Decreto legislativo - 30/03/2001 - n. 165 art. 17 - Funzioni dei dirigenti ( Art. 17 del d.lgs n. 29 del 1993 , come sostituito prima dall' art. 10 del d.lgs n. 546 del 1993 e poi dall' art. 12 del d.lgs n. 80 del 1998 )

Ciro Silvestro

Funzioni dei dirigenti

(Art. 17 del d.lgs n. 29 del 1993, come sostituito prima dall'art. 10 del d.lgs n. 546 del 1993 e poi dall'art. 12 del d.lgs n. 80 del 1998)

1. I dirigenti, nell'ambito di quanto stabilito dall'articolo 4 esercitano, fra gli altri, i seguenti compiti e poteri:

a) formulano proposte ed esprimono pareri ai dirigenti degli uffici dirigenziali generali;

b) curano l'attuazione dei progetti e delle gestioni ad essi assegnati dai dirigenti degli uffici dirigenziali generali, adottando i relativi atti e provvedimenti amministrativi ed esercitando i poteri di spesa e di acquisizione delle entrate;

c) svolgono tutti gli altri compiti ad essi delegati dai dirigenti degli uffici dirigenziali generali;

d) dirigono, coordinano e controllano l'attività degli uffici che da essi dipendono e dei responsabili dei procedimenti amministrativi, anche con poteri sostitutivi in caso di inerzia;

d-bis) concorrono all'individuazione delle risorse e dei profili professionali necessari allo svolgimento dei compiti dell'ufficio cui sono preposti anche al fine dell'elaborazione del documento di programmazione triennale del fabbisogno di personale di cui all'articolo 6, comma 4 1;

e) provvedono alla gestione del personale e delle risorse finanziarie e strumentali assegnate ai propri uffici, anche ai sensi di quanto previsto all'articolo 16, comma 1, lettera l-bis2.

e-bis) effettuano la valutazione del personale assegnato ai propri uffici, nel rispetto del principio del merito, ai fini della progressione economica e tra le aree, nonche' della corresponsione di indennita' e premi incentivanti 3.

1-bis. I dirigenti, per specifiche e comprovate ragioni di servizio, possono delegare per un periodo di tempo determinato, con atto scritto e motivato, alcune delle competenze comprese nelle funzioni di cui alle lettere b), d) ed e) del comma 1 a dipendenti che ricoprano le posizioni funzionali più elevate nell'ambito degli uffici ad essi affidati. Non si applica in ogni caso l'articolo 2103 del codice civile 4.

Inquadramento

L'art. 17 del decreto n. 165 completa l'elencazione dei compiti dei soggetti preposti ad uffici dirigenziali non di livello generale, così legandosi con il precedente art. 16.

La lettera a) riconosce anche ai dirigenti di uffici dirigenziali non generali la possibilità di formulare proposte e pareri, ma il soggetto destinatario, in questo caso, è il dirigente sovraordinato e non l'organo politico. La lettera b) attribuisce al dirigente compiti di attuazione di progetti e gestioni assegnati al medesimo dal dirigente di livello dirigenziale generale. Nell'esercizio di tale potere il dirigente adotta ogni relativo atto e provvedimento, esercitando i poteri di spesa e di acquisizione delle entrate. La lettera c) fa, invece, riferimento allo svolgimento di tutti i compiti delegati dai dirigenti di uffici generali. La lettera d) riconosce, a sua volta, al dirigente i poteri di direzione, coordinamento e controllo dell'attività degli uffici dipendenti e dei responsabili dei procedimenti amministrativi, anche con poteri sostitutivi in caso di inerzia.

Proprio riguardo il rapporto con i responsabili del procedimento, si segnala T.A.R. Campania, Napoli IV, n. 3226/2001, secondo cui «è illegittima la determinazione dirigenziale che non risulta essere stata preceduta dall'attività istruttoria del competente responsabile del procedimento, così come individuato alla stregua dei regolamenti concernenti le disposizioni di attuazione degli articoli 2 e 4 della l. n. 241/1990. La manchevolezza, a tutta evidenza, non è solo formale, posto che, tenuto conto dello stesso autovincolo che l'amministrazione si è imposto, il coinvolgimento del responsabile del procedimento, per quanto attiene la fase istruttoria, è profilo che incide fortemente nella sostanza dell'adeguatezza dello svolgimento del procedimento amministrativo rispetto al paradigma legale coniato con la l. n. 241/1990. Non si vuole con questo dire che le attività istruttorie non possano essere espletate anche dallo stesso dirigente cui poi compete l'adozione del provvedimento finale. Si vuole piuttosto sottolineare che, allora, diventa ancor più pregnante l'esigenza di una attenta motivazione che, da un canto, renda edotti di tale evenienza, e, dall'altro, convinca del fatto che realmente il dirigente che adotta il provvedimento finale abbia proceduto agli ineludibili adempimenti istruttori».

Proseguendo, la lettera e) dell'art. 17 definisce il potere di gestione delle risorse umane, finanziarie e strumentali assegnate ai propri uffici.

Il richiamo è, in primis, al concorso all'individuazione delle risorse e dei profili professionali necessari allo svolgimento dei compiti dell'ufficio; in secundis, è evidenziata l'esigenza di una gestione del personale e delle risorse orientata alla prevenzione e contrasto dei fenomeni di corruzione, attraverso il concorso alla definizione di misure di neutralizzazione dei rischi corruzione e il controllo del loro rispetto. In più, viene sottolineata l'importanza della competenza dirigenziale in tema di valutazione del personale assegnato, da svolgere nel rispetto del principio del merito, ai fini delle progressioni economiche e tra le aree e della corresponsione di indennità e premi incentivanti. Viene, pertanto, specificato e formalizzato quello che precedentemente poteva essere considerato un potere diffuso o implicito. Ciò anche «in ragione della nuova struttura, premiante e incentivante sia delle retribuzioni, sia delle progressioni verticali e orizzontali; poteri di selezione per intero affidati alla dirigenza. La formale valutazione dei dipendenti diventa, infatti, obbligatoria e affidata alla dirigenza che sarà a sua volta valutata (dalla dirigenza apicale) anche per il modo in cui eserciterà tale funzione. L'efficienza del sistema è (dovrebbe essere) monitorato proattivamente dall'OIV con funzioni, rilevanti almeno sulla carta, di collaborazione e controllo» (Caruso, 10).

In tema si veda anche l'art. 9, comma 1 lett d) d.lgs. 150/2009, che collega la valutazione della performance individuale dei dirigenti «alla capacità di valutazione dei propri collaboratori, dimostrata tramite una significativa differenziazione dei giudizi».

La delega delle competenze dirigenziali

Il generale dibattito sulla riforma della dirigenza pubblica, sviluppatosi negli anni più recenti, non ha mancato di toccare il tema della possibilità di delega di competenze dirigenziali nei confronti di personale non avente qualifica dirigenziale.

Attraverso l'atto di delega, di natura organizzatoria e incidente in via derogatoria nell'ordine delle attribuzioni e competenze, l'autorità delegante non si priva dei propri poteri in ordine all'attività delegata, ma demanda al soggetto delegato l'esercizio degli stessi, conservando ingerenza in tale attività (potere di direttiva e di vigilanza, nonché, di massima, di avocazione). L'attività delegata rimane propria, tuttavia, del soggetto-organo delegato, con relativa imputazione.

Lo spostamento verso il basso dell'esercizio di alcuni dei compiti dei dirigenti è stato, a più riprese, auspicato quale strumento indispensabile per far fronte alla montante «saturazione gestionale», che rischia di soffocare la dirigenza. Più in generale, si sarebbe facilitato una più compiuta trasformazione del dirigente pubblico in un moderno manager, una figura con compiti prevalentemente di programmazione, gestore di risorse e controllore dei relativi flussi e degli andamenti dei processi. I tempi sono apparsi maturi per l'abbandonando del modello del dirigente = specializzato produttore di atti (che costituiscono, tutto sommato, una conseguenza della strategia gestionale) (Saffioti, 882).

Prima dell'intervento del legislatore nel 2002, veniva, tuttavia, rimarcata la mancanza della necessaria copertura normativa per attivare ipotesi di delega delle competenze comprese nelle funzioni dirigenziali. Veniva anzi sottolineato come, nel quadro normativo previgente, si dovesse rilevare l'esistenza di un principio generale dell'ordinamento in senso ostativo. Enunciando tale principio, si affermava che «la delega è ammessa soltanto nei casi previsti dalla legge e non discende automaticamente dalla sussistenza di relazione di tipo gerarchico [..] La delega, infatti, in quanto altera l'ordine delle competenze degli organi stabilito con atto normativo, necessità di un apposita previsione di fonte normativa almeno dello stesso livello» (Tamasia, 83).

L'ostacolo emergente dalla mancanza, tra le fonti primarie, di una disposizione espressa che consentisse, in via generale, la delega di competenze dirigenziali nei confronti di personale non dirigenziale sono stati, alfine, fugati dall'art. 2 della l. n. 145/2002. Un nuovo comma 1-bis è stato appositamente inserito dopo il comma 1 dell'art. 17 del d.lgs. n. 165/2001.

La formulazione dal comma 1-bis dell'art. 17 in commento prevede che i dirigenti, per specifiche e comprovate ragioni di servizio, possono delegare, per un periodo di tempo determinato, alcune delle competenze comprese nelle funzioni di cui alle lettere b), d) ed e) del comma 1 dell'art. 17, a dipendenti che ricoprano le posizioni funzionali più elevate nell'ambito degli uffici ad essi affidati (quindi all'interno degli uffici, con ciò escludendo la possibilità di una qualche forma di trasferimento esterno di competenze).

Secondo un principio generale elaborato dalla giurisprudenza amministrativa – cfr., in particolare, le numerose attestazioni in tema di delega agli assessori comunali – ai fini della legittimità dei provvedimenti adottati non è necessario che nei medesimi venga fatta espressa menzione della delega, essendo sufficiente l'effettiva esistenza di questa.

La delega necessita di atto scritto e motivato. Occorre sottolineare come «non sia previsto alcun limite alla delegabilità delle funzioni con riguardo alla qualifica del delegato. L'unica prescrizione riguarda l'obbligo di destinare la delega ai <dipendenti che ricoprono le posizioni funzionali più elevate nell'ambito degli uffici>, senza peraltro indicare una soglia minima di qualifica o di titolo di studio come condizione di ammissibilità. [..] Un ulteriore garanzia, anche a tutela del dipendente, deriva dal fatto che il provvedimento di delega deve essere motivato, potendosi ritenere che l'obbligo della motivazione riguarda innanzitutto, in osservanza ai principi di buon andamento della pubblica amministrazione e di efficacia dell'azione amministrativa, la capacità del dipendente prescelto di sostenere, sotto il profilo della qualificazione professionale, l'esercizio dei compiti assegnatigli» (Balsamo, 66).

Il legislatore ha, inoltre, precisato che non si applica in ogni caso l'articolo 2103 del codice civile, relativo alle mansioni superiori. Ciò appare limitare «la delega a funzioni non prevalenti rispetto a quelle ordinariamente svolte, ma non chiarisce come possa aversi il conferimento di compiti tra categorie professionali diverse (dal dirigente a un impiegato, per restare all'elencazione dell'art. 2095 c.c.), senza che questo comporti una obiettiva trasfigurazione della posizione professionale del delegato» (Golisano, 2584). La norma, peraltro, «sviluppa ulteriormente un indirizzo legislativo di progressiva attenuazione del rigore del divieto di utilizzazione del dipendente pubblico nell'esercizio di mansioni diverse da quelle della qualifica di appartenenza [..] In qualche modo, viene a risultare superata – per la parte relativa alla dirigenza – la disciplina dell'affidamento delle mansioni superiori recata dall'articolo 52 del d.lgs. n. 165/2001, di talché lascia perplessi la convivenza delle due norme. È pur vero che la delega di cui al comma 1-bis dell'art. 17 del d.lgs. n. 165/2001 si configura come attribuzione parziale delle funzioni dirigenziali; e, però, tutte le volte in cui i compiti in concreto delegati consistano nella parte «prevalente sotto il profilo qualitativo, quantitativo e temporale», di quelli propri del ruolo dirigenziale, la concorrenza delle due norme risulta di per se problematica. Ciò con specifico riguardo al trattamento economico spettante al delegato, dal momento che, mentre il comma 1-bis esclude l'applicazione dell'articolo 2103 del codice civile (e quindi, sembrerebbe, anche il diritto al trattamento economico corrispondente all'attività svolta), la norma generale recata dall'articolo 52 tiene fermo il diritto agli emolumenti previsti per la qualifica superiore» (Balsamo, 66-67). Secondo altra parte della dottrina, non esisterebbe contraddizione tra l'art. 17, comma 1-bis e l'art. 52 del d.lgs. n. 165/2001 «poiché le due norme regolamentano ipotesi diverse di affidamento di mansioni superiori: a) l'art. 17, comma 1-bis disciplina l‘assegnazione (straordinaria e temporanea) di parte dei compiti spettanti al dirigente; tra il dipendente (delegato) e il dirigente (delegante) non esiste alcuna contiguità di qualifica, profilo, area o livello, né di mansioni, posto che la carriera dirigenziale non si configura come una progressione dalle posizioni funzionali subordinate; b) l'art. 52 disciplina l'assegnazione di mansioni superiori tra qualifiche, profili, aree o livelli tra loro comunicanti nel c.d. inquadramento unico che consente, per effetto dello sviluppo professionale o di procedure concorsuali o selettive, una osmosi tra le posizioni funzionali» (Golisano, 2582). Si opina che dell'esercizio delle competenze dirigenziali delegate si terrà eventualmente conto solo in sede di valutazione e attribuzione di compensi accessori.

Resta, comunque, nella valutazione discrezionale e nella responsabilità di risultato del dirigente l'apprezzamento della opportunità di operare o meno la delega ovvero di revocarla. È stato anche affermato che la revoca potrebbe ammettersi anche in forma tacita. Infatti, «la forma scritta, per quanto riguarda l'atto di conferimento della delega, serve a fine di certezza giuridica circa il contenuto delle funzioni e dei poteri delegati, nonché in ordine alla motivazione del conferimento. La revoca è, invece, un atto di rimozione dell'intero assetto organizzatorio definito con la delega, poiché interviene su un oggetto predeterminato. Dovrebbe ritenersi ammissibile, quindi, la revoca tacita o implicita quando il dirigente compia personalmente gli atti che rientrano nelle funzioni delegate al subordinato» (Golisano, 2584).

Dal canto suo, la giurisprudenza contabile ha sottolineato che la delega di competenze rientranti nelle funzioni dirigenziali, «come delineata dal legislatore, costituisca un atto discrezionale di natura organizzatoria previsto per sopperire a particolari esigenze degli uffici gravati da particolari carichi di lavoro, in presenza di specifiche e comprovate esigenze di servizio, in funzione di un alleggerimento e snellimento dell'azione amministrativa». Quindi, la presenza di gravi carenze nell'organico dei dirigenti di una amministrazione non è una giustificazione sufficiente per utilizzare impropriamente la delega prevista dall'art. 17 comma 1-bis d.lgs. n. 165/2001. Infatti, «in assenza della doverosa copertura dell'organico dirigenziale del Dicastero, occorre utilizzare gli strumenti approntati dall'ordinamento a fronte delle carenze di organico. In particolare, per quanto riguarda gli uffici dirigenziali di livello non generale, tali strumenti comportano il trasferimento di tutte le attribuzioni dell'ufficio al soggetto incaricato (es. interim, reggenza)». Ne segue la illegittimità dell'utilizzo per le finalità sopraelencate dell'istituto della delega di funzioni a funzionari non dirigenti dell'amministrazione previsto dall'art. 17 comma 1-bis cit. (previsto per ipotesi e finalità tassative), «per di più da parte di un soggetto, il direttore generale, non titolare del potere specifico spettante, in base all'espressa disposizione normativa, al dirigente di seconda fascia» (C. conti sez. centrale contr., n. 7/2005).

Come accennato, l'art. 17, comma 1-bis, d.lgs. n. 165/2001 esclude, poi, in radice, dalle competenze delegabili:

– quelle già delegate ai dirigenti sottordinati da parte dei dirigenti preposti ad uffici dirigenziali sovraordinati (cfr. la lett. c dell'art. 17, comma 1, del decreto n. 165), previsione che conferma legislativamente il generale principio del divieto di subdelega;

– le competenze «partecipative» legate alla formulazione di proposte e di pareri resi dai dirigenti ai titolari degli uffici dirigenziali generali (cfr. sia la lett. a che la d-bis dell'art. 17, comma 1);

– i profili legati alla valutazione del personale (lett. e-bis).

Pur in assenza di una espressa indicazione in senso negativo, ragioni sistematiche adombrano qualche problematicità, in concreto, per la delega delle competenze relative alla lettera d) dell'art. 17, comma 1 – ossia la direzione, coordinamento e controllo dell'attività degli uffici dipendenti e dei responsabili dei procedimenti amministrativi, anche con poteri sostitutivi in caso di inerzia. Dubbi sono stati espressi, in particolare, sulla possibilità, per il dirigente, di delegare tali funzioni in capo ai medesimi dipendenti cui è già affidata una quota di responsabilità organizzativa negli uffici (ad esempio attraverso l'istituto contrattuale delle posizioni organizzative) o la responsabilità di alcuni procedimenti; in tal caso, infatti, nella medesima persona fisica, coinciderebbero sia lo svolgimento che il controllo sullo svolgimento delle attività.

Nessuna precisazione viene offerta dalla legge riguardo la durata della delega, salvo il riferimento alle «specifiche e comprovate ragioni di servizio» che la giustificano. Il termine di durata dovrebbe, quindi, essere correlato, logicamente, alla permanenza delle ragioni medesime. La durata massima della delega non sembra, peraltro, poter eccedere quella dell'incarico dirigenziale del soggetto che la abbia conferita, con conseguente azzeramento, o decadenza, delle deleghe in caso di sostituzione del dirigente delegante.

Sul punto T.A.R. Toscana III, n. 1576/2017 ha statuito che «la stabile attribuzione a funzionari privi qualifica dirigenziale del compito di adottare atti amministrativi con rilevanza esterna contrasta con il disposto dell'art. 17, comma 1-bis, del d.lgs. n. 165/2001. la norma (avente rango legislativo e non derogabile da parte della contrattazione collettiva in quanto afferente profili organizzativi) trova il proprio antecedente nelle disposizioni del d.lgs. n. 29/1993 (vigente all'epoca della adozione del provvedimento impugnato) che attribuivano ai dirigenti tutti i compiti di rilevanza esterna (art. 3 comma 2) e precludevano la stabile attribuzione di mansioni superiori a funzionari privi della menzionata qualifica (art. 57)». Sempre secondo quanto evidenziato dalla giurisprudenza del T.A.R. toscano, «gli atti adottati dai funzionari ai quali sono state illegalmente attribuite funzioni dirigenziali debbano considerarsi affetti da nullità strutturale per mancanza di elementi essenziali ai sensi dell'art. 21-septies della l. 241 del 1990. La valida investitura dell'autore del provvedimento costituisce, infatti, un requisito senza il quale la volontà da egli espressa non può essere riferita alla amministrazione, costituendo le qualità professionali di chi emana l'atto una essenziale garanzia per il cittadino che entra in contatto con la p.a. (Cass. 9 novembre 2015, n. 22800; Cass. 2 dicembre 2015 n. 24492)» (T.A.R. Toscana III, n. 331/2016). Ulteriore specificazione è offerta con riferimento al rapporto tra responsabile del procedimento e soggetto competente all'adozione del provvedimento finale del procedimento stesso: «l'art. 6, comma 1, lett. e) della l. n. 241/1990 è chiaro nello stabilire che il responsabile del procedimento, curata l'istruttoria della quale è dominus, «adotta, ove ne abbia la competenza, il provvedimento finale, ovvero trasmette gli atti all'organo competente per l'adozione»; la suddetta previsione disciplinare ribadisce che l'adozione del provvedimento finale spetta all'organo che ne ha per legge la competenza (cioè il dirigente, salvi gli eccezionali casi di competenza degli organi politici), mentre l'adozione del provvedimento finale può aversi da parte del responsabile del procedimento solo «ove ne abbia la competenza», cioè ove il responsabile del procedimento coincida con il dirigente dell'ufficio, ovvero si sia visto attribuire la relativa competenza a mezzo degli strumenti giuridici all'uopo previsti dall'ordinamento, ricorrendone i presupposti di legge (delega delle funzioni, delega di firma ecc.) (T.A.R. Toscana III, n. 1700/2015).

Quanto alla durata minima, si dovrebbe escludere che la delega possa venire attribuita in relazione ad un unico affare: una tale delega rischierebbe di prestarsi ad un uso distorto, quale strumento di interposizione fittizia di persona, non consentendo al delegato una qualsivoglia attività di pianificazione e/o un effettivo esercizio delle attribuzioni (ridotto ad una dimensione episodica).

Nulla viene detto, infine, circa la possibilità di un rinnovo della delega. Una indefinita facoltà di rinnovo appare comunque contraddetta dal riferimento alla delegabilità delle competenze «per un periodo di tempo determinato».

La delega di firma

Resta da sottolineare l'estraneità all'istituto della delega di competenze comprese nelle funzioni dirigenziali della cd. delega di firma. Attraverso quest'ultima, il responsabile dell'adozione di un provvedimento amministrativo individua semplicemente un dipendente del proprio ufficio il quale provvederà all'apposizione materiale della firma sul provvedimento finale, fattispecie che qualche commentatore neppure ritiene una vera e propria delega. Resta ferma l'imputabilità e la responsabilità del provvedimento in capo al delegante. Le differenze tra i due istituti sono ben esemplificate dal rapporto tra dirigente delegante/atti delegati/possibilità di ricorso gerarchico. Se la soluzione preferibile nell'ambito della delega di funzioni è quella che ammette l'esperibilità del ricorso gerarchico, una soluzione di segno opposto si impone, invece, nel caso in cui sussiste una delega di firma. Mancando, infatti, il trasferimento dell'esercizio del potere, con la delega di firma il provvedimento finale risulta avere le stesse caratteristiche che avrebbe avuto qualora fosse stato emanato direttamente dal delegante (cfr. T.A.R. Toscana III, n. 3372/2002).

Bibliografia

Balsamo, Organizzazione flessibile e meno vincoli per l'attribuzione delle funzioni dirigenziali, in Guida agli enti locali, 2002, 37, 66; Caruso, Le dirigenze pubbliche tra nuovi poteri e responsabilità (Il ridisegno della governance nella p.a. italiane), in csdle.lex.unict.it, 2010; Golisano, La delega di funzioni dirigenziali, in Nuova rass., 2002, 23-24, 2579; Saffioti, Dirigenti degli enti locali e delega delle funzioni, in Comuni d'Italia, 1999, 6, 882; Tamasia, Dall'esercizio della delega al controllo: così nasce il nuovo modello di direzione, in Guida agli enti locali, 2000, 20, 83.

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