Codice Civile art. 1358 - Comportamento delle parti nello stato di pendenza.

Gian Andrea Chiesi
aggiornato da Nicola Rumìne

Comportamento delle parti nello stato di pendenza.

[I]. Colui che si è obbligato o che ha alienato un diritto sotto condizione sospensiva, ovvero lo ha acquistato sotto condizione risolutiva, deve, in pendenza della condizione, comportarsi secondo buona fede per conservare integre le ragioni dell'altra parte [1175, 1375].

Inquadramento

È possibile, in linea generale, distinguere tre diversi momenti del negozio, collegati alla previsione di una clausola condizionale e, precisamente, quello di pendenza della condizione (condicio pendet), finché l'evento non si sia verificato, quello di avveramento della condizione (condicio existit), allorché l'evento futuro ed incerto si realizza ed, infine, quello di mancanza della condizione (condicio deest) allorché l'evento non si verifica o si ha la certezza che esso non si verificherà.

L'art. 1358 c.c. regola, assieme al precedente art. 1357 ed al successivo art. 1361 c.c., la fase di pendenza della condizione, ponendo a carico delle parti coinvolte dal regolamento contrattuale un specifico obbligo di comportamento secondo buona fede: si tratta, con evidenza, di una specificazione dell'obbligo più generale relativo all'esecuzione delle obbligazioni, sicché la sua violazione dà luogo a responsabilità contrattuale e legittima sia l'azione di risoluzione del contratto sia quella di risarcimento del danno (Bianca, 526).

Secondo Cass. II, n. 21427/2022 l'art. 1358 c.c. sancisce una specifica applicazione del generale principio di correttezza in materia contrattuale per ogni tipo di condizione alla quale le parti subordinano la produzione o l'eliminazione degli effetti della pattuizione (con esclusione della sola condizione meramente potestativa, che non conferisce all'altra parte alcuna aspettativa tutelabile o coercibile), imponendo alla parte condotte tali da conservare integre le ragioni dell'altra.

Durante il periodo di pendenza della condizione, il contratto vincola i contraenti al puntuale ed esatto adempimento delle obbligazioni rispettivamente assunte: la condizione rende infatti incerta la produzione (o l'eliminazione) degli effetti contrattuali, ma il vincolo pattizio appare già fermo e irrevocabile. Ne deriva che la mancata o inesatta osservanza dell'obbligo di buona fede, dalla quale derivi pregiudizio alla realizzazione del complessivo assetto di interessi sotteso all'atto di autonomia privata (ossia la tenuta di un comportamento scorretto che vanifichi la realizzazione del programma negoziale), identifica una fattispecie di inadempimento attuale e immediatamente rilevante.

La violazione dell'obbligo di comportarsi secondo buona fede che permea tutta la materia contrattuale e appare espressione del dovere di solidarietà ex art. 2 Cost. - nel caso di un contratto "condizionato", unitamente ai due specifici rimedi dettati dagli artt. 1356 e 1359 c.c., in presenza dei presupposti stabiliti da queste norme, genera dunque anche un obbligo risarcitorio per lesione della situazione di aspettativa della parte e, in casi specifici, può dare ingresso al rimedio risolutorio. Da tempo la giurisprudenza di questa Corte ha ricostruito la struttura dell'illecito contrattuale per mancata osservanza del comportamento leale in pendenza della condizione, in maniera autonoma sia da specifiche previsioni contrattuali, come pure dal generale dovere del neminem laedere, intercettando la concezione dell'obbligazione non più strutturalistica, formale e statica ma di tipo teleologico, sostanziale e dinamico proposta dalla dottrina civilistica più moderna.

Più di recente, nello stesso senso, Cass. III, n. 6930/2024  eCass. III, n. 19022/2024. .

Ambito di applicazione della norma: a) I destinatari del precetto

Come generalmente previsto nel campo delle obbligazioni, l'obbligo comportamentale imposto dalla norma in esame concerne tutte le parti, sia quella che ha interesse al verificarsi dell'evento dedotto in condizione, sia quella latrice di un interesse contrario.

Ne discende — secondo parte della dottrina (Mirabelli, 245) — che, indipendentemente dalla previsione contenuta al successivo art. 1359 c.c., alcuna delle parti potrebbe influenzare il verificarsi dell'evento dedotto in condizione. Altra dottrina, poi, valorizza il dovere comportamentale in questione in termini di potere/dovere di compiere atti conservativi, riconosciuto all'acquirente sotto condizione sospensiva e all'alienante sotto condizione risolutiva (Rescigno, 797).

Così, ad esempio, Cass. II, n. 1887/2018 evidenzia che, colui che si è obbligato a trasferire un bene sotto la condizione sospensiva dell'ottenimento di determinate autorizzazioni o concessioni amministrative ha il dovere di conservare integre le ragioni della controparte, comportandosi secondo buona fede, compiendo, cioè, tutte le attività, che da lui dipendono, per l'avveramento di siffatta condizione. Nel medesimo senso Cass. II, n. 3207/2014, per cui la parte che si è obbligata o ha alienato un bene sotto la condizione sospensiva del rilascio delle autorizzazioni amministrative necessarie alle finalità economiche dell'altra parte deve compiere, secondo buona fede, tutte le attività che da essa dipendono per l'avveramento della condizione, senza impedire che la P.A. provveda sul rilascio delle autorizzazioni, potendo l'altra parte, in caso contrario, chiedere la risoluzione del contratto e il risarcimento dei danni, da accertare con il criterio della regolarità causale, ove risulti, in base alla situazione esistente nel momento in cui si è verificato l'inadempimento, che la condizione avrebbe potuto avverarsi mediante il legittimo rilascio delle autorizzazioni.

L'obbligo in questione, peraltro, concerne non soltanto le parti «private», ma anche la P.A.

Così, ad esempio, Cass. S.U., n. 18450/2005 ha chiarito che la P.A. è tenuta a comportarsi secondo buona fede avuto riguardo alla subordinazione del compenso dovuto ai professionisti nominati all'avverarsi della condizione del conseguimento di un finanziamento da parte di enti terzi; in particolare, si è ritenuto che l'ente pubblico coinvolto debba, in pendenza della condizione, richiedere il finanziamento per il quale è stata apposta la clausola sfavorevole alla controparte, al fine di non frustrare le possibilità di avveramento della condizione, non potendo più avere alcun rilievo le questioni relative alla attualità ovvero alla persistenza di un interesse pubblico alla redazione del progetto, già valutato al momento della stipula del negozio privatistico (Cass. I, n. 7405/2014). In tal caso, peraltro, mentre il creditore della prestazione deve unicamente provare il contratto, grava sull'amministrazione debitrice sub condicione del compenso l'onere di dimostrare che il proprio comportamento è stato conforme ai doveri nascenti dall'art. 1358 c.c. (così Cass. I, n. 13469/2010)

b) Il contenuto dell'obbligo di comportamento secondo buona fede

L'obbligo si estende a qualsiasi negozio condizionato, sia esso ad efficacia reale o ad efficacia obbligatoria, e a qualsiasi tipo di condizione, sospensiva o risolutiva, anche quando si tratti di condizione mista, relativamente al segmento non casuale.

In senso contrario, però, si è sostenuto che l'omissione di un'attività, in tanto può ritenersi contraria a buona fede e costituire fonte di responsabilità, in quanto l'attività omessa costituisca oggetto di un obbligo giuridico, con la conseguenza che la sussistenza di un siffatto obbligo deve escludersi per l'attività di attuazione dell'elemento potestativo in una condizione mista (Cass. I, n. 6423/2003).

La buona fede importa, in particolare, l'obbligo di astenersi da quanto possa pregiudicare gli interessi dell'altro contraente e di compiere quanto sia necessario, se del caso, affinché l'evento condizionale si verifichi (Mirabelli, 246). Se generalmente non si ritiene che sia imposto alle parti di tenere un comportamento positivo finalizzato addirittura all'avveramento della condizione, al contrario, allorché si tratti di condizioni legali, la dottrina opta per una soluzione volta a considerare tale obbligo di attivazione sussistente (Sacco, De Nova, 158). Ancora, è comunemente affermato che i comportamenti esigibili dalle parti in base alla buona fede vanno circoscritti entro i limiti di un apprezzabile sacrificio (Bianca, 526), risultando del tutto minoritaria la tesi che pone a carico delle parti l'obbligo di esecuzione, pendente la condizione, di riparazioni ordinarie o straordinarie (Pelosi, 380).

In giurisprudenza si è dunque chiarito che l'obbligo di buona fede non può giungere fino al punto di implicare il sacrificio dei loro diritti o interessi, in particolare imponendo l'accettazione del mutamento dell'equilibrio economico delle prestazioni stabilito nel contratto, posto che l'obbligo di buona fede è semplicemente volto ad impedire (e non a provocare) ai contraenti un minor vantaggio ovvero un maggior aggravio economico: così, ad esempio, Cass. II, n. 1887/2018, cit. ha confermato la decisione di merito, secondo la quale il promittente venditore di un immobile da ristrutturare a cura e spese del promittente acquirente, il cui prezzo avrebbe dovuto essere pagato mediante retrocessione di una porzione di cubatura dell'immobile dopo la ristrutturazione, a seguito della mancata approvazione comunale del relativo progetto, non poteva ritenersi tenuto a sottoscrivere un nuovo progetto, che avrebbe potuto essere approvato, ma che avrebbe comportato la diminuzione della cubatura ad esso spettante in base al contratto. In senso del tutto conforme si è chiarito che gli obblighi di correttezza e buona fede hanno la funzione di salvaguardare l'interesse della controparte alla prestazione dovuta e all'utilità che la stessa assicura, imponendo una serie di comportamenti di contenuto atipico, che assumono la consistenza di standard integrativi di tali principi generali e sono individuabili mediante un giudizio applicativo di norme elastiche e soggetto al controllo di legittimità al pari di ogni altro giudizio fondato su norme di legge (Cass. n. 14198/2004). Arresti peraltro in linea di continuità con il principio generale affermato da Cass. III, n. 3642/2007, per cui l'obbligo di buona fede oggettiva o correttezza costituisce un autonomo dovere giuridico, espressione di un generale principio di solidarietà sociale, applicabile in ambito contrattuale ed extracontrattuale, che impone di mantenere, nei rapporti della vita di relazione, un comportamento leale (specificantesi in obblighi di informazione e di avviso) nonché volto alla salvaguardia dell'utilità altrui, nei limiti dell'apprezzabile sacrificio.

Quanto alla tipologia di comportamento richiesto alle parti, può trattarsi tanto di comportamenti attivi che di mera astensione (Cass. I, n. 1379/1980), mentre è chiaro che la parte deve astenersi dal compiere atti pregiudizievoli degli interessi dell'altro contraente, sia con riferimento all'oggetto della prestazione, sia con riferimento all'avveramento della condizione (Cass. II, n. 9568/2002)

Le conseguenze derivanti dalla violazione dell'obbligo di buona fede

La violazione della clausola di buona fede determina una responsabilità contrattuale cui conseguono il diritto ad agire per il risarcimento del danno in conseguenza patito nonché per la risoluzione del contratto senza attendere il verificarsi della condizione.

La soluzione è condivisa anche in dottrina, essendosi affermata la possibilità di ricorrere al rimedio della risoluzione per il solo fatto che sia violato l'obbligo di comportarsi secondo buona fede (Maiorca, 314).

Dello stesso tenore il principio affermato da (Cass. I, n. 3229/1975), per cui, ove durante la pendenza della condizione sospensiva una delle parti venga meno agli obblighi assunti col contratto, l'altra parte ha diritto di chiederne la risoluzione, senza attendere il verificarsi o meno della condizione.

La sentenza che pronuncia la risoluzione del contratto deve ritenersi sottoposta alla medesima condizione, sia per quanto concerne l'effetto risolutorio proprio e gli eventuali obblighi di restituzione sia per quanto riguarda la condanna al pagamento delle spese di giudizio e al risarcimento dei danni: sicché, ove si tratti di condizione sospensiva, questi effetti sorgeranno solo con l'avveramento della condizione mentre, per effetto del mancato avveramento, non sorgerà alcuna conseguenza negativa, salva l'eventuale ripetizione delle spese processuali a carico dell'inadempiente; ove si tratti di condizione risolutiva, l'avveramento della condizione produrrebbe comunque effetti diversi da quelli propri della risoluzione per inadempimento (Maiorca, 314)..

Bibliografia

Barbero, Condizione, in Nss. D.I., Torino, 1957; Besozzi, Presupposti applicativi della finzione di avveramento della condizione, in Contratti, 2003, 1096; Bianca, Diritto civile, III, Il contratto, Milano, 1997; Bigliazzi Geri, Breccia, Busnelli, Natoli, Diritto civile, 1.2, Fatti e atti giuridici, Torino, 1990; Cataudella, I contratti. Parte generale, Torino, 2014; Falzea, voce Condizione (diritto civile), in Enc. giur., Roma, 1988; Ferrara, La condizione potestativa, in Riv. dir. comm, 1931, 565; Galgano, Diritto civile e commerciale, II, 1, Padova, 1993; Maiorca, voce Condizione, in Dig. civ., 1988; Messineo, Il contratto in genere, Milano, 1968; Micari, Pendenza della condizione e finzione di avveramento. in Giust. civ., 2004, I, 2793; Orlando, Condizione «casuale» e «mista»: gli equivoci della giurisprudenza, in Contratti, 2013, 991; Osti, voce Contratto, in Nss. D.I., Torino, 1959; Pelosi, La proprietà risolubile nella teoria del negozio condizionato, Milano, 1975; Rescigno, voce Condizione, in Enc. dir., Milano, 1961; Sacco, De Nova, in Tr. Res., 1999, 148; Stanzione, Condizioni meramente potestative e situazioni creditorie, in Rass. dir. civ., 1981, 732; Santoro-Passarelli, Dottrine generali del diritto civile, Napoli, rist. 1985; Tatarano, «Incertezza», autonomia privata e modello condizionale, Napoli, 1976.

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