Codice Civile art. 1722 - Cause di estinzione.

Francesco Agnino

Cause di estinzione.

[I]. Il mandato si estingue:

1) per la scadenza del termine o per il compimento, da parte del mandatario [1712], dell'affare per il quale è stato conferito;

2) per revoca da parte del mandante [1723 ss.];

3) per rinunzia del mandatario [1727];

4) per la morte, l'interdizione [414 ss.] o l'inabilitazione [415 ss.] del mandante o del mandatario. Tuttavia il mandato che ha per oggetto il compimento di atti relativi all'esercizio di un'impresa non si estingue, se l'esercizio dell'impresa è continuato, salvo il diritto di recesso delle parti o degli eredi [184 trans.] (1).

(1) V. art. 22 3 r.d. 14 dicembre 1933, n. 1669; artt. 15 e 26 r.d. 21 dicembre 1933, n. 1736; art. 78 r.d. 16 marzo 1942, n. 267.

Inquadramento

La norma elenca una serie di cause che estinguono il mandato in ragione della sua natura. In particolare, l'estinzione per morte, interdizione o inabilitazione dipendono dal fatto che è un tipico contratto intuitus personae.

Morte ed obbligo di rendiconto

L'estinzione del mandato per morte del mandatario, prevista dall'art. 1722, n. 4, e l'obbligo di rendiconto a carico dello stesso mandatario, previsto dall'art. 1713, comma 1 c.c. si collocano su piani diversi e non confondibili, sicché la morte ha il solo effetto giuridico di trasferire l'obbligo di rendiconto dal mandatario ai suoi eredi, ovvero, nel caso di morte del mandante, in favore degli eredi di quest'ultimo, in virtù delle norme generali in tema di successione mortis causa (Cass. n. 7254/2013; Cass. n. 9262/2003).

L'estinzione del mandato per morte del mandante, prevista dall'art. 1722, n. 4 c.c. e l'obbligo di rendiconto a carico dello stesso mandatario, previsto dal precedente art. 1713, comma 1, si collocano su piani diversi e non confondibili, talché l'evento morte spiega il solo effetto giuridico di trasferire l'obbligo di rendiconto dal mandatario ai suoi eredi ovvero, nel caso di morte del mandante, in favore dei suoi eredi in virtù delle norme generali in tema di successione mortis causa. Se, invero, l'estinzione del rapporto (salva l'ipotesi del mandato avente ad oggetto il compimento di atti relativi all'esercizio di un'impresa, pure contemplata dal citato art. 1722, n. 4, e che qui non viene, peraltro, in considerazione) si giustifica per il carattere di esso, basato sull'intuitus personae, e riguarda, tuttavia, il futuro, l'obbligo di rendiconto, avendo ad oggetto atti già compiuti, e come tali ormai spogli di ogni profilo di personalità, riguarda invece il passato e per esso valgono le regole generali di diritto successorio (Cass. n. 3672/1980; Cass. n. 7592/1994: l'azione di rendiconto, di cui, come si è visto, sono titolari nei confronti del mandatario gli eredi del mandante anche in caso di estinzione del mandato per morte del predetto, comporta anche un giudizio sulle eventuali responsabilità connesse allo svolgimento concreto delle attività inerenti al mandato dovendosi l'obbligo di rendere il conto ritenere adempiuto solo quando colui che vi è tenuto abbia fornito la prova non soltanto delle somme incassate, della entità e causale degli esborsi, ma anche di tutti gli elementi di fatto che consentano di individuare e vagliare le modalità con cui l'incarico è stato eseguito e di stabilire, anche in relazione ai fini da perseguire ed ai risultati raggiunti, se l'operato di chi rende il conto si sia adeguato a criteri di buona amministrazione, in conformità all'art. 1710 c.c., che riafferma in tema di mandato il principio generale posto nell'art. 1176 c.c.; Cass. n. 8801/1998: l'estinzione del mandato per morte del mandatario, prevista dall'art. 1722, n. 4 c.c., e l'obbligo di rendiconto a carico dello stesso mandatario, previsto dal precedente art. 1713 comma 1, si collocano, infatti, su piani diversi e non confondibili, talché l'evento di morte spiega il solo effetto giuridico di trasferire l'obbligo di rendiconto dal mandatario ai suoi eredi in virtù delle norme generali in tema di successione mortis causa. Se, invero, l'estinzione del rapporto (salva l'ipotesi del mandato avente ad oggetto il compimento di atti relativi all'esercizio di un'impresa, pure completata dal citato art. 1722 n. 4, e che qui non viene, peraltro, in considerazione) si giustifica per il carattere di esso, basato sull'intuitus personae, e riguarda, tuttavia, il futuro, l'obbligo di rendiconto, avendo ad oggetto atti già compiuti, e come tali ormai spogli di ogni profilo di personalità, riguarda invece il passato e per esso valgono le regole generali di diritto successorio; Cass. n. 9262/2003, cui adde Cass. n. 7254/2013: l'estinzione del mandato per morte del mandante non fa venir meno l'obbligo di rendiconto del mandatario, che deve adempierlo nei confronti degli eredi del mandante).

