Regio decreto - 16/03/1942 - n. 267 art. 162 - Inammissibilita' della proposta 1 2 .
Il Tribunale puo' concedere al debitore un termine non superiore a quindici giorni per apportare integrazioni al piano e produrre nuovi documenti. Il Tribunale, se all'esito del procedimento verifica che non ricorrono i presupposti di cui agli articoli 160, commi primo e secondo, e 161, sentito il debitore in camera di consiglio, con decreto non soggetto a reclamo dichiara inammissibile la proposta di concordato. In tali casi il Tribunale, su istanza del creditore o su richiesta del pubblico ministero, accertati i presupposti di cui agli articoli 1 e 5 dichiara il fallimento del debitore. Contro la sentenza che dichiara il fallimento e' proponibile reclamo a norma dell'articolo 18. Con il reclamo possono farsi valere anche motivi attinenti all'ammissibilita' della proposta di concordato. [1] Articolo sostituito dall'articolo 12, comma 4, del D.Lgs. 12 settembre 2007 n.169, con la decorrenza indicata nell'articolo 22 del medesimo D.Lgs. 169/2007. [2] La Corte costituzionale, con sentenza 27 giugno 1972, n. 110, aveva dichiarato l'illegittimità costituzionale del primo comma del precedente articolo, nella parte in cui non prevedeva che il tribunale, prima di pronunciarsi sulla domanda di ammissione alla procedura di concordato preventivo, doveva ordinare la comparizione in camera di consiglio del debitore per l'esercizio del diritto di difesa. InquadramentoLa norma in esame, così come il successivo art. 163 l. fall., affronta il tema centrale della valutazione di ammissibilità della proposta concordataria da parte del tribunale. Mentre la questione del perimetro valutativo affidato al controllo giudiziale sarà affrontata nel commento al successivo articolo, in questa sede viene in rilievo il tema della concessione del termine di 15 gg., che il tribunale può assegnare per sanare mancanze, produrre documenti, rendere chiarimenti in ordine alla proposta concordataria avanzata. Va ricordato che la previgente formulazione dell'art. 162 l. fall. era stata oggetto di una dichiarazione di incostituzionalità (Corte Cost. n. 110/1972) nella parte in cui non prevedeva che il tribunale, prima di pronunciarsi sull'ammissibilità della proposta concordataria, disponesse la convocazione del debitore al fine di consentirgli di esercitare il proprio diritto di difesa. Si discute se la nuova formulazione della disposizione renda in ogni caso necessaria la convocazione formale del debitore in un'apposita udienza in camera di consiglio. La norma letteralmente impone detto incombente soltanto laddove appaia prevedibile una pronuncia di inammissibilità. Tale tesi (che porta a ritenere superflua la convocazione in caso di provvedimento positivo) ha il pregio di collegarsi ai principi generali del processo civile, in particolare all'art. 101 c.p.c., che pone una stretta correlazione fra rispetto del principio del contraddittorio e divieto di provvedimenti della «terza via». Poiché, infatti, la pronuncia di inammissibilità in questa fase iniziale si pone quasi sempre come espressione del rilievo officioso di mancanze o motivi di inammissibilità, appare doveroso che il debitore sia posto in grado di difendersi e, magari, replicare alle eventuali censure espresse dal giudice. Non così, a rigore, nell'ipotesi di provvedimento de plano di ammissione, pur se la prassi registra molto spesso — anche in tale ipotesi — la fissazione di una udienza. La formale convocazione in udienza, in caso di rilievi negativi e di concessione del termine di cui all'art. 162 comma 1 l.fall. appare, inoltre, tanto più opportuna al fine di consentire la comunicazione degli atti al pubblico ministero, così da consentirgli di rendere, se ritiene, le proprie conclusioni. Nel caso in cui sia pendente una istanza di fallimento, allora la fissazione dell'udienza andrà comunicata anche al creditore istante. La concessione del termine di cui all'art. 162, comma 1 l. fall., all'esito della fase preconcordataria è stata ritenuta un principio di carattere generale applicabile anche nel caso in cui il debitore, invece che depositare il piano e la richiesta di ammissione alla procedura di concordato, preferisca ricorrere alla richiesta di omologazione di un accordo di ristrutturazione dei debiti, ritenuto così un istituto del diritto concorsuale. In questi termini la nota Cass. I, n. 9087/2018, secondo cui l'accordo di ristrutturazione dei debiti di cui all'art. 182-bis l. fall. rientra nel novero delle «procedure concorsuali». Ne discende che — data la matrice comune dei due istituti dell'accordo di ristrutturazione dei debiti e del concordato preventivo — è applicabile anche all'accordo di ristrutturazione dei debiti, quand'anche in via analogica o estensiva, l'art. 162, comma 1 l.fall. dettato per la procedura di concordato preventivo il quale consente al Tribunale, nell'esercizio di un proprio potere discrezionale, di concedere al debitore un termine non superiore a quindici giorni per apportare integrazioni o produrre nuovi documenti. (Nel caso di specie l'impresa poi fallita, a seguito di una domanda di concordato preventivo con riserva, aveva presentato per l'omologazione un accordo di ristrutturazione dei debiti chiedendo, all'udienza fissata per l'omologazione, la fissazione di nuova udienza o la concessione di un breve termine per raccogliere la preannunciata adesione di un soggetto, cui era stata condizionata l'adesione all'accordo da parte di una larga maggioranza di creditori. Il Tribunale aveva dichiarato inammissibile la domanda di omologazione, non concedendo il predetto termine, e aveva dichiarato il fallimento dell'impresa. La Corte di Cassazione, con un'ampia disamina sulla natura degli accordi di ristrutturazione, ha accolto il ricorso dell'impresa avverso la sentenza della Corte d'Appello che aveva confermato il fallimento, sulla base della considerazione che la Corte d'Appello aveva scorrettamente ritenuto non applicabile all'accordo di ristrutturazione dei debiti il primo comma dell'art. 162 l. fall., negandone la natura di procedura concorsuale). Ha affermato Cass. I, n. 5479/2018, che in tema di concordato preventivo, il tribunale può emettere, nell'ambito del procedimento ex art. 162 l.fall., provvedimenti di rigetto o di improcedibilità della proposta formulata dal debitore anche al di fuori delle ipotesi di violazione dei requisiti formali di cui agli art. 160, commi 1 e 2, e 161, l. fall., ogniqualvolta venga a conoscenza di atti che costituiscono violazione di regole di natura sostanziale (nella specie, pagamenti ritenuti lesivi della par condicio creditorum); in tal caso, il decreto di rigetto o di improcedibilità, in assenza della contestuale dichiarazione di fallimento, non ha carattere decisorio e non è pertanto suscettibile di ricorso straordinario per cassazione ex art. 111, comma 7, Cost. Peraltro, si è ritenuto che, qualora il tribunale intenda procedere alla dichiarazione di inammissibilità della proposta di concordato preventivo, lo stesso può procedere all'audizione del debitore nell'ambito di eventuali istanze di fallimento, data la stretta connessione tra i due procedimenti (così Cass. I, n. 11423/2014). Il termineLa giurisprudenza e dottrina prevalenti ritengono che la concessione di tale termine sia frutto di una valutazione discrezionale. Non manca una corrente di pensiero che, tuttavia, ritiene che la concessione di tale termine, soprattutto a fronte di mancanze puramente formali, sia doverosa. Va al riguardo osservato che seppur la giurisprudenza afferma ripetutamente il carattere discrezionale di questo termine, in concreto, la sua concessione appare quasi sempre seguita, salvo il caso in cui la proposta sia affetta da così radicali difformità rispetto alla fattispecie legale di riferimento che la loro sanatoria sarebbe conseguibile unicamente attraverso non dei semplici chiarimenti, ma con la formulazione di una nuova proposta. Il tema si intreccia altresì con l'eventuale presenza di istanze di fallimento, circostanza che naturalmente può incidere sulla valutazione della proposta quale semplice espediente dilatorio, piuttosto che reale forma di composizione della crisi che — magari — necessita soltanto di alcune integrazioni per risultare pienamente ammissibile. Altra questione concerne il carattere perentorio o meno del termine una volta che sia concesso. Anche qui l'orientamento prevalente è nel senso di considerare il termine ordinatorio, in assenza di una disposizione che delinei delle vere e proprie decadenze. Come tutti i termini ordinatori, peraltro, la sua scadenza senza preventiva (e motivata) richiesta di proroga, ne trasforma la natura in termine perentorio (cfr. art. 154 c.p.c.). La concessione al proponente il concordato di un termine non superiore a 15 giorni per apportare integrazioni al piano e produrre nuovi documenti costituisce non un dovere ma una facoltà (espressione della condizione di favore che il legislatore ha inteso riconoscere alle procedure concorsuali minori) di cui il tribunale può a sua discrezione avvalersi quando ritenga che le lacune riscontrate, per la loro entità e consistenza, possano essere agevolmente colmate, in modo da consentire il superamento del vaglio dell'ammissibilità e di dar seguito alla proposta. Pertanto, rispetto all'esercizio di tale potere, il debitore non è titolare di alcun diritto, mentre resta fermo l'obbligo a suo carico di corredare la richiesta di concordato di tutta la documentazione necessaria, in conformità a quanto prescritto dall'articolo 161 l.fall. (Va notato che nel caso deciso da Cass. I, n. 12549/2014, la Corte ha ritenuto infondata la censura di nullità del provvedimento con il quale il Tribunale ha dichiarato inammissibile la proposta di concordato per aspetti diversi da quelli esposti nella richiesta di chiarimenti al debitore). La stessa sentenza ha poi osservato che il presupposto per il corretto esercizio del nuovo compito assegnato ai creditori di valutare la convenienza economica della proposta di concordato senza l'intervento tutorio del giudice deve essere individuato nella completezza e nell'affidabilità della documentazione prodotta (illustrata ed interpretata dal professionista attestatore e, quindi, dal commissario giudiziale), posto che solo una puntuale conoscenza della situazione realmente esistente può consentire loro di esprimere consapevolmente il giudizio che sono chiamati a formulare. Decreto di inammissibilità e rapporti con il fallimentoL'art. 162 l. fall., coerentemente con l'abolizione della dichiarazione di fallimento d'ufficio, prevede che alla pronuncia di inammissibilità della domanda di concordato preventivo segua la dichiarazione di fallimento soltanto in caso di domanda, avanzata da uno dei creditori o dal p.m. (la terminologia non coincidente della norma, che parla di «istanza» del creditore e di «richiesta» del pubblico ministero viene generalmente considerata irrilevante, pur se una differenza può cogliersi nel fatto che il p.m. potrebbe limitarsi a formulare la propria richiesta a verbale d'udienza, mentre il creditore dovrà comunque depositare un ricorso a mezzo legale). Superando le incertezze iniziali della dottrina, la giurisprudenza ritiene che il p.m. sia pienamente legittimato a richiedere il fallimento anche se sia stato notiziato dell'insolvenza soltanto con la comunicazione del decreto di concessione del termine di 15 gg. per integrare la proposta, previsto dal comma 1 della norma in commento. Inoltre, nel caso in cui il debitore abbia già avuto modo di prendere posizione nell'ambito della procedura concordataria, si ritiene non debba essere sentito nuovamente, per una seconda volta, sull'istanza di fallimento, potendo prefigurarsi tale conseguenza quale esito «infausto» della stessa procedura concordataria. Il tema dei rapporti fra concordato preventivo e procedimento pre-fallimentare è stato oggetto della fondamentale decisione resa da Cass. S.U. n. 9935/2015, secondo cui in pendenza di un procedimento di concordato preventivo, sia esso ordinario o con riserva, ai sensi dell'art. 161, comma 6, l. fall., il fallimento dell'imprenditore, su istanza di un creditore o su richiesta del P.M., può essere dichiarato soltanto quando ricorrono gli eventi previsti dagli artt. 162, 173, 179 e 180 l. fall. e cioè, rispettivamente, quando la domanda di concordato sia stata dichiarata inammissibile, quando sia stata revocata l'ammissione alla procedura, quando la proposta di concordato non sia stata approvata e quando, all'esito del giudizio di omologazione, sia stato respinto il concordato; la dichiarazione di fallimento, peraltro, non sussistendo un rapporto di pregiudizialità tecnico-giuridica tra le procedure, non è esclusa durante le eventuali fasi di impugnazione dell'esito negativo del concordato preventivo. Come già osservato, Cass. I, n. 5479/2018, ha ritenuto che il decreto di rigetto o di improcedibilità, in assenza della contestuale dichiarazione di fallimento, non abbia carattere decisorio e non sia pertanto suscettibile di ricorso straordinario per cassazione ex art. 111, comma 7, Cost. Ancora, sempre in tema di concordato preventivo, si è notato che l'ammissione alla procedura impedisce la proposizione di una ulteriore ed autonoma domanda di concordato rispetto a quella originaria, poiché, rispetto al medesimo imprenditore ed alla medesima insolvenza, il concordato non può che essere unico, sicché, a seguito della rinuncia alla prima domanda di concordato e della presentazione di una nuova proposta, il tribunale non è tenuto, a norma dell'art. 162 l. fall., a sentire il debitore prima di dichiarare l'inammissibilità di quest'ultima e contestualmente pronunciare, ove il P.M. ne abbia formulato la richiesta, l'eventuale fallimento del proponente (così Cass. I, n. 495/2015). La già citata Cass. I, n. 9087/2018 ha ricapitolato un vero e proprio «decalogo» dei rimedi impugnatori in campo concordatario, affermando che il quadro dei mezzi impugnatori nelle procedure di concordato preventivo e di accordo di ristrutturazione dei debiti è così composto: I) i provvedimenti di inammissibilità ex art. 162, comma 2 o di revoca ex art. 173 l. fall., resi dal tribunale sono — se autonomamente considerati — inoppugnabili, in quanto non reclamabili (v. art. 162 l. fall.) né ricorribili in Cassazione ex art. 111 Cost., per difetto del requisito della decisorietà; II) i provvedimenti positivi o negativi resi dal tribunale nei procedimenti di omologazione hanno natura decisoria (in quanto contenziosi idonei al giudicato) ma non sono direttamente ricorribili per cassazione, in quanto non definitivi (essendo reclamabili ex art. 183 e 182-bis, comma 5 l. fall.); III) i provvedimenti di natura decisoria, positivi o negativi, resi in sede di reclamo sono assoggettabili a ricorso straordinario per cassazione, in quanto definitivi; IV) l'impugnazione della sentenza di fallimento può essere formulata anche con censure rivolte esclusivamente contro la presupposta dichiarazione di inammissibilità della domanda di concordato preventivo; V) i motivi di impugnazione autonomamente proposti contro il diniego di omologazione debbono essere necessariamente riproposti contro la sentenza di fallimento poiché «il giudizio di reclamo ex art. 18 l. fall. assorbe l'intera controversia relativa alla crisi d'impresa»; VI) la sopravvenuta dichiarazione di fallimento rende inammissibili — e se già proposte improcedibili — le impugnazioni autonomamente proponibili contro il rigetto della domanda di omologazione. 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