Decreto legislativo - 30/03/2001 - n. 165 art. 53 - Incompatibilità, cumulo di impieghi e incarichi (A) ( Art. 58 del d.lgs n. 29 del 1993 , come modificato prima dall' art. 2 del decreto legge n. 358 del 1993 , convertito dalla legge n. 448 del 1993 , poi dall' art. 1 del decreto legge n. 361 del 1995 , convertito con modificazioni dalla legge n. 437 del 1995 , e, infine, dall' art. 26 del d.lgs n. 80 del 1998 , nonché dall' art. 16 del d.lgs n. 387 del 1998 )Incompatibilità, cumulo di impieghi e incarichi (A) (Art. 58 del d.lgs n. 29 del 1993, come modificato prima dall'art. 2 del decreto legge n. 358 del 1993, convertito dalla legge n. 448 del 1993, poi dall'art. 1 del decreto legge n. 361 del 1995, convertito con modificazioni dalla legge n. 437 del 1995, e, infine, dall'art. 26 del d.lgs n. 80 del 1998, nonché dall'art. 16 del d.lgs n. 387 del 1998) 1. Resta ferma per tutti i dipendenti pubblici la disciplina delle incompatibilità dettata dagli articoli 60 e seguenti del testo unico approvato con decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3, salva la deroga prevista dall'articolo 23-bis del presente decreto, nonché, per i rapporti di lavoro a tempo parziale, dall' articolo 6, comma 2, del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 17 marzo 1989, n. 117 e dall' articolo 1, commi 57 e seguenti della legge 23 dicembre 1996, n. 662. Restano ferme altresì le disposizioni di cui agli articoli 267, comma 1, 273, 274, 508 nonché 676 del decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297, all'articolo 9, commi 1 e 2, della legge 23 dicembre 1992, n. 498, all'articolo 4, comma 7, della legge 30 dicembre 1991, n. 412, ed ogni altra successiva modificazione ed integrazione della relativa disciplina 12. 1-bis. Non possono essere conferiti incarichi di direzione di strutture deputate alla gestione del personale a soggetti che rivestano o abbiano rivestito negli ultimi due anni cariche in partiti politici o in organizzazioni sindacali o che abbiano avuto negli ultimi due anni rapporti continuativi di collaborazione o di consulenza con le predette organizzazioni 3. 2. Le pubbliche amministrazioni non possono conferire ai dipendenti incarichi, non compresi nei compiti e doveri di ufficio, che non siano espressamente previsti o disciplinati da legge o altre fonti normative, o che non siano espressamente autorizzati 4. 3. Ai fini previsti dal comma 2, con appositi regolamenti, da emanarsi ai sensi dell'articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, sono individuati gli incarichi consentiti e quelli vietati ai magistrati ordinari, amministrativi, contabili e militari, nonché agli avvocati e procuratori dello Stato, sentiti, per le diverse magistrature, i rispettivi istituti. 3-bis. Ai fini previsti dal comma 2, con appositi regolamenti emanati su proposta del Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione, di concerto con i Ministri interessati, ai sensi dell'articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, e successive modificazioni, sono individuati, secondo criteri differenziati in rapporto alle diverse qualifiche e ruoli professionali, gli incarichi vietati ai dipendenti delle amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1, comma 2 5. 4. Nel caso in cui i regolamenti di cui al comma 3 non siano emanati, l'attribuzione degli incarichi è consentita nei soli casi espressamente previsti dalla legge o da altre fonti normative. 5. In ogni caso, il conferimento operato direttamente dall'amministrazione, nonché l'autorizzazione all'esercizio di incarichi che provengano da amministrazione pubblica diversa da quella di appartenenza, ovvero da società o persone fisiche, che svolgano attività d'impresa o commerciale, sono disposti dai rispettivi organi competenti secondo criteri oggettivi e predeterminati, che tengano conto della specifica professionalità, tali da escludere casi di incompatibilità, sia di diritto che di fatto, nell'interesse del buon andamento della pubblica amministrazione o situazioni di conflitto, anche potenziale, di interessi, che pregiudichino l'esercizio imparziale delle funzioni attribuite al dipendente 6. 