Regio decreto - 16/03/1942 - n. 267 art. 217 bis - Esenzioni dai reati di bancarotta 1Esenzioni dai reati di bancarotta1
1. Le disposizioni di cui all'articolo 216, terzo comma, e articolo 217non si applicano ai pagamenti e alle operazioni compiuti in esecuzione di un concordato preventivo di cui all'articolo 160 o di un accordo di ristrutturazione dei debiti omologato ai sensi dell'articolo 182-bis o del piano di cui all’articolo 67, terzo comma, lettera d), ovvero di un accordo di composizione della crisi omologato ai sensi dell’articolo 12 della legge 27 gennaio 2012, n. 3, nonche' ai pagamenti e alle operazioni di finanziamento autorizzati dal giudice a norma dell'articolo 182-quinquies e alle operazioni di finanziamento effettuate ai sensi dell' articolo 22-quater, comma 1, del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 91 , convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014, n. 116 , nonche' ai pagamenti ed alle operazioni compiuti, per le finalita' di cui alla medesima disposizione, con impiego delle somme provenienti da tali finanziamenti2 [1] Articolo inserito dall'articolo 48, comma 2-bis, del D.L. 31 maggio 2010, n. 78. [2] Comma modificato dall'articolo 33, comma 1, lettera l-bis), del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, con la decorrenza indicata dal comma 3 del medesimo articolo 33 del suddetto D.L. n. 83 del 2012 e dall'articolo 18, comma 2-bis, del D.L. 18 ottobre 2012 n.179 e successivamente dall'articolo 2, comma 7, del D.L. 5 gennaio 2015, n. 1 , convertito, con modificazioni, dalla Legge 4 marzo 2015, n. 20. InquadramentoIl piano attestato di risanamento è disciplinato dall'art. 67, comma 3, lett. d ) e dall'art. 217-bisdel r.d. n. 267/1942 (c.d. legge fallimentare) e continuerà a trovare applicazione rispetto ai procedimenti pendenti alla data di entrata in vigore del d. lgs. n. 14/2019, c.d. codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, nell’ambito del quale sono invece fatti oggetto dell’art. 56. A mente dell'art. 67, comma 3, lett. d ), che è la norma di riferimento, non sono soggetti ad azione revocatoria gli atti, i pagamenti e le garanzie concesse su beni del debitore, se posti in essere in esecuzione di un piano che appaia idoneo a consentire il risanamento dell'esposizione debitoria dell'impresa e ad assicurare il riequilibrio della sua situazione finanziaria. Il piano attestato è dunque espressione del favor normativo verso il finanziamento finalizzato al risanamento dell'impresa, a fianco, ad esempio, dei finanziamenti prededucibili nel concordato preventivo e negli accordi di ristrutturazione dei debiti e della convenzione di moratoria di cui all'art. 182-septies della legge fallimentare (tale favor è stato di recente enfatizzato da Cass. I, n. 24725/2021. Si veda inoltre Trib. Bergamo II, 5 luglio 2022). Un professionista indipendente designato dal debitore, iscritto nel registro dei revisori legali e in possesso dei requisiti previsti dall'art. 28, lettere a ) e b ) deve attestare la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano. Il professionista è indipendente quando non è legato all'impresa e a coloro che hanno interesse all'operazione di risanamento da rapporti di natura personale o professionale tali da comprometterne l'indipendenza di giudizio (per una interpretazione recente si veda Trib. Torino, 17 marzo 2023) In ogni caso il professionista deve essere in possesso dei requisiti previsti dall'art. 2399 del c.c. e non deve, neanche per il tramite di soggetti con i quali è unito in associazione professionale, avere prestato negli ultimi cinque anni attività di lavoro subordinato o autonomo in favore del debitore, ovvero partecipato agli organi di amministrazione o di controllo. Il piano può essere pubblicato nel registro delle imprese su richiesta del debitore. L'art. 217- bis, sotto la rubrica «esenzione dai reati di bancarotta», completa la disciplina stabilendo che le disposizioni di cui all'art. 216, comma 3, e 217 non si applicano ai pagamenti e alle operazioni compiuti in esecuzione, tra gli altri, del piano di cui all'art. 67, terzo comma, lettera d ). In merito alla sua collocazione nell'ambito degli strumenti di gestione della crisi è stato evidenziato che il piano attestato di risanamento non rientra tra le procedure concorsuali: il piano di risanamento, a differenza di queste ultime, individua soltanto opzioni utili a superare la crisi. Trattasi inoltre di un atto proprio dell'imprenditore, di formazione unilaterale e stragiudiziale, accompagnato dall'attestazione di un soggetto esperto. Per ritenere esenti dalla domanda di revocatoria fallimentare gli atti esecutivi di un piano attestato di risanamento ex art. 67, comma 3, lett. d), l.fall. (nel testo previgente d.l. n. 83 del 2012, conv. con