Codice Civile art. 1578 - Vizi della cosa locata.Vizi della cosa locata. [I]. Se al momento della consegna la cosa locata è affetta da vizi che ne diminuiscono in modo apprezzabile l'idoneità all'uso pattuito, il conduttore può domandare la risoluzione del contratto o una riduzione del corrispettivo, salvo che si tratti di vizi da lui conosciuti o facilmente riconoscibili [1490]. [II]. Il locatore è tenuto a risarcire al conduttore i danni derivati da vizi della cosa, se non prova di avere senza colpa ignorato i vizi stessi al momento della consegna [1494]. InquadramentoL'obbligazione di mantenimento della cosa locata in buono stato ex art. 1575, n. 2) c.c., nella sua declinazione positiva (quale fonte, cioè, dell'obbligo del locatore di procedere alle riparazioni), va distinta dall'obbligazione di garanzia per i vizi della cosa locata prevista e disciplinata dagli artt. 1578 ss. c.c.: distinzione che – come visto nel commento agli artt. 1575 e 1576 c.c. – si sovrappone a quella tra guasto e vizio. In via di prima approssimazione, costituiscono vizi della cosa locata, agli effetti dell'art. 1578 c.c. (la cui presenza non configura un inadempimento del locatore alle obbligazioni assunte ai sensi dell'art. 1575 c.c., ma altera l'equilibrio delle prestazioni corrispettive, incidendo sulla idoneità all'uso della cosa stessa e consentendo la risoluzione del contratto ovvero la riduzione del corrispettivo, ma non l'esperibilità dell'azione di esatto adempimento) quelli che investono la struttura materiale della cosa, alterandone l'integrità in modo tale da impedirne o ridurne notevolmente il godimento secondo la destinazione contrattuale, anche se eliminabili e manifestatisi successivamente alla conclusione del contratto di locazione (così Cass. III, n. 11198/2007). Si afferma in dottrina (Provera, 211; Tabet 1972, 493) che per vizio si deve intendere un difetto che attiene alla struttura materiale della cosa, nella costruzione, nella composizione, nell'aspetto o nel funzionamento, tale da inficiare parzialmente la possibilità di godimento secondo l'uso contrattuale giacché, ove si versasse in ipotesi di totale impossibilità di godimento, si determinerebbe la risoluzione del contratto per impossibilità sopravvenuta della prestazione, ex art. 1463 c.c. (Cosentino, Vitucci, 80). Detto in altri termini (Di Marzio, Falabella, 832), il vizio è costituito, almeno in linea di massima, da un difetto intrinseco della cosa, il quale incide in modo apprezzabile sull'idoneità di essa all'uso convenuto, mentre il guasto, al contrario, si compendia in un difetto derivante dall'uso o dalla vetustà della cosa ed è generalmente suscettibile di riparazione – a differenza del vizio, il quale non è normalmente eliminabile – attraverso i necessari interventi ripristinatori. Parte della dottrina, infine, qualifica il vizio della cosa locata in termini di “errore”, quale falsa rappresentazione della realtà della cosa all'atto della consegna (Mirabelli, 415). Esulano, dunque, dal concetto di vizio della cosa locata, rilevante ai fini dell'art. 1578 c.c., le immissioni, in quanto non attengono né alla intrinseca struttura della medesima né all'interazione della medesima con l'ambiente che ordinariamente la circonda, ma dipendono dal fatto del terzo; rispetto ad esse, cioè, si pone la seguente alternativa: se intollerabili, sono interamente ascrivibili alla condotta di quest'ultimo; se tollerabili, non determinano alcun danno suscettibile di risarcimento. Né muta la conclusione a voler configurare il bene locato come non idoneo a far fronte a tali immissioni giacché, se intollerabili, non è tenuto il locatore a prevedere o a predisporre cautele contro gli altrui fatti illeciti mentre, se tollerabili, il loro carattere lecito esclude che quegli debba anche solo prenderle in considerazione; in entrambi i casi eccettuato il solo caso di un'esplicita garanzia del locatore del possesso del bene locato di caratteristiche intrinseche idonee a preservarne gli occupanti da peculiari e ben individuati rischi di immissioni illegittimamente cagionate da estranei al rapporto (così Cass. III, n. 23447/2014). È invece discusso se possa discorrersi di vizio, rilevante ai fini della disciplina in esame ed in analogia con quanto previsto in materia di vendita, in caso di mancanza di qualità pattuite: secondo un primo orientamento (Guarino, 55), l'assimilazione sarebbe possibile, con conseguente applicazione anche del rimedio dell'actio quanti minoris, non espressamente previsto in tema di locazione; secondo un diverso orientamento, al contrario, occorrerebbe distinguere tra mancanza delle qualità promesse, ipotesi riconducibile all'inadempimento del locatore e mancanza di qualità essenziali, riconducibile alla previsione dell'art. 1578 c.c. (Tabet 1972, 497). La questione è stata affrontata in giurisprudenza a proposito della problematica concernente l'inidoneità dell'immobile al fine del conseguimento dell'abitabilità. Rinviando per un maggiore approfondimento al commento all'art. 1575 c.c. ed a quanto si dirà infra, può evidenziarsi che, in relazione alla prospettata fattispecie, per Cass. III, n. 15378/2018 si deve distinguere fra l'errore sulla qualità ex art. 1429, n. 2) c.c. ed il vizio della cosa locata ai sensi dell'art. 1578 c.c.: non c'è l'errore sulla qualità, che rende essenziale l'errore (art. 1429, n. 2 c.c.), perché il problema non è di mancanza in astratto delle qualità dell'oggetto del contratto rispetto a quelle rappresentate, ma è di assenza di una determinata qualità che l'oggetto, per la sua destinazione economi a dovrebbe avere e di cui nel concreto difetta. L'immobile deve essere idoneo per conseguimento dell'abitabilità: ove detta qualità di fatto manchi, la protezione del conduttore si realizza al livello del mancato rispetto delle qualità che l'immobile oggetto di locazione deve possedere e dunque in termini di vizi della cosa locata ai sensi dell'art. 1578 c.c. (v. anche Cass. III, n. 12286/2011). Grava, infine, sul conduttore, anche in applicazione del principio di vicinanza della prova, l'onere di individuare e dimostrare l'esistenza del vizio che diminuisce in modo apprezzabile l'idoneità del bene all'uso pattuito, spettando, invece, al locatore convenuto di provare, rispettivamente, che i vizi erano conosciuti o facilmente riconoscibili dal conduttore, laddove intenda paralizzare la domanda di risoluzione o di riduzione del corrispettivo, ovvero di averli senza colpa ignorati al momento della consegna, se intenda andare esente dal risarcimento dei danni derivanti dai vizi della cosa. In tal senso anche Cass. III, n. 3548/2017 e, nella giurisprudenza di merito, Trib. Roma, 14 novembre 2019. Vizi e guastiSecondo un'opinione parecchio invalsa in dottrina, sarebbe vizio ogni difetto della cosa al momento della consegna, giacché l'obbligo di riparare la cosa locata ex art. 1576 c.c. concerne i guasti insorgenti durante la locazione. Accreditata dottrina (Mirabelli, 419) ha, infatti, osservato che, “dall'ambito della nozione di vizio e dei rimedi relativi, esulano quelli che, siano chiamati guasti, degradazioni o deterioramenti, consistono in alterazioni della cosa, che parimenti comportano diminuzione dell'utilizzabilità, ma possono essere eliminati con opere di riparazione e danno luogo, pertanto, al corrispondente obbligo che – come si è detto – grava sul locatore; la distinzione viene posta, dunque, tradizionalmente a seconda che si tratti di difetti preesistenti, non eliminabili con opere, o di difetti sopravvenuti che possono essere eliminati con lavori opportuni. Ma è stato anche giustamente rilevato che questo criterio di distinzione, agevole a configurarsi sul piano astratto e nella maggior parte dei casi anche ad applicarsi nelle situazioni concrete, può dar luogo a gravi incertezze, giacché possono presentarsi vizi derivanti da fattori intrinseci e strutturali che potrebbero anche essere eliminati con opere adeguate e, può aggiungersi, deterioramenti sopravvenuti di tale gravità, che l'opera di riparazione non appaia sufficiente a riportare la cosa alla necessaria utilizzabilità. Tuttavia, la distinzione va mantenuta secondo i criteri tradizionali, nel senso che se si tratta di difetti che già esistevano al momento dell'inizio del rapporto, anche se si siano rilevati successivamente, si rientra nell'ambito dei vizi; se si tratta di alterazioni verificatesi successivamente si cade nell'ambito dell'obbligo di riparazioni; ed invero questo secondo attiene al più generale obbligo di mantenimento della cosa quale era, mentre i primi concernono le conseguenze dello stato della cosa all'inizio del rapporto”. Il proposto criterio cronologico ha, però, destato il disappunto di chi, prendendo le mosse dal successivo art. 1581 c.c., ha evidenziato come tale norma, stabilendo che le disposizioni in tema di vizi “si osservano in quanto applicabili, anche nel caso di vizi della cosa sopravvenuti nel corso della locazione”, sembra escludere la validità del criterio temporale. Se ne è allora tratta la conclusione (Provera, 212) per cui la distinzione tra guasto e vizio non sarebbe enucleabile in termini generali ed astratti, ma andrebbe ricercata caso per caso, mediante l'utilizzazione di più criteri concorrenti, incluso (ma senza riconoscergli carattere di esclusività) quello temporale. “Sembra però agevole replicare che l'art. 1581 estende la garanzia dovuta dal locatore ai “vizi della cosa sopravvenuti nel corso della locazione”. Ora, per vizi sopravvenuti non possono evidentemente intendersi quelli già esistenti al momento della consegna e scoperti successivamente, perché tale nozione si attaglia in modo perfetto anche ai vizi previsti dall'articolo in esame [i.e., l'art. 1578 c.c.], vizi la cui rilevanza, ai fini della garanzia, dipende appunto dalla loro scoperta a consegna ormai effettuata. Né si dica che la norma di cui all'art. 1581 c.c. è stata dettata al solo scopo di evitare una falsa interpretazione dell'articolo in esame, il cui tenore letterale (“se al momento della consegna la cosa locata è affetta da vizi”) potrebbe far pensare a vizi scoperti all'atto della consegna (mentre si tratta evidentemente sempre di vizi scoperti dopo). Tale opinione ci sembra scarsamente attendibile: infatti, solo un'interpretazione letterale (e perciò stesso erronea) del testo della norma potrebbe condurre alla conclusione sopra indicata. E non è perciò credibile che il legislatore, preoccupato di evitare all'interprete un errore così grossolano, abbia voluto correre ai ripari dettando l'art. 1581, che invece fa riferimento ad un'ipotesi speciale di vizi della cosa. Il criterio sopra indicato non è perciò utilizzabile ai fini della distinzione tra vizio e guasto o almeno non è utilizzabile da solo, anche perché non crediamo che un vizio non possa sorgere [...] dopo la consegna della cosa [...] Ma se per vizi sopravvenuti devono intendersi quelli che non solo vengono accertati dopo la consegna, ma che sorgono anche dopo questo momento, è evidente che la distinzione fra vizio e guasto non può accogliersi alla luce del criterio in esame. Ma non può accogliersi nemmeno in funzione della circostanza che il guasto, a differenza del vizio, sarebbe prontamente eliminabile o almeno eliminabile con una spesa proporzionata al risultato. Infatti, non è escluso che il vizio possa essere eliminato senza eccessive difficoltà: il fatto è piuttosto che il conduttore, mentre può pretendere la riparazione del guasto, non può pretendere l'eliminazione del vizio. A ben vedere, dunque, la distinzione non è di carattere ontologico; essa va accolta perciò utilizzando insieme diversi criteri, dal cui esame comparativo potrà ricavarsi di volta in volta se si tratta di vizio oppure di guasto. I dati che interessano la soluzione del problema sono offerti dalla comune esperienza, la quale insegna ad esempio che il vizio, a differenza del guasto, non è normalmente eliminabile se non a prezzo di un sacrificio economico sproporzionato al risultato che si vuole conseguire. Il vizio non è di norma prontamente accertabile, mentre lo è quasi sempre il guasto. Il vizio preesiste secondo l'id quod plerumque accidit alla consegna della cosa, mentre il guasto è un deterioramento che si produce dopo la consegna in seguito ad un fatto naturale o volontario che altera la cosa [...] Il vizio, come d'altra parte le molestie, non è rilevante in sé e per sé, ma solo in quanto incide in modo apprezzabile sul godimento della cosa, rendendola meno idonea o del tutto inidonea all'uso pattuito”. Sulla stessa linea la giurisprudenza di legittimità, la quale ha evidenziato che, ove la distinzione tra vizio e guasto venga a fondarsi sul carattere originario o meno del difetto, non può non osservarsi come la disciplina dell'art. 1578 c.c. sia applicabile anche ai vizi che si manifestano successivamente alla conclusione del contratto di locazione, come si evince dall'equiparazione sancita dall'art. 1581 c.c. (Cass. III, n. 2605/1995). Così, muovendosi alla ricerca di criteri discretivi diversi, Trib. Milano 30 gennaio 2019 evidenzia come i vizi della cosa locata rilevanti exart. 1578 c.c., incidono sulla struttura materiale della cosa, alterandone l'integrità in modo tale da impedirne o ridurne notevolmente il godimento secondo la destinazione contrattuale, anche se sono eliminabili e si manifestano successivamente alla conclusione del contratto di locazione. Tali vizi alterano l'equilibrio delle prestazioni corrispettive, incidendo sull'idoneità all'uso della cosa locata, ed i rimedi previsti sono solo la risoluzione del contratto o la riduzione del corrispettivo, restando esclusa l'esperibilità dell'azione di esatto adempimento, non potendosi configurare in presenza di tali vizi intrinseci e strutturali un inadempimento del locatore alle obbligazioni assunte ex art. 1575 c.c. Invece, guasti o deterioramenti della cosa locata, dovuti alla naturale usura, effetto del tempo, o ad accadimenti accidentali, che determinino disagi limitati e transeunti nell'utilizzazione del bene, possono rilevare rispetto all'obbligo di manutenzione, posto dalla legge a carico del locatore, quale proiezione nel tempo dell'obbligo di consegna in buono stato di manutenzione ex art. 1575 c.c.), e rispetto all'obbligo di riparazione exart. 1576 c.c., l'inosservanza dei quali determina l'inadempimento contrattuale. Sostanzialmente nel medesimo senso Cass. III, n. 24459/2011, per cui costituiscono vizi della cosa locata agli effetti dell'art. 1578 c.c. – la cui presenza non configura un inadempimento del locatore alle obbligazioni assunte ai sensi dell'art. 1575 c.c., ma altera l'equilibrio delle prestazioni corrispettive, incidendo sull'idoneità all'uso della cosa stessa e consentendo la risoluzione del contratto o la riduzione del corrispettivo, ma non l'esperibilità dell'azione di esatto adempimento – quelli che investono la struttura materiale della cosa, alterandone l'integrità in modo tale da impedirne o ridurne notevolmente il godimento secondo la destinazione contrattuale, anche se eliminabili e manifestatisi successivamente alla conclusione del contratto di locazione: pertanto va escluso che possano essere ricompresi tra i vizi predetti quei guasti o deterioramenti dovuti alla naturale usura o quegli accadimenti che determinino disagi limitati e transeunti nell'utilizzazione del bene, posto che in questo caso diviene operante l'obbligo del locatore di provvedere alle necessarie riparazioni ai sensi dell'art. 1576 c.c., la cui inosservanza determina inadempimento contrattuale. Del pari, Trib. Bari 12 ottobre 2006, per cui l'obbligazione ex art. 1575, n. 2), c.c., è del tutto distinta dalla garanzia per vizi prevista dall'art. 1578 c.c. in quanto quest'ultima norma si applica solo nell'ipotesi in cui la cosa presenti difetti che, a differenza di quelli contemplati dall'art. 1575, n. 2) c.c., incidono esclusivamente sullo stato di conservazione della cosa e ne compromettono la struttura materiale alterandone l'integrità; ne deriva una tutela differenziata del conduttore in funzione della presenza nell'immobile locato di anomalie conseguenti all'omesso adempimento della obbligazione di cui all'art. 1575 c.c. o di veri e propri vizi. Come anticipato, però, se in alcuni casi la differenza tra le due discipline è chiara, in altri essa permane sfumata: così ad esempio, mentre in caso di locazione di immobile ad uso abitativo, che sia dotato di elettrodomestici, quale uno scaldabagno, compete certamente al locatore, ex art. 1575, n. 2), c.c., la sostituzione o riparazione di tali accessori, che si renda necessaria non in conseguenza di un'utilizzazione inadeguata od anomala da parte del conduttore, ma in esito a normale processo di deterioramento nel tempo, dopo un uso normale (Cass. III, n. 772/1982); al contrario, Trib. Brindisi 15 marzo 2018, osserva che il crollo anche parziale del solaio può rilevare tanto ai fini dell'eventuale violazione dell'obbligo di mantenimento in buono stato locativo, ex art. 1575, n. 2) c.c. quanto sul piano di dimostrare la sussistenza di vizi del bene locato che ne diminuiscono in maniera apprezzabile l'idoneità all'uso convenuto, ex art. 1578 c.c., al punto da giustificare la risoluzione del contratto per inadempimento. Le due richiamate discipline, quella relativa alle obbligazioni del locatore, cui lo stesso è risultato essersi reso inadempiente, e quella dei vizi della cosa locata possono concorrere nel produrre, quale conseguenza, la risoluzione del contratto di locazione per inadempimento, determinando altresì i connessi effetti risarcitori a carico del locatore ivi compreso per quanto riguarda la corresponsione dell'indennità per la perdita dell'avviamento, dovuta in esito alla risoluzione del rapporto. Costituisce vizio l'alterazione non attinente allo stato di conservazione e manutenzione, bensì incidente sulla composizione, costruzione o funzionalità strutturale della cosa medesima, come in caso di infiltrazioni di umidità dipendenti da esecuzione della costruzione su terreno argilloso, senza adeguata protezione (Cass. III, n. 7260/1994); al contrario, Cass. III, n. 11198/2007, con riguardo ad un caso di temporanea inagibilità di un locale a causa di un fenomeno infiltrativo, ha escluso la possibilità, per il conduttore, di chiedere la riduzione del canone ex art. 1578 c.c., affermando che l'infiltrazione determina una alterazione soltanto transitoria della possibilità di godimento dell'immobile, rispetto alla quale il locatore ha solo l'obbligo di effettuare le necessarie riparazioni ex art. 1576 c.c., e non un alterazione strutturale dell'immobile. Ulteriore specificazione dei molteplici criteri proposti è quella consistente nella valorizzazione della riparabilità del guasto, a fronte della non riparabilità del vizio. La soluzione, però, non sembra allontanarsi sensibilmente dalla precedente, giacché la riparabilità ben può essere riguardata come riflesso del carattere intrinseco e strutturale del vizio, di contro alla riconducibilità del guasto ad usura o accidente (Di Marzio, Falabella, 835). Né tale indirizzo appare, comunque, univocamente accolto dalla giurisprudenza: secondo Cass. III, n. 2605/1995, infatti, sussiste il vizio della cosa locata anche se l'alterazione della sua struttura materiale sia eliminabile e si manifesti successivamente alla conclusione del contratto di locazione (fattispecie relativa ad una condotta di scarico costruita in modo difforme dalle prescrizioni del regolamento edilizio con fuoriuscita di liquami). Gli strumenti di tutela a favore del conduttore.In presenza di vizi della cosa locata, l'art. 1578 c.c. riconosce al conduttore una triplice facoltà: a) se al momento della consegna la cosa locata è affetta da vizi che ne diminuiscono in modo apprezzabile l'idoneità all'uso pattuito, il conduttore può domandare a.1) la risoluzione del contratto o a.2) una riduzione del corrispettivo, salvo che si tratti di vizi da lui conosciuti o facilmente riconoscibili; b) se