6. I commi da 7 a 13 del presente articolo si applicano ai dipendenti delle amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1, comma 2, compresi quelli di cui all'articolo 3, con esclusione dei dipendenti con rapporto di lavoro a tempo parziale con prestazione lavorativa non superiore al cinquanta per cento di quella a tempo pieno, dei docenti universitari a tempo definito e delle altre categorie di dipendenti pubblici ai quali è consentito da disposizioni speciali lo svolgimento di attività libero-professionali. Sono nulli tutti gli atti e provvedimenti comunque denominati, regolamentari e amministrativi, adottati dalle amministrazioni di appartenenza in contrasto con il presente comma. Gli incarichi retribuiti, di cui ai commi seguenti, sono tutti gli incarichi, anche occasionali, non compresi nei compiti e doveri di ufficio, per i quali è previsto, sotto qualsiasi forma, un compenso. Sono esclusi i compensi e le prestazioni 7: a) dalla collaborazione a giornali, riviste, enciclopedie e simili; b) dalla utilizzazione economica da parte dell'autore o inventore di opere dell'ingegno e di invenzioni industriali; c) dalla partecipazione a convegni e seminari; d) da incarichi per i quali è corrisposto solo il rimborso delle spese documentate; e) da incarichi per lo svolgimento dei quali il dipendente è posto in posizione di aspettativa, di comando o di fuori ruolo; f) da incarichi conferiti dalle organizzazioni sindacali a dipendenti presso le stesse distaccati o in aspettativa non retribuita. f-bis) da attivita' di formazione diretta ai dipendenti della pubblica amministrazione nonche' di docenza e di ricerca scientifica 8; f-ter) dalle prestazioni di lavoro sportivo, fino all'importo complessivo di 5.000 euro annui, per le quali è sufficiente la comunicazione preventiva 9. 7. I dipendenti pubblici non possono svolgere incarichi retribuiti che non siano stati conferiti o previamente autorizzati dall'amministrazione di appartenenza. Ai fini dell'autorizzazione, l'amministrazione verifica l'insussistenza di situazioni, anche potenziali, di conflitto di interessi. Con riferimento ai professori universitari a tempo pieno, gli statuti o i regolamenti degli atenei disciplinano i criteri e le procedure per il rilascio dell'autorizzazione nei casi previsti dal presente decreto. In caso di inosservanza del divieto, salve le più gravi sanzioni e ferma restando la responsabilità disciplinare, il compenso dovuto per le prestazioni eventualmente svolte deve essere versato, a cura dell'erogante o, in difetto, del percettore, nel conto dell'entrata del bilancio dell'amministrazione di appartenenza del dipendente per essere destinato ad incremento del fondo di produttività o di fondi equivalenti 10. 7-bis. L'omissione del versamento del compenso da parte del dipendente pubblico indebito percettore costituisce ipotesi di responsabilita' erariale soggetta alla giurisdizione della Corte dei conti 11. 8. Le pubbliche amministrazioni non possono conferire incarichi retribuiti a dipendenti di altre amministrazioni pubbliche senza la previa autorizzazione dell'amministrazione di appartenenza dei dipendenti stessi. Salve le più gravi sanzioni, il conferimento dei predetti incarichi, senza la previa autorizzazione, costituisce in ogni caso infrazione disciplinare per il funzionario responsabile del procedimento; il relativo provvedimento è nullo di diritto. In tal caso l'importo previsto come corrispettivo dell'incarico, ove gravi su fondi in disponibilità dell'amministrazione conferente, è trasferito all'amministrazione di appartenenza del dipendente ad incremento del fondo di produttività o di fondi equivalenti. 9. Gli enti pubblici economici e i soggetti privati non possono conferire incarichi retribuiti a dipendenti pubblici senza la previa autorizzazione dell'amministrazione di appartenenza dei dipendenti stessi. Ai fini dell'autorizzazione, l'amministrazione verifica l'insussistenza di situazioni, anche potenziali, di conflitto di interessi. In caso di inosservanza si applica la disposizione dell'articolo 6, comma 1, del decreto legge 28 marzo 1997, n. 79, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 maggio 1997, n. 140, e successive modificazioni ed integrazioni. All'accertamento delle violazioni e all'irrogazione delle sanzioni provvede il Ministero delle finanze, avvalendosi della Guardia di finanza, secondo le disposizioni della legge 24 novembre 1981, n. 689, e successive modificazioni ed integrazioni. Le somme riscosse sono acquisite alle entrate del Ministero delle finanze 12. 10. L'autorizzazione, di cui ai commi precedenti, deve essere richiesta all'amministrazione di appartenenza del dipendente dai soggetti pubblici o privati, che intendono conferire l'incarico; può, altresì, essere richiesta dal dipendente interessato. L'amministrazione di appartenenza deve pronunciarsi sulla richiesta di autorizzazione entro trenta giorni dalla ricezione della richiesta stessa. Per il personale che presta comunque servizio presso amministrazioni pubbliche diverse da quelle di appartenenza, l'autorizzazione è subordinata all'intesa tra le due amministrazioni. In tal caso il termine per provvedere è per l'amministrazione di appartenenza di 45 giorni e si prescinde dall'intesa se l'amministrazione presso la quale il dipendente presta servizio non si pronunzia entro 10 giorni dalla ricezione della richiesta di intesa da parte dell'amministrazione di appartenenza. Decorso il termine per provvedere, l'autorizzazione, se richiesta per incarichi da conferirsi da amministrazioni pubbliche, si intende accordata; in ogni altro caso, si intende definitivamente negata13. 