fiduciario (trustee), non può ravvisarsi alcun atto liberale (né indiretto, né diretto), mancando tanto l'elemento soggettivo (l'animus donandi appunto), in capo al primo quanto l'elemento oggettivo (ovverosia l'incremento patrimoniale), in capo al secondo. Il disponente se vuole davvero beneficiare qualcuno, non vuol certo beneficiare il trustee; infatti, il trasferimento a favore del trustee risulta essere esclusivamente strumentale alla realizzazione dello scopo del trust ma, da un punto di vista dell'interesse, è del tutto neutro. All'interno di tale rapporto non vi è alcuna liberalità. Quanto al rapporto trustee-beneficiario, il trasferimento del bene posto in essere dal trustee nei confronti del beneficiario non si fonda sull'animus donandi ma adempie ad un'obbligazione avente carattere meramente solutorio. Il fiduciario (trustee) trasferisce i beni al beneficiario in adempimento di un impegno preso originariamente con il disponente al momento dell'accettazione dell'incarico. Pertanto, tale attribuzione non è qualificabile come donazione indiretta, mancandone completamente i presupposti. Solo quanto al rapporto settlor-beneficiario si può parlare di liberalità. Il disponente non vuole beneficiare il trustee bensì il beneficiario finale del trust stesso, verso il quale dispone con spirito di liberalità. Tale ipotesi sembra rientrare senz'altro tra le ipotesi delle donazioni indirette dicui all'art. 809 c.c. D'altro canto, è tutt'altro che agevole quanto meno nell'ipotesi di trust istituito per atto tra vivi, qualificare tale atto come donazione indiretta fintanto che il beneficiario, durante la vita del trust, non abbia ricevuto alcunché. Nondimeno, si è da tempo ritenuto in dottrina doversi riconoscersi che il legittimario pregiudicato possa avvalersi dei mezzi di tutela previsti, ossia dell'azione di riduzione ex art. 558 c.c. (Moscati). Secondo alcuni il trust, nel caso considerato, non potrebbe essere riconosciuto, a termini dell'art. 13 della Convenzione dell'Aja, esso sarebbe nullo, ed il negozio dispositivo a favore del trustee privo di causa, con la conseguenza che «i beni che ne sono stati l'oggetto rientrano nel patrimonio del disponente: si aprirà su di essi la successione legittima, nel pieno rispetto della nostra legislazione» (Lupoi, 2002, 171). Ma la soluzione appare forzata, ove si consideri che l'atto lesivo della legittima non è nullo (e del resto le norme in materia di legittima non sono norme imperative inderogabili: Cass. n. 11286/2002), ma è semplicemente riducibile, sempre che il legittimario leso assuma l'iniziativa di proporre l'azione di riduzione, in mancanza della quale le cose rimangono come fissate dal de cuius. Ciò senza considerare che, secondo la S.C., il citato art. 13, secondo cui: «Nessuno Stato è tenuto a riconoscere un trust i cui elementi significativi, ad eccezione della scelta della legge applicabile, del luogo di amministrazione o della residenza abituale del trustee, siano collegati più strettamente alla legge di Stati che non riconoscono l'istituto del trust o la categoria del trust in questione», è «rivolta agli Stati e costituisce una norma di preventiva chiusura» (Cass. n. 10105/2014), di guisa che essa sarebbe norma non direttamente utilizzabile dal giudice. D'altro canto, non va dimenticato che l'art. 15 della Convenzione dell'Aja fa salve le norme imperative di diritto interno in particolare in materia di diritto successorio e tutela delle aspettative dei legittimari: «La Convenzione non ostacolerà l'applicazione delle disposizioni di legge previste dalle regole di conflitto del foro ...in particolare nelle seguenti materie: ... c) i testamenti e la devoluzione dei beni successori, in particolare la legittima». Con particolare riguardo al trust posto a tutela dei disabili, si è detto che esso non si configurerebbe, comunque, come un atto di liberalità o una donazione ma rappresenterebbe un negozio costituito al fine dell'adempimento di obbligazioni di assistenza e mantenimento del figlio portatore di handicap: si tratterebbe quindi «dell'adempimento di una obbligazione legale, gravante sui genitori se non anche su tutti i componenti la famiglia, la quale prevale perfino sul diritto di proprietà» (Lupoi, 2004, 336). Si tratta, però, di una soluzione non da tutti condivisa (Di Landro, 123, il quale osserva che seppure si volesse riconoscere nell'istituzione del trust a favore del familiare disabile l'adempimento dell'obbligazione legale di mantenimento ed assistenza ex artt. 433 ss. c.c., gli altri legittimari, ossia, come di frequente accade, i fratelli del disabile, potenzialmente lesi dalla disposizione, sarebbero comunque tenuti all'obbligo di assistenza, ex artt. 433 e 439 c.c., solo nella misura dello stretto necessario e, in ogni caso, sarebbero ultimi obbligati fra i soggetti tenuti all'adempimento). Può accadere che venga costituita in trust la quota di legittima destinata al beneficiario del trust medesimo. In questa ipotesi non sembra si possa dire che il settlor intenda in tal modo diseredare il legittimario, il quale viene designato quale beneficiario delle rendite dei beni costituiti in trust: è inutile dire che se la costituzione in trust della quota di legittima spettante al disabile dovesse essere considerata quale diseredazione di un legittimario essa non avrebbe scampo. Allo stesso tempo, però, a seguito della costituzione del trust, al disabile beneficiario-legittimario non competono poteri di natura reale sui beni costituenti la propria quota di legittima che sono entrati a far parte del trust fund. A costui, con il trust cioè viene sottratta la disponibilità dei beni che spetta invece al trustee. Il beneficiario, in altri termini, non potrà possa essere considerato erede, assumendo al più la posizione sostanziale di un legatario delle rendite dei beni costituenti la quota di legittima. Muovendo da tali premesse, sembra si arrivi a dover riconoscere al legittimario beneficiario del trust la facoltà di esercitare l'azione di riduzione. Per altro verso la disposizione potrebbe prestarsi anche ad essere qualificata come legato in sostituzione di legittima, sicché il legittimario potrebbe rinunciare al legato e chiedere la legittima, facendo saltare il trust (Salvatore, 15). La legge sul «dopo di noi» All'istituzione di trust, vincoli di destinazione e fondi speciali composti di beni sottoposti a vincolo di destinazione, in favore delle persone con disabilità, è dedicato l'art. 6 l. n. 112/2016, recante: «Disposizioni in materia di assistenza in favore delle persone con disabilità grave prive del sostegno familiare». Tale norma stabilisce che i beni e i diritti conferiti in trust ovvero gravati da vincoli di destinazione di cui all'art. 2645-ter c.c. ovvero destinati a fondi speciali previsti dal comma 3 dell'art 1 della stessa legge, istituiti in favore delle persone con disabilità grave come definita dall'art. 3, comma 3, l. n. 104/1992, sono esenti dall'imposta sulle successioni e donazioni. Le esenzioni e le agevolazioni previste dalla norma sono ammesse a condizione che il trust ovvero i fondi speciali ovvero il vincolo di destinazione perseguano come finalità esclusiva l'inclusione sociale, la cura e l'assistenza delle persone con disabilità grave, in favore delle quali sono istituiti, finalità che deve essere espressamente indicata nell'atto istitutivo del trust, nel regolamento dei fondi speciali o nell'atto istitutivo del vincolo di destinazione. Le esenzioni e agevolazioni menzionate, poi, spettano a condizione della congiunta sussistenza delle seguenti condizioni: a) l'istituzione del trust ovvero il contratto di affidamento fiduciario che disciplina i fondi speciali ovvero la costituzione del vincolo di destinazione richiede l'atto pubblico; b) l'atto istitutivo del trust ovvero il contratto di affidamento fiduciario che disciplina i fondi speciali ovvero l'atto di costituzione del vincolo di destinazione deve identificare in maniera chiara e univoca i soggetti coinvolti e i rispettivi ruoli, deve descrivere la funzionalità e i bisogni specifici delle persone con disabilità, deve indicare le attività assistenziali necessarie a garantire la cura e la soddisfazione dei bisogni dei beneficiari; c) l'atto istitutivo del trust ovvero il contratto di affidamento fiduciario che disciplina i fondi speciali ovvero l'atto di costituzione del vincolo di destinazione deve individuare, rispettivamente, gli obblighi del trustee, del fiduciario e del gestore, con riguardo al progetto di vita e agli obiettivi di benessere che lo stesso deve promuovere in favore delle persone con disabilità grave, adottando ogni misura idonea a salvaguardarne i diritti; e deve inoltre indicare gli obblighi e le modalità di rendicontazione a carico del trustee o del fiduciario o del gestore; d) gli esclusivi beneficiari del trust ovvero del contratto di affidamento fiduciario che disciplina i fondi speciali ovvero del vincolo di destinazione devono essere persone con disabilità grave; e) i beni, di qualsiasi natura, conferiti nel trust o nei fondi speciali ovvero i beni immobili o i beni mobili iscritti in pubblici registri gravati dal vincolo di destinazione devono essere destinati esclusivamente alla realizzazione delle finalità assistenziali del trust ovvero dei fondi speciali o del vincolo di destinazione; f) l'atto istitutivo del trust ovvero il contratto di affidamento fiduciario che disciplina i fondi speciali ovvero l'atto di costituzione del vincolo di destinazione deve individuare il soggetto preposto al controllo delle obbligazioni imposte all'atto dell'istituzione del trust o della stipula dei fondi speciali ovvero della costituzione del vincolo di destinazione a carico del trustee o del fiduciario o del gestore; tale soggetto deve essere individuabile per tutta la durata del trust o dei fondi speciali o del vincolo di destinazione; g) l'atto istitutivo del trust ovvero il contratto di affidamento fiduciario che disciplina i fondi speciali ovvero l'atto di costituzione del vincolo di destinazione devono stabilire il termine finale della durata del trust ovvero dei fondi speciali ovvero del vincolo di destinazione nella data della morte della persona con disabilità grave; h) l'atto istitutivo del trust ovvero il contratto di affidamento fiduciario che disciplina i fondi speciali ovvero l'atto di costituzione del vincolo di destinazione deve stabilire la destinazione del patrimonio residuo. Inoltre, in caso di premorienza del beneficiario rispetto ai soggetti che hanno istituito il trust ovvero stipulato i fondi speciali ovvero costituito il vincolo di destinazione, i trasferimenti di beni e di diritti reali a favore dei suddetti soggetti godono delle medesime esenzioni dall'imposta sulle successioni e donazioni di cui al presente articolo e le imposte di registro, ipotecaria e catastale si applicano in misura fissa. Al di fuori dell'ipotesi menzionata, sono dettate ulteriori disposizioni concernenti l'imposizione fiscale applicabile. La legge, nel suo complesso, è stata emanata per lo scopo di «favorire il benessere, la piena inclusione sociale e l'autonomia delle persone con disabilità», obiettivo che il legislatore ha inteso realizzare attraverso la previsione di un regime fiscale di favore per «la costituzione di trust, di vincoli di destinazione ... e di fondi speciali ... disciplinati con contratto di affidamento fiduciario». La disposizione dettata dall'art. 6, in particolare, sembra rispondere all'esigenza di dettare una specifica disciplina soprattutto del trust istituito a favore di soggetti con disabilità. In tal modo è stata tipizzata una figura, quella del trust, già nota, mentre è stata introdotta un'ulteriore figura, quella del contratto di affidamento fiduciario, sostanzialmente sconosciuta. Con riguardo al trust, ci si può interrogare se la nuova norma possegga un qualche rilievo per i fini del riconoscimento della validità del trust «interno» (nel quale settlor, trustee e beneficiario sono italiani, ed i beni sono collocati in Italia), di cui si è discorso a suo tempo, questione sulla quale la norma in effetti non prende espressamente posizione. Nondimeno, il trust previsto dalla legge c.d. «dopo di noi» costituisce strumento mediante il quale il disponente vincola determinati beni affinché questi siano gestiti ed amministrati nell'interesse esclusivo o prevalente del soggetto debole beneficiario, secondo un «programma» che occorre indicare con necessaria puntualità nel nell'atto costitutivo del trust: in ciò la norma sembra risolversi in una presa d'atto della prassi già in precedenza formatasi, e di cui si è detto poc'anzi, quale quella dell'impiego dei trust interni a favore di un soggetto debole, solitamente un figlio del disponente o dei disponenti. Il conferimento dei beni nel trust, secondo la previsione del citato art. 6, non va esente da criticità concernenti l'interferenza con la disciplina della successione necessaria. Per un verso vi è il concreto rischio che, attraverso l'istituzione del trust, nulla pervenga al soggetto debole a titolo di successione ereditaria, quantunque egli rivesta la posizione del legittimario: ed anzi questi non erediterà mai, avuto riguardo alla menzionata previsione secondo cui l'atto istitutivo del trust deve stabilire il termine finale della durata del trust medesimo nella data della morte della persona con disabilità grave. L'altro profilo di criticità concerne l'eventualità che il conferimento dei beni nel trust finisca per ledere la quota riservata agli altri figli ed eventualmente al coniuge. Si è proposto di superare l'impasse evidenziando che il figlio debole, perlomeno quando sia qualificabile quale portatore di handicap grave, ha diritto ad essere assistito dai propri genitori. L'obbligo correlativo a tale diritto — è stato detto — grava in effetti sull'intera famiglia e quindi, quando vi sono fratelli o sorelle, non si estingue con la morte dei genitori. Questi ultimi provvedendo al figlio debole per mezzo del trust, adempiono ad una vera e propria obbligazione verso di lui, obbligazione di assistenza, la quale trova il suo fondamento in una lettura costituzionalmente orientata nelle norme imperative in tema di alimenti ex artt. 433 e 438 c.c.. Di conseguenza, il fondo in trust comprende quanto i disponenti ritengono sia necessario per l'assistenza da prestare al figlio debole; il fondo può corrispondere all'intero patrimonio dei disponenti, ma, pur essendo esso destinato al sostegno del figlio debole, questi non succederà in alcuna quota del patrimonio dell'uno o dell'altro genitore. Con il trust istituito ai sensi della legge del «dopo di noi», allora, il figlio debole riceve solo il diritto di essere assistito nelle forme indicate nell'atto istitutivo. Non vi è alcuna liberalità, ma a contrario sussiste solo l'adempimento di una obbligazione. Non sarebbe, dunque, esperibile l'azione di riduzione nei confronti di un trust istituito secondo la l. n. 112/2016 (Salvatore, 15). Il contratto di affidamento fiduciario Siamo qui in presenza di una figura elaborata dalla dottrina, volta a creare un modello di trust all'italiana, figura che, attraverso la mediazione del notariato, pur essendo il frutto di una recente elaborazione, ha già ricevuto una favorevole accoglienza giudiziaria in un provvedimento genovese secondo cui: «Qualora l'amministratore di sostegno voglia istituire un contratto di affidamento fiduciario a favore del soggetto beneficiato dall'amministrazione e da cui possono derivare vantaggi anche per lui, il giudice tutelare può nominare un curatore speciale affinché compia ogni attività necessaria alla completa definizione del contratto da sottoporre all'approvazione preventiva del giudice tutelare» (Trib. Genova 31 dicembre 2012, in Trusts e attività fiduciarie, 2013, 422). Qui occorre riassumere brevemente i termini della questione per comprendere di che cosa si tratta e spiegare comprensibilmente in che cosa il contratto di affidamento fiduciario consiste. Siamo in presenza di un giovane rimasto vittima di un incidente stradale che gli ha provocato rilevanti deficit mentali e fisici, tali da privarlo di autosufficienza. Il giovane ha ottenuto un cospicuo risarcimento. Il padre, che è stato nominato suo amministratore di sostegno, e che si occupa quotidianamente del figlio, è divorziato ed intende risposarsi: il che è incompatibile con l'impegno nei confronti del giovane. Tramite il contratto di affidamento fiduciario egli intende destinare determinati beni, ossia due immobili, al figlio, affidare la gestione di essi, oltre che della somma percepita a titolo di risarcimento del danno, alla madre, ossia alla ex moglie, in vista del momento auspicato in cui lo stesso figlio, raggiunto un adeguato equilibrio psicofisico, potrà provvedere direttamente a se stesso e alla cura dei propri beni. Tale contratto prevede che il padre, in qualità di affidante, convenga con la madre, nominata affidataria fiduciaria, l'obbligo in capo a quest'ultima di perseguire sotto il suo controllo il programma programma voluto, volto a garantire in buona sostanza le migliori condizioni di vita del figlio. A tal fine la madre si avvale del fondo costituito dall'ex coniuge in qualità di affidante. In particolare il contratto in questione consta di una premessa e di tre negozi giuridici: -) il primo è la costituzione del diritto di abitazione vitalizio in favore del figlio dietro corrispettivo di una somma (ritratta dal risarcimento del danno) che viene versata ad estinzione completa del debito garantito da ipoteca sullo stesso immobile; -) il secondo è il contratto di affidamento fiduciario vero e proprio, il quale prevede che l'affidataria, ossia la madre, si avvalga temporaneamente del fondo affidato e dei suoi frutti per l'attuazione del programma di affidamento fiduciario, così come pattuito con l'affidante; -) il terzo è il contratto relativo al trasferimento immobiliare e mobiliare: per un verso il padre, nella sua qualità di affidante, trasferisce alla madre, nella sua qualità di affidataria, la piena proprietà dei due appartamenti, una delle quali gravata dal diritto di abitazione a favore del figlio per effetto del primo dei tre contratti. L'affetto di segregazione si ottiene attraverso la trascrizione di cui all'articolo 2645-ter c.c.. In generale, il contratto di affidamento fiduciario mostra le caratteristiche che seguono. L'affidatario fiduciario esercita i propri poteri sulla base delle indicazioni dell'affidante, scegliendone le modalità concrete di attuazione. Si obbliga in tal senso sia verso l'affidante sia verso il beneficiario, obbligazione che transiterà eventualmente a carico di ogni successivo affidatario subentrato nella posizione del primo. In particolare l'affidatario si impegna a custodire il fondo, ne tutela la consistenza fisica, il possesso nonché, quando possibile, il suo valore nel tempo. Ne risponde per le eventuali perdite ad essa imputabili e, in tale ipotesi, è tenuta al suo ripristino. Su consenso dell'affidante compie i negozi elencati nell'art. 375 c.c. nella medesima forma che il negozio deve rivestire, fino al termine finale del contratto. L'affidatario mantiene una contabilità curata, trascrive l'inventario ed il rendiconto nel libro degli eventi. Può così definirsi come contratto di affidamento fiduciario il contratto mediante il quale l'affidante fiduciario trasferisce all'affidatario fiduciario beni affidati, convenendo la loro destinazione a vantaggio di un beneficiario, in vista di un programma destinatorio, la cui attuazione è rimessa all'affidatario, il quale si obbliga alla sua realizzazione. Al termine del programma il beneficiario riceverà i beni liberi da vincoli. Si tratta dunque di un contratto atipico, di durata, a vantaggio di terzi, che contempla un trasferimento inter vivos di beni mobili o immobili, e che ha ad oggetto il programma destinatorio, purché meritevole di tutela ai sensi dell'art. 1322, comma 2, c.c. È utile infine ricordare, per concludere che, che il contratto di affidamento fiduciario ha già trovato un riscontro normativo nella Repubblica di San Marino con la promulgazione della l. n. 43/2010. BibliografiaAA.VV., Negozio di destinazione: percorso verso un'espressione sicura dell'autonomia privata, a cura della Fondazione italiana per il notariato, 1/2007; Angeloni, I patrimoni destinati ad uno specifico affare, Torino, 2005, 36; Arrigo, Il trust come fondo fiduciario in favore di soggetti deboli, in Dogliotti, Braun (a cura di), Il trust nel diritto delle persone e della famiglia, Milano, 2003; Bartoli, Il trust autodichiarato nella Convenzione de L'Aja sui trusts, in Trusts e attività fiduciarie, 2005, 355; Bartoli, Riflessioni sul «nuovo» art. 2645-ter c.c. e sul rapporto fra negozio di destinazione di diritto interno e trust, in Giur. it., 2007, 1297; Bianca, Diritto civile, VI, La proprietà, Milano, 1999; Bianca M. 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