Codice Civile art. 1815 - Interessi.Interessi. [I]. Salvo diversa volontà delle parti, il mutuatario deve corrispondere gli interessi al mutuante. Per la determinazione degli interessi si osservano le disposizioni dell'articolo 1284. [II]. Se sono convenuti interessi usurari, la clausola è nulla e non sono dovuti interessi [1419 2; 185 trans.] (1) (2). (1) Comma così sostituito dall'art. 4 l. 7 marzo 1996, n. 108. Il testo recitava: «Se sono convenuti interessi usurari, la clausola è nulla e gli interessi sono dovuti solo nella misura legale». (2) Ai sensi dell'art. 1 d.l. 29 dicembre 2000, n. 394, conv., con modif., in l. 28 febbraio 2001, n. 24, si intendono usurari gli interessi che superano il limite stabilito dalla legge nel momento in cui essi sono promessi o comunque convenuti, a qualunque titolo, indipendentemente dal momento del loro pagamento. InquadramentoSe non ne è espressamente convenuta la gratuità, sorge per il mutuatario, in relazione alla naturale onerosità del contratto, l'obbligazione di versare un corrispettivo al mutuante, corrispettivo che sarà normalmente costituito — anche nel mutuo non pecuniario — dagli interessi in forza della disposizione in esame. Quanto poi al saggio degli interessi, il legislatore lascia libere le parti di determinarlo nella misura che credono, salvo un duplice limite: 1) che il patto di interessi superiori alla misura legale venga stipulato per iscritto (art. 1284, comma 3 c.c.); 2) che non sia comunque pattuito un interesse usurario (art. 1815, comma 2, c.c.). A seguito della riformulazione del reato di usura operata dalla l. n. 108/1996, è stato previsto che è la legge a stabilire «il limite oltre il quale gli interessi sono sempre usurai» (art. 644, comma 3 c.p.) con determinazione del tasso massimo delegata al Ministero del tesoro (cd. «tasso-soglia»). IL legislatore, con la norma d'interpretazione autentica di cui al d.l. n. 394/2000, art. 1, comma 1, ha chiarito che: «Ai fini dell'applicazione dell'art. 644 c.p., e dell'art. 1815 c.c., comma 2, si intendono usurari gli interessi che superano il limite stabilito dalla legge nel momento in cui essi sono promessi o comunque convenuti, a qualunque titolo, indipendentemente dal momento del loro pagamento». Costituisce dato pacifico in giurisprudenza che la disciplina relativa ai tassi di interesse sui mutui introdotta dalla l. n. 108/1996 — e quindi anche quella dettata dall'art. 1 d.l. n. 394/2000, conv. in l. n. 24/2001, di interpretazione autentica della precedente — non è applicabile ai rapporti completamente esauriti prima della sua entrata in vigore (Cass. I, n. 15497/2005). Le Sezioni Unite, con riferimento alla problematica della c.d. usura sopravvenuta, hanno sancito che allorché il tasso degli interessi concordato tra mutuante e mutuatario superi, nel corso dello svolgimento del rapporto, la soglia dell'usura come determinata in base alle disposizioni della l. n. 108/1996, non si verifica la nullità o l'inefficacia della clausola contrattuale di determinazione del tasso degli interessi stipulata anteriormente all'entrata in vigore della predetta legge, o della clausola stipulata successivamente per un tasso non eccedente tale soglia quale risultante al momento della stipula (Cass. S.U., n. 24675/2017). Al fine del riscontro di eventuale usurarietà dei tassi preveduti in un contratto di mutuo, la verifica va effettuata anche in relazione agli interessi moratori convenzionalmente stabiliti (Cass. I, n. 350/2013; Cass. III, n. 5324/2003; Cass. I, n. 5286/2000). Clausole di determinazione degli interessi ultralegaliLa pattuizione di interessi superiori alla misura legale deve essere fatta per iscritto sotto pena di nullità, altrimenti restano dovuti solo nella misura legale (art. 1284, comma 3). Non si reputa, peraltro, necessario che la misura degli interessi sia espressamente indicata attraverso il saggio percentuale (Fragali, in Comm. S. B., 1966, 362), essendo possibile che essa sia rinvenibile mediante una determinazione per relationem laddove il criterio indicato sia certo ed obiettivo (Cass. III, n. 3252/1984). Ovviamente detto principio può trovare applicazione, in relazione ai contratti di mutuo stipulati da istituti bancari, solo con riferimento a quelli stipulati prima dell'entrata in vigore della l. n. 154/1992 (Cass. III, n. 25205/2014). Anatocismo nel mutuoLa giurisprudenza aveva ritenuto che, in riferimento al calcolo degli interessi nel contratto di mutuo bancario, dovevano ritenersi applicabili le limitazioni previste dall'art. 1283 c.c., non esistendo un uso bancario contrario a quanto disposto dalla norma predetta. Di conseguenza, era stata ritenuta integrante un fenomeno anatocistico, vietato dall'art. 1283, la convenzione, contestuale alla stipulazione del mutuo, in forza della quale sulle rate scadute decorrono gli interessi sull'intera somma (Cass. III, n. 2593/2003). Principi questi di recente nuovamente ribaditi in tema di mutuo agrario di miglioramento disciplinato dalla l. n. 1760/1928 (Cass. III, n. 2072/2013). Tuttavia, il legislatore è intervenuto in argomento con la delibera CICR del 9 febbraio 2000 che, per i contratti di finanziamento a rimborso rateale stipulati successivamente alla sua entrata in vigore, ha previsto la possibilità di pattuire che, in caso di inadempimento del debitore, l'importo complessivamente dovuto alla scadenza di ogni rata produca interessi sino al pagamento, restando invece vietata la capitalizzazione periodica degli stessi (art. 3). La giurisprudenza di legittimità ritiene che non sia concettualmente configurabile il fenomeno anatocistico con riferimento a mutuo bancario con ammortamento cd. alla francese, difettando – in sede genetica del negozio – il presupposto stesso dell'anatocismo, vale a dire la presenza di un interesse giuridicamente definibile come scaduto sul quale operare il calcolo dell'interesse composto ex art. 1283 (Cass. I, n. 1168/2025). Con riferimento al mutuo bancario a tasso fisso con rimborso rateale del prestito regolato da un piano di ammortamento 'alla francese' di tipo standardizzato tradizionale, le S.U. hanno recentemente chiarito che non è causa di nullità parziale del contratto la mancata indicazione della modalità di ammortamento e del regime di capitalizzazione «composto» degli interessi debitori, per indeterminatezza o indeterminabilità dell'oggetto del contratto, né per violazione della normativa in tema di trasparenza delle condizioni contrattuali e dei rapporti tra gli istituti di credito e i clienti (Cass. S.U., n. 15130/2024). La disciplina dell'usuraNel regime anteriore alla l. n. 108/1996 il negozio di mutuo venga considerato dalla giurisprudenza illecito per pattuizione di interessi a tasso elevato solo nel caso di sussistenza degli estremi del delitto di usura ai sensi dell'art. 644 c.p. (nella previgente formulazione). In particolare, lo stato di bisogno preso in considerazione dalla disposizione penale poteva essere indifferentemente determinato da cause incolpevoli oppure da vizi, prodigalità o altre cause inescusabili, in quanto la norma perseguiva la finalità di colpire l'usurario quale persona socialmente nociva. Pertanto, lo stato di bisogno nel reato di usura si riteneva sussistente tutte le volte in cui la persona offesa non era in grado di ottenere altrove e a condizioni migliori la prestazione di denaro o altra cosa occorrente anche ai fini della sua attività d'impresa e doveva, invece, sottostare alle esose condizioni imposte per il prestito (Cass. III, n. 19698/2008). A seguito della riformulazione del reato di usura operata dalla l. n. 108/1996, è stato soppresso l'elemento dell'approfittamento dello stato di bisogno ed è stato previsto che è la legge a stabilire «il limite oltre il quale gli interessi sono sempre usurai» (art. 644, comma 3 c.p.) con determinazione del tasso massimo delegata al Ministero del tesoro (cd. «tasso-soglia»). La giurisprudenza di legittimità iniziò ad orientarsi nel senso dell'applicabilità della legge ai rapporti pendenti alla data della sua entrata in vigore, con conseguenze sul tasso d'interesse contrattuale, sia pure riferite alla sola parte del rapporto successiva a tale data (Cass. III, n. 1126/2000; Cass. I, n. 5286/2000, Cass. I, n. 14899/2000). Ciò indusse il legislatore ad intervenire con la norma d'interpretazione autentica di cui al d.l. n. 394/2000, art. 1, comma 1, che recita: «Ai fini dell'applicazione dell'art. 644 c.p., e dell'art. 1815 c.c., comma 2, si intendono usurari gli interessi che superano il limite stabilito dalla legge nel momento in cui essi sono promessi o comunque convenuti, a qualunque titolo, indipendentemente dal momento del loro pagamento». La Corte costituzionale ha escluso la sospetta illegittimità, per violazione degli artt. 3, 24, 47 e 77 Cost., della summenzionata norma di interpretazione autentica (Corte cost. n. 29/2002). Quando non risulta superato il cosiddetto tasso soglia, la nullità ex art. 1815, comma 2, della clausola di previsione degli interessi, richiede invece la prova del loro carattere usurario ai sensi dell'art. 644, comma 3, secondo periodo, c.p., ossia la dimostrazione della sproporzione degli interessi convenuti, nonché della condizione di difficoltà economica di colui che promette gli interessi. La prova di entrambi i presupposti grava su colui che afferma la natura usuraria degli interessi, senza che, accertato lo stato di difficoltà economica, la sproporzione possa ritenersi in re ipsa, dovendo comunque dimostrarsi il vantaggio unilaterale conseguito dalla banca (Cass. III, n. 19282/2014). La nullità delle clausole che prevedono un tasso di interesse usurario è rilevabile anche d'ufficio, non integrando gli estremi di una eccezione in senso stretto, bensì di una mera difesa (Cass. III, n. 2072/2014; Cass. I, n. 350/2013). Secondo l'impostazione tradizionale della giurisprudenza , i decreti ministeriali previsti dalla l. n. 108/1996 non hanno natura di atti normativi bensì amministrativi, con la conseguenza che gli stessi si sottraggono all'operatività del principio «iura novit curia» e, non essendo il giudice tenuto a conoscerli od acquisirli, è rimesso alla parte che ne ha interesse l'onere di produrli in giudizio (Cass. III, n. 8742/2001). Invece, secondo una recente pronuncia della S.C., il principio iura novit curia fonda il potere-dovere del giudice di acquisire i decreti ministeriali di rilevazione dei tassi soglia antiusura a prescindere dall'attività delle parti, atteso che tali atti realizzano una etero-integrazione delle leggi penali e civili che disciplinano in via generale la materia (Cass. I, n. 15104/2025; Cass. III, n. 8853/2020). La S.C. ha altresì chiarito che in caso di dubbio circa la riconducibilità dell'operazione all'una o all'altra delle categorie, indicate con decreto ministeriale, cui si riferisce la rilevazione dei tassi effettivi globali medi, si devono individuare i profili di omogeneità che l'operazione stessa presenti rispetto alle diverse tipologie prese in considerazione dai detti decreti, attribuendo rilievo ai parametri normativi individuati dall'art. 2, comma 2, l. n. 108/1996 e apprezzando, in particolare, quelli, tra essi, che, sul piano logico, meglio connotino il finanziamento preso in esame ai fini della sua inclusione nell'una o nell'altra classe di operazioni (Cass. I, n. 22380/2019). L'usura sopravvenuta Costituisce dato pacifico in giurisprudenza che la disciplina relativa ai tassi di interesse sui mutui introdotta dalla l. n. 108/1996 — e quindi anche quella dettata dall'art. 1 d.l. n. 394/2000, conv. in l. n. 24/2001, di interpretazione autentica della precedente — non è applicabile ai rapporti completamente esauriti prima della sua entrata in vigore. Non rilevando, peraltro, in senso contrario la pendenza di una controversia sulle obbligazioni derivanti dal contratto e rimaste inadempiute, posto che le stesse non implicano che il rapporto contrattuale sia ancora in atto, ma solo che la sua conclusione ha lasciato in capo alle parti, o ad una di esse, delle ragioni di credito (Cass. I, n. 15497/2005). Il cd. "tasso di sostituzione", previso dall' art.1, comma 3, del d.l. n. 394 del 2000 (conv., con modif., dalla l. n.24 del 2001) non può, dunque, essere invocato in relazione ai contratti precedentemente risolti o receduti, in cui residuano soltanto obbligazioni restitutorie immediatamente esigibili, rispetto alle quali non vi è spazio per interventi manutentivi del regolamento contrattuale, quale quello costituito dal predetto "tasso di sostituzione" (Cass. II, n. 4033/2021). È stata, invece, a lungo discussa la sorte del tasso di interesse pattuito in un contratto di mutuo stipulato prima della entrata in vigore della l. n. 10/1996 che, a seguito dell'operatività del meccanismo previsto dalla stessa legge per la determinazione della soglia oltre la quale un tasso è da qualificare usurario, si riveli superiore a detta soglia. In effetti, la questione della configurabilità di una «usura sopravvenuta» si pone non soltanto con riferimento ai contratti stipulati prima dell'entrata in vigore della l. n. 108/1996, ma anche con riferimento a contratti successivi all'entrata in vigore della legge recanti tassi inferiori alla soglia dell'usura, superata poi nel corso del rapporto per effetto della caduta dei tassi medi di mercato, che sono alla base del meccanismo legale di determinazione dei tassi usurari: meccanismo basato, appunto, secondo la l. n. 108/1996, art. 2, sulla rilevazione trimestrale dei tassi medi praticati per le varie categorie di operazioni creditizie, sui quali viene applicata una determinata maggiorazione. E si pone, in teoria, con riguardo sia ai tassi contrattuali fissi che a quelli variabili. Un primo orientamento giurisprudenziale aveva dato risposta negativa alla questione della configurabilità dell'usura sopravvenuta (Cass. I, n. 801/2016; Cass. I, n. 22204/2013; Cass. I, n. 26499/2009; Cass. I, n. 6514/2007). Ciò in quanto la norma d'interpretazione autentica attribuisce rilevanza, ai fini della qualificazione del tasso convenzionale come usurario, al momento della pattuizione dello stesso e non al momento del pagamento degli interessi: conseguentemente deve escludersi che il meccanismo dei tassi soglia previsto dalla l. n. 108 sia applicabile alle pattuizioni di interessi stipulate in data precedente la sua entrata in vigore, anche se riferite a rapporti ancora in corso a tale data. Di contro, una diversa impostazione, aveva affermato l'incidenza della l. n. 108/1996 sui contratti in corso alla data della sua entrata in vigore (Cass. III, n. 6550/2013; Cass. III, n. 17854/2007; Cass. III, n. 2149/2006; Cass. I, n. 4093/2005). In tale ottica era stato ritenuto, in pronunce più recenti, che nei casi di superamento della soglia del tasso usurario per effetto dell'entrata in vigore della l. n. 108, cit., opera la sostituzione automatica, ai sensi degli artt. 1319 e 1419, comma 2 c.c., del tasso soglia del tempo al tasso convenzionale (Cass. I, n. 9405/2017; Cass. I, n. 603/2013; Cass. I, n. 602/2013). Le Sezioni Unite, intervenendo per risolvere il suesposto contrasto giurisprudenziale, hanno sancito che allorché il tasso degli interessi concordato tra mutuante e mutuatario superi, nel corso dello svolgimento del rapporto, la soglia dell'usura come determinata in base alle disposizioni della l. n. 108/1996, non si verifica la nullità o l'inefficacia della clausola contrattuale di determinazione del tasso degli interessi stipulata anteriormente all'entrata in vigore della predetta legge, o della clausola stipulata successivamente per un tasso non eccedente tale soglia quale risultante al momento della stipula (Cass. S.U., n. 24675/2017). Le S.U. hanno all'uopo evidenziato che il giudice risulta vincolato all'interpretazione autentica dell'art. 644 c.p., e art. 1815, comma 2, come modificati dalla l. n. 108/1996, (rispettivamente all'art. 1 e all'art. 4), imposta dall'art. 1, comma 1 d.l. n. 394/2000, interpretazione della quale la Corte costituzionale ha escluso la sospetta illegittimità, per violazione degli artt. 3,24,47 e 77 Cost., n. 29/2002. Le S.U. hanno altresì ritenuto che la pretesa del mutuante di riscuotere gli interessi secondo il tasso validamente concordato non può essere qualificata, per il solo fatto del sopraggiunto superamento di tale soglia, contraria al dovere di buona fede nell'esecuzione del contratto in quanto la violazione del canone di buona fede non è riscontrabile nell'esercizio in sé considerato dei diritti scaturenti dal contratto, bensì nelle particolari modalità di tale esercizio in concreto, che siano appunto scorrette in relazione alle circostanze del caso (in tal senso v. anche Cass, n. 4033/2021; Cass. VI, n. 2311/2018). Gli interessi moratori Secondo la costante giurisprudenza di legittimità, al fine del riscontro di eventuale usurarietà dei tassi preveduti in un contratto di mutuo, la verifica va effettuata anche in relazione agli interessi moratori convenzionalmente stabiliti (Cass. I, n. 350/2013; Cass. III, n. 5324/2003; Cass. I, n. 5286/2000). A seguito della summenzionata decisione dei giudici di legittimità, la giurisprudenza si è occupata della problematica relativa alle modalità con cui procedere in concreto all'accertamento del superamento del tasso soglia: ovvero se tale accertamento deve essere svolto valutando separatamente ciascuna tipologia di interessi o, invece, procedendo alla sommatoria algebrica degli interessi convenzionali e di quelli moratori. L'orientamento pressoché unanime della giurisprudenza di merito ha evidenziato che ai fini della verifica della usurarietà di un contratto di mutuo non è valida la formula di calcolo data dalla sommatoria degli interessi convenzionali e quelli moratori, laddove pattuiti come sostitutivi dei primi e non addizionabili ad essi (Trib. Catania IV, 11 luglio 2018, n. 2948; Trib. Pisa 25 giugno 2018; Trib. Napoli II, 17 aprile 2018; Trib. Bologna III, 9 febbraio 2018; Trib. Milano VI, 6 giugno 2018, n. 6369; Trib. Milano VI, 9 novembre 2017, n. 11275; Trib. Milano 28 settembre 2016, n. 10450). Invero, le due tipologie di interesse non possono essere indistintamente poste sul medesimo piano rappresentando i primi il prezzo dell'operazione di mutuo e il vantaggio che il mutuante riceve nel sinallagma contrattuale ed i secondi il prezzo del ritardo addebitabile al debitore nell'ipotesi in cui il rapporto entri nella sua fase patologica, ossia allorquando la parte mutuataria non corrisponda tempestivamente quanto dovuto per la restituzione del denaro ricevuto in prestito (Trib. Grosseto 21 giugno 2018; Trib. Sondrio 2 novembre 2017, n. 456; Trib. Monza I, 1° settembre 2016; Trib. Monza III, 2 luglio 2016). In tal senso si è espressa anche la giurisprudenza di legittimità evidenziando che, ai fini della determinazione del tasso soglia, gli interessi corrispettivi e quelli moratori contrattualmente previsti non si possono fra loro cumulare in quanto vengono percepiti ricorrendo presupposti diversi ed antitetici, giacchè i primi costituiscono la controprestazione del mutuante e i secondi hanno natura di clausola penale, in quanto costituiscono una determinazione convenzionale preventiva del danno da inadempimento(Cass. VI, n. 31615/2021; Cass. III, n. 26286/2019). In dottrina è stato evidenziato che l'equivoco è indotto dal fatto che le rate di rimborso sono generalmente composte da una parte di capitale e una parte di interessi (corrispettivi), sicché quando una di tali rate rimane inadempiuta con conseguente applicazione degli interessi moratori, questi ultimi sembrerebbero appunto «sommarsi» agli interessi corrispettivi inglobati nella rata (scaduta e insoluta). Tuttavia, se è vero che gli interessi moratori si applicano all'intero importo della rata scaduta (e insoluta), comprensiva anche degli interessi corrispettivi, è altrettanto vero che questi ultimi interessi — una volta appunto che la rata che li ingloba sia venuta a scadenza — sono a tutti gli effetti equiparati al capitale (D'Amico, Interessi usurari e contratti bancari, in Gli interessi usurari. Quattro voci su un tema controverso, Torino, 2017, 25). Anche la giurisprudenza di merito ha ritenuto lecito applicare gli interessi moratori, con un proprio tasso autonomo, sui corrispettivi pagati in ritardo, in quanto ciò non dà vita ad un interesse composto da prendere in considerazione ai fini del rispetto della soglia di usura (Trib. Napoli II, 9 febbraio 2018, n. 1476). Né a risultati diversi sembrerebbero deporre alcune recenti pronunce della S.C. (Cass. VI, n. 23192/2017; Cass. VI, n. 5598/2017) le quali, pur essendo in effetti equivocamente formulate come se avessero espressamente preso posizione questione in esame e, nella specie, pronunciato in favore del cumulo, in realtà, ribadiscono — per mero rinvio ad altre pregresse sentenze a loro volta sinteticamente motivate — quanto già affermato dalle pregresse sentenze, e cioè che «la l. n. 108/1996, art. 1, che prevede la fissazione di un tasso soglia al di là del quale gli interessi pattuiti debbono essere considerati usurari, riguarda sia gli interessi corrispettivi che quelli moratori» (Cass. III, n. 5324/2003). Sul punto è stato osservato (Pascucci, La controversa rilevanza degli interessi di mora nella valutazione di usurarietà delle prestazioni creditizie, in giusitiziacivile.com, 10 novembre 2017) che la Corte ha «semplicemente» ribadito la rilevanza usuraria degli interessi moratori, senza che ulteriormente traspaia — anche se è quello che, a tutta prima, appare — alcuna apertura nei confronti del cumulo tra interessi corrispettivi e moratori ai fini dell'accertamento dell'usurarietà dell'operazione di finanziamento. Anzi, da un passaggio della motivazione sembrerebbe evincersi, semmai, il contrario, e cioè l'impossibilità di accertare l'usurarietà attraverso la stretta sommatoria tra interessi corrispettivi e moratori (“Ha errato, allora, il tribunale nel ritenere in maniera apodittica che il tasso di soglia non fosse stato superato nella fattispecie concreta, solo perché non sarebbe consentito cumulare gli interessi corrispettivi a quelli moratori al fine di accertare il superamento del detto tasso»). Se dunque, il patto di mora è rilevante ai fini della normativa anti-usura, particolare attenzione deve essere posta alle modalità concrete di verifica della usurarietà del tasso convenuto. Deve, infatti, osservarsi che la pattuizione dell'interesse di mora è autonoma e peculiare e ha la funzione di sanzionare il ritardo nell'adempimento: lo stesso patto opera, difatti, solo qualora una parte sia stata inadempiente e quindi ha una funzione ulteriore rispetto a quella di mera erogazione del credito. Va altresì osservato che i TEG medi rilevati dalla Banca d'Italia (che includono il tasso nominale e tutti gli oneri connessi all'erogazione del credito) non comprendono gli interessi di mora, come espressamente indicato nei Decreti trimestrali del Ministero dell'Economia e delle Finanze i quali specificano che i tassi effettivi globali medi non sono comprensivi degli interessi di mora contrattualmente previsti per i casi di ritardato pagamento. La Banca di Italia ha chiarito che ciò avviene perché non sono dovuti dal momento dell'erogazione del credito ma solo a seguito di un eventuale inadempimento da parte del cliente. L'esclusione evita di considerare nella media operazioni con andamento anomalo. Infatti, essendo gli interessi moratori più alti, per compensare la banca del mancato adempimento, se inclusi nel TEG medio potrebbero determinare un eccessivo innalzamento delle soglie, in danno della clientela. Tale impostazione è coerente con la disciplina comunitaria sul credito al consumo che esclude dal calcolo del TAEG (Tasso Annuo Effettivo Globale) le somme pagate per l'inadempimento di un qualsiasi obbligo contrattuale, inclusi gli interessi di mora. Si pone quindi il problema di individuare quale sia la soglia dei suddetti interessi, posto che il confronto con le rilevazioni trimestrali conduce ad affiancare interessi rilevati nella fase fisiologica del rapporto con gli interessi invece applicati nell'ipotesi di inadempimento e con finalità sanzionatoria dello stesso, che è noto sono caratterizzati in concreto da un tasso più elevato. La Banca d'Italia, in ordine ai criteri di accertamento dell'usurarietà degli interessi moratori, giudica il tasso soglia individuato dalla legge e rilevato trimestralmente rispetto ai soli interessi corrispettivi non idoneo ad essere utilizzato come parametro anche per valutare l'usurarietà degli interessi moratori, e suggerisce di individuare per essi un tasso soglia «alternativo», nella specie determinato maggiorando il TEGM di 2,1 punti percentuali, pari alla media della maggiorazione degli interessi prodotta dalle clausole che predeterminano le conseguenze del ritardato pagamento delle obbligazioni restitutorie del capitale, così come rilevata da un'indagine statistica eseguita «a fini conoscitivi» nel 2002 dalla stessa Banca d'Italia insieme all'Ufficio Italiano Cambi (Circolare Banca d'Italia, «Chiarimenti in materia di applicazione della legge usuraria», 3 luglio 2013). Ciò sostanzialmente sulla base del rilievo per cui se, ex ante, gli interessi moratori non sono ricompresi tra gli oneri che concorrono a formare il TEGM, che a sua volta costituisce la base di calcolo del «tasso soglia», andrà operata, anche ex post, una separata valutazione dell'usura oggettiva con riferimento alla mora. Il cui valore, ciò che sembrerebbe sostanzialmente implicito, singolarmente considerato, e cioè non sommato a quello degli interessi corrispettivi, andrà confrontato al TEGM aumentato del 2,1% (rectius, con il tasso soglia determinato su tale importo). In questo senso si è costantemente orientato anche il Ministero dell'Economia, recependo la maggiorazione nell'anzidetta percentuale nei decreti ministeriali succedutisi a far data dal 2003 sino ad oggi, nei quali appunto si dispone che i TEGM non sono comprensivi degli interessi di mora, che sono rilevati separatamente nella misura media pari a 2,1 punti percentuali al di sopra dei tassi medi rilevati per ogni categoria omogenea di operazioni creditizie, in attuazione/accoglimento di quanto rilevato dalla Banca d'Italia nell'indagine statistica del 2002. Detta impostazione era stata recepita dalla giurisprudenza di merito maggioritaria (Trib. Sassari 9 giugno 2017, n. 819; Trib. Sulmona 20 luglio 2017, n. 295; Trib. Mantova 20 gennaio 2017, n. 55; Trib. Ferrara 11 gennaio 2017, n. 14; Trib. Roma 16 novembre 2016, n. 21526; Trib. Brescia 14 ottobre 2015; Trib. Padova 27 gennaio 2015; Trib. Milano, 3 dicembre 2014, n. 14394; Trib. Cremona 30 ottobre 2014; Trib. Bergamo 15 febbraio 2017, n. 5131). La S.C. (Cass. III, ord. n. 27442/2018) ha invece dissentito da tale impostazione. I giudici di legittimità (dopo aver ribadito che deve ritenersi nullo il patto col quale si convengano interessi convenzionali moratori che, alla data della stipula, eccedano il tasso soglia di cui all'art. 2 della l. n. 108/1996, relativo al tipo di operazione cui accede il patto di interessi moratori convenzionali) hanno statuito che il riscontro dell'usurarietà degli interessi convenzionali moratori va compiuto confrontando puramente e semplicemente il saggio degli interessi pattuito nel contratto col tasso soglia calcolato con riferimento a quel tipo di contratto, senza alcuna maggiorazione od incremento. Si è, in particolare evidenziato che risulta impossibile, in assenza di qualsiasi norma di legge in tal senso, pretendere che l'usurarietà degli interessi moratori vada accertata in base non al saggio rilevato ai sensi dell'art. 2 l. n. 108/1996, ma in base ad un fantomatico tasso talora definito nella prassi di "mora-soglia", ottenuto incrementando arbitrariamente di qualche punto percentuale il tasso soglia. Gli ermellini hanno, inoltre, evidenziato che l'applicazione dell'art. 1815, comma 2, agli interessi moratori usurari non sembra sostenibile, atteso che la norma si riferisce solo agli interessi corrispettivi, e considerato che la causa degli uni e degli altri è pur diversa: il che rende ragionevole, in presenza di interessi convenzionali moratori usurari, di fronte alla nullità della clausola, attribuire secondo le norme generali al danneggiato gli interessi al tasso legale (Cass. III, ord. n. 27442/2018). Atteso il perdurante contrasto giurisprudenziale in ordine alle tematiche in esame, la Prima sezione civile aveva rimesso tutte le questioni aperte alle Sezioni Unite (Cass. I, ord. n. 26946/2019). Le Sezioni Unite (Cass. S.U., n. 19597/2020) hanno enucleato i seguenti principi di diritto al fine di dirimere i numerosi contrasti giurisprudenziali fin qui emersi: 1) La disciplina antiusura si applica agli interessi moratori, intendendo essa sanzionare la pattuizione di interessi eccessivi convenuti al momento della stipula del contratto quale corrispettivo per la concessione del denaro, ma anche la promessa di qualsiasi somma usuraria sia dovuta in relazione al contratto concluso; 2) La mancata indicazione dell'interesse di mora nell'ambito del T.e.g.m. non preclude l'applicazione dei decreti ministeriali, i quali contengano comunque la rilevazione del tasso medio praticato dagli operatori professionali, statisticamente rilevato in modo del pari oggettivo ed unitario, essendo questo idoneo a palesare che una clausola sugli interessi moratori sia usuraria, perché “fuori mercato”, donde la formula: “T.e.g.m., più la maggiorazione media degli interessi moratori, il tutto moltiplicato per il coefficiente in aumento, più i punti percentuali aggiuntivi, previsti quale ulteriore tolleranza dal predetto decreto” (in tal senso v. anche Cass. III, 9229/2022Cass. I, n. 12964/2021); 3) Ove i decreti ministeriali non rechino neppure l'indicazione della maggiorazione media dei moratori, resta il termine di confronto del T.E.G.M., così come rilevato, con la maggiorazione ivi prevista (in tal senso v. anche Cass. I, n. 145/2023); 4) Si applica l'art. 1815, comma 2, onde non sono dovuti gli interessi moratori pattuiti, ma vige l'art. 1224, comma 1, con la conseguente debenza degli interessi nella misura dei corrispettivi lecitamente convenuti (in tal senso v. ancheCass. III, n. 16526/2024); 5) Anche in corso di rapporto sussiste l'interesse ad agire del finanziato per la declaratoria di usurarietà degli interessi pattuiti, tenuto conto del tasso-soglia del momento dell'accordo; una volta verificatosi l'inadempimento ed il presupposto per l'applicazione degli interessi di mora, la valutazione dell'usurarietà attiene all'interesse in concreto applicato dopo l'inadempimento in tal senso v. ancheCass. III, n. 5484/2024; 6) Nei contratti conclusi con un consumatore concorre la tutela prevista dagli artt. 33, comma 2, lett. f) e 36, comma 1, del codice del consumo di cui al d.lgs. n. 206 del 2005, già artt. 1469-bis e 1469-quinquies c.c.; 7) L'onere probatorio nelle controversie sulla debenza e sulla misura degli interessi moratori, ai sensi dell'art. 1697, si atteggia nel senso che, da un lato, il debitore, il quale intenda provare l'entità usuraria degli stessi, ha l'onere di dedurre il tipo contrattuale, la clausola negoziale, il tasso moratorio in concreto applicato, l'eventuale qualità di consumatore, la misura del T.e.g.m. nel periodo considerato, con gli altri elementi contenuti nel decreto ministeriale di riferimento; dall'altro lato, è onere della controparte allegare e provare i fatti modificativi o estintivi dell'altrui diritto (in tal senso v. ancheCass. III, n. 26525/2024). In particolare, le S.U. hanno evidenziato che il disposto dell'art. 1815, comma 2, pur sanzionando la pattuizione degli interessi usurari, fa seguire la sanzione della non debenza di qualsiasi interesse limitatamente al tipo che quella soglia abbia superato. Invero, ove l'interesse corrispettivo sia lecito e solo il calcolo degli interessi moratori applicati comporti il superamento della predetta soglia usuraria, ne deriva che solo questi ultimi sono illeciti e preclusi con vigenza del disposto dell'art. 1224, comma 1, e dunque con applicazione degli interessi nella misura dei corrispettivi lecitamente pattuiti. I giudici di legittimità sottolineano all'uopo che, caduta la clausola degli interessi moratori, resta un danno per il creditore insoddisfatto, donde l'applicazione della regola comune, secondo cui il danno da inadempimento di obbligazione pecuniaria viene automaticamente ristorato con la stessa misura degli interessi corrispettivi, già dovuti per il tempo dell'adempimento in relazione alla concessione ad altri della disponibilità del denaro. Ciò, in quanto la nullità della clausola sugli interessi moratori non porta con sé anche quella degli interessi corrispettivi: onde anche i moratori saranno dovuti in minor misura, in applicazione dell'art. 1224 a patto che quelli siano lecitamente convenuti. Tale conclusione è confortata - secondo le Sezioni Unite - dalla primaria esigenza di coerenza e non contraddittorietà col diritto eurounitario, come vive dalle interpretazioni rese ad opera della Corte di Giustizia dell'Unione, che più volte è stata adita in via pregiudiziale con riguardo alle direttive in materia di consumatori e si è espressa nel senso secondo cui continuano - pur caduta la clausola sugli interessi moratori - ad essere dovuti quelli corrispettivi, e ciò indipendentemente dalla tecnica di redazione delle clausole medesime, in quanto la direttiva 93/13/CEE non osta a che si giunga alla «soppressione integrale di questi interessi, mentre continuano a maturare gli interessi corrispettivi previsti da detto contratto» (Corte di giustizia 7 agosto 2018, cause riunite C‑96/16 e C‑94/17, punti 76-78): ciò in quanto «gli interessi corrispettivi hanno una funzione di remunerazione della messa a disposizione di una somma di denaro da parte del mutuante fino al rimborso della somma stessa» (punto 76) e ove «la clausola abusiva consiste in tale maggiorazione, la direttiva 93/13 esige unicamente che la maggiorazione stessa venga annullata» (punto 77). Tenuto conto che il contratto di mutuo, nel cui genus va ricondotto ogni finanziamento, è un contratto di durata, agli effetti dell'art. 1458, in considerazione del carattere non istantaneo, ma prolungato della durata del prestito, e dell'utilità per il mutuatario consistente nel godimento del danaro assicuratogli dal mutuante per il tempo convenuto, caduta la clausola sugli interessi moratori, le rate scadute al momento della caducazione del prestito restano dovute nella loro integralità, comprensive degli interessi corrispettivi in esse già conglobati, oltre agli interessi moratori sull'intero nella misura dei corrispettivi pattuiti; tale effetto, peraltro, richiede che in sé il tasso degli interessi corrispettivi sia lecito. Per quanto attiene le rate a scadere, sorge l'obbligo d'immediata restituzione dell'intero capitale ricevuto, sul quale saranno dovuti gli interessi corrispettivi, ma attualizzati al momento della risoluzione: infatti, fino al momento in cui il contratto ha avuto effetto, il debitore ha beneficiato della rateizzazione, della quale deve sostenere il costo, pur ricalcolato attualizzandolo, rispetto all'originario piano di ammortamento non più eseguito; da tale momento e sino al pagamento, vale l'art. 1224, comma 1. Di recente la S.C. ha chiarito che la parte mutuataria non ha interesse ad agire per la declaratoria di usurarietà degli interessi moratori, allorché manchino i presupposti della mora per avere l'obbligato adempiuto al pagamento di tutti i ratei, di modo che possa escludersi che possano trovare applicazione detti interessi (Cass. VI, n. 1818/2021). I costi eventuali Altro tema ampiamente dibattuto nella giurisprudenza di merito è se la verifica del rispetto del tasso soglia antiusura debba essere svolta in termini astratti e con riguardo ad ogni potenziale scenario di evoluzione del rapporto, ivi compresi scenari — quale, ad esempio, l'estinzione anticipata — che non sono concretamente verificati, oppure se la verifica del rispetto del tasso soglia antiusura debba essere compiuta assumendo come riferimento l'evoluzione del rapporto quale concretamente realizzatasi. Secondo un primo orientamento ai fini della verifica della usurari età del tasso convenuto nel contratto di mutuo deve tenersi conto non solo del tasso di interessi convenuto ma anche di tutti gli altri costi previsti in contratto, sia quelli certi (come le spese di istruttoria e quelle per l'assicurazione dell'immobile o degli immobili concessi in garanzia) che quelli eventuali quali possono essere gli interessi moratori (dovuti in caso di inadempimento nel pagamento delle rate di mutuo) e la commissione per estinzione anticipata (Trib. Bologna 9 maggio 2017; Trib. Bari 19 ottobre 2015; Trib. Pescara 28 novembre 2014; Trib. Ascoli Piceno 30 giugno 2014). I fautori di tale impostazione ritengono, in sostanza, che la mora e la penale per estinzione anticipata possano essere tra loro accomunate in quanto entrambe rappresentano un costo del mutuo erogato, seppure solo incerto e potenziale circa il verificarsi in concreto. atteso che entrambe dipendono da un fatto del mutuatario (Trib. Pescara 28 novembre 2014). Secondo altra impostazione, invece, la verifica del rispetto del tasso soglia antiusura debba essere compiuta assumendo come riferimento l'evoluzione del rapporto quale concretamente realizzatasi (Trib. Milano 16 febbraio 2017; Trib. Torino 27 aprile 2016; Trib. Torino 20 giugno 2015; Trib. Santa Maria Capua Vetere 6 marzo 2017). Si osserva al riguardo che la verifica in punto di usurarietà si traduce in un controllo circa il «costo» dell'erogazione del credito. Invero, il calcolo del T.E.G. dell'operazione contrattuale esprime il costo economico complessivo della stessa per il cliente, costo che — nell'ottica del legislatore del 1996 — deve essere confrontato con un dato «oggettivo» (il T.E.G.M., oltre la maggiorazione), il quale esprime a propria volta il limite di «tollerabilità» che l'ordinamento ammette: è legittima l'operazione solo se e nella misura in cui il «costo» della medesima (che viene espresso dal T.E.G.) non superi quel limite di legge. Tale essendo la ratio del sistema, la pattuizione di oneri eventuali assumerebbe dunque un rilievo del tutto peculiare: quegli oneri inciderebbero, difatti, sul costo economico dell'operazione solo laddove si siano concretamente verificate le condizioni per l'applicazione degli stessi, atteso che solo in tal caso quegli oneri sono idonei ad incidere sul costo dell'operazione quale intervenuta tra le parti. In altri termini, posto che la verifica di usurarietà si sostanzia nel verificare quale sia stato il «costo» effettivo dell'erogazione del credito, tale verifica deve essere compiuta in conformità sì al programma negoziale convenuto, ma pur sempre a fronte del rapporto quale concretamente sviluppato. Pertanto, gli oneri meramente eventuali assumono rilievo ai fini del calcolo del T.E.G. solo laddove si siano verificate le condizioni di contratto cui sia stata subordinata la relativa applicabilità. Con la conseguenza che, secondo detto orientamento, sono irrilevanti ai fini della verifica di usurarietà quelle voci di costo che siano sì collegate all'erogazione del credito, ma che; 1) siano meramente potenziali, perché non dovute per effetto della mera conclusione del contratto, ma subordinate al verificarsi di eventi futuri (ancora possibili ma concretamente) non verificatisi; 2) siano del tutto irreali, perché non dovute per effetto della mera conclusione del contratto, ma subordinate al verificarsi di eventi che non si sono verificati, né potranno in seguito verificarsi. La S.C. recentemente intervenuta sul tema, ha ritenuto che non sono accomunabili, nella comparazione necessaria alla verifica delle soglie usuraie, voci del costo del credito corrispondenti a distinte funzioni: pertanto, non deve cumularsi, ai fini in esame, la commissione di estinzione anticipata con gli interessi moratori (Cass. III, n. 18497/2024; Cass. III, n. 8109/2022). La prima costituisce, infatti, una clausola penale di recesso, che viene richiesta dal creditore (mutuante) e pattuita in contratto per consentire al mutuatario di sciogliersi anticipatamente dagli impegni di durata, per i liberi motivi di ritenuta convenienza più diversi, e per compensare, viceversa, il venir meno dei vantaggi finanziari che il mutuante aveva previsto, accordando il prestito, di avere dal negozio. I secondi, invece, costituiscono una clausola penale risarcitoria volta a compensare il ritardo nella restituzione del denaro, così da sostituire, incrementati, gli interessi corrispettivi. A ben vedere, pertanto, proprio la natura di penale per recesso della commissione di estinzione anticipata comporta che si tratta di voce non computabile ai fini della verifica di non usurarietà. La commissione in parola non è collegata se non indirettamente all'erogazione del credito, non rientrando tra i flussi di rimborso, maggiorato del correlativo corrispettivo o del costo di mora per il ritardo nella corresponsione di quello. Non si è di fronte, cioè, a «una remunerazione, a favore della banca, dipendente dall'effettiva durata dell'utilizzazione dei fondi da parte del cliente». Il contratto di assicurazione accessorio La S.C. ha espressamente ritenuto che, ai fini della valutazione dell'eventuale natura usuraria di un contratto di mutuo, devono essere conteggiate anche le spese di assicurazione sostenute dal debitore per ottenere il credito, in conformità con quanto previsto dall'art. 644, comma 4 c.p., essendo, all'uopo, sufficiente che le stesse risultino collegate alla concessione del credito. La sussistenza del collegamento può essere dimostrata con qualunque mezzo di prova ed è presunta nel caso di contestualità tra la spesa di assicurazione e l'erogazione del mutuo (Cass. II, n. 29501/2023; Cass. I, n. 8806/2017). I Giudici di legittimità hanno, peraltro, chiarito che non assume rilevanza la diversa indicazione contenuta nelle istruzioni della Banca d'Italia poiché esse, avendo natura di norme secondarie, devono conformarsi a tale norma primaria di riferimento e non sono vincolanti ove si sovrappongano al dettato di quest'ultima, non potendo intaccarne la precisa portata precettiva (Cass. II, n. 29501/2023). Recentemente è stato ribadito che se il contratto di assicurazione accessorio a quello di finanziamento è stato stipulato «al fine di tutelare l'istituto finanziario per il rischio di insolvenza del soggetto finanziato» il costo della polizza deve includersi nel computo del tasso di usura, «in quanto sostanzialmente imposto dalla società finanziaria per garantirsi dal rischio di incapacità patrimoniale sopravvenuta della persona fisica del finanziato» (Cass. I, n. 9298/2018). BibliografiaD'Amico, Interessi usurari e contratti bancari, in Gli interessi usurari. Quattro voci su un tema controverso, Torino, 2017; Dalmartello, Appunti in tema di contratti reali, contratti restitutori e contratti sinallagmatici, in Riv. dir. civ., 1955; Galasso, Mutuo e Deposito irregolare, Milano, 1968; Gardella Tedeschi, Il Mutuo (contratto di), in Dig. civ., Torino, 1994; Giampiccolo, voce Mutuo, in Enc. dir., XXVII, Milano, 1977; Grassani, Mutuo, in Noviss. Dig. it., X, Torino 1964; Mazzamuto, Mutuo di scopo, in Enc. giur., XX, Roma, 1990; Pascucci, La controversa rilevanza degli interessi di mora nella valutazione di usurarietà delle prestazioni creditizie, in giusitiziacivile.com, 10 novembre 2017. |