Codice Civile art. 1438 - Minaccia di far valere un diritto.InquadramentoLa minaccia dell'esercizio di un diritto in linea di principio costituisce una facoltà riconosciuta dall'ordinamento e dunque legittima: specifica pertanto la norma in esame che la stessa costituisce causa di annullamento del contratto solo quando il suo autore se ne serva per conseguire non già il risultato ottenibile con l'esercizio del diritto, ma vantaggi ingiusti (cfr. Galgano, 292) Minaccia di far valere un diritto ed annullabilità del contrattoL'annullamento del contratto per la minaccia di far valere un diritto, a norma dell'art. 1438 c.c. richiede, anzitutto, la sussistenza di un preesistente diritto dell'autore, nonché la possibilità di farlo valere nei confronti del soggetto passivo e, quindi, la ricorrenza della minaccia di esercitarlo (Cass. I, n. 3646/2009). Nella giurisprudenza di legittimità è stato affermato, inoltre, il principio per il quale la minaccia di far valere un diritto assume i caratteri della violenza morale, invalidante il consenso prestato per la stipulazione del contratto, ai sensi dell'art. 1438 c.c., soltanto se è diretta a conseguire un vantaggio ingiusto, situazione che si verifica quando il fine ultimo perseguito consista nella realizzazione di un risultato che, oltre ad essere abnorme e diverso da quello conseguibile attraverso l'esercizio del diritto medesimo, sia iniquo ed esorbiti dall'oggetto di quest'ultimo, e non quando il vantaggio perseguito sia solo quello del soddisfacimento del diritto nei modi previsti dall'ordinamento (Cass. I, n. 20305/2015; Cass. I, n. 28260/2005) CasisticaIl voto espresso in assemblea dal socio è di per sé funzionale al suo interesse individuale, e non direttamente e immediatamente a quello della società, che di regola si definisce solo attraverso la formazione delle maggioranze assembleari. In tale prospettiva, l'interesse sociale costituisce il limite all'esercizio del diritto di voto nell'interesse individuale del socio, tanto che, in caso di conflitto, non potrebbe spingersi legittimamente al punto di danneggiare la società. Ne deriva che la minaccia di far valere il proprio diritto di voto contro l'approvazione del bilancio può costituire causa di annullabilità del contratto di vendita delle azioni solo quando è diretta a conseguire vantaggi ingiusti, diversi da quelli che può perseguire il venditore, atteso l'intrinseco rapporto tra titolarità della partecipazione ed esercizio del controllo sulla gestione (Cass. I, n. 9680/2013). Le dimissioni del lavoratore rassegnate sotto minaccia di licenziamento per giusta causa sono annullabili per violenza morale solo ove venga accertata — con onere probatorio a carico del lavoratore che deduce l'invalidità dell'atto di dimissioni — l'inesistenza del diritto del datore di lavoro di procedere al licenziamento per insussistenza dell'inadempimento addebitato al dipendente, dovendosi ritenere che, in detta ipotesi, il datore di lavoro, con la minaccia del licenziamento, persegua un risultato non raggiungibile con il legittimo esercizio del diritto di recesso (cfr. Cass. sez. lav., n. 8298/2012; Cass. sez. lav., n. 15926/2004, ha confermato la sentenza di merito che non aveva ravvisato violenza morale nel comportamento della impresa di assicurazioni-datore di lavoro, che aveva rappresentato al dipendente di agenzia assicurativa del quale aveva scoperto l'omesso versamento di quanto ricevuto in riferimento a ratei di polizza già incassati, la gravità del suo comportamento, inducendolo a rassegnare le dimissioni). Sono annullabili le dimissioni sottoscritte alla fine del periodo di prova, sotto la minaccia del licenziamento, su foglio senza data successivamente riempito dal datore di lavoro e utilizzato con fini espulsivi. Dall'annullamento dell'atto di dimissioni non consegue la reintegrazione nel posto — non vertendosi infatti in tema di licenziamento — ma la continuità del rapporto di lavoro illegittimamente interrotto, col diritto del lavoratore a vedersi corrisposte le mensilità di retribuzione «medio tempore» maturate (Trib. Forlì 30 ottobre 1995, in Lavoro nella giur., 1996, 826, con nota di Zavalloni). La minaccia di esercitare un diritto costituisce causa invalidante del negozio giuridico soltanto quando l'autore di essa se ne serva per conseguire, non già il risultato, ottenibile con l'esercizio del diritto, ma vantaggi ingiusti, ossia abnormi o diversi da detto risultato o obiettivamente iniqui ed esorbitanti rispetto al dovuto. Pertanto, nel caso in cui le dimissioni del lavoratore subordinato siano sollecitate dal datore di lavoro sotto la minaccia di dar corso al licenziamento, tale minaccia non è causa di annullamento dell'atto di dimissioni, ove il recesso del datore di lavoro non sia limitato dalla tutela reale del rapporto (art. 18 stat. lav.) e sussista quindi perfetta identità dell'effetto — consistente nell'estinzione ad nutum del rapporto stesso — conseguibile con le dimissioni ovvero con il licenziamento, mentre rispetto a tale risultato non può considerarsi abnorme, esorbitante o obiettivamente ingiusto il risparmio, per il datore di lavoro, di eventuali indennità dovute solo in caso di licenziamento, ma non anche in caso di dimissioni (Cass. sez. lav., n. 639/1988). Nei rapporti di lavoro subordinato e di parasubordinazione, la minaccia del datore di lavoro (o del preponente, committente ecc.) di risolvere il rapporto a tempo indeterminato intercorrente tra le parti può determinare l'annullabilità per violenza, ai sensi dell'art. 1438 c.c., dell'atto negoziale alla cui conclusione il prestatore di lavoro si sia determinato in conseguenza di tale minaccia, anche quando non sussista un regime di stabilità del rapporto. In tal caso è configurabile il requisito dell'ingiustizia del vantaggio se il datore di lavoro mira a ottenere dal prestatore di lavoro, mediante rinuncia o transazione, il sacrificio di diritti acquisti, senza che sia necessario che il conseguente vantaggio economico del primo sia di particolare entità (Cass. sez. lav., n. 5684/2003). Poiché la minaccia di far valere un diritto assume i caratteri della violenza morale, invalidante il consenso prestato per la stipulazione di un contratto, ai sensi dell'art. 1438 c.c., soltanto se è diretta a conseguire un vantaggio ingiusto e ciò si verifica quando il fine ultimo perseguito consista nella realizzazione di un risultato che, oltre ad essere abnorme e diverso da quello conseguibile attraverso l'esercizio del diritto medesimo, sia anche esorbitante ed iniquo rispetto all'oggetto di quest'ultimo, e non quando il vantaggio perseguito sia solo quello del soddisfacimento del diritto nei modi previsti dall'ordinamento, con riferimento ad una pattuizione di aumento degli interessi convenzionali stipulata tra i mutuatari e l'istituto di credito mutuante, non integra violenza morale l'asserita minaccia consistita nel prospettare l'eventualità che, in mancanza di accordi sulla dilazione di pagamento, la banca avrebbe insistito nell'azione esecutiva in essere e non avrebbe richiesto un rinvio della imminente vendita già fissata, non potendo riferirsi la valutazione in termini di ingiustizia all'esercizio dell'azione esecutiva in sé considerata, né reputarsi iniqua la concessione in via transattiva della dilazione di pagamento da parte dell'istituto di credito a fronte del riconoscimento di un rincaro del tasso di interessi sulle somme ancora dovute dai debitori esecutati (Cass. III, n. 17523/2011).. BibliografiaBianca, Diritto civile, III, Il contratto, Milano, 1997; Bigliazzi Geri, Breccia, Busnelli, Natoli, Diritto civile, 1.1. e 1.2, Fatti e atti giuridici, Torino, 1990; Criscuoli, Violenza fisica e violenza morale, in Riv. dir. civ., 1970, I, 135; Fedele, L'invalidità del negozio giuridico di diritto privato, Torino, 1983 Messineo, voce Annullabilità e annullamento (dir. priv.), in Enc. dir., Milano, 1958; Prosperetti, Contributo alla teoria dell'annullabilità del negozio giuridico, Milano, 1983; Santoro Passarelli, Dottrine generali del diritto civile, Napoli, rist. 1989; Scognamiglio, Note in tema di violenza morale, in Riv. dir. comm., 1953, II, 386; Tommasini, voce Annullabilità e annullamento (dir. priv.), in Enc. giur., Roma, 1988 |