modif. nella l. n. 134 del 2012), il giudice deve effettuare, con giudizio "ex ante", una valutazione, parametrata sulla condizione professionale del terzo contraente, circa l'idoneità del piano, del quale gli atti impugnati costituiscono strumento attuativo, a consentire il risanamento dell'esposizione debitoria dell'impresa, seppure in negativo, vale a dire nei soli limiti dell'assoluta, evidente inettitudine del piano presentato dal debitore a tal fine (Cass. I, n. 3018/2020; Trib. Piacenza, n. 421/2020). I presuppostiSi discute intorno al novero dei soggetti che possono presentare il piano di risanamento. Secondo alcuni autori tale strumento sarebbe utilizzabile anche dagli imprenditori non fallibili. La possibilità di fare ricorso al piano di risanamento anche da parte dei soggetti non fallibili deriverebbe da una valutazione di meritevolezza condotta alla stregua degli artt. 1322 e 1324 c.c. (Ferro, 756). Il principale presupposto oggettivo è costituito dall'esistenza di uno stato crisi, dovendosi intendere con crisi sia un vero e proprio stato di insolvenza, sia semplici situazioni di squilibrio finanziario, anche non gravi e anche solo potenziali. La verifica sull'effettiva esistenza di uno stato di crisi è però meramente eventuale e successiva alla dichiarazione di fallimento, come si ricorderà anche in seguito. Si ritiene in dottrina che il piano di risanamento rappresenti uno strumento utilizzabile a fronte di crisi non particolarmente gravi e che tra i vari strumenti apprestati dall'ordinamento per la soluzione della crisi il piano, gli accordi di ristrutturazione e il concordato preventivo corrispondano a diversi livelli di gravità della stessa, cosicché per fronteggiare le situazioni più lievi vi sarebbe il piano di risanamento, per quelle più serie e impegnative gli accordi di ristrutturazione e, infine, per risolvere le crisi più gravi, il concordato preventivo (D'Angelo, 91) È stato similmente sostenuto che non è possibile fare ricorso al piano di risanamento quando lo stato di insolvenza sia di tale gravità da fare ritenere impossibile adottare misure idonee a invertire la situazione in cui lo stesso versa (Demarchi, 5). Per quanto riguarda la natura giuridica del piano di risanamento, esso è atto unilaterale dell'imprenditore e consiste nell'individuazione degli atti che potrebbero determinare il superamento della crisi sulla base della valutazione prognostica compiuta da un professionista (Abete, 1009) Altri autori hanno però evidenziato che il piano si fonda normalmente su un accordo (D'Angelo, 80 ss.) o anche che l'accordo con i creditori è condizione indispensabile (Tarolli, 792). È stato anche notato che l'efficacia del piano è strettamente connessa all'accordo tra l'imprenditore in difficoltà e i suoi creditori, in particolare quelli principali (Ambrosini-Aiello, 56). Quando vengono effettivamente conclusi degli accordi a monte del piano di risanamento, questi possono essere conclusi con soggetti ulteriori e diversi: nuovi soci, terzi acquirenti, ecc. (Bonfatti, 15). L'adozione del piano: forma, contenuto e adempimentiNella redazione del piano il debitore può farsi assistere da un consulente di fiducia, anche se la legge non lo prevede. Il credito del consulente non costituisce peraltro un credito prededucibile. Questa è la posizione della giurisprudenza, che afferma infatti che il credito professionale sorto per la predisposizione di un piano di risanamento attestato non può essere collocato in prededuzione nel fallimento consecutivo (Cass. I, n. 1895/2018). Quanto al soggetto deputato ad adottare il piano di risanamento, nelle società corrisponde all'organo amministrativo, che ne assume la responsabilità tramite apposita delibera (Bonfatti, 655). Nel caso in cui vi sia un amministratore delegato, spetta a quest'ultimo sulla base del disposto dell'art. 2381, comma 3, c.c. (Abete, 1012). Laddove, invece, vi sia un sistema di tipo dualistico il potere è proprio del consiglio di gestione, sempre che non sia attribuito dallo statuto al consiglio di sorveglianza (Ambrosini-Aiello, 15). Nel sistema monistico la competenza ad adottare il piano è propria del consiglio di amministrazione che, ex art. 2409-septiesdecies c.c., è deputato a gestire l'impresa (Abete, 1012). Quanto alle società di persone emergono diverse posizioni. Per la maggioranza della dottrina dovrebbero trovare applicazione gli artt. 2257 e 2258 c.c., nei casi in cui sia prevista l'amministrazione congiunta oppure l'amministrazione disgiunta, per cui ogni socio, siccome è contemporaneamente amministratore, potrebbe adottare il piano (Ambrosini-Aiello, 15). In merito alla forma del piano di risanamento, anche se non sono previsti requisiti a pena di nullità, è evidente che la necessità della forma scritta deriva dalla