Regio decreto - 16/03/1942 - n. 267 art. 183 - Reclamo 1 2 .

Nicola Rumine

Reclamo12.

 

Contro il decreto del tribunale puo' essere proposto reclamo alla corte di appello, la quale pronuncia in camera di consiglio.

Con lo stesso reclamo e' impugnabile la sentenza dichiarativa di fallimento, contestualmente emessa a norma dell' articolo 180, settimo comma.

[1] Articolo sostituito dall'articolo 16, comma 6, del D.Lgs. 12 settembre 2007 n.169, con la decorrenza indicata nell'articolo 22 del medesimo D.Lgs. 169/2007.

[2] La Corte costituzionale, con sentenza 12 novembre 1974, n. 255, a) aveva dichiarato la illegittimità costituzionale del primo comma, nel testo precedente la sostituzione, nella parte in cui, per le parti costituite, faceva decorrere il termine per proporre appello contro la sentenza che omologava o respingeva il concordato preventivo dall'affissione, anzichè dalla data di ricezione della comunicazione della stessa; b) in applicazione dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, dichiarava, altresì, la illegittimità costituzionale derivata dell'ultimo comma, nella parte in cui facevano decorrere dall'affissione i termini, rispettivamente, per ricorrere in cassazione contro la sentenza di appello che decidevano in merito alla omologazione o reiezione del concordato preventivo, per proporre appello contro la sentenza che omologava o respingeva il concordato successivo, nonchè per ricorrere in cassazione contro quest'ultima sentenza.

Inquadramento

Gli accordi di ristrutturazione dei debiti sono negozi conclusi dall'imprenditore con i creditori e consistenti nella predisposizione di un piano generale che determina la modifica delle obbligazioni a carico dello stesso, al fine di rendergli possibile superare lo stato di crisi. La loro disciplina è contenuta negli artt. 182-bis ss. della legge fallimentare e continueranno a trovare applicazione rispetto ai procedimenti pendenti anteriormente all'entrata in vigore del d. lgs. n. 14/2019 (c.d. codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza, nel cui ambito sono disciplinati dagli artt. 56 ss.).

In pratica con gli accordi di ristrutturazione si stabiliscono modalità di adempimento delle prestazioni diverse da quelle originariamente previste (Inzitari, 16).

Quanto al contenuto degli accordi, si tratta all'evidenza di contratti non appartenenti ad alcun tipo particolare (Marino, 493).

Il contenuto di tali accordi consiste nella maggior parte dei casi in un pactum de non petendo o de minus petendo, nella postergazione dei crediti, nella conversione dei crediti in azioni, in rinunce a garanzie o in interventi sull'azienda e sugli assetti organizzativi e/o imprenditoriali, oltre che nella concessione di nuova finanza.

L'accordo di ristrutturazione non può infatti risolversi in una semplice sospensiva a favore dell'imprenditore, ma deve avere un contenuto più articolato, la cui determinazione nasce dalla consapevolezza che la conservazione o il risanamento dell'impresa comportano anche un ridimensionamento della pretesa creditoria (Di Sensi, 57 ss.).

Una delle peculiarità degli accordi di ristrutturazione è quella di non avere efficacia nei confronti di tutti i creditori.

L'accordo previsto dall'art. 182-bis l.fall., come è stato evidenziato, prescinde dalla regola della maggioranza, ma vincola esclusivamente i creditori che vi hanno aderito, non anche quelli che ne sono rimasti estranei (Inzitari, 15).

La percentuale minima di adesioni non è presupposto dell'azione, ma condizione di omologazione del piano, cosicché tale percentuale può essere raggiunta mentre gli accordi sono in fieri (Trib. Milano, 23 gennaio 2007).

Tale carattere ha condotto la dottrina a sottolineare che non è rispettato il principio della par condicio creditorum, in base al quale i creditori devono essere divisi in classi considerando la posizione giuridica e l'omogeneità degli interessi economici. Nel caso degli accordi di ristrutturazione non viene imposto al debitore il rispetto della par condicium creditorum, ma si concede allo stesso di decidere se effettuare o meno la suddivisione in classi.

Se poi l'imprenditore decide di «raggruppare» i creditori, deve tenere conto delle adesioni, ma non deve necessariamente prevedere un identico trattamento per le situazioni omogenee (Nocera, 395 ss.).

Anche in giurisprudenza si è osservato che nell'ambito degli accordi di ristrutturazione dei debiti non è richiesto il rispetto del principio della par condicio creditorum (ad esempio, Trib. Bologna, 17 novembre 2011).

È stato evidenziato che con l'introduzione dell'art. 182- bis si è tentato di risolvere le problematiche relative alla certezza e alla stabilità giuridica di tali accordi, fino ad allora privi di disciplina, ma ricorrenti nella pratica, con la previsione del controllo ad opera del tribunale fallimentare in sede di omologazione, lasciando per il resto ampia libertà alle parti (De Sensi, 56 ss.)

È poi comunemente osservato che gli accordi di ristrutturazione non possono essere assimilati alle procedure concorsuali. Infatti per gli accordi di ristrutturazione non è previsto un procedimento, né un provvedimento di apertura, non è prevista la nomina di commissari, amministratori giudiziali, giudici delegati o la formazione di un comitato dei creditori. 

Diversamente però, in giurisprudenza, Cass. I, n. 1182/2018,Cass. I, n. 7959/2017 e Trib. Treviso II, n. 3/2019, secondo cui appunto l'accordo è assimilabile alle procedure concorsuali.

Inoltre qualsiasi contenuto abbia l'accordo, non esplica efficacia erga omnes e il debitore rimane dominus dell'impresa, con pieni poteri di gestione e direzione, e non si verifica alcuna forma di spossessamento, neppure attenuato, in quanto i suoi atti non subiscono alcun vincolo e alcun controllo (Inzitari, 1 ss.)

Si ritiene anche che gli accordi di ristrutturazione siano istituto autonomo rispetto al concordato preventivo e ciò in particolare alla luce del mancato richiamato all'art. 160 della l. fall.

A favore della tesi dell'autonomia viene inoltre indicata la rubrica del titolo III, « Del concordato preventivo e degli accordi di ristrutturazione», nonché l'art. 67, 3° comma, lett. e)della l. fall., che si riferisce agli accordi come a una procedura di diversa natura.

Nello stesso senso dovrebbe essere letta la circostanza per cui, nel caso degli accordi di ristrutturazione, diversamente dal concordato preventivo, i creditori che non aderiscono al patto devono essere regolarmente soddisfatti (Lo Cascio, 361).

La tesi autonomistica è stata accolta anche dalla giurisprudenza, che fa leva sulla rubrica del titolo III e sull'art. 67 l. fall., ma anche sui limitati richiami della disciplina del concordato preventivo (Trib. Bari, 21 novembre 2005).

Ulteriormente si è affermato che l'accordo, essendo un contratto consensuale plurilaterale, è istituto autonomo rispetto al concordato preventivo e quindi non sono a esso applicabili né estensivamente né analogicamente le norme stabilite per il concordato preventivo (Trib. Brescia, 22 febbraio 2006; in proposito, di recente, Trib. Nola II, 23 febbraio 2023).

I presupposti

Secondo l'art. 182-bis l'imprenditore che si trovi in stato di crisi può domandare l'omologazione di un accordo che preveda la ristrutturazione dei debiti stipulato con i creditori che rappresentino almeno il sessanta per cento dei crediti.

Tale definizione evidenza un primo presupposto di carattere soggettivo: gli accordi di ristrutturazione riguardano l'imprenditore.

A ciò si aggiunga che per poter avere accesso a tali accordi l'imprenditore deve trovarsi in stato di crisi.

È stato evidenziato che l'accordo di ristrutturazione dei debiti è applicabile all'imprenditore commerciale che provi il superamento dei limiti dimensionali di cui all'art. 1 del r.d. n. 267/1942 (Trib. Roma, 31 maggio 2012).

La norma stabilisce che tale tipo di accordi è riservato agli imprenditori che si trovino in uno stato di crisi, ossia in una situazione di difficoltà economica e finanziaria tale da generare uno stato di insolvenza (Trib. Bari, 21 novembre 2005).

Infatti in sede di omologazione deve essere verificato che l'accordo sia stato presentato da un imprenditore che si trova in stato di crisi o di insolvenza e che superi le soglie di cui all'art. 1 l. fall. (Trib. Roma, 5 maggio 2010)

La nozione di stato di crisi è stata oggetto di discussioni, riguardanti in particolare la possibilità di equipararlo allo stato di insolvenza proprio del fallimento. Tale dubbio pare almeno in parte risolto dal d.l. n. 273/2005, intervenuto sull'art. 160 della legge fallimentare precisando che lo stato di crisi ricomprende anche lo stato di insolvenza (Nigro-Vattermoli, 355).

Alla luce di tale precisazione appare evidente che il termine crisi non può essere considerato sinonimo del termine insolvenza.

Lo stato di crisi, che è presupposto per accedere a tale strumento di risoluzione, permette all'imprenditore che non versi in uno stato di grave difficoltà di elaborare un piano da cui egli stesso e i suoi creditori possano trarre benefici (Pellegrinelli, 147).

Gli ulteriori requisiti

Ulteriore presupposto riguarda la percentuale dei creditori partecipanti all'accordo: l'accordo di ristrutturazione deve infatti essere stipulato da un numero di creditori che rappresenti almeno il sessanta per cento dei crediti dell'imprenditore.

Unitamente alla domanda deve essere presentata la documentazione di cui all'art. 161 l. fall., propria delle proposte di concordato, e cioè:

a) una relazione aggiornata sulla situazione patrimoniale, economica e finanziaria dell'impresa;

b) uno stato analitico ed estimativo delle attività e l'elenco nominativo dei creditori, con l'indicazione dei rispettivi crediti e delle cause di prelazione;

c) un elenco dei titolari degli eventuali diritti reali o personali vantati su beni di proprietà o in possesso del debitore;

d) l'indicazione del valore dei beni e i creditori particolari degli eventuali soci illimitatamente responsabili;

e) un piano contenente la descrizione analitica delle modalità e dei tempi di adempimento della proposta; in ogni caso, la proposta deve indicare l'utilità specificamente individuata ed economicamente valutabile che il proponente si obbliga ad assicurare a ciascun creditore.

A detti documenti deve essere aggiunta una relazione redatta da un professionista, su designazione del debitore, che sia in possesso dei requisiti di cui all'art. 67, comma 3°, lett. d) l. fall., che sia quindi indipendente e iscritto nel registro dei revisori legali.

Il professionista è considerato indipendente laddove non legato all'impresa oggetto della procedura o a coloro che hanno un interesse nell'operazione di risanamento derivante da rapporti di natura personale o professionale tali da comprometterne l'indipendenza di giudizio.

Per essere considerato indipendente deve inoltre essere in possesso dei requisiti previsti dall'art. 2399 c.c., che menziona le cause di ineleggibilità e di decadenza relative alla nomina di sindaco e inoltre non deve, neanche per il tramite di soggetti con cui ha costituito una associazione professionale, avere prestato negli ultimi cinque anni attività di lavoro subordinato o autonomo in favore del debitore ovvero partecipato agli organi di amministrazione o di controllo

Il professionista incaricato deve ulteriormente possedere i requisiti previsti dall'art. 28, lettere a) e b), dovendo quindi essere avvocato, dottore commercialista, ragioniere o ragioniere commercialista o anche studio professionale associato o società tra professionisti, ma in tal caso deve essere designata la persona fisica responsabile della procedura.

Il compito di tale figura professionale è quello di attestare la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano, con particolare riferimento all'idoneità dello stesso ad assicurare l'integrale pagamento dei creditori estranei all'accordo entro centoventi giorni dall'omologazione, in caso di crediti già scaduti a quella dato, oppure entro centoventi giorni dalla scadenza dei crediti, qualora questi non siano scaduti alla data dell'omologazione.

L'esperto deve quindi nello specifico fornire:

a) un giudizio di veridicità dei dati aziendali: in tale ottica la relazione del professionista ha come obiettivo primario quello di mostrare ai creditori un quadro completo e reale della situazione economica, finanziaria e patrimoniale in cui versa la società e nel fornire tale giudizio il professionista deve svolgere un controllo sulla documentazione sia contabile sia extracontabile relativa del debitore;

b) un giudizio di fattibilità: in tale ottica l'esperto deve esprimere un giudizio sull'attuabilità degli accordi ovvero sulla possibilità di soddisfare i creditori non aderenti, integralmente e nel rispetto dei termini prescritti.

L'attestatore dell'accordo di una società che dovesse successivamente fallire può essere ritenuto responsabile dell'aggravamento della situazione di dissesto conseguita alla ritardata declaratoria di fallimento laddove l'iniziativa di ristrutturazione sia stata fondata su valutazioni sovrastimate delle attività, tanto da renderla nel concreto una soluzione non praticabile (Trib. Venezia, 19 maggio 2015).

In considerazione dell'importanza dei compiti del professionista è stata introdotto il reato dell'art. 236-bis l. fall., rubricato «falso in attestazioni e relazioni». Qualora il professionista fornisca informazioni false od ometta di riferire informazioni rilevanti è punito con la reclusione da due a cinque anni e con la multa da 50.000 a 100.000 €, aumentabili fino alla metà se il fatto è commesso al fine di conseguire un ingiusto profitto per sé o per altri e se da esso consegue un danno per i creditori.

Il procedimento

Come visto il 1° comma dell'art. 182-bis prevede che l'imprenditore possa chiedere al Tribunale l'omologazione di un accordo di ristrutturazione dei debiti. La norma non indica però quale sia il Tribunale competente a decidere.

La dottrina maggioritaria, sulla scorta degli artt. 9 e 161 l. fall. nonché dell'art. 2196 c.c., relativo all'iscrizione dell'impresa al Registro delle imprese, ritiene competente il Tribunale del luogo ove l'impresa ha la sua sede principale (D'Orazio, 431).

Questione non del tutto risolta è poi quella relativa alla competenza a pronunciarsi sulla domanda di omologazione nel caso di trasferimento della sede nell'anno precedente al deposito del ricorso.

La maggioranza degli autori ritiene che il trasferimento della sede nell'anno anteriore all'apertura della procedura sia ininfluente (D'Orazio, 431).

Ad ogni modo è stato evidenziato che il trasferimento formale o simulato è privo di effetti, posto che a ragionare diversamente si riterrebbe competente una autorità che non ha alcun legame con l'impresa (Trib. Milano, 15 novembre 2011).

Come previsto dal comma 2 dell'art. 182-bis l'accordo depositato per l'omologa deve essere pubblicato nel Registro delle imprese, con efficacia dal giorno dell'adempimento.

In merito alla pubblicazione dell'accordo per l'omologa vi è chi sostiene che deve essere inserita sia l'informazione principale dell'intervenuto accordo, sia la percentuale dei creditori, oltre alla notizia dell'avvenuto deposito, presso il Tribunale, dell'accordo e della relativa documentazione (Proto, 136).

Ai fini dell'omologazione degli accordi di ristrutturazione del debito non è necessaria la pubblicazione nel registro delle imprese anche del piano e della relazione del professionista, oltre che dell'accordo sottoscritto, essendo comunque possibile per i creditori interessati accedere alle informazioni di dettaglio mediante richiesta di esame del fascicolo processuale e avendo comunque il giudizio di reclamo all'omologazione natura ampiamente devolutiva (App. Napoli, 26 luglio 2017).

Dalla data di pubblicazione e per i sessanta giorni successivi ai creditori è precluso intraprendere o proseguire azioni esecutive o acquisire titoli di prelazione, a meno che non siano concordati.

Vi è poi un esplicito rinvio alla previsione del comma 2 dell'art. 168, secondo cui, a seguito di tale pubblicazione le prescrizioni che sarebbero state interrotte dalle azioni in quel momento precluse rimangono sospese e le decadenze non si verificano.

L'obiettivo della previsione è quello di permettere all'imprenditore in crisi, successivamente al deposito dell'accordo presso il Registro delle imprese, di godere di un periodo di protezione dalle iniziative individuali dei creditori.

L'ambito oggettivo di tale protezione è il patrimonio del debitore, mentre ne sono esclusi i beni di terzi e di cui il debitore usufruisce o di cui comunque abbia la detenzione (Rolfi, 1).

Si è rilevato come l'inibizione o la sospensione delle azioni cautelari o esecutive permettono al Tribunale di esaminare la documentazione relativa alla domanda di omologa, impedendo che eventuali azioni cautelari o esecutive modifichino la situazione patrimoniale del debitore. La temporanea cristallizzazione dello stato patrimoniale della società fa sì che la situazione che è allegata e documentata unitamente all'accordo coincida con quella reale. Ciò assicura anche la coerenza tra il provvedimento di omologa e le premesse su cui i creditori aderenti hanno fondato il loro assenso e anche con i contenuti che sono stati illustrati nella redazione del professionista, che, a loro volta, sono oggetto di analisi da parte del Tribunale — in sede di omologa — e dai terzi legittimati all'opposizione (Inzitari, 35).

In merito a tale meccanismo di blocco è sorto l'interrogativo se sia possibile presentare istanza di fallimento, cui la giurisprudenza dominante offre generalmente una risposta positiva (Trib. Milano, 10 novembre 2009 e da ultimo Cass. I, n. 13850/2019).

In coerenza con tale lettura è stato evidenziato che la norma fa riferimento solo alle azioni esecutive e cautelari dei creditori e non anche ai ricorsi previsti dall'art. 6 L.F. Per tali motivi il procedimento della dichiarazione di fallimento non rientra nel blocco delle azioni esecutive e in presenza dei due procedimenti è opportuna la trattazione unitaria delle procedure di fallimento insieme a quella relativa alla richiesta di sospensiva ex art. 182-bis l. fall., perché la proposta di accordo può incidere sulla valutazione dello stato di insolvenza (App. Milano, 21 giugno 2011).

Una posizione diversa è sostenuta da una parte minoritaria della dottrina, sul presupposto che la procedura fallimentare è volta a soddisfare i creditori senza considerare la volontà del debitore imprenditore, che viene privato del potere di disporre del proprio patrimonio, il tutto nel contesto di un procedimento che l'ordinamento prepara a tale scopo, impiegando mezzi e strutture dell'apparato giurisdizionale (Fabiani, 208).

L'art. 182-bis, al comma 4, prevede poi che entro trenta giorni dalla pubblicazione i creditori e ogni altro interessato possono proporre opposizione.

Il tribunale, decise le eventuali opposizioni, procede in merito all'omologazione in camera di consiglio con decreto motivato.

Quanto alla natura del termine di trenta giorni per la proposizione di eventuali opposizioni, si è evidenziato che esso è termine perentorio, pur se alla sospensione feriale (Passeri-Mazzi, 339).

Il procedimento deve essere introdotto con ricorso, in considerazione del fatto che le forme sono quelle dei procedimenti in camera di consiglio, ai sensi degli artt. 737 ss. c.p.c. (Fabiani, 703).

Altra questione attiene al contenuto del controllo del Tribunale.

Infatti, se è pacifico che il Tribunale in sede di omologazione deve verificare la ricorrenza dei requisiti del comma 1 dell'art. 182-bis, si è posto il quesito se il Tribunale debba svolgere un mero controllo di legittimità o se il controllo deve estendersi al merito del ricorso.

In dottrina molti autori sostengono che il Tribunale debba effettuare un controllo di mera legittimità, che si esplica nella verifica delle condizioni previste dalla legge, quali la presenza dei documenti di cui all'art. 161 l. fall., la relazione del professionista che afferma l'attuabilità dell'accordo e il regolare pagamento dei creditori non aderenti, il soddisfacimento dei requisiti relativi al professionista, il soddisfacimento dei creditori nella misura legislativamente fissata (Marino, 499).

Secondo altri il Tribunale dovrebbe entrare nel merito degli accordi e dunque valutare l'attuabilità e l'idoneità allo scopo dell'accordo medesimo, anche prescindendo dalla relazione dell'esperto (La Croce, 2472).

In tal senso il controllo non dovrebbe essere limitato alla mera verifica della presenza dei requisiti di accesso al giudizio di omologa e dell'ottemperanza delle regole procedurali, ma dovrebbe estendersi all'attuabilità del piano, anche in assenza di opposizioni da parte dei legittimati (Dimundo, 701 ss.).

Ciò che viene richiesto al Tribunale è di valutare il merito delle soluzioni prospettate all'interno dell'accordo, il contenuto dei singoli contratti conclusi con i creditori, nonché l'idoneità dello stesso ad assicurare il regolare pagamento dei creditori estranei, ancorché non opponenti (Passeri-Mazzi, 339).

L'interrogativo sull'oggetto del giudizio di omologa è stato affrontato anche dalla giurisprudenza. In particolare si è affermato che il controllo del Tribunale non si sostanzia solamente e semplicemente nell'accertamento dell'avvenuta approvazione del piano secondo la maggioranza prevista, ma si estende anche al merito del ricorso, avuto particolare riguardo alla concreta idoneità del piano al soddisfacimento dei creditori estranei (Trib. Milano, 23 gennaio 2007).

In assenza di opposizioni il Tribunale deve verificare la presenza delle condizioni formali, ma deve anche effettuare un controllo di merito. Tale attività consiste nel verificare se esistono elementi tali da far ragionevolmente pensare che l'accordo possa essere attuato. Così facendo la valutazione giudiziale si fonda sulla coerenza e completezza logico argomentativa della relazione dell'attestatore (Ambrosini, 1148).

Diversamente, in caso di opposizione, l'indagine svolta dal Tribunale si estende alla concreta realizzabilità degli impegni assunti nell'accordo di ristrutturazione (Trib. Milano, 18 luglio 2009).

Similmente si è osservato che a seguito dell'opposizione il thema decidendum del giudizio di omologazione subisce un'estensione cognitoria, visto e considerato che il controllo del Tribunale deve estendersi agli aspetti specificamente evidenziati negli atti di opposizione, i quali possono riguardare sia l'astratta idoneità dell'accordo a liberare le risorse sufficienti al pagamento integrale degli estranei, sia la fattibilità generale del piano di ristrutturazione o di liquidazione sottostante all'accordo (Trib. Milano, 25 marzo 2010).

Quanto ai motivi che l'opponente può dedurre a fondamento del proprio atto di opposizione, questi possono attenere sia a profili di rito (es. il mancato deposito della documentazione prevista), sia a profili di merito (es. l'idoneità del piano previsto dall'accordo ad assicurare l'integrale pagamento dei creditori estranei) (Nigro-Vattermoli,398).

Ulteriore questione da affrontare concerne la facoltà del Tribunale di disporre una consulenza tecnica d'ufficio.

In proposito si è sostenuto che il giudice può disporre consulenza tecnica e che il suo oggetto può essere soltanto la verifica dei presupposti formali (Marino, 499).

Nella pratica vi sono casi in cui il Tribunale ha nominato un consulente tecnico per verificare la ricorrenza dei requisiti previsti dall'art. 182-bis l. fall. sul presupposto che non fosse sufficiente l'attestazione del professionista (Trib. Rimini, 20 marzo 2009).

Ulteriore interrogativo riguarda i soggetti legittimati a proporre opposizione: il legislatore, infatti, ha fatto generico riferimento ai creditori e a chiunque altrimenti interessato.

È opinione diffusa che alla categoria dei creditori appartengano sia il partecipante all'accordo (che, infatti, nel periodo tra la sua adesione e l'omologazione può venire a conoscenza di nuove circostanze, che se fossero stati conosciute lo avrebbero condotto a scelte diverse), sia, ovviamente, i soggetti non aderenti (Fabiani, 212).

I soggetti interessati sono coloro che vantano diritti soggettivi suscettibili di essere pregiudicati o comunque menomati dall'omologazione dell'accordo di ristrutturazione (Annaratone, 97).

In giurisprudenza si è affermato che non è legittimato a proporre opposizione il socio di una società di capitali che detenga una partecipazione in una delle società del gruppo che ha concluso l'accordo, poiché il suo interesse è tutelabile con gli strumenti interni di carattere societario. In tale contesto si è affermato che l'interesse a opporsi si basa sulla prospettiva del conseguimento di un vantaggio concreto dalla mancata omologa dell'accordo (Trib. Bologna, 17 novembre 2011)

Il Tribunale di Bologna affronta anche la questione dell'ammissibilità di un intervento nel procedimento. Si sostiene che tale intervento non può che essere adesivo dipendente, con la conseguenza che l'interveniente non è legittimato a proporre domande o eccezioni autonome e che in ogni caso occorre individuare il suo specifico interesse alla decisione.

Quanto al ruolo del pubblico ministero, si ritiene che non debba intervenire obbligatoriamente nel procedimento (Fabiani, 212).

In giurisprudenza l'intervento del pubblico ministero è stato ritenuto possibile sulla scorta del disposto dell'art. 70 c.p.c., secondo cui «il pubblico ministero può intervenire in ogni altra causa in cui ravvisi un pubblico interesse», e dell'art. 182-bis, comma 4 l. fall., secondo cui i legittimati all'opposizione all'omologazione sono «i creditori e ogni altro interessato» e tra i titolari di un interesse giuridicamente tutelabile vi è anche il pubblico ministero, ovvero «l'organo a cui l'ordinamento giuridico affida istituzionalmente la tutela dell'interesse pubblico» (Trib. Milano, 25 marzo 2010).

L'omologazione può quindi intervenire sia in ipotesi di rigetto delle eventuali opposizioni, sia in assenza di opposizioni.

Il giudizio può quindi concludersi con l'accoglimento della richiesta di omologazione, con il rigetto di detta richiesta per assenza dei presupposti e delle condizioni di legge o anche con una declaratoria di inammissibilità della richiesta, generalmente per motivi di rito.

Si è poi evidenziato che il provvedimento di omologa ha un contenuto vincolato, nel senso che il Tribunale non può modificare il contenuto dell'accordo (Pellegrinelli, 179).

Il decreto del Tribunale con cui viene disposta l'omologazione è a sua volta reclamabile in Corte di Appello ai sensi dell'art. 183 della legge fallimentare, entro quindici giorni dalla sua pubblicazione nel Registro delle imprese.

Per effetto dell'art. 3 del d.l. 7 ottobre 2020, n. 125, convertito in l. 27 novembre 2020, n. 159, intervenuto sul comma 4 dell'art. 182-bis l. fall., il Tribunale omologa l'accordo anche in mancanza di adesione da parte dell'amministrazione finanziaria o degli enti gestori di forme di previdenza o assistenza obbligatorie quando l'adesione è decisiva ai fini del raggiungimento della percentuale di cui al primo comma dell'art. 182-bis l. fall. e quando, anche sulla base delle risultanze della relazione del professionista di cui al medesimo comma, la proposta di soddisfacimento della predetta amministrazione o degli enti gestori di forme di previdenza o assistenza obbligatorie è conveniente rispetto all'alternativa liquidatoria. In proposito, ad esempio, Trib. Catania, 31 marzo 2022,Trib. Roma sez. fall., 30 giugno 2021 e, con riguardo al regime anteriore alla modifica normativa, Cass. S.U., n. 8504/2021.

Il legislatore è intervenuto di recente anche a proposito dell'eventualità che prima o dopo l'omologazione intervengano modifiche sostanziali del piano o degli accordi. Precisamente, a seguito da ultimo del d.l. 24 agosto 2021, n. 118, il nuovo comma 8 dell'art. 182-bis l. fall. così dispone: “Se prima dell'omologazione intervengono modifiche sostanziali del piano, è rinnovata l'attestazione di cui al primo comma e il debitore chiede il rinnovo delle manifestazioni di consenso ai creditori parti degli accordi. L'attestazione deve essere rinnovata anche in caso di modifiche sostanziali degli accordi. Qualora dopo l'omologazione si rendano necessarie modifiche sostanziali del piano, l'imprenditore vi apporta le modifiche idonee ad assicurare l'esecuzione degli accordi, richiedendo al professionista indicato all'articolo 67, terzo comma, lettera d) il rinnovo dell'attestazione. In tal caso, il piano modificato e l'attestazione sono pubblicati nel registro delle imprese e della pubblicazione è dato avviso ai creditori a mezzo lettera raccomandata o posta elettronica certificata. Entro trenta giorni dalla ricezione dell'avviso è ammessa opposizione avanti al tribunale, nelle forme di cui al quarto comma”.

L'anticipazione degli effetti

Si prevede poi, al comma 6 dell'art. 182- bis, che il divieto di iniziare o proseguire le azioni cautelari o esecutive possa essere richiesto e concesso anche nel corso delle trattative e prima della formalizzazione dell'accordo.

Tale risultato può essere ottenuto con il contestuale deposito presso il Tribunale competente della documentazione di cui all'art. 161 lett. a ), b ), c ) e d ), a ) e quindi di:

a) una relazione aggiornata sulla situazione patrimoniale, economica e finanziaria dell'impresa;

b) uno stato analitico ed estimativo delle attività e l'elenco nominativo dei creditori, con l'indicazione dei rispettivi crediti e delle cause di prelazione;

c) l'elenco dei titolari dei diritti reali o personali su beni di proprietà o in possesso del debitore;

d) il valore dei beni e i creditori particolari degli eventuali soci illimitatamente responsabili.

Tale documentazione deve essere inoltre corredata da una dichiarazione dell'imprenditore, avente valore di autocertificazione, che attesti che sulla proposta sono in corso trattative con i creditori che rappresentano almeno il sessanta per cento dei crediti.

A questa deve essere allegata anche la dichiarazione del professionista — avente i requisiti di cui all'art. 67, comma 3, lettera d) — che attesti l'idoneità della proposta, laddove accettata, ad assicurare l'integrale pagamento dei creditori con i quali non sono in corso trattative o che hanno comunque negato la propria disponibilità a trattare.

L'istanza di sospensione è pubblicata nel registro delle imprese e produce l'effetto del divieto di inizio o prosecuzione delle azioni esecutive e cautelari, nonché del divieto di acquisire titoli di prelazione, se non concordati.

Il Tribunale provvede quindi a verificare la completezza della documentazione depositata, fissando l'udienza entro trenta giorni dal deposito dell'istanza e disponendo la comunicazione ai creditori della documentazione stessa (a proposito degli effetti della mancata comunicazione si veda Trib. Milano, 28 aprile 2022).

All'udienza fissata il Tribunale, riscontrata la sussistenza dei presupposti per giungere a un accordo di ristrutturazione dei debiti per almeno il sessanta per cento degli stessi e a condizione dell'integrale pagamento dei creditori con i quali non sono in corso trattative o che hanno comunque negato la propria disponibilità a trattare, dispone con decreto motivato il divieto di iniziare o proseguire le azioni cautelari o esecutive e di acquisire titoli di prelazione se non concordati, assegnando il termine di non oltre sessanta giorni per il deposito dell'accordo di ristrutturazione e della relazione redatta dal professionista a norma del primo comma.

Il decreto è reclamabile a norma del quinto comma, quindi nel termine di quindici giorni dalla pubblicazione sul Registro delle imprese.

Ci si è chiesti quale tipo di controllo eserciti il Tribunale, concludendosi che il potere di quest'ultimo è di carattere sostanziale e che l'istanza di sospensione, pur essendo evidentemente un provvedimento di natura cautelare ed emesso all'esito di un giudizio a carattere sommario e di natura prognostica, non può essere oggetto di accertamento esclusivamente formale, considerando che è la stessa norma a prevedere un controllo anche sostanziale (Trib. Roma, 13 marzo 2012).

Del pari la dottrina ha aderito alla tesi del controllo sostanziale, evidenziando che il decreto non può basarsi su un semplice esame formale della documentazione fornita dal debitore, a meno che il controllo sia anticipato (Masi, 1374)

Il trattamento dei crediti tributari e contributivi

Rispetto ai debiti di natura tributaria l'art. 182- terdella legge fallimentare prevede la possibilità per l'imprenditore di elaborare una proposta di transazione fiscale avente a oggetto il pagamento, parziale o non, dei tributi e/o contributi e/o relativi accessori, amministrati rispettivamente dalle agenzie fiscali e dagli enti gestori di forme di previdenza e assistenza obbligatorie, con esclusione dei tributi che costituiscono risorse proprie dell'Unione Europea.

Ciò a condizione che il piano preveda la soddisfazione di tali creditori in una misura non inferiore a quella realizzabile, in ragione della collocazione preferenziale, sul ricavato in caso di liquidazione.

La somma realizzabile deve essere determinata avuto riguardo al valore di mercato attribuibile ai beni o ai diritti sui quali sussiste la causa di prelazione, che, a sua volta, è indicato nella relazione di un professionista in possesso dei requisiti di cui all'art. 67, comma 3, lettera d).

Come è stato evidenziato, tramite detto accordo l'amministrazione finanziaria rinuncia a una parte del proprio credito oppure acconsente a una dilazione, aiutando così l'imprenditore contribuente a superare lo stato di crisi (Pellegrinelli, 244).

La transazione interviene tra l'amministrazione finanziaria e il contribuente imprenditore e consente alla prima di derogare al principio di indisponibilità e irrinunciabilità del credito tributario e al secondo di ristrutturare i propri debiti fiscali nel tentativo di preservare l'impresa (Acierno, 1).

Con circolare n. 40/E del 18 aprile 2008 e con risoluzione n. 3/E l'Agenzia delle Entrate ha sottolineato che in considerazione del principio di indisponibilità del credito tributario non è possibile accordare a un imprenditore in crisi alcuna dilazione o riduzione che esuli dall'istituto della transazione fiscale prevista dall'art. 182-ter l. fall.

Infatti la ristrutturazione dei debiti fiscali consiste o nello stabilire nuovi termini per l'adempimento o, nei casi più gravi, nella riduzione del loro ammontare. A seconda che si verifichi l'uno o l'altro caso, si parla di transazione fiscale dilatoria o di transazione fiscale remissoria.

La norma prevede poi che laddove il credito tributario o contributivo sia assistito da un privilegio, la percentuale, i relativi i tempi di pagamento e le eventuali garanzie non possono comunque essere inferiori o meno vantaggiosi rispetto a quelli offerti ai creditori che hanno un grado di privilegio inferiore o a quelli che hanno una posizione giuridica e interessi economici omogenei a quelli delle agenzie e degli enti gestori di forme di previdenza e assistenza obbligatorie.

Diversamente, laddove il credito tributario o contributivo abbia natura chirografaria  (anche a seguito di degradazione per incapienza, per effetto dell'art. 3 del d.l. 7 ottobre 2020, n. 125, convertito in l. 27 novembre 2020, n. 159), il trattamento non può essere differenziato rispetto a quello degli altri creditori chirografari oppure, in ipotesi di suddivisione dei crediti in classi, dei creditori rispetto ai quali è previsto un trattamento più favorevole. Nell'ipotesi in cui venga proposto il pagamento parziale di un credito tributario o contributivo privilegiato, la quota di credito degradata al chirografo deve essere inserita in apposita classe.

Per poter sottoscrivere un accordo di tal genere una copia della domanda e la relativa documentazione, contestualmente al deposito presso il Tribunale, deve essere depositata presso il competente agente della riscossione, nonché presso l'ufficio competente determinato in base all'ultimo domicilio fiscale del debitore.

A tale documentazione devono essere allegate le dichiarazioni fiscali per le quali non è giunto l'esito dei controlli automatici nonché le dichiarazioni integrative relative al periodo fino alla data di presentazione della domanda.

A seguito del deposito di detta documentazione l'agente della riscossione, non oltre trenta giorni dalla data della presentazione, deve trasmettere all'imprenditore debitore una certificazione attestante l'entità del debito iscritto a ruolo scaduto o sospeso.

L'ufficio, nel medesimo termine, deve poi procedere alla liquidazione dei tributi risultanti dalle dichiarazioni e notificare i relativi avvisi di irregolarità, unitamente a una certificazione che attesta l'entità del debito derivante da atti di accertamento per la parte non iscritta a ruolo e dai ruoli vistati.

La norma prevede poi che a seguito dell'emissione del decreto di ammissione alla procedura ex art. 163 l. fall., una copia dell'avviso di irregolarità e una copia delle certificazioni deve essere trasmessa al commissario giudiziale.

Quanto al soggetto legittimato ad esprimersi, si prevede che relativamente al credito tributario complessivo, il voto sulla proposta concordataria sia espresso dall'ufficio, previo parere conforme della competente direzione regionale, in sede di adunanza dei creditori, ovvero nei modi previsti dall'art. 178, comma 4.

Il voto è espresso dall'agente della riscossione limitatamente agli oneri di riscossione di cui all'art. 17 del d.lgs. n. 112/1999.

La proposta di transazione fiscale, corredata della documentazione di cui all'art. 161 l. fall., deve essere depositata presso il competente agente della riscossione e presso l'ufficio competente sulla base dell'ultimo domicilio fiscale del debitore.

Alla proposta di transazione deve inoltre essere allegata una dichiarazione sostitutiva, resa dal debitore o dal suo legale rappresentante ai sensi dell'art. 47 d.P.R. n. 445/2000, contenente l'attestazione che la documentazione depositata a corredo della proposta transattiva rappresenta in maniera fedele e integrale la situazione dell'impresa.

La successiva ed eventuale adesione alla proposta viene poi manifestata e formalizzata, previo parere conforme della competente direzione regionale, dal direttore dell'ufficio.

L'atto di adesione alla proposta deve inoltre essere sottoscritto dall'agente della riscossione relativamente agli oneri di riscossione di cui all'art. 17 del d.lgs. n. 112/1999.

La norma precisa poi che l'assenso manifestato in dette forme equivale a sottoscrizione dell'accordo di ristrutturazione.

L'art. 182-ter l. fall. prevede poi che la transazione fiscale conclusa nell'ambito di un accordo di ristrutturazione si risolve di diritto se l'imprenditore non esegue integralmente, entro novanta giorni dalle scadenze previste, i pagamenti dovuti alle agenzie fiscali e agli enti gestori di forme di previdenza e assistenza obbligatorie.

Entro trenta giorni ciascun ufficio, per la parte di tributi di propria competenza, deve dichiarare l'assenso o meno alla proposta.

Nel caso di rifiuto della proposta non viene compromesso l'accordo di ristrutturazione, perché in tal caso l'erario diviene un creditore estraneo all'accordo che deve esser soddisfatto integralmente (Acierno, 7).

Nel caso opposto, visto e considerato che la transazione fiscale è uno strumento autonomo, ma funzionale al conseguimento dell'accordo, ne deriva che esso è inefficace laddove all'accordo non aderiscano un numero di soggetti rappresentanti il sessanta per cento dei crediti, oppure quando il Tribunale non procede con la sua omologazione, in quanto quest'ultima opera come condicio iuris della stessa, salvo diversa pattuizione delle parti (Annaratone, 130).

Il contenuto della proposta è libero e agli uffici fiscali è affidata la valutazione di convenienza, da condurre sulla base dell'interesse pubblico alla conservazione dell'impresa e dell'effettiva possibilità di un maggior recupero in caso di fallimento (Zanichelli, 164).

Si fa presente, da ultimo, che delle controversie sorte intorno al mancato assenso dell'amministrazione fiscale è competente a conosce il giudice fallimentare, come di recente affermato da Cass. S.U., n. 8504/2021, tra l'altro richiamata da Cass. S.U., n. 35954/2021.

Per Appello Roma, 27 febbraio 2024, non è ammissibile un accordo di ristrutturazione ex art. 182-bis fondato sulla ristrutturazione dell'unico debito facente capo all'amministrazione finanziaria, a fronte dell'integrale soddisfazione di tutti gli altri creditori a essa rimasti estranei, in quanto non è configurabile alcun interesse concorsuale in funzione del quale sacrificare la volontà del fisco a quella del debitore e comunque, così operando, l'istituto del cram down, da strumento funzionale a superare la mancata adesione dell'amministrazione finanziaria e degli enti previdenziali a un accordo concluso con altri creditori concorsuali, si trasformerebbe nell'imposizione a tali soggetti pubblici di una soluzione unilaterale predisposta dal debitore, alla quale nessun altro creditore ha accettato di aderire.

I finanziamenti nel contesto di un accordo di ristrutturazione dei debiti

È frequente che ai fini della conclusione di un accordo di ristrutturazione si ricorra a nuovi finanziamenti.

In quest'ottica si distinguono i crediti derivanti da finanziamenti contratti in esecuzione, ai sensi del 1° comma dell'art. 182-quater, che sono dalla norma espressamente previsti come prededucibili, dai crediti derivanti da finanziamenti contratti in funzione della domanda di omologazione dell'accordo di ristrutturazione dei debiti, ai sensi del comma 2 dell'art. 182-quater.

Tale norma ha la palese finalità di tentare di superare la crisi o l'insolvenza tramite il finanziamento dei soci o il finanziamento infragruppo (Briolini,524).

Si è messo in luce che tale meccanismo integra un'ipotesi di prededucibilità ex lege e che dunque non è richiesta la verifica dei criteri di occasionalità e funzionalità previsti dall'art. 111 della l. fall. (Cass. VI, n. 29734/2018).

Il Tribunale non è dunque tenuto a svolgere la verifica della funzionalità del finanziamento rispetto all'accordo, né a sindacare la tipologia di finanziamento (Cass. VI, n. 16347/2018).

Si è ugualmente precisato che la prededucibilità dei crediti derivanti da finanziamenti «in qualsiasi forma effettuati» in esecuzione dell'accordo omologato, prevista dal comma 1 dell'art. 182-quater l. fall., è coessenziale al fatto che si tratti di crediti annoverabili nella suddetta categoria, con la conseguenza che dopo che è stata accertata la presenza di tali crediti e omologato l'accordo, l'effetto della prededucibilità non richiede una nuova verifica di funzionalità dell'accordo medesimo da parte del Tribunale (Cass. VI, n. 2627/2018).

Nell'ottica sopra indicata il comma 3 prevede poi che, in deroga a quanto previsto dagli artt. 2467 e 2497-quinquies c.c., relativamente alla postergazione dei finanziamenti dei soci in favore della società, il comma 1 e il comma 2 dell'art. 182-quater si applicano anche ai finanziamenti effettuati dai soci, nel limite dell'ottanta per cento delle relative somme.

Ulteriormente trova applicazione la disciplina di cui ai commi 1 e 2, laddove il finanziatore abbia acquisito la propria qualità di socio in esecuzione dell'accordo di ristrutturazione dei debiti.

Si prevede che relativamente ai crediti contratti «in funzione» della domanda di omologazione dell'accordo, i relativi creditori, anche se soci, non hanno diritto di voto e come tali sono esclusi dal computo della percentuale dei crediti prevista all'art. 182-bis.

Nell'ambito dell'art. 182-quater nulla viene detto in merito alla finanza interinale, ovvero rispetto alle erogazioni che potrebbero aver luogo tra il deposito della domanda e l'omologazione dell'accordo. Cioè nulla si dice sui finanziamenti concessi nelle more del procedimento di omologazione e aventi come fine quello di garantire nell'immediato la continuità aziendale.

In merito interviene l'art. 182-quinquies della legge fallimentare.

Con tale introduzione si dà all'imprenditore che presenti una domanda di omologazione di un accordo di ristrutturazione dei debiti ai sensi dell'art. 182-bis comma 1 o una proposta di accordo ai sensi dell'art. 182-bis, comma 6, la possibilità di chiedere al Tribunale l'autorizzazione a contrarre nuovi finanziamenti, anche prima del deposito della documentazione di cui all'art. 161, comma 2 e 3, assunte se del caso sommarie informazioni.

I crediti derivanti da detti finanziamenti sono prededucibili.

Tale possibilità è prevista a fronte di una specifica attestazione da parte di un professionista in possesso dei requisiti di cui all'art. 67, comma 3, lett. d), il quale, dopo aver verificato il fabbisogno finanziario dell'impresa fino al momento dell'omologazione, deve certificare che tali somme di denaro sono funzionali alla migliore soddisfazione dei creditori concorsuali.

Se l'autorizzazione è ottenuta, coloro che ne hanno fatto richiesta saranno preferiti in sede di riparto dell'attivo.

L'autorizzazione può avere a oggetto finanziamenti individuati anche solamente per tipologia ed entità e non ancora oggetto di trattative.

Ai fini dell'autorizzazione alla stipula di finanziamenti prededucibili ai sensi dell'art. 182-quinquies, comma 1 l. fall., il requisito della funzionalità alla migliore soddisfazione dei creditori non deve essere considerato ancorato al rispetto della garanzia patrimoniale generale dei creditori, in quanto lo stesso si risolve nel considerare che il piano sottostante gli accordi, basato sulla prosecuzione dell'impresa, non può prescindere dai finanziamenti esterni (Trib. Benevento, 21 aprile 2016).

Quanto disposto lascia al debitore ampia facoltà nella contrattazione e, per di più, l'autorizzazione non è collegata all'obbligo di fornire fin da subito un testo contrattuale completo o i nominativi delle controparti.

È stato osservato che la norma attribuisce la verifica di convenienza sugli stanziamenti di nuova finanza alla valutazione di una persona competente, senza però considerare che, stante l'incertezza temporale circa la disponibilità dei finanziamenti, non ci potrebbero essere attestazioni tali da poter stabilire se i finanziamenti siano volti ad appagare al meglio i creditori e a coprire il fabbisogno della società fino all'omologa (Ravazzin, 2941).

Il 3° comma prevede inoltre la possibilità del debitore, che presenta una domanda di omologazione di un accordo di ristrutturazione dei debiti o una proposta, di chiedere al Tribunale di essere autorizzato, in via d'urgenza, a contrarre finanziamenti (prededucibili), qualora funzionali a soddisfare urgenti necessità relative all'esercizio dell'attività aziendale.

Tale facoltà è esercitabile fino all'udienza di omologazione di cui all'art. 182-bis, comma 4, o alla scadenza del termine di cui all'art. 182-bis, comma 7.

Il ricorso deve specificare la destinazione dei finanziamenti, oltre a evidenziare che lo stesso non è in grado di reperire in altro modo detti finanziamenti e che, in mancanza di finanziamenti, potrebbe derivare un pregiudizio imminente ed irreparabile all'azienda.

A tal punto il Tribunale, assunte sommarie informazioni sul piano e sulla proposta in corso di elaborazione, sentito il commissario giudiziale (se nominato) e, se del caso, sentiti senza formalità i principali creditori, decide sul ricorso in camera di consiglio con decreto motivato, entro dieci giorni dal deposito dell'istanza di autorizzazione.

La richiesta può avere ad oggetto anche il mantenimento di linee di credito autoliquidanti in essere al momento del deposito della domanda.

Il comma 4 prevede inoltre che «il Tribunale può autorizzare l'imprenditore a concedere pegno o ipoteca o a cedere crediti a garanzia dei medesimi finanziamenti».

L'ultimo comma persegue l'obiettivo di salvaguardare, nell'interesse dei creditori sociali, la continuità aziendale.

A mente del comma 6, infatti, il debitore che presenta una domanda di omologazione di un accordo di ristrutturazione o una proposta di accordo può chiedere al Tribunale di essere autorizzato, ricorrendo i presupposti del comma 5 — quindi se un professionista in possesso dei requisiti di cui all'art. 67 attesta che tali prestazioni sono essenziali per la prosecuzione dell'attività imprenditoriale e funzionali ad assicurare la migliore soddisfazione dei creditori — a pagare crediti anche anteriori per prestazioni di beni e servizi.

Laddove l'autorizzazione alla stipula di contratti di finanziamento, prededucibili ai sensi dell'art. 182-quinquies l. fall., venga richiesta nell'ambito di un accordo di ristrutturazione dei debiti è necessario ricondurre il concetto di funzionalità alla migliore soddisfazione dei creditori ad un rafforzamento, ancorché da intendersi in senso generico, delle possibilità di riuscita del piano sottostante agli accordi (Trib. Bergamo, 26 giugno 2014).

Le esenzioni

Il successivo art. 182-sexies della legge fallimentare prevede poi che dalla data del deposito della domanda per l'omologazione dell'accordo di ristrutturazione o della proposta di accordo e sino all'omologazione non trovano applicazione alcune norme del libro V del codice civile.

Non trova ad esempio applicazione l'art. 2446, comma 2, c.c., secondo cui cui se entro l'esercizio successivo a quello in cui il capitale si è ridotto di oltre un terzo per perdite, questa non risulta diminuita a meno di un terzo, l'assemblea ordinaria o il consiglio di sorveglianza che approva il bilancio di tale esercizio deve ridurre il capitale in proporzione delle perdite accertate e, in mancanza, gli amministrazioni, i sindaci o il consiglio di sorveglianza devono chiedere al Tribunale di disporre la riduzione del capitale.

Del pari non trova applicazione l'art. 2447 c.c., per cui se, a causa della perdita di oltre un terzo del capitale, questo si riduce al disotto del minimo di legge, gli amministratori o il consiglio di gestione e, in caso di loro inerzia, il consiglio di sorveglianza devono immediatamente convocare l'assemblea per deliberare la riduzione del capitale sociale e, contemporaneamente, aumentarlo a una cifra non inferiore al minimo oppure trasformare la società.

Ulteriormente la norma esclude l'applicazione degli artt. 2482-bis, commi 4, 5 e 6 e 2482-ter c.c. che stabiliscono procedure analoghe per le società a responsabilità limitata.

Dal deposito della domanda fino all'omologazione non opera la causa di scioglimento della società per riduzione o perdita del capitale sociale prevista dagli artt. 2484, n. 4, e 2545-duodecies c.c.

Resta però ferma, per il periodo anteriore al deposito delle domande e della proposta di cui al primo comma, l'applicazione dell'art. 2486 c.c., ragione per cui, qualora si verifichi una causa di scioglimento dell'accordo, gli amministratori hanno il potere di gestione della società ai soli fini di conservare l'integrità e il valore del patrimonio sociale.

In tale frangente gli amministratori sono personalmente e solidalmente responsabili dei danni stati arrecati alla società, ai soci, ai creditori sociali e ai terzi, per atti od omissioni compiuti in violazione del suddetto obbligo.

Gli accordi di ristrutturazione ad efficacia estesa e i creditori intermediari bancari e finanziari

A mente dell'art. 182-septies l. fall. l a  disciplina di cui all'art. 182-bis l. fall. trova applicazione, in deroga agli artt. 1372 e 1411 c.c., anche nel caso in cui gli effetti dell'accordo vengano estesi ai creditori non aderenti che appartengano alla medesima categoria, individuata tenendo conto dell'omogeneità della posizione giuridica e degli interessi economici.

A tale fine occorre che: a) tutti i creditori appartenenti alla categoria siano stati informati dell'avvio delle trattative, siano stati messi in condizione di parteciparvi in buona fede e abbiano ricevuto complete e aggiornate informazioni sulla situazione patrimoniale, economica e finanziaria del debitore nonché sull'accordo e sui suoi effetti; b) l'accordo preveda la prosecuzione dell'attività d'impresa in via diretta o indiretta; c) i crediti dei creditori aderenti appartenenti alla categoria rappresentino il settantacinque per cento di tutti i creditori appartenenti alla categoria, fermo restando che un creditore può essere titolare di crediti inseriti in più di una categoria; d) i creditori della medesima categoria non aderenti cui vengono estesi gli effetti dell'accordo possano risultare soddisfatti in base all'accordo stesso in misura non inferiore rispetto alle alternative concretamente praticabili; e) il debitore abbia notificato l'accordo, la domanda di omologazione e i documenti allegati ai creditori nei confronti dei quali chiede di estendere gli effetti dell'accordo.

Per creditori non aderenti il termine per proporre opposizione decorre dalla data della notifica di cui al comma 2.

In nessun caso, per effetto dell'accordo di ristrutturazione, ai creditori ai quali è stato esteso l'accordo possono essere imposti l'esecuzione di nuove prestazioni, la concessione di affidamenti, il mantenimento della possibilità di utilizzare affidamenti esistenti o l'erogazione di nuovi finanziamenti. Non è considerata nuova prestazione la prosecuzione della concessione del godimento di beni oggetto di contratti di locazione finanziaria già stipulati (comma 4).

Infine (comma 5), quando un'impresa ha debiti verso banche e intermediari finanziari in misura non inferiore alla metà dell'indebitamento complessivo, l'accordo di ristrutturazione dei debiti può individuare una o più categorie tra tali tipologie di creditori con posizione giuridica ed interessi economici omogenei. In tal caso il debitore, con la domanda di cui all'articolo 182-bis, può chiedere, anche se non ricorre la condizione prevista dal secondo comma, lettera b), che gli effetti dell'accordo vengano estesi anche ai creditori non aderenti appartenenti alla medesima categoria. Restano fermi i diritti dei creditori diversi da banche e intermediari finanziari.

I nuovi articoli 182- octies , 182- novies   e 182- decies l. fall. (convenzione di moratoria, accordi agevolati, coobbligati e fideiussori)

Con d.l. 24 agosto 2021, n. 118 è stata infine disposta l'introduzione degli artt. da 182-octies a 182-decies l. fall.

La prima norma individua puntuali condizioni (indicate al comma 2) rispettate le quali è possibile vincolare alla convenzione di moratoria i creditori non aderenti ma appartenenti alla medesima categoria. In nessun caso, però, come già visto a proposito dell'art. 182-septies, possono essere imposti a tali creditori nuove prestazioni, la concessione di affidamenti, il mantenimento della possibilità di utilizzare affidamenti esistenti o l'erogazione di nuovi finanziamenti.

L'art. 182-novies, sotto la rubrica “Accordi di ristrutturazione agevolati”, stabilisce poi che la percentuale di cui all'art. 182-bis, comma 1, è ridotta della metà quando il debitore: a) abbia rinunciato alla moratoria di cui all'art. 182-bis, comma 1, lettere a) e b); b) non abbia presentato il ricorso previsto dall'art. 161, comma 6, e non abbia richiesto la sospensione prevista dall'art. 182-bis, comma 6.

Da ultimo l'art. 182-decies estende l'ambito di applicazione dell'art. 1239 c.c. ai creditori che abbiano concluso gli accordi di ristrutturazione e prevede che nel caso in cui l'efficacia di tali accordi sia estesa ai creditori non aderenti, questi conservano impregiudicati i diritti contro i coobbligati, i fideiussori del debitore e gli obbligati in via di regresso.

Infine, salvo patto contrario, gli accordi di ristrutturazione della società hanno efficacia nei confronti dei soci illimitatamente responsabili, i quali, se hanno prestato garanzia, continuano a rispondere per tale diverso titolo, salvo che non sia diversamente previsto.

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