Codice di Procedura Civile art. 657 - Intimazione di licenza e di sfratto per finita locazione.

Vito Amendolagine

Intimazione di licenza e di sfratto per finita locazione.

[I]. Il locatore o il concedente può intimare [660] al conduttore [1571 c.c.], al comodatario di beni immobili, all'affittuario di azienda, all'affittuario coltivatore diretto [1647 ss. c.c.], al mezzadro [2141 c.c.] o al colono [2164 1 c.c.] licenza per finita locazione, prima della scadenza del contratto, con la contestuale citazione per la convalida, rispettando i termini prescritti dal contratto, dalla legge o dagli usi locali1.

[II]. Può altresì intimare lo sfratto, con la contestuale citazione per la convalida, dopo la scadenza del contratto, se, in virtù del contratto stesso o per effetto di atti o intimazioni precedenti, è esclusa la tacita riconduzione [1596 2, 1597 1 c.c.].

 

[1] Comma così modificato dal r.d. 20 aprile 1942, n. 504  e successivamente dall'art. 3, comma 46,  lett. a), del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149 che ha inserito le parole «al comodatario di beni immobili, all'affittuario di azienda,» (ai sensi dell'art. 52 d.lgs. n. 149 /2022 , il presente decreto legislativo entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale). Per la disciplina transitoria v. art. 35 d.lgs. n. 149/2022 , come da ultimo modificato dall'art. 1, comma 380, lett. a), l. 29 dicembre 2022, n.197,  che prevede che : "1. Le disposizioni del presente decreto, salvo che non sia diversamente disposto, hanno effetto a decorrere dal 28 febbraio 2023 e si applicano ai procedimenti instaurati successivamente a tale data. Ai procedimenti pendenti alla data del 28 febbraio 2023 si applicano le disposizioni anteriormente vigenti.".

Inquadramento

L'art. 657, comma 1, c.p.c. prevede che il locatore od il concedente può intimare al conduttore, all'affittuario coltivatore diretto, al mezzadro od al colono licenza per finita locazione, prima della scadenza del contratto, con la contestuale citazione per la convalida, rispettando i termini prescritti dal contratto, dalla legge o dagli usi locali.

  A seguito dell'entrata in vigore del d.lgs. 31 ottobre 2024, n.164, nell'atto di intimazione di sfratto per finita locazione occorre precisare che ove sussistano i presupposti di legge, l'intimato può presentare istanza per l'ammissione al gratuito patrocinio a spese dello Stato la cui omissione comporta un vizio della vocatio in jus, rilevabile d'ufficio e sanabile con la rinotifica dell'atto nel termine indicato dal giudice (Trib. Bari 9 maggio 2025).

Nell'ottica acceleratoria del processo civile, esigenza richiesta anche dal PNRR, per effetto dell'art. 3, comma 46, lett. a) d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149, noto come Riforma Cartabia, all'art. 657, comma 1, c.p.c. dopo le parole “può intimare al conduttore”, sono state inserite le parole “al comodatario di beni immobili, all'affittuario di azienda”, ragione per cui è stato esteso il perimetro applicativo della norma anzidetta a tali ultime figure.

La ratio legis profusa nel citato d.lgs. n. 149/2022 trae spunto dalla Relazione illustrativa al predetto atto normativo in attuazione della legge di delega 26 novembre 2021, n. 206, ai sensi della quale, l'estensione del procedimento sommario di sfratto alle ipotesi del contratto di affitto d'azienda ed a quello di comodato avente ad oggetto beni immobili, in tale modo tutelando anche la parte che cede gratuitamente il godimento di un immobile ed intenda riottenerne rapidamente il possesso.

Ciò non toglie che – come accade nel contratto di locazione – anche per l'affitto d'azienda o per il comodato l'esperibilità dell'azione di sfratto richiede l'esistenza di alcune condizioni, ovvero, un contratto in forma scritta e registrato, la scadenza del relativo contratto già in essere tra le parti, e l'invio della disdetta prima della scadenza prevista con riferimento al rapporto negoziale.

L'osservanza del presupposto della forma scritta è essenziale per accedere all'azione di sfratto perché, diversamente il proprietario per riottenere il possesso della res immobile dovrà promuovere un'azione di occupazione senza titolo.

Il contratto di affitto d'azienda, o di un ramo di essa, è un contratto usualmente utilizzato per consentire all'affittuario di godere dell'uso dell'immobile e di tutti i beni produttivi del compendio aziendale, per la cui disciplina si rinvia all'art. 2562 c.c. che richiama le norme sull'usufruttuario di azienda.

In base al correttivo approvato dal legislatore nel 2024, è stato modificato anche l'art. 658 c.p.c. – coerentemente con l'applicabilità della licenza o sfratto per finita locazione ex art. 657 c.p.c. al comodato ed all'affitto d'azienda – per effetto del quale, lo sfratto per morosità è pacificamente divenuto applicabile anche alle figure da ultimo considerate dal legislatore, in tale modo superando le incertezze emerse in dottrina e giurisprudenza.

In dottrina (Di Marzio, 73; Trifone, Carrato, 9) si è evidenziato che la convalida della licenza per finita locazione costituirebbe una sorta di condanna in futuro, in quanto il rapporto è ancora in corso.

L'art. 657, comma 2, c.p.c. dispone che può altresì intimare lo sfratto, con la contestuale citazione per la convalida, dopo la scadenza del contratto, se, in virtù del contratto stesso o per effetto di atti o intimazioni precedenti, è esclusa la tacita riconduzione.

La disposizione dell'art. 657, comma 1, c.p.c. ha il fine di consentire al locatore od al concedente di evitare la rinnovazione tacita del contratto alla sua scadenza ed a precostituirsi un titolo esecutivo da fare valere successivamente alla scadenza naturale del contratto, in caso di mancato rilascio dell'immobile.

L'art. 657, comma 2, c.p.c. disciplina invece l'ipotesi dell'intimazione dello sfratto per finita locazione, il quale presuppone un rapporto di locazione già finito, ovvero un contratto scaduto per mancanza di tacita riconduzione. In tale caso, il locatore chiede al giudice la pronuncia di una condanna del conduttore alla restituzione dell'immobile.

L'esistenza di una clausola compromissoria che devolva agli arbitri ogni controversia relativa al contratto ma escluda la loro competenza per i procedimenti cautelari e/o sommari, comporta l'esistenza della competenza dell'autorità giudiziaria ordinaria nel procedimento sommario di convalida di sfratto per finita locazione anche alla luce del nuovo art. 818 c.p.c. il quale ha, infatti, attribuito un generale potere cautelare agli arbitri rituali soltanto previa espressa volontà delle parti, manifestata nella convenzione di arbitrato od in atto scritto successivo (Trib. Chieti 31 agosto 2023).  

La decisione del giudice di considerare inefficace la disdetta del contratto di locazione in quanto inviata a mezzo di posta elettronica certificata - e quindi non rispettosa della previsione dell'art. 2 del contratto di locazione che invece prevedeva che il recesso dovesse avvenire con raccomandata A/R - si pone in contrasto con le predette normative che prevedono in via generale che la raccomanda postale possa essere sostituita dall'invio di una comunicazione di posta elettronica certificata (PEC).

Al riguardo, va preliminarmente osservato che l'art. 48 comma 2 d.lgs. n. 82/2005 - a tenore del quale la trasmissione del documento informatico per via telematica, effettuata ai sensi del comma 1, equivale, salvo che la legge disponga diversamente, alla notificazione per mezzo della posta - ha equiparato la raccomandata postale alla trasmissione del documento via PEC, mentre l'art. 16 comma 6 e 9 l. n. 185/2008, nell'imporre a tutte le imprese un indirizzo di posta elettronica certificata, ha previsto che le comunicazioni tra imprese possano essere inviate con lo strumento della posta elettronica certificata, senza che il destinatario debba dichiarare la propria disponibilità ad accertarne l'utilizzo.

Alla luce di tale premessa, la decisione del giudice di considerare inefficace la comunicazione di recesso dal contratto di locazione inviata a mezzo PEC anziché a mezzo di raccomandata r/r, non è giuridicamente corretta (Cass. I, n. 11808/2022).

L'art. 657 c.p.c. prevede quindi che la licenza per finita locazione venga intimata prima della scadenza del contratto con la contestuale citazione per la convalida per evitare la tacita riconduzione, se trattasi di contratto a tempo determinato, e per apporre un termine finale al rapporto, se trattasi di contratto a tempo indeterminato.

La licenza per finita locazione presuppone infatti un rapporto non ancora scaduto, e l'intimazione indica la data, necessariamente futura, in relazione alla quale l'ordine di rilascio è destinato ad avere effetto.

In base all'art. 657 c.p.c., l'atto introduttivo deve allora contenere l'intimazione di licenza e la citazione a comparire in giudizio per la convalida dell'intimazione.

Il procedimento per licenza o convalida di sfratto, regolato nel IV libro del codice di rito, può essere utilizzato dal locatore, in alternativa al giudizio a cognizione piena, per conseguire il rilascio di un immobile.

È un procedimento speciale a cognizione sommaria, che non è possibile utilizzare al di fuori delle ipotesi specifiche previste dalla stessa norma in esame, ovvero, l'intimazione di licenza per finita locazione o l'intimazione di sfratto per finita locazione.

Il procedimento è unitario ma strutturato in due fasi, una sommaria ed una successiva ed eventuale, a cognizione piena in caso di opposizione della parte intimata.

Il procedimento disciplinato dall'art. 657 c.p.c. può terminare in due modi: con la stessa fase sommaria con l'ordinanza di convalida dell'intimata licenza o sfratto per finita locazione, in assenza di opposizione dell'intimato, oppure con la sentenza che chiude la fase di cognizione piena, precedentemente aperta a seguito dell'opposizione della stessa parte intimata.

Nel procedimento per convalida di sfratto, l'opposizione dell'intimato determina la conclusione del procedimento a carattere sommario e l'instaurazione di un procedimento ordinario nel quale il locatore può porre a fondamento della domanda anche una causa petendi diversa da quella originaria (Cass. III, n. 1990/2015).

In quest'ultimo caso, con la chiusura della fase sommaria e l'inizio della fase a cognizione piena, con l'ordinanza di mutamento del rito ex art. 667 c.p.c., il giudice, ricorrendone i presupposti, pronuncia anche l'ordinanza ex art. 665 c.p.c. per il rilascio dell'immobile.

Per effetto del d.lgs. 31 ottobre 2024, n. 164, pubblicato in Gazzetta Ufficiale, serie generale, n. 264 dell'11 novembre 2024, ed entrato in vigore il 26 novembre 2024, al termine dell'ordinaria vacatio legis, il procedimento retto all'art. 657 c.p.c. è uniformato a quello dell'art. 658 c.p.c., con la possibilità di chiedere in entrambe le procedure sommarie l'emissione di decreto ingiuntivo per i canoni scaduti ed a scadere non riscossi, in relazione alle figure contemplate dalle suddette disposizioni normative.

Natura giuridica dell'atto di intimazione di licenza o sfratto per finita locazione

La natura dell'intimazione non è condivisa se sia un atto complesso con effetti sostanziali e processuali, in quanto diretta, sotto forma di manifestazione di volontà unilaterale e ricettizia ad impedire la tacita riconduzione del contratto, ed in quanto esplicante una vocatio in ius del conduttore per la convalida della licenza o dello sfratto, o se essa abbia invece natura meramente processuale, pur provocando effetti in ordine al rapporto giuridico sostanziale dedotto in giudizio.

In dottrina, si sono evidenziate incertezze nell'interpretazione dell'atto introduttivo del procedimento ex art. 657 c.p.c. essendosene evidenziata da parte di alcuni la natura di atto complesso (Frasca 1996, 147), avente la natura di atto squisitamente processuale (Giudiceandrea, 147).

La giurisprudenza di legittimità, muovendo dalla natura giuridica di atto complesso dell'atto di intimazione di licenza o fratto per finita locazione, ritiene che dal mandato alle liti rilasciato dal locatore al proprio difensore deriva una rappresentanza non soltanto di carattere processuale ma anche sostanziale o negoziale, riferita alla volontà della stessa parte rappresentata di fare cessare il rapporto locatizio precedentemente instauratosi.

La giurisprudenza ha affermato il principio che la disdetta del contratto di locazione costituisce un atto negoziale unilaterale recettizio, idoneo a manifestare al conduttore la volontà di non rinnovare il contratto alla scadenza, che può essere contenuta anche nell'atto di intimazione di licenza per finita locazione, che tale volontà presuppone, poiché in tale caso, il mandato alle liti conferito dal locatore al difensore va riferito non solo alla rappresentanza processuale, ma anche alla rappresentanza negoziale dell'istante, i cui effetti, sul piano sostanziale permangono anche ove fosse dichiarata l'estinzione del processo (Cass. III, n. 9666/1997).

Inoltre, qualora il locatore abbia manifestato con la disdetta la sua volontà di porre termine al rapporto, la rinnovazione tacita non può desumersi da una manifestazione tacita di consenso alla permanenza del locatario nell'immobile locato, occorrendo invece un suo comportamento positivo idoneo ad evidenziare una nuova volontà, contraria a quella precedentemente manifestata per la cessazione del rapporto.

La permanenza del conduttore nel bene locato ha valenza differente a seconda che sia stata data o meno la disdetta alla scadenza contrattuale; in tale seconda ipotesi, essendovi già una manifestazione di volontà del locatore volta alla risoluzione contrattuale, la volontà di rinnovare il contratto deve essere manifestata, se non espressamente, con comportamenti di segno univoco, quali certamente non sono né la percezione dei canoni per i periodi di occupazione dopo la scadenza contrattuale né il mancato esercizio dell'azione di rilascio, anche per un periodo di tempo considerevole dopo detta scadenza (Cass. III, n. 8729/2011; Cass. III, n. 269/1998).

La costituzionalità del procedimento per convalida di sfratto

La Consulta si è espressa in ordine alla questione di legittimità costituzionale del procedimento di convalida di licenza o di sfratto – che è un procedimento sommario per il rilascio di un immobile tenuto in locazione per fine del contratto o per morosità – nel quale, la mancata comparizione dell'intimato all'udienza, assume una rilevanza decisiva risolvendosi nel contegno processuale proprio di chi, avendo avuto conoscenza della citazione, volontariamente non si presenta dinanzi al giudice, e, dimostra in tale modo di non avere ragioni da fare valere, né interesse alcuno alla difesa.

Il fatto che la mancata volontaria comparizione è equiparata alla mancata opposizione vuole significare che, nell'uno e nell'altro caso, sussiste una carenza di interesse dell'intimato, la quale rende inutile l'esercizio del diritto di difesa nel merito, rimanendo ovviamente tale diritto integro per quanto attiene alla volontarietà o meno della mancata comparizione.

Infatti, l'art. 663 c.p.c. impone al giudice l'obbligo di ordinare la rinnovazione della citazione nel caso in cui risulti, od anche in quello in cui sembri probabile, che l'intimato non abbia avuto conoscenza della citazione, o per caso fortuito o per forza maggiore.

Pertanto, il diritto di difesa è assicurato dall'obbligo della citazione che comporta per l'intimato la facoltà di instaurare o meno il contraddittorio, e dall'obbligo di rinnovare la stessa citazione qualora il giudice accerti o ritenga probabile che l'intimato non ne abbia avuto conoscenza o non sia potuto comparire, ed infine dalla possibilità per l'intimato, di esperire l'opposizione tardiva nei casi previsti dall'art. 668 c.p.c. (Corte cost., n. 89/1972).

Ambito di applicazione del procedimento di convalida per licenza o sfratto per finita locazione

Il procedimento di convalida per licenza o sfratto per finita locazione è un procedimento speciale che si pone come eccezione all'ordinario processo di cognizione, sicché la relativa normativa non è suscettibile di interpretazione analogica ai sensi dell'art. 14 disp. prel. c.c. (Garbagnati, 296).

In dottrina, si è ritenuto non sia ammissibile l'esperimento del procedimento di convalida con riferimento a contratti di locazione atipici o misti, con la sola esclusione, espressamente prevista dall'art. 659 c.p.c., del caso in cui il godimento dell'immobile costituisca il corrispettivo, anche parziale di una prestazione d'opera, mentre è ammissibile per la sublocazione (Lazzaro, Preden, Varrone, 19).

Il procedimento per convalida di sfratto di cui all'art. 657 c.p.c. è applicabile alle controversie che rientrano nella competenza delle Sezioni specializzate agrarie (Trib. Mantova 19 ottobre 2012), salvo la diversa ipotesi della concessione dello sfruttamento di una cava di pietra, che è un bene produttivo, ed in quanto tale, deve essere inquadrato nello schema dell'affitto, e non nella diversa figura contrattuale della locazione (Cass. III, n. 250/2008).

La giurisprudenza di legittimità, ritiene che rientrano nella competenza funzionale delle sezioni specializzate agrarie le controversie nelle quali, in base alla domanda dell'attore od alle eccezioni del convenuto, la decisione della causa implichi un accertamento positivo o negativo dei rapporti soggetti alle speciali norme cogenti in materia di contratti agrari, sempreché non appaia ictu oculi infondata la tesi volta a ricondurre il rapporto controverso nell'ambito di quelli contemplati dalla speciale legislazione esistente in materia (Cass. III, n. 4610/1997).

Infatti, l'art. 9 della l. n. 29/1990 ha ricondotto tutte le controversie in materia di contratti agrari, sia sotto il profilo della genesi che del funzionamento e della cessazione, alla competenza esclusiva della sezione specializzata agraria, con la conseguenza che non solo è venuta meno la competenza del giudice ex art. 409, n. 2) c.p.c. per il giudizio di cognizione a favore del giudice specializzato (Cass. III, n. 10437/1998), ma è altresì venuta meno la competenza dello stesso giudice ex art. 657 c.p.c., a favore del giudice specializzato, tutte le volte in cui si tratti di accertare la durata del rapporto agrario e la conseguente cessazione o meno di esso (Cass. III, n. 17/2000).

La diversità del procedimento ordinario di convalida rispetto a quello speciale

La giurisprudenza di legittimità ha chiarito nel corso degli anni la diversità tra disciplina ordinaria della convalida della licenza per finita locazione e la disciplina speciale della convalida della licenza data in base a disdetta motivata nei casi previsti dagli artt. 29 della l. n. 392/1978 e 3 della l. n. 431/1998, precisando che il tratto per cui le due discipline si differenziano non è la diversa forma dell'atto introduttivo del procedimento, ma la diversa rilevanza della mancata comparizione della parte evocata in giudizio, che solo nella disciplina ordinaria consente la convalida della licenza, mentre in quella speciale ha lo stesso valore della comparizione seguita dalla contestazione, aprendo all'esame del merito della domanda, preceduto dal mutamento del rito (Cass. III, n. 986/2009).

Casistica

La disdetta, quale atto negoziale unilaterale e recettizio, adempiendo alla funzione d'impedire la prosecuzione di un rapporto contrattuale, è soggetta alla disciplina di cui agli artt. 1334 e 1335 c.c., e, in base a tale ultima disposizione, essa si reputa conosciuta nel momento in cui giunge all'indirizzo del destinatario, senza che siano rilevanti le modalità di esercizio, salvo che il destinatario non provi di essere stato senza sua colpa nell'impossibilità di averne notizia. L'accertamento che l'atto sia pervenuto nella sfera di conoscibilità del destinatario, quando è richiesto che la comunicazione abbia luogo mediante lettera raccomandata con avviso di ricevimento, presuppone che si possa identificare il soggetto cui l'atto è stato consegnato. Ciò significa che, per rendere efficace la cessazione del contratto di locazione, è sufficiente che la disdetta venga recapitata dall'agente postale all'indirizzo della parte conduttrice, poiché in tal modo si concreta la possibilità per il destinatario di venire a conoscenza della missiva. In altri termini, con la ricezione della disdetta, mediante consegna, da parte dell'addetto al recapito, della lettera raccomandata a persona rinvenuta all'indirizzo esatto del destinatario o di persone aventi con lui una relazione tale da giustificare la presunzione di conoscenza dell'atto da parte del medesimo e con l'ulteriore adempimento di verificare che la persona che cura il ritiro del plico apponga la firma sull'avviso di ricevimento da restituire al mittente, deve presumersi che essa sia pervenuta nella sfera di conoscibilità del medesimo destinatario (Cass. III, 20 giugno 2022, n. 19824).

L'intimazione della licenza per finita locazione, con la contestuale citazione per la convalida, producendo, ai sensi degli artt. 1596 e 1597 c.c. gli stessi effetti di diritto sostanziale di una comune citazione per la risoluzione del rapporto locatizio, per effetto della scadenza del termine, è atto idoneo a valere come domanda giudiziale di risoluzione del contratto, sia perché esprime la volontà del locatore contraria ad una eventuale proroga o rinnovazione del rapporto, sia perché contiene la vocatio in ius del conduttore, la cui opposizione trasforma il procedimento di convalida in un procedimento ordinario di cognizione che investe il regime giuridico del rapporto e le norme che lo governano (Cass. III, n. 913/1999).

Nel procedimento per convalida di licenza o di sfratto la mancanza del contratto scritto di locazione ovvero l'omessa produzione in giudizio di esso, appare ostativa alla convalida dello sfratto, in quanto impedisce al giudice la verifica delle condizioni di accoglibilità della domanda e in particolare del riscontro dell'importo del canone dovuto, della dedotta inadempienza e quindi della gravità della mora rilevante agli effetti della risoluzione ex artt. 1453 e 1455 c.c. (Trib. Modena 11 maggio 2011).

La clausola compromissoria contenuta nel contratto di locazione rende inammissibile il ricorso ai procedimenti speciali di sfratto per morosità e di intimazione della licenza per finita locazione (Trib. Modena 17 giugno 2011).

L'ordinanza di convalida di licenza o sfratto per finita locazione, preclusa l'opposizione tardiva, acquista efficacia di cosa giudicata sostanziale non solo sull'esistenza della locazione, sulla qualità di locatore dell'intimante e di conduttore dell'intimato, sull'intervento di una causa di cessazione o risoluzione del rapporto, ma altresì sulla qualificazione di esso, se la scadenza del medesimo, richiesta e accordata dal giudice, è strettamente correlata alla tipologia del contratto (Cass. III, n. 411/2017).

La sub-conduzione comporta la nascita di un rapporto obbligatorio derivato la cui sorte dipende da quella del rapporto principale di conduzione, ragione per cui la sentenza pronunciata per qualsiasi ragione nei confronti del conduttore esplica nei confronti del sub-conduttore, ancorchè rimasto estraneo al giudizio, e, quindi, non menzionato nel titolo esecutivo, non solo gli effetti della cosa giudicata sostanziale, ma anche l'efficacia del titolo esecutivo per il rilascio (Cass. III, n. 23302/2007; Cass. III, n. 11324/1998) e tale principio discende dal principio resoluto jure dantis resolvitur et ius accipientis (Cass. III, n. 5053/1994).

Il procedimento per convalida di licenza o di sfratto, di cui all'art. 657 c.p.c., non è utilizzabile con riferimento al leasing immobiliare (Pret. Milano 5 aprile 1993).

Il procedimento per convalida di sfratto di cui all'art. 657 c.p.c. è applicabile alle controversie che rientrano nella competenza delle Sezioni specializzate agrarie. Pertanto, la sezione specializzata agraria adita in tale procedimento, emessa ordinanza di rilascio con riserva delle eccezioni del convenuto ex art. 665 c.p.c. dispone la continuazione della causa fissando l'udienza di cui all'art. 420 c.p.c. (Trib. Mantova 19 ottobre 2012).

Il contratto che ha per oggetto la concessione dello sfruttamento di una cava di pietra, che è un bene produttivo, deve essere inquadrato nello schema dell'affitto, e non nella diversa figura contrattuale della locazione, con la conseguenza che ad esso non è applicabile in ragione della tassatività della previsione dell'art. 657 c.p.c., lo speciale procedimento per convalida di licenza o sfratto (Cass. III, n. 250/2008; Cass. III, n. 5025/1993).

La causa petendi dell'azione di licenza per finita locazione è costituita dalla risoluzione del contratto alla scadenza naturale, che è onere del giudice accettare in base alla normativa – alternativamente contrattuale o legale – che disciplina il rapporto, ed a prescindere dalle indicazioni, eventualmente erronee, delle parti.

In particolare, il giudice adito con un'intimazione di sfratto per finita locazione, ove accerti che il contratto non è ancora scaduto, una volta negata l'ordinanza di convalida e/o di rilascio e trasformato il procedimento in un ordinario giudizio di cognizione, può all'esito, pronunciare la cessazione della locazione per una scadenza successiva a quella intimata (Cass. III, n. 16120/2006).

In caso di domanda giudiziale di risoluzione del contratto di locazione per scadenza del termine legale, l'eventuale errore nell'indicazione della data di scadenza del contratto in cui sia incorso il locatore, non comporta la reiezione della domanda, né configura un caso di extra o ultrapetizione la rettifica operata dal giudice al riguardo, allorché, è la stessa legge a determinare termini e date di scadenza del rapporto (Cass. III, n. 21153/2013).

La circostanza che il locatore abbia chiesto la convalida ed abbia indicato nell'intimazione una data di cessazione del rapporto erronea, infatti, non osta né all'accoglimento della domanda di rilascio sotto il profilo della fondatezza del diniego di rinnovo, quando la convalida sia stata domandata per uno dei motivi legittimanti l'esercizio della facoltà di diniego, e questo sia stato specificatamente indicato, nè all'accoglimento per la scadenza effettiva, convenzionale o legale, in quanto l'indicato errore non vale ad escludere l'inequivoca volontà del locatore di riottenere la disponibilità dell'immobile (Cass. III, n. 14486/2008).

La disdetta dal contratto di locazione abitativa intimata per la prima scadenza contrattuale, nel regime della l. n. 431/1998, ove difetti la specificazione dei motivi di diniego, in tale ipotesi, essa, se a causa di tale irritualità non vale ad impedire la rinnovazione alla prima scadenza del contratto, varrà automaticamente – a meno che non risulti espressamente alcunché in contrario dalla stessa disdetta o da una contraria volontà espressa successivamente in forma univoca dallo stesso intimante – ad impedire la rinnovazione del contratto di locazione alla scadenza immediatamente successiva alla prima – per la quale, nessun particolare motivo è richiesto dalla normativa vigente – e cioè alla seconda (Cass. III, n. 27541/2014).

La legittimazione

Il rapporto che nasce dal contratto di locazione e, che si instaura tra locatore e conduttore ha natura personale, con la conseguenza che chiunque abbia la disponibilità di fatto del bene, in base a titolo non contrario a norme di ordine pubblico, può validamente concederlo in locazione, onde la relativa legittimazione è riconoscibile anche in capo al detentore di fatto, a meno che la detenzione non sia stata acquistata illecitamente e, a maggiore ragione, deve considerarsi valido e vincolante anche il contratto stipulato tra chi, acquistato il possesso o la detenzione abbia conservato tale possesso, non opponendosi il proprietario (Cass. III, n. 22346/2014; Cass. III, n. 15443/2011; Cass. III, n. 9493/2007; Cass. III, n. 4764/2005).

In dottrina, si è evidenziato che non occorre necessariamente la titolarità del diritto reale sul bene immobile da locare essendo sufficiente la disponibilità materiale di quest'ultimo (Frasca 2001, 112; Di Marzio, 94).

Pluralità di locatori

Inoltre, nelle vicende del rapporto di locazione, l'eventuale pluralità di locatori integra una parte unica, al cui interno i diversi interessi vengono regolati secondo i criteri che presiedono alla disciplina della comunione (Cass. III, n. 14530/2009, secondo cui qualora in un contratto di locazione la parte locatrice sia costituita da più locatori ciascuno di essi è tenuto nei confronti del conduttore alla medesima prestazione, sicché, conformemente al principio stabilito dall'art. 1294 c.c., le obbligazioni che ad essi fanno capo sono unificate dal vincolo della solidarietà che non determina però la nascita di un rapporto unico ed inscindibile e non dà luogo a litisconsorzio necessario tra i diversi obbligati).

Sugli immobili oggetto di comunione concorrono, quindi, in difetto di prova contraria, pari poteri gestori da parte di tutti i comproprietari, sulla base della presunzione che ognuno di essi operi con il consenso degli altri.

Il corollario di tale principio è che, potendo il comproprietario agire in giudizio per ottenere il rilascio dell'immobile per finita locazione – è ciò sulla considerazione che si tratta di atto di ordinaria amministrazione della cosa comune, per il quale si deve presumere che sussista il consenso degli altri comproprietari o quanto meno della maggioranza dei partecipanti alla comunione – non ricorre la necessità di integrazione del contraddittorio nei confronti degli altri partecipanti alla comunione (Cass. III, n. 19929/2008).

L'eventuale mancanza di poteri o di autorizzazione ad agire nei confronti del conduttore rileva nei soli rapporti interni fra i comproprietari e non può essere eccepita alla parte conduttrice che ha fatto affidamento sulle dichiarazioni o sui comportamenti di colui o di coloro che apparivano agire per tutti (Cass. II, n. 1986/2016).

La locazione della cosa comune da parte di uno dei comproprietari rientra nell'ambito di applicazione della gestione di affari ed è soggetta alle regole di tale istituto, tra le quali quella di cui all'art. 2032 c.c., sicchè, nel caso di gestione non rappresentativa, il comproprietario non locatore potrà ratificare l'operato del gestore e, ai sensi dell'art. 1705, comma 2, c.c., applicabile per effetto del richiamo al mandato contenuto nel citato art. 2032 c.c., esigere dal conduttore, nel contraddittorio con il comproprietario locatore, la quota dei canoni corrispondente alla quota di proprietà indivisa (Cass. S.U., n. 11135/2012).

Vendita dell'immobile locato

Conseguentemente, in mancanza di una contraria volontà dei contraenti, la vendita dell'immobile locato determina, ai sensi degli artt. 1599 e 1602 c.c., la surrogazione nel rapporto di locazione del terzo acquirente, che subentra nei diritti e nelle obbligazioni del venditore-locatore senza necessità del consenso del conduttore. A differenza dell'affitto d'azienda relativo ad un'attività svolta in un immobile condotto in locazione, in relazione alla quale, non si produce l'automatica successione nel contratto di locazione dell'immobile, quale effetto necessario del trasferimento dell'azienda, ma la successione è soltanto eventuale e richiede, comunque, la conclusione di un apposito negozio volto a porre in essere la sublocazione o la cessione del contratto di locazione, contratto quest'ultimo che può presumersi fino a prova contraria, alla stregua dei principi di cui all'art. 2558, comma 3, c.c. (Cass. III, n. 2491/2009; Cass. III, n. 7686/2008).

L'art. 1602 c.c. attiene non già ad un'ipotesi di successione nel contratto bensì di surrogazione legale nel rapporto – di diritto o di fatto – ed in particolare, negli effetti non esauriti del rapporto di locazione de iure.

L'art. 1602 c.c. prevede la cessione ex lege del contratto di locazione all'acquirente del bene locato, in forza della quale – ove la locazione sia opponibile al conduttore ai sensi dell'art. 1599 c.c. – l'acquirente subentra nei diritti e negli obblighi derivanti dal contratto di locazione, senza necessità del consenso del conduttore, in deroga ai principi generali in tema di cessione del contratto di cui all'art. 1406 c.c. (Cass. III, n. 12883/2012; Cass. III, n. 13833/2010), essendo richiesta solo la comunicazione della cessione al conduttore.

La fattispecie di vendita di cosa locata integra invero un'ipotesi di cessione legale del contratto di locazione in capo all'acquirente, che quale cessionario ex lege subentra nella situazione di diritto e di fatto facente capo all'alienante al momento della cessione e dal medesimo trasmessagli con tale atto, senza che risulti al riguardo necessario l'accordo delle parti né l'adesione del contraente ceduto nei cui confronti la cessione acquista peraltro efficacia solamente al momento della relativa notificazione.

L'acquirente diviene a tale stregua il nuovo titolare del rapporto di locazione in corso de iure al tempo della compravendita ovvero, laddove trattasi di contratto scaduto, può esercitare i diritti non esauriti ed i poteri spettanti al proprietario e dal medesimo cedutigli.

In particolare, ove il contratto sia cessato de iure per effetto dell'intimata disdetta del contratto di locazione alla prevista scadenza contrattuale, l'acquirente dell'immobile subentra nel diritto di credito alla sua restituzione già maturato in capo al locatore-proprietario cedente, con i relativi accessori ex art. 1263 c.c., ed in particolare con i poteri inerenti al contenuto ed all'esercizio del relativo credito (in ordine all'espressa e specifica assunzione da parte del venditore dell'immobile, in luogo dell'obbligo di consegna, dell'obbligo di fare cessare il rapporto di locazione esistente, v. Cass. II, n. 4195/1987).

Così definita la disciplina sostanziale, gli effetti processuali sono consequenziali, nel senso che per effetto del negozio di cessione del credito, notificato al debitore ceduto, il diritto di credito trasmigra al cessionario con tutte le azioni dirette ad ottenerne la realizzazione, e nell'ipotesi di esercizio di tali azioni da parte del cessionario contro il debitore ceduto non è necessaria la partecipazione al processo del cedente.

Pertanto, l'acquirente può esercitare anche l'azione di sfratto per finita locazione, ai sensi dell'art. 657 c.p.c., così come avrebbe potuto il cedente ed il locatore originario intimare lo sfratto, con la contestuale citazione per la convalida, dopo la scadenza del contratto medesimo (Cass. III, n. 7696/2015).

Nel caso di concessione di un bene in locazione ad uno dei comproprietari, venuto a conclusione il rapporto locatizio per scadenza del termine o per la pronuncia della sua risoluzione per inadempimento del conduttore, il predetto bene immobile deve essere restituito alla comunione per consentire alla stessa di disporne e, attraverso la sua maggioranza, di esercitare la facoltà di goderne direttamente o indirettamente. Ne consegue che il conduttore – comproprietario può essere condannato al rilascio del bene medesimo in favore della comunione, poichè tale conduttore è pur sempre obbligato a reintegrare gli altri comproprietari nella facoltà di disporre della loro quota e di fare uso della cosa comune secondo il loro diritto, alla stregua di quanto disposto espressamente dagli artt. 1102 e 1103 c.c. (Cass. III, n. 7197/2014).

Il decesso del conduttore

Nella giurisprudenza di legittimità, è stato ripetutamente affermato il principio che l'art. 6 della l. n. 392/1978 ha compiutamente disciplinato la disciplina della successione nel contratto di locazione per uso abitativo in caso di morte del conduttore, escludendo l'applicabilità dell'art. 1614 c.c. ai rapporti assoggettati alla nuova e diversa disciplina, con la conseguenza che, in mancanza delle altre persone in favore delle quali la sopra citata disposizione della legge sull'equo canone prevede la successione nel contratto di locazione, gli eredi del conduttore possono subentrare nel rapporto locativo ove fossero conviventi con quest'ultimo (Cass. III, n. 3074/1995; Cass. III, n. 4767/1992).

L'art. 6 della l. n. 392/1978 esclude l'applicabilità dell'art. 1614 c.c. (Cass. III, n. 4767/1992), esige in capo ai soggetti indicati dall'anzidetta norma l'abituale convivenza con il de cuius alla data del decesso di costui – e dunque un fatto tanto oggettivo che soggettivo – e non già il successivo permanere dell'avente diritto alla successione nell'alloggio locato, che rileva invece ad effetti diversi dalla successione mortis causa nel contratto di locazione, essendo questa un fatto giuridico istantaneo che si realizza – o non si realizza – all'atto stesso della morte del de cuius (Cass. III, n. 10034/2000).

In buona sostanza, l'art. 6 della l. n. 392/1978 stabilisce, in deroga alle norme vigenti in tema di successione mortis causa dei diritti personali di godimento, che il diritto del conduttore si trasferisce ai suoi eredi legittimi o testamentari, ai suoi parenti, individuati attraverso la disposizione contenuta nell'art. 74 c.c. ed ai suoi affini, anch'essi individuati attraverso la disposizione contenuta nell'art. 78 c.c. alla condizione dell'abituale preesistente convivenza di uno di questi soggetti con il defunto conduttore (Cass. III, n. 8967/1998).

L'erede non convivente del conduttore di un'immobile adibito ad abitazione non gli succede nella detenzione qualificata, e, poichè il titolo si estingue con la morte del titolare del rapporto, analogamente al caso di morte del titolare dei diritti di usufrutto, uso o abitazione, egli è un detentore precario della res locata al de cuius, sì che nei suoi confronti sono esperibili le azioni di rilascio per occupazione senza titolo e di responsabilità extracontrattuale (Cass. VI, n. 26670/2017).

La convivenza con il conduttore defunto, cui è subordinata la successione nel contratto di locazione, costituisce una situazione complessa, caratterizzata da una convivenza stabile ed abituale, da una comunanza di vita, preesistente al decesso, non riscontrabile qualora il pretendente successore si sia trasferito nell'abitazione locata soltanto per assistere il conduttore stesso, e, quindi, per ragioni transitorie (Cass. III, n. 3251/2008).

Tale disposizione, infatti, subordina il diritto alla successione nel contratto, nel caso di morte del conduttore, di determinati soggetti, alla condizione obbiettiva della sussistenza di una abituale convivenza, e cioè di una situazione complessa, indicativa di una comunanza di vita idonea, per la sua abitualità, a configurare una comunità familiare o parafamiliare, in quanto l'erede può essere un estraneo, un aggregato stabile di soggetti. Scopo della norma è invero quello di tutelare i componenti della residua comunità familiare o parafamiliare, onde evitare che restino immediatamente privi di un tetto i superstiti componenti dell'aggregato stabilmente conviventi con il conduttore defunto (Cass. III, n. 8652/1996; Cass. III, n. 6910/1995).

La mediazione obbligatoria

Ai sensi dell'art.5, comma 4, lett. b), del d.lgs. n. 28/2010 le disposizioni dei commi 1-bis e 2 concernenti l'obbligatorietà della mediazione e sanzione dell'improcedibilità del giudizio, non si applicano nei procedimenti per convalida di licenza o sfratto, fino al mutamento del rito di cui all'art. 667 c.p.c..

Pertanto, la mediazione diventa obbligatoria dopo il provvedimento di mutamento del rito (Trib. Roma 9 maggio 2018; Trib. Palermo 13 aprile 2012; Trib. Roma 26 marzo 2012; Trib. Modena 6 marzo 2012) e l'improcedibilità della domanda per il mancato esperimento della mediazione ex art. 5 del d.lgs. n. 28/2010, che può essere eccepita dal convenuto, a pena di decadenza, o rilevata d'ufficio dal giudice, non oltre la prima udienza, che in questo caso sarà l'udienza di discussione ex art. 420 c.p.c. fissata dal giudice con l'ordinanza ex art. 667 c.p.c.

La scelta del legislatore che il tentativo di mediazione divenga condizione di procedibilità solo all'esito della c.d. fase sommaria, è stata dettata da evidenti ragioni di opportunità – segnatamente finalizzate ad evitare di decelerare la fase sommaria che potrebbe anche concludersi con la mera convalida in difetto di opposizione dell'intimato – per effetto delle quali, non muta la natura del successivo giudizio di merito che altro non è che la prosecuzione dell'unico giudizio introdotto con l'intimazione ed articolato in due fasi.

La stessa locuzione utilizzata dal legislatore non appare casuale, laddove afferma che il giudizio prosegue nelle forme del rito speciale.

L'incipit del procedimento unitario di sfratto, articolato in una duplice fase, deve infatti individuarsi nell'atto introduttivo della fase sommaria – e non già nelle eventuali integrazioni istruttorie evidenziate dalle parti a seguito di memorie introduttive eventualmente autorizzate (Trib. Viterbo 7 novembre 2018).

La proposizione dell'opposizione alla convalida di sfratto determina il mutamento del rito con il passaggio al giudizio a cognizione piena, in relazione al quale, l'assetto processuale e l'interesse astratto ad agire delle parti andrà valutato secondo gli ordini criteri, avuto riguardo alle relative domande.

Conseguentemente, si è affermato che è il locatore, introdotto il procedimento con rito sommario, ad avere interesse a coltivare la domanda anche nella successiva fase a cognizione piena, ove intenda ottenere accertamento nel merito dell'inadempimento del conduttore, al fine di ottenere una pronuncia che statuisca sull'intervenuta risoluzione del rapporto locatizio (Trib. Busto Arsizio 20 marzo 2018), e, ciò in quanto, diversamente argomentando, il locatore che sceglie il procedimento per convalida dell'intimato sfratto, verrebbe ad essere esentato dall'onere di intraprendere la procedura di mediazione, che, invece, continua a gravare sul soggetto che agisce in opposizione ex art. 447-bis c.p.c.

In tale contesto, al convenuto opponente tale interesse può riconoscersi soltanto laddove lo stesso abbia, a propria volta, avanzato domanda riconvenzionale, di talché abbia un effettivo ed autonomo interesse alla prosecuzione del giudizio, e, dunque, all'avveramento della condizione di procedibilità.

Esaurita la fase sommaria e disposto il mutamento del rito, concesso il termine per l'inizio del procedimento di mediazione, è onere di chi abbia interesse a coltivare il procedimento dare impulso alla condizione di procedibilità, sulla cui scorta, laddove la mediazione non sia stata introdotta né dall'attore né dal convenuto, la domanda dovrà necessariamente essere dichiarata improcedibile (Trib. Massa 19 gennaio 2018).

Un caso a sé è invece costituito dall'ordinanza di rilascio emessa ex art 665 c.p.c. a conclusione della fase sommaria, che presuppone una sommaria delibazione del giudice sulla fondatezza delle ragioni delle parti, con la positiva valutazione dei presupposti posti a fondamento della domanda attrice e la corrispondente delibazione negativa in ordine alle ragioni poste a sostegno dell'opposizione.

Ove sia stata emessa l'ordinanza provvisoria di rilascio, si è quindi affermato che sussiste l'interesse di entrambe le parti ad addivenire ad una pronuncia di merito, e, conseguentemente, ad attivarsi affinché maturi la condizione di procedibilità. Infatti la circostanza che sia stata emessa l'ordinanza provvisoria di rilascio ex art. 665 c.p.c. fa sorgere anche in capo al convenuto opponente l'interesse a coltivare il giudizio nella fase di merito a cognizione piena, al fine di pervenire ad una pronuncia di accoglimento dell'opposizione, che travolga il provvedimento interinale emanato dal giudice al termine della fase sommaria (Trib. Pescara 7 ottobre 2014).

L'improcedibilità del giudizio, tuttavia, non travolge l'ordinanza di rilascio già emessa ex art. 665 c.p.c., perché l'atto conclusivo del procedimento sommario di sfratto, quale è l'ordinanza di rilascio, sebbene non idonea ad acquistare autorità di giudicato in ordine al diritto fatto valere dal locatore, può essere qualificato come provvedimento di condanna con riserva delle eccezioni del convenuto, i cui effetti permangono fino a quando non viene emessa la sentenza di merito, con la conseguenza che se il giudizio a cognizione piena non sfocia in una pronuncia di merito che prenda il posto dell'ordinanza di rilascio, ne deriva la stabilizzazione dell'ordinanza di rilascio in quanto difetta una pronuncia di merito che si saldi a detta ordinanza assorbendola, se si tratta di pronuncia di accoglimento della domanda di condanna al rilascio o caducandola, se si tratta di pronuncia di rigetto della domanda di condanna al rilascio (Trib. Monza 1 dicembre 2017).

L'ordinanza di rilascio ex art. 665 c.p.c. è idonea a dispiegare i propri effetti al di fuori del processo e non resta travolta dalla declaratoria di improcedibilità, susseguente all'omesso esperimento del procedimento di mediazione disposto dal giudice con l'ordinanza che dispone il mutamento del rito ex art. 667 c.p.c. (Trib. Bologna 17 novembre 2015).

A carico dell'intimato opponente, che a seguito dell'ordinanza ex art. 667 c.p.c. sia rimasto inoperoso in mediazione, resta l'effetto della scelta di non avere coltivato la propria opposizione e con essa le proprie eccezioni finalizzate a paralizzare la domanda di condanna al rilascio del locatore, ragione per cui la condizione di procedibilità ex art. 5 del d.lgs. n. 28/2010 va correttamente intesa con riferimento alla domanda di accertamento negativo del diritto al rilascio proposta dall'intimato-opponente, ed alle ulteriori domande diverse da quella originaria di condanna al rilascio dell'immobile (Trib. Rimini 24 maggio 2016).

La sospensione dei termini durante il periodo feriale

La giurisprudenza – superato un originario indirizzo, che considerava il procedimento per convalida di licenza o di sfratto nel suo complesso urgente ratione materiae, per cui la sospensione dei termini non trovava applicazione sia nella fase sommaria che ordinaria del giudizio di merito, anche nei suoi vari gradi, per effetto della ravvisata esigenza di una sollecita definizione della procedura, che sarebbe stata elusa anche dalla sospensione incidente al di fuori della fase sommaria, unico essendo il thema decidendum – è approdata all'inapplicabilità della sospensione dei termini nel periodo feriale in ordine alla sola fase preliminare del procedimento per convalida, sulla considerazione che, per le cause aventi ad oggetto la cessazione di un rapporto di locazione, l'urgenza connessa all'emanazione del provvedimento si riscontra soltanto quando si tratta di procedimento introdotto ex art. 657 c.p.c., mentre essa viene meno quando, con la concessione od il diniego dell'ordinanza interinale ex art. 665 c.p.c. ed il conseguente passaggio all'ordinario giudizio di merito, cessa di esistere il prevedibile pregiudizio, che giustifica l'urgenza della trattazione (Cass. III, n. 12028/2000; Cass. S.U., n. 3077/1983).

Nel procedimento di convalida di licenza per finita locazione o di sfratto, la sospensione dei termini durante il periodo feriale resta esclusa, in forza della deroga contenuta nell'art. 3 della l. n. 742/1969 in relazione all'art. 92 del r.d. n. 12/1941 dell'Ordinamento giudiziario, soltanto per la fase sommaria di esso, la quale si conclude con la pronuncia dell'ordinanza di convalida o col diniego della stessa, e presenta, per sua natura, carattere di urgenza, trovando invece applicazione ai sensi del principio generale stabilito dall'art. 1 l. n. 742/1969 per la successiva fase a rito ordinario, salvo che l'urgenza sia dichiarata con apposito provvedimento (Cass. VI, n. 23193/2015; Cass. III, n. 12979/2010; Cass. III, n. 677/2000).

Presupposto per l'intimazione dello sfratto o licenza: registrazione del contratto

La normativa fiscale – all'art. 2, lett. a) e b) ed art. 3, lett. a) del d.P.R. n. 131/1986, recante il Testo unico sull'imposta di registro, nonché l'art. 5, comma 1, lett. b), dell a Tariffa allegata, parte I, ed art. 2-bis, parte II della medesima Tariffa – stabilisce che sono soggetti a registrazione i contratti di locazione immobiliare, sia se stipulati per iscritto sia se conclusi verbalmente, indipendentemente dall'ammontare del canone, esclusi i contratti di durata non superiore a trenta giorni nell'anno, i quali sono soggetti a registrazione solo in caso d'uso, nonché i contratti di comodato conclusi per iscritto. Inoltre ai sensi dell'art. 17, comma 1, del medesimo d.P.R. n. 131/1986, come modificato dall'art. 68 della l. n. 342/2000 la registrazione deve essere effettuata entro trenta giorni dalla data dell'atto o dalla sua esecuzione in caso di contratto verbale.

L'art. 13, comma 1, l. n. 431/1998 dispone che è nulla ogni pattuizione volta a determinare un importo del canone di locazione di immobili urbani superiore a quello risultante dal contratto scritto e registrato.

A distanza di sei anni, il legislatore è nuovamente intervenuto con una norma che ha ulteriormente esteso la rilevanza della registrazione in ambito privatistico con riferimento alle locazioni di immobili, ivi comprese quelle ad uso diverso dall'abitazione, stabilendo, con l'art. 1, comma 346, della l. n. 311/2004, che i contratti di locazione, o che comunque costituiscono diritti relativi di godimento, di unità immobiliari ovvero di loro porzioni, comunque stipulati, sono nulli se, ricorrendone i presupposti, essi non sono registrati.

L'art. 1, comma 346, della l. n. 311/2004 era dunque applicabile a tutti i contratti di locazione indipendentemente dall'uso abitativo o meno cui l'immobile sia destinato.

L'art. 3, comma 8 e 9, del d.lgs. n. 23/2011 aveva previsto un particolare regime in caso di omessa o tardiva registrazione del contratto di locazione, nonché in caso di registrazione di un contratto di comodato fittizio e di una locazione recante un canone inferiore rispetto a quello realmente pattuito, disponendo che la durata del rapporto avrebbe dovuto essere legalmente rideterminata in quattro anni rinnovabili decorrenti dal momento della registrazione tardiva ed il canone annuale veniva predeterminato nella misura del triplo della rendita catastale dell'immobile, ove inferiore a quella pattuita.

Le suddette disposizioni sono state successivamente dichiarate incostituzionali, per eccesso di delega (Corte cost., n. 50/2014), e la stessa sorte ha subito l'art. 5, comma 1-ter del d.l. n. 47/2014, convertito in l. n. 80/2014, destinato ad evitare temporaneamente la caducazione degli effetti già prodotti sui contratti di locazione in virtù della disciplina di cui alle norme incostituzionali – a sua volta dichiarato incostituzionale (Corte cost., n. 169/2015).

Le misure adottate dal legislatore nel 2011 sono state sostanzialmente riproposte con l'art. 1, comma 59 della l. n. 208/2015, il quale ha novellato l'art. 13 della l. n. 431/1998 – al cui commento, ad ogni buon conto, si rinvia – introducendo significative modifiche.

Il nuovo testo di tale norma, oltre a riproporre il meccanismo sanzionatorio della mancata registrazione del contratto di locazione mediante la determinazione autoritativa del canone di locazione imposto, di cui all'abrogato art. 3, comma 8 del d.lgs. n. 23/2011, già dichiarato incostituzionale, prevede altresì l'obbligo unilaterale del locatore di provvedere alla registrazione del contratto di locazione entro il termine perentorio di trenta giorni, stabilendo che, in caso di inottemperanza a tale obbligo, il conduttore possa chiedere al giudice di accertare l'esistenza del contratto e rideterminarne il canone in misura non superiore al valore minimo legale determinato in forza dell'anzidetta disposizione normativa.

Le Sezioni Unite (Cass. S.U., n. 18213/2015) hanno affermato che la nullità prevista dall'art. 13, comma 1, della l. n. 431/1998, sanziona esclusivamente il patto occulto di maggiorazione del canone, oggetto di un procedimento simulatorio, mentre resta valido il contratto registrato e dovuto il canone apparente.

Tale patto occulto, in quanto nullo, non è sanato dalla registrazione tardiva, trattandosi di una vicenda extranegoziale inidonea ad influire sulla testuale invalidità civilistica, precisando che ad essere espressamente colpita dalla nullità, non è la mancata registrazione dell'atto recante il prezzo reale della locazione, ma l'illegittima sostituzione di un prezzo con un altro, secondo un meccanismo del tutto speculare a quello previsto per l'inserzione automatica di clausole in sostituzione di quelle nulle, per effetto del quale, l'effetto diacronico della sostituzione è impedito proprio dalla disposizione normativa, in forza della quale, è la clausola successivamente inserita in via interpretativa attraverso la controdichiarazione ad essere affetta da nullità ex lege, con la conseguente, perdurante validità di quella sostituenda – il canone apparente – e dell'intero contratto di locazione (Cass. S.U., n. 18213/2015).

Pertanto, l'atto negoziale contro-dichiarativo risulta insanabilmente e testualmente nullo per contrarietà a norma di legge – l'art. 13, comma 1, della l. n. 431/1998 espressamente volto ad impedire la sostituzione del canone apparente con quello reale convenuto con il patto occulto – restando tale anche a seguito della sopravvenienza di un requisito extraformale ed extranegoziale, quale la registrazione del contratto di locazione.

La suesposta soluzione enunciata dalle Sezioni Unite nel 2015 – laddove non consente un'interpretazione diversa da quella che ricostruisce la sanzione legislativa per omessa registrazione in termini di nullità sopravvenuta del contratto di locazione per mancanza di un requisito extraformale di validità dello stesso – è stata confermata dalla stessa giurisprudenza di legittimità (Cass. S.U., n. 23601/2017), anche in ordine alla sottostante ratio della anzidetta misura introdotta dal legislatore volta a contrastare tanto l'elusione quanto l'evasione fiscale non solo dell'imposta di registro, ma anche delle imposte dirette da parte del locatore sui canoni riscossi dal conduttore (Cass. S.U., n. 18214/2015, da cui si evince che la forma scritta del contratto risponde alla finalità di attribuire alle parti, ed in specie al conduttore, uno status di certezza dei propri diritti e dei propri obblighi, posto che la sua funzione primaria, coerente con la ratio dell'intero dettato normativo di cui alla l. n. 431/1998 deve comunque ritenersi quella di trarre dall'ombra del sommerso – e della conseguente evasione fiscale – i contratti di locazione).

La stessa Cassazione ha, altresì, precisato che la mancata registrazione del contratto di locazione di immobili è causa di nullità dello stesso, ma il contatto di locazione di immobili, quando sia nullo per la sola omessa registrazione, può comunque produrre i suoi effetti con decorrenza ex tunc, nel caso in cui la registrazione sia effettuata tardivamente, e che è nullo il patto col quale le parti di un contratto di locazione di immobili ad uso non abitativo concordino occultamente un canone superiore a quello dichiarato, posto che tale nullità vitiatur sed non vitiat, con la conseguenza che il solo patto di maggiorazione del canone risulterà insanabilmente nullo, a prescindere dall'avvenuta registrazione (Cass. S.U., n. 23601/2017).

Al di fuori dell'ipotesi prevista dall'art. 13, comma 5 della l. n. 431/1998, in cui attraverso l'introduzione di un'ipotesi di nullità “di protezione”, il conduttore potrebbe fare valere egli solo la nullità, qualora il locatore abbia imposto la forma verbale, abusando della propria posizione dominante all'interno di un rapporto giocoforza asimmetrico – riguardante la conclusione di un rapporto di locazione di fatto, per effetto di un contratto di locazione stipulato verbalmente in violazione dell'art. 1, comma 4, della l. n. 431/1998, stante la volontà espressa dal locatore e subita dal conduttore contro la sua volontà, con la conseguente possibilità per il medesimo conduttore, in deroga ai principi generali dell'insanabilità del contratto nullo, di esperire una specifica azione finalizzata alla sanatoria del rapporto contrattuale di fatto venutosi a costituire in violazione di una norma imperativa – applicando i principi generali in tema di nullità, il locatore potrà agire in giudizio per il rilascio dell'immobile occupato senza alcun titolo, ed il conduttore potrà ottenere la parziale restituzione delle somme versate a titolo di canone nella misura eccedente quella del canone concordato, poichè la restituzione dell'intero canone percepito dal locatore costituirebbe un ingiustificato arricchimento dell'occupante (Cass. S.U., n. 18214/2015).

La diversità tra la disciplina ordinaria e speciale della convalida della licenza per finita locazione

Il tratto per cui le due discipline si differenziano non è la diversa forma dell'atto introduttivo del procedimento, ma la diversa rilevanza della mancata comparizione, che solo nella disciplina ordinaria consente la convalida della licenza, mentre in quella speciale ha lo stesso valore della comparizione seguita da contestazione, apre cioè l'adito all'esame del merito della domanda, che va poi preceduto dal mutamento del rito (Cass. III, n. 986/2009).

Nel procedimento di convalida di licenza, in caso di mancata comparizione dell'intimato, l'attività del giudice è limitata all'accertamento delle condizioni richieste per l'ammissibilità del provvedimento volto a conseguire il rilascio dell'immobile, mentre nel caso di diniego della rinnovazione del contratto di locazione di immobile adibito ad uso commerciale alla prima scadenza, la l. n. 392/1978 prevede l'accertamento della sussistenza del motivo di diniego con la particolare procedura di cui agli artt. 29 e 30 l. n. 392/1978 disciplinata dal rito locatizio modellato sul rito del lavoro (Cass. III, n. 7173/1997).

La disdetta può essere contenuta anche in un atto processuale che logicamente e giuridicamente presupponga la volontà del locatore di non rinnovare il contratto alla scadenza o che, comunque, nel caso concreto, esprima anche tale volontà, quale l'intimazione di licenza o sfratto per finita locazione o la citazione in giudizio, nè rileva che non sia stata seguita sin dall'inizio la procedura di diniego di rinnovo di cui all'art. 30 della l. n. 392/1978, prevista dall'art. 3 della l. n. 431/1998, e che l'atto processuale sia stato formato per una scadenza già verificatasi, vigendo altresì il principio che la disdetta e l'intimazione in cui essa è contenuta, che non siano idonee, per inosservanza del termine, a produrre la cessazione della locazione per la scadenza indicata dal locatore, hanno efficacia di produrla per la scadenza successiva (Cass. III, n. 4036/2013).

La proroga della sospensione ex lege introdotta dalla legge di conversione del cd. decreto “rilancio”

L'art. 17-bis inserito dall'art.1, comma 1, della l. 17 luglio 2020, n.77 in sede di conversione del d.l. 19 maggio 2020, n.34, recante la proroga della sospensione dell'esecuzione degli sfratti di immobili ad uso abitativo e non abitativo, dispone al comma 6 dell'art. 103 del d.l. 17 marzo 2020, n. 18, convertito, con modificazioni, dalla l. 24 aprile 2020, n. 27, che le parole: "1° settembre 2020" sono sostituite dalle seguenti: "31 dicembre 2020".

Il legislatore dell'emergenza coronavirus, con un tratto di penna, allunga di quattro mesi la sospensione dell'esecuzione degli sfratti immobiliari già disposta con il precedente provvedimento normativo innanzi indicato, in previsione della prosecuzione dello stato di emergenza derivante dalla pandemia in corso.

Nell'addivenire a ciò, nulla è mutato rispetto al passato, trattandosi della semplice sostituzione della data ultima di efficacia della sospensione dell'esecuzione degli sfratti, attualmente posticipata al 31 dicembre 2020.

E' opportuno precisare che - come del resto disposto già nel precedente provvedimento - la sospensione dell'esecuzione riguarda tutti i provvedimenti di rilascio degli sfratti o di licenza, ad uso abitativo ed ad uso diverso da abitazione, quindi, anche i locali commerciali e quelli concessi in locazione ad uso temporaneo o stagionale (cd. uso foresteria), e non riguarda il diritto di azionare la relativa procedura di sfratto per morosità o di sfratto o licenza per finita locazione.

Il legislatore può paralizzare temporaneamente il diritto del locatore ad agire in executivis ma non anche quello di rango costituzionale - ex art. 24 della Carta repubblicana - di fare valere le proprie ragioni nei confronti del conduttore, in tale ottica, rivolgendosi al giudice delle locazioni per munirsi di un titolo spendibile successivamente, quando il periodo di sospensione volgerà al termine.

Ciò - sulla scorta di un'equa valutazione dei contrapposti interessi delle parti interessate - può desumersi dalla stessa ratio legis che è soltanto quella di sospendere temporaneamente l'esecuzione del provvedimento che autorizza il locatore a chiedere il rilascio dell'immobile.

In ciò si ravvisa la precisazione contenuta nella littera legis riferita ai “provvedimenti di rilascio” e non alle “azioni” o “procedure” di sfratto o di licenza, la cui distinzione è utile anche per ribadire un'ulteriore precisazione.

L'art. 103, comma 6, del d.l. n.18/2020 attualmente, per effetto dell'anzidetta proroga, prevede testualmente che “l'esecuzione dei provvedimenti di rilascio degli immobili, anche ad uso non abitativo, è sospesa fino al 31 dicembre 2020”.

Orbene, come acutamente rilevato dall'attenta dottrina (Fanticini, 31), il legislatore “non ha disposto la sospensione dei provvedimenti di rilascio o della loro esecutorietà impedendo così di iniziare il processo” - né tantomeno risulta sospesa la possibilità per il locatore di chiedere il rilascio dell'esecutorietà del provvedimento giudiziale di convalida già ottenuto al termine della stessa fase di convalida - ma ha espressamente previsto  che sia sospesa l'esecuzione dei suddetti provvedimenti, sulla cui scorta consegue allora che il processo esecutivo che inizia con la notifica dell'avviso di rilascio contemplato dall'art. 608 c.p.c. si arresta temporaneamente ope legis per l'intera durata della proroga (Fanticini, 31, precisa che trattasi di “istantaneo arresto”).

Non potrebbe essere diversamente, perché - come era già stato acutamente osservato anche nelle linee guida predisposte da vari uffici giudiziari, tra cui l'Ufficio Notifiche Esecuzioni Protesti presso il Tribunale di Ravenna per il rilascio di immobili il 28 aprile 2020 e reperibili in www.ordineavvocatiravenna.it - la sospensione di un atto (in questo caso, l'avviso ex art. 608 c.p.c.) del processo esecutivo presuppone che quest'ultimo abbia già avuto il suo inizio.

Infatti, l'art. 608, comma 1, c.p.c. dispone testualmente che l'esecuzione inizia con la notifica dell'avviso con il quale l'ufficiale giudiziario comunica almeno dieci giorni prima alla parte, che è tenuta a rilasciare l'immobile, il giorno e l'ora in cui procederà.

Ciò comporta prima di tutto che la sospensione dell'esecuzione, riguardando i provvedimenti di rilascio, esclude la possibilità che il locatore munito di un valido titolo esecutivo - ordinanza di sfratto per morosità o finita locazione o licenza per finita locazione, con annessa clausola di esecutorietà rilasciata dal cancelliere - non possa notificare al conduttore che si trova nella detenzione dell'immobile locato l'atto di precetto per consegna o per rilascio previsto dall'art. 605 c.p.c.

La previsione normativa contenuta nell'art. 103, comma 6, del d.l. n.18/2020 induce anche ad un'ulteriore opportuna riflessione.

L'atto previsto dall'art. 608 c.p.c. - nella versione attualmente vigente a seguito della l. n.80/2005 - è un “avviso” con il quale l'ufficiale giudiziario comunica almeno dieci giorni prima alla parte, che è tenuta a rilasciare l'immobile, il giorno e l'ora in cui procederà.

Quid juris se anche quest'ultimo atto sia o meno attinto dalla sospensione dell'esecuzione prevista ex lege che come precisato, riguarda esclusivamente i “provvedimenti” di rilascio e non gli atti del processo esecutivo nel cui ambito rientrano gli “avvisi” contemplati dall'art. 608 c.p.c. che non a caso è rubricato “modo del rilascio”, essendo quest'ultimi “atti” dell'ufficiale giudiziario e non “provvedimenti” di convalida dello sfratto o licenza per finita locazione emessi dal giudice e sulla cui scorta si procede al successivo rilascio dell'immobile.

Ciò comporterebbe, sul piano operativo, come già rilevato dalla dottrina (Fanticini, 31), che quando l'ufficiale giudiziario riceverà il provvedimento di rilascio costituito dal titolo giudiziale formatosi precedentemente nella procedura di sfratto o di licenza per finita locazione, dovrà semplicemente prendere atto della sospensione disposta per l'esecuzione dell'anzidetto provvedimento di rilascio, fissandola ad una data successiva rispetto a quella del 31 dicembre 2020 attualmente prevista ex lege

Del resto, a ben vedere, il “rinvio” dell'esecuzione del provvedimento di rilascio contemplato dall'art. 103, comma 6, cit. è la stessa “tecnica” che il legislatore ha già adottato in passato, in molteplici occasioni, con provvedimenti il cui fine era sempre quello di tamponare l'emergenza abitativa, esattamente come accade attualmente, per effetto dell'emergenza economico-sociale provocata dalla pandemia in corso, la cui gravità ha reso opportuno estenderne l'applicazione anche ai provvedimenti di rilascio di immobili ad uso diverso da abitazione ed anche in caso di conclamata morosità nei pagamenti dei canoni. 

Una nota - pos.IV-DOG/03-1/2020/CA  - diramata il 23 giugno 2020 dal direttore generale del personale e della formazione, ufficio IV, reparto Unep, presso il ministero della Giustizia, con riferimento all'art. 103, comma 6, cit., afferma invece che “Stando al tenore letterale di tale norma primaria, la eventuale richiesta della parte istante della procedura esecutiva in questione rivolta all'Unep territorialmente competente, di procedere ugualmente all'accesso presso l'immobile - oggetto della procedura esecutiva - con redazione del verbale ovvero alla notifica di un avviso, al fine esclusivo di rendere edotto l'esecutato della data delle operazioni esecutive dopo il termine di sospensione, non può trovare accoglimento perché si vanificherebbe la ratio dell'intervento legislativo sulla materia volta a sospendere qualsivoglia attività di procedura esecutiva inerente al rilascio degli immobili, anche ad uso non abitativo”.

Al riguardo, premesso che la suddetta nota non sembra provenire da un soggetto istituzionalmente deputato ad esprimersi con valenza di interpretazione autentica sulla stessa norma primaria qui considerata, non appare condivisibile laddove accomuna la fase “anteriore “alla notifica dell'avviso contemplato dall'art. 608 c.p.c. con quella contestuale a detto adempimento, che, per espressa volontà del legislatore costituisce lo “spartiacque” riguardante l'inizio dell'esecuzione per rilascio.

In buona sostanza, come afferma la stessa nota sopra citata, l'art. 608 c.p.c. prevede che l'esecuzione “inizia” con la “notifica” dell'avviso risultando così in forma palese che “prima” che la suddetta notifica sia avvenuta non esiste alcun atto di esecuzione per rilascio.   

Pertanto, poiché la sospensione di cui trattasi, non riguarda i procedimenti esecutivi, e, dunque, non si rivolge chiaramente ai relativi “atti” od “avvisi” procedurali come quello contemplato dall'art. 608 c.p.c., proprio perché prima di detta notifica non esiste alcun atto che segni il dies a quo dell'esecuzione per il rilascio, non si vede ragione alcuna perché medio tempore, durante il periodo di sospensione dell'esecuzione dei provvedimenti di rilascio l'ufficiale giudiziario non possa ricevere nella sede del proprio ufficio dalle mani del locatore-intimante l'atto da notificare successivamente ex art. 608 c.p.c. al termine del periodo di sospensione. 

Al riguardo, non sembra dunque potersi concludere per la irricevibilità dell'atto ex art. 608 c.p.c. presentato nel periodo di sospensione dal locatore all'ufficiale giudiziario presso l'Unep competente per la futura notifica dello stesso e la conseguente eventuale esecuzione del rilascio (Fanticini, 32).  

Il vantaggio per il locatore - che già si vede negato per un significativo periodo temporale il proprio diritto a procedere in executivis per conseguire il rilascio dell'immobile anche da un conduttore moroso - sarebbe di avere un'apprezzabile priorità cronologica nella notifica del suddetto avviso, quando la sospensione avrà avuto termine, al fine di velocizzare quantomeno l'inizio dell'esecuzione.

E' infatti tutt'altro che improbabile che al termine del periodo di sospensione, la mole di avvisi accumulati negli uffici sarà tale da comportare successivamente, se non un vero e proprio intasamento nelle notifiche, quantomeno un rilevante rallentamento di quest'ultime, con ulteriore danno per il locatore in termini di attesa temporale per l'avvio dell'esecuzione per rilascio.

Una soluzione come quella innanzi prospettata aiuterebbe del resto a superare alcune importanti criticità, prima fra tutte quella concernente una rinotifica dell'avviso indicato nell'art. 608 c.p.c., qualora detto atto all'intimato risulti essere già stato notificato prima del 17 marzo 2020, con l'indicazione di una data di accesso in loco per il rilascio compresa nel periodo di sospensione.

In relazione a tale questione, appare opportuno ricordare la posizione espressa dalla giurisprudenza di legittimità, sebbene formatasi nel periodo ante coronavirus laddove aveva già ritenuto che in tema di procedura esecutiva per consegna o rilascio, l'avviso prescritto dall'art. 608 c.p.c., esaurisce, con la notifica, il suo scopo di avvisare l'esecutato del prossimo inizio dell'azione esecutiva, al fine di consentirgli l'adempimento spontaneo e di essere, comunque, presente alla data in cui avrà luogo l'immissione in possesso del creditore procedente, sicché, come ricordato anche in dottrina (Fanticini, 31, che nel citare il precedente di Cass. III, n.17674/2019, in cui si ribadisce che il momento di inizio dell'esecuzione coincide con la notifica dell'avviso di rilascio, osserva che “anche in base a tale precedente sarebbe del tutto incongruo pretendere il compimento di un atto che determinerebbe l'avvio di una diversa esecuzione per rilascio”) non sussiste comunque un obbligo di eseguire la notifica di un nuovo avviso - ex art. 608 c.p.c. -  in caso di sospensione dell'esecuzione già iniziata con un primo accesso e successivamente ripresa (Cass. III, n.17674/2019 cit.). 

Infatti, la semplice proroga della sospensione dei “provvedimenti” di rilascio, disposta dal legislatore, ultimamente con l'art. 17-bis inserito dall'art.1, comma 1, della l. 17 luglio 2020, n.77 in sede di conversione del d.l. 19 maggio 2020, n.34, non sembra di per sè autorizzare all'attualità un'interpretazione diversa rispetto a quella già adottata dal giudice di legittimità, attesa altresì l'inesistenza di una norma che espressamente imponga al locatore procedente la ripetizione della notifica all'intimato dell'avviso ex art. 608 c.p.c.

Ciò premesso, come recentemente affermato dalla Consulta (Corte cost., 11 novembre 2021, n. 213), sebbene la CEDU abbia affermato che le norme che dispongono la sospensione dei provvedimenti di sfratto incidono sull'effettività della tutela del diritto dell'esecutante, che deve svolgersi entro un termine ragionevole, è necessario che tale diritto, nell'ordinamento interno, venga bilanciato con il complesso delle altre garanzie costituzionali, attesa la valutazione sistematica e non frazionata sulla violazione dei diritti. Nell'ambito della predetta valutazione di carattere sistematico, il sacrificio di un diritto costituzionale non è allora irragionevole, nell'ipotesi in cui sia frutto di scelte non prive di una valida ragione giustificativa, e nella specie, lo scopo del differimento della tutela esecutiva del locatore può essere individuato nell'eccezionalità della situazione correlata all'emergenza pandemica da Covid-19. Ciò non toglie però che, ferma restando in capo al legislatore, ove l'evolversi dell'emergenza epidemiologica lo richieda, la possibilità di adottare altre misure più idonee per realizzare un diverso bilanciamento, ragionevole e proporzionato, se l'eccezionalità della suddetta pandemia da Covid-19 giustifica, nell'immediato e per un limitato periodo di tempo, la sospensione dell'esecuzione dei provvedimenti di rilascio degli immobili, d'altra parte però questa misura emergenziale è prevista fino al 31 dicembre 2021 e deve ritenersi senza possibilità di ulteriore proroga, avendo la compressione del diritto di proprietà raggiunto il limite massimo di tollerabilità, pur considerando la sua funzione sociale.

Bibliografia

Arieta, De Santis, L'esecuzione forzata, in Montesano, Arieta (a cura di), Tratt. dir. proc. civ., III, 2, Padova, 2007; AA.VV., Il procedimento per convalida di sfratto, Tedoldi (a cura di), Bologna, 2009; AA.VV., La locazione, Cuffaro (a cura di), Bologna, 2009; Bucci, Crescenzi, Il procedimento per convalida di sfratto, Padova, 1990; Carrato, Le locazioni e il processo, in Carrato, Scarpa (a cura di), Milano, 2005; Carrato, Questioni giurisprudenziali principali sul procedimento per convalida, in Giust. civ., 2009; Cavallini, In tema di “decisione” sull'ammissibilità dell'opposizione tardiva alla convalida di sfratto, in Giur. It, 1995; Consolo, Codice di procedura civile, commentario, diretto da Consolo, tomo III, Milano, 2018; Consolo, Luiso, Sassani, Commentario alla riforma del processo civile, Milano 1996; D'Ascola, Giordano, Porreca, Il procedimento per convalida di licenza e sfratto, in La locazione, Cuffaro (a cura di), Bologna, 2009; Di Marzio, Il procedimento per convalida di licenza e sfratto, Milano, 1998; Di Marzio, Di Mauro, Il processo locatizio. Dalla formazione all'esecuzione del titolo, Milano, 2007; Fanticini, Esecuzione per rilascio, 29 e ss. in Legislazione d’emergenza e processi esecutivi e fallimentari a cura di D’Arrigo, Costantino, Fanticini e Saija, I quaderni di inexecutivis, rivista telematica dell’esecuzione forzata, in inexecutivis.it  Ferri, in Comoglio, Ferri, Taruffo, Lezioni sul processo civile, II, Bologna, 2011; Frasca, Procedimento per convalida di sfratto: le novità introdotte (...con al seguito qualche problema) dalla l. 534/1995, in Foro it, 1996; Frasca, Il procedimento per convalida di sfratto, Torino, 2001; Garbagnati, I procedimenti d'ingiunzione e per convalida di sfratto, Milano, 1979; Giordano, Tallaro, Il processo delle locazioni, Padova, 2014; Giordano, Procedimento per convalida di sfratto, Bologna, 2015; Giordano, Codice di procedura civile commentato, Milano, 2020; Giudiceandrea, Il procedimento per convalida di sfratto, Torino 1956; Grasselli, Masoni, Le locazioni, Padova 2007; Lazzaro, Preden, Varrone, Il procedimento per convalida di sfratto, Milano, 1978; Luiso, Diritto processuale civile, III, Milano, 2017; Lombardi, Il procedimento per convalida di sfratto, Milano, 2013; Mandrioli, Sull'impugnazione dell'ordinanza di licenza o sfratto, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1977; Mandrioli, Carratta, Diritto processuale civile, IV, Torino, 2017; Masoni, I procedimenti locatizi, Padova, 2004; Piombo, Locazione (controversie in materia di locazione), in Enc. giur., XIX, Roma, 2001; Porreca, Il procedimento per convalida di sfratto, Torino, 2006; Preden, Sfratto (procedimento per convalida di), in Enc. dir., XIII, Milano, 1990, 429; Proto Pisani, Il procedimento per convalida di sfratto, in Riv. trim. dir. proc. civ. 1988; Proto Pisani, Lezioni di diritto processuale civile, Napoli, 2014; Redenti, Vellani, Diritto processuale civile, Milano, 2011; Scalettaris, La riforma del processo civile: il procedimento di sfratto si applica anche nel caso del comodato e dell'affitto di azienda, in Arch.  locazioni, condominio e dell’immobiliare, 2023, 3 e ss.; Sorace, Locazione, II, Controversie in materia di locazione, in Enc. giur., XIX, Roma, 1990; Tedoldi (a cura di), Il procedimento per convalida di sfratto, Bologna, 2009; Trifone, Carrato, Il procedimento per convalida di sfratto, Milano, 2003; Trisorio Liuzzi, Procedimenti speciali di rilascio degli immobili locati, in I procedimenti sommari e speciali, I, Procedimenti sommari (633-669 c.p.c.), Chiarloni, Consolo (a cura di), Torino, 2004; Trisorio Liuzzi, Tutela giurisdizionale delle locazioni, Napoli, 2005; Verde, Diritto processuale civile, III, Bologna, 2015.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario