Codice Civile art. 1780 - Perdita non imputabile della detenzione della cosa.Perdita non imputabile della detenzione della cosa. [I]. Se la detenzione della cosa è tolta al depositario in conseguenza di un fatto a lui non imputabile, egli è liberato dall'obbligazione di restituire la cosa [1256 ss.], ma deve, sotto pena di risarcimento del danno, denunziare immediatamente al depositante il fatto per cui ha perduto la detenzione [1777 2]. [II]. Il depositante ha diritto di ricevere ciò che, in conseguenza del fatto stesso, il depositario abbia conseguito, e subentra nei diritti spettanti a quest'ultimo [1259]. InquadramentoLa norma disciplina l'estinzione dell'obbligo di restituzione per impossibilità della prestazione determinata dalla perdita non imputabile della detenzione della cosa. Trattasi di una ipotesi di estinzione non satisfattiva del contratto di deposito. L'art. 1780 prevede, in siffatta ipotesi, a carico del depositario un obbligo di immediata denuncia al depositante del fatto che ha determinato la perdita della detenzione, sotto pena di risarcimento del danno, non essendo il depositario tenuto ad attivarsi ulteriormente per recuperare la cosa. Le cause della perdita non sono espressamente previste dalla norma e possono consistere nella distruzione della cosa o in altri fatti che incidano sulla detenzione, come ad esempio la sottrazione della medesima. In caso di perdita della detenzione della cosa, secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza, l'art. 1780 fa carico al depositario di provare per la propria liberazione, in applicazione dell'art. 1256, non già semplicemente di aver usato nella custodia la diligenza del buon padre di famiglia, prescritta dal precedente art. 1768 c.c., ma che tale perdita sia derivata da fatto a lui non imputabile, regolando così la prova liberatoria alla maniera dell'art. 1218 (Cass. III, n. 16783/2015; Cass. III, n. 2653/2013; Cass. III, n. 25275/2009). La dottrina prevalente concorda con l'orientamento giurisprudenziale nel ritenere che il depositario — al pari del comune debitore — debba rispondere dell'inadempimento (mancata consegna) se non prova l'impossibilità derivante da causa a lui non imputabile a titolo di colpa, e cioè un'impossibilità che si sia verificata nonostante la diligenza del buon padre di famiglia (Fiorentino, in Comm. S. B., 105; Galasso A., Galasso G., 271; Scalisi, in Comm. S., 194). Il subingresso del depositante nei diritti del depositario costituisce una ripetizione della regola generale in materia di impossibilità sopravvenuta della prestazione per causa non imputabile al debitore. Ambito applicazioneLa dottrina non è concorde nell'interpretazione della disposizione in esame: un indirizzo più rigoroso restringe la portata della norma all'ipotesi di sottrazione materiale (Fiorentino, in Comm. S. B., 104; Mastropaolo, in Tr. Res., 624), viceversa vi è anche chi la interpreta estensivamente anche con riferimento alle altre ipotesi di perdita, quali la distruzione (Funaioli, in Tr. G. S.-P., 70). Costituisce principio pacifico in giurisprudenza che l'art. 1780 trova integrale applicazione anche quando l'obbligazione della custodia e della riconsegna sia necessariamente compresa nel contenuto del contratto diverso dal deposito o formi parte di un contratto misto nel quale confluiscano le cause del deposito e di altro contratto. In particolare, la norma in esame è stata ritenuta applicabile nell'ipotesi di: — mancata restituzione di un orologio rubato mentre si trovava in manutenzione (Cass. III, n. 1246/2018); — contratto concluso dall'autoriparatore (Cass. III, n. 16783/2015; Cass. III, n. 15364/2006); — contratto di riparazione d'autovettura (Cass. III, n. 10956/2010). Anche la dottrina condivide detta impostazione (Salomoni, 1436). La giurisprudenza reputa inoltre che la responsabilità per la perdita della cosa in custodia, prevista dalla norma in esame, non si configura per una mera causalità materiale — e cioè l'avere comunque posto in essere una condizione dell'evento «perdita» — ma deve collegarsi a un comportamento del depositario difforme dalla diligenza dovuta nell'adempimento dell'obbligo di custodia (Cass. III, n. 6553/1985). Liberazione del depositario: onere della provaIn caso di perdita della detenzione della cosa, secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza, l'art. 1780 fa carico al depositario di provare per la propria liberazione, in applicazione dell'art. 1256 c.c., non già semplicemente di aver usato nella custodia la diligenza del buon padre di famiglia, prescritta dal precedente art. 1768, ma che tale perdita sia derivata da fatto a lui non imputabile, regolando così la prova liberatoria alla maniera dell'art. 1218 c.c. (Cass VI, n. 8978/2020; Cass. III, n. 16783/2015; Cass. III, n. 2653/2013; Cass. III, n. 25275/2009). Le regole dettate dall'art. 1780 e dall'art. 1218 sarebbero dunque equivalenti: pertanto, in caso di perdita del bene, il depositario per sottrarsi a responsabilità deve provare che l'inadempimento della prestazione è dipeso da una causa a lui non imputabile, la quale è tale se non può essere evitata malgrado l'impiego della diligenza del buon padre di famiglia. Sulla scorta di detta ricostruzione, la giurisprudenza prevalente pone a carico del depositario la prova del fatto (non imputabile) che ha determinato la perdita della detenzione della cosa, facendo così incombere su di lui il rischio connesso alle c.d. cause ignote. Pertanto, ove il depositario non abbia fornito la prova che la perdita o la distruzione della cosa si è verificata in conseguenza di un fatto a lui non imputabile, ossia non dimostra di aver adottato tutte le precauzioni che le circostanze suggerivano, e che dunque la distruzione o la perdita del bene non era evitabile, resterà superflua la valutazione della diligenza prestata da lui, non essendo essa sola sufficiente per la liberazione del depositario dall'obbligo del risarcimento del danno (Cass. III, n. 20809/2010). Anche la dottrina prevalente concorda con l'orientamento giurisprudenziale nel ritenere che il depositario — al pari del comune debitore — debba rispondere dell'inadempimento (mancata consegna) se non prova l'impossibilità derivante da causa a lui non imputabile a titolo di colpa, e cioè un'impossibilità che si sia verificata nonostante la diligenza del buon padre di famiglia (Fiorentino, in Comm. S. B., 105; Galasso A., Galasso G., 271; Scalisi, in Comm. S., 194). Esiste, tuttavia, un orientamento minoritario che reputa non sempre necessaria, ai sensi dell'art. 1218 la prova di una specifica causa non imputabile, ritenendo sufficiente per il depositario provare che l'impossibilità sia derivata da causa a lui non imputabile a titolo di colpa senza necessariamente fornire una precisa identificazione dell'evento che ha prodotto l'impossibilità (Majello, 1958, 232). Fatto del terzo: furto e rapinaLa giurisprudenza ha analizzato il problema dell'inquadramento del furto e della rapina nell'ambito della prova liberatoria con specifico riferimento alla responsabilità per inadempimento del depositario (parcheggiatore, albergatore, magazzini generali). Nei casi di mancata restituzione a seguito di furto delle cose affidate in custodia o di rapina, essa ha fondato il giudizio di responsabilità sull'art. 1768 c.c. ed ha dunque richiesto, da parte del depositario, la prova dell'inevitabilità dell'evento malgrado l'uso della diligenza del buon padre di famiglia, per escluderne la responsabilità (Cass. III, n. 22807/2014). La S.C. ha più volte chiarito che a fondare la responsabilità del custode non è sufficiente la astratta prevedibilità ed evitabilità del furto, viceversa configurandosi una irragionevole presunzione di responsabilità, ma è necessario accertare che costui versi in una situazione di colpa, ossia che allo stesso sia rimproverabile la mancata adozione di misure protettive ordinarie (Cass. III, n. 5736/2009). Facendo applicazione di tali principi, i giudici di legittimità hanno confermato la sentenza di merito che aveva escluso la responsabilità del titolare di un laboratorio per l'esame di metalli preziosi, per la perdita di un lingotto d'oro trafugato durante una rapina a mano armata, immediatamente denunciata al depositante, in considerazione delle modalità dell'azione, compiuta in pieno giorno, in presenza del titolare e di un cliente, e tenendo conto della cautela adottata installando un campanello per l'apertura della porta del locale, restando ininfluente la circostanza che il lingotto fosse stato lasciato in bella vista (Cass. III, n. 14470/2004). L'impostazione giurisprudenziale risulta pienamente condivisa dalla dottrina (Salomoni, 1449). L'obbligo di denunciaIl primo comma della norma in esame pone a carico del depositario, in caso di perdita non imputabile della detenzione della cosa, l'obbligo di denunciare al depositante il fatto per il quale ha perduto la detenzione. Tale obbligo è diretto ad assicurare al depositante la conoscenza da parte del depositario della detenzione della cosa depositata, ad evitare che lo stesso, ignaro della perdita, possa continuare a fare legittimo affidamento sulla stessa La giurisprudenza ha evidenziato che l'art. 1780 comma 1, ove stabilisce che il depositario, perduta la detenzione della cosa per fatto a lui imputabile, è tenuto al risarcimento del danno per il caso in cui non provveda a denunciare immediatamente al depositante il predetto fatto, va interpretato, in armonia con i principi generali in materia di nesso di causalità, nel senso che quel danno comprende esclusivamente i pregiudizi che siano conseguenza immediata e diretta dell'omessa o ritardata denuncia (Cass. III, 16950/2003). Pertanto, l'indicato danno può identificarsi con il valore della cosa depositata solo se il depositante dimostri che la perdita di essa sia dipesa dall'inosservanza dell'obbligo di denuncia (Cass. III, n. 8541/1991). Detta impostazione risulta condivisa dalla dottrina (Dalmartello, Portale, 265; Galasso A., Galasso G., ult. cit.) che evidenzia altresì che la denuncia al depositante non può ritenersi una condizione per la liberazione del depositario dall'obbligo di restituzione, ma è oggetto di un obbligo specifico autonomamente sanzionato (Fiorentino, in Comm. S. B., 106). Il depositario, che sia inadempiente, non può invocare come limite della propria responsabilità il principio della compensatio lucri cum danno, con riferimento al vantaggio che il depositante danneggiato riceve per effetto dell'assicurazione da lui stipulata per il rischio di perdita del bene, in quanto il danno ed il lucro non dipendono dalla stessa fonte generatrice (Cass. III, n. 2752/1992). L'obbligo denuncia nei contratti misti La S.C. ha chiarito che anche nel contratto di prestazione di opera in cui l'obbligo di custodia è accessorio e strumentale all'adempimento della prestazione, il mancato adempimento dell'obbligo del depositario di denunziare immediatamente al depositante il fatto per cui ha perduto la detenzione, anche qualora non interferisse con l'estinzione dell'obbligazione per impossibilità sopravvenuta non imputabile al debitore della prestazione, ma fosse fonte di un autonomo obbligo risarcitorio in sostituzione dell'originario di restituzione del bene, obbliga il depositante a risarcire al depositario i danni che siano conseguenza immediata e diretta della perdita del bene e che perciò possono anche consistere nel valore dello stesso, avuto riguardo a tutte le circostanze dedotte nel caso concreto ed al terzo comma dell'art. 1780 che prevede che il depositante ha diritto di ricevere ciò che in conseguenza del fatto stesso il depositario abbia conseguito e subentra nei diritti spettanti a quest'ultimo (Cass. III, n. 1246/2018; fattispecie relativa alla mancata restituzione di un orologio rubato mentre si trovava in manutenzione). L'obbligazione di risarcimento del dannoVenuta a mancare, per fatto imputabile al depositario, la restituzione della cosa, l'obbligazione del risarcimento del danno, intesa a rimettere il depositante nella stessa condizione economica in cui si sarebbe trovato se la restituzione in natura fosse stata eseguita, ha per oggetto un debito di valore. Pertanto, dovendo provvedere ad una reintegrazione del patrimonio del debitore adeguata alla diminuzione patrimoniale da lui subita, il giudice non può assumere, quale misura del danno, l'originaria indicazione del valore della cosa, rinvenuta nel contratto di deposito, se non dimostrando che la cosa stessa aveva conservato, nel corso del tempo, immutato il suo valore, immune da alterazioni conseguenti alla svalutazione monetaria, della quale — come criterio di adeguamento della liquidazione del danno e come fatto notorio — deve tener conto senza che la parte l'abbia provata, e neppure espressamente invocata (Cass. III, n. 656/1966). La S.C. ha chiarito che risultano risarcibili i danni che siano conseguenza immediata e diretta della perdita del bene, i quali possono consistere nel suo valore, avuto riguardo a tutte le circostanze, ciò anche in considerazione del diritto di surroga stabilito nell'art. 1780, comma 2 (Cass. III, n. 1246/2018). I giudici di legittimità hanno altresì ritenuto che se il deposito non ha ad oggetto somme di denaro, in caso di perdita della cosa, il giudice deve rivalutare l'equivalente economico della cosa medesima fino alla data della decisione definitiva; se, invece, il deposito ha ad oggetto una somma di denaro, l'inadempimento di una obbligazione di custodire non trasforma una tipica obbligazione pecuniaria in una obbligazione di valore, sicché il regime del risarcimento dei danni è regolato dall'art. 1224 c.c. a norma del quale sono dovuti i soli interessi legali, mentre il maggior danno rispetto a detti interessi (eventualmente da svalutazione) è dovuto solo se provato e nei limiti in cui ecceda quanto coperto dagli interessi legali (Cass. III, n. 19769/2003). L'impostazione giurisprudenziale risulta pienamente condivisa dalla dottrina (Galasso A., Galasso G., ult. cit.). Diritto di surroga del depositanteIl subingresso del depositante nei diritti del depositario costituisce una ripetizione della regola generale in materia di impossibilità sopravvenuta della prestazione per causa non imputabile al debitore. La S.C. ha evidenziato che il depositante subentra nel diritto che spetta al depositario, sia esso di risarcimento verso il terzo che di indennizzo verso l'assicuratore, in quanto l'art. 1780 deve essere interpretato nel senso di comprendere ogni diritto comunque e a qualsiasi titolo spettante al depositario in relazione alla perdita incolpevole della cosa (Cass. III, n. 13359/2004). BibliografiaDalmartello, Portale, voce Deposito, in Enc. dir., XII, Milano, 1964; Forchielli, I contratti reali, Milano, 1952; Galasso A., Galasso G., Deposito, in Dig. civ., 1989; Majello, Custodia e Deposito, Napoli, 1958; Majello, Il deposito nell'interesse del terzo, in Banca, borsa tit. cred., 1961, I, 311; Mastropaolo, Deposito (in generale), in Enc. giur., Roma, 1988; Salomoni, La responsabilità del custode per la perdita della detenzione del bene ricevuto, in Resp. civ. prev., 2014, fasc. 5, 1435. |