Estinzione del mandato ed attività processuale

Ai sensi dell'art. 1722 n. 4, il decesso del mandante, avvenuto e dichiarato nel corso del processo dal mandatario ad negotia, determinando l'estinzione del mandato e della connessa procura alle liti, comporta il venir meno di ogni potere — sostanziale ed eventualmente processuale ex art. 77 c.p.c. — del mandatario-procuratore (Cass. n. 17034/2006, sulla base di tali principi la S.C. ha dichiarato inammissibile il ricorso per cassazione proposto dal mandatario ed ha anche ritenuto che fosse questione nuova, in quanto non dedotta nella fase di merito, l'invocazione a giustificazione della legittimazione dell'art. 1723, cioè della irrevocabilità del mandato).

La morte del mandante che sta in giudizio per mezzo del mandatario ad negotia costituito tramite procuratore legale, in tanto ha rilevanza processuale ed importa l'interruzione del processo, in quanto sia stata dichiarata o notificata dal procuratore legale, restando irrilevante che la morte della parte sia nota al giudice ed alla controparte, sopravvivendo la rappresentanza processuale, per il suo particolare carattere di rapporto esterno rispetto al giudice ed alla controparte, al decesso del mandante; mentre nei rapporti interni fra mandante e mandatario, gli atti (in essi compresa la nomina di un procuratore ad processum) che siano stati compiuti dal mandatario prima di conoscere l'estinzione del mandato (per morte del mandante) restano validi, sia nei confronti del mandante che dei suoi eredi, salva da parte di questi ultimi la ratifica dell'operato del mandatario (Cass. n. 721/2001).

In tale direzione, la morte del mandante che sta in giudizio per mezzo del mandatario ad negotia, costituito tramite procuratore legale, in tanto ha rilevanza processuale ed importa l'interruzione del processo in quanto sia stata dichiarata o notificata dal procuratore legale, restando irrilevante che la morte della parte sia nota al giudice ed alla controparte, sopravvivendo la rappresentanza processuale, per il suo particolare carattere di rapporto esterno rispetto al giudice ed alla controparte, al decesso del mandante; mentre nei rapporti interni fra mandante e mandatario, gli atti (in essi compresa la nomina di un procuratore ad processum) che siano stati compiuti dal mandatario prima di conoscere l'estinzione del mandato (per morte del mandante) restano validi, sia nei confronti del mandante che dei suoi eredi, salva da parte di questi ultimi la ratifica dell'operato del mandatario (Cass. n. 10487/2018).

In tal senso altresì Cass. n. 13592/1991, Cass. n. 721/2001, Cass. n. 4429/1997, Cass. n. 3662/1992 hanno affermato che la morte del mandante che sta in giudizio per mezzo del mandatario ad negotia costituito tramite procuratore legale, in tanto ha rilevanza processuale ed importa l'interruzione del processo, in quanto sia stata dichiarata o notificata dal procuratore legale, restando irrilevante che la morte della parte sia nota al giudice ed alla controparte, sopravvivendo la rappresentanza processuale, per il suo particolare carattere di rapporto esterno rispetto al giudice ed alla controparte, al decesso del mandante; mentre, nei rapporti interni fra mandante e mandatario, gli atti (in essi compresa la nomina di un procuratore ad processum) che siano stati compiuti dal mandatario prima di conoscere l'estinzione del mandato (per morte del mandante) restano validi, sia nei confronti del mandante che dei suoi eredi (salva da parte di questi ultimi la ratifica dell'operato del mandatario).

Ad ogni buon conto, il principio di ultrattività del mandato alle liti, costituente una deroga alla regola per cui la morte del mandante estingue il mandato, secondo la disciplina generale della materia ai sensi dell'art. 1722, n. 4 c.c. opera solo all'interno della fase processuale in cui l'evento si è verificato, derivandone che, esaurito il grado in cui l'evento morte non dichiarato si è verificato, la legittimazione attiva e passiva compete solo alle parti reali e viventi; tale principio trova altresì applicazione quanto al precetto, atto di natura sostanziale più che processuale (Cass. n. 1760/2012, cassando la decisione impugnata e decidendo nel merito, la S.C. ha dichiarato la nullità del precetto intimato dopo la pubblicazione della sentenza di primo grado dal procuratore della parte deceduta molti anni prima).

Estinzione del mandato per compimento dell'affare

L'estinzione del mandato senza rappresentanza per intervenuto compimento dell'affare da parte del mandatario, ai sensi dell'art. 1722, n. 1, non fa venir meno la sua legittimazione ad esercitare nei confronti del terzo le azioni connesse agli atti compiuti per conto del mandante, non rilevando che il mandatario non abbia affrontato spese per compiere l'attività oggetto del mandato o che non abbia subito danni per l'inadempimento del terzo o per l'attività illecita posta in essere

Da soggetti del cui comportamento egli debba rispondere, costituendo principio generale che, al di fuori di specifiche ipotesi derogatorie (previste dagli artt. 1705, comma 2, e 1706, comma 1, c.c.), l'estinzione del mandato per una qualsiasi delle cause contemplate dall'art. 1722 c.c. non è idonea a riverberare i suoi effetti sul diverso rapporto intercorso tra mandatario e terzo (Cass. n. 8145/2009: nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza impugnata che, sul presupposto che il mandato non può produrre effetti ultrattivi rispetto al momento della sua estinzione avvenuta con il compimento dell'affare consistente nell'acquisto di azioni di una banca con effetto traslativo in capo ai clienti mandanti, aveva escluso la legittimazione del mandatario a far valere nei confronti del terzo il credito risarcitorio connesso all'acquisto delle azioni, il cui valore era stato successivamente azzerato con perdita economica addebitata ai clienti; la S.C., nell'enunciare il principio di diritto, ha censurato la decisione che aveva conseguentemente ritenuto che il mandatario non potesse cedere a terzi il medesimo credito di cui non era titolare).

Revoca del mandato

La revoca del mandato, di cui al n. 2 dell'art. 1722 c.c., ha natura di recesso unilaterale con efficacia ex nunc, priva di effetti estintivi rispetto al rapporto e dotata della capacità di paralizzare l'efficacia, del rapporto stesso per il futuro, ossia da quando la relativa dichiarazione di volontà sia stata indirizzata al mandatario e sia decorso l'eventuale preavviso. Ne consegue che la revoca non elimina l'attività gestoria compiuta dal mandatario, restando salvi gli effetti del contratto verificatisi anteriormente alla dichiarazione di revoca, ed il mandante è tenuto a far fronte alle obbligazioni in precedenza contratte per suo conto dal mandatario nei confronti dei terzi, per quanto non ancora eventualmente esigibili (Cass. n. 10739/2000; Trib. Roma 3 ottobre 2017, n. 18589, per il quale la revoca di cui all'art. 1722, n. 2, anche se la stessa si accompagni ad un obbligo risarcitorio nei confronti del mandatario, ha —attesi i suoi effetti ex nunc che non involgono l'attività gestoria già svolta e non ex tunc come dovrebbe avere una revoca natura di recesso unilaterale. Essa non ha pertanto effetti estintivi ma piuttosto effetti che paralizzano il rapporto per il futuro. Revoca che si perfeziona al momento della ricezione della volontà da parte del mandatario e che si distingue dalla risoluzione in quanto si caratterizza per essere un mezzo di tutela del mandante, rimesso alla sola volontà di quest'ultimo, rispetto all'eventuale inadempimento del mandatario).

Peraltro, con riguardo, a mandato oneroso a tempo indeterminato, la sopravvenienza di una revoca priva di giusta causa ed anteriore all'inizio dell'esecuzione del contratto produce effetti assimilabili a quelli della risoluzione per inadempimento, con la conseguenza che, determinando uno scioglimento retroattivo del rapporto, ai sensi dell'art. 1458, comma 1, c.c. obbliga il mandante che abbia ricevuto cauzione a restituirla al mandatario, con gli interessi decorrenti dalla data di conclusione del contratto e non da quella della domanda giudiziale (Cass. n. 5622/1994).

Quanto al compenso, la S.C. ha precisato che in tema di mediazione, le parti possono convenire che la venditrice non debba pagare alcuna provvigione al mediatore e, qualora la prima sottoscriva una proposta irrevocabile di acquisto contenente la clausola assunta dalla parte acquirente relativa al pagamento della provvigione, ben può superare la presunzione di onerosità dell'incarico a suo carico mediante testimoni, posto che rispetto a tale proposta parte alienante deve qualificarsi come terzo (Cass. n. 9694/2023).

Scadenza del termine

Con riferimento al regime dell'arbitrato irrituale precedente la novella del 2006 — nell'arbitrato libero, il contenuto dell'obbligo assunto dagli arbitri, secondo le regole del mandato, è quello di emettere la decisione loro affidata entro un determinato termine, non potendo ammettersi che le parti siano vincolate alla definizione extragiudiziale della controversia, ed alla conseguente improponibilità della domanda giudiziale, per un tempo non definito. Ne discende che, applicandosi all'arbitrato irrituale la disciplina dell'art. 1722, n. 1 il mandato conferito agli arbitri deve considerarsi estinto alla scadenza del termine prefissato dalle parti, salvo che esse — evenienza, peraltro, non verificatasi nel caso concreto — non abbiano inteso in modo univoco conferire a detto termine un valore meramente orientativo (Cass. n. 9924/2018).

Quanto alla natura essenziale del termine costituisce consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità quello, secondo cui, poiché all'arbitrato irrituale si applica la disciplina dell'art. 1722, n. 1 c.c., il mandato conferito agli arbitri deve considerarsi estinto alla scadenza del termine prefissato dalle parti, salvo che queste ultime abbiano inteso in modo univoco attribuire al suddetto termine valore meramente orientativo (Cass. n. 24562/2011; Cass. n. 58/2001, in cui si precisa che la conformatività è indice di essenzialità, salva la diversa volontà delle parti, che nel ricorso deve essere confortata dal richiamo a specifici canoni interpretativi: nell'arbitrato libero il contenuto dell'obbligo assunto dagli arbitri, secondo le regole del mandato, è quello di emettere la decisione loro affidata entro un determinato termine, non potendo ammettersi che le parti siano vincolate alla definizione extragiudiziale della controversia, ed alla conseguente improponibilità della domanda giudiziale, per un tempo non definito. Conseguentemente, applicandosi all'arbitrato irrituale la disciplina del mandato, la durata del vincolo resta segnata dall'art. 1722, n. 1, onde il mandato conferito agli arbitri deve considerarsi estinto alla scadenza del termine prefissato dalle parti, salvo che esse non abbiano inteso in modo univoco conferire a detto termine un valore meramente orientativo). La Corte di Cassazione, invero, ha costantemente affermato che nell'arbitrato irrituale il termine stabilito per la pronuncia del lodo non è solo fattore di regolarità del procedimento, ma si configura come strutturalmente «conformativo» del potere derivato agli arbitri dalla volontà delle parti di risolvere la controversia in via negoziale e limite dell'esistenza di detto potere, così che alla sua osservanza è subordinata non già o non tanto la regolarità della determinazione assunta, ma la stessa sua riferibilità alla volontà dei compromittenti. D'altra parte, non può omettersi di osservare che, una volta ribadito il principio, secondo cui il termine per l'esecuzione del mandato è strutturalmente conformativo e, quindi, essenziale, l'indagine circa una diversa volontà delle parti, attiene essenzialmente al merito ed è sindacabile in questa sede sotto il profilo del vizio di motivazione (Cass. n. 13212/2014).

Nell'arbitrato libero (o irrituale), il contenuto dell'obbligo assunto dagli arbitri, secondo le regole del mandato, è quello di emettere la decisione loro affidata entro un determinato termine, non potendo ammettersi che le parti siano vincolate alla definizione extragiudiziale della controversia, ed alla conseguente improponibilità della domanda giudiziale, per un tempo non definito; conseguentemente, applicandosi all'arbitrato irrituale la disciplina dell'art. 1722, n. 1, il mandato conferito agli arbitri deve considerarsi estinto alla scadenza del termine prefissato dalle parti, salvo che esse non abbiano inteso in modo univoco conferire a detto termine un valore meramente orientativo (Cass. n. 8243/1995).

Tale ultima evenienza comporta anche la possibilità per le parti di accordarsi su una proroga del termine originario infatti la scadenza del termine stabilito dalle parti per il deposito della decisione degli arbitri irrituali, di regola esaurisce il mandato ad essi conferito e fa venir meno i poteri degli stessi, per cui la loro successiva attività è priva di efficacia se le parti non abbiano concordato la proroga, ma, atteso il carattere negoziale del rapporto, è possibile che le parti, pur stabilendo un termine per l'espletamento dell'incarico, ne escludano in concreto la natura essenziale, dando ad esso un valore meramente orientativo, quale una raccomandazione agli arbitri di procedere con la sollecitudine richiesta dalla natura della lite, ovvero che deleghino agli stessi arbitri il potere di prorogare il termine, in presenza di determinate condizioni o entro certi limiti temporali. Il relativo accertamento, risolvendosi nella ricostruzione della volontà delle parti, è rimesso all'apprezzamento del giudice del merito ed è insindacabile in sede di legittimità se congruamente e correttamente motivato (Cass. n. 5523/1983; Cass. n. 3090/1974).

La convenzione di arbitrato irrituale si connota come un contratto che determina la nascita in capo alle parti contraenti di una situazione complessa, di carattere strumentale, finalizzata alla tutela dei diritti, mediante il quale, alla stregua della nozione di cui all'art. 1703 c.c., si pone in essere un mandato, senza necessità di rappresentanza, conferito congiuntamente da una pluralità di parti (minimo due) a uno o più arbitri e preordinato alla stipula di un accordo contrattuale. La definizione corretta dell'arbitrato irrituale è quella di un mandato congiunto a comporre la controversia venutasi a configurare, mediante un negozio compositivo, da porre in essere nel termine stabilito dalle parti, pena l'estinzione del mandato per sua scadenza ex art. 1722, n. 1, c.c. (Trib. Milano, 9 settembre 2022).

Peraltro, la proroga del termine concordata dai difensori non muniti di mandato speciale non è vincolante per la parte che abbia negato il proprio consenso alla proroga medesima (Cass. n. 57/1985).

Né va omesso di considerare che, in linea generale, la procura che conferisca il potere di decidere, a nome della società, le modalità di definizione dei rapporti controversi — quindi anche se transigere, sottoporre la questione al giudice o agli arbitri, o resistere — non può essere interpretata quale conferimento di rappresentanza di ordine meramente processuale, atteso che l'anzidetto potere di scegliere ed attuare la migliore soluzione dei rapporti stessi rivela tipiche caratteristiche sostanziali e negoziali (Cass. n. 27284/2006; Cass. n. 13347/2005; Cass. n. 8241/2004).

Dalla lettura coordinata dei suddetti principi si desume che nell'arbitrato irrituale (Cass. n. 13840/2001; Cass. n. 1937/2011) il termine per l'adozione del lodo è essenziale (in quanto ne rappresenta una caratteristica indefettibile), con ciò intendendosi che deve essere previsto al fine di evitare che le parti siano vincolate alla definizione extragiudiziale della controversia (ed alla conseguente improponibilità della domanda giudiziale) per un tempo indefinito, tanto che, in caso di mancata previsione, deve farsi ricorso al giudice, ai sensi dell'art. 1183 c.c. (Cass. n. 525/1999).

Le parti tuttavia sono libere di accordarsi, in modo non univoco, nel senso di attribuire al suddetto termine valore meramente orientativo, quale una raccomandazione agli arbitri di procedere con la sollecitudine richiesta dalla natura della lite, ovvero nel delegare agli stessi arbitri il potere di prorogare il termine, in presenza di determinate condizioni o entro certi limiti temporali.

La proroga può anche essere concordata dai difensori delle parti, ma se questi non sono muniti di mandato speciale perché la relativa decisione sia vincolante per la parte è necessario che essa non abbia negato il proprio consenso alla proroga medesima.

Il rappresentante della parte che sia munito di procura speciale, comprensiva del potere di transigere e di ampi poteri in merito all'individuazione del modo migliore per chiudere la controversia la cui decisione sia stata deferita ad un Collegio arbitrale, si deve ritenere investito anche del potere di concedere agli arbitri un differimento del termine per remissione del lodo, concordato con l'altra parte.

L'accertamento relativo alla sussistenza dei suddetti elementi, risolvendosi nella ricostruzione della volontà delle parti, è rimesso all'apprezzamento del giudice del merito ed è insindacabile in sede di legittimità se congruamente e correttamente motivato.

Bibliografia

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