complessità del piano e dalla necessità dell'attestazione (Demarchi, 4). A sostegno della necessità della forma scritta è stato sottolineato che il piano determina l'esenzione dall'azione revocatoria e la mancanza della forma scritta rischierebbe di vanificare detto beneficio per le difficoltà probatorie che ne conseguirebbero (Abete, 1011). Altra questione è connessa alla necessità di fornire data certa. In dottrina è stato detto che è possibile conferire carattere di certezza alla data attraverso l'attestazione di un esperto (Terenghi, 5). Quanto al contenuto del piano si è sottolineato come esso debba essere analitico e indicare le modalità di esecuzione (Trib. Terni, 26 febbraio 2013). I Principi di attestazione dei piani di risanamento elaborati dall'Accademia italiana di economia aziendale individuano per il piano una struttura particolarmente articolata che si compone di tre parti: a) una prima parte ricognitiva e consistente nella presentazione dell'azienda, nella specificazione dei dati storici economici e finanziari, nella descrizione dello stato di crisi e nella individuazione delle cause; b) una seconda parte relativa alle azioni vere e proprie, a sua volta ripartite in ipotesi e strategie di risanamento e indicazioni degli interventi da adottare; c) una terza parte dedicata all'analisi prospettiva: evoluzione del settore; analisi dell'azienda nel contesto concorrenziale; ipotesi economiche finanziarie. Quanto, invece, alle misure necessarie al superamento dello stato di crisi, non ci sono limitazioni: il piano di risanamento deve individuare le operazioni necessarie alla soluzione della crisi, oltre che a ristabilire l'equilibrio finanziario, in considerazione delle peculiarità proprie dell'impresa e del settore merceologico in cui opera (Ambrosini-Aiello, 16). È possibile distinguere piani di risanamento che si fondano su accordi da quelli che ne prescindono. L'esigenza che i piani di risanamento che si fondano su patti vengano attestati è, come già osservato, rappresentata dalla volontà di esentare gli atti previsti nel piano dall'ambito di applicazione dell'azione revocatoria e dei reati di bancarotta semplice o preferenziale. Rispetto al momento in cui è possibile adottare un piano di risanamento, secondo parte della dottrina il piano non è compatibile con la messa in liquidazione dell'azienda e, pertanto, il piano sarebbe utilizzabile soltanto in ipotesi di continuità aziendale (Ferro, 768). Contrariamente si osserva che l'adozione di un piano di risanamento non impone la prosecuzione dell'attività. Non è infatti previsto da alcuna norma, né può ricavarsi dal sistema che il piano attestato abbia come unica ed esclusiva funzione la prosecuzione dell'attività d'impresa. È stato infatti osservato che come può fallire l'impresa in funzione e quella in liquidazione, allo stesso modo deve essere consentito all'imprenditore che scelga la via della liquidazione di mettere al riparo dal rischio di revocatoria gli atti esecutivi di un piano di riequilibrio ragionevole (Meo, 651-652). Quanto alla durata della fase esecutiva di un piano di risanamento si segnala che l'esecuzione di un piano può protrarsi per diverse annualità. A tale considerazione è collegata quella dell'affidabilità di un piano che abbia tempi di esecuzione molto lunghi e ciò per l'evidente difficoltà di svolgere previsioni attendibili sul lungo periodo (D'Angelo, 85). Altro tema delicato è quello di individuare il grado di analiticità delle previsioni del piano. In proposito si è evidenziato che nei piani attestati è possibile stabilire condizioni, a patto che in ipotesi di mancato avveramento siano previste alternative e che quindi siano indicati, laddove non dovessero verificarsi dette condizioni, i mezzi e gli strumenti tramite cui poter conseguire il risultato divisato (Zorzi, 1250). L'art. 67, comma 3, lett. d), l.fall prevede la possibilità che il piano sia pubblicato nel Registro delle imprese, ma si tratta appunto di una mera possibilità, la cui concretizzazione dipende dalla volontà del debitore (Terenghi, 7). La pubblicazione del piano è necessaria nel caso in cui si voglia accedere all'agevolazione fiscale dell'art. 88 T.U.I.R., per effetto del quale non sono tassabili le sopravvenienze che derivano dalla riduzione dei debiti conseguenti al piano, quindi agli accordi connessi al piano. Si è sottolineato che normalmente il piano di risanamento viene tenuto riservato, poiché così facendo l'imprenditore evita di rendere nota la propria situazione economica ed è proprio tale «possibilità» di segretezza uno dei motivi che rende appetibile il ricorso ai concordati stragiudiziali (Costa, 534). Sotto altro profilo la pubblicazione assolve invece alla funzione di rassicurare i terzi circa la presa d'atto del debitore della propria situazione economica e della volontà di superare la crisi (Demarchi, 6). È peraltro possibile, per le motivazioni più varie, che emerga la necessità di modificare il contenuto del piano di risanamento. È evidente però che ove le modifiche apportate non siano semplicemente di dettaglio, ma incidano sullo stesso in misura rilevante, il piano modificato dovrà essere qualificato alla stregua di un nuovo piano. La conseguenza di ciò è che il piano necessita di una nuova e ulteriore attestazione. In tale ottica, nel caso di piani di risanamento complessi, aventi un arco temporale di esecuzione anche di cinque anni, si dovrebbero prevedere una serie di verifiche, a carattere periodico, circa la concreta attuazione del programma da affidare ad un advisor, non quindi all'attestatore (Patti, 85 ss.). Riassumendo, gli incentivi del piano di risanamento sono tre: l'esenzione dall'azione revocatoria; l'esimente rispetto ai reati di bancarotta semplice e bancarotta preferenziale e, da ultimo, il beneficio fiscale della non tassabilità delle plusvalenze che conseguono all'esecuzione del piano (a condizione che questo venga pubblicato). Non è prevista la prededuzione dei finanziamenti erogati per l'esecuzione del piano, come avviene nel caso del concordato o dell'accordo di ristrutturazione del debito. Sotto altro profilo può affermarsi che le soluzioni stragiudiziali, quindi i concordati stragiudiziali e i piani di risanamento, sono molto vantaggiosi per tempo e per costi rispetto agli strumenti di composizione della crisi che prevedano il ricorso all'Autorità giudiziaria. A ciò si aggiunga che tali soluzioni assicurano maggiore riservatezza, visto che il rispetto di adempimenti pubblicitari è del tutto eventuale e previsto per avere accesso ai benefici fiscali di cui si è detto. A fronte di tali vantaggi vi sono una serie di benefici che lo strumento del piano di risanamento non apporta. Innanzitutto i piani attestati non apprestano l'“ombrello protettivo» tipico di altri strumenti. In secondo luogo, a proposito dell'art. 217-bis l. fall., si discute se in ipotesi di successivo fallimento l'esistenza di un piano consenta ex se di escludere la configurabilità di tali delitti, oppure se il giudice penale possa sindacare la correttezza del piano e della relativa attestazione (Mucciarelli, 860; contra Guerrieri, 393). Inoltre i debiti contratti, con particolare riferimento ai finanziamenti per la predisposizione o per l'esecuzione del piano, non sono prededucibili (Bonfatti, 15 ss.). Ulteriormente, nell'ipotesi in cui venga varato un piano, non trovano applicazioni le previsioni derogatorie dell'art. 182-sexies l. fall., secondo cui sono sospesi gli obblighi gravanti sugli amministratori in caso perdita o di riduzione del capitale sociale. Vero è, d'altra parte, che sia il concordato preventivo sia gli accordi di ristrutturazione producono effetti più invasivi rispetto a quelli di un piano di risanamento (Guerrieri, 396) I piani di risanamento quindi presentano sia dei vantaggi che svantaggi. Tra i vantaggi si può certamente annoverare il fatto che, a differenza del concordato preventivo e, ancorché in misura minore, degli accordi di ristrutturazione, l'imprenditore conserva integramente le proprie prerogative. A ciò si aggiunga la maggiore riservatezza garantita dal piano di risanamento. Quanto agli svantaggi, come peraltro già notato, il piano di risanamento non esplica alcuno degli effetti protettivi tipici degli altri strumenti di risoluzione della crisi imprenditoriale, né i crediti sorti in tale frangente sono prededucibili. In tale contesto non è neppure possibile ricorrere alla transazione fiscale, diversamente da quanto avviene nel caso del concordato preventivo e degli accordi di ristrutturazione dei debiti. Si ritiene poi che non trovino applicazione le disposizioni dell'art. 182-sexies l. fall. già richiamato. Da ultimo non è possibile fare applicazione dell'art. 101, comma 5, TUIR, secondo cui chi ha consentito alla riduzione dei crediti nella procedura di concordato può usufruire della deducibilità fiscale delle perdite su crediti (Ambrosini-Aiello, 11). Si segnala però che tale posizione non è condivisa dalla totalità della dottrina (Bonivento, 14). La posizione che depone per l'inapplicabilità dell'art. 101 TUIR si fonda sulle norme relative al concordato preventivo e agli accordi di ristrutturazione dei debiti e non al piano attestato (Terenghi, 8 ss.). Il professionista attestatore e la sua attivitàIl professionista chiamato ad attestare il piano deve essere designato dal debitore e soddisfare due requisiti: a) essere nel iscritto nel registro dei revisori contabili; b) possedere i requisiti di cui all'art. 28, lett. a) e b) della legge fallimentare. Detta norma alla lett. a) individua quali professionisti aventi titolo ad essere nominati avvocati, dottori commercialisti, ragionieri e ragionieri commercialisti mentre alla lett. b) indica gli studi professionali associati o società tra professionisti, sempre che i soci delle stesse abbiano i requisiti professionali di cui alla lettera a). Per effetto di tale previsione sono da ritenere escluse le società di revisione. Si è osservato in proposito che i requisiti soggettivi devono sussistere al momento dell'attestazione del piano: pertanto se l'attestazione o la relazione sono state sottoscritte da una persona che aveva i requisiti al momento in cui gli è stato conferito l'incarico, ma che li abbia successivamente persi, l'attestazione è invalida (Ceccherini, 301). Come risulta dall'art. 67, comma 3, lett. d), il professionista che procede ad attestare il piano deve essere indipendente e tale qualificazione ricorre quando il professionista non è legato all'impresa e a coloro che hanno interesse all'operazione di risanamento derivante da rapporti di natura personale o professionale. La nozione di indipendenza dell'attestatore riguarda quindi tanto i rapporti di natura professionale, quanto quelli di natura personale. Il carattere di indipendenza riguarda i rapporti tra il professionista e il debitore e tra il professionista e i creditori e comunque tutti coloro che siano interessati all'attestazione del piano. Con interpretazione estensiva è stata fatta rientrare nella nozione d'indipendenza anche l'inesistenza di interessi personali dell'attestatore (Trib. Novara, 27 febbraio 2013). La norma precisa ulteriormente che non vi può essere condizione di indipendenza se il professionista ha svolto attività professionale a favore del debitore o degli altri potenziali interessati nel corso degli ultimi cinque anni. A maggior ragione il professionista non può essere ritenuto indipendente nel caso in cui presti la propria opera contemporaneamente all'espletamento dell'incarico di attestatore. L'indipendenza, come detto, deve sussistere non semplicemente in relazione all'imprenditore, ma anche nei confronti di tutti soggetti in qualche misura interessati alle sorti del primo e quindi all'operazione di risanamento, ovvero creditori, ma anche le persone fisiche componenti degli organi di amministrazione e di controllo o ancora i terzi che stipulano accordi finalizzati al risanamento aziendale (Nardecchia, 490). La nozione d'indipendenza è stata ulteriormente estesa con riguardo a coloro che si trovino nelle condizioni di cui all'art. 2399 c.c. in tema di cause d'ineleggibilità e di decadenza dalla carica di sindaco di società di capitali. Il debitore è ovviamente tenuto a pagare il compenso del professionista e il credito ha natura privilegiata. La misura del compenso dell'attestatore è determinata, secondo le regole generali, dall'accordo tra il professionista ed il cliente. In merito la dottrina ha individuato diverse ipotesi di tipologie di accordi. Può prevedersi che l'ammontare del compenso sia determinato sulla base di criteri oggettivi, ad esempio in considerazione dell'ammontare delle attività o delle passività dell'impresa e quindi indipendentemente dall'esito dell'attestazione. Ovviamente detta soluzione, se da una parte assicura l'assoluta imparzialità dell'opera del professionista, dall'altra può esporre l'impresa al rischio di sostenere costi elevati. Si potrebbe poi prevedere una determinazione a forfait, in considerazione del tempo ritenuto necessario ad espletare l'incarico e questo indipendentemente dall'esito della verifica. Ugualmente potrebbe prevedersi la pattuizione di una retribuzione oraria con compenso finale dato dal tempo effettivamente impiegato. Potrebbe infine pattuirsi un compenso fisso, eventualmente sottoposto al verificarsi di una qualche condizione (Zorzi, 1265). È stato segnalato che sarebbe comunque opportuno prevedere uno specifico obbligo del professionista di informare l'imprenditore nel caso in cui l'attestatore accerti insussistenza dei presupposti per procedere all'attestazione e ciò per evitare di svolgere attività inutili ed essere costretti a remunerarle. In coerenza con tale posizione si è evidenziato che, nel caso in cui l'attività dell'attestatore non rispetti i requisiti di legge, non può essere corrisposto alcun compenso a quest'ultimo (Trib. Firenze, 29 febbraio 2012). L'attestazione del piano di risanamentoIn merito può farsi riferimento alle conclusioni raggiunte dalla dottrina e dalla giurisprudenza rispetto al concordato preventivo e agli accordi di ristrutturazione dei debiti. Come già evidenziato l'art. 67 della legge fallimentare si limita a prescrivere che il professionista indipendente attesti la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano, senza indicare il contenuto specifico della relazione di attestazione, come essa debba articolarsi e quale forma debba presentare (Savioli, 272). Si è osservato ulteriormente che è vero che gli artt. 161 e 182-bis l. fall. fanno riferimento a una «relazione» mentre l'art. 67, comma 3, lett. d) prevede semplicemente l'attestazione, ma è altrettanto vero che l'attestatore deve compiere una serie di precisazioni preliminari circa le sue qualità professionali d'indipendenza, oltre a dover dar conto delle operazioni che ha svolto per pervenire al risultato attestativo, rappresentando la situazione economico-patrimoniale-finanziaria dell'impresa, compiendo una valutazione prognostica accurata e dando spiegazione delle ragioni delle proprie conclusioni. Per tali motivi appare difficile rinvenire differenze tra l'attestazione ex art. 67 e la relazione di attestazione exartt. 161 e 182-bis l. fall. (Guerrieri, 396). Si è dunque detto che la relazione deve essere analitica, dovendo cioè considerare i punti che sono oggetto di verifica, della conseguente attestazione e della completezza, valutando nel complesso la veridicità dei dati contabili e delle prospettive di giungere a una risoluzione della crisi (Trib. Milano, 25 marzo 2010). La verifica dei dati contabili non deve essere limitata a un controllo di carattere puramente formale circa la rispondenza numerica delle poste di bilancio e di contabilità, ma deve spingersi a verificare la situazione effettiva (Trib. Napoli, 4 dicembre 2012). Il professionista deve verificare la sussistenza di tutti gli elementi patrimoniali attivi e passivi e valutandone il loro effettivo valore (Trib. Milano, 18 marzo 2010). La relazione deve pertanto essere coerente e giustificata da un idoneo percorso motivazionale (Trib. Roma 31 luglio 2008). L'attestatore deve considerare la reale consistenza delle passività e delle attività dell'imprenditore che ricorre allo strumento, nel rispetto del principio di prudenza (Trib. Benevento 23 aprile 2013). L'attestatore deve quindi preliminarmente descrivere in maniera adeguata l'attività che ha svolto e poi indicare le motivazioni sulle quali ha fondato le considerazioni e conclusioni (Trib. Bologna 17 febbraio 2009). È poi tenuto a verificare i dati contabili dichiarandone — formalmente e sostanzialmente — la correttezza. Il piano deve quindi recare un'indicazione di idoneità ad assicurare il risanamento, oltre alla sua fattibilità, in modo tale da riequilibrare la situazione economico finanziaria. Prodromica a tali attestazioni è l'attività di verifica sulla correttezza dei dati aziendali, non potendosi recepire passivamente le evidenze della contabilità (Trib. Novara 27 novembre 2012) Infatti la semplice dichiarazione per cui il piano è conforme alle risultanze contabili è inadeguata e finirebbe per snaturare lo scopo dell'attestazione (Trib. Firenze 9 febbraio 2012). In quest'ottica l'attestatore deve compiere le verifiche con diligenza, in coerenza con le regole dettate per l'attività di revisione contabile, ma deve anche esplicitare la metodologia adottata e, conseguentemente, i controlli effettuati (Trib. Monza 22 gennaio 2013). L'attività di accertamento e attestazione compiuta dal professionista deve essere svolta nel rispetto di un generale criterio di effettività e di prudenza, per cui egli deve fare riferimento alla situazione economico-finanziaria-patrimoniale dell'impresa emersa in concreto (Trib. Bari 7 novembre 2005). Nel verificare la praticabilità delle soluzioni devono costituire oggetto di valutazione le condizioni del mercato in cui opera il soggetto imprenditoriale, unitamente alle ragionevoli previsioni sul suo andamento (Trib. Pescara 20 ottobre 2005). Come detto l'attestatore deve determinare l'ammontare delle passività e delle attività. In merito alle passività si devono considerare gli interessi maturati e verificare gli importi dei debiti tramite informazioni assunte presso i creditori, gli istituti bancari e la Centrale dei Rischi e, per quanto concerne i debiti tributari, tramite il «cassetto fiscale». Da ultimo, come ovvio, l'attestatore deve verificare la correttezza delle scritture contabili. Quanto all'attivo il professionista deve verificare l'effettiva titolarità dei beni dell'impresa, verificando i relativi valori attribuiti, oltre all'effettiva esistenza e il probabile realizzo dei crediti. La relazione deve essere adeguatamente motivata e fondata su percorso logico-argomentativo adeguato, a pena della sua inidoneità a produrre l'effetto di esenzione (Trib. Roma 31 luglio 2008). In merito al contenuto dell'attestazione, non sono ammessi giudizi ambigui, né attestazioni contraddistinte da indicazioni cautelative, senza riserve e condizioni (Trib. Terni 28 gennaio 2013). Attestare la veridicità dei dati aziendali significa dichiarare che i dati della contabilità sono esatti, per cui la semplice dichiarazione di conformità dei dati alle risultanze delle scritture contabili non è sufficiente e non assolve alla funzione attestativa. Tale attestazione di veridicità dei dati contabili comporta che il professionista debba procedere a: a) verificare l'esistenza effettiva dei beni costituenti l'attivo patrimoniale; b) stimare il loro valore; c) controllare l'ammontare complessivo dei debiti. Come detto, prima di esporre le proprie valutazioni e di fornire l'attestazione il professionista deve indicare la metodologia di lavoro utilizzata, indicando le operazioni, le verifiche e i controlli eseguiti (Ambrosini-Aiello, 20). Per le verifiche necessarie ai fini dell'attestazione il professionista può ovviamente compiere controlli a campione del magazzino, potendosi avvalere del lavoro svolto da altri verificatori, dotati, al pari dell'attestatore stesso, d'indipendenza e adeguata professionalità (D'Angelo, 83). Il contenuto della relazione passa, in primo luogo, per la verifica della veridicità dei dati. Nello specifico l'attestatore deve relazionare in merito all'attivo patrimoniale e deve riferire del controllo svolto sull'esistenza fisica delle immobilizzazioni indicate e della loro titolarità, della correttezza del valore attribuito e, in caso di dubbi, deve procedere a una nuova stima. Come rammentato dai Principi di Attestazione le stime devono essere eseguite, non a valore di mercato, ma seguendo regole differenti e in particolare: a) se vi sono offerte di acquisto o se vi è comunque un serio interesse di potenziali acquirenti, va indicato detto valore; b) diversamente, deve essere indicato il valore di liquidazione di tali beni. In merito agli eventuali crediti l'attestatore deve verificare la loro effettiva sussistenza, la loro esigibilità e indicare il loro ipotetico valore di realizzo. Nel caso in cui vi siano delle partecipazioni societarie l'attestatore deve effettuare una stima per determinarne il valore. Per le passività l'attestatore deve, prendendo come riferimento le evidenze contabili, controllare la correttezza dei dati da questo posseduto effettuando eventualmente un loro aggiornamento. L'art. 67 l. fall. afferma che non sono soggetti all'azione revocatoria gli atti posti in essere in esecuzione di un piano che appare idoneo a consentire il risanamento della esposizione debitoria dell'impresa e, al contempo, ad assicurare il riequilibrio della sua situazione finanziaria finanziaria (oltre alla già citata Cass. I, n. 3018/2020, si veda Cass. I, n. 5870/2022). Anche la dichiarazione dell'attestatore sull'attuabilità del piano non può essere assertiva (Trib. Siracusa 2 maggio 2012). Deve essere motivata e infatti l'attestatore deve illustrare in maniera esaustiva e logica le motivazioni che fondano la prognosi positiva circa la realizzabilità del piano (Trib. Novara 26 aprile 2010). A tal fine il professionista deve effettuare una valutazione accurata della situazione dell'impresa, sia sotto il profilo finanziario, sia sotto il profilo patrimoniale. È assolutamente necessario che l'attestatore compia una previsione dei flussi di cassa, delle entrate e delle uscite, e, in generale, del fatto che la gestione sia idonea a generare utili oppure perdite. Il giudizio prognostico in ordine alla realizzabilità del piano che si chiede all'attestatore deve estrinsecarsi in una valutazione, dotata di elevato grado di probabilità, in merito al fatto che il piano possa trovare realizzazione. L'attestatore deve quindi effettuare un duplice giudizio, di idoneità e di attuabilità. Il giudizio di idoneità si caratterizza per essere un giudizio astratto, mentre il giudizio di attuabilità è dotato di maggiore concretezza (Zorzi, 1247). Tali due caratteristiche devono quindi ricorrere contemporaneamente, ben potendo esservi il caso di un piano realizzabile, ma inidoneo al raggiungimento dello scopo di risolvere la crisi. Di contro ben potrebbe esservi un piano idoneo a risolvere la crisi, ma concretamente irrealizzabile. In giurisprudenza vi è chi ha affermato che l'attestazione è incompatibile con soluzioni possibiliste e condizionate (Trib. Pordenone 13 gennaio 2010). Altri hanno evidenziato che la realizzazione delle condizioni deve essere considerata molto probabile e che in difetto l'attestatore deve prevedere soluzioni alternative (Trib. Palermo 31 maggio 2011). Se l'attestazione è viziata — perché ad esempio l'attestatore è privo della qualifica professionale necessaria o dell'indipendenza, oppure perché manca la dichiarazione attestativa o anche questa è formulata in termini negativi e/o dubitativi o addirittura sia falsa — la conseguenza di tale invalidità è la mancata produzione dell'effetto esentativo. Questione molto importante è se il giudice possa verificare il contenuto dell'attestazione e, eventualmente accertata l'esistenza di vizi, possa contestare la validità del piano attestato con la conseguente inapplicabilità delle norme di cui si è detto. Cass. I, n. 6508/2023, ha in proposito affermato che il giudice investito di una domanda o di un'eccezione di revocatoria è tenuto a valutare, secondo una prospettiva ex ante, parametrata sulla condizione del terzo contraente che faccia valere l'esenzione, l'idoneità del piano nei limiti dell'assoluta ed evidente inettitudine del piano medesimo. Anche secondo una parte della dottrina il Tribunale ha facoltà di vagliare il piano di risanamento laddove adito in sede di revocatoria (De Vita, 25). Alla medesima conclusione dovrebbe giungersi nell'ambito di un processo penale in cui sia contestata la bancarotta semplice o preferenziale (Guerrieri, 396). Detta verifica si estrinsecherebbe in una prognosi postuma, una valutazione ex post compiuta tenendo conto della situazione esistente al momento della formazione del piano e della sua attestazione (Demarchi, 15). Altra parte della dottrina, negando tale conclusione, ha osservato che la finalità perseguita è quella di rendere intangibili gli atti che sono compiuti una volta che sia stato attestato il piano e che, quindi, la possibilità di sindacare gli atti di esecuzione sulla base di eventi sopravvenuti, così come di valutazioni postume, contrasterebbe con tale funzione. Ammettere un vaglio giudiziale successivo sulla validità ed efficacia del piano attestato esporrebbe il debitore e terzi al rischio della revocatoria degli atti compiuti e dell'imputazione per bancarotta semplice e preferenziale, così, di fatto, privando del suo effettivo scopo, l'istituto (Guerrieri, 390). BibliografiaAbete, La predisposizione del piano attestato e degli accordi di ristrutturazione dei debiti, in Fall. 2014; Ambrosini, Aiello, I piani attestati di risanamento: questioni interpretative e profili applicativi, in ilcaso.it, 11 Giugno 2014; Bonfatti, Gli incentivi alla composizione negoziale delle crisi d'impresa: uno sguardo d'insieme, in Bonfatti, Falcone (a cura di), Le procedure di composizione negoziale delle crisi e del sovraindebitamento, Milano, 2014; Bonfatti, Atti a titolo oneroso, pagamenti e garanzie, in Fallimento e altre procedure concorsuali, Fauceglia, Panzani (diretto da), Torino, 2009, I; Briolini, Questioni irrisolte in tema di piani di risanamento e di accordi di ristrutturazione dei debiti. Appunti sugli artt. 2467 e 2497-quinquies c.c. e sull'art. 182-quater l. fall., in Banca, borsa, tit. cred. 2012, I; Capobianco, Gli accordi stragiudiziali per la soluzione delle crisi d'impresa. Profili strutturali e funzionali e conseguenze dell'inadempimento del debitore, in Banca, borsa, tit. cred. 2010; Ceccherini, La qualificazione, l'indipendenza e la terzietà del professionista attestatore negli istituti concorsuali di gestione delle crisi d'impresa e le diverse tipologie di relazioni o attestazioni, in Dir. fall. 2011; Costa, Esenzione dall'azione revocatoria e prededuzione nelle procedure stragiudiziali di risanamento delle imprese, in Dir. fall. 2010, I; D'Angelo, I piani attestati ex art. 67, comma 3, lett. d, l. fall.: luci ed ombre a seguito del Decreto «sviluppo», in Giur. comm. 2014; Demarchi, I piani attestati di risanamento ex art. 67 legge fallimentare. Tentativo di ricostruzione di un istituto non tipizzato a partire dai suoi effetti in caso di fallimento, in ilcaso.it, n. 189/2010; De Vita, L'evoluzione normativa degli accordi di ristrutturazione dei debiti e le incertezze processuali nel relativo giudizio di omologazione, in judicium.it, 13 novembre 2012; Ferro, Art. 67, co. 3, lett. d). Il piano attestato di risanamento, in Ferro (diretto da), La Legge fallimentare. Commentario teorico-pratico, Padova, 2011; Guerrieri, Il controllo giudiziale sui piani attestati, in Giur. comm. 2012; Meo, in Trattato delle procedure concorsuali, Ghia, Piccininni, Severini (a cura di), IV, Torino, 2011; Mucciarelli, Stato di crisi, piano attestato, accordi di ristrutturazione, concordato preventivo e fattispecie penali, in Riv. trim. dir. pen. econ. 2009; Nardecchia, Commento ad art. 182 bis, in Il fallimento e le altre procedure concorsuali, Panzani (diretto da), IV, Torino, 2014; Patti, Crisi d'impresa e ruolo del giudice, Milano, 2009; Savioli, L'attestazione del professionista nelle procedure di composizione negoziale delle crisi d'impresa, in Fall. 2010; Tarolli, I contratti per la ristrutturazione dei debiti, in Giur. comm. 2014, I; Terenghi, I piani di risanamento dopo le modifiche: hanno ancora un futuro?, in Ilfallimentarista.it, 2012; Zorzi, I finanziamenti alle imprese in crisi e le soluzioni stragiudiziali (piani attestati e accordi di ristrutturazione), in Giur. comm. 2009. |