11. Entro quindici giorni dall'erogazione del compenso per gli incarichi di cui al comma 6, i soggetti pubblici o privati comunicano all'amministrazione di appartenenza l'ammontare dei compensi erogati ai dipendenti pubblici. Per le prestazioni di lavoro sportivo, le comunicazioni di cui al primo periodo sono effettuate entro i trenta giorni successivi alla fine di ciascun anno di riferimento, in un'unica soluzione, ovvero alla cessazione del relativo rapporto di lavoro se intervenuta precedentemente 14. 12. Le amministrazioni pubbliche che conferiscono o autorizzano incarichi, anche a titolo gratuito, ai propri dipendenti comunicano in via telematica, nel termine di quindici giorni, al Dipartimento della funzione pubblica gli incarichi conferiti o autorizzati ai dipendenti stessi, con l'indicazione dell'oggetto dell'incarico e del compenso lordo, ove previsto. [La comunicazione e' accompagnata da una relazione nella quale sono indicate le norme in applicazione delle quali gli incarichi sono stati conferiti o autorizzati, le ragioni del conferimento o dell'autorizzazione, i criteri di scelta dei dipendenti cui gli incarichi sono stati conferiti o autorizzati e la rispondenza dei medesimi ai principi di buon andamento dell'amministrazione, nonché le misure che si intendono adottare per il contenimento della spesa. Entro il 30 giugno di ciascun anno e con le stesse modalità le amministrazioni che, nell'anno precedente, non hanno conferito o autorizzato incarichi ai propri dipendenti, anche se comandati o fuori ruolo, dichiarano di non aver conferito o autorizzato incarichi] 15. 13. Le amministrazioni di appartenenza sono tenute a comunicare tempestivamente al Dipartimento della funzione pubblica, in via telematica [o su apposito supporto magnetico] , per ciascuno dei propri dipendenti e distintamente per ogni incarico conferito o autorizzato, i compensi [, relativi all'anno precedente,] da esse erogati o della cui erogazione abbiano avuto comunicazione dai soggetti di cui al comma 11 16. 14. Al fine della verifica dell'applicazione delle norme di cui all'articolo 1, commi 123 e 127, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, e successive modificazioni e integrazioni, le amministrazioni pubbliche sono tenute a comunicare al Dipartimento della funzione pubblica, in via telematica, tempestivamente e comunque nei termini previsti dal decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33, i dati di cui agli articoli 15 e 18 del medesimo decreto legislativo n. 33 del 2013, relativi a tutti gli incarichi conferiti o autorizzati a qualsiasi titolo. Le amministrazioni rendono noti, mediante inserimento nelle proprie banche dati accessibili al pubblico per via telematica, gli elenchi dei propri consulenti indicando l'oggetto, la durata e il compenso dell'incarico nonche' l'attestazione dell'avvenuta verifica dell'insussistenza di situazioni, anche potenziali, di conflitto di interessi. Le informazioni relative a consulenze e incarichi comunicate dalle amministrazioni al Dipartimento della funzione pubblica, nonche' le informazioni pubblicate dalle stesse nelle proprie banche dati accessibili al pubblico per via telematica ai sensi del presente articolo, sono trasmesse e pubblicate in tabelle riassuntive rese liberamente scaricabili in un formato digitale standard aperto che consenta di analizzare e rielaborare, anche a fini statistici, i dati informatici. Entro il 31 dicembre di ciascun anno il Dipartimento della funzione pubblica trasmette alla Corte dei conti l'elenco delle amministrazioni che hanno omesso di trasmettere e pubblicare, in tutto o in parte, le informazioni di cui al terzo periodo del presente comma in formato digitale standard aperto. Entro il 31 dicembre di ciascun anno il Dipartimento della funzione pubblica trasmette alla Corte dei conti l'elenco delle amministrazioni che hanno omesso di effettuare la comunicazione, avente ad oggetto l'elenco dei collaboratori esterni e dei soggetti cui sono stati affidati incarichi di consulenza 17. 15. Le amministrazioni che omettono gli adempimenti di cui ai commi da 11 a 14 non possono conferire nuovi incarichi fino a quando non adempiono. I soggetti di cui al comma 9 che omettono le comunicazioni di cui al comma 11 incorrono nella sanzione di cui allo stesso comma 9 18. 16. Il Dipartimento della funzione pubblica, entro il 31 dicembre di ciascun anno, riferisce al Parlamento sui dati raccolti, adotta le relative misure di pubblicità e trasparenza e formula proposte per il contenimento della spesa per gli incarichi e per la razionalizzazione dei criteri di attribuzione degli incarichi stessi 19. 16-bis. La Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento della funzione pubblica puo' disporre verifiche del rispetto delle disposizioni del presente articolo e dell' articolo 1, commi 56 e seguenti, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, per il tramite dell'Ispettorato per la funzione pubblica. A tale fine quest'ultimo opera d'intesa con i Servizi ispettivi di finanza pubblica del Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato 20. 16-ter. I dipendenti che, negli ultimi tre anni di servizio, hanno esercitato poteri autoritativi o negoziali per conto delle pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, non possono svolgere, nei tre anni successivi alla cessazione del rapporto di pubblico impiego, attivita' lavorativa o professionale presso i soggetti privati destinatari dell'attivita' della pubblica amministrazione svolta attraverso i medesimi poteri. I contratti conclusi e gli incarichi conferiti in violazione di quanto previsto dal presente comma sono nulli ed e' fatto divieto ai soggetti privati che li hanno conclusi o conferiti di contrattare con le pubbliche amministrazioni per i successivi tre anni con obbligo di restituzione dei compensi eventualmente percepiti e accertati ad essi riferiti21.
--------------- (A) In riferimento al presente articolo vedi: Circolare Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca 11 aprile 2013 n. 12; Nota Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca 18 aprile 2013 n. 6793; Circolare Ministero della Giustizia 26 giugno 2013, n. 227766; Circolare INPS 16 maggio 2014, n. 62. In riferimento al regime della preventiva autorizzazione per incarico extra-istituzionale , di cui al presente articolo, agli Incarichi conferiti dall'autorità giudiziaria - Applicabilità - Esclusione, vedi : Circolare Ministero della Giustizia 10/01/2019 n. 158044. [1] Comma rettificato con comunicato 16 ottobre 2001(in Gazz. Uff., 16 ottobre 2001, n. 241), e successivamente modificato dall'articolo 3 della legge 15 luglio 2002, n. 145. [2] In riferimento al presente articolo vedi: Circolare CNR 05 aprile 2013 n. 13/2013. [3] Comma inserito dall'articolo 52, comma 1, lettera a), del D.Lgs. 27 ottobre 2009, n. 150. In riferimento al presente comma vedi: Circolare Presidenza del Consiglio dei Ministri n. 11 del 03 settembre 2010. [5] Comma inserito dall'articolo 1, comma 42, lettera a), della Legge 6 novembre 2012, n. 190. [6] Comma modificato dall'articolo 1, comma 42, lettera b), della Legge 6 novembre 2012, n. 190. [7] Alinea modificato dall'articolo 2, comma 13-quinquies, lettera a), del D.L. 31 agosto 2013, n. 101, convertito, con modificazioni, dalla Legge 30 ottobre 2013, n. 125, successivamente dall'articolo 15, comma 2-bis, del D.L. 16 luglio 2020, n. 76, convertito, con modificazioni, dalla Legge 11 settembre 2020, n. 120e da ultimo dall'articolo 15, comma 2, del D.L. 16 luglio 2020, n. 76, convertito con modificazioni dalla Legge 11 settembre 2020, n. 120. [8] Lettera aggiunta dall'articolo 7-novies del D.L. 31 gennaio 2005, n. 7 e, successivamente, modificata dall'articolo 2, comma 13-quinquies, lettera b), del D.L. 31 agosto 2013, n. 101, convertito, con modificazioni, dalla Legge 30 ottobre 2013, n. 125. [9] Lettera aggiunta dall'articolo 3, comma 1, lettera a), del D.L. 31 maggio 2024, n. 71, convertito con modificazioni dalla Legge 29 luglio 2024, n. 106. [10] Comma modificato dall'articolo 1, comma 42, lettera c), della Legge 6 novembre 2012, n. 190. [11] Comma inserito dall'articolo 1, comma 42, lettera d), della Legge 6 novembre 2012, n. 190. [12] Comma modificato dall'articolo 1, comma 42, lettera c), della Legge 6 novembre 2012, n. 190. [13] Per la rideterminazione dei termini di cui al presente comma, vedi l'articolo 2, comma 7, del D.L. 30 aprile 2022, n. 36, convertito con modificazioni dalla Legge 29 giugno 2022, n. 79. [14] Comma sostituito dall'articolo 1, comma 42, lettera e), della Legge 6 novembre 2012, n. 190 e successivamente modificato dall'articolo 3, comma 1, lettera b), del D.L. 31 maggio 2024, n. 71, convertito con modificazioni dalla Legