Codice Civile art. 1462 - Clausola limitativa della proponibilità di eccezioni.Clausola limitativa della proponibilità di eccezioni. [I]. La clausola con cui si stabilisce che una delle parti non può opporre eccezioni al fine di evitare o ritardare la prestazione dovuta, non ha effetto per le eccezioni di nullità [1418 ss.], di annullabilità [1425 ss.] e di rescissione [1447 ss.] del contratto. [II]. Nei casi in cui la clausola è efficace, il giudice, se riconosce che concorrono gravi motivi, può tuttavia sospendere la condanna, imponendo, se del caso, una cauzione [167 trans.]. InquadramentoLe parti possono previamente concordare di rinunciare a sollevare determinate eccezioni, volte a evitare o ritardare l'esecuzione della prestazione dovuta. Ciò implica che tali eccezioni non potranno essere sollevate per paralizzare la domanda di adempimento, ma potranno essere valutate solo successivamente all'esecuzione della prestazione per ottenere eventualmente la ripetizione, qualora siano fondate (Bigliazzi Geri, Breccia, Busnelli, Natoli, 877). In questo senso la clausola di rinuncia è definita clausola solve et repete. Dall'attivazione della clausola discende in sede processuale una condanna con riserva di successivo esame delle eccezioni del convenuto (Mandrioli, Carratta, Diritto processuale civile, I, Torino, 2016, 82; Bigliazzi Geri, in Comm. S.B., 1988, 106). Tuttavia, per espresso disposto normativo non possono costituire oggetto di rinuncia le eccezioni di nullità, annullabilità e rescissione, le quali attengono al profilo genetico del contratto e traggono origine da fatti connotati da una certa gravità (Bigliazzi Geri, cit., 90). Un'eventuale clausola di abdicazione a tali ultime eccezioni sarebbe nulla. Benché la norma escluda l'opponibilità delle sole eccezioni innanzi menzionate, che mirano a contestare il fatto costitutivo del credito, si ritiene che debba essere salvaguardata anche l'opponibilità di tutte le eccezioni attraverso cui il debitore possa dare la prova dell'avvenuta estinzione del credito, come le eccezioni di pagamento, remissione del debito, novazione, compensazione, confusione, impossibilità sopravvenuta (del debitore), prescrizione, giudicato e transazione, ossia dirette a far valere la radicale inesistenza dell'obbligo (Dalmartello, voce Solve et repete, in Nss. D.I., 1970, 848; Mirabelli, 642), nonché le eccezioni relative alla valida costituzione del rapporto processuale (Dalmartello, cit., 855). La clausola di rinunzia è invece valida quando riguardi le eccezioni di inadempimento e di insolvenza (Bianca, 1994, 358; Persico, L'eccezione d'inadempimento, Milano 1955, 217), nonché le eccezioni di intervenuta risoluzione automatica, definite eccezioni riconvenzionali di carattere sinallagmatico (Dalmartello, cit., 850; Miraglia, voce Solve et repete, in Enc. dir. 1990, 1260). È differibile anche la domanda riconvenzionale di risoluzione proposta dal convenuto per far valere un pregresso inadempimento dell'attore (Dalmartello, cit., 851; Miraglia, cit., 1260). Non è altresì possibile rinunciare all'eccezione di avvenuto scioglimento del contratto per sopravvenuta impossibilità della prestazione (Dalmartello, cit., 850). Dubbi sono stati invece espressi sull'ammissibilità di una rinuncia a far valere l'eccezione di scioglimento dal contratto per eccessiva onerosità (in senso favorevole Miraglia, cit., 1260). Secondo la giurisprudenza, la disciplina del solve et repete, se ha indubbie conseguenze nel campo del processo, ha però un contenuto fondamentale di diritto sostanziale, come è reso manifesto non solo dalla collocazione della norma nel codice civile, ma soprattutto dagli interessi che essa tutela, essendo diretta ad assicurare al creditore il soddisfacimento della sua pretesa, senza il ritardo imposto dall'esame delle eccezioni del debitore (Cass. I, n. 2227/1995; Cass. III, n. 2826/1968; Cass. III, n. 1767/1967). Essa realizza la sua funzione anche se l'adempimento avviene nel corso del giudizio e per effetto di un provvedimento giurisdizionale non definitivo, come un decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo. Conseguentemente, il preventivo adempimento non è qualificabile come presupposto processuale e l'eccezione o la domanda riconvenzionale potenzialmente colpite dall'operare della clausola possono essere esaminate quando, sia pure nel corso del giudizio, sia avvenuto il soddisfacimento del diritto (Cass. II, n. 10697/1994; Cass. II, n. 2819/1976). La clausola può escludere la sola opponibilità dell'eccezione di inesatto adempimento, ma non quella di mancata esecuzione, totale o parziale, della prestazione (Cass. II, n. 6697/1994; Cass. II, n. 6406/1981). In senso contrario, si è sostenuto in dottrina che la clausola solve et repete non sia ammissibile tout court per l'eccezione di inadempimento, poiché la distinzione, nell'ambito di tale eccezione, tra inadempimento integrale e adempimento inesatto avrebbe un valore essenzialmente descrittivo, risolvendosi la seconda nella prima, con la conseguenza che non solo è preclusa la rinuncia all'exceptio inadimpleti contractus, ma è altresì impedita la rinuncia all'exceptio non rite adimpleti contractus (Bigliazzi Geri, cit., 96). La riconduzione dell'inesatto adempimento nella categoria unica dell'inadempimento sarebbe suffragata dall'unitario regime di distribuzione dell'onere probatorio previsto per le varie voci di inadempimento, secondo la giurisprudenza di legittimità che si è formata dal 2001. La clausola solve et repete si distingue dalla clausola che prevede la limitazione della garanzia per vizi della cosa venduta, regolata dall'art. 1490 c.c. (Cass. II, n. 3418/1993; Cass. III, n. 3345/1976), nonché dall'istituto del solve et repete in materia fiscale (oggetto della dichiarazione di incostituzionalità di cui alla sentenza della Corte cost. n. 21/1961), perché ha la sua fonte in un contratto liberamente stipulato e non costituisce ostacolo all'instaurarsi del rapporto processuale, avendo soltanto l'effetto di consentire la pronta soddisfazione della pretesa creditoria della controparte, senza far luogo all'esame dell'eccezione del debitore, le cui ragioni possono essere fatte valere anche nello stesso giudizio dopo l'adempimento (Cass. II, n. 759/1994) Le condizioni applicativeLa clausola può essere evocata solo dal contraente che agisce per l'adempimento ed è operativa solo se vi è la possibilità di immediata condanna ad adempiere della parte contro cui è fatta valere. Ne consegue che, ove la determinazione oggettiva e quantitativa della prestazione richieda un'indagine del giudice, viene meno la ragione di negare alla controparte la possibilità di opporre eccezioni (Dalmartello, cit., 859). Il convenuto contro il quale è fatta valere la clausola, dopo avere adempiuto, può chiedere anche nello stesso giudizio, in via riconvenzionale, la ripetizione di quanto versato, ove la sua opposizione alla domanda di adempimento sia fondata (Bigliazzi Geri, cit., 105). Secondo la giurisprudenza, la clausola solve et repete non è rilevabile d'ufficio, ma deve essere eccepita ritualmente e tempestivamente dalla parte interessata a farla valere (Cass. III, n. 5819/1993; Cass. n. 4492/1956); la stessa non può essere invocata dal contraente a cui favore è stabilita, quando questi chieda la risoluzione del contratto, poiché detta clausola presuppone una domanda di manutenzione del contratto stesso (Cass. III, n. 11284/1993; Cass. II, n. 3088/1978; Cass. III, n. 454/1968). L'inopponibilità in forza della clausola si estende, oltre che alle eccezioni, anche alle azioni, non potendosi consentire ad un soggetto di agire in prevenzione al solo scopo di precludere al contraente privilegiato di invocare la clausola a suo favore (Cass. II, n. 3272/1976). Non è mai preclusa la possibilità di opporre eccezioni avverso la validità in sé della clausola solve et repete (Cass. n. 1763/1961). Una volta fatta valere la clausola, e adempiuta in pendenza di giudizio la prestazione da parte di colui contro cui essa è stata opposta, il giudice dovrà esaminare le difese proposte da quest'ultimo prima dell'adempimento, senza che sia necessario instaurare un nuovo giudizio (Cass. III, n. 2826/1968; Cass. III, n. 1767/1967). La dottrina assume che la clausola in esame è vessatoria, in quanto esclude l'opponibilità di eccezioni relative al rapporto, sicché, qualora sia inserita nelle condizioni generali di contratto predisposte da uno dei contraenti, deve essere specificamente approvata per iscritto a pena di nullità (Bigliazzi Geri, Breccia, Busnelli, Natoli, 877; Bianca, 1994, 357; Mirabelli, 643). Se inserita in un contratto stipulato da un consumatore con un professionista, la clausola che limita o esclude l'opponibilità, da parte del consumatore, della facoltà di opporre eccezioni ben può essere presunta come vessatoria fino a prova contraria, potendo essa ricadere, a seconda del suo oggetto, nel campo d'applicazione delle lettere c), r) o t) del comma 2 dell'art. 33 d.lgs. n. 206/2005, e ferma restando la nullità della clausola alla quale risulti applicabile la lett. b) del comma 2 dell'art. 36 del medesimo d.lgs. (Venturelli, in Comm. br. d. cons., 318 ss.). Anche in giurisprudenza si è sostenuto che deve essere specificamente approvata per iscritto ex art. 1341, comma 2 c.c., non soltanto la clausola (solve et repete) con cui si stabilisce che la parte non può opporre eccezioni al fine di evitare o ritardare la prestazione dovuta, ma anche quella che vieta di promuovere azioni intese ad ottenere l'adempimento della controparte prima di eseguire la propria prestazione, in quanto diretta allo stesso scopo di assicurare la priorità temporale dell'adempimento del soggetto gravato della clausola (Cass. II, n. 3272/1976). In tema di fideiussione, la c.d. clausola solve et repete, inserita nel contratto con formule del tipo «senza riserva alcuna» ovvero «dietro semplice richiesta», ove preveda l'esclusione per il garante della possibilità di opporre al creditore principale eccezioni che attengono alla validità del contratto da cui deriva l'obbligazione principale, è pienamente valida e non è priva di efficacia, in quanto costituisce manifestazione di autonomia contrattuale, non altera i connotati tipici della fideiussione e non comprende il divieto di sollevare eccezioni attinenti alla validità dello stesso contratto di garanzia (Cass. II, n. 4446/2008). Tuttavia, è bene rammentare che, secondo la tesi ormai prevalente, l'inserimento in un contratto di fideiussione di una clausola di pagamento “a prima richiesta e senza eccezioni” vale di per sé a qualificare il negozio come contratto autonomo di garanzia (cd. Garantievertrag), in quanto incompatibile con il principio di accessorietà che caratterizza la fideiussione, salvo quando vi sia un'evidente discrasia rispetto all'intero contenuto della convenzione negoziale (Cass. III, n. 18572/2018; Cass. III, n. 22233/2014; Cass., S.U., n. 3947/2010; contra Cass. I, n. 16825/2016). Secondo la S.C., inoltre, un pactum de non petendo diretto a rafforzare l'autotutela consentita dall'art. 1460 c.c. non rappresenta una clausola contrattuale contraria a norme imperative, ed in particolare al principio sancito dall'art. 24, comma 1 Cost., giacché una clausola siffatta non implica una rinunzia della parte al diritto di agire in giudizio per la tutela dei propri diritti ed interessi legittimi, né pregiudica definitivamente i diritti stessi, ma semplicemente ne rimanda il regolamento giurisdizionale a dopo che la parte abbia adempiuto le proprie obbligazioni (Cass. III, n. 454/1968) La sospensione della condannaNonostante la previsione pattizia della clausola e la debita eccezione proposta dalla parte interessata, il giudice può sospendere la condanna, imponendo se del caso una cauzione, ove ricorrano gravi motivi. Tale disposizione deve essere letta nel senso che la clausola può essere disapplicata dal giudice, che potrà disattendere la domanda di adempimento fondata sulla clausola stessa, procedendo al completo esame del merito, ivi comprese le eccezioni sollevate dal convenuto (Dalmartello, cit., 861). Sicché non si tratta di sospensione in senso tecnico, che è istituto che può riguardare il processo o l'esecuzione, non già la condanna (Miraglia, cit., 1270). Detta sospensione non implica necessariamente un rinvio della condanna, in quanto può comportare anche un rigetto della domanda di adempimento (Dalmartello, cit., 862). I gravi motivi attengono alla sfera giuridica della controparte rispetto a quella che fa valere la clausola (Mirabelli, 643). In particolare, concorrono gravi motivi quando esistono elementi di fondatezza dell'eccezione, una prova semipiena o la possibilità di una pronta indagine, come si afferma nella Relazione al codice n. 662 (Bigliazzi Geri, Breccia, Busnelli, Natoli, 878). Inoltre, sussistono i gravi motivi per disporre la sospensione della condanna nell'ipotesi di inadempimento o di deterioramento delle condizioni patrimoniali del soggetto a cui favore opera la clausola, quando questi non agisca secondo il criterio di buona fede oggettiva (Bigliazzi Geri, cit., 101). BibliografiaAuletta, La risoluzione per inadempimento, Milano, 1942; Belfiore, voce Risoluzione del contratto per inadempimento, in Enc. dir., Milano, 1988; Bianca, Diritto civile, V, La responsabilità, Milano, 1994; Bianca, Diritto civile, III, Il contratto, Milano, 1997; Bigliazzi Geri, Breccia, Busnelli, Natoli, Diritto civile, 1.2, Fatti e atti giuridici, Torino, 1990; Boselli, voce Eccessiva onerosità, in Nss. D.I., Torino, 1960; Busnelli, voce Clausola risolutiva espressa, in Enc. dir., Milano, 1960; Dalmartello, voce Risoluzione del contratto, in Nss. D.I., Torino, 1969; Grasso, Eccezione di inadempimento e risoluzione del contratto, Napoli, 1973; Mirabelli, in Comm. UTET, 1984; Mosco, La risoluzione del contratto per inadempimento, Napoli, 1950; Natoli, voce Diffida ad adempiere, in Enc. dir., Milano, 1964; Santoro Passarelli, Dottrine generali del diritto civile, Napoli, rist. 1989; Smiroldo, Profili della risoluzione per inadempimento, Milano, 1982; Tartaglia, voce Onerosità eccessiva, in Enc. dir., Milano, 1980 |