Decreto legislativo - 18/04/2016 - n. 50 art. 114 - (Norme applicabili e ambito soggettivo) 1(Norme applicabili e ambito soggettivo)1 [1. Ai contratti pubblici di cui al presente Capo si applicano le norme che seguono e, in quanto compatibili, le disposizioni di cui agli articoli da 1 a 58, ad esclusione delle disposizioni relative alle concessioni. L'articolo 49 si applica con riferimento agliallegati3, 4 e 5 e alle note generali dell'Appendice 1 dell'Unione europea della AAP e agli altri accordi internazionali a cui l'Unione europea è vincolata. 2. Le disposizioni di cui al presente Capo si applicano agli enti aggiudicatori che sono amministrazioni aggiudicatrici o imprese pubbliche che svolgono una delle attività previste dagli articoli da 115 a 121; si applicano altresì ai tutti i soggetti che pur non essendo amministrazioni aggiudicatrici o imprese pubbliche, annoverano tra le loro attività una o più attività tra quelle previste dagli articoli da 115 a 121 ed operano in virtù di diritti speciali o esclusivi2. 3. Ai fini del presente articolo, per diritti speciali o esclusivi si intendono i diritti concessi dallo Stato o dagli enti locali mediante disposizione legislativa, regolamentare o amministrativa pubblicata compatibile con i Trattati avente l'effetto di riservare a uno o più enti l'esercizio delle attività previste dagli articoli da 115 a 121 e di incidere sostanzialmente sulla capacità di altri enti di esercitare tale attività 3. 4. Non costituiscono diritti speciali o esclusivi, ai sensi del comma 3, i diritti concessi in virtù di una procedura ad evidenza pubblica basata su criteri oggettivi. A tali fini, oltre alle procedure di cui al presente codice, costituiscono procedure idonee ad escludere la sussistenza di diritti speciali o esclusivi tutte le procedure di cui all'allegato II della direttiva 2014/25/UE del Parlamento e del Consiglio in grado di garantire un'adeguata trasparenza4. [ 5. Qualora la Commissione europea ne faccia richiesta, gli enti aggiudicatori notificano le seguenti informazioni relative alle deroghe di cui all'articolo 6 in materia di joint venture: a) i nomi delle imprese o delle joint venture interessate; b) la natura e il valore degli appalti considerati; c) gli ulteriori elementi che la Commissione europea ritenga necessari per provare che le relazioni tra l'ente aggiudicatore e l'impresa o la jointventure, cui gli appalti sono aggiudicati, rispondono alle condizioni previste dal regime di deroga]5. 6. Per i servizi di ricerca e sviluppo trova applicazione quanto previsto dall'articolo 15867. 7. Ai fini degli articoli 115, 116 e 117 il termine «alimentazione» comprende la generazione, produzione nonché la vendita all'ingrosso e al dettaglio. Tuttavia, la produzione di gas sotto forma di estrazione rientra nell'ambito di applicazione dell'articolo 121. 8. All'esecuzione dei contratti di appalto nei settori speciali si applicano le norme di cui agli articoli 100, 105, 106, 108 e 112 8.] [1] Articolo abrogato dall'articolo 226, comma 1, del D.Lgs. 31 marzo 2023, n. 36, con efficacia a decorrere dal 1° luglio 2023, come stabilito dall'articolo 229, comma 2. Per le disposizioni transitorie vedi l'articolo 225 D.Lgs. 36/2023 medesimo. [2] Così rettificato con Comunicato 15 luglio 2016 (in Gazz. Uff., 15 luglio 2016, n. 164). [3] Comma modificato o dall'articolo 78, comma 1, lettera a), del DLgs. 19 aprile 2017, n. 56. [4] Così rettificato con Comunicato 15 luglio 2016 (in Gazz. Uff., 15 luglio 2016, n. 164). [5] Comma abrogato dall'articolo 78, comma 1, lettera b), del DLgs. 19 aprile 2017, n. 56. [6] Così rettificato con Comunicato 15 luglio 2016 (in Gazz. Uff., 15 luglio 2016, n. 164). [7] Comma modificato o dall'articolo 78, comma 1, lettera c), del DLgs. 19 aprile 2017, n. 56. [8] Così rettificato con Comunicato 15 luglio 2016 (in Gazz. Uff., 15 luglio 2016, n. 164). InquadramentoLa disciplina in tema di appalti pubblici adottata a livello Europeo è stata caratterizzata, sin dalle origini, da una sostanziale bipartizione. Da un lato, infatti, vi è la disciplina generale relativa ai contratti di competenza delle amministrazioni aggiudicatrici; dall'altro, vi è quella relativa ai soggetti operanti in specifici settori di attività (acqua, trasporti, energia, ai quali, in un momento successivo e sino al 1998, fu aggiunto anche quello delle telecomunicazioni, e dal 2004 quello dei servizi postali – c.d. settori speciali). Si tratta di settori tradizionalmente ricompresi dagli Stati membri nella categoria dei «servizi pubblici», in quanto comprensivi di beni considerati di utilità sociale o comunque necessari per il progressivo benessere dei consociati (De Nictolis, 1764). Questi settori – in un primo tempo sottratti all'applicazione delle direttive generali in tema di affidamento di contratti pubblici di lavori, forniture e servizi (sì da essere inizialmente qualificati come settori esclusi) – sono stati, per la prima volta, oggetto di una regolamentazione ad hoc con la Direttiva 1990/531/CEE. A partire dagli anni novanta del secolo scorso, infatti, la disciplina comunitaria ha gradualmente assoggettato anche tali settori a procedure di evidenza pubblica, dettando, tuttavia, disposizioni dedicate, in ragione della peculiarità degli stessi e della natura dei soggetti che in essi operavano. L'iniziale scelta di esonerare specifici settori di attività dall'applicazione della disciplina Europea era riconducibile alla necessità di evitare che, nell'applicazione delle norme Europee all'interno dei diversi Stati membri, si realizzassero asimmetrie e sperequazioni legate essenzialmente ad un duplice ordine di circostanze. Da un lato, alla portata sul piano soggettivo della disciplina generale in tema di appalti, alla cui applicazione erano tenute solo le pubbliche amministrazioni: nella Direttiva 1971/305/CEE in materia di lavori, così come nella direttiva 1977/62/CEE in tema di forniture, erano state infatti tenute in considerazione solo le amministrazioni pubbliche (Stato ed enti territoriali), mentre solo in un momento successivo (Direttiva 1989/440/CEE) fu presa in considerazione anche la figura dell'organismo di diritto pubblico. Dall'altro, alla diversità dei modelli organizzativi adottati dai diversi Stati membri per assicurare l'erogazione dei servizi di pubblica utilità, in taluni paesi, affidati a pubbliche amministrazioni, in altri, invece, a soggetti che, pur gravati da un munus pubblicistico, erano, tuttavia, organizzati secondo moduli privatistici (Galli, Cavina, I settori speciali, 1026). In questo contesto, la disciplina generale, riferibile alle sole amministrazioni, avrebbe dovuto trovare applicazione soltanto in alcuni paesi e non negli altri. Di qui, l'iniziale scelta di escludere determinati settori di attività dalla sfera di operatività della direttiva generale (con riserva di prevedere in un momento successivo una disciplina specifica). Caratteristica comune a questi settori è il loro carattere chiuso – non esposto, cioè, ad un regime di concorrenza – atteso che per potervi operare è necessaria la titolarità di diritti speciali o di esclusiva. Ed è proprio il carattere chiuso di tali settori ad imporre la sottoposizione dei soggetti che vi operano a regole pubblicistiche dirette a garantire corrette dinamiche concorrenziali, ai fini della scelta dei propri contraenti. In altri termini, il presupposto è che gli operatori svolgano la propria attività in regime di esclusiva senza essere stati sottoposti ad alcun confronto concorrenziale. E il difetto di ogni forma di concorrenza a monte (per la scelta del gestore) rende necessario che la stessa venga recuperata a valle, con l'imposizione a questi operatori dell'obbligo di scegliere i propri contraenti mediante procedure di gara. Al contempo, tuttavia, una volta che il settore sia stato aperto alla concorrenza, viene meno la ragione perché esso rientri nella disciplina sui settori speciali (cfr. art. 8 del Codice). Di qui, la mutevolezza, nel corso degli anni, dei confini stessi della disciplina sui settori speciali, definiti infatti «a geometria variabile» (Protto, 548). Come si vedrà (infra, par. 6), nel Codice del 2016, la disciplina sui settori speciali è principalmente (ma non esclusivamente) contenuta nel Capo I, del Titolo VI, della Parte II (artt. da 114 a 139), che si apre con l'art. 114 in commento, dedicato all'ambito di applicazione della disciplina (commi da 2 a 7) e alla espressa individuazione di (alcune) norme applicabili ai settori speciali (commi 1 e 8). Principali differenze con la disciplina sui settori ordinari.In ragione delle caratteristiche sintetizzate al precedente par. 1, la disciplina sui settori speciali presenta elementi di differenziazione da quella sui settori ordinari. In primo luogo, ha un ambito di applicazione maggiormente ampio dal punto di vista soggettivo: essa si applica, infatti, agli enti aggiudicatori, nozione nella quale sono ricompresi, oltre alle amministrazioni aggiudicatrici, anche imprese pubbliche e soggetti privati che operano in virtù di diritti speciali o esclusivi (v. art. 3, comma 1, lett. e), del Codice). In sostanza, al fine di superare il rischio già evidenziato di un'applicazione non omogenea del diritto Europeo all'interno dei diversi Stati membri in ragione della diversa natura giuridica dei soggetti gestori, la disciplina sui settori speciali non poteva che prendere trasversalmente in considerazione sia soggetti pubblici che soggetti privati (sempre sul presupposto della titolarità tanto degli uni quanto degli altri di diritti speciali o di esclusiva). Peraltro, alla diversa qualificazione giuridica di un ente aggiudicatore, quale amministrazione aggiudicatrice ovvero quale impresa pubblica e/o soggetto privato operante in virtù di diritti speciali o di esclusiva corrisponde, sotto più profili, una differenziazione nel regime giuridico applicabile (è il caso, ad esempio, della disciplina per i contratti sotto soglia – v. art. 36, comma 8, del Codice). L'ambito di applicazione è, invece, più ridotto dal punto di vista oggettivo, in quanto presuppone che l'ente operi in uno degli specifici settori di attività presi in considerazione dalla disciplina (artt. da 115 a 121) e che l'appalto sia funzionale allo svolgimento di attività in uno di tali settori speciali. In sostanza, perché possa trovare applicazione la disciplina sui settori speciali, il contratto deve essere funzionale allo svolgimento di attività nel settore nel quale opera il soggetto gestore (cfr. infra, par. 5.2). Per quelli non funzionali, invece, la disciplina in concreto applicabile è legata alla natura giuridica dell'ente aggiudicatore. Qualora, questo sia qualificabile come impresa pubblica o soggetto privato e dunque, per le sue caratteristiche soggettive, non possa essere ricondotto nell'ambito di applicazione della disciplina generale sui settori ordinari (in quanto non riconducibile nella nozione di amministrazione aggiudicatrice), il contratto deve intendersi sottratto tout court all'applicazione della disciplina pubblicistica in materia (in tal caso, difetterebbero, infatti, sia l'elemento oggettivo della strumentalità o funzionalità rispetto allo scopo istituzionale dell'ente aggiudicatore, il che esclude l'applicazione della disciplina in tema di settori speciali; sia quello soggettivo, necessario perché il soggetto possa essere ricondotto nell'ambito delle c.d. amministrazioni aggiudicatrici e quindi sottoposto alla disciplina generale sui settori ordinari). Qualora, invece, l'ente aggiudicatore sia un'amministrazione aggiudicatrice, dovrà trovare applicazione la disciplina generale: infatti, se, per un verso, non sussisterebbero le condizioni per l'applicazione della disciplina sui settori speciali, le caratteristiche soggettive del committente ne determinerebbero l'attrazione nella disciplina sui settori ordinari (Cons. St., Ad. plen. n. 16/2011). Le medesime considerazioni debbono valere anche con riferimento alla disciplina applicabile in tema di concessioni che, per la prima volta, ha trovato compiuta regolamentazione a livello Europeo (v. il commento all'art. 164). In secondo luogo, quale ulteriore elemento di differenziazione, gli enti che operano nei settori speciali beneficiano tradizionalmente di ambiti di flessibilità più ampi rispetto a quanto previsto per i settori ordinari: inizialmente, tra gli istituti indice di tale flessibilità vi era la possibilità di ricorrere agli accordi quadro ed ai sistemi di qualificazione, quella di indire una gara sulla base di un avviso periodico indicativo e di indire la procedura negoziata preceduta da forme di pubblicità quale opzione ordinaria, del tutto alternativa ed equivalente alle procedure aperte e ristrette. Il che si giustificava con la consapevolezza della difficile praticabilità di soluzioni tese ad imporre, anche a soggetti operanti nelle forme del diritto privato ed esercenti la propria attività secondo canoni imprenditoriali, norme e vincoli concepiti essenzialmente per disciplinare l'attività di pubbliche amministrazioni in senso stretto. Nel corso degli anni, a dire il vero, questo carattere di specialità si è andato, in parte, attenuando, sotto l'impulso di scelte effettuate a livello sia Europeo che nazionale, le quali, pur muovendo da approcci diversi hanno prodotto l'effetto convergente di un avvicinamento delle discipline. Quanto alla disciplina sovrannazionale, l'obiettivo di semplificazione e snellimento delle procedure ha fatto sì che istituti inizialmente previsti per i settori speciali fossero poi riproposti anche nella disciplina generale (è il caso, ad esempio, dell'accordo quadro e della possibilità di indizione di una gara, in alternativa al bando, mediante la pubblicazione di un avviso di pre-informazione). In sede nazionale, il percorso di tendenziale elisione degli elementi di differenziazione ha subìto un percorso inverso, essendo prevalsa in taluni casi la tentazione di estendere anche ai settori speciali disposizioni e vincoli concepiti essenzialmente per i settori ordinari (è il caso, ad esempio, della scelta effettuata già nel d.lgs. n. 163/2006 di imporre la stessa disciplina in tema di requisiti soggettivi degli operatori prevista nei settori ordinari). Sotto questo profilo, la disciplina adottata con il Codice del 2016 sembrerebbe maggiormente equilibrata, riconoscendo, in linea di massima, gli stessi margini di flessibilità riconosciuti dalla direttiva, pur con l'introduzione, tanto per i settori ordinari che per quelli speciali, di alcuni vincoli non previsti dalla disciplina dell'Unione Europea: è il caso, ad esempio, delle disposizioni in tema di trasparenza e pubblicità (artt. 29 e 79), delle norme sul dibattito pubblico (art. 22), ed infine delle norme, applicabili alle sole amministrazioni aggiudicatrici operanti nell'ambito dei settori speciali (e non anche ad imprese pubbliche e soggetti privati), sulle modalità di nomina della commissione giudicatrice «esterna» (art. 77), peraltro allo stato rimaste ancora inattuate. Nel parere reso sullo schema di codice, il Consiglio di Stato aveva ritenuto che tale scelta dovesse trovare giustificazione nei principi della legge delega che, con specifico ai settori speciali, poneva l'obiettivo della trasparenza e della piena apertura e contendibilità dei mercati. E, secondo il Consiglio di Stato, sarebbe proprio la necessità di perseguire tale obiettivo a giustificare l'estensione delle disposizioni suindicate che si configurano non come oneri amministrativi superflui, ma come regole proconcorrenziali ovvero come «strumenti di partecipazione democratica delle collettività locali alle scelte di localizzazione delle opere pubbliche ivi comprese quelle dei settori speciali quali reti ferroviarie, porti e aeroporti» (parere Cons. St. n. 855/2016). Risponde a valutazioni adottate in sede nazionale l'estensione in via cogente anche ad imprese pubbliche e soggetti privati operanti in virtù di diritti speciali o esclusivi della disciplina in tema di requisiti di ordine generale prevista per i settori ordinari (art. 80 del Codice), la cui applicazione ai sensi della Direttiva 2014/25/UE (art. 80), assume invece carattere di facoltatività. Non risponde, poi, ad indicazioni della disciplina sovrannazionale, neanche la scelta di estendere anche ai settori speciali l'applicazione di modalità predefinite per l'individuazione della soglia al raggiungimento della quale un'offerta deve essere automaticamente considerata sospetta di anomalia (art. 97), sulla cui opportunità il Consiglio di Stato aveva sollecitato un supplemento di riflessione (cfr. parere Cons. St., n. 855/2016). Si tratta infatti di un elemento di novità rispetto alla disciplina previgente sui settori speciali in cui, sin dal d.lgs. n. 158/1995, la definizione della soglia di anomalia – a differenza di quanto previsto per i settori ordinari – sfuggiva a criteri di individuazione predeterminati. Per il resto, la flessibilità all'attività negoziale dei soggetti operanti nei settori speciali è assicurata, tra l'altro, dal carattere non cogente delle norme in tema di requisiti aventi natura economico-finanziaria e tecnico-professionale previste per i settori ordinari; dalla regolazione della fase di esecuzione dei contratti con limitato riguardo alle norme (subappalto, risoluzioni e varianti) che costituivano recepimento delle pertinenti disposizioni contenute nella Direttiva 2014/25/UE; dalla particolare disciplina prevista per gli affidamenti sotto soglia (cfr. art. 36, comma 8). Proprio sul piano delle soglie di applicazione del diritto Europeo, permane una parziale differenziazione tra settori ordinari e settori speciali. Per questi ultimi, infatti, alcune soglie sono più elevate: – Euro 428.000,00 (in luogo dei 214.000,00 Euro per i settori ordinari), per quanto concerne i servizi e le forniture; – Euro 1.000.000,00 (in luogo dei 750.000,00 per i settori ordinari), in relazione ai servizi sociali e agli altri servizi specifici di cui all'allegato IX al Codice. Analoga è invece la soglia dei lavori, pari ad Euro 5.350.000,00. Come noto, si tratta di valori dinamici, posto che l'importo delle soglie viene ridefinito con cadenza biennale da appositi regolamenti UE. Ambito di applicazione: considerazioni preliminariCome sinteticamente anticipato, la definizione dell'ambito di applicazione della disciplina sui settori speciali ha luogo sulla base di più parametri, soggettivi e oggettivi. Il soggetto che procede all'affidamento deve rientrare nel novero degli enti aggiudicatori presi in considerazione dall'art. 3, comma 1, lett. e), del Codice. Dal punto di vista oggettivo, è poi necessaria la presenza di un triplice concorrente ordine di condizioni: 1) l'ente aggiudicatore deve operare in uno dei settori di attività indicati agli artt. da 115 a 121 del Codice; 2) l'ente aggiudicatore deve affidare un contratto di appalto di lavori, forniture e/o servizi o di concessione (a loro volta ricompresi nella sfera di operatività della disciplina in tema di contratti pubblici); 3) il contratto (l'appalto o la concessione) deve essere affidato per l'esercizio di attività in uno dei settori suindicati. Si tratta del c.d. nesso di strumentalità (v. artt. 10 e 14 del Codice), su cui si tornerà infra (par. 5.2). In sostanza, in base a quanto stabilito dalla sentenza dell'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato 1° agosto 2011, n. 16, per determinare se l'affidamento di un appalto sia assoggettato alla disciplina dei settori speciali occorre sia un presupposto soggettivo (l'affidante deve essere un ente operante nei settori speciali) sia un presupposto oggettivo (l'appalto deve essere strumentale all'attività speciale) (Cons. St., V, n. 590/2018). Ulteriore condizione è che l'appalto non venga aggiudicato per l'esercizio in un paese terzo di attività in uno dei settori «speciali» in circostanze che non comportino lo sfruttamento materiale di una rete o di un'area geografica all'interno dell'Unione Europea ovvero non riguardi concorsi di progettazione organizzati a tali fini, sempreché non siano stati stipulati accordi (bilaterali, multilaterale o multibilaterali) tra Unione Europea e paesi terzi, diretti ad estendere l'applicazione della disciplina Europea (art. 14 del Codice). La disciplina dei settori ordinari è quella di portata generale, mentre quella dei settori speciali ha portata eccezionale ed è, pertanto, applicabile soltanto nei casi espressamente previsti, senza possibilità di un'interpretazione estensiva e senza alcuno spazio per l'approccio ermeneutico denominato teoria del contagio di cui alla sentenza Mannesmann (T.A.R. Liguria, II, n. 882/2015). Ambito soggettivoLe disposizioni sui settori speciali «si applicano agli enti aggiudicatori che sono amministrazioni aggiudicatrici o imprese pubbliche che svolgono una delle attività previste dagli artt. da 115 a 121; si applicano altresì a tutti i soggetti che pur non essendo amministrazioni aggiudicatrici o imprese pubbliche, annoverano tra le loro attività una o più attività tra quelle previste dagli artt. da 115 a 121 ed operano in virtù di diritti speciali o esclusivi» (art. 114, comma 2). Come si è accennato, dunque, il primo presupposto per l'operatività della disciplina sui settori speciali è di natura soggettiva: la stazione appaltante che procede all'affidamento deve rientrare nel novero degli enti aggiudicatori presi in considerazione dall'art. 3, comma 1, lett. e), del Codice. Rientrano in tale nozione: a) le amministrazioni aggiudicatrici ex art. 3, lett. a), del Codice (amministrazioni dello Stato, enti pubblici territoriali, enti pubblici non economici, organismi di diritto pubblico, associazioni, unioni, consorzi comunque denominati, costituiti da detti soggetti); b) le imprese pubbliche ex art. 3, lett. t) (le imprese su cui le amministrazioni aggiudicatrici possono esercitare direttamente o indirettamente un'influenza dominante perché ne sono proprietarie, perché vi hanno partecipazione finanziaria o in virtù delle norme che le disciplinano); c) i soggetti privati operanti in virtù di diritti speciali o di esclusiva (sono tali i diritti costituiti per legge, regolamento o in virtù di una concessione o altro provvedimento amministrativo avente l'effetto di riservare a uno o più soggetti l'esercizio di un'attività nei settori di cui agli artt. da 115 a 121 e di incidere sostanzialmente sulla capacità di altri soggetti di esercitare tale attività; v. anche, art. 114, comma 3). Questa nozione di diritti speciali ed esclusivi mira ad estendere, come evidenziato, l'applicazione della disciplina sui contratti pubblici a soggetti che a vario titolo operano su mercati sostanzialmente chiusi alla concorrenza, o beneficino di un vantaggio concorrenziale. La presenza di diritti speciali o esclusivi è integrata, cioè, dall'attitudine di tali diritti ad incidere sulla capacità di altri soggetti ad esercitare la medesima attività (con effetti escludenti, precludendone cioè lo svolgimento: «diritto esclusivo»; ovvero con effetti «discriminatori», agevolando taluni soggetti al materiale esercizio delle attività, a discapito di altri: «diritto speciale»). Non sussistono, invece, diritti speciali ed esclusivi nel caso in cui tale posizione di vantaggio sia stata concessa sulla base di criteri oggettivi, proporzionati e non discriminatori. Infatti, per espressa indicazione normativa (art. 3, comma 1, lett. e), punto 2.3, e art. 114, comma 4, del Codice), non può essere considerato come operante in virtù di diritti speciali od esclusivi il soggetto privato cui detti diritti siano stati conferiti mediante procedura di gara preceduta da idonee forme di pubblicità e gestita sulla base di criteri obiettivi. Il che esclude, in sostanza, che un privato che, ad esempio, abbia ottenuto l'aggiudicazione di un dato servizio in una data area geografica, superando la concorrenza di altri operatori, possa rientrare nel novero dei c.d. enti aggiudicatori e pertanto essere tenuto all'applicazione della disciplina pubblicistica per la scelta dei propri contraenti. Precisazione, nella sostanza, analoga è contenuta nelle direttive UE nn. 23 e 25 del 2014. Altra questione è se invece la dequalificazione da ente aggiudicatore, nel caso in cui il diritto speciale o di esclusiva sia stato ottenuto in regime di confronto concorrenziale, sia limitata ai soli soggetti privati ovvero debba essere riferita anche agli altri soggetti tenuti all'applicazione della disciplina sui settori speciali. In tema di contratti pubblici, infatti, la disciplina Europea prende in considerazione le imprese pubbliche solo nell'ambito della regolamentazione sui settori speciali e non già in quanto tali, ma solo in quanto operanti in virtù di diritti speciali o esclusivi. Da un lato, infatti, il riferimento espresso ai soli soggetti privati potrebbe costituire indicazione univoca. Dall'altro, è pur vero però che la titolarità di diritti speciali o esclusivi è prerogativa indefettibile di tutti i soggetti che operano nei settori speciali che, appunto, sono presi in considerazione dalla disciplina proprio in ragione della loro posizione di vantaggio, corollario necessitato del carattere chiuso di tali settori (considerando n. 1, ultimo periodo, della Direttiva 2014/25/UE; v., anche, comunicazione Commissione Europea n. 143/1998, Libro Bianco sugli appalti pubblici nell'Unione Europea). Limitare l'esenzione di cui trattasi solo ai privati senza che la stessa possa essere riferita, ad esempio, anche alle imprese pubbliche ove le stesse si siano sottoposte ad un preventivo confronto concorrenziale integrerebbe una differenza nel regime giuridico non giustificabile anche alla luce dell'art. 345 TFUE che, come noto, considera, in linea di principio, irrilevante la forma giuridica ai fini della disciplina applicabile. Un'eventuale diversa soluzione, d'altro canto, determinerebbe un'asimmetria concorrenziale tra soggetti privati e imprese pubbliche laddove solo le seconde fossero tenute a rispettare i vincoli della disciplina pubblicistica, talora inconciliabili con necessità e tempi di esecuzione del contratto oggetto di aggiudicazione. Ambito oggettivoConsiderazioni generali In linea generale, la disciplina sui settori speciali opera in relazione agli specifici ambiti presi in considerazione dagli artt. da 115 a 121 del Codice. Si tratta in particolare di quelli inerenti a gas ed energia termica (art. 115), elettricità (art. 116), acqua (art. 117), trasporti (art. 118), servizi postali (art. 120), sfruttamento di area geografica per porti e aeroporti (art. 119) e per estrazione di gas e prospezione o estrazione di carbone o di altri combustibili solidi (art. 121). Non è sufficiente che l'ente aggiudicatore svolga genericamente una attività nell'ambito del settore speciale, ma è necessario che svolga le specifiche attività prese analiticamente in considerazione dalle succitate disposizioni. Per l'esatta delimitazione di ciascuno di tali settori, si rinvia quindi ai commenti dei relativi articoli. Sul piano oggettivo, per l'applicazione della disciplina sui settori speciali è quindi innanzitutto necessario che il contratto (l'appalto o la concessione) sia affidato dall'ente aggiudicatore operante in uno degli specifici settori identificati dalla normativa Europea e nazionale come settore speciale. Il nesso di strumentalità e i contratti estranei Si è già detto che sul piano oggettivo, ulteriore condizione affinché l'affidamento sia ricompreso nell'ambito di applicazione della disciplina sui settori speciali è che esso venga effettuato dal committente per lo svolgimento di attività prese in esame dalla disciplina sui settori speciali. Deve cioè ricorrere il c.d. nesso di strumentalità (cfr. artt. 14 e 114 del Codice). Perché la disciplina in esame possa trovare applicazione, quindi, non è sufficiente che il committente rientri nel novero degli enti aggiudicatori e che operi in uno dei settori di attività indicati dalla disciplina, ma anche che l'appalto sia aggiudicato in relazione e per l'esercizio di attività nei settori presi in considerazione dalla disciplina Europea (v. Corte giust. CE, 10 aprile 2008, C-393/06). I contratti destinati a scopi estranei alle finalità istituzionali degli enti aggiudicatori, debbono intendersi, alternativamente: a) sottratti tout court alla disciplina pubblicistica in tema di affidamento di contratti, nel solo caso in cui il committente non sia, in ragione delle sue caratteristiche soggettive, neanche riconducibile nel novero dei soggetti tenuti all'applicazione della disciplina relativa ai settori ordinari (non sia cioè qualificabile quale amministrazione aggiudicatrice); difatti, in tal caso, l'affidamento non rientrerebbe nell'ambito di applicazione della disciplina in tema di settori speciali per le sue caratteristiche «oggettive», mancando il necessario vincolo di strumentalità rispetto alle attività istituzionali del soggetto aggiudicatore; né in quella relativa ai settori ordinari, non essendo il soggetto procedente riconducibile in alcuna delle categorie delle amministrazioni aggiudicatrici (e in particolare in quella di organismo di diritto pubblico, su cui si tornerà infra, par. 7.1); b) assoggettati alla disciplina relativa ai settori ordinari ove, in virtù delle sue caratteristiche soggettive, il committente sia, invece, inquadrabile nel novero delle amministrazioni aggiudicatrici. In questo caso, infatti, all'assenza dell'elemento oggettivo (vale a dire, l'evidenziato nesso di strumentalità tra contratti e attività istituzionali), che, di per sé, esclude l'applicabilità della disciplina sui settori speciali, si contrappone la riconducibilità del committente nella sfera soggettiva di operatività della disciplina generale (v. sul tema, Cons. St., Ad. plen., n. 16/2011; per una lettura diversa, ancorché non condivisa dalla giurisprudenza Europea e nazionale, v. infra par. 8). La definizione degli scopi diversi rispetto all'attività propria degli enti aggiudicatori è desumibile dalla descrizione delle attività contenuta negli artt. da 115 a 121 del Codice, cui si rinvia. Invero, rispetto alla impostazione sopradescritta, la struttura e le disposizioni del nuovo Codice potrebbero sollevare alcuni dubbi. Infatti, da un lato, l'art. 14 del Codice – in linea con il previgente art. 217, d.lgs. n. 163/2006 – stabilisce che «le disposizioni del presente codice non si applicano agli appalti aggiudicati dagli enti aggiudicatori per scopi diversi dal perseguimento delle attività di cui agli artt. da 115 a 121»; dall'altro, lo stesso art. 14 è però collocato all'interno del Titolo II, relativo ai «contratti in tutto o in parti esclusi dall'ambito di applicazione del codice», per i quali è stabilito che «l'affidamento dei contratti aventi per oggetto lavori, servizi e forniture, esclusi, in tutto o in parte, dall'ambito di applicazione oggettiva del presente codice, avviene nel rispetto dei principi di economicità, efficacia, imparzialità, parità di trattamento, trasparenza, proporzionalità, pubblicità, tutela dell'ambiente ed efficienza energetica» (art. 4). Di qui, due possibili connessi effetti sul piano interpretativo. In primo luogo, l'art. 14, escludendo per gli appalti non strumentali l'applicazione delle disposizioni del «presente codice» (e facendo riferimento indistintamente a tutti gli «enti aggiudicatori»), potrebbe legittimare l'interpretazione letterale secondo cui tutti i contratti non strumentali, ivi compresi quelli delle amministrazioni aggiudicatrici, debbano essere sempre sottratti alla disciplina pubblicistica. In secondo luogo, la circostanza che l'art. 14 sia collocato nel titolo dedicato ai contratti esclusi in tutto o in parte dall'ambito di applicazione del Codice dovrebbe condurre alla conclusione che anche quelli affidati da imprese pubbliche o soggetti privati titolari di diritti speciali o esclusivi per finalità diverse da quelle proprie dei settori speciali debbano in ogni caso soggiacere ai principi enunciati all'art. 4 del Codice. Paradossale effetto di tale interpretazione, sarebbe che, sul piano oggettivo, i contratti non funzionali (in quanto «esclusi dall'ambito di applicazione del codice») affidati da amministrazioni aggiudicatrici non sarebbero soggetti alla disciplina sui settori ordinari, ma dovrebbero essere affidati nel solo rispetto dei principi previsti all'art. 4 (e, dunque, economicità, efficacia, imparzialità, pubblicità, ecc.); i contratti non funzionali affidati da imprese pubbliche o soggetti privati titolari di diritti speciali o esclusivi non sarebbero più «estranei» (e quindi affidabili iure privatorum), ma semplicemente esclusi sotto il profilo oggettivo. In altri termini, sarebbero soggetti al rispetto dei principi generali in tema di contratti pubblici. Si realizzerebbe così un duplice effetto: da un lato, verrebbe drasticamente attenuato il regime giuridico applicabile alle amministrazioni aggiudicatrici; dall'altro, vi sarebbe un irrigidimento per le imprese pubbliche e i soggetti privati i quali non sarebbero più del tutto svincolati dall'osservanza delle disposizioni e dei principi generali del Codice. Si tratta, quindi, di una soluzione interpretativa che reca in sé alcune contraddizioni che ne evidenziano l'insostenibilità. In primo luogo, quanto alle amministrazioni aggiudicatrici, la soluzione prospettata risulta, nella sostanza, del tutto improponibile, indipendentemente dal settore di attività, essendo in contrasto con la disciplina Europea che ricomprende sempre le amministrazioni aggiudicatrici nell'ambito di applicazione della disciplina pubblicistica; con la conseguenza che, in virtù dei principi generali, tra i quali quello dell'effetto utile, il contrasto tra norma Europea e norma interna va risolto a favore della prima con la disapplicazione della seconda. Inoltre, l'irrigidimento del regime che deriverebbe per imprese pubbliche e soggetti privati – che, secondo questa interpretazione, verrebbero chiamati ad applicare i principi della disciplina pubblicistica ancorché ai fini dello specifico affidamento non possano rientrare neanche nell'ambito della nozione di stazione appaltante – integrerebbe un aggravio del tutto ingiustificato in contrasto con il divieto di gold plating previsto anche dalla legge delega n. 11/2016. In realtà, i dubbi interpretativi legati alla formulazione dell'art. 14 (riproduttivo dell'art. 19, Direttiva 2014/25/UE) sembrano riconducibili ad un difetto di coordinamento sul piano redazionale della disciplina nazionale con quella Europea, posto che nella prima è stata riproposta la stessa formulazione contenuta nella Direttiva UE senza tenere conto del carattere omnicomprensivo del Codice (che recepisce non solo la Direttiva n. 25 ma anche la n. 24 e la n. 23). In sostanza, altro è l'esclusione disposta a livello Europeo dalla direttiva sui settori speciali limitatamente al proprio ambito di applicazione (cfr. art. 19, Direttiva 2014/25/UE); altro è l'erronea e pedissequa trasposizione dell'art. 19 della direttiva in un provvedimento (il d.lgs. n. 50/2016) che ha un ambito di applicazione totalizzante in quanto riferito tanto ai settori ordinari che a quelli speciali. Sotto altro aspetto, con il Codice del 2016, l'individuazione della disciplina applicabile, nel caso di contratti non funzionali, dovrebbe essere resa maggiormente agevole rispetto all'impostazione del d.lgs. n. 163/2006. Questo, infatti, aveva operato un tendenziale allineamento tra i soggetti vincolati alla disciplina sui settori ordinari e quelli tenuti all'applicazione della disciplina sui settori speciali. Difatti, tra i soggetti tenuti ad applicare la disciplina sui settori ordinari, all'art. 32, comma 1, lett. c), del d.lgs. n. 163/2006 erano inserite anche «le società a capitale pubblico diverse dall'organismo di diritto pubblico aventi ad oggetto della loro attività la realizzazione di lavori od opere ovvero la produzione di beni e servizi, non destinati ad essere collocati sul mercato in regime di concorrenza». Si tratta di una figura di cui non erano sempre chiari i caratteri distintivi rispetto all'organismo di diritto pubblico, ma che, soprattutto, si poneva in un rapporto di species ad genus rispetto all'impresa pubblica. Il che, nella pratica, nel caso di contratti non funzionali, comportava il rischio di un'attrazione delle imprese pubbliche nella categoria di cui al citato art. 32, d.lgs. n. 163/2006 e conseguentemente nell'ambito della più vincolistica disciplina generale. Si trattava, peraltro, di un elemento di differenziazione dal diritto Europeo che, nella disciplina sui settori tradizionali, non faceva e non fa riferimento a tale figura, ora espunta – nel rispetto del divieto di gold plating – dal novero dei soggetti tenuti ad applicare la disciplina sui settori ordinari (art. 1 del Codice). La valutazione relativa al carattere funzionale o meno di un determinato affidamento alle finalità istituzionali dell'ente aggiudicatore o meno è stata oggetto di interpretazioni, nella prassi, non sempre uniformi da parte dei committenti. Si registra, infatti, una tendenza verso soluzioni diverse a seconda della natura del soggetto aggiudicatore. Ove questo sia riconducibile nella sfera di applicazione della disciplina generale in tema di contratti pubblici (in quanto amministrazione aggiudicatrice), vi può essere la tentazione ad un'estensione del concetto di funzionalità dell'appalto, atteso che ciò consentirebbe l'applicazione della disciplina meno vincolistica prevista per i settori speciali; mentre, per le imprese pubbliche e soggetti privati si mira ad una lettura restrittiva del concetto di funzionalità per gestire l'affidamento con modalità tout court privatistiche. Il concetto di strumentalità, infatti, è, in teoria, suscettibile di distinte letture. Da un lato, esso si presta ad essere interpretato in una logica estensiva tesa ad attrarre in tale concetto tutte le tipologie di affidamento affidate dal soggetto operante nel settore speciale sul presupposto che qualsiasi contratto sia idoneo a produrre una qualche utilità ai fini dello svolgimento delle attività nello specifico settore speciale. Il che induce a ritenere che un soggetto, per così dire, monofunzionale (che svolga, cioè, la propria attività, in via esclusiva, in uno dei settori speciali) sarà sempre tenuto ad applicare la disciplina sui settori speciali per qualsiasi tipo di affidamento, automaticamente considerato strumentale, senza considerare una stretta o più blanda connessione dell'affidamento con le finalità istituzionali dell'ente procedente. Diverso è il caso di un soggetto multifunzionale che operi anche nei settori ordinari che, in tal caso e con riferimento a queste ultime attività, sarà tenuto applicare la disciplina sui settori ordinari solo se rientrante nel novero delle amministrazioni aggiudicatrici. Dall'altro, ed è questa la posizione adottata dalla giurisprudenza Europea e nazionale, il concetto di strumentalità è stato interpretato in termini restrittivi: il che se, da un lato, vale ad escludere che un dato affidamento debba considerarsi automaticamente strumentale alle attività nel settore speciale; dall'altro impone che l'esistenza del nesso di funzionalità vada esaminato caso per caso, tenendo, anche conto, al fine di tale valutazione, dell'elemento rappresentato dall'assenza, per gli operatori economici, di un mercato di riferimento al di fuori del settore speciale (Cons. St., Ad. plen. n. 16/2011). Segue. Il nesso di strumentalità nelle posizioni assunte dalla giurisprudenza Anche in giurisprudenza, nella valutazione caso per caso dell'eventuale sussistenza del nesso di strumentalità, si è assistito a posizioni non sempre univoche. Così ad esempio, l'appalto bandito da ENI Servizi SpA per conto di ENI SpA e avente ad oggetto il servizio di vigilanza degli uffici amministrativi della società non può rientrare nell'ambito di applicazione della disciplina sui settori speciali; questa, infatti, non è attività esclusiva del settore di estrazione del gas; non rientra tra le attività necessarie al fine di erogare il servizio. Diversamente, sarebbe stata applicabile la disciplina speciale qualora il servizio di vigilanza avesse riguardato, non già gli uffici amministrativi, ma le infrastrutture di rete gestite e utilizzate dall'ENI per lo svolgimento del servizio (Cons. St., Ad. plen., n. 16/2011). Analogamente, è stato considerato assente il nesso di strumentalità nel caso di un appalto avente ad oggetto i servizi di vigilanza di edifici che ospitano gli uffici amministrativi di società (nel settore elettrico ed idrico v. Cons. St., VI, n. 6820/2011; T.A.R. Lazio (Roma), II ter, n. 9844/2011). Poiché l'appalto non riguarda la vigilanza funzionale della rete energetica, non può essere considerato strumentale al settore speciale soggetto dalla disciplina dei contratti pubblici, perché più precisamente non si tratta di un servizio necessario per assicurare la continuità nella produzione ed erogazione di energia elettrica, ma destinato ad assicurare l'integrità del patrimonio aziendale dell'ente aggiudicatore nel suo complesso, attraverso la sorveglianza fisica di tutti gli asset di cui tale patrimonio si compone (Cons. St., V, n. 3215/2018). È stata negata l'esistenza di un nesso di strumentalità tra un appalto di fornitura di gasolio per il riscaldamento di vari uffici di Poste italiane e l'attività nei servizi postali svolta da quest'ultima (T.A.R. Lazio (Roma), III-ter, n. 10893/2007). Di contro, lo stesso nesso è stato invece affermato sempre con riguardo alla società Poste s.p.a., per un contratto di global service degli uffici amministrativi centrali della società, in quanto i servizi banditi riguardavano i «palazzi sede dell'amministrazione centrale della società (...), e cioè gli uffici nei quali si decide l'organizzazione del servizio postale» (T.A.R. Lazio (Roma), III-ter, n. 951/2008). In questo caso, dunque, il giudice ha affermato una nozione molto ampia di strumentalità, legata non tanto all'attività postale in sé per sé, quanto in generale all'organizzazione della società che gestisce il servizio. Il nesso di strumentalità è stato invece considerato assente nel caso di un appalto bandito da Eni servizi, società del gruppo Eni, avente ad oggetto il servizio di centro stampa; i giudici hanno sottolineato che le attività oggetto dell'appalto fossero «palesemente estranee ai settori di attività in relazione alle quali la stazione appaltante è tenuta al rispetto delle procedure di evidenza pubblica (...) stante l'obiettiva estraneità delle attività proprie di un centro stampa all'attività di ricerca, estrazione e commercializzazione di petrolio e gas» (T.A.R. Lombardia (Milano), I, n. 3191/2011). Sempre in linea con questa impostazione, invece, è stato ritenuto sussistente il nesso di strumentalità tra il servizio di «sorveglianza sanitaria» (visite mediche di revisione del personale) messo a gara da ATAC (azienda che gestisce il trasporto pubblico locale su gomma del Comune di Roma) e il settore speciale dei servizi di trasporto di cui all'art. 210 del previgente d.lgs. n. 163/2006 (T.A.R. Lazio (Roma), III-ter, n. 1778/2013). Le attività oggetto di affidamento, infatti, stante il carattere di doverosità dei controlli medici oggetto dell'appalto, si pongono in rapporto di mezzo a fine con lo svolgimento dell'attività istituzionale di trasporto di ATAC, rientrando, «sia pur indirettamente, tra gli scopi propri (core business) dello stesso». Deve intendersi ricompresa nell'ambito di applicazione della disciplina sui settori speciali la procedura per l'affidamento del servizio di pulizia delle stazioni ferroviarie (compresi i marciapiedi, le sale di attesa, i depositi bagagli, i servizi igienici, le biglietterie e i posti di polizia) (Cons. St., Ad. plen., n. 9/2004). È stata, invece, esclusa l'applicabilità della disciplina in tema di settori speciali in relazione ad un appalto bandito da Grandi Stazioni s.p.a. avente ad oggetto i lavori di recupero e adeguamento della stazione Termini di Roma: i lavori riguardavano, infatti, spazi interni della stazione «ma non relativi ad impianti inerenti la circolazione dei treni e alla manutenzione delle infrastrutture ferroviarie». Detti spazi erano gestiti dalla stazione appaltante allo scopo di sfruttarli economicamente cedendoli in locazione a terzi, e non allo scopo di fornire servizi ai viaggiatori, a nulla rilevando la connessione solo fisica ed occasionale di detti spazi con la stazione stessa (Cass., SS.UU., n. 10218/2006). Il servizio di recupero e riscossione stragiudiziale di crediti è stato considerato non funzionale agli scopi propri e tipici dell'attività «speciale» della società che gestisce il servizio idrico integrato e opera dunque nel settore dell'acqua ex art. 117 del Codice (T.A.R. Campania (Salerno), I, n. 1689/2017). È stato ritenuto strumentale l'appalto integrato di progettazione ed esecuzione dei lavori di potenziamento «land side» ed «air side» e per la realizzazione di una piattaforma logistica aeroportuale (T.A.R. Puglia (Bari), n. 1604/2008). I lavori riguardavano, infatti, l'infrastruttura aeroportuale nel suo complesso ed erano, evidentemente, finalizzati a permettere, o comunque migliorare, la messa a disposizione dell'impianto «terminale di trasporto». Deve, inoltre, applicarsi la disciplina sui settori speciali alla procedura per l'affidamento dei servizi tecnici (di direzione dei lavori, di misura e contabilità delle opere, di sorveglianza continuativa in cantiere e di coordinamento della sicurezza in fase esecutiva) in relazione ai lavori di prolungamento della pista di volo (T.A.R. Valle d'Aosta, I, n. 88/2008). Così come le attività di manutenzione di aree verdi antistanti la struttura aeroportuale, quindi corrispondenti al sedime esterno all'aerostazione (rotonde, parcheggi, aiuole, fioriere etc.), afferendo unicamente al c.d. land side, sono estranee e non funzionali al «settore speciale» di riferimento, disciplinato dall'art. 119 (Porti e aeroporti) del Codice (T.A.R. Sicilia (Palermo), III, n. 661/2019). Di contro, a conferma di posizioni non sempre coerenti della giurisprudenza, l'affidamento del servizio di pulizia della pista non «può essere oggettivamente ricondotto alle attività relative allo sfruttamento di un'area geografica ai fini della messa a disposizione di aeroporti», sulla base della considerazione che la pulizia della pista non rappresenterebbe l'attività principale di cui all'art. 213 del previgente Codice (T.A.R. Emilia-Romagna (Bologna), sez. I, 15 gennaio 2010, n. 107). La decisione non tiene, tuttavia, conto del fatto che la pista di atterraggio e decollo dell'aeroporto rappresenta sicuramente uno degli elementi necessari dell'intera infrastruttura a disposizione dei vettori aerei. Il che dovrebbe indurre a ritenere le attività relative ad una pista dell'aeroporto ricomprese nell'ambito di applicazione dell'art. 119 del Codice. I servizi di copertura assicurativa «all risks» per le attività di gestione di un aeroporto vanno considerati strumentali alle attività istituzionali del gestore (Cons. St., V, n. 4934/2013). Il servizio sarebbe, infatti, non solo coerente rispetto alle attività principali svolte dal gestore, ma addirittura necessario, «non essendo ordinariamente configurabile un servizio aeroportuale di rilievo, privo di coperture assicurative». In quanto tale, il servizio di assicurazione contro tutti i rischi derivanti dall'attività del gestore non potrebbe qualificarsi estraneo al contesto applicativo della specifica attività di messa a disposizione dell'aeroporto che comprende «ogni attività funzionalmente indirizzata ad assicurare non solo le operazioni di partenza ed arrivo dei vettori aerei, ma anche il transito e la sicurezza dei passeggeri, lo smistamento bagagli e ogni servizio complementare, non puramente accessorio ma coerente con le attività svolte». Viceversa – e a ulteriore conferma del carattere di complessità della questione e delle posizioni non sempre del tutto uniformi – l'affidamento del servizio di manutenzione correttiva ed evolutiva su applicazioni software relative a processi aziendali generali (quali, tra l'altro, acquisti, fatturazioni, vendor rating, certificazioni antimafia, tesseramenti, richiesta di tesserini), è stato considerato estraneo al settore speciale afferente la gestione di aeroporti (art. 119) o a esso solo indirettamente connesso (Cons. St., V, n. 6534/2018). I servizi di agenzia marittima e spedizioniere doganale a supporto delle attività DICS da/per i porti di Ravenna e Ancona sono stati ritenuti non strumentali rispetto all'attività principale svolta da Eni nell'area di riferimento, relativa all'estrazione di gas naturale dalle piattaforme offshore, di per sé, rientrante nei settori speciali a mente dell'art. 121 citato (Cons. St., V, n. 8905/2019). Per poter servire all'esercizio dell'attività rientrante nel settore speciale di riferimento, il nesso