Codice Civile art. 2467 - Finanziamenti dei soci 1 2 .[I]. Il rimborso dei finanziamenti dei soci a favore della società è postergato rispetto alla soddisfazione degli altri creditori [e, se avvenuto nell'anno precedente la dichiarazione di fallimento della società, deve essere restituito]3. [II]. Ai fini del precedente comma s'intendono finanziamenti dei soci a favore della società quelli, in qualsiasi forma effettuati, che sono stati concessi in un momento in cui, anche in considerazione del tipo di attività esercitata dalla società, risulta un eccessivo squilibrio dell'indebitamento rispetto al patrimonio netto oppure in una situazione finanziaria della società nella quale sarebbe stato ragionevole un conferimento.
[1] V. nota al Capo VII. A norma dell'articolo 1, comma 239, l. 27 dicembre 2017, n. 205, il presente articolo non si applica alle somme versate dai soci alle cooperative a titolo di prestito sociale. [2] In tema di misure urgenti per garantire la continuità delle imprese colpite dall'emergenza covid-19, v. art. 8 d.l. 8 aprile 2020, n. 23, conv. con modif., in l. 5 giugno 2020, n. 40, che prevede che: « Ai finanziamenti effettuati a favore delle società dalla data di entrata in vigore del presente decreto e sino alla data del 31 dicembre 2020 non si applicano gli articoli 2467 e 2497-quinquies del codice civile». [3] L'art. 383, comma 1, d.lgs. 12 gennaio 2019, n. 14 ha disposto la soppressione delle parole «e, se avvenuto nell'anno precedente la dichiarazione di fallimento della società, deve essere restituito.». Tale disposizione, ai sensi dell'art. 389, comma 1, d.lgs. cit., come da ultimo sostituito dall'art. 5, comma 1, d.l. 8 aprile 2020, n. 23, conv. con modif., in l. 5 giugno 2020, n. 40 e, da ultimo, sostituito dall'art. 1, comma 1, lett. a) d.l. 24 agosto 2021, n. 118, conv., con modif., in l. 21 ottobre 2021, n. 147 e, da ultimo, sostituito dall'art. 42, comma 1, lett. a), d.l. 30 aprile 2022, n. 36, conv., con modif., in l. 22 giugno 2022, n. 79, è entrata in vigore il 15 luglio 2022, salvo quanto previsto al comma 2 del citato decreto. InquadramentoNell'ambito del diritto societario (o della materia societaria che dir si voglia), ma, soprattutto, della pratica o prassi societaria, ricorre spesso l'espressione «versamenti dei soci» o, forse ancora più diffusamente, «versamenti soci». Tali versamenti sarebbero fatti, in buona sostanza, dai soci medesimi nei confronti della società, sfruttando, in estrema sintesi, la duplicazione soggettiva che riguarda socio e società. Pur partecipando il primo alla seconda indubbia sarebbe la c.d. alterità soggettiva che caratterizza questa relazione. Prima di verificare quale possa essere il rilievo giuridico da assegnare a questa espressione, qualche precisazione merita, tuttavia, in queste battute iniziali, l'espressione «versamento». Tale sintagma allude, evidentemente, ad un rapporto finanziario il quale, a sua volta, è rappresentato da una forma di passaggio di denaro da un soggetto (in questo caso il socio) ad un altro soggetto, o, forse più correttamente, ad un'altra entità soggettiva (la società). Il termine versamento, occorre precisare, pare ad ogni modo neutro da un punto di vista che potremmo definire funzionale in quanto non vale a illustrare il motivo, la ragione oggettiva e concreta, per cui il versamento medesimo viene effettuato. Utilizzando una terminologia cara alla civilistica tradizionale, il termine «versamento» non sembra dire nulla rispetto a quale sia la funzione economico-individuale dello stesso. La neutralità del termine non ci disvela nulla, in altre parole, rispetto all'operazione e all'utilità che si cela dietro la realizzazione del versamento. Astrattamente, tuttavia, ed a una prima analisi, le erogazioni che stiamo esaminando e sulle quali ci soffermeremo più nel dettaglio nel prosieguo dell'analisi possono essere effettuate o in ragione di un intento di finanziamento, avvicinandosi in questo modo in maniera decisiva al prestito (e, in questo caso, avvicinandosi al contratto di mutuo), ovvero in ragione della volontà di irrobustire, di rendere più importante in maniera sensibile il patrimonio (oltre che quindi la struttura finanziaria) della società; ciò senza procedere ad un aumento del capitale sociale. Queste ultime osservazioni consentono di iniziare a tratteggiare qualche più precisa e puntuale considerazione su quale sia la funzione economico-individuale applicabile o meglio riconducibile al versamento concretamente effettuato dal socio nei confronti o a favore della società. Fatta questa indispensabile premessa, ci soffermeremo, nelle pagine e nei paragrafi a seguire, sulle principali distinzioni che attengono alla categoria dei cc.dd. versamenti soci e, quindi, a quelli aventi natura di finanziamento e a quelli funzionali alla realizzazione di veri e propri conferimenti di patrimonio. I versamenti con funzione di finanziamentoNel caso in cui i soci effettuino dei versamenti a titolo di finanziamento, ciò non produrrà effetti esclusivamente sulla qualificazione giuridica del rapporto in essere fra socio e società, ma tali erogazioni dovranno figurare in bilancio fra le passività. La voce di bilancio impiegata sarà quindi «Debiti» e la società dovrà restituire tali medesimi versamenti ai soci in un lasso di tempo più o meno lungo sulla base di quello che si è convenuto fra le parti di questa relazione (sul tema De Angelis, 15 e ss.). Occorre precisare che ai fini della qualificazione dei versamenti richiamati nei termini di «finanziamenti» non è necessaria la previsione della corresponsione di interessi da parte della società e a favore di quei soci o di tutti i soci che abbiano effettuato i versamenti in esame. In altri termini, il carattere corrispettivo della prestazione di finanziamento non è un presupposto imprescindibile ai fini del riconoscimento della presenza della fattispecie qui in esame. Esistono, infatti, precisi dati normativi che attestano l'ammissibilità di «prestiti cc.dd. infruttuosi»; tali spunti emergono, oltre che dalla legislazione ordinaria, anche dal c.d. diritto tributario; quanto al primo ambito normativo precisi riferimenti in tal senso provengono ad esempio dagli artt. 1282, 1815 e 1816 c.c. Dall'art. 1282 c.c. può desumersi infatti il principio in forza del quale, pur dovendosi riconoscere che i crediti liquidi ed esigibili sono in grado di produrre interessi di pieno diritto, tale effetto può essere escluso, oltre che dalla legge, anche dal titolo; in altri termini, è nel c.d. potere di autonomia privata delle parti del rapporto qui in esame stabilire la previsione o meno della corrispettività per la prestazione in oggetto. A medesime conclusioni si deve giungere attraverso l'analisi del testo dell'art. 1815 c.c. in materia di mutuo; da tale disposizione può infatti desumersi che, salvo diversa volontà, il mutuatario deve corrispondere gli interessi al mutuante; anche in questo caso l'effetto che potremmo definire naturale della corresponsione degli interessi può ritenersi escluso nelle ipotesi in cui ci sia un'espressa manifestazione di volontà in questa direzione ad opera delle parti. Se ne inferisce quindi, anche da questa disamina, come la qualificazione della natura giuridica del finanziamento sia rimessa alla libertà delle parti, riguardi, pertanto, oltre che il volere/volontà delle parti, la funzione economico-individuale assolta dal singolo e concreto finanziamento. Infine, un cenno merita anche l'art. 1816 c.c. a tenore del quale nel caso di mutuo gratuito il termine per la restituzione si considera a favore del mutuatario. Per quello che in questa sede interessa, tale disciplina e questo peculiare contenuto precettivo presuppongono, naturalmente, l'ammissibilità del carattere gratuito del mutuo medesimo. Le disposizioni richiamate, anche se lette in maniera sistematica, esprimono un principio unitario, sebbene la differenziazione fra mutuo oneroso e mutuo gratuito ingenera, in molti casi, una diversificazione della disciplina applicabile. Per quanto riguarda la materia più squisitamente tributaria, possono essere richiamati, quali indici rilevanti ai fini della presenta disamina, la Circolare del Ministero delle Finanze Dir. Gen. ii. dd. 21 aprile 1993 n. 7 punto 3.1. lett. A) n. 2 (che prevede anche i cc.dd. finanziamenti a tasso zero) e il Testo Unico delle imposte sui Redditi il quale, in particolare, prescrive la prova scritta all'art. 45, comma 2. Anche la giurisprudenza conferma l'ammissibilità dell'infruttuosità dei prestiti e lo fa non soltanto attraverso pronunce che potremmo definire della magistratura ordinaria, ma anche attraverso la c.d. magistratura tributaria (cfr., quindi, oltre che Trib. Milano 29 settembre 2005, in Soc., 2006, 1133 e ss., C.t.p. Reggio Emilia 17 marzo 1997, n. 55, in Il fisco, n. 15/1997, 4310). Se, quindi, la previsione di un tasso di interesse in grado di rappresentare corrispettivo per l'elargizione del denaro non vale a qualificare tale medesima elargizione nei termini di finanziamento, altro deve essere l'elemento attraverso il quale individuare se l'attribuzione della somma di denaro possa essere considerata quale vero e proprio finanziamento o meno. Tale aspetto è pertanto collegabile alla possibilità di individuare, nella fattispecie concreta, un diritto dei soci alla restituzione dell'erogazione prestata. Quest'ultimo diritto è in grado pertanto di agevolare il processo di sussunzione della fattispecie concreta nel modello del c.d. finanziamento. Irrilevante deve ritenersi a riguardo anche la c.d. postergazione della restituzione del finanziamento rispetto alla realizzazione dei diritti dei creditori sociali; tale postergazione, infatti, un tempo doveva considerarsi ammissibile soltanto quale effetto di un accordo fra le parti; rientrava, quindi, nel potere dell'autonomia delle parti stabilire un tale ordine di soddisfacimento delle differenti categorie di creditori della società. Naturalmente, la nuova formulazione dell'art. 2467 c.c., sulla quale ci soffermeremo ulteriormente nella parte finale di questa trattazione, ha modificato l'assetto normativo previgente, prevedendo, come è noto, come vero e proprio effetto di legge quello della postergazione sin qui richiamata. In particolare, la disposizione sopra menzionata al primo comma disciplina, infatti, l'effetto legale postergazione prevedendo che «il rimborso dei finanziamenti dei soci a favore della società è postergato rispetto alla soddisfazione degli altri creditori e, se avvenuto nell'anno precedente la dichiarazione di fallimento della società, deve essere restituito»; quest'ultimo inciso, ossia l'obbligo di restituzione correlato al fallimento della società, è stato eliminato dall'art. 383, comm1, del d.lgs. 12 gennaio 2019, n. 14, con una norma che, ai sensi dell'art. 389, comma 1, entra in vigore decorsi diciotto mesi dalla data della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale, per l'adeguamento alla disciplina complessiva introdotta da tale decreto che ha eliminato il “fallimento” dalle procedure concorsuale. Al fine di restringere o quanto meno di circoscrivere l'effetto legale di cui sopra il secondo coma chiarisce cosa debba intendersi per «finanziamento soci». Da tale disposizione si evince infatti che «[...] s'intendono finanziamenti dei soci a favore della società, quelli in qualsiasi forma effettuati, che sono stati concessi in un momento in cui, anche in considerazione del tipo di attività esercitata dalla società, risulta un eccessivo squilibrio dell'indebitamento rispetto al patrimonio netto oppure in una situazione finanziaria della società nella quale sarebbe stato ragionevole un conferimento». Qui solo incidentalmente si può osservare che la nozione di finanziamento di cui all'art. 9 comma 5 d.lgs. 123/1998 rinvia a una nozione ampia estesa anche al rilascio di garanzia che tocca la disciplina del finanziamento di destinazione di cui all'art. 2447-decies c.c., declinato nell'ottica del dissesto societario, dell'art. 72-ter l. fall., le operazioni di finanza strutturata, i finanziamenti di soci postergati (e qui oggetto di trattazione) di cui all'art. 2467 c.c., ricomprendenti anche le prestazioni di garanzia, come pure i finanziamenti di cui all'art. 182-quater l. fall. (sul punto di recente D'Orazio, 1378 e ss.). La giurisprudenza ha precisato, in differenti passaggi, che la postergazione legale prevista in materia di società a responsabilità limitata rappresenta in realtà una sorta di principio di diritto la cui applicazione può fuoriuscire dai ristretti margini del modello societario rispetto al quale la riforma si era espressa. In tal modo la postergazione che qui chiamiamo legale risulta applicabile anche alle cc.dd. società per azioni (cfr., fra le altre, Trib. Venezia, decreto 3 marzo 2011 e Trib. Venezia, decreto 21 aprile 2011, entrambi in Fall., 2011, 1349 e ss.). Per mere esigenze di completezza della trattazione, si segnala che l'art. 2497-quinquies c.c. stabilisce una analoga postergazione per il caso di rimborso dei finanziamenti concessi a favore delle società di capitali da chi sulle stesse esercita l'attività di direzione e di coordinamento. I versamenti con funzione di conferimenti di patrimonioDiversa qualificazione deve concernere, invece, i contributi erogati dai soci alla società di cui fanno parte, indipendentemente dalla denominazione che essi assumono. Questi contributi possono essere infatti contributi in conto capitale, a fondo perduto o a copertura di perdite. Da un punto di vista fattuale, possiamo ritenere che tale contribuzione può essere l'effetto, oltre che di versamenti di somme di denaro, di rinunzie a crediti di natura finanziaria e/o commerciale (in dottrina cfr. Giordano, 672 e ss.; De Angelis, 137 e ss.; Maugeri, passim; Tombari, 551 e ss.). La differente qualificazione funzionale derivante dalla impossibilità giuridica di configurare queste attribuzioni nei termini di finanziamenti ha delle ripercussioni che vanno oltre la mera qualificazione civilistica; in altri termini, tale differenziazione, oltre a valere da un punto di vista tassonomico e della differente applicazione della disciplina civilistica, agevola ulteriori valutazioni per ciò che concerne più specificatamente la materia della quale ci stiamo occupando. I contributi qui in esame, infatti, a differenza dei finanziamenti che abbiamo sopra preso in considerazione, devono essere collocati, all'interno delle voci di patrimonio netto, nelle cc.dd. «Altre riserve». Lo stato patrimoniale infatti non prevede una voce specifica per questo tipo di apporto al patrimonio societario. Di fatto queste attribuzioni vengono a far parte del patrimonio della società e fanno parte dei cc.dd. mezzi propri della società, appartenendo a tutta la collettività dei soci; occorre precisare che questa appartenenza si verifica indipendentemente dal fatto che siano stati tutti i soci a contribuire ovvero soltanto alcuni di essi. Naturalmente la medesima conclusione dovrebbe raggiungersi nel caso in cui l'apporto provenisse da parte di tutta la collettività dei soci, ma in misura non proporzionale alle quote di partecipazione di ciascun socio e quindi al potere effettivamente esercitato da ciascun socio all'interno della organizzazione societaria. Possiamo ritenere, in termini riassuntivi, che la differenziazione fra i finanziamenti e i versamenti di cui ci stiamo occupando ora sta anche nello scollamento, che si realizza soltanto nella seconda ipotesi presa in considerazione, dell'attribuzione rispetto a chi la compie: ciò provoca l'attribuzione, sempre nel secondo caso, di un beneficio a vantaggio di tutta la struttura societaria, a prescindere dal o dai soggetti che hanno compiuto l'attribuzione (cfr. anche De Angelis, 17 e ss.). Parte della letteratura giuridica ritiene che l'impiego della riserva sopra menzionata al fine della restituzione ai soci della medesima posta sotto forma di dividendi risulta subordinata alle modalità previste dall'art. 2445 c.c. Secondo tale impostazione, la necessità di salvaguardare, in questa circostanza, le esigenze dei creditori sociali impone di trattare la fattispecie de qua quale vera e propria forma di riduzione volontaria del capitale sociale (cfr., ad esempio, Castellano, 309 e ss.; Galgano, 370 e ss.). L'ipotesi della riduzione di cui all'art. 2445 c.c. si distingue, come è noto, dall'ipotesi di riduzione per perdite; ciò in quanto mentre in quest'ultimo caso vi è soltanto una sorta di adeguamento del capitale sociale nominale al patrimonio reale della società (che risulta già di fatto diminuito prima della deliberazione della riduzione) nel primo caso la riduzione del patrimonio reale è l'effetto proprio della deliberazione di riduzione. Le esigenze che stanno alla base delle due fattispecie qui richiamate paiono pertanto nettamente differenti; mentre in un caso (riduzione del capitale per perdite) la esigenza che pare emergere è una esigenza che potremmo definire lato sensu informativa, cioè di rendere edotta tutta la platea di stakeholders che potrebbe avere concreti interessi di quale sia la reale consistenza patrimoniale della società, nell'altro caso (riduzione volontaria del capitale) le esigenze che la normativa di riferimento tende a proteggere sono quelle legate alla diminuzione reale del patrimonio societario e, quindi, quelle connesse ai creditori societari che alla fine dell'operazione straordinaria evocata potranno soddisfarsi su una minore porzione di patrimonio netto della società. L'O.I.C. nel Principio contabile n. 28 al paragrafo 29 statuisce che «le operazioni [...] effettuate tra la società e i soggetti che esercitano i loro diritti e i loro doveri in qualità di soci [...] hanno natura patrimoniale e quindi i loro effetti sono rilevanti direttamente a patrimonio netto». Quanto sopra statuito può dirsi difficilmente contestabile per quanto concerne in particolare i cc.dd. contributi in conto capitale. Qui solo per inciso, tali contributi sono considerati in maniera non univoca dalla letteratura giuridica specialistica in quanto secondo alcuni rappresentano dei veri e propri conferimenti di patrimonio, mentre secondo altri rappresentano degli apporti spontanei di patrimonio o cc.dd. paraconferimenti. La sopra richiamata scontatezza implica pertanto il collocamento dei contributi evocati all'interno del patrimonio netto e più specificatamente nelle «Altre riserve» della società che risulti beneficiaria dei contributi medesimi. Un differente ragionamento e differenti conclusioni debbono essere invece raggiunte rispetto ai cc.dd. contributi a fondo perduto e in particolare per quelle elargizioni che siano volte alla copertura delle perdite. Tali elargizioni potranno essere iscritte all'interno del c.d. conto economico fra le componenti positive e ciò anche a prescindere dalla presenza di una sorta di contropartita in alcuna posta del c.d. patrimonio netto (cfr. De Angelis, 15 e ss.). Sempre in tema di cc.dd. versamenti in conto capitale, la giurisprudenza più recente conferma che da essi non consegue il diritto del socio al rimborso e che quanto versato viene definitivamente acquisito dal patrimonio della società stessa. Essi - a differenza dei finanziamenti in senso stretto, che comportano un diritto del socio alla loro restituzione anche se questi ceda a terzi la propria partecipazione - sono assimilabili ai conferimenti ed al capitale "di rischio" della società, pertanto, la riserva in tal modo formata ha carattere disponibile ma non sorge un diritto del socio alla sua distribuzione; ne consegue che al di fuori delle ipotesi di liquidazione sociale, non vi può essere per i versamenti in conto capitale, così come anche per il capitale di rischio, una cessione separata e svincolata dalla vendita della quota stessa. L'eventuale restituzione, infatti, è solo eventuale e dipenderà dalla condizione in cui si verserà il patrimonio sociale solo al momento della liquidazione e, in particolare, dalla presenza di valori sufficienti a consentire il rimborso dopo l'integrale soddisfacimento dei creditori sociali. Tuttavia, secondo l'ultima giurisprudenza di legittimità, ove il socio abbia ceduto a terzi, a titolo oneroso, tale credito restitutorio inesistente verso la società, il contratto non sarà affetto da nullità, ma la cessione sarà valida, essendo il terzo cessionario tenuto al pagamento del prezzo - che non diviene indebito - e dunque titolare della garanzia sull'esistenza del credito di cui all'art. 1266, primo comma, c.c. (così, Cass., I, n. 33957/2022). Versamenti in conto aumento capitale e in conto futuro aumento di capitaleUna diversa riflessione deve inoltre riguardare i versamenti in conto aumento capitale e in conto futuro aumento del capitale. A una diversa caratterizzazione funzionale di queste differenti categorie di apporti corrisponde anche un diverso trattamento contabile (differente, naturalmente, rispetto a quello delle elargizioni prese in considerazione sino a qui). Le erogazioni da ultimo richiamate, sebbene nella normalità dei casi rappresentino una sorta di sostegno finanziario nei confronti delle società che le incamerano, non sono sempre oggetto di una sorta di abbandono da parte dei soci e quindi non sempre sono in grado di comportare un reale ed effettivo incremento del patrimonio sociale; questo dato vale a distinguere tali forme di apporto dai contributi in conto capitale. Le erogazioni in esame infatti, in taluni casi, non perdono il collegamento con il soggetto che li eroga, rappresentando una sorta di conferimenti anticipati. Nel caso in cui sia già stato deliberato un aumento di capitale sociale senza che tuttavia sia iniziato a decorrere il termine per la sottoscrizione delle azioni o quote di nuova emissione, le somme versate in anticipo hanno pur sempre carattere di conferimenti e tale caratterizzazione funzionale deve ripercuotersi anche sull'allocazione all'interno del patrimonio netto. Stesso discorso deve farsi per i versamenti in caso di aumento di capitale c.d. scindibile il cui perfezionamento si realizza, come è noto, a prescindere dalla avvenuta, completa sottoscrizione dell'aumento di capitale sociale deliberato. Un differente discorso deve farsi, invece, per il caso in cui l'aumento non sia ancora stato deliberato — in questo caso si tratta evidentemente di un aumento futuro — oppure sia inscindibile; in tal caso le erogazioni fatte non possono ritenersi automaticamente parte del patrimonio netto, ma devono, invece, essere iscritte fra i debiti della società nei confronti di coloro che le abbiano eseguite. In tal caso, infatti, ove non si arrivasse alla deliberazione di aumento del capitale sociale ovvero non si giungesse all'integrale sottoscrizione ed esecuzione (trattandosi, come detto, di aumento inscindibile) dovrebbe riconoscersi il diritto in capo ai soggetti eroganti di chiedere la restituzione delle somme versate (cfr., in letteratura, ad esempio Tronci, 1124 e ss.). I versamenti in conto futuro aumenti di capitale rappresentano, alla luce di quanto abbiamo osservato, conferimenti potenziali che divengono effettivi esclusivamente nel momento in cui vadano a incardinarsi nel c.d. capitale sociale. Vi è quindi una sorte di passaggio graduale e una graduale modificazione del loro regime giuridico inteso come assoggettamento a una determinata disciplina. Conseguentemente, per Cass. I, n. 24093/2023, i versamenti in conto futuro aumento di capitale sono quelle dazioni di danaro dei soci a favore della società che non siano definitivamente acquisite al patrimonio sociale, avendo uno specifico vincolo di destinazione, con la conseguenza che, ove l'aumento non sia operato, il socio avrà diritto alla restituzione di quanto versato, per essere venuta meno la causa giustificativa dell'attribuzione patrimoniale da lui eseguita in favore della società, quale ripetizione dell'indebito. Riepilogando può dirsi che i contributi in conto capitale, così come quelli a fondo perduto e a copertura di perdite, danno vita ad un effettivo accrescimento del patrimonio sociale; in tal caso gli eroganti non hanno nella immediatezza diritto alla restituzione; stesso discorso e quindi stesse conclusioni devono ritenersi valide per le erogazioni in conto aumento di capitali; differente discorso vale invece per i versamenti in conto futuro aumento di capitale; in tal caso vengono a costituirsi dei veri e propri debiti per la società e dei crediti per chi li esegue sino a quando non sia avvenuta la conversione in conferimenti. La letteratura giuridica osserva come «la non corretta contabilizzazione dei versamenti in conto futuro aumento di capitale fra le voci del patrimonio netto può celare talvolta l'intento fraudolento di esporre un valore patrimoniale della società più elevato di quanto effettivamente non sia, così da evitare gli obblighi incombenti agli amministratori in conseguenza dell'erosione del capitale sociale per perdite per oltre un terzo del suo ammontare (artt. 2446 o 2482-bis c.c.) ovvero della riduzione del medesimo, sempre per perdite superiori alla terza parte del suo ammontare, al di sotto del limite legale (artt. 2447 o 2482-ter c.c.); come segnatamente accade allorché, passato il momento della verifica dell'entità del patrimonio sociale, i soggetti eroganti pretendano — ed ottengano da amministratori compiacenti o collusi — la restituzione delle somme versate, trattate appunto dapprima come partite del patrimonio netto e quindi come crediti verso la società» (cfr. De Angelis, 15 e ss.). Il peso della massimazione notarile nella materia in oggettoQualche riflessione deve essere dedicata, a questo punto della trattazione, al peso che le massime notarili possono avere sulla materia oggetto di queste riflessioni. In particolare, occorre individuare tutte quelle ipotesi che trovano una precipua «regolamentazione» all'interno delle cc.dd. massime notarili. Nonostante l'economia di questa trattazione, non può ad ogni modo sottacersi il ruolo e l'importanza che, nell'ambito del diritto societario, sono rivestiti in particolare dalle massime dei consigli notarili nella materia societaria. Ciò in quanto, come è noto, questi provvedimenti si inseriscono in un contesto nel quale le operazioni societarie sono soggette, in ragione delle più recenti riforme, al provvedimento di omologazione da parte della classe notarile. Il passaggio del controllo omologatorio dal giudice al notaio ha prodotto diverse ripercussioni anche a livello di sistema. Il ruolo delle massime notarili e la funzione regolamentativa delle stesse sono così ampiamente auto-evidenti che basta porre mente al fatto che le commissioni che elaborano tali provvedimenti finiscono per indirizzare i notai con riferimento alle principali e più delicate questioni che devono essere poi oggetto dei cc.dd. provvedimenti di omologazione. A titolo meramente esemplificativo, per quel che più interessa in questa sede, possiamo fare riferimento, in primo luogo, alla Massima del Consiglio notarile di Milano (la n. 102 del 25 novembre 2008) ai sensi della quale «è legittima la deliberazione con la quale vengono utilizzate, ai fini di un aumento di capitale gratuito, riserve da capitale formatesi successivamente all'ultimo bilancio approvato (ad esempio, utilizzando una riserva da versamenti a fondo perduto effettuati contestualmente alla assemblea nella quale viene deliberato l'aumento gratuito del capitale sociale)». Un provvedimento di diversa natura, ma anch'esso di certo rilevante, il quesito di impresa n. 560-2014 (Apporti in natura e perizia di stima in CNN Notizie del 13 ottobre 2014) statuisce che «è legittimo pattuire che un determinato apporto del socio fuori capitale non possa essere imputato a capitale in occasione di un futuro aumento gratuito del capitale sociale». Tale provvedimento sembra enfatizzare, in particolare, il ruolo dell'autonomia privata nel contesto della determinazione del rapporto fra apporti dei soci e loro graduazione all'interno dell'assetto patrimoniale societario. In questo caso il ruolo della autonomia privata contribuisce ad escludere l'imputazione a capitale in occasione di un futuro aumento gratuito del capitale sociale. Ad una questione più squisitamente tecnica sembra invece indirizzata la massima n. H.G.4, Aumento di capitale con versamenti soci in conto emessa dal Comitato Interregionale dei Consigli Notarili delle Tre Venezie. Ai sensi di questo provvedimento, infatti, «in caso di aumento di capitale mediante l'imputazione a capitale di versamenti già effettuati dai soci in «conto capitale», non è necessaria la perizia di stima». Per ragioni di completezza espositiva occorre fare riferimento ad almeno altri due provvedimenti che hanno per oggetto la materia della quale ci stiamo occupando: in primo luogo il provvedimento del Consiglio notarile di Milano, Massima n. 125 Aumento di capitale e compensazione di crediti (artt. 2342, 2343, 2343-ter e 2465 c.c.), del 5 marzo 2013. Alla luce di tale provvedimento «se l'aumento di capitale avviene mediante imputazione allo stesso di somme provenienti da crediti derivanti da una operazione commerciale (ad esempio, la vendita di un bene alla società con prezzo dilazionato) e quest'ultima operazione e la liberazione della sottoscrizione dell'aumento di capitale sociale appaiano l'una preordinata all'altra, si rende occorrente l'erezione di una relazione di stima ex artt. 2343, 2343 o 2465 c.c.». Prosegue il medesimo provvedimento mettendo bene in evidenza che: «non può tuttavia escludersi che, allorquando il debito non abbia natura finanziaria, possa risultare evidente l'esistenza di un nesso (di natura temporale o funzionale) tra la delibera di aumento in denaro e l'operazione [...] da cui il debito da compensare origina; in tali ipotesi potrà essere opportunamente valutato se i principi che regolano la corretta formazione del capitale non consigliano l'erezione di una perizia di stima, redatta — a seconda dei casi — ai sensi degli artt. 2343, 2343-ter o 2465, comma 2 c.c. e ciò allorché le due operazioni (compravendita a favore della società con prezzo dilazionato e sottoscrizione dell'aumento in denaro, con compensazione dei due crediti) appaiano costituire [...] una unica operazione (assimilabile ad un conferimento in natura del bene oggetto della compravendita) ed alla quale sia possibile imputare la carenza della formazione della valutazione peritale». Venendo al secondo dei provvedimenti da ultimo richiamati si segnala, in conclusione, l'orientamento del Consiglio notarile di Firenze n. 23/2011, Aumento di capitale mediante compensazione e crediti postergati nella s.r.l.; ai sensi di tale provvedimento «è sempre possibile liberare l'aumento di capitale sottoscritto mediante compensazione con un credito del socio da finanziamento, anche nel caso in cui il termine per il rimborso non sia ancora scaduto». La disciplina di cui all'art. 2467 c.c.: ulteriori riflessioni di sintesiQualche ulteriore considerazione deve essere rivolta, infine, alla disciplina dell'art. 2467 c.c. I due commi della norma, come del resto già accennato, regolamentano, rispettivamente, la postergazione del finanziamento del socio a favore della società (cfr. il primo comma dell'art. 2476 c.c.) e i presupposti ricorrendo i quali si può applicare la postergazione sopra considerata (cfr. il comma 2 dell'art. 2467 c.c.). Tali presupposti vengono definiti dal legislatore attraverso il ricorso a concetti che potremmo definire indeterminati: le formule impiegate sono infatti «eccessivo squilibrio dell'indebitamento rispetto al patrimonio netto» e, inoltre, «situazione finanziaria della società nella quale sarebbe stato ragionevole un conferimento». La estrema genericità delle espressioni portano ad applicare anche a questi concetti (che potremmo definire concetti indeterminati) riflessioni che sono state elaborate nei confronti delle cc.dd. clausole generali. Anche rispetto alle nozioni qui prese in esame si rende necessaria una attività di concretizzazione dei concetti (al fine di delinearne con precisione il perimetro precettivo) che non può che essere rimessa al lavorio dei diversi formanti. La dottrina si è posta il quesito, in particolare, se i due presupposti sopra richiamati debbano essere considerati nei termini di presupposti alternativi o concomitanti che devono cioè ricorrere contestualmente ai fini dell'applicazione del criterio legale di soddisfacimento dei debiti sociali (cfr., ad asempio, Cagnasso, 1142 e ss.; in arg. anche Tombari, 551 e ss.). Si segnala come la giurisprudenza più recente pare aderire a una lettura volta a favorire una interpretazione unitaria dei presupposti tratteggiati dall'art. 2467, comma 2 c.c. Si è a riguardo statuito, innanzitutto, che con riferimento al profilo soggettivo la postergazione opererebbe soltanto riguardo a quei finanziamenti che risultano eseguiti da soggetti muniti della qualità di socio al momento dell'erogazione. Per quanto concerne invece i presupposti sopra richiamati si tende ad aderire ad una lettura il più possibile unitaria del secondo comma dell'art. 2467 c.c.: così accanto alla configurazione del requisito rappresentato dall'eccessivo squilibrio dell'indebitamento rispetto al patrimonio netto nei termini di «rischio di insolvenza» si colloca il riferimento a situazioni nelle quali la ragionevolezza dell'investimento attraverso comportamenti appunto ragionevoli sia non tanto del socio, quanto del finanziatore (cfr. Trib. Roma, sezione specializzata in materia di impresa 10 gennaio 2017, in Riv. dir. impr., 2018, 225 e ss.). La medesima giurisprudenza, con riferimento al tema della postergazione, evidenzia che «la postergazione legale, ponendosi come condizione sospensiva del diritto al rimborso, impone l'inesigibilità da parte del socio del credito e l'obbligo per gli amministratori di non procedere al rimborso» (cfr. sempre Trib. Roma, sezione specializzata in materia di impresa 10 gennaio 2017, in Riv. dir. impr., 2018, 225 e ss., con nota di Bevivino, Presupposti e limiti all'applicazione della disciplina tratteggiata dall'art. 2467 c.c. Alcuni rilievi sull'uso delle massime notarili nell'argomentazione giuridica). Si fa inoltre presente come il medesimo provvedimento ponga bene in evidenza come sia onere della parte che vuol far valere il carattere postergato del finanziamento dimostrare la presenza, nella concreta fattispecie, dei presupposti, soggettivi e oggettivi, utili e necessari ai fini dell'applicazione della disposizione in esame. In questa prospettiva, sempre in ragione di quanto statuito dai giudici, la prova di non riuscire a far fronte a talune obbligazioni societarie non basta a dimostrare il rischio di insolvenza che come già chiarito rappresenta presupposto indispensabile ai fini dell'applicazione della disposizione. In particolare, in ordine al rimborso del finanziamento dei soci, anche la più recente giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. I, n. 12994/2019) ha accolto tale ricostruzione, individuando nella postergazione una condizione di inesigibilità, legale e temporanea, del diritto del socio alla restituzione di quanto concesso, a titolo di finanziamento, in presenza delle situazioni previste dal secondo comma della disposizione. Ove, e fino a quando, queste ultime sussistano, la previsione in commento incide sull'ordine di soddisfazione dei crediti, con la conseguenza che la società sarà tenuta a rifiutare la richiesta di rimborso sino al momento in cui non venga superato lo squilibrio patrimoniale. La pronuncia in esame, pertanto, si è chiaramente espressa in relazione all'annosa questione relativa all'applicazione della postergazione esclusivamente in ipotesi di concorso tra creditori della società ovvero anche durante la vita della società medesima. I giudici di legittimità, ribadendo quest'ultimo orientamento, hanno accolto una nozione sostanziale della disciplina de qua, con la conseguenza che la postergazione opera quale condizione di inesigibilità anche durante la fase di ordinario funzionamento della società, non essendo a tal fine necessario l'apertura di una procedura concorsuale, stante la condizione di sottocapitalizzazione il presupposto dell'applicabilità dell'art. 2467, secondo comma. Si rinviene nella disposizione codicistica non soltanto la necessità di non aggravare la situazione di difficoltà economico-finanziaria, ma anche di non avvantaggiare quei soci che hanno finanziato la società nel momento in cui sarebbe risultato più ragionevole procedere con conferimenti. Proprio quanto appena sopra rilevato conferisce grande importanza all'opera dei formanti ai fini della individuazione dei concetti che rappresentano i presupposti per l'applicazione dell'art. 2467 c.c. La delega che di fatto il legislatore compie nei confronti di dottrina, giurisprudenza e anche massime notarili fa sì che, sempre ferme le esigenze di adeguare l'interpretazione dei precetti normativi al variare delle esigenze socio-economiche che promanano principalmente dalla realtà sociale, si renda indispensabile il consolidamento di un orientamento che attribuisca carattere di certezza al significato di concetti indeterminati quali quelli presi in considerazione in questa sede. Qualche riflessione infine merita il tema dell'applicabilità della regola di cui all'art. 2467 c.c. nell'ambito delle società per azioni. Come è noto tale questione risulta dubbia in ragione del fatto che non è previsto alcun riferimento normativo esplicito che in tema di società per azioni possa contribuire a sciogliere il dubbio interpretativo. Di certo le soluzioni astrattamente immaginabili paiono due. La prima è quella di individuare una sorta di principio generale sotteso all'art. 2467 c.c. che si mostri in grado di portare alla sua applicazione fuori dal contesto normativo nel quale e per il quale la disposizione è stata concepita; la seconda è enfatizzare le peculiarità della partecipazione sociale alla s.r.l. al fine di escludere una tale estensione. Seguendo quest'ultima impostazione probabilmente sarebbe più corretto appurare il carattere modulare della partecipazione alle s.r.l. che si pone sul crinale del possibile accostamento alle società di persone e al contempo alle società di capitali. Del pari anche la partecipazione alla società per azioni dovrà essere valutata sulla base della sua concreta configurazione per come risultante anche dalla conformazione del regolamento societario attraverso atto costitutivo e statuto. Ciò detto si potrà sostenere, coerentemente, la soluzione dell'applicazione dell'art. 2467 c.c. nelle ipotesi nelle quali il concreto modello societario (s.p.a.) abbia previsto una fisionomia tale della partecipazione societaria in grado di consentire l'accostamento della medesima al modello espresso dalla società a responsabilità limitata. BibliografiaBevivino, Presupposti e limiti all'applicazione della disciplina tratteggiata dall'art. 2467 c.c. Alcuni rilievi sull'uso delle massime notarili nell'argomentazione giuridica, in Riv. dir. impr., 2018, 215 e ss.; Cagnasso, Aumento di capitale e compensazione con crediti postergati del socio di s.r.l., in Giur. it., 2017, 1142 e ss.; Castellano, Riserve e organizzazione patrimoniale nella società per azioni, Milano, 2000, passim; De Angelis, La valutazione delle partecipazioni costituenti immobilizzazioni finanziarie nel bilancio d'esercizio, Milano, 2007, passim; De Angelis, I versamenti dei soci: tra finanziamenti e conferimenti di patrimonio, consultato su www.odcecge.it, 15 e ss.; L. D’Orazio, Il privilegio sace ex D.Lgs. n. 123 del 1998 tra revoca provvedimentale e risoluzione di diritto nella fase esecutiva del rapporto, in Il fallimento, 2020, 1378 e ss.; Fierro, I versamenti in conto futuro aumento di capitale: differenze con altri tipi di apporti spontanei dei soci e criteri di qualificazione, in Giustiziacivile.com, 2024, I; Galgano, La società per azioni, in Galgano (diretto da), Trattato di diritto commerciale e di diritto pubblico dell'economia, VII, Padova, 1988; Giordano, La qualificazione dei finanziamenti dei soci nella s.r.l., in Giur. comm., 2012, 672 e ss.; Maugeri, Finanziamenti «anomali» dei soci e tutela del patrimonio nelle società di capitali, Milano, 2005, passim; Petruzzi, Versamenti "in conto capitale” e “in conto futuri aumenti di capitale”, in Giur. it., 2023, V, 1089 ss.;Sarli, I finanziamenti dei soci ex art. 2467 c.c.: nozione e presupposti di applicazione della postergazione, in Giur. comm., 2025, I, 64 ss.; Tombari, «Apporti spontanei» e «prestiti» dei soci nelle società di capitali, in Aa.Vv., Il nuovo diritto delle società, diretto da Abbadessa e Portale, I, Torino, 2006, 551 e ss.; Tronci, Le riserve «targate» tra diritto e ragioneria, in Riv. soc., 2012, 1124 e ss. |