il locatore non prova di avere senza colpa ignorato i vizi stessi al momento della consegna, il conduttore può ottenere il risarcimento dei danni derivati da tali vizi. Dunque, in presenza di vizi della cosa locata, il conduttore ha, a propria disposizione, tre rimedi e, precisamente, la risoluzione del contratto, la riduzione del canone ed il risarcimento del danno; è invece esclusa la possibilità di esperire l'azione di esatto adempimento. Si è chiarito, in dottrina (Mirabelli, 425) che “si tratta di rimedi che trovano giustificazione nella tutela dell'interesse del conduttore ad attuare il godimento secondo le previsioni contrattuali e che non solo prescindono dalla considerazione di un qualsiasi comportamento, commissivo od omissivo, colposo o meno, del locatore, ma anche, e soprattutto, e nei confronti dei quali il locatore non è titolare di alcuna facoltà di difesa, tranne quella generale della contestazione del fatto che ne è posto a fondamento. Lungi, quindi, da ogni possibilità di configurazione dei rimedi come fondati sopra un inadempimento del locatore all'obbligazione di far godere e come esplicazione di una responsabilità contrattuale di questo, in senso proprio, ossia per inadempimento ad obbligazioni contrattuali, si deve ammettere che il locatore, in conseguenza dell'assunzione del vincolo contrattuale e come effetto di questo, si trova esposto alla soggezione di subire una pretesa di scioglimento del vincolo stesso o di modificazione del contenuto del rapporto, in relazione alla mera circostanza obiettiva che la cosa, che forma oggetto della sua prestazione, non è quale si riteneva che fosse”. Ciò spiega, peraltro, l'impraticabilità dell'esperimento di una azione di esatto adempimento, non versandosi nell'ambito dell'inadempimento del locatore alle proprie obbligazioni essendosi, piuttosto, in presenza di una “deficiente attuazione del godimento del conduttore” (così Mirabelli, 411). Conforme è la posizione della giurisprudenza, per la quale (Cass. III, n. 24459/2011) la presenza dei vizi della cosa locata non configura un inadempimento del locatore alle obbligazioni assunte ai sensi dell'art. 1575 c.c., ma altera l'equilibrio delle prestazioni corrispettive, incidendo sull'idoneità all'uso della cosa stessa e consentendo la risoluzione del contratto o la riduzione del corrispettivo, ma non l'esperibilità dell'azione di esatto adempimento. Nel medesimo senso, Cass. III, n. 14737/2005 ha chiarito che la disciplina dei vizi portati dall'immobile locato è posta del codice civile come oggetto di garanzia del locatore e non coincide con le norme generali sull'inadempimento contrattuale del debitore. Analogo è l'orientamento della giurisprudenza di merito, per cui, a mente degli artt. 1578 e 1580 c.c., i vizi che diminuiscono in modo apprezzabile l'idoneità del bene locato all'uso pattuito, legittimano il conduttore nella richiesta di risoluzione del contratto, di riduzione del corrispettivo, ovvero di risarcimento dei danni, mentre non è previsto l'adempimento da parte del locatore: sicché deve ritenersi inammissibile una domanda volta ad ottenere la condanna dello stesso all'esecuzione di lavori di straordinaria manutenzione volti all'eliminazione di tali vizi (Trib. Modena 14 giugno 2013). Del pari, Trib. Rimini, 19 marzo 2019, per cui i rimedi posti dalla disciplina codicistica a tutela del conduttore per i vizi della cosa locata consistono esclusivamente nella risoluzione del contratto o nella riduzione del canone, ma non nella condanna del locatore ad eseguire i lavori necessari per rendere la cosa idonea all'uso pattuito. La scelta tra la risoluzione e la riduzione del corrispettivo spetta al conduttore (Provera, 215; Tabet 1972, 499): in caso di proposizione delle domande in via alternativa, si ritiene in dottrina (Tabet, 499) che debba essere considerata principale la domanda volta alla risoluzione del contratto. Ad ogni buon conto, secondo taluni (Tabet 1972, 500) – entro il perimetro di esercizio delle facoltà ex art. 183 c.p.c. – è possibile procedere al mutamento della domanda; secondo altri (Provera, 215), invece, analogamente rispetto a quanto previsto in tema di garanzia per i vizi della cosa venduta, la scelta fatta mediante l'introduzione del giudizio sarebbe irrevocabile. Quanto all'azione risarcitoria, invece, è discusso se il risarcimento del danno spettante al conduttore riguardi solo i beni rimasti danneggiati dai vizi, oppure anche il danno generico derivante dalla risoluzione del contratto (spese, occasioni mancate, costi di negoziazione) – non previsto dall'art. 1578 c.c., ma contemplato dall'art. 1494 c.c., in tema di vizi della cosa venduta. La dottrina prevalente (Mirabelli, 430; Provera, 216) ritiene che entrambi i risarcimenti sono dovuti, mentre un altro Autore (Tabet, 504), muovendo dal dato letterale della norma, esclude la risarcibilità dei danni derivanti dalla risoluzione. È certamente pacifico, invece, che la domanda risarcitoria possa cumularsi con una delle due precedenti e che la stessa preveda, quale causa di esonero da responsabilità da parte del locatore, l'ignoranza incolpevole circa l'esistenza dei vizi non solo al momento della conclusione del contratto ma a quello della consegna. In tal senso, v. Cass. III, n. 18854/2008. Sicché il conduttore che intenda azionare la domanda di cui all'art. 1578, comma 2, deve provarne i fatti costitutivi e, cioè, la sussistenza del vizio della cosa locata ed il nesso di derivazione causale del pregiudizio di cui chiede il risarcimento e solo in caso di esito positivo di tale prova sorge a carico del locatore l'onere della prova liberatoria della sua responsabilità, consistente nella dimostrazione di avere ignorato senza sua colpa l'esistenza del vizio della cosa al momento della consegna (Cass. III, n. 3655/1974); allegati dal conduttore i presupposti fondanti la pretesa risarcitoria, spetta dunque al locatore dimostrare la propria diligenza, provando di aver senza colpa ignorato i vizi al momento della consegna (e solo in quel preciso momento), dato che sarebbe fin troppo semplice ravvisare un'ignoranza incolpevole al momento del raggiungimento del mero accordo contrattuale (Cass. III, n. 11969/2010): in questo modo il locatore, dovendo adempiere con diligenza alle relative prestazioni, deve eseguire, prima della consegna, tutti i necessari accertamenti sullo stato del bene, la cui omissione sarà inequivocabilmente motivo di colpa. Discende, poi, da quanto precede un'ulteriore conseguenza – la quale, a ben vedere, può assumersi alla stregua di un riflesso dell'esclusione del diritto del conduttore di ottenere l'esatto adempimento: il locatore non può opporsi all'azione exart. 1578 c.c. con l'offerta di eliminazione dei difetti lamentati (Cass. III, n. 1951/1980). Se, dunque, la garanzia per vizi non costituisce espressione della responsabilità per inadempimento, ne consegue che la relativa disciplina non può essere mutuata da quella generale ricavabile dagli artt. 1453 ss. c.c.: in particolare, dal raffronto tra il primo ed il secondo comma dell'art. 1578 c.c. si coglie che, mentre per le azioni di risoluzione e riduzione non è richiesta la prova di una colpa del locatore, potendo il vizio essere riconducibile anche ad una causa accidentale – finanche estranea alla sfera di previsione del locatore – ovvero al fatto del terzo, al contrario, tale elemento soggettivo è invece richiesto per l'operatività dello strumento risarcitorio. La validità della premessa che precede (i.e. l'inoperatività della disciplina generale in tema di risoluzione per inadempimento) non toglie, però, che l'accoglimento della domanda di risoluzione non si estenda a tutte le prestazioni nel tempo già eseguite, dovendo trovare applicazione l'art. 1458 c.c., norma che detta la disciplina generale di riferimento per i contratti ad esecuzione continuata. Del pari, il conduttore è tenuto al pagamento del corrispettivo sino all'istante della restituzione della cosa o al suo cessato godimento, qualora continui a godere del bene nonostante la presenza di vizi (Cuffaro - Calvo - Ciatti, 147). Va infine chiarito che l'art. 1578 c.c. trova applicazione in caso di apprezzabile diminuzione dell'idoneità della cosa locata a servire all'uso pattuito: ove tale diminuzione sia lieve ovvero, al contrario, la cosa sia assolutamente inidonea a servire, neppure in misura ridotta od incongrua, all'uso pattuito, la norma diviene inoperante e, mentre nel primo caso alcun rimedio è offerto al conduttore, in relazione alla seconda evenienza, torna invece attuale il riferimento alle categorie generali della nullità ovvero della risoluzione del contratto per impossibilità sopravvenuta della prestazione. Quanto alla prima evenienza, il conduttore è assoggettato ad un dovere di tolleranza di quei vizi che comportino una diminuzione del godimento soltanto lieve: a tal fine, il difetto deve essere di una certa gravità, non notevole, ma certamente neppure trascurabile, il che vuol dire superiore al normale limite di tolleranza (Rubino 1952, 610, sia pure con in riferimento alla disciplina dei vizi della cosa venduta). In relazione, poi, alla seconda ipotesi innanzi illustrata, Cass. III, n. 14342/2000 chiarisce che l'art. 1579 c.c., norma che sancisce l'inefficacia del patto di esonero della responsabilità del locatore per i vizi che rendano impossibile il godimento della cosa locata, si applica anche ai vizi conosciuti o riconoscibili dal conduttore, atteso che la conoscibilità o meno dei vizi assume rilevanza, ai sensi del precedente art. 1578 c.c. – escludendo la risoluzione del contratto di locazione o la riduzione del corrispettivo – nei soli casi in cui i vizi stessi incidano solo parzialmente sul godimento della cosa locata, senza escluderlo, onde possa risultare ragionevole la preventiva e concorde valutazione delle parti di addossare al conduttore i rischi ad essi relativi. Sicché, Cass. III, n. 3968/1978 ne ha tratto la conclusione per cui la totale e definitiva instabilità dell'edificio, esistente al momento della conclusione del contratto, ne determina la nullità assoluta, rilevabile d'ufficio ex art. 1421 c.c.; se, al contrario, essa si verifica nel corso del rapporto, costituisce causa di risoluzione per sopravvenuta impossibilità della prestazione. Va, infine, chiarito che, nonostante le evidenti affinità tra le discipline ed il ricorso a soluzioni simili, in materia di azione di garanzia per i vizi della locazione, a norma dell'art.1578 c.c., non sono previsti particolari termini di prescrizione o di decadenza, né sono estensibili analogicamente quelli previsti dall'art. 1495 c.c., dettati con riguardo alla vendita, trattandosi di norme speciali. Segue. L'autoriduzione del canone Attenzione particolare merita la facoltà, riconosciuta al conduttore, di agire per la riduzione del corrispettivo del godimento della cosa locata, quando questo – come innanzi esposto – diminuisca in maniera apprezzabile: la questione, in particolare, concerne la possibilità che il conduttore, anziché svolgere una specifica domanda in tal senso, proceda unilateralmente (e stragiudizialmente) alla riduzione del canone di locazione. Negativa è la risposta della ormai costante giurisprudenza di legittimità, la quale – anzi – individua in un simile comportamento del conduttore un atto arbitrario, concretizzante l'ipotesi di grave inadempimento del conduttore medesimo, idoneo ad esser sotteso alla risoluzione del contratto su istanza del locatore. In questa prospettiva, dunque, è stato chiarito che l'azione di riduzione del corrispettivo ha natura costitutiva (Cass. III, n. 14737/2005) – viene da aggiungere – c.d. necessaria. Invero, già con riguardo alla legislazione vincolistica, Cass. S.U., n. 5384/1984, a composizione del contrasto che si era determinato in proposito, aveva stabilito che, in mancanza di accertamento giudiziale del canone legale, l'autoriduzione costituisse un fatto arbitrario ed illegittimo, determinante il venir meno dell'equilibrio sinallagmatico convenzionale. Tale principio è rimasto poi fermo anche successivamente all'introduzione della l. n. 392/1978 (c.d. legge sull'equo canone): in tal senso è chiara, ad esempio, Cass. III, n. 9955/1997, per cui la modifica unilaterale dell'entità del canone di locazione già corrisposto costituisce grave inadempimento comportante la risoluzione del contratto; ed infatti, la cd. autoriduzione del canone (e, cioè, il pagamento di questo in misura inferiore a quella convenzionalmente stabilita) costituisce fatto arbitrario ed illegittimo del conduttore che provoca il venir meno dell'equilibrio sinallagmatico del negozio, anche nell'ipotesi in cui detta autoriduzione sia stata effettuata dal conduttore in riferimento al canone dovuto a norma dell'art. 1578, comma 1, c.c., per ripristinare l'equilibrio del contratto, turbato dall'inadempimento del locatore e consistente nei vizi della cosa locata, giacché tale norma non dà facoltà al conduttore di operare detta autoriduzione, ma solo a domandare la risoluzione del contratto o una riduzione del corrispettivo, essendo devoluta al potere del giudice di valutare l'importanza dello squilibrio tra le prestazioni dei contraenti (Cass. III, n. 26540/2014; Cass. III, n. 10639/2012; Cass. III, n. 10271/2002). Nel medesimo senso, ancora, Cass. III, n. 12253/1998, per cui la cosiddetta autoriduzione del canone in relazione alla sua pretesa esorbitanza rispetto all'importo inderogabilmente fissato per legge costituisce fatto arbitrario che provoca il venir meno dell'equilibrio sinallagmatico convenzionale, restando nei poteri del giudice la valutazione dell'importanza dello squilibrio a fini risolutori: peraltro, il deposito dei canoni locativi su un libretto bancario o postale, non consegnato né messo a disposizione del locatore, non integra offerta non formale idonea ad escludere l'inadempimento del conduttore. Il principio così esposto vale, peraltro, tanto per le locazioni ad uso abitativo, quanto per quelle ad uso diverso. La soluzione innanzi proposta non è stata, però, sempre seguita dalla giurisprudenza, che – sia pure con riferimento alla legislazione pre-vincolistica – aveva più volte riconosciuto la legittimità dell'autoriduzione, senza il preventivo ricorso all'accertamento giudiziale della misura del canone, ponendo altresì a carico del locatore l'onere di provare la liceità della misura del canone richiesto (Cass. III, n. 791/1965; Cass. III, n. 2506/1969; Cass. III, n. 1414/1971): in particolare, secondo questo orientamento, il conduttore che procedeva all'autoriduzione operava comunque sempre a suo rischio e pericolo, in quanto l'accertamento successivo, in sede giudiziaria, della infondatezza della sua pretesa poteva condurre alla risoluzione del rapporto per inadempimento (Cass. III, n. 889/1967). La natura (costitutiva) dell'azione in commento pone poi, un ulteriore problema di carattere pratico: producendo essa effetti ex nunc, infatti, ci si chiede se la riduzione del canone possa essere invocata successivamente alla risoluzione del contratto. Invero, una volta che il rapporto negoziale sia venuto meno, per qualsiasi causa, il rimedio in questione non appare utilmente esperibile, mancando l'oggetto stesso dell'intervento richiesto e, di conseguenza, un interesse attuale che sorregga la legittimazione attiva del ricorrente; “semmai, vi è la possibilità che quanto prestato dal conduttore, in esecuzione del contratto, possa qualificarsi come tipico esempio di indebito oggettivo, dovendosi ammettere che, indipendentemente dalla causa che abbia fatto venire meno il vincolo negoziale, l'azione accordata per ottenere la restituzione dei versamenti privi di giustificazione causale sia unicamente quella di ripetizione. Sul piano processuale, la circostanza che al conduttore, una volta intervenuta la risoluzione del contratto, sia disconosciuta la facoltà di agire in riduzione del canone, dovendosi privilegiare, sempre che ne ricorrano i presupposti, la diversa azione di ripetizione, non è priva di conseguenze in ordine al contenuto dell'onere probatorio a carico dell'istante. Invero, affinché la misura del corrispettivo possa essere rideterminata, chi acquista il godimento dell'immobile è tenuto a dare prova che, al momento della consegna, il bene locato fosse affetto da vizi da lui ignorati senza colpa e, comunque, tali da ridurne l'idoneità all'uso pattuito, a prescindere dall'imputabilità al locatore. Nel mentre, per la ripetizione di indebito oggettivo, l'attore deve provare, oltre al fatto materiale del pagamento eseguito, l'inesistenza o la successiva caducazione del titolo che giustifichi l'attribuzione patrimoniale...Peraltro, solo in caso di contestazione del locatore, il conduttore che agisca in ripetizione delle somme versate oltre la misura dovuta non può limitarsi a produrre il contratto (di locazione), in cui sia indicato l'ammontare della relativa prestazione, ma ha l'onere di dimostrare anche l'effettiva corresponsione...” (Ballerini, 1122). Minoritaria, invece, è quella dottrina (Cistaro, 267) che sostiene che al conduttore dovrebbe essere riconosciuta la possibilità di agire per ottenere un'efficacia retroattiva della domanda di riduzione del corrispettivo, con l'applicazione del minor ai canoni già pagati, assumendo come tale la veste giuridica di risarcimento del danno. Analoga alla posizione della dottrina maggioritaria è la conclusione raggiunta in giurisprudenza, per cui la domanda relativa alla riduzione del canone, proposta dopo che il rapporto locatizio sia stato risolto, è inammissibile, in quanto, nell'ipotesi di nullità, annullamento, risoluzione o rescissione di un contratto, nonché di qualsiasi altra causa, la quale faccia venir meno il vincolo originariamente esistente, l'azione accordata dalla legge per ottenere la restituzione di quanto prestato in esecuzione del contratto stesso è quella più propriamente di ripetizione di indebito oggettivo (così Trib. Trieste 26 maggio 2009). Esistono, tuttavia, alcune eccezioni al principio innanzi esposto: a) anzitutto il caso previsto dall'ultimo comma dell'art. 45 della l. n. 392/1978. Tale norma, nel disporre che, ove penda giudizio sulla determinazione dell'“equo canone”, il conduttore “è obbligato a corrispondere, salvo conguaglio, l'importo non contestato”, attribuisce al conduttore medesimo espressamente la facoltà di limitare il versamento del corrispettivo, per tutta la durata del giudizio stesso, alla misura che reputa dovuta, anche se – al fine di evitare la sanzione risolutoria per inadempienza da morosità – quella misura deve essere ragionevole, non temeraria e, comunque, congrua, atteso che l'autoriduzione del canone di locazione costituisce una forma di autotutela riconosciuta al conduttore nell'ambito del giudizio di determinazione dell'equo canone, concretando, al di fuori di questo ambito, inadempimento che, in relazione alla sua qualificazione in termini d'importanza, è idoneo a produrre effetti risolutori; b) quindi, l'ipotesi in cui la controprestazione del locatore venga completamente meno: caso in cui è consentita non tanto l'autoriduzione quanto – piuttosto – la sospensione (totale o parziale) del pagamento del canone. Conforme è la posizione della giurisprudenza: con riferimento alla prima circostanza, Cass. III, n. 12915/1015 (ma, nel medesimo senso, v. anche Cass. III, n. 9548/2010) evidenzia che l'art. 45, ultimo comma, della l. n. 392/1978, consente al conduttore, nella pendenza del giudizio sulla determinazione dell'equo canone, di corrispondere, salvo conguaglio, l'importo non contestato, sì da assicurare, con l'autoriduzione del canone, una forma di autotutela che, se realizzata in misura ragionevole, non temeraria e, comunque, congrua, non concreta morosità, mentre, al di fuori di questo ambito, integra un inadempimento che, in relazione alla sua qualificazione in termini d'importanza, è idoneo a produrre effetti risolutori; quanto alla seconda evenienza, Cass. III, n. 11783/2017 e Cass. III, n. 13887/2011 chiariscono che la sospensione totale o parziale dell'adempimento dell'obbligazione del conduttore è, difatti, legittima soltanto qualora venga completamente a mancare la controprestazione da parte del locatore, costituendo altrimenti un'alterazione del sinallagma contrattuale che determina uno squilibrio tra le prestazioni delle parti (v. anche Cass. III, n. 74/2010; Cass. III, n. 14739/2005; Cass. III, n. 2855/2005). Del medesimo tenore, nella giurisprudenza di merito, Trib. Milano 11 febbraio 2014, per cui al conduttore non è consentito di astenersi dal versare il canone, ovvero di ridurlo unilateralmente, nel caso in cui si verifichi una riduzione o una diminuzione nel godimento del bene, e ciò anche quando si assume che tale evento sia ricollegabile al fatto del locatore: la sospensione totale o parziale dell'adempimento dell'obbligazione del conduttore è, difatti, legittima soltanto qualora venga completamente a mancare la controprestazione da parte del locatore, costituendo altrimenti un'alterazione del sinallagma contrattuale che determina uno squilibrio tra le prestazioni delle parti; inoltre, secondo il principio inadimplenti non est adimplendum, la sospensione della controprestazione è legittima soltanto se è conforme a lealtà e buona fede, con la conseguenza che il conduttore, qualora abbia continuato a godere dell'immobile, per quanto lo stesso presentasse vizi sopravvenuti non può sospendere l'intera sua prestazione consistente nel pagamento del canone di locazione, perché così mancherebbe la proporzionalità tra i rispettivi inadempimenti, potendo giustificarsi soltanto una riduzione del canone proporzionata all'entità del mancato godimento, in applicazione analogica del disposto dell'art. 1584 c.c., ovvero la richiesta di risoluzione del contratto per sopravvenuta carenza di interesse (v. anche Trib. Grosseto, 4 settembre 2019; Trib. Roma, 4 giugno 2019; Trib. Genova 28 giugno 2013; Trib. Salerno 22 ottobre 2012; Trib. Bari 5 ottobre 2011; Trib. Roma 20 aprile 2010; Trib. Roma 16 aprile 2004). La conoscenza o riconoscibilità dei vizi da parte del conduttoreSe il momento della consegna non rileva, in linea di massima, in ordine all'individuazione di un criterio distintivo tra vizi e guasti, esso al contrario è, come detto, determinante ai fini della constatazione della conoscenza (o riconoscibilità) o meno dei vizi (preesistenti) da parte del conduttore: come chiarito innanzi, infatti, l'art. 1578, comma 1, c.c. prevede che, se al momento della consegna la cosa locata è affetta da vizi che ne diminuiscono in modo apprezzabile l'idoneità all'uso pattuito, il conduttore può domandare la risoluzione del contratto o una riduzione del corrispettivo, salvo che si tratti di vizi da lui conosciuti o facilmente riconoscibili. Si ritiene comunemente, peraltro, che – sebbene non espressamente previsto dal comma 2 – la conoscenza o facile riconoscibilità dei vizi sono altresì ostative all'esperimento dell'azione risarcitoria. Osserva la dottrina (Carsana, 48) che “la tutela offerta dalla garanzia trova infatti ragione nello squilibrio causato nel contratto dal sopraggiunto manifestarsi di un vizio sconosciuto al soggetto garantito. È evidente, infatti, l'incompatibilità tra la funzione di protezione contro un rischio e la conoscenza, quindi la certezza, della sua esistenza. Inoltre, è lecito presumere che laddove vi sia stata consapevolezza della ridotta idoneità della cosa, se ne sia già tenuto conto in sede di contrattazione, diminuendo il corrispettivo e che, quindi, non vi sia alcuno squilibrio da correggere. Si può anzi affermare che la cosa consegnata sia conforme alla determinazione negoziale dell'oggetto. Nel caso che il vizio sia evidente, il conduttore non potrebbe comunque dimostrare di non averlo conosciuto: la sua ridotta diligenza nella verifica dello stato della cosa gli impedirebbe di invocare la tutela della garanzia”. Nell'uno (comma 1) come nell'altro caso (comma 2), peraltro, l'esclusione della garanzia opera soltanto in presenza di vizi originari e non, invece, di vizi sopravvenuti, la cui disciplina è dettata dall'art. 1581 c.c.: disposizione che contiene, si, un rinvio alla disciplina dettata dall'art. 1578 c.c., ma pur sempre nei limiti della compatibilità, con la conseguenza che non può pretendersi dal conduttore la conoscenza o facile riconoscibilità, al momento della consegna, di vizi che devono ancora venire ad esistenza. La nozione di riconoscibilità va tratta dall'art. 1431 c.c., norma che, in tema di errore quale causa di annullamento del contratto stabilisce che l'errore si considera riconoscibile quando, in relazione al contenuto, alle circostanze del contratto ovvero alla qualità dei contraenti, una persona di normale diligenza avrebbe potuto rilevarlo. La riconoscibilità del vizio va dunque valutata dal punto di vista del conduttore, in senso relativo e soggettivo e, cioè, in rapporto al grado di conoscenza della cosa che il conduttore poteva avere in concreto, non già in senso assoluto ed oggettivo, ossia alla stregua delle conoscenze della scienza e della tecnica: “così, non si può pretendere gran che dal conduttore che non abbia neppure visitato l'immobile locato, ad esempio per averlo preso in locazione a scopo turistico per un breve periodo, consultando un catalogo fotografico. Viceversa, ben maggiore diligenza è lecito attendersi da chi prenda in locazione un immobile per svolgervi professionalmente un'attività commerciale per la lunga durata prevista dalla legislazione speciale” (Di Marzio, Falabella, 964). In proposito, la diligenza richiesta al conduttore ai fini della conoscenza o riconoscibilità del vizio non è quella media, ma una inferiore, come risulta dalla locuzione “facilmente riconoscibili” contenuta nell'art. 1578, comma 1, c.c. (Provera, 214): si è affermato, pertanto, che si debba versare in presenza di un vizio grossolano (Cosentino, Vitucci, 85) o di agevole constatazione. Tale causa di esclusione della garanzia sussiste, insomma, qualora il vizio sia avvertibile con minima diligenza e, quindi, anche ad un esame superficiale del bene: sicché è da escludere che possa imputarsi al conduttore di non aver fatto ricorso, nella valutazione delle condizioni della cosa, all'ausilio di un tecnico per accertare l'eventuale presenza di vizi, trattandosi di comportamento che eccede certamente il coefficiente di diligenza richiesto dall'art. 1578 c.c. (Gabrielli, Padovini, 247). Al conduttore viene richiesto, cioè, di assolvere ad un lieve onere (facile riconoscibilità), osservato il quale perde rilievo l'oggettiva consistenza del vizio; se invece il conduttore non si è per nulla curato di verificare lo stato della cosa, ha dimostrato così poca sollecitudine nella tutela dei propri interessi da non meritarne una maggiore da parte dell'ordinamento (Vitali, 145). Occorre a tal fine, però, che il conduttore sia stato messo in grado di esaminare la cosa (Tabet, 510). L'attestazione che il conduttore ben conosce lo stato dell'immobile (molto diffusa nella pratica contrattuale), serve ad escludere la possibilità di azione per quei vizi che, in forza di tale dichiarazione, si può presumere abbia conosciuto e – può aggiungersi – non considerato così rilevanti da richiedere nel contratto una loro espressa accettazione. La previsione può essere ricondotta al principio di autoresponsabilità, nel senso che, se il conduttore ha accettato di prendere in locazione una cosa che sapeva viziata o non ha usato quel minimo di diligenza sufficiente a scoprire i vizi, deve sopportare le conseguenze ed i rischi connessi al suo comportamento (Cosentino, Vitucci, 85). L'applicazione del principio fondamentale dell'autoresponsabilità, insomma, fa si che, qualora il conduttore – con un minimo di attenzione – sarebbe stato in grado di rilevare i vizi del bene locato, non gli sia consentito invocare quella garanzia che lo soccorre unicamente nell'eventualità in cui non si sia potuto tutelare da solo, cioè se i vizi non erano riconoscibili: la garanzia serve, pertanto, a tutelare il conduttore che, in assenza di difetti evidenti, presume di locare una cosa che ne sia del tutto esente. Così, Cass. III, n. 16917/2019 chiarisce che l'art. 1578 c.c. offre al conduttore una tutela contro i vizi della cosa locata esistenti al momento della consegna, che presuppone l'accertamento giudiziale dell'inadempimento del locatore ai propri obblighi ed incide direttamente sulla fonte dell'obbligazione, in ciò differenziandosi tale forma di tutela da quella contemplata dall'art. 1460 c.c. che attiene alla fase esecutiva e non genetica del rapporto e consente al conduttore, in presenza di un inadempimento del locatore, di sospendere liberamente la sua prestazione, nel rispetto del canone della buona fede oggettiva, senza la necessità di adire il giudice. Prosegue, poi, Cass. III, n. 1645/1962, specificando che il locatore non è tenuto alla garanzia se i vizi della cosa locata erano conosciuti o facilmente riconoscibili dal conduttore, dovendo, in quest'ultima ipotesi, lo stesso imputare alla propria negligenza se non ha avvertito la presenza di un vizio di agevole constatazione; solo se il conduttore non conosceva i vizi ed il locatore era in colpa, perche conoscendoli li aveva taciuti, egli può domandare, oltre la risoluzione del contratto (o una riduzione del corrispettivo), anche il risarcimento del danno. Nel medesimo senso, più recentemente, Cass. III, n. 9910/2010 evidenzia che, mentre ai fini dell'esercizio delle azioni di risoluzione o riduzione del corrispettivo di cui al primo comma dell'art. 1578 c.c., il locatore è esonerato da responsabilità nella eventualità in cui provi che si tratti di vizi conosciuti o facilmente riconoscibili dal conduttore al momento della consegna del bene locato, nell'ipotesi contemplata dal secondo comma, con riferimento all'eventualità in cui il conduttore abbia esercitato l'azione di risarcimento danni, il locatore è esente da responsabilità esclusivamente nel caso in cui egli offra la prova di avere, senza colpa, ignorato i vizi stessi. In applicazione di tali principi, pertanto, Cass. III, n. 1398/2011 ha affermato che non sussistono i requisiti per la risoluzione del contratto ai sensi dell'art. 1578 c.c. quando il conduttore, essendo a conoscenza della destinazione d'uso dell'immobile locato (nella specie, commerciale e non artigianale) al momento in cui al contratto venne data attuazione (nella specie, come desunto dalla clausola contrattuale relativa al divieto di mutamento della destinazione originaria) e, quindi, anche della inidoneità dell'immobile a realizzare il proprio interesse, abbia accettato il rischio economico dell'impossibilità di utilizzazione dell'immobile stesso come rientrante nella normalità dell'esecuzione della prestazione. Diversamente, qualora il conduttore abbia contestato l'esistenza dei vizi prima della conclusione del contratto di locazione, Cass. III, n. 2597/1979 esclude che dalla immissione nella detenzione del bene possa presumersi l'accettazione della cosa nello stato in cui la medesima versava, sorgendo in tal caso, invece, la presunzione – di segno opposto – che il locatore, con il proprio comportamento, abbia assunto l'obbligo di eliminare detti vizi. La riconoscibilità, da parte del conduttore, dei vizi della cosa locata, prevista dall'art 1578, comma 1, c.c. come ostativa alla domanda di risoluzione del contratto di locazione o di riduzione del corrispettivo in conseguenza dei vizi medesimi, riguarda esclusivamente i vizi esistenti e, cioè, in atto al momento della consegna del bene e non va confusa, pertanto, con la prevedibilità, in detto momento, dell'insorgenza di vizi futuri (così Cass. III, n. 3901/1975). Si è posta, poi, la questione circa la persistenza della garanzia in caso di vizi conosciuti o facilmente riconoscibili, relativamente ai quali, però il locatore abbia alternativamente (a) dichiarato che la cosa era priva di vizi e (b) assunto l'obbligo convenzionale di loro eliminazione. Quanto alla prima ipotesi, in applicazione analogica dell'art. 1491 c.c., per cui la garanzia per i vizi della cosa venduta, non dovuta in presenza di vizi conosciuti o facilmente riconoscibili, è ciononostante dovuta se il venditore abbia dichiarato che la cosa era esente da vizi, la dottrina maggioritaria (Mirabelli 423; Cosentino, Vitucci, 86; contra, però, Tabet 1972, 509) ritiene, stante la similarità delle situazioni, che la garanzia sia dovuta. Quanto alla seconda evenienza, la giurisprudenza di legittimità (Cass. III n. 774/1979) ha concluso nel senso della irrilevanza della conoscenza del vizio da parte del conduttore, quando il locatore abbia espressamente assunto – e poi non adempiuto – l'obbligo di eliminazione. Il collegamento tra la conoscenza o, quantomeno, conoscibilità del vizio e la consegna della cosa locata al conduttore fa si che la disposizione dell'art. 1578 c.c. non trovi applicazione nel caso di subentro nel contratto di locazione ai sensi dell'art. 36 della l. n. 392/1978, non competendo al subentrante, pertanto, alcuna facoltà di chiedere la risoluzione del contratto o la riduzione del canone, indipendentemente dalla conoscenza o facile conoscibilità, da parte sua, di vizi della cosa al momento dell'immissione nel bene. Osserva, al riguardo, Cass. III, n. 10928/2007 che, premesso che l'art. 1578 c.c. identifica il momento ultimo entro il quale al conduttore è consentito l'esercizio dell'azione di risoluzione del contratto ovvero di riduzione del canone in quello della consegna della cosa al conduttore medesimo, purché si tratti di vizi ignoti a quest'ultimo o da esso non facilmente riconoscibili, in quanto per quelli noti o facilmente riconoscibili resta esclusa ogni garanzia del locatore, deve necessariamente concludersi che tale disposizione non può trovare applicazione nell'ipotesi del subentro nel contratto di locazione ai sensi dell'art. 36 della l. n. 392/1978, 36 per effetto della cessione d'azienda, difettando in detta ipotesi il presupposto primo per l'applicabilità dell'art. 1578 c.c. e cioè la consegna della cosa dal locatore al conduttore. La pronuncia è stata, però, oggetto di critiche ad opera di quella dottrina (Di Marzio, Falabella, 976) che ha argutamente evidenziato come essa muova dall'erroneo assunto che l'art. 1578 c.c. identificherebbe nella consegna della cosa il momento ultimo entro il quale al conduttore è consentito l'esercizio dell'azione di risoluzione del contratto ovvero di riduzione del canone per vizi della cosa: “il che, evidentemente, non è, dal momento che l'art. 1578 c.c. stabilisce al contrario che la garanzia opera per i vizi che affliggono la cosa al momento della consegna, ma (ovviamente) non dice affatto che al conduttore sia consentita l'azione (che egli non può intraprendere, giacché, per definizione, ignora i vizi) non oltre la consegna”. L'elemento della conoscenza (o conoscibilità) del vizio, quale causa di inoperatività della garanzia ex art. 1578 c.c. è stato, tuttavia, talvolta accostato ad una corrispettiva riduzione del canone di locazione: nel senso che si esclude ogni responsabilità, anche extracontrattuale, del locatore, nel caso in cui il conduttore conoscesse i vizi e li abbia accettati, a condizione che si sia tenuto conto degli stessi nella determinazione del canone. Chiara, in tal senso, la posizione di Cass. III, n. 25278/2009, per cui, allorquando il conduttore, all'atto della stipulazione del contratto di locazione, non abbia denunziato i difetti della cosa da lui conosciuti o facilmente riconoscibili, deve ritenersi che abbia implicitamente rinunziato a farli valere, accettando la cosa nello stato in cui risultava al momento della consegna, e non può, pertanto, chiedere la risoluzione del contratto o la riduzione del canone, né il risarcimento del danno o l'esatto adempimento, né avvalersi dell'eccezione di cui all'art. 1460 c.c., dal momento che non si può escludere che il conduttore ritenga di realizzare i suoi interessi assumendosi il rischio economico dell'eventuale riduzione dell'uso pattuito ovvero accollandosi l'onere delle spese necessarie per adeguare l'immobile locato all'uso convenuto, in cambio di un canone inferiore rispetto a quello richiesto in condizioni di perfetta idoneità del bene al predetto uso. Nel medesimo senso, Cass. III, n. 8303/2008, per cui non può escludersi che il conduttore ritenga di realizzare i suoi interessi assumendosi il rischio economico dell'eventuale riduzione dell'uso pattuito ovvero accollandosi l'onere delle spese necessarie per adeguare l'immobile locato all'uso convenuto, in cambio di un canone inferiore rispetto a quello richiesto in condizioni di perfetta idoneità del bene al predetto uso. Quanto, infine al riparto degli oneri probatori, spetta al conduttore la prova dell'esistenza dei vizi in grado di diminuire in modo apprezzabile l'idoneità del bene rispetto all'uso convenuto e, a contrario, al locatore la prova della effettiva conoscenza (o conoscibilità) dei vizi da parte del conduttore: si tratta di una logica conseguenza della non riconducibilità della garanzia ex art. 1578 c.c. allo schema dell'inadempimento tout court e, dunque, della inapplicabilità ad essa dei principi affermati da Cass. S.U., n. 13533/2001. Conforme la dottrina (Carsana, 48), per cui è il locatore a dover provare che il conduttore sapeva dei difetti della cosa (magari facendo riferimento al canone particolarmente basso) oppure, sussistendone i presupposti, che il vizio era facilmente riconoscibile. Soccorrono, in questo campo, le presunzioni: a) se il vizio è facilmente riconoscibile, si presume che il conduttore l'abbia rilevato e, quindi, non sussiste alcun obbligo di informazione a carico del locatore; b) se il vizio è ravvisabile con maggiore sforzo (diligenza media), la presunzione non soccorre più l'inerzia del locatore che, se vuole neutralizzare la garanzia, deve informare la controparte; c) se il vizio non era riconosciuto neppure dal locatore, invece, difficilmente può immaginarsi che il conduttore, il quale conosce la cosa ancor meno del locatore, possa rilevarlo. Pacifica, sul punto, la giurisprudenza di legittimità: da ultimo, in particolare, v. Cass. III, n. 3548/2017, per cui, in caso di domanda di risoluzione ex art. 1578 c.c. grava sul conduttore (anche per ovvie ragioni di vicinanza della prova) l'onere di individuare e dimostrare l'esistenza del vizio che diminuisce in modo apprezzabile l'idoneità del bene all'uso pattuito, spettando, invece, al locatore convenuto di provare, rispettivamente, che i vizi erano conosciuti o facilmente riconoscibili dal conduttore, laddove intenda paralizzare la domanda di risoluzione o di riduzione del corrispettivo, ovvero di averli senza colpa ignorati al momento della consegna, se intenda andare esente dal risarcimento dei danni derivanti dai vizi della cosa. Ma nello stesso senso si era pronunziata, nel passato, Cass. III, n. 3655/1974, per cui il conduttore che azioni la pretesa risarcitoria prevista dal secondo comma dell'art 1578 c.c. ha l'onere di provarne i fatti costitutivi e, cioè, la sussistenza del vizio della cosa locata ed il nesso di derivazione causale del pregiudizio di cui chiede il risarcimento, solo in caso di esito positivo di tale prova sorgendo, a carico del locatore, l'onere della prova liberatoria della sua responsabilità, consistente nella dimostrazione di avere ignorato, senza sua colpa, l'esistenza del vizio della cosa al momento della consegna. Quanto precede evidenzia, peraltro, come l'onere probatorio a carico del locatore è – per così dire – rafforzato in caso di domanda di risarcimento, la quale fonda, diversamente da quelle di risoluzione o di riduzione del corrispettivo, sullo stato soggettivo di colpa del locatore medesimo. Mentre ai fini dell'esercizio delle azioni di risoluzione o riduzione del corrispettivo di cui al primo comma dell'art. 1578 c.c. il locatore è, infatti, esonerato da responsabilità nella eventualità in cui provi che si tratti di vizi conosciuti o facilmente riconoscibili dal conduttore al momento della consegna del bene locato, nell'ipotesi contemplata dal secondo comma, con riferimento all'eventualità in cui il conduttore abbia esercitato l'azione di risarcimento danni, il locatore è esente da responsabilità esclusivamente nel caso in cui egli offra la prova di avere, senza colpa, ignorato i vizi stessi (Cass. III, n. 9910/2010): l'onere della prova relativa all'impossibilità di conoscere i vizi con l'uso dell'ordinaria diligenza grava sul locatore e la valutazione del raggiungimento o meno della prova liberatoria da parte del locatore costituisce una valutazione di merito, tale da escludere la sua sindacabilità nel giudizio di legittimità se non per vizi logici o giuridici (così Cass. III, n. 18854/2008). In proposito, Cass. III, n. 1458/1981 chiarisce che tale prova – in ordine alla quale la legge non fissa alcuna limitazione – può essere raggiunta con ogni mezzo idoneo allo scopo, comprese le presunzioni in quanto prevalgano, per la loro univocità e concordanza, su quella iuris tantum di conoscenza dei vizi, posta dalla legge a carico del locatore. Il locatore, in sostanza, deve dimostrare di aver posto in essere i comportamenti e le azioni richiestigli da una diligenza media e che, nonostante questi, non è venuto a conoscenza dei vizi: è dunque tenuto a visitare e controllare l'immobile prima della consegna al conduttore, pena la contestabilità di una ignoranza colposa dei vizi. Simmetricamente, potrebbe sostenere l'assenza di colpa allorché il vizio derivi da una circostanza intrinseca del bene, che non poteva essere conosciuta se non utilizzando una diligenza superiore alla media. Segue. L'irrilevanza della conoscenza o conoscibilità in caso di vizi pregiudizievoli per la salute Rinviando per l'approfondimento della tematica al commento all'art. 1580 c.c., va comunque osservato che, qualora i vizi della cosa o di parte notevole di essa determinino un serio pericolo per la salute del conduttore, dei suoi familiari e dei suoi dipendenti, la loro conoscenza o conoscibilità da parte del conduttore medesimo non esonerano il locatore, anche in caso di rinunzia del conduttore a farla valere, dalla conseguente responsabilità nei confronti di quest'ultimo: si tratta – in sostanza – di un'applicazione dell'art. 1229, comma 2, c.c., alla cui stregua è nullo qualsiasi patto preventivo di esonero o di limitazione di responsabilità per i casi in cui il fatto del debitore o dei suoi ausiliari costituisca violazione di obblighi derivanti da norme di ordine pubblico. La ratio dell'irrilevanza della pattuizione che esclude, in tal caso, la garanzia a carico del locatore per vizi della cosa locata va rinvenuta nel contrasto di un simile patto con interessi generali e preminenti, come quello alla tutela della salute, diritto di rango costituzionale: e, “nonostante la formulazione, che sembrerebbe limitarne la portata alle sole locazioni abitative, essa – appunto perché espressione del più generale principio costituzionale di tutela della salute – si riferisce ad ogni tipo di locazione, mobiliare e immobiliare, e garantisce non solo il conduttore ed i suoi familiari, ma quanti altri debbano venire a contatto con la cosa in virtù di un rapporto immediatamente connesso alla destinazione d'uso del bene: dipendenti del conduttore, addetto alla macchina difettosa, lavoratori nell'immobile, i soci circoli culturali e ricreativi, ecc.” (così Trifone, 470). Sennonché, la disposizione contempla, al proprio interno, un limite espresso, nel senso che essa si riferisce alla sola azione di risoluzione del contratto e non anche, invece, alla riduzione del corrispettivo ed al risarcimento dei danni (strumenti contemplati, a contrario, proprio dall'art. 1578 c.c.): sicché si è posto il problema circa la praticabilità, in caso di vizi pregiudizievoli per la salute, delle azioni di riduzione del corrispettivo e risarcitoria. Quanto alla prima evenienza, si è sostenuto, in dottrina (Provera, 221), che l'art. 1580 c.c. non fornirebbe spazio applicativo per l'esercizio dell'azione di riduzione del corrispettivo, giacché la sola riduzione del canone lascerebbe comunque in piedi un contratto in virtù del quale il conduttore sarebbe obbligato ad usare, addirittura con la diligenza di un buon padre di famiglia, una cosa pericolosa per la sua salute. Ben più complessa è, invece, la risposta relativamente all'azione risarcitoria, registrandosi orientamenti ondivaghi, in proposito, in giurisprudenza. La posizione più recente della Suprema Corte (sostenuta da Cass. III, n. 19744/2014; in senso conforme, però, v. anche Cass. III, n. 915/1999) depone, invece, nel senso per cui il locatore è sempre tenuto a risarcire il danno alla salute subito dal conduttore in conseguenza delle condizioni abitative dell'immobile locato anche in relazione a vizi preesistenti la consegna ma manifestatisi successivamente ad essa qualora gli stessi, con l'uso dell'ordinaria diligenza, potessero essere a lui noti, non rilevando che tali condizioni abitative fossero note al conduttore al momento della conclusione del contratto, in quanto la tutela del diritto alla salute prevale su qualsiasi patto interprivato di esclusione o limitazione della responsabilità. Nel motivatamente dissentire dal precedente orientamento di senso contrario (riconducibile a Cass. III, n. 897/1965, Cass. III, n. 1399/1984 e Cass. III, n. 3636/1998), alla cui stregua il conduttore non potrebbe chiedere, oltre alla risoluzione, anche il risarcimento dei danni, quando, conoscendo il vizio, vi si è volontariamente esposto, la Corte osserva che: a) tale interpretazione non tiene adeguatamente conto del significato attribuito dalla giurisprudenza ordinaria e costituzionale (elaborate, almeno in parte, successivamente ai detti precedenti) al bene della salute, nei confronti di ogni condotta o fatto, i quali, pregiudicandolo, diventano illeciti da risarcire; b) per effetto di tale elaborazione giurisprudenziale, la tutela della salute rileva come “norma di ordine pubblico”, la cui violazione, anche ai sensi dell'art. 1229, comma 2, espone l'obbligato (anche ex contractu) al risarcimento, nonostante “qualsiasi patto preventivo di esclusione o di limitazione della responsabilità”. Di tenore analogo l'orientamento della giurisprudenza di merito (Trib. Roma, 8 dicembre 2004) per cui ai sensi del combinato disposto degli art. 1578, comma 2, e 1580 c.c., il locatore risponde nei confronti del conduttore dei danni alla persona di quest'ultimo causati da vizi della cosa, anche se tali vizi erano noti al conduttore medesimo. Sicuramente esorbita dall'ambito di operatività dell'art. 1580 c.c., invece, la possibilità che il conduttore esperisca, nei confronti del locatore, una domanda di esatto adempimento. Chiara è la posizione di Cass. III, n. 17/1983, la quale osserva come l'art. 1580 c.c., relativo ai vizi della cosa locata che espongono a serio pericolo la salute del conduttore, non preveda, tra i rimedi offerti a quest'ultimo, l'azione per esatto adempimento, cioè per l'esecuzione di opere per l'eliminazione dei vizi, sanzionandosi l'inidoneità della cosa locata con la risoluzione del contratto. Segue. La limitazione convenzionale della responsabilità del locatore La garanzia per i vizi della cosa locata può essere esclusa in virtù di una clausola convenzionale di limitazione della responsabilità del locatore: tale limitazione di responsabilità, contemplata dall'art. 1579 c.c. non opera, però, se a) il locatore abbia in mala fede taciuto al conduttore l'esistenza dei vizi ovvero se b) questi siano tali da rendere impossibile il godimento della cosa. Il rapporto tra tale previsione e quella di cui all'art. 1578 c.c. è stato ricostruito nel senso che: a) se la cosa presenta vizi che ne rendono impossibile il godimento, il patto con cui le parti abbiano escluso la garanzia per i vizi non ha effetto, né rileva che i vizi erano conosciuti dal conduttore od avrebbero potuto esserlo facilmente (Cass. III, n. 3249/1993): sicché il conduttore ha in ogni caso diritto alla risoluzione del contratto; b) quando, invece, i vizi siano tali da diminuire, ma non rendere impossibile il godimento secondo l'uso convenuto, il patto che esclude la garanzia non ha effetto solo se i vizi erano noti al locatore che li ha taciuti in mala fede, ma d'altra parte la garanzia non opera in presenza di vizi conosciuti o facilmente riconoscibili (Cass. III, n. 14342/2000). Rinviando anche in tal caso per l'approfondimento al commento all'art. 1579 c.c., può osservarsi come la disposizione in esame trovi dunque applicazione anche in relazione ai vizi conosciuti o riconoscibili dal conduttore, atteso che la conoscibilità o meno dei vizi assume rilevanza, ai sensi del precedente art. 1578 c.c. – escludendo la risoluzione del contratto di locazione o la riduzione del corrispettivo – nei soli casi in cui i vizi stessi incidano solo parzialmente sul godimento della cosa locata, senza escluderlo, onde possa risultare ragionevole la preventiva e concorde valutazione delle parti di addossare al conduttore i rischi ad essi relativi. La norma costituisce, all'evidenza, una applicazione pratica della regola posta, in linea generale, dall'art. 1229, comma 1, c.c., relativamente all'ipotesi innanzi indicata sub a) mentre, per quanto concerne l'impossibilità del godimento (ipotesi sub b), l'inefficacia del patto poggia sul piano, oggettivo, dell'inidoneità della cosa all'uso convenuto. Quanto alla prima evenienza contemplata dalla norma, l'art. 1579 c.c. sembra escludere la liceità di un'esclusione convenzionale della responsabilità nel solo caso di dolo del locatore, laddove l'art. 1229, comma 1, c.c., al contrario, estende la nullità del patto anche alle ipotesi di colpa grave. Se ne è tratta (Gabrielli, Padovini, 262), pertanto, la conclusione per cui la previsione in commento si pone, sostanzialmente, in un rapporto di specialità rispetto a quanto previsto dall'art. 1229, comma 1, c.c. disposizione dalla quale si differenzia proprio per ammettere, seppure in via implicita, anche l'esonero di responsabilità nei casi di colpa grave del locatore. Avuto riguardo, invece, alla seconda eventualità disciplinata dall'art. 1579 c.c. (nullità di una clausola di esonero da responsabilità, nel caso di impossibilità di godimento della cosa), la previsione si spiega ponendo mente alla circostanza che, in conseguenza di tale stato di fatto, viene meno la stessa ragione giustificatrice della prestazione principale dovuta dal conduttore e consistente nel pagamento del canone. Per la valida stipulazione di un simile patto occorre, in ogni caso, una specifica manifestazione di volontà dei contraenti, non potendosi ritenere sufficiente, all'uopo, una generica dichiarazione del conduttore di accettare la cosa nello stato in cui si trova: questa, piuttosto, potrà rilevare a fini diversi, come, ad esempio, in relazione all'obbligo di restituzione della cosa locata gravante sul conduttore (v. l'art. 1590 c.c.). L'obbligo di avviso al locatoreNel rapporto tra diritti e doveri reciproci di locatore e conduttore si colloca normalmente l'art. 1577 c.c., norma che, nel disciplinare il cd. obbligo di avviso (per cui, quando la cosa locata abbisogna di riparazioni che non sono a carico del conduttore, questi è tenuto a darne avviso al locatore ovvero, ove si tratti di riparazioni urgenti, ha la facoltà di eseguirle direttamente, salvo rimborso, purché ne dia contemporaneamente avviso al locatore), rappresenta una chiara applicazione, in materia locatizia, del principio di buona fede: il locatore, infatti, pur restandone parzialmente custode e pur dovendone garantire l'idoneità all'uso convenuto (v. l'art. 1575 c.c.), non ha la detenzione del bene e, quindi, nemmeno la vigilanza dello stesso, ciò che invece ha il conduttore. Si è osservato (Bucci, Malpica, Redivo, 55), in proposito, che l'obbligo di avviso gravante sul conduttore risponde sia all'interesse del conduttore medesimo al mantenimento della cosa locata in buono stato, sia a quello del locatore ad evitare, con un intervento tempestivo, un eventuale aggravamento delle condizioni del bene. Nulla disponendo al riguardo l'art. 1578 c.c. si è posta, dunque, la questione concernente l'esistenza, nel caso di insorgenza di vizi della cosa locata, di un analogo obbligo di avviso a carico del conduttore. Si è occupata espressamente della questione Cass. III, n. 2605/1995, la quale ha osservato che la presunzione di conoscenza del vizio da parte del locatore, ed anche l'eventuale prova ad abundantiam di detta conoscenza, non escludono che, in presenza di una specifica manifestazione del vizio idonea a produrre in concreto alterazioni e danni alla cosa locata ed a tutto ciò che in essa si trovi, il conduttore sia tenuto a segnalare al locatore il fatto, perché egli possa provvedere alle necessarie riparazioni che prevengano o limitino i danni. Trattandosi di fenomeni non appariscenti, pur collegati ad un vizio preesistente, se non può escludersi la responsabilità del locatore per non avere eseguito gli interventi radicali atti ad eliminare il vizio, è del pari configurabile l'obbligo del conduttore di avvisare il locatore dell'insorgenza del fatto che, in dipendenza del vizio preesistente, venga a manifestarsi progressivamente in guisa da provocare la concreta menomazione del godimento dell'immobile ed eventuali danni alle cose che ivi si trovino, in quanto il dovere di intervento comunque configurabile per il locatore non esime il conduttore dall'obbligo di segnalargli la necessità di interventi specifici atti a far fronte al concreto manifestarsi del vizio e ad impedire o limitare i conseguenti danni, che pur nella preesistente inadempienza del locatore non si erano ancora prodotti. Nulla osta, quindi, a che il precetto speciale dell'art. 1577, comma 1, c.c., sia applicabile a carico del conduttore anche in ipotesi in cui, inerendo le riparazioni ad un vizio dell'immobile la cui conoscenza da parte del locatore non sia esclusa, sia comunque configurabile un obbligo di intervento da parte dello stesso locatore, in quanto la riparazione inerisca ad una concreta manifestazione del vizio in sé pregiudizievole e non conosciuta, né altrimenti agevolmente conoscibile in quanto tale dal locatore. Altra cosa, infatti, sotto tale profilo è la conoscenza del vizio rispetto alla conoscenza di una specifica manifestazione di esso che sopravvenga nel corso della locazione in guisa da esigere interventi immediati. Come del pari può essere diverso l'atteggiamento del locatore di fronte ad un vizio che solo nel tempo si presenta idoneo a provocare concreti pregiudizi rispetto al quale un ritardato intervento, sia pure a rischio del locatore, può rivelarsi in concreto privo di apprezzabili conseguenze, anziché di fronte ad un fenomeno che, pur derivante dal vizio stesso, si presenti come produttivo di immediate conseguenze lesive ed imponga interventi senza alcun ritardo. Ne consegue, secondo la Corte, che il tenore generale dell'obbligo di avviso comminato dall'art. 1577, comma 1, c.c. a carico del conduttore consente, quindi, di ricondurre in esso qualunque ipotesi di riparazione che si renda necessaria, ancorché riconducibile ad un vizio preesistente conosciuto o conoscibile dal locatore, effettivamente o presuntivamente. Discende da quanto precede, all'evidenza, l'applicazione, anche in relazione al caso di vizi della cosa locata, dei principi sviluppati a proposito dei guasti: 1) nel caso di omesso avviso del conduttore, se il locatore non può opporre ai danneggiati, al fine di sottrarsi da responsabilità, la violazione dell'obbligo predetto, cionondimeno egli ha la possibilità di agire nei confronti del conduttore medesimo per ottenere da questi il risarcimento del danno conseguente al pregiudizio arrecato a terzi dal mancato pronto intervento riparatore. Assolutamente in linea è la posizione della migliore dottrina (Mirabelli, 408), per la quale la mancata ottemperanza all'obbligo di avviso può essere fonte di responsabilità a carico del conduttore. Sulla stessa ottica si pone la giurisprudenza di legittimità, la quale osserva come il dovere di intervento del locatore non esime il conduttore dall'obbligo di segnalargli la necessità di interventi specifici atti a far fronte al concreto manifestarsi del vizio e ad impedire o limitare i conseguenti danni, che pur nella preesistente inadempienza del locatore non si erano ancora prodotti, derivandone, in caso contrario, la possibilità di esperire un'azione di risarcimento del danno nei confronti del conduttore che abbia omesso di avvisarlo tempestivamente della necessità di riparazioni a lui spettanti (Cass. III, n. 11321/1996). 2) l'omissione di tempestivo avviso al locatore può integrare, altresì, un comportamento colpevole del conduttore, idoneo a configurarne la responsabilità, eventualmente sotto il profilo del concorso di colpa, per il pregiudizio subito da sé stesso come dal terzo. Quanto alla prima evenienza, l'esistenza di una responsabilità presunta – peraltro iuris tantum – non è incompatibile con la prospettazione di una condotta colposa del danneggiato concorrente nella produzione dell'evento lesivo, afferendo la presunzione al regime probatorio, senza immutare la struttura sostanziale della responsabilità – nella specie contrattuale – a carico del locatore, e non operando essa in contrasto con il principio della responsabilità per inadempimento o per fatto illecito: sicché la presunzione in esame incide sull'esistenza e non sulla misura della responsabilità, la quale è in ogni caso suscettibile di essere ridotta in dipendenza del concorrente fatto colposo del conduttore/creditore (così Cass. III, n. 2605/1995). Quanto, alla responsabilità nei confronti dei terzi, poi, Cass. III, n. 6044/1985, ad esempio, chiarisce che, sebbene la responsabilità del proprietario di un edifici, stabilita dall'art. 2053 c.c. per ogni disgregazione delle strutture e degli elementi accessori stabilmente incorporati in esso, non venga meno nel caso in cui l'edificio stesso sia concesso in locazione, in quanto la temporanea sottrazione dell'immobile alla disponibilità del proprietario non dispensa il primo dal vigilare – mediante periodiche visite anche a mezzo di incaricati – affinché l'efficienza del fabbricato e degli elementi accessori non subisca modificazioni che ne compromettano saldezza e resistenza – cionondimeno siffatto dovere di controllo è compatibile con il potere-dovere di custodia e vigilanza, in ordine a possibili deterioramenti dell'immobile, che incombe al conduttore, il quale, ai sensi dell'art. 1577 c.c., deve avvertire il proprietario delle riparazioni di cui la cosa abbisogna, potendo, pertanto, le relative responsabilità concorrere in rapporto ad un evento dannoso verificatosi per il mancato esercizio di quei poteri nell'ambito delle rispettive sfere. Quanto precede appare in sintonia con le conclusioni raggiunte da attenta dottrina (Gabrielli, Padovini, 271), stando alla quale “la ragione più profonda dell'obbligo di comunicazione risiede non tanto nell'opportunità di consentire al conduttore di esigere dal locatore l'adempimento della sua obbligazione, ma soprattutto nell'interesse del locatore a contenere i costi delle riparazioni. Ciò significa, allora, che, se non viene dato l'avviso tempestivamente, sorge in capo al conduttore, come in ogni caso di inadempimento, l'obbligazione risarcitoria, la quale, pur non essendo espressamente menzionata nella norma dell'art. 1577 c.c., è coerente alla natura di obbligo dell'avviso ed il cui fondamento normativo può individuarsi nella norma parallela di cui all'art. 1587 c.c., che, nell'imporre al conduttore l'obbligo di dare «pronto avviso» al locatore delle molestie di diritto di terzi, prevede espressamente il risarcimento del danno come conseguenza dell'inadempimento di tale obbligo”. 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