tra l'appalto di cui trattasi e tale settore non può essere di una natura qualunque, pena il travisamento del senso dell'art. 19, par. 1, della Ddirettiva 2014/25/UE. Infatti, non è sufficiente che i servizi oggetto di tale appalto contribuiscano positivamente alle attività dell'ente aggiudicatore e ne accrescano la redditività, al fine di poter constatare, tra detto appalto e l'attività rientrante nel settore postale, l'esistenza di un nesso, ai sensi dell'art. 13, par. 1, di tale direttiva. Occorre quindi considerare che rientrano tra le attività relative alla prestazione propria del settore speciale di riferimento tutte le attività che servono effettivamente all'esercizio di tale prestazione, consentendone la realizzazione in maniera adeguata, tenuto conto delle sue normali condizioni di esercizio, ad esclusione delle attività esercitate per fini diversi dal perseguimento dell'attività settoriale di cui trattasi. Lo stesso vale per le attività che, avendo natura complementare e trasversale, potrebbero, in altre circostanze, servire all'esercizio di altre attività non rientranti nell'ambito di applicazione della direttiva vertente sui settori speciali (Corte. giust. UE, 28 ottobre 2020, C-521/18, Poste Italiane). In questa prospettiva, è stato quindi ritenuto «difficilmente ipotizzabile che dei servizi postali possano essere forniti in maniera adeguata in assenza di servizi di portierato, reception e presidio varchi degli uffici del prestatore interessato. Tale constatazione vale tanto per gli uffici aperti agli utenti dei servizi postali e che ricevono quindi il pubblico, quanto per gli uffici utilizzati per lo svolgimento di funzioni amministrative. Infatti, come rilevato dall'avvocato generale al par. 116 delle sue conclusioni, la prestazione di servizi postali comprende anche la gestione e la pianificazione di tali servizi» (Corte giust. UE, 28 ottobre 2020, C-521/18, Poste Italiane). In sostanza, volendo tentare di ricondurre ad unitarietà le molteplici posizioni espresse dalla giurisprudenza, per l'impostazione prevalente, il nesso di strumentalità può configurarsi ove sussista un rapporto diretto tra il contratto oggetto di affidamento che deve essere essenziale per lo svolgimento delle attività istituzionali degli enti aggiudicatori (non rilevando, a tal fine un rapporto di lata e indiretta correlazione). Si deve quindi integrare un rapporto di mezzo a fine rispetto alla specifica attività svolta dall'ente aggiudicatore nel settore speciale di riferimento. Gli appalti misti (strumentali e non strumentali) Fermo restando il principio generale secondo il quale deve ritenersi precluso ogni accorpamento di più oggetti contrattuali allo scopo di sottrarre la procedura di affidamento dall'applicazione della disciplina pubblicistica di riferimento (art. 28, comma 10, ultimo periodo, del Codice), nei settori speciali, la tematica dei contratti misti, oltre a presentare profili di connessione con i settori ordinari, assume una specifica configurazione. Infatti, l'astratta applicabilità al medesimo committente di discipline distinte in ragione della diversa finalizzazione dell'appalto impone di individuare la disciplina applicabile nel caso in cui, con un unico appalto, vengano affidate prestazioni destinate ad attività diverse, che, qualora oggetto di distinte procedure, sarebbero sottoposte, ciascuna, a regimi giuridici differenziati (a seconda dei casi: alla disciplina sui settori speciali, da un lato, e quella sui settori ordinari, dall'altro; ovvero alla disciplina sui settori speciali, da un lato, e quella di diritto privato, dall'altro). In tale ottica, «ad un appalto destinato all'esercizio di più attività nei settori speciali si applicano le norme relative all'attività principale cui è destinato» (art. 28, comma 11, del Codice). Pertanto, qualora la prestazione richiesta dal committente e oggetto di un contratto di appalto sia principalmente destinata allo svolgimento di più attività, tutte ricomprese in uno dei settori speciali (si pensi al caso in cui il committente sia una società multiutilities, ovvero all'affidamento congiunto di appalti strumentali e non), non dovrebbe porsi alcun rilevante problema di ordine pratico: la disciplina di riferimento è, comunque, quella prevista per i settori speciali. Del pari, questa disciplina dovrà trovare applicazione anche nel caso in cui l'attività cui l'appalto è principalmente destinato rientri nei settori speciali; mentre dovrà trovare applicazione la disciplina relativa ai settori ordinari, nel caso in cui l'attività principale cui l'appalto è destinato non sia riconducibile nell'ambito dei settori speciali. Nel caso in cui, invece, non sia possibile individuare l'attività a cui l'appalto è principalmente destinato, è la stessa disciplina a definire i parametri necessari per l'individuazione del regime in concreto applicabile (v. art. 28, comma 12). In tale ipotesi, qualora una delle attività cui è destinato l'appalto sia regolamentata dalla disciplina sui settori ordinari e l'altra da quella relativa ai settori speciali, deve trovare applicazione la disciplina maggiormente vincolistica prevista per i settori ordinari (c.d. criterio dell'attrazione). Nel caso in cui, invece, ad una delle attività cui l'appalto è destinato sia applicabile la parte relativa ai settori speciali, mentre per l'altra parte di attività cui l'appalto è destinato non debba trovare applicazione alcuna disposizione del Codice (e quindi, in ipotesi, sia soggetta alle regole del diritto privato), l'appalto medesimo è affidato – sempre che sia oggettivamente impossibile individuare l'attività cui l'appalto è principalmente destinato – nel rispetto delle prescrizioni previste per i settori speciali (art. 28, comma 12). In sostanza, l'impostazione è chiara: nel caso in cui – basandosi sulla prevalente destinazione dell'appalto ad un'attività piuttosto che ad un'altra – non sia possibile individuare con esattezza, tra le diverse discipline in astratto applicabili, quella effettivamente riferibile alla fattispecie concreta, deve trovare applicazione quella maggiormente vincolistica. In ogni caso, come anticipato, la scelta del committente di procedere all'aggiudicazione di un unico appalto ovvero di due appalti distinti non può essere effettuata per finalità elusive, e quindi per sottrarre un determinato appalto dall'ambito di applicazione della disciplina generale ovvero di quella particolare sui settori speciali (art. 28, comma 10, ultimo periodo). Tale scelta deve peraltro tenere anche conto del favore con cui viene oggi valutata la suddivisione in lotti (v. artt. 51, comma 1, ultimo periodo, e 30, comma 7, del Codice). Anche a livello Europeo, la Direttiva 2014/25/UE riproduce nella sostanza questa impostazione (art. 6). L'esclusione delle attività direttamente esposte alla concorrenza In coerenza con l'evidenziato necessario nesso tra il carattere chiuso del settore di attività e la riconduzione dello stesso nell'ambito di applicazione della disciplina in tema di settori speciali, è riproposta anche nel nuovo Codice la procedura volta ad «esonerare» dall'ambito di applicazione del Codice i settori di attività di cui sia stata accertata l'apertura alla concorrenza e la libera accessibilità (cfr. art. 8 del Codice). In sostanza, se la imposizione di vincoli all'attività negoziale dei soggetti operanti nei settori speciali si giustifica proprio in ragione del carattere chiuso di questi ultimi e per la necessità di recuperare «a valle» il c.d. deficit di concorrenza «a monte», una volta che questi settori siano aperti alla concorrenza non vi è più ragione perché siano presi in considerazione dalla disciplina in questione (esemplificativo in questo senso è il caso delle telecomunicazioni, inizialmente ricompreso nell'ambito di applicazione della disciplina sui settori speciali e poi escluso una volta aperto alla concorrenza; v. Corte di Giustizia, 26 marzo 1996, C-392/93 e Comunicazione Commissione Ce 3 giugno 1999; così come esemplificativo è anche il caso dei trasporti aereo e marittimo, i quali essendo stati oggetto di un processo di liberalizzazione non sono mai stati presi in considerazione dalla disciplina sui settori speciali). Al pari di quanto era stabilito dall'art. 219, d.lgs. n. 163/2006, per verificare se un'attività è direttamente esposta alla concorrenza vengono assunti a riferimento criteri conformi alle disposizioni del Trattato in materia di concorrenza: le caratteristiche dei beni o dei servizi interessati; l'esistenza di beni o servizi alternativi; i prezzi e la presenza effettiva o potenziale di più fornitori dei beni o servizi in questione (art. 8, comma 2). Un mercato è considerato liberamente accessibile quando trovano attuazione e applicazione le disposizioni della legislazione Europea in tema di liberalizzazione indicate nell'allegato VI al Codice (ad esempio, in tema di trasporto o distribuzione di gas o di energia termica, la Direttiva 88/30/CE; in tema di produzione, trasporto o distribuzione di elettricità la Direttiva 96/62/CE). La presenza delle condizioni surrichiamate consente di presumere che nel mercato vi sia un regime di concorrenza. Qualora, tuttavia, non sia possibile presumere il carattere aperto del mercato, ai fini dell'esonero, sarà necessario dimostrare l'esistenza di una situazione di concorrenza non solo di diritto ma anche di fatto. Ai fini di poter ottenere l'esonero di un'attività, è previsto che il Presidente del Consiglio dei Ministri, di concerto con il Ministro competente per settore, formuli una richiesta in tal senso alla Commissione Europea, allegando, se del caso, anche le determinazioni assunte in merito dalle Autorità indipendenti competenti (art. 8, comma 6). La richiesta di esenzione può inoltre essere avanzata direttamente da un ente aggiudicatore qualora ritenga che sussistano le condizioni per la libera accessibilità del mercato (art. 8, comma 6). Sul punto, sono intervenute, anche di recente, alcune decisioni della Commissione Europea che hanno rilevato l'esposizione alla concorrenza di determinati settori e conseguentemente rimodulato il perimetro applicativo della disciplina in questione (v. commenti relativi agli artt. da 115 a 121). Tra queste, ci si limita in questa sede a richiamare a titolo d'esempio, in relazione all'art. 116 per la produzione e vendita di elettricità, la decisione che ha rilevato l'apertura alla concorrenza e la conseguente inapplicabilità della Direttiva 2014/25/UE agli «appalti aggiudicati da enti aggiudicatori e destinati a consentire la produzione e la vendita all'ingrosso di energia elettrica da fonti rinnovabili in Italia in base ai regimi istituiti dai decreti ministeriali del 23 giugno 2016 e del 4 luglio 2019» (decisione della Commissione Europea n. 2020/1499 del 28 luglio 2020). Il doppio regime: appalti sopra soglia e sotto soglia In linea con la tradizionale impostazione, è stata riproposta anche nel Codice del 2016 la bipartizione tra affidamenti c.d. sopra soglia e sotto soglia e, per questi ultimi, viene precisato che, per imprese pubbliche e soggetti privati operanti in virtù di diritti speciali o esclusivi, trovi applicazione la disciplina stabilita nei rispettivi regolamenti negoziali, nel rispetto dei principi fondamentali del Trattato UE. Tale possibilità non è invece ammessa per gli enti aggiudicatori rientranti nel novero delle c.d. amministrazioni aggiudicatrici. Viene quindi riprodotta l'impostazione dell'art. 238, comma 7, d.lgs. n. 163/2006; gli effetti di tale differenziazione tra soggetti quanto al regime applicabile per le modalità di affidamento di appalti sotto soglia sono, nella pratica, piuttosto attenuati. Infatti, il vincolo per imprese pubbliche e soggetti privati di garantire i principi generali del Trattato UE a tutela della concorrenza (v. art. 36, comma 8, del Codice), da un lato, e le modalità semplificate di affidamento previste, in generale, dall'art. 36, per i contratti a rilevanza nazionale, dall'altro, comportano una tendenziale assimilazione dei regimi applicabili. Le modalità di gestione delle procedure di affidamento degli appalti a rilevanza nazionale sono più puntualmente definite dalle Linee Guida ANAC n. 4 (cfr. commento all'art. 36). Deve peraltro considerarsi che le soglie per procedere con affidamenti diretti e procedure negoziate senza bando sono state di recente innalzate, seppur in via provvisoria, dal d.l. n. 76/2020 (c.d. decreto semplificazioni), al cui commento si fa dunque rinvio. Gli affidamenti infragruppo Anche con il nuovo Codice viene confermata l'esclusione dall'ambito di applicazione della disciplina degli affidamenti infragruppo di lavori, forniture e servizi, ove ricorrano alcune condizioni tassativamente indicate dall'art. art. 7 del Codice, al cui commento si fa comunque rinvio per maggiori approfondimenti. Si tratta di un'ipotesi parzialmente diversa da quella degli affidamenti in house prevista dall'art. 5 per settori ordinari e riferibile anche ai settori speciali. L'operatività di tale specifica ipotesi di deroga riferita in via esclusiva ai settori speciali, al pari della disciplina previgente, è, comunque, subordinata ad un duplice, contestuale, ordine di condizioni: i) l'esistenza di un rapporto di collegamento tra il soggetto che affida il contratto e l'affidatario dello stesso; ai fini dell'applicazione della disposizione, «per impresa collegata si intende qualsiasi impresa i cui conti annuali siano consolidati con quelli dell'ente aggiudicatore a norma dell'art. 25, d.lgs. n. 127/2001 e successive modificazioni» (art. 2, comma 1, lett. z), del Codice). Sono tenute a redigere il bilancio consolidato le società per azioni, in accomandita per azioni e a responsabilità limitata che controllano altra impresa. Medesimo obbligo incombe sugli enti pubblici economici di cui all'art. 2201 c.c., sulle società cooperative e sulle mutue assicuratrici che controllano una società per azioni, in accomandita per azioni o a responsabilità limitata. Per i soggetti cui non è applicabile il d.lgs. n. 127/2001, per impresa collegata, si devono intendere le imprese su cui: a) l'ente aggiudicatore può esercitare direttamente o indirettamente un'influenza dominante ovvero che possono esercitare un'influenza dominante sull'ente aggiudicatore; b) che, come l'ente aggiudicatore, sono soggette all'influenza dominante di un'altra impresa in virtù dei rapporti di proprietà, di partecipazione finanziaria ovvero di norme interne; ii) la necessità che la società alla quale è affidato il contratto svolga un'attività, per lo più, «servente» nei riguardi della casa madre. In particolare, è necessario che una percentuale non inferiore all'80% della cifra d'affari in lavori, forniture o servizi, nell'ultimo triennio, sia riconducibile a prestazioni rese nei confronti delle altre società del gruppo. Tale percentuale costituisce un valore medio per cui è ben possibile che con riferimento a singoli esercizi se ne registri uno scostamento, essendo, tuttavia, necessario che esso venga rispettato nel suo complesso. Al fine di verificare il raggiungimento della percentuale dell'80%, il fatturato in lavori, forniture o servizi è quello realizzato dalla società affidataria senza alcuna limitazione territoriale. Già dalla Direttiva 2004/17/CE, infatti, era stata espunta – quale elemento di significativa differenziazione rispetto alla disciplina previgente (Direttiva 93/38/CE e d.lgs. n. 158/1995) – la limitazione del fatturato da prendere a riferimento ai fini della verifica del requisito dell'80% soltanto a quello realizzato nell'Unione Europea. Il che se, da un lato, rende maggiormente difficoltoso accertare il requisito in questione, in specie nel caso di soggetti operanti, ad esempio, sul mercato dei Paesi in via di sviluppo al di fuori degli ambiti dell'Unione Europea; dall'altro, sembra maggiormente in linea con la ratio della disciplina e dell'esenzione che mira a valorizzare il rapporto servente di una società rispetto al gruppo di cui fa parte. Anche in tal caso, così come per gli affidamenti in house (art. 5, comma 8), l'operatività della deroga è espressamente ammessa sia nel caso in cui la società sia di nuova costituzione (operando già come divisione interna), sia nel caso in cui essa «inizi» la propria attività ex novo (art. 7, comma 3). In sostanza, viene presa in considerazione non solo l'ipotesi di trasformazione in società di una «divisione», ma anche quella in cui si opti per la costituzione ex novo di società da destinare all'assolvimento, in via pressoché esclusiva, di funzioni di servizio nei riguardi della casa madre. In tale caso, la newco potrà essere affidataria «diretta» dei lavori, delle forniture e dei servizi, basandosi sulle proiezioni del fatturato relative al primo triennio di attività. A tale ipotesi sembra anche equiparabile quella in cui la società, pur preesistente, rientri nel novero delle imprese collegate soltanto in un momento successivo. A partire da tale momento, la società potrà beneficiare della deroga sempre sulla base delle proiezioni relative al proprio fatturato nel triennio successivo a quello dell'acquisizione. Nel caso in cui più imprese collegate all'ente aggiudicatore forniscano gli stessi o simili servizi, forniture o lavori, la percentuale dell'80% del fatturato medio realizzato nell'ultimo triennio deve essere calcolata tenendo conto del fatturato totale dovuto rispettivamente alla fornitura di servizi, forniture o lavori da parte di tali imprese collegate (art. 7, comma 3, ultimo periodo). La deroga in questione è applicabile anche agli appalti e concessioni aggiudicati (v. art. 6, Codice): a) da una joint venture, un'associazione, consorzio o impresa comune aventi personalità giuridica, composti esclusivamente da più enti aggiudicatori, per svolgere attività, nei settori speciali, a favore di una impresa collegata a uno di tali enti aggiudicatori; oppure b) da un ente aggiudicatore a una joint venture di cui fa parte, purché la stessa sia stata costituita per svolgere le attività nei settori speciali per un periodo di almeno tre anni, e che il relativo atto costitutivo preveda che gli enti aggiudicatori che la compongono ne faranno parte almeno per lo stesso periodo. Per tale ipotesi, la possibilità dell'affidamento diretto non sembrerebbe condizionata alla ricorrenza delle condizioni previste per le imprese collegate, ma la semplice sussistenza del requisito della durata minima dell'associazione tra soggetto aggiudicatore ed affidatario legittimerebbe il conferimento del contratto. Le disposizioni applicabili ai settori specialiCome anticipato, agli appalti nei settori speciali è dedicato il Capo I del Titolo VI (Regimi particolari di appalto) che si compone di 28 artt. (da 114 a 141), che non esauriscono, però, il complesso delle norme applicabili. Allo scopo di definire la disciplina applicabile ai settori speciali, infatti, il nuovo Codice ha adottato, con alcuni limitati elementi di differenziazione, l'impostazione del previgente d.lgs. n. 163/2006. Nell'ambito della scelta di un recepimento unitario delle tre direttive del 2014, si è evitato di introdurre un corpo autonomo di disposizioni che regolamentassero compiutamente l'attività degli enti operanti nell'ambito dei settori speciali e di dare, in tal modo, vita ad un unico sistema conchiuso racchiuso in un testo unico relativo al contempo tanto ai settori ordinari quanto a quelli speciali (d.lgs. n. 50/2016). In questo quadro, la disciplina sui settori speciali è composta da un blocco di norme comuni riferibile alla totalità degli affidamenti e nelle quali sono già incluse disposizioni specifiche per i settori speciali (v., ad esempio, artt. 6 e 7); da un blocco di norme previste per i settori ordinari ma applicabili, in virtù di appositi rinvii, anche ai settori speciali; da un blocco di norme ad oggetto esclusivo in quanto previste specificamente per gli affidamenti nell'ambito dei settori speciali (artt. da 114 a 141). In virtù dei rinvii contenuti nella norma in commento (art. 114, comma 1), trovano applicazione ai settori speciali, «in quanto compatibili», gli artt. da 1 a 58 (principi generali e disposizioni comuni, soggetti ammessi alle gare, procedure di scelta, ecc.). Il che comporta l'applicabilità, oltreché di alcune norme di carattere generale, anche di quelle in tema di progettazione di lavori (art. 24 ss.); di quelle che regolano le fasi delle procedure di affidamento e i relativi controlli (artt. 32 e 33); di quelle in tema di conflitti di interesse (art. 42); di quelle sulle modalità di affidamento di appalti di competenza di stazioni appaltanti appartenenti a più Stati (art. 43); di quelle in tema di soggetti ammessi alle gare (artt. da 45 a 48); di quelle in tema di suddivisione in lotti (art. 51); di quelle in tema di accesso agli atti (art. 53), di accordi quadro (art. 54), di sistemi dinamici di acquisizione (art. 55) ed aste elettroniche (art. 56). La stessa disposizione precisa che l'art. 49 debba trovare applicazione con riferimento agli all. 3, 4, e 5 e alle note generali dell'Appendice 1 dell'Unione Europea dell'APP e agli altri accordi internazionali a cui l'Unione Europea si sia vincolata. In sostanza, la partecipazione di imprese extra UE agli appalti nei settori speciali deve trovare applicazione entro i limiti rappresentati dall'ambito oggettivo e soggettivo di applicazioni di tali accordi (art. 114, comma 1, ult. per.). Inoltre, sempre in virtù dei richiami operati dall'art. 114, comma 8, trovano applicazione ai settori speciali anche alcune disposizioni relative alla fase esecutiva del contratto quali: l'art. 100 (requisiti per l'esecuzione dell'appalto); l'art. 105 (subappalto), l'art. 106 (modifica dei contratti durante il periodo di efficacia); l'art. 108 (risoluzione). Il quadro della disciplina applicabile agli affidamenti nei settori speciali (comunque non riferibile ai servizi di ricerca e sviluppo (art. 114, comma 6) non si esaurisce nelle disposizioni richiamate nella norma in commento né nel blocco di disposizioni dettate espressamente per queste ultime. Infatti: a) in virtù dei rinvii contenuti all'art. 122, trovano applicazione, per quanto compatibili con la specifica disciplina sui settori speciali, gli artt. 65 (partenariato per l'innovazione); 66 (consultazioni preliminari di mercato); 67 (partecipazione delle imprese alle consultazioni preliminari) 68 (specifiche tecniche); 69 (etichettature); 73 (modalità di pubblicazione dei mezzi di indizione della gara); 74 (disponibilità elettronica dei documenti di gara); b) in virtù dei rinvii contenuti all'art. 133, trovano applicazione, sempre per quanto compatibili con la specifica disciplina sui settori speciali, gli artt. 74 (disponibilità elettronica dei documenti di gara); 77 (commissioni giudicatrici); 78 (albo dei commissari gestito dall'ANAC); 79 (termini di ricezione di domande di invito ed offerte); 80 (in tema di cause di esclusione); 81 (in tema di Banca dati nazionale degli operatori economici); 82 (organismi di valutazione di conformità); 83 (requisiti di qualificazione e soccorso istruttorio); 84 (sistema unico degli esecutori di lavori pubblici); 85 (documento di gara unico Europeo); 86 (mezzi di prova delle dichiarazioni in ordine al possesso dei requisiti); 87 (sistemi di qualità); 88 (registro on line); 89 (avvalimento); 90 (elenchi ufficiali di operatori economici); 91 (riduzione del numero dei candidati nelle procedure ristrette); 92 (riduzione del numero di offerte e soluzioni); 95 (criteri di aggiudicazione); 96 (costi del ciclo di vita); 97 (offerte anormalmente basse). Questa impostazione rende il perimetro delle norme applicabili non sempre agevolmente definibile. Le difficoltà sono accentuate dalla circostanza che, come anticipato, per le norme oggetto di specifico richiamo, la loro applicabilità ai settori speciali deve intendersi circoscritta nei soli limiti di compatibilità con quanto stabilito in ulteriori specifiche disposizioni dettate per i settori speciali. È il caso ad esempio dell'art. 39 (attività di committenza ausiliarie), dell'art. 40 (obbligo di uso dei mezzi di comunicazione elettronici) e dell'art. 41 (misure in tema di semplificazione delle procedure di gara svolte da centrali di committenza), in quanto si tratta di previsioni che – essendo ricomprese all'interno del Titolo II attinente alla disciplina in tema di qualificazione delle stazioni appaltanti – risultano applicabili ai settori speciali nei limiti indicati dagli artt. 37 e 38 (vale a dire ai soli enti aggiudicatori qualificabili anche come amministrazioni aggiudicatrici). Inoltre, le stesse disposizioni richiamate contengono talora limitazioni alla propria sfera di operatività, sì da auto escludere la propria portata vincolante per parte dei soggetti ricadenti nei settori speciali. È il caso, ad esempio, dell'art. 21 (programma delle acquisizioni delle stazioni appaltanti) che vincola le sole amministrazioni aggiudicatrici – e non anche le imprese pubbliche – all'adozione del programma biennale degli acquisiti di beni e servizi e di quello triennale relativo ai lavori; dell'art. 24 (progettazione interna ed esterna alle amministrazioni aggiudicatrici in materia di lavori pubblici) che, in linea con la propria rubrica, vincola le sole amministrazioni aggiudicatrici; della disciplina in tema di responsabile del procedimento (art. 31), che lascia alle stazioni appaltanti che non sono pubbliche amministrazioni o enti pubblici la possibilità di «autorganizzarsi» per assicurare che i compiti attribuiti al responsabile del procedimento siano assolti. È anche il caso della disciplina in tema di qualificazione delle stazioni appaltanti che – sulla carta – costituisce una delle novità di maggior rilievo della disciplina (ad oggi tuttavia ancora inattuata), che autolimita la propria sfera di vincolatività, escludendo gli enti aggiudicatori che non sono amministrazioni aggiudicatrici. Lo stesso è a dirsi per quanto attiene all'art. 77 che, in tema di commissioni giudicatrici, prevede il ricorso ai componenti esterni, da scegliersi nell'ambito di una lista comunicata dall'ANAC, non applicabile alle procedure rientranti nella disciplina sui settori speciali, di competenza di soggetti diversi dalle amministrazioni aggiudicatrici. Ad accentuare i profili di complessità, vi sono poi previsioni tradizionalmente riferite ai settori ordinari, non richiamate tra quelle applicabili ai settori speciali, ma nelle quali, «in via accidentale» e senza alcun apparente nesso logico, viene fatto riferimento anche agli enti aggiudicatori (v. art. 113, in tema di incentivi alla progettazione). Infine, vi sono disposizioni, che pure regolano istituti centrali nella disciplina sui contratti pubblici, che non sono in alcun modo richiamate, ma che devono ritenersi comunque applicabili (è il caso ad esempio, dell'art. 205, in tema di accordo bonario che fa riferimento ai contratti pubblici di competenza anche degli enti aggiudicatori, o dell'art. 207, in tema di transazione che fa riferimento in generale ai contratti pubblici). La definizione delle disposizioni applicabili anche ai settori speciali non esclude la facoltà degli enti aggiudicatori di procedere, esercitando un'autonoma opzione (c.d. autovincolo), all'applicazione anche di altre disposizioni dettate per i soli settori ordinari. Sul punto, non sembra possa essere attribuita rilevanza decisiva – in senso contrario – alla mancata riproposizione, nel nuovo Codice, delle disposizioni contenute nel d.lgs. n. 163/2006 (art. 206, comma 3) che, in via espressa, legittimavano a ciò gli enti aggiudicatori. Questioni applicative1) La rilevanza della nozione di organismo di diritto pubblico per l'individuazione del regime applicabile all'affidamento dei contratti non strumentali La riconducibilità o meno di un determinato soggetto giuridico alla figura dell'organismo di diritto pubblico presenta caratteri di notoria complessità (Cassese, 549; Caringella, 1007). E ciò in quanto si tratta di una nozione che, nata nel diritto Europeo e poi recepita nell'ordinamento interno, è definita sulla base di indici «sintomatici» di carattere generale che, di volta in volta, necessitano di essere rilevati rispetto alla specifica fattispecie oggetto di indagine (Torregrossa, 14). A livello sistematico, l'elaborazione di questa nozione è diretta ad evitare che soggetti sostanzialmente pubblici, sulla base della loro veste formale di natura privatistica, possano sottrarsi all'applicazione della disciplina pubblicistica in materia di scelta del contraente. Si tratta di un tema particolarmente rilevante alla luce delle implicazioni applicative che reca con sé (in punto di disciplina sostanziale e di giurisdizione) la qualificabilità di un determinato soggetto come organismo di diritto pubblico. Per quanto concerne i c.d. settori speciali, l'esatta delimitazione della nozione di organismo di diritto pubblico risulta necessaria per comprendere la disciplina applicabile agli appalti destinati a scopi estranei alle finalità istituzionali degli enti aggiudicatori (e quindi non direttamente strumentali alle attività prese in considerazione dalla disciplina sui settori speciali). Come si è visto, infatti, nel caso in cui il committente non sia, in ragione delle sue caratteristiche soggettive, riconducibile nel novero dei soggetti tenuti all'applicazione della disciplina relativa ai settori ordinari (non sia cioè qualificabile quale amministrazione aggiudicatrice e, quindi, per quel che qui rileva, come organismo di diritto pubblico), i c.d. «appalti estranei» saranno sottratti integralmente alla normativa in tema di contratti pubblici e, potranno, dunque, essere affidati a terzi secondo le regole del diritto comune. Di converso, ove l'ente aggiudicatore sia, invece, qualificabile come organismo di diritto pubblico (e quindi inquadrabile nel novero delle amministrazioni aggiudicatrici), troverà comunque applicazione la disciplina relativa ai settori ordinari. Nel rinviare, per maggiori approfondimenti, al commento all'art. 3, è noto che, sia la normativa Europea che quella nazionale individuano tale figura sulla base di tre parametri: a) il possesso della personalità giuridica; b) la sottoposizione a un'influenza pubblica; c) l'essere istituito per soddisfare esigenze di interesse generale non aventi carattere industriale o commerciale (c.d. requisito teleologico). Tali requisiti hanno carattere cumulativo, essendo necessaria la loro contestuale presenza affinché un determinato ente possa essere qualificato come organismo di diritto pubblico (Corte giust. CE, 15 gennaio 1998, sent., C-44/96 - Mannesmann; in ambito nazionale, Cass., SS.UU., n. 8225/2010). Quanto ai primi due requisiti, la relativa identificazione non pone particolare problemi (Cintioli, Ielo, 255). Operazione maggiormente complessa è invece la verifica della sussistenza del c.d. requisito teleologico. L'evoluzione della giurisprudenza Europea sull'individuazione della ricorrenza o meno del c.d. requisito teleologico, ai fini della configurabilità di un ente quale organismo di diritto pubblico, può essere sostanzialmente suddivisa in tre fasi (questa chiave di lettura è stata di recente ribadita da Cons. St., V, n. 108/2017). Nel corso della prima, vi è stata un'espansione applicativa della nozione di organismo di diritto pubblico, dovuta soprattutto alla circostanza che l'attenzione dei giudici Europei è stata inizialmente rivolta a verificare la funzionalità dell'ente al soddisfacimento dei bisogni di interesse generale, piuttosto che al carattere non commerciale o industriale dell'attività svolta (Vinti, 2016). Il leading case in materia di organismo di diritto pubblico è, come noto, rappresentato dalla sentenza Mannesmann (Corte giust. CEE, 15 gennaio 1998, C-44/96). Si trattava di individuare la qualificazione giuridica della tipografia di Stato austriaca, la quale esercitava sia attività di natura certamente commerciale, tra cui l'edizione e distribuzione di libri, sia funzioni conferite per legge, quali la produzione di stampati in favore dell'amministrazione federale (passaporti, carte d'identità, ecc...). Per risolvere la questione, la Corte di Giustizia ha enfatizzato le esigenze di ordine pubblico cui erano strettamente collegate le funzioni attribuite alla tipografia austriaca; ed ha quindi concluso per la natura di interesse generale dei bisogni perseguiti, facendo derivare da tale accertamento anche il relativo carattere non industriale né commerciale degli stessi. In proposito, la Corte ha poi ritenuto irrilevante il fatto che, oltre a tali compiti istituzionali, l'ente svolgesse altra attività sul libero mercato, poiché, per ragioni di certezza del diritto, tutta l'attività di uno stesso ente avrebbe dovuto essere soggetta al medesimo regime giuridico (di rispetto delle norme dell'evidenza pubblica); e ciò anche perché il requisito teleologico, per come declinato dalla normativa Europea, non avrebbe implicato la necessità di soddisfare «unicamente» bisogni di interesse generale. In tal modo, è stata quindi coniata la c.d. teoria del contagio ed è stata di conseguenza esclusa, quanto meno a livello Europeo, la configurabilità dell'organismo di diritto pubblico in parte qua (Garofoli, 437). La seconda fase è stata contrassegnata dalla sentenza Ente Fiera di Milano (Corte di giust. CE, 10 maggio 2001, C-223/99 e C-260/99), con la quale i giudici Europei sembrarono operare una sorta di revisione in senso restrittivo della nozione di organismo di diritto pubblico, per come estensivamente intesa con la precedente decisione Mannesmann. La Corte, infatti, ha escluso che l'Ente Fiera potesse essere qualificato come organismo di diritto pubblico, ritenendo sostanzialmente determinante la circostanza che il settore fieristico – pur afferendo a bisogni di interesse generale – fosse aperto alla concorrenza e implicasse una modalità di gestione tipicamente imprenditoriale: dal che il carattere industriale e commerciale dell'attività svolta in tale settore (Cassese, 549). Le successive sentenze, relative alla terza e più recente fase, si sono invece orientate verso una tendenziale riespansione della nozione di organismo di diritto pubblico, dovendo questa «essere estensivamente intesa» in quanto funzionale alla liberalizzazione dei mercati (ex multis, Corte giust. CE, 27 febbraio 2003, C-373/00, Adolf Truley). Si tratta di una riespansione solo tendenziale e non «totalizzante» in quanto, anche di recente, la stessa Corte di Giustizia ha comunque ricordato che se è vero che l'organismo di diritto pubblico si caratterizza per il suo asservimento al soddisfacimento di esigenze di interesse generale, è altrettanto vero che, per essere configurato come tale, l'ente deve comunque perseguire i bisogni generali ad esso affidati lasciandosi «guidare da considerazioni diverse da quelle economiche» (Corte giustizia UE, 5 ottobre 2017, C-567/15, VLRD). Cosicché appare difficile poter sostenere che i bisogni generali perseguiti abbiano carattere non industriale o commerciale nel caso in cui: i) il soggetto persegua scopi di lucro; ii) e, comunque, subisca il rischio di un'eventuale gestione non remunerativa, sopportando le eventuali perdite, senza poter quindi usufruire di misure pubbliche che lo preservino dal rischio d'impresa (Galli, Cavina, Ambito di applicazione e principi generali, 74). Difatti, il c.d. requisito teleologico si compone a sua volta di due elementi: quello positivo, rappresentato dal fatto che le esigenze perseguite dall'organismo siano riconducibili ad un interesse generale; e quello negativo, relativo al carattere non industriale e non commerciale di tali esigenze. Sul tema, si registra un contrasto nella giurisprudenza nazionale che ruota intorno alla corretta interpretazione del requisito teleologico, nell'ambito del quale sono sostanzialmente rinvenibili due posizioni. Quella in atto maggioritaria e conforme al più recente insegnamento del giudice Europeo (Corte giust. UE, 5 ottobre 2017, C-567/15, VLRD), che attribuisce carattere dirimente, per disvelare la vera natura giuridica di un determinato ente, alle modalità attraverso cui il bisogno di interesse generale viene da questo perseguito (ex multis, Cons. St., V, n. 3884/2019; Cons. St., V, n. 6534/2018); e quella minoritaria, secondo la quale la finalità istitutiva dell'ente tesa al soddisfacimento di esigenze di interesse generale sarebbe invece preminente rispetto alle modalità con cui l'attività viene poi in concreto svolta (Cons. St., V, n. 964/2020). Secondo quest'ultima posizione, le modalità con cui le attività di interesse generale vengono in concreto svolte cedono rispetto ai compiti istituzionali assegnati all'organismo e che sono alla base della sua istituzione, anche alla luce del tenore letterale del dato normativo recante la definizione di organismo di diritto pubblico, secondo cui sussiste il requisito teologico se l'organismo è «istituito» per soddisfare specificatamente esigenze di interesse generale, aventi carattere non industriale o commerciale. In questo modo, tuttavia, si presuppone che l'istituzione dell'ente per il soddisfacimento di un bisogno di interesse generale (ove riconosciuto come tale) possa essere di per sé idoneo ad escludere il carattere commerciale o industriale dell'attività dallo stesso svolta, con un approccio che, oltre a non considerare la possibilità che interessi generali possano comunque essere perseguiti secondo criteri di imprenditorialità, come confermato dal considerando n. 12 della Direttiva 2014/25/UE, è stato già criticato da parte della dottrina in quanto poco funzionale «a costituire un'utile chiave interpretativa per il futuro» (Greco, 743) e comunque non coerente con la ratio sostanziale «che ha indotto il legislatore Europeo a enucleare la nozione di organismo di diritto pubblico» (Capotorto, 630). Appare quindi più calzante il primo – e del resto maggioritario – orientamento giurisprudenziale secondo cui la «chiave di volta» per comprendere l'eventuale riconducibilità di un soggetto nella nozione di organismo di diritto pubblico risiede piuttosto nel verificare il carattere non commerciale o industriale dei bisogni generali da esso perseguiti, che, come detto, non pare sussistere in caso di gestione dell'attività da parte dell'ente secondo criteri di efficacia e redditività tipici dell'imprenditore privato e con assunzione del rischio di impresa. In sostanza, diventa irrilevante che un soggetto sia stato costituito per soddisfare un interesse di carattere generale, perché ciò che assume preminenza è la modalità con cui il detto bisogno viene perseguito. Cosicché, un ente aggiudicatore operante nei settori speciali non dovrebbe essere qualificato come organismo di diritto pubblico nelle ipotesi in cui eserciti attività connotata da carattere imprenditoriale, secondo criteri di redditività e con assunzione del relativo rischio di impresa, senza che i soggetti pubblici legati all'ente possano intervenire per ripianare eventuali perdite di esercizio (Cavina, 420). 2) Settori speciali e giurisdizione Le tematiche appena esaminate hanno un rilevante impatto non solo sul piano sostanziale dell'ambito di applicazione della disciplina pubblicistica in materia di contratti, ma anche su quello processuale. Difatti, per le controversie inerenti la fase di scelta del contraente, ricorre la giurisdizione del giudice amministrativo solo laddove il committente, in ragione delle proprie caratteristiche soggettive e alla luce dell'oggetto dell'affidamento, sia tenuto a rispettare le regole dell'evidenza pubblica (art. 133, comma 1, lett. e), d.lgs. n. 104/2010). Diversamente, ove l'affidamento del contratto non sia soggetto alla disciplina pubblicistica, il giudice naturale a conoscere delle relative controversie sarà invece quello ordinario. Sicché, ove l'ente aggiudicatore sia riconducibile nel novero delle imprese pubbliche, ma non anche nella nozione di organismo di diritto pubblico, la giurisdizione sul contenzioso relativo alla scelta dell'esecutore di un c.d. contratto estraneo spetterà del giudice civile e non a quello amministrativo (Cons. St., Ad. plen., n. 16/2011). Peraltro, deve trattarsi di procedure di scelta obbligatoriamente e non volontariamente assoggettate alle regole dell'evidenza pubblica, pena la violazione del principio costituzionale del Giudice naturale precostituito per legge. Non può, quindi, consentirsi al committente di scegliere il giudice che deciderà delle eventuali controversie che dovessero generarsi dalla scelta del contraente, autovincolandosi al rispetto di una disciplina dettata per altra tipologia di contraenti (T.A.R. Lombardia, (Milano), IV, n. 1327/2019). Dunque, il c.d. autovincolo, se è idoneo a rendere applicabili le regole richiamate, è inidoneo a determinare spostamenti della giurisdizione (T.A.R. Lazio (Roma), III-ter, n. 5528/2018). Problemi attuali. Settori ordinari e settori speciali: complementarietà o alternatività?Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione si sono recentemente espresse sul regolamento di giurisdizione promosso da Poste Italiane S.p.A. nell'ambito di un contenzioso relativo ad una procedura per l'affidamento del servizio sostitutivo di mensa attraverso buoni pasto (Cass. S.U., ord. n. 4899/2018). L'ordinanza, peraltro basata su un precedente delle stesse Sezioni Unite (Cass. S.U., ord. n. 8511/2012), assume particolare rilievo per il ribaltamento della prospettiva con cui i rapporti tra la disciplina generale sui cc.dd. settori ordinari (ora Direttiva 2014/24/UE) e quella in tema di settori speciali (ora Direttiva 2014/25/UE) erano (e sono) stati costantemente affrontati e risolti da giudice Europeo e amministrativo. Nella ricostruzione delle Sezioni Unite, infatti, la circostanza che, per le caratteristiche dell'affidamento, non sia applicabile la disciplina sui cc.dd. settori speciali, esclude, di per sé, che allo stesso appalto possa essere riferita quella sui settori ordinari: il che rende irrilevante indagare la natura del soggetto aggiudicatore per verificarne la riconducibilità o meno nel novero dei soggetti (amministrazioni aggiudicatrici) tenuti alla relativa applicazione. Secondo la Cassazione, l'art. 207 del d.lgs. n. 163/2006 (ora art. 114 del d.lgs. n. 50/2016) ‒ laddove prende in considerazione gli enti aggiudicatori ‒ detta una disposizione che rende applicabile in relazione alle attività nei settori speciali, in via esclusiva, la disciplina prevista per questi ultimi non solo ad imprese pubbliche e soggetti privati operanti in virtù di diritti speciali ed esclusivi, ma a qualsiasi amministrazione aggiudicatrice (e, dunque, anche agli organismi di diritto pubblico). In sostanza, agli enti aggiudicatori operanti nei settori speciali sarebbe applicabile in via esclusiva la disciplina sui settori speciali, con la conseguenza che, per affidamenti dal punto di vista oggettivo non riconducibili a questa ultima, non potrebbe in alcun caso trovare applicazione la disciplina generale sui settori ordinari. I rapporti tra le due discipline vengono dunque ridelineati in termini non più di complementarietà e secondo un rapporto di disciplina generale-disciplina speciale, ma in termini di alternatività. Le discipline su settori ordinari e settori speciali sono da considerarsi come due microsistemi separati e distinti e a Poste Italiane deve trovare applicazione la disciplina relativa ai settori speciali qualora ne ricorrano le condizioni, ovvero, in caso negativo, nessuna altra disciplina pubblicistica a prescindere dal fatto che la stessa sia qualificabile come organismo di diritto pubblico o impresa pubblica. Le conclusioni cui perviene la citata ordinanza (n. 4899/2018), nel senso di negare la rilevanza della natura giuridica del soggetto aggiudicatore, recano tuttavia una serie di contraddizioni, rispetto all'analisi del quadro normativo, da un lato, e alla insostenibilità delle conseguenze che ne deriverebbero sul piano pratico, dall'altro. Quanto al primo profilo, l'ordinanza trascura di considerare che, sia nelle direttive Europee che nei provvedimenti di recepimento, l'esclusione dall'ambito di applicazione della disciplina generale non è su base soggettiva ma è su base oggettiva: non vengono sottratti, infatti dall'obbligo di applicare queste disposizioni i soggetti che operano nei settori speciali quanto gli appalti aggiudicati o organizzati dalle amministrazioni aggiudicatrici che esercitano attività nell'ambito dei settori speciali e aggiudicati per l'esercizio di queste attività. In sostanza, la sottrazione delle amministrazioni aggiudicatrici dal perimetro applicativo della disciplina generale è subordinata alla strumentalità dell'affidamento allo svolgimento di attività nell'ambito dei settori speciali. Sotto questo profilo, la soluzione cui è pervenuta la Cassazione, in violazione dell'obbligo dell'interpretazione conforme al diritto dell'Unione Europea, si pone in contrasto con la posizione già adottata dalla Corte di Giustizia secondo la quale «gli appalti aggiudicati da un ente avente la qualifica di organismo di diritto pubblico ai sensi delle direttive n. 17/2004 (n.d.a., sui settori speciali, ora 2014/25/UE) e 18/2014 (n.d.a., sui settori ordinari, ora 2014/24/UE), che hanno nessi con l'esercizio di tale ente in uno o più dei settori considerati negli artt. 3-7 della direttiva n. 2004/17, debbono essere assoggettati alle procedure previste da tale direttiva. Per contro, tutti gli altri appalti aggiudicati da tale ente in relazione con l'esercizio di altre attività rientrano nelle procedure previste dalla direttiva 2004/18» (Corte giust. CE, 10 aprile 2008, C-393/06). Ai fini dell'assoggettamento alla disciplina dell'Unione Europea in tema di appalti pubblici, la Corte di Giustizia attribuisce, dunque, rilievo esclusivo alla natura di amministrazione aggiudicatrice del soggetto procedente, tenuto ad applicare però una disciplina specifica, in luogo di quella generale, nel caso di contratti che abbiano un nesso con le attività svolte nei cc.dd. settori speciali. In secondo luogo, la configurazione della disciplina sui settori ordinari e sui settori speciali come due corpi normativi autonomi e distinti produrrebbe l'irragionevole effetto di escludere, dai vincoli previsti dalla disciplina pubblicistica, amministrazioni aggiudicatrici per il solo fatto di operare nei cc.dd. settori speciali e per tutti gli affidamenti privi di un nesso di funzionalità con questi ultimi. Nella sua eccentricità rispetto a costruzioni logiche consolidate, la Corte di Cassazione (seppure solo nell'ambito della dicotomia settori ordinari-settori speciali) nella sostanza ammette che un organismo di diritto pubblico possa applicare o meno la disciplina pubblicistica a seconda delle attività cui l'affidamento è destinato. In tal modo, si dà origine – forse non del tutto consapevolmente – ad una distonia rispetto al principio costantemente affermato dalla Corte di Giustizia (semel organismo, semper organismo) della necessaria unicità del regime giuridico applicabile all'organismo di diritto pubblico indipendentemente dalle finalità cui l'appalto è preordinato, siano esse funzionali ad attività di interesse generale aventi carattere commerciale e industriale ovvero dirette ad attività esercitate in regime di concorrenza e aventi carattere commerciale ed industriale (Galli, 227). BibliografiaCapotorto, Poste Italiane organismo di diritto pubblico? Il conflitto interpretativo torna a Lussemburgo, in Giorn. dir. amm., 2019; Caringella, Corso di diritto amministrativo, Milano, 2011; Cassese, L'Ente Fiera di Milano e il regime degli appalti, in Giorn. dir. amm., 2000; Cavina, Organismo di diritto pubblico, settori speciali e trasporto ferroviario ad alta velocità, in Urb. e app., 2020; Cintioli, Ielo, I profili soggettivi, in Villata, Bertolissi, Domenichelli, Sala (a cura di), I contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, Padova, 2014; Galli, Cavina, I settori speciali, in Corradino, Galli, Gentile, Lenoci, Malinconico, I contratti pubblici, Milano, 2017; Galli, Cavina, Ambito di applicazione e principi generali, in Corradino, Galli, Gentile, Lenoci, Malinconico, I contratti pubblici, Milano, 2017; Galli, Settori ordinari e settori speciali: alternatività o complementarietà?, in Giorn. dir. amm., 2019; Garofoli, L'organismo di diritto pubblico: orientamenti interpretativi del Giudice comunitario e dei Giudici italiani a confronto, in Giorn. dir. amm., 1998; Greco, Organismo di diritto pubblico: atto primo, in Riv. it. dir. pubbl. com., 1999; Protto, Settori speciali a geometria variabile, in De Nictolis (a cura di), I contratti pubblici di lavori, forniture e servizi, Milano 2007; Torregrossa, I principi fondamentali dell'appalto comunitario, in Gli appalti nel settore energetico, Milano, 1994; Vinti, voce Organismo di diritto pubblico, in Diritto On line Treccani, Istituto dell'Enciclopedia Treccani, 2016. |