Decreto legislativo - 10/02/2005 - n. 30 art. 64 - Invenzioni dei dipendenti

Nicola Rumine

Invenzioni dei dipendenti

1. Quando l'invenzione industriale è fatta nell'esecuzione o nell'adempimento di un contratto o di un rapporto di lavoro o d'impiego, in cui l'attività inventiva è prevista come oggetto del contratto o del rapporto e a tale scopo retribuita, i diritti derivanti dall'invenzione stessa appartengono al datore di lavoro, salvo il diritto spettante all'inventore di esserne riconosciuto autore.

. Se non e' prevista e stabilita una retribuzione, in compenso dell'attivita' inventiva, e l'invenzione e' fatta nell'esecuzione o nell'adempimento di un contratto o di un rapporto di lavoro o di impiego, i diritti derivanti dall'invenzione appartengono al datore di lavoro, ma all'inventore, salvo sempre il diritto di essere riconosciuto autore, spetta, qualora il datore di lavoro o suoi aventi causa ottengano il brevetto o utilizzino l'invenzione in regime di segretezza industriale, un equo premio per la determinazione del quale si terra' conto dell'importanza dell'invenzione, delle mansioni svolte e della retribuzione percepita dall'inventore, nonche' del contributo che questi ha ricevuto dall'organizzazione del datore di lavoro. Al fine di assicurare la tempestiva conclusione del procedimento di acquisizione del brevetto e la conseguente attribuzione dell'equo premio all'inventore, puo' essere concesso, su richiesta dell'organizzazione del datore di lavoro interessata, l'esame anticipato della domanda volta al rilascio del brevetto1.

3. Qualora non ricorrano le condizioni previste nei commi 1 e 2 e si tratti di invenzione industriale che rientri nel campo di attività del datore di lavoro, quest'ultimo ha il diritto di opzione per l'uso, esclusivo o non esclusivo dell'invenzione o per l'acquisto del brevetto, nonché per la facoltà di chiedere od acquisire, per la medesima invenzione, brevetti all'estero verso corresponsione del canone o del prezzo, da fissarsi con deduzione di una somma corrispondente agli aiuti che l'inventore abbia comunque ricevuti dal datore di lavoro per pervenire all'invenzione. Il datore di lavoro potrà esercitare il diritto di opzione entro tre mesi dalla data di ricevimento della comunicazione dell'avvenuto deposito della domanda di brevetto. I rapporti costituiti con l'esercizio dell'opzione si risolvono di diritto, ove non venga integralmente pagato alla scadenza il corrispettivo dovuto2.

4. Ferma la competenza del giudice ordinario relativa all'accertamento della sussistenza del diritto all'equo premio, al canone o al prezzo, se non si raggiunga l'accordo circa l'ammontare degli stessi, anche se l'inventore è un dipendente di amministrazione statale, alla determinazione dell'ammontare provvede un collegio di arbitratori, composto di tre membri, nominati uno da ciascuna delle parti ed il terzo nominato dai primi due, o, in caso di disaccordo, dal Presidente della sezione specializzata del Tribunale competente dove il prestatore d'opera esercita abitualmente le sue mansioni. Si applicano in quanto compatibili le norme degli articoli 806, e seguenti, del codice di procedura civile3.

5. Il collegio degli arbitratori può essere adito anche in pendenza del giudizio di accertamento della sussistenza del diritto all'equo premio, al canone o al prezzo, ma, in tal caso, l'esecutività della sua decisione è subordinata a quella della sentenza sull'accertamento del diritto. Il collegio degli arbitratori deve procedere con equo apprezzamento. Se la determinazione è manifestamente iniqua od erronea la determinazione è fatta dal giudice.

6. Agli effetti dei commi 1, 2 e 3, si considera fatta durante l'esecuzione del contratto o del rapporto di lavoro o d'impiego l'invenzione industriale per la quale sia chiesto il brevetto entro un anno da quando l'inventore ha lasciato l'azienda privata o l'amministrazione pubblica nel cui campo di attività l'invenzione rientra.

Inquadramento

I contratti ad oggetto informatico si caratterizzano per il fatto di avere ad oggetto beni e servizi informatici. Si differenziano dai contratti informatici — che non sono oggetto del presente commento — per il fatto che in questi ultimi l'informatica è soltanto il mezzo mediante il quale viene manifestata la volontà dei contraenti.

Tra i contratti a oggetto informatico si distinguono i «contratti di utilizzazione del computer» dai «contratti di servizi informatici». I primi sono volti a trasferire la proprietà o a concedere il godimento di beni informatici (hardware e software), mentre i secondi hanno per oggetto la prestazione di attività di assistenza o manutenzione del prodotto informatico.

I contratti ad oggetto informatico presentano problemi giuridici comuni: il che ne giustifica una trattazione unitaria.

Deve innanzitutto osservarsi che una delle peculiarità di tali fattispecie è data dall'esistenza di una situazione di notevole squilibrio contrattuale tra il cliente e il fornitore. Il cliente, infatti, è spesso un piccolo operatore economico, sprovvisto di adeguate conoscenze informatiche e che si trova più o meno «costretto» a sottoscrivere contratti redatti dal fornitore.

Secondo detta lettura i contratti non sarebbero frutto di un vero e proprio accordo fra le parti, ma un mezzo attraverso il quale il fornitore vincolerebbe il cliente in considerazione della propria forza contrattuale. Da ciò conseguirebbe la necessità di predisporre strumenti che permettano un controllo più incisivo sul rapporto e ristabiliscano l'equilibrio tra le parti. A tal proposito viene dunque in rilievo la disciplina offerta dagli artt. 1341 e 1342 c.c., relativi al caso in cui il contenuto di un contratto sia imposto dal contraente più forte.

Rispetto ai rapporti contrattuali tra un professionista e un consumatore deve poi ricordarsi che nel corso dell'anno 2005 è entrato in vigore il c.d. codice del consumo, suscettibile di applicazione anche rispetto ai contratti a oggetto informatico.

Giova poi ricordare che il codice civile stabilisce precisi obblighi di informazione, sia nella fase precontrattuale, in base all'art. 1337 c.c., sia nella fase di esecuzione, in base al dovere di correttezza e di buona fede di cui all'art. 1375 c.c. La violazione di detti obblighi è apprezzabile sia in termini di responsabilità precontrattuale, sia in termini di responsabilità contrattuale, potendo infatti determinare l'annullamento del contratto per dolo o errore o, comunque, il risarcimento del danno e la risoluzione del rapporto.

Come contraltare degli obblighi informativi del fornitore vi l'obbligo di collaborazione dell'utente, che si concretizza nel rappresentare le proprie esigenze e nel fornire tutte le informazioni necessarie e utili per la corretta esecuzione del contratto. Ovviamente il grado di collaborazione richiesto all'utente dipende dalle circostanze del caso concreto e dal tipo di contratto stipulato.

I contratti a oggetto informatico sono poi connotati dal fatto di porsi in rapporto di collegamento tra loro o, comunque, di integrare l'ipotesi del c.d. contratto misto (per un caso giurisprudenziale si veda ad esempio Trib. Palermo III, 27 luglio 2022. In dottrina, ex plurimis, CASALI, 389 ss.), sussistente laddove il negozio integri contemporaneamente le cause di diversi contratti tipici.

In proposito la dottrina prevalente ritiene, ad esempio, che tra i contratti di vendita e di assistenza di hardware sussista un collegamento negoziale a carattere unilaterale e oggettivo.

Il collegamento è a carattere oggettivo perché la sua operatività non dipende dalla volontà delle parti, ma soltanto dalla connessione oggettiva delle diverse prestazioni inerenti un prodotto informatico.

Peraltro il collegamento che rende unitaria l'operazione economica non si ha soltanto in mancanza o comunque a prescindere della volontà delle parti, ma anche in presenza di un'espressa volontà contraria.

A proposito dell'esistenza di contratti misti, a livello generale sono stati da tempo individuati due criteri di risoluzione. Secondo il criterio c.d. dell'assorbimento, l'intero rapporto negoziale è regolato dalla disciplina del negozio da cui deriva la prestazione economicamente e qualitativamente prevalente. Tale criterio trova accoglimento nella giurisprudenza prevalente, che attribuisce valore al regolamento di interessi inteso nella sua oggettività.

Un secondo criterio è quello c.d. della combinazione, secondo cui deve applicarsi la disciplina riferibile alla natura della singola prestazione. Così facendo si attua una scomposizione del contenuto dell'accordo in tante parti quante sono le diverse utilità che contribuiscono alla sua formazione. L'adozione di tale criterio è predicata dalla dottrina maggioritaria, che lo ritiene l'unico capace di rispecchiare fedelmente la volontà dei contraenti e al contempo di non trascurare l'unitarietà dell'operazione economica.

Altra caratteristica di tali contratti è data, spesso, dalla loro complessità. Ciò, innanzitutto, in ragione della natura ibrida del software, poiché lo stesso è composto da un insieme di istruzioni sotto forma di processo immateriale (algoritmi) e dai mezzi materiali su cui le istruzioni sono state incorporate (es. CD). Tale complessità si traduce nell'oggettiva difficoltà di classificare il software, trovandosi nell'alternativa di considerarlo un servizio o, diversamente, un prodotto. La classificazione, come è ovvio, non è priva di conseguenze. Infatti, laddove il programma venga classificato come servizio, il contratto di riferimento sarà quello dell'appalto di servizi, laddove venga considerato prodotto, il contratto potrà essere ricondotto allo schema della compravendita.

Il secondo profilo di complessità attiene alla non scindibilità dell'hardware dal software. Si tratta, come osservato, di una complessità oggettiva data dall'articolata struttura del bene dedotto in contratto. È infatti indiscutibile che la macchina non è in grado di svolgere alcun compito senza i relativi programmi e che gli stessi sono in grado di interagire soltanto con determinate macchine.

Alla complessità oggettiva si accompagna anche una complessità da un punto di vista soggettivo in quanto in tali rapporti contrattuali vi è interazione di diversi soggetti in ragione dei diversi beni coinvolti.

Ugualmente, dalla crescente complessità dei rapporti deriva l'ulteriore caratteristica di tale categoria di contratti: «l'opacità». Con tale termine ci si riferisce all'oggettiva problematicità di individuare il soggetto cui sia ascrivibile la responsabilità in caso di inadempimento.

Ulteriore caratteristica di tali contratti è data dalla c.d. «atipicità standardizzata». Con tale termine si fa riferimento alla difficoltà di ricondurre un negozio avente ad oggetto hardware o software ad un preciso schema contrattuale. Tale difficoltà deriva dal fatto che nel regolamento di interessi sono spesso ricompresi aspetti e prestazioni di natura non omogenea. L'atipicità attinente al contenuto del contratto si accompagna però al fatto che nella prassi contrattuali sono diffusi moduli o formulari standard ed è sotto questo profilo che si parla di atipicità standardizzata.

In linea generale occorre anche segnalare che la disciplina applicabile dipende anche dal fatto che i contratti siano conclusi da un consumatore o da un professionista. Con particolare riferimento ai consumatori trovano dunque applicazione le direttive sulla garanzia dei beni di consumo (direttiva n. 99/44/CEE) e sulle clausole abusive (direttiva n. 93/13/CEE) con le rispettive norme di attuazione, oggi confluite nel c.d. codice del consumo, d.lgs. n. 206/2005, e specificamente negli artt. da 33 a 38 e da 128 a 135.

Il funzionamento del computer presuppone l'interazione tra la componente software e la componente hardware, ma nessuna delle due componenti può dirsi accessoria rispetto all'altra e peraltro è ben possibile che vengano acquistati separatamente (Musti, 45).

Per verificare l'esistenza di un collegamento negoziale è controverso in giurisprudenza se debba farsi ricorso a criteri di tipo soggettivo, cioè alla volontà delle parti, o a presupposti di tipo oggettivo, che riguardino cioè la funzione economico-sociale dei contratti.

La giurisprudenza più recente, a riguardo, ha richiamato il criterio oggettivo: tale unicità deriverebbe dall'oggettiva connessione funzionale esistente tra i contratti. Aderendo a detta ricostruzione si è sostenuto che il contratto collegato sia una forma di regolamento degli interessi economici delle parti contraddistinto dal fatto che le vicende relative a un contratto possono ripercuotersi sull'altro, anche se non sempre in modo reciproco (Cass. II, n. 4545/1995).

La giurisprudenza più risalente, invece, richiamava il criterio soggettivo, associando la sussistenza del collegamento solamente ed esclusivamente alla volontà delle parti (Cass. II, n. 1042/1975 e Cass. II, n. 4038/1978). La conseguenza di tale impostazione era che la scelta operata dalle parti era insuscettibile di essere in alcun modo valutata.

È stato ulteriormente evidenziato che non sussiste un'ipotesi di collegamento negoziale tra il contratto di compravendita di un «notebook» e il contratto di licenza d'uso relativo a sistema operativo, poiché non diretti a realizzare uno scopo pratico unitario. Pertanto, se l'acquirente non intende utilizzare il software, tale scelta produce conseguenze esclusivamente rispetto al relativo contratto. Affinché possa configurarsi un collegamento negoziale in senso tecnico è infatti necessario che ricorrano un requisito oggettivo, costituito dal nesso teleologico tra i negozi che hanno lo scopo di regolamentare gli interessi reciproci delle parti, e, contemporaneamente, un requisito soggettivo, costituito dal comune intento delle parti di volere, non solo l'effetto tipico dei singoli negozi in concreto posti in essere, ma anche il coordinamento tra questi per la realizzazione di un fine ulteriore, che ne trascende gli effetti tipici e che assume una propria autonomia anche dal punto di vista causale (Cass. II, n. 19161/2014).

A tal riguardo è stato di recente affermato che, in mancanza di apposite previsioni contrattuali relative alla licenza d’uso del software, la richiesta di rimborso del relativo prezzo non è subordinata all’invio di una richiesta di rimborso “tempestiva” (Trib. Monza I, n. 1734/2020).

La causa del contratto di fornitura di un sistema computerizzato è sia quella tipica della compravendita di beni mobili, sia quella atipica della fornitura unitaria di un complesso di beni e di servizi. Lo scopo perseguito dalle parti è però anche, ovviamente, quello della realizzazione di un'informatizzazione funzionale. Ciò detto, una volta trasferito il bene e prestata l'assistenza iniziale, il rifiuto del fornitore di prestare assistenza non integra inadempimento contrattuale laddove il programma necessiti di una complessa opera di istruzione del personale e di adattamento degli algoritmi alle esigenze specifiche, oltre che di modificazione dei processi aziendali. Tale opera di istruzione e adattamento può quindi essere pretesa solo in presenza di specifici impegni contrattuali (Trib. Catania 23 agosto 2006).

Nell'ipotesi di fornitura congiunta di software e hardware, considerato che all'acquirente deve essere fornito uno strumento che sia idoneo al raggiungimento di uno specifico scopo, si è in presenza di un'obbligazione di risultato. Ciò perché la fornitura deve assicurare all'acquirente i risultati perseguiti e dallo stesso comunicati al venditore (Trib. Como 20 aprile 2005).

La vendita di hardware

Con il termine hardware si individuano i vari elementi materiali di un sistema di E.D.P. — Electronic Data Processing, traducibile come elaborazione automatica dei dati —, che a sua volta è dato dall'insieme delle operazioni eseguite automaticamente da un computer nel trattamento delle informazioni. Si tratta, in pratica, dei dispositivi magnetici, ottici, meccanici ed elettronici.

La compravendita di hardware è stato il primo contratto ad affermarsi ed attualmente è anche il più diffuso.

Le peculiarità relative all'oggetto del contratto, l'hardware appunto, non incidono né sulla funzione, né sulla disciplina della vendita, che rimane in buona sostanza quella stabilita dal codice civile e dal codice del consumo.

Una delle sue peculiarità è data dal fatto che il contratto non ha riguardo soltanto alle prestazioni proprie dello schema negoziale tipico — la consegna dell'hardware — ma include tutta una serie di prestazioni strumentali.

Viene dunque comunemente previsto che il prezzo sia versato al momento della consegna dell'apparecchiatura, ma non è infrequente che al cliente sia accordato un termine di pagamento differito rispetto al momento della consegna.

È poi ricorrente la clausola secondo cui, se nel periodo di tempo tra la stipulazione del contratto e la consegna dell'apparecchio si verifichi un aumento del prezzo, tale aumento è a carico dell'acquirente. In altri casi è invece prevista, in corrispondenza di tali eventi e, più precisamente, quando l'incremento superi una certa percentuale, la facoltà del cliente di recedere dal contratto.

Altra peculiarità attiene alla consegna del bene compravenduto. Non è infrequente che in tali contratti vengano inserite delle clausole secondo cui la consegna si ritiene effettuata al momento del deposito del macchinario sul piano stradale esterno al luogo nel quale deve essere posizionato. Ciò rappresenta evidentemente una deroga rispetto alla regola generale fissata dall'art. 1510, comma 1 c.c., a mente del quale, «in mancanza di patto o di uso contrario, la consegna della cosa deve avvenire nel luogo dove questa si trovava al tempo della vendita, se le parti ne erano a conoscenza ovvero nel luogo dove il venditore aveva il suo domicilio o la sede dell'impresa». Questa previsione è stabilita in vista della delicatezza dell'oggetto, ma anche, e soprattutto, al fine di determinare fino a che punto le spese di trasporto e i relativi rischi gravano sul fornitore. Tanto è vero che le ulteriori spese dovute per l'installazione dell'apparecchiatura sono, in linea generale, a carico dell'acquirente.

A seguito della consegna dell'apparecchiatura è generalmente effettuata la verifica del funzionamento dell'hardware attraverso il compimento di appositi test. In caso di esito positivo degli stessi viene firmato dalle parti un verbale. Se, al contrario, l'esito è negativo, vengono effettuate ulteriori prove. A fronte di un nuovo esito negativo il compratore può scegliere se domandare al fornitore un hardware sostitutivo, tenere l'hardware ottenendo una riduzione del prezzo oppure chiedere la risoluzione del contratto.

Nel caso di vendita con pagamento rateale si prevede generalmente che il mancato pagamento anche di una sola rata autorizzi la parte venditrice a esercitare legittimamente l'azione di risoluzione del contratto — con il risarcimento del danno — o, alternativamente, il diritto di recesso immediato.

Dette previsioni si pongono in contrasto con quanto previsto dall'art. 1525 c.c. che, dettando una norma inderogabile, prevede che, nonostante patto contrario, il mancato pagamento di una rata non superiore a un ottavo del prezzo non dia luogo alla risoluzione del contratto e, inoltre, che il compratore conservi il beneficio del termine per le rate successive. Peraltro ai sensi dell'art. 1526 c.c., in caso di risoluzione del contratto, il venditore deve restituire al compratore le rate riscosse, salvo comunque il suo diritto a percepire un equo compenso per l'uso della cosa, oltre al risarcimento del danno.

Altro punto che assume rilevanza nel caso di vendita di hardware è quello relativo alle garanzie e alle responsabilità per eventuali vizi e difetti dell'hardware medesimo. In base alle norme del codice civile, la venditrice deve garantire il buon funzionamento delle macchine (art. 1512 c.c.) al riguardo, ad esempio, Trib. Palermo III, 27 luglio 2022.

Le clausole contrattuali comunemente inserite in contratto escludono le predette garanzie nel caso in cui il vizio o il cattivo funzionamento dipenda da cause non imputabili al fornitore, nonché nei casi di mere interruzioni o di errori. Infatti nei contratti si legge spesso che il venditore non garantisce che il funzionamento della macchina avvenga senza interruzioni o errori.

Occorre poi rilevare che nei formulari è talvolta espressamente escluso che il venditore sia tenuto a risarcire i danni derivanti dai vizi o dall'uso della macchina.

Peraltro, in merito alle clausole che limitano o escludono la responsabilità del venditore si segnala che laddove l'acquirente sia un consumatore, trova applicazione l'art. 1469-bis c.c. — la cui disciplina, come detto, è ora confluita nel codice del consumo — secondo cui tali clausole sono soggette a una presunzione di vessatorietà. La presunzione è però iuris tantum, per cui può essere superata fornendo la prova contraria.

Al di fuori del rapporto tra consumatore e professionista l'autonomia negoziale delle parti assume un ruolo molto più incisivo e infatti l'art. 1490, comma 2 c.c. attribuisce alle parti la possibilità di limitare o escludere la garanzia per vizi. Tale clausola è priva di efficacia soltanto nel caso in cui il venditore abbia omesso, in malafede, l'esistenza di un vizio. A proposito della garanzia per i vizi si veda Cass. III, n. 34595/2023.

Quando l'apparecchiatura sia priva delle qualità essenziali o promesse, l'art. 1497 c.c. non contempla alcuna possibilità di esonero del venditore da responsabilità.

Rispetto, invece, alle clausole di esclusione della responsabilità contrattuale per danni, trova applicazione l'art. 1229 c.c. e, pertanto, queste saranno pienamente valide e operanti a meno che non vi sia dolo o colpa grave del debitore o sia ravvisabile la violazione di norme di ordine pubblico.

L'hardware è il computer inteso come macchina, cioè l'insieme delle parti meccaniche fisicamente tangibili (Franceschelli, 147)

L'obbligazione relativa all'installazione del bene compravenduto deve ritenersi accessoria e ulteriore rispetto a quelle direttamente derivanti dalla compravendita e, pertanto, sussiste soltanto laddove sia stata espressamente pattuita tra le parti (Musti, 67)

In caso di fornitura di un sistema informatico e in presenza di una garanzia pattizia di buon funzionamento il venditore deve ritenersi inadempiente qualora il sistema non raggiunga il risultato previsto, anche se non si riscontrino vizi tecnici sia nell'hardware sia nel software (Cass. II, n. 2661/1999).

Quanto all'adempimento delle obbligazioni derivanti da tale contratto si è evidenziato che la consegna, che costituisce una delle obbligazioni del venditore, è l'atto con il quale il compratore è posto nella condizione, sia di disporre materialmente della cosa, sia di goderne secondo la sua funzione e destinazione. In ragione di ciò, se risulta che il venditore ha assunto l'obbligo di mettere a disposizione il proprio personale per provvedere alla messa in opera del macchinario — con la collocazione di un apparecchio nel luogo in cui queste devono operare —, deve ritenersi che le parti abbiano inteso che a carico del venditore gravi l'obbligo di provvedere al montaggio come requisito indispensabile per l'adempimento dell'obbligazione di consegnare. L'ulteriore conseguenza di ciò è che, ai fini dell'individuazione del locus destinatae solutionis, deve aversi riguardo allo stabilimento dell'acquirente ove, col montaggio del macchinario, viene effettuata la consegna (Cass. II, n. 4818/1981).

Quanto all'eventuale obbligo di installazione dell'elaboratore si è affermato che, laddove il fornitore abbia assunto l'obbligo della sua installazione, l'assolvimento dell'obbligo di installazione costituisce requisito indispensabile perché venga considerata adempiuta l'obbligazione della consegna (Cass. S.U., n. 448/2000).

In merito alla qualificazione del negozio di vendita di hardware, che preveda anche l'assistenza tecnica, si è affermato che esso è atipico e complesso, essendo caratterizzato dal concorso di due cause distinte, l'una tipica della compravendita e l'altra tipica dell'appalto: la prima è realizzata dalla fornitura dell'intero sistema computerizzato, mentre la seconda riguarda la prestazione dell'assistenza tecnica necessaria a dare esecuzione all'obbligazione di garantire il buon funzionamento del sistema (Cass. II, n. 2661/1999).

Sempre in merito alla natura giuridica di tale tipo di contratto si è osservato che esso può essere qualificato come contratto di compravendita laddove vi sia, da parte del venditore, una contestuale assunzione dell'obbligazione di garantire il buon funzionamento della cosa compravenduta e, quindi, di garantire il raggiungimento di uno specifico risultato (Trib. Monza, 3 marzo 2006).

Il comodato, la locazione e il leasing di hardware

Rispetto al contratto di locazione di hardware deve innanzitutto osservarsi che esso non si discosta dalla disciplina prevista dal codice civile per le locazioni di beni mobili. Infatti, come previsto dall'art. 1571 c.c., l'impresa si impegna a fornire al cliente dei macchinari funzionanti per un periodo di tempo prestabilito, verso il pagamento di un canone periodico. Dalla stipulazione del contratto nasce quindi un diritto personale di godimento del bene in capo al conduttore.

Le obbligazioni principali del conduttore sono quelle di prendere in consegna la cosa osservando, nel servirsene per l'uso pattuito, la diligenza del buon padre di famiglia e rispondendo della perdita e del deterioramento della stessa salvo che queste non siano a lui imputabili (art. 1588 c.c.), di restituire il bene al locatore, al termine del contratto, nel medesimo stato in cui l'ha ricevuto (salvo il deterioramento dovuto a vetustà o consumo) e, ovviamente, quello di pagare il canone nei termini convenuti.

Tra le obbligazioni principali del locatore vi è invece quella di consegnare al conduttore la cosa locata in buono stato di manutenzione, di mantenerla in uno stato tale da poter servire all'uso convenuto — dovendo quindi eseguire tutte le riparazioni necessarie (salvo quelle di piccola manutenzione) — e di garantire il pacifico godimento della cosa durante la locazione.

Come già segnalato a livello generale, anche i contratti di locazione si caratterizzano perché il loro l'oggetto può rivelarsi composito e dunque comprendere sia la consegna e la messa in opera delle strumentazioni, sia la manutenzione dell'impiantistica, sia il servizio di assistenza. A ciò generalmente si aggiunge la previsione di ulteriori prestazioni, come la fornitura di programmi specifici o l'organizzazione di corsi di formazione per il personale.

Il contratto di locazione cessa allo scadere del termine fissato, exart. 1596 c.c., salva la previsione del rinnovo tacito. Diversamente, se non è stato previsto un termine, trovano applicazione i criteri suppletivi, salva la necessità della disdetta per evitare in rinnovo del contratto.

La locazione peraltro non cessa se l'apparecchiatura locata è venduta a un soggetto terzo rispetto all'originario rapporto contrattuale, purché, come previsto dall'art. 1599 c.c., il contratto abbia data certa.

Nella locazione, inoltre, è interesse del locatore che le macchine non siano danneggiate in nessun momento e per nessun motivo e, pertanto, è importante che il conduttore allestisca in maniera idonea i locali destinati a ospitare il prodotto informatico.

Il contratto di locazione ha avuto inizialmente una certa diffusione a causa degli alti costi dell'hardware, ma attualmente, con l'incremento dell'offerta e la maggiore concorrenza fra i fornitori, nonché con l'affermarsi di forme contrattuali flessibili — in particolare il leasing — la locazione è diventata economicamente meno vantaggiosa e utilizzata.

Venendo al contratto di leasing o locazione finanziaria, deve preliminarmente segnalarsi come questo non sia oggetto di disciplina puntuale (ma si veda, di recente, l'art. 1, commi 136-140, della l. 124/2017), ma sia stato orginariamente definito dall'art. 17 della l. n. 183/1976, alla stregua del quale per operazioni di locazione finanziaria devono intendersi quelle in cui i beni mobili o immobili vengono acquistati o fatti costruire dal locatore, su scelta e indicazione del conduttore, che assume i relativi rischi, e con facoltà per il conduttore di diventarne proprietario al termine della locazione con il versamento di un prezzo stabilito.

Il contratto di leasing (sia esso finanziario od operativo) presuppone la trilateralità del rapporto, essendo in esso coinvolti il produttore-sviluppatore, il concedente e, infine, l'utilizzatore.

Si tratta di una forma contrattuale che si colloca in posizione mediana tra la locazione e la vendita a rate, ma da quelle si distingue per avere una causa autonoma, corrispondente alla funzione creditizia. Con il leasing l'imprenditore utilizza dei beni e un capitale iniziale (utilizzato per l'acquisto) di altro soggetto. Sotto questo profilo tale contratto svolge quindi, come detto, una funzione riconducibile al finanziamento.

Occorre nondimeno valutare, caso per caso, se sia stato dato rilievo maggiore o minore al profilo locativo rispetto a quello della vendita rateale. È evidente che valutare il profilo predominante in ciascun contratto di leasing non è sempre agevole, ma va comunque sottolineata la diffusione di modelli nei quali ogni possibile questione tra le parti è risolta da specifiche clausole contrattuali, che lasciano ben pochi margini al problema dell'applicabilità della disciplina della vendita o della locazione.

Infine, occorre far presente, investendo anche il problema della causa del contratto di leasing, che le Sezioni Unite, con la sentenza n. 5657/2023, si sono di recente pronunciate sulla validità dell'accordo di indicizzazione con cui il canone di un contratto di leasing sia legato all'andamento del Libor, escludendo che tale patto trasformi il leasing in un contratto derivato. In particolare le Sezioni Unite hanno concluso nel senso che la predetta clausola non costituisce patto immeritevole di tutela ai sensi dell'art. 1322 c.c. (il giudizio di meritevolezza, infatti, va compiuto avendo riguardo allo scopo perseguito dalle parti, non alla sua convenienza, alla sua chiarezza o alla sua aleatorietà), né dà vita a un derivato implicito, con conseguente inapplicabilità della disciplina del testo unico finanziario.

Si veda anche Trib. Milano XIII, n. 130/2023.

Volendo poi individuare i caratteri fondamentali del contratto di comodato di hardware, questo, secondo la definizione del codice civile, è il contratto con cui una parte consegna all'altra un bene, mobile o immobile, affinché se ne serva per un tempo o per un uso determinato, con l'obbligo di restituire la stessa cosa ricevuta.

Essendo poi il comodato basato sulla gratuità, esso si presta a essere utilizzato soltanto in talune ipotesi.

Il comodato è un contratto reale, poiché lo stesso si perfeziona con la consegna della cosa ed è caratterizzato dall'intuitus personae poiché, come risulta dall'art. 1804, comma 3 c.c., il comodatario non può concedere a un terzo il godimento della cosa senza il consenso del comodante.

Per quanto concerne le clausole più utilizzate nella pratica, è frequente l'indicazione puntuale degli usi consentiti e di quelli vietati (es. installazioni di particolari software), l'indicazione del valore stimato del bene, la previsione dell'obbligo di custodia e di conservazione a carico del comodatario (che deve tra l'altro adottare tutte le cautele necessarie a impedire ai terzi di danneggiare o distruggere il bene), le modalità di consegna del bene, la distribuzione delle spese per la conservazione del bene.

Quanto all'ipotesi di risarcimento dei danni recati al comodatario per i vizi della cosa, l'art. 1812 c.c. stabilisce che il comodante è tenuto al risarcimento se non abbia avvertito il comodatario, quindi sia in ipotesi di dolo che di colpa.

La Corte di cassazione ha distinto tra leasing di godimento e leasing traslativo, affermando che nel primo caso il canone versato dall'utilizzatore corrisponde alla perdita di valore del bene per effetto del suo utilizzo, mentre nel secondo il canone è fissato in relazione al valore del bene in sé.

Da tale distinzione consegue che nel primo caso si applicano i principi sui contratti di durata e, in particolare, quello che afferma l'irretroattività degli effetti della risoluzione e dunque l'irripetibilità delle prestazioni effettuate da ciascuna delle parti.

Nel secondo caso, considerando che la durata del contratto è modulata in funzione dell'effetto traslativo contemplato, trova invece applicazione l'art. 1526 c.c., con il conseguente obbligo per la società di leasing di restituire i canoni percepiti. (Cass. II, n. 6034/1997).

La fornitura di un sistema computerizzato, che comprende il software, l'hardware e anche la garanzia di funzionamento per un determinato periodo di tempo, configura un contratto atipico e complesso, a causa mista, formato dalla convergenza di un contratto di vendita (relativamente all'elaboratore) e di un contratto di appalto (per la prestazione di assistenza tecnica necessaria alla garanzia con obbligo di risultato), ed è regolato, siccome prevalente, dalle norme sulla vendita. È dunque ammissibile, in caso di cattivo funzionamento del sistema, la domanda dell'acquirente di risoluzione del contratto, mentre spetta al fornitore provare che esso dipende da fatti imputabili all'utilizzatore, idonei a giustificare il ritardo di detto adempimento, in rapporto alla durata della garanzia (Trib. Genova, 27 luglio 2007).

Il contratto di licenza di software

Il software può essere necessario al funzionamento dell'hardware oppure permettere lo svolgimento di funzioni ulteriori.

I contratti di licenza d'uso di software sono contratti atipici accomunati dal fatto che loro tramite vengono trasferiti i diritti di uso su un dato programma. Il contratto di licenza d'uso di un programma è, precisamente, l'accordo attraverso il quale un soggetto, detto fornitore, concede ad altro soggetto, detto licenziatario, il diritto di utilizzare il software a fronte del pagamento di un corrispettivo.

Ad essere ceduta non è ovviamente la titolarità del software, ma soltanto la facoltà d'uso dello stesso.

Il contratto di licenza d'uso di software può essere concluso con la previsione di un diritto di esclusiva

Il licenziatario utente viene pertanto dotato di un c.d. codice macchina, cioè una versione del software che permette la sola esecuzione dello stesso, non anche di apportarvi modifiche.

Per quanto concerne la disciplina applicabile al rapporto contrattuale in commento, pur a fronte della immaterialità dell'oggetto, è evidente l'analogia con il contratto di locazione, a cui consegue l'applicabilità delle norme dettate dal codice civile per la locazione di beni mobili (artt. 1571 ss. c.c.), nonché dalle leggi speciali in tema di locazione compatibili con l'oggetto del contratto. A proposito dell'applicabilità delle norme in materia di locazione si veda ad esempio Cass. III, n. 22242/2022.

Il contratto di licenza di software può essere stipulato sia a tempo determinato che a tempo indeterminato.

In considerazione delle peculiarità dell'accordo in commento non è ritenuto applicabile l'art. 1574, n. 3 c.c., secondo cui la durata del contratto, se non stabilita dalle parti, si intende convenuta per un periodo pari alla durata corrispondente all'unità di tempo a cui è commisurato il corrispettivo.

Alla stregua dell'art. 1597 c.c., una volta decorso il termine, la locazione si intende rinnovata se il conduttore è lasciato nella detenzione della cosa locata o se non è stata comunicata la disdetta, trattandosi di locazione a tempo indeterminato. Deve però segnalarsi che in base alla l. n. 633/1941, c.d. l. sul diritto d'autore, e più in particolare in base all'art. 134 n. 1, «i contratti di edizione si estinguono per il decorso del termine contrattuale».

La facoltà di recesso può essere legittimamente esercitata da entrambe le parti e, in base al principio fissato dall'art. 110 della c.d. legge sul diritto d'autore, deve essere necessariamente formalizzato per iscritto.

Il contratto di licenza d'uso può peraltro prevedere dei limiti territoriali all'utilizzo del software.

Vi è poi l'ulteriore questione relativa all'estensione della licenza di software, ovvero dei dispositivi cui esso può essere associato. In proposito si segnala come normalmente la licenza venga riferita a un solo elaboratore, pur non essendo preclusa in radice la concessione di licenze multiple.

In merito alla possibilità di utilizzare il software su più computer collegati in rete, come prevede l'art. 64 bis , lett. a ) della c.d. legge sul diritto d'autore, in assenza di diversa pattuizione contrattuale è illecita la riproduzione del programma caricato sul disco dell'unità centrale (c.d. server) su ulteriori diverse postazioni della rete. Ciò perché la riproduzione del programma fa parte dei diritti di esclusiva riservati all'autore. Per non violare tale normative e prevenire che in ipotesi di guasto o di sostituzione di macchinari, in relazione ai quali è fornita la licenza, si rechi un danno al licenziatario, alcuni contratti prevedono la facoltà per lo stesso di trasferire temporaneamente la sua licenza su altri computer.

Normalmente il contratto di licenza prevede il divieto per l'utente di copiare i software concessi in licenza e ciò coerentemente con l'art. 64- bis , lett. a ) della c.d. legge sul diritto d'autore, secondo cui cui spetta soltanto al titolare l'esercizio in via esclusiva dell'attività di riproduzione, permanente o temporanea, totale o parziale, del programma per elaboratore con qualsiasi mezzo o in qualsiasi forma.

Il licenziatario, inoltre, non può modificare il prodotto, né attraverso un intervento diretto, né attraverso operazioni indirette quali l'incorporazione del programma, in tutto o in parte, in altri programmi. Tale regola è conforme ai principi in tema di locazione e di tutela del diritto di autore e infatti la lett. b ) della norma appena citata prevede che la traduzione, l'adattamento, la trasformazione e ogni altra modificazione del programma per elaboratore è consentita solamente al titolare del software.

Si ritengono ammissibili le attività di caricamento, esecuzione e riproduzione del programma indispensabili per l'utilizzo conforme alla destinazione, nonché per la correzione degli errori.

Altro profilo è quello relativo all'eventuale facoltà del licenziatario di cedere a terzi la possibilità di utilizzare il software. Di regola la licenza non è cedibile a terzi, salva la previsione espressa nel contratto della possibilità di trasferimento o di conferimento di una sublicenza. Tale regola è conforme alla disciplina dell'art. 1594 c.c., secondo cui il conduttore non può cedere il contratto o sublocare il bene senza il consenso del locatore. In proposito rileva l'art. 64-bis, co. 1, lett. c. della l. n. 633 del 1941, a mente del quale i diritti esclusivi conferiti sui programmi per elaboratore comprendono il diritto di effettuare o autorizzare “qualsiasi forma di distribuzione al pubblico, compresa la locazione, del programma per elaboratore originale o di copie dello stesso” (per un'applicazione giurisprudenziale si veda Trib. Firenze, n. 1598/2019).

Un regime peculiare è quello che riguarda le garanzie e la responsabilità per i vizi del software. Nei modelli contrattuali sono spesso inserite apposite clausole di esonero secondo le quali il licenziatario deve considerarsi responsabile in caso di non corretto uso delle informazioni ricevute dal licenziante ovvero secondo cui licenziante deve ritenersi responsabile della funzionalità del programma e del raggiungimento di determinati risultati.

Nel caso in cui il software presenti vizi di programmazione tali da non consentire al licenziatario il corretto utilizzo dello stesso, i rimedi a disposizione dell'utilizzatore sono quelli (ove pattuiti) della riparazione e/o sostituzione del software, ovvero della risoluzione del contratto.

Viene inoltre spesso esclusa la responsabilità del licenziante per i c.d. danni consequenziali o indiretti. Con tale espressione si fa riferimento ai danni causati dall'interruzione delle attività dell'utilizzatore, generalmente corrispondenti al mancato guadagno. Questa clausola non è altro che la trasposizione dell'espressione, di matrice anglo-americana, «indirect, consequential, incidental damages», che sottolinea come il danno non sia determinato dal vizio del software in sé, ma dall'uso dello stesso nell'organizzazione della azienda che, a sua volta, determina il blocco dell'attività o la perdita di dati.

All'interno dei contratti di licenza di software occorre poi effettuare ulteriori distinzioni.

Il contratto di licenza d'uso a strappo ha ad oggetto un software destinato ad avere vasta diffusione sul mercato e che presenta quindi caratteristiche tecniche uniformi.

Il contratto di licenza a strappo, detto anche shrink-wrap licence, è così denominato poiché la caratteristica principale di tale figura negoziale è la presenza della c.d. clausola dello strappo. L'utente acquista un software nella cui confezione sono indicate le condizioni contrattuali: orbene, l'apertura della confezione comporta l'accettazione dell'accordo di licenza. Laddove non si volesse aderire a tale accordo sarebbe quindi sufficiente non aprire la confezione.

Oggetto del contratto è la facoltà di uso del software e quindi il diritto di utilizzare la singola riproduzione del software. In tale tipologia è spesso inserita la clausola che vieta la locazione e il leasing del software, ma permette il trasferimento della facoltà di uso dello stesso se il cessionario accetta le condizioni e sempre che vengano trasferite tutte le copie del software con i relativi manuali.

È poi spesso previsto che il licenziante invii al licenziatario gli eventuali aggiornamenti del software licenziato.

Si discute se la shrink-wrap licence sia efficace e se, più precisamente, sia in armonia con i principi della già citata direttiva 93/13/CEE: potrebbe infatti risultare vessatoria la clausola che attribuisce all'apertura dell'involucro il significato di accettazione di un regolamento contrattuale sfavorevole.

Al di fuori del rapporto tra consumatore e professionista, il problema è quello di verificare che tutte le prescrizioni contrattuali siano adeguatamente evidenziate sulla confezione. La norma di riferimento è, ancora una volta, l'art. 1341 c.c., secondo cui le condizioni generali di contratto predisposte da uno dei contraenti sono efficaci nei confronti dell'altro se, al momento della conclusione del contratto, erano da lui conosciute o comunque conoscibili.

Dalle licenze a strappo si distinguono le licenze d'uso c.d. O.E.M., acronimo di Original Equipment Manifacturing. In questa tipologia di licenze il software è abbinato all'hardware. Si tratta di licenze univoche che possono essere installate solamente su un singolo PC e si legano alla scheda madre dell'elaboratore. Per tale motivo non è consentita l'istallazione del software su ulteriori e diversi computer.

Con il contratto di licenza di uso del software il titolare dei diritti esclusivi sullo stesso accorda a un'altra parte la facoltà di far uso dello stesso dietro pagamento di un corrispettivo (Finocchiaro, 626). L'accordo non incide però, in alcun modo, sulla titolarità del software (Gambino — Stazi, 2008).

È stato poi evidenziato che l'oggetto del contratto di licenza d'uso non è la copia fisica o meglio il supporto in cui il programma è riprodotto, né il software in quanto bene immateriale: l'oggetto del contratto è la singola riproduzione del software o, meglio, il diritto alla sua riproduzione (Di Stazi — Baldi, 128).

In giurisprudenza è stato poi evidenziato che l'abusiva riproduzione di programmi per elaboratore integra l'illecito di cui agli artt. 1 e 64- bis della c.d. l. sul diritto d'autore. Ed infatti l'art. 1 qualifica i programmi come opere letterarie, mentre l'art. 64-bis vieta, in assenza del consenso del titolare, la riproduzione del software, permanente o temporanea, totale o parziale, con qualsiasi mezzo e in qualsiasi forma (Trib. Milano, 29 marzo 2017).

È stato poi osservato che il carattere personale del contratto di licenza di software comporta che le parti possono escludere la cedibilità del contratto a terzi e quindi finanche apporre una deroga all'art. 2558 c.c., per il caso di cessione di azienda o di un suo ramo (Cass. I, n. 16041/2011).

Ai sensi della normativa sui diritti d'autore, il carattere di creatività coincide con quello di originalità rispetto alle opere precedenti e, pertanto, ricorre anche laddove il programma sia composto da idee e nozioni semplici, comprese nel patrimonio intellettuale di persone aventi esperienza nella materia della programmazione informatica, purché formulate e organizzate in modo personale e autonomo rispetto alle precedenti (Cass. I, n. 581/2007).

In giurisprudenza è stato poi affermato che la riproduzione e la distribuzione di un software non originale può costituire anche una violazione del diritto di marchio, qualora il programma che è stato illecitamente riprodotto e distribuito sia ulteriormente contraddistinto da uno specifico marchio (Trib. Padova, 13 gennaio 2004).

Similmente è stato osservato che la duplicazione abusiva di programmi comprende non soltanto la produzione non autorizzata di copie del software, ma anche la realizzazione di nuovi e ulteriori software che siano stati ricavati tramite lo sviluppo o la modifica del software iniziale, laddove di questo sia stata replicata una sua parte funzionalmente autonoma ma costituente, comunque, il nucleo centrale dell'opera protetta (Cass. pen. V, n. 8011/2012).

L'utilizzo dei codici sorgente di un programma per elaboratore (c.d. software) è lecita se volta a conseguire l'interoperabilità con altri programmi, sempre che tali attività siano eseguite dal licenziatario, da chi abbia diritto a utilizzare una copia del programma, o, per loro conto, da chi è autorizzato a tal fine (Trib. Torino, 16 gennaio 2009).

In merito al software Original Equipment Manufacturer (O.E.M.), quindi in caso di vendita di un computer con sistema operativo preinstallato, l'utente che non abbia intenzione di accettare la licenza d'uso ha la facoltà di chiedere al produttore la rimozione dello stesso, oltre al rimborso della maggior spesa sostenuta. In tali casi non sussiste, infatti, alcun collegamento giuridico tra il contratto di licenza di software e il contratto di vendita dell'elaboratore (Cass. III, n. 4390/2016).

Una volta riconosciuta la scindibilità tecnica tra il sistema operativo (software) e l'elaboratore (hardware) l'acquirente di un computer e di un sistema operativo ha la facoltà di avvalersi del diritto di ricevere il rimborso del costo relativo all'acquisto del software e ciò anche nell'ipotesi in cui il sistema operativo sia stato installato dall'azienda produttrice dell'hardware e sia stato sviluppato appositamente per l'hardware oggetto della vendita (Giudice di pace Firenze, 28 settembre 2007).

Lo sviluppo di software

Il contratto di sviluppo software è concluso allo scopo di rispondere all'esigenza di un utente di utilizzare un programma personalizzato.

La qualificazione giuridica dello stesso dipende dalla natura del soggetto che è incaricato dello sviluppo del programma, dovendo il contratto essere inquadrato nello schema del contratto di appalto ovvero del contratto d'opera a seconda della natura imprenditoriale o meno di quest'ultimo.

A prescindere da tale differenziazione, l'oggetto del contratto consiste nell'analisi delle esigenze di programmazione ed elaborazione proprie dell'utente e, successivamente, nella progettazione e nello sviluppo del software atto a soddisfare tali esigenze.

La diversa qualificazione del contratto incide ovviamente sul regime di responsabilità del fornitore. Nel caso in cui si tratti di contratto di opera, il professionista si impegna a svolgere personalmente il servizio richiesto e l'obbligazione di mezzi da questi assunta è assoggettata alla disciplina dell'art. 2236 c.c., secondo cui «se la prestazione implica la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, il prestatore d'opera non risponde dei danni, se non in caso di dolo o di colpa grave».

Laddove sia predicabile la riconduzione allo schema del contratto di appalto, troveranno invece applicazione, tra gli altri, gli artt. 1667 e 1668 c.c. in punto di garanzia per vizi e difformità dell'opera.

Occorre sottolineare che, a prescindere dalle differenti implicazioni in punto di responsabilità, in entrambe le ipotesi, al fine di realizzare il software in modo quanto più possibile rispondente alle esigenze dell'utente-committente, è necessaria una stretta collaborazione tra le due parti. Il primo dovrà rappresentare in maniera corretta e precisa le proprie esigenze, il secondo dovrà impegnarsi a fornire soluzioni idonee a soddisfare le esigenze rappresentate. Per una applicazione si veda, ad esempio, Trib. Milano sez. impr., n. 5752/2017.

Le considerazioni svolte aiutano ad individuare il soggetto responsabile in caso di carenze del programma elaborato. È però possibile che sussistano responsabilità in capo a entrambe le parti, con la conseguenza che l'interprete è in tal caso chiamato a valutare l'incidenza del comportamento di ciascuno di queste.

Altro profilo rilevante è quello che attiene alla titolarità dei diritti relativi ai programmi sviluppati, che è infatti (almeno astrattamente) terreno di scontro degli interessi delle due parti. Da una parte, infatti, lo sviluppatore ha interesse a sfruttare economicamente le conoscenze acquisite nel corso dell'attività di programmazione, dall'altra il committente ha interesse a utilizzare in via esclusiva il vantaggio derivante dalle soluzioni sviluppate e, comunque, a concedere in licenza a terzi i diritti d'uso sul software sviluppato o comunque a servirsi, in via esclusiva, del vantaggio derivante dalle soluzioni sviluppate.

Secondo il codice civile la proprietà dell'opera appaltata si trasferisce al committente con l'accettazione dell'opera consegnata. Tale previsione deve essere coordinata con quanto previsto dal d.lgs. 10 febbraio 2005, n. 30 (c.d. codice della proprietà industriale), art. 64, secondo cui la titolarità dei diritti di sfruttamento economico del programma sviluppato spetta all'autore e, nell'ipotesi in cui il programma sia creato dal lavoratore dipendente nell'esecuzione delle sue mansioni o sulla base di istruzioni impartite dal suo datore di lavoro, al datore di lavoro. Infatti l'art. 12- bisdella l. n. 633/1941 stabilisce che «salvo patto contrario, il datore di lavoro è titolare del diritto esclusivo di utilizzazione economica del programma per elaboratore o della banca di dati creati dal lavoratore dipendente nell'esecuzione delle sue mansioni o su istruzioni impartite dallo stesso datore di lavoro».

In merito all'invenzione del dipendente l'art. 64 del c.d. codice della proprietà industriale prevede inoltre un sistema di bilanciamento tra il diritto morale del dipendente a essere riconosciuto autore del trovato industriale e il diritto del datore di lavoro allo sfruttamento economico dello stesso, salvo un «equo premio» da corrispondere al prestatore inventore.

Pertanto, laddove il committente abbia partecipato attivamente allo sviluppo del software suggerendo soluzioni operative potrà essere considerato coautore.

Negli altri casi la titolarità dei diritti di sfruttamento economico del software sviluppato sulla base di una specifica commessa sono nella titolarità dello sviluppatore, che può quindi disporne in via esclusiva secondo le previsioni dell'art. 64-bis della c.d. l. sul diritto d'autore.

Vi potrebbero essere poi specifiche clausole a disciplinare i diritti relativi al know how e alle eventuali invenzioni che siano state elaborate in connessione con la prestazione di servizi.

Al contratto di sviluppo di software, quale che sia la natura giuridica, accedono poi obblighi reciproci di segretezza rispetto alle informazioni cui le parti abbiano accesso nel corso del rapporto.

In dottrina è stato sottolineato che per una corretta definizione dell'oggetto del contratto di sviluppo del software è fondamentale avere riguardo alle esigenze delle parti dedotte in contratto, eventualmente desumibili dalle specifiche tecniche e funzionali (Di Stazi — Baldi, 131).

In merito alla titolarità dei diritti patrimoniali e morali relativi al software sviluppato, è stato da taluni sostenuto che, nel caso in cui questo sia sviluppato da lavoratori autonomi in assenza di contratto, si applichi la disciplina prevista per i software sviluppati da lavoratori dipendenti, mentre altri ritengono che occorra distinguere il caso in cui il professionista si sia occupato della mera traduzione in righe di codici dal caso in cui abbia effettuato l'analisi, la pianificazione, progettazione e realizzazione del software.

Nella prima ipotesi il software sarebbe di proprietà dell'azienda mentre nella seconda il software sarebbe di proprietà dei professionisti cui, pertanto, spettano le somme dovute in qualità di autori (e titolari non solo dei diritti morali) del programma (Policella, 1 ss.).

In merito all'art. 12- bis della l. n. 633/1941, per cui la titolarità dei diritti di sfruttamento spetta al datore di lavoro laddove il dipendente abbia sviluppato il software nell'esercizio delle proprie mansioni, per determinarle si deve avere riguardo sia a quelle indicate dal contratto individuale o comunque quelle determinabili in via interpretativa da esso, sia alle mansioni di fatto (Ubertazzi, 28).

Quanto alla regolamentazione dei diritti del lavoratore autore-sviluppatore di software autorevole dottrina propende per la ricostruzione unitaria dei sistemi e delle normative dettate in materia di brevetti e d'autore con l'applicabilità analogica della disciplina delle invenzioni, anche per non pervenire a un trattamento differenziato tra inventori e autori (Ubertazzi, 534)

In giurisprudenza si è evidenziato che l'autore di un software legittimamente in possesso dei codici sorgente può farne uso laddove manchi la cessione del diritto di utilizzazione esclusiva del programma realizzato e dei suoi codici sorgente (Trib. Bari, 14 marzo2007).

Le invenzioni rielaborate in costanza di rapporto di lavoro dal dipendente sono tendenzialmente attribuite, quanto al diritto patrimoniale, al datore di lavoro, che ha messo a disposizione le risorse, umane e tecniche, necessarie per svolgere l'attività inventiva (v. Trib. Milano, n. 282/2019). Con riferimento ai diritti d'autore e dunque all'art. 12-bis della l. n. 633/1941, si veda da ultimo Cass. lav., n. 11163/2018.

Quanto alla creazione in caso di rapporto parasubordinato, è necessario che per l'invenzione sia previsto apposito compenso (v. Trib. Bologna n. 215/2020).

In merito alla natura di tale contratto si affermato che la fornitura di servizi informatici non può essere ricondotta allo schema del contratto di vendita di beni mobili, bensì del contratto di appalto di servizi, quando esso ha per oggetto la cessione di un prodotto informatico «preconfezionato», con conseguente inapplicabilità dell'art. 1495 c.c. (App. Roma, 2 marzo 2006).

I contratti di assistenza e di manutenzione

I contratti di assistenza e manutenzione (dell'hardware o del software) hanno rispettivamente a oggetto prestazioni di assistenza e di verifica periodica.

Detti contratti, quando hanno per oggetto una prestazione periodica, sono comunemente ricondotti allo schema del contratto di somministrazione.

Da chi aderisce a tale impostazione si predica dunque l'applicazione dell'art. 1564 c.c., relativo alla possibilità di risolvere il contratto in caso di inadempimento di tale gravità da far dubitare dell'esatta esecuzione del contratto per il futuro, ovvero dell'art. 1565 c.c., per cui il somministrante ha facoltà di sospendere la propria prestazione quando il somministrato non adempia ai propri impegni.

Invece, da parte di coloro che riconducono tali contratti allo schema dell'appalto si sostiene ad esempio l'applicazione dell'art. 1671 c.c., secondo cui «il committente può recedere dal contratto, anche se è stata iniziata l'esecuzione dell'opera o la prestazione del servizio, purché tenga indennel'appaltatore delle spese sostenute, dei lavori eseguiti e del mancato guadagno».

È comunque frequente la previsione di clausole di rinnovo tacito, per cui, in mancanza di formale disdetta scritta comunicata con congruo anticipo, il contratto si rinnova automaticamente per un periodo corrispondente a quello originariamente stabilito.

A fronte di un contratto di durata sono inoltre spesso previste clausole di rinegoziazione che obbligano le parti a ridiscutere i termini degli accordi in caso di mutamento delle condizioni iniziali.

Si prevede poi frequentemente che l'assistenza cessi quando l'utente abbia utilizzato l'hardware per un tempo superiore a quello previsto nel contratto o se l'abbia installato senza rispettare le prescrizioni della fornitrice.

Similmente si prevede che non vi sia assistenza laddove il guasto sia dovuto a dolo o colpa dell'utilizzatore oppure da altri macchinari a cui l'hardware è collegato. Da ultimo, in generale, non è dovuta la prestazione di assistenza se il guasto è riconducibile a fatti di forza maggiore o a eventi non imputabili al fornitore.

La durata di tali contratti è tendenzialmente di almeno ai dodici mesi, tacitamente rinnovabili in mancanza di recesso. In alcuni modelli contrattuali è prevista la durata a tempo indeterminato.

La manutenzione dell'hardware, ulteriormente, può essere svolta o presso la fornitrice o presso il luogo in cui si trova l'hardware. Nella prima ipotesi il cliente è tenuto a consegnare il macchinario in un luogo prestabilito; nella seconda ipotesi l'utente deve consentire al personale incaricato l'accesso nei locali in cui si trova il macchinario.

Diversamente dall'assistenza tecnica, la manutenzione comporta il pagamento di un canone mensile, a carico dell'utente, comprensivo dei costi per il lavoro del personale e per il materiale.

L'assistenza o manutenzione del software comprende prestazioni differenti per natura e funzioni. Si distingue, in particolare, tra manutenzione dinamica o migliorativa e manutenzione statica o correttiva.

La prima consiste nella modifica, potenziamento, miglioramento del programma e dunque ha lo scopo di adeguare il programma a esigenze non considerate nel momento in cui il programma è stato inizialmente elaborato. Un esempio è quello della modifica che impone la correzione di alcune delle funzioni programmate inizialmente o anche della modifica che si rende necessaria al fine di adeguare il prodotto originariamente sviluppato a nuove e ulteriori esigenze della clientela.

La seconda consiste nella eliminazione nel programma di errori preesistenti (debugging), non rilevabili preliminarmente ma che potrebbero manifestarsi con l'utilizzo del bene informatico.

Altre clausole caratteristiche del contratto di manutenzione e assistenza sono quelle che individuano i criteri per determinare le responsabilità delle due parti. L'esame della prassi commerciale rileva che l'utente perde il diritto alla manutenzione se manipola il programma o ne fa un suo non conforme e, in secondo luogo, che il manutentore è esonerato da responsabilità per i danni di connessi al servizio stesso.

Le clausole di esonero o di limitazione della responsabilità sono quindi inserite comunemente nei documenti contrattuali. In proposito occorre richiamare l'art. 1229 c.c. qualora l'esclusione della responsabilità consegua a un comportamento doloso o gravemente colposo.

Per quanto riguarda, invece, le ipotesi di esonero per colpa lieve, nel caso di contrattazione intercorsa tra un professionista e un consumatore, va richiamata la normativa consumeristica e, segnatamente, l'art. 36 del c.d. codice del consumo. Anche in tale ipotesi, però, il fornitore è tenuto a provare la colpa lieve.

Nella prassi contrattuale sono inoltre ricorrenti clausole limitative o di esonero dalla responsabilità per i danni arrecati a terzi. In tale ipotesi potrebbero trovare applicazione, oltre all'art. 2043 c.c., gli artt. 2049 e 2050 c.c.

Può darsi che si renda necessario un intervento di manutenzione e assistenza sull'elaboratore, ma che questo non sia effettuato dal soggetto proprietario o sviluppatore del software. In tal caso, alla stregua di quanto previsto nel d. lgs. 29 dicembre 1992, n. 518 e nella l. 18 agosto 2000, n. 248, l'intervento sul programma da parte di terzi deve essere specificamente autorizzato nel contratto di licenza o di sviluppo.

Il regime delle autorizzazioni è diverso a seconda si tratti di manutenzione migliorativa o manutenzione correttiva. Nel caso di manutenzione migliorativa prevale la posizione del titolare dei diritti di utilizzazione economica del programma. Già nei lavori preparatori della direttiva 91/250/CEE si leggeva che «qualsivoglia adattamento e traduzione devono essere subordinati al controllo del titolare del diritto».

La manutenzione correttiva è oggetto della deroga alle attività riservate contenuta nell'art. 64-ter della c.d. l. sul diritto d'autore, norma che consente, senza la necessità dell'autorizzazione del titolare, le attività di cui all'art. 64-bis, lett. a) e b), e quindi non solo il caricamento e gli atti di riproduzione, ma anche le modifiche che siano necessarie per l'uso del programma conforme alla sua destinazione.

In relazione ai contratti di manutenzione assume poi particolare rilevanza il tema del collegamento negoziale. Infatti la sorte del contratto di assistenza risulta inevitabilmente legata a quella del contratto principale e viene spesso previsto che il contratto di manutenzione si risolva automaticamente al momento della risoluzione e/o cessazione del rapporto che consente al cliente la licenza d'uso del programma oggetto di assistenza.

Discussa è invece l'operatività del meccanismo contrario. Occorre caso per caso verificare il regolamento di interessi esistente tra le parti, esaminando il contenuto del contratto in base al quale l'utente ha la facoltà di usare il software e la qualità del contraente nel contratto di manutenzione; sotto quest'ultimo profilo, ad esempio, non si potrà ritenere suscettibile di risoluzione per inadempimento il contratto base quando il contratto di manutenzione sia stipulato con un terzo scelto di fiducia dall'utente medesimo.

Sono poi frequentemente previste delle clausole volte a regolare l'insorgere delle controversie tra le parti con il ricorso a strumenti di risoluzione alternativi delle controversie (ad esempio organismi arbitrali).

Quanto alla natura del contratto di assistenza e manutenzione, esso viene ricondotto alternativamente al contratto di appalto di servizi (Rossello, 213), al contratto d'opera o al contratto di somministrazione (Sammarco, 362).

È stata proposta anche una soluzione mediana, secondo cui dovrebbero contemporaneamente applicarsi le norme dell'appalto e della somministrazione (Costanza, 187 ss.).

È stato ulteriormente osservato che proprio rispetto all'appalto di servizi potrebbero e dovrebbero trovare applicazione le norme della somministrazione «in ragione della modalità della prestazione» (Rescigno, 2).

Nel caso in cui alla società che effettua la manutenzione sia richiesto di progettare e di approntare un sistema informatico idoneo a soddisfare le esigenze del committente, si configura una struttura negoziale complessa ma funzionalmente unitaria (Tosi, 387).

Quanto alla disciplina della risoluzione, si è spesso ritenuto applicabile l'art. 1564 c.c. che parametra il concetto di gravità dell'inadempimento al venire meno del rapporto fiduciario (Cottino,144).

Bibliografia

Casali, I contratti del software: qualificazione, responsabilità e garanzie, in Contratti, 2014, IV, 389 ss.; Costanza, I contratti di assistenza tecnica e di manutenzione dell'hardware, Milano, 1987; Cottino, Della somministrazione, in Comm. Scialoja, Branca, Bologna-Roma, 1970; Di Stazi, Baldi, Contratti di utilizzazione del software, in Dei singoli contratti, Leggi collegate, II a cura di Valentino, Torino, 2011; Finocchiaro, I contratti ad oggetto informatico, Padova, 1993; Franceschelli, Computer (Disciplina giuridica del), voce, Dig. civ., III, Torino, 1989, 141 ss.; Gambino, Stazi, Diritto dell'informatica, Torino, 2009; Iaselli, I contratti informatici, Milano, 2015; Musti, I contratti a oggetto informatico, Milano, 2008; Piraino, La causa del contratto come finalità individuale di rilevanza sociale, in Eur. dir. priv., 2023, IV, 699 ss.; Piraino, Su causa e meritevolezza: muovendo dal “leasing” indicizzato a doppio parametro, in Giur. it., 2023, VIII-IX, 1799 ss.; Policella, La tutela del software come opera dell'ingegno ed il contratto di sviluppo, in Diritto e diritti, 2003; Rescigno, Appalto (diritto privato), in Enc. giur. II, Roma, 1988; Rossello, I contratti di manutenzione del software in I contratti di informatica, profili civilistici, tributari e di bilancio, Milano, 1987; Rubino, Iudica, Art. 1655-1677, in Comm. Scialoja-Branca, Bologna-Roma, 2007; Sammarco, I nuovi contratti dell'informatica, Padova, 2006; Savorani, Nuove regole per l'informatica privata e pubblica, in Contr. impr.1995, 336 ss.; Strippoli, La tutela giuridica del software: l’ordinamento giuridico italiano e statunitense a confronto, in Giust. Civ., 2004, VII-VIII, 389 ss.; Tosi, Natura e qualificazione dei contratti di fornitura di sistemi informatici, in Dir. inf. 1995, 387 ss.; Ubertazzi, I diritti d'autore e connessi, in I quaderni di Aida, V, Milano, 2003; Visintini, Il danno da uso del computer. Profili generali, in Computers e responsabilità civile, a cura di Alpa, Milano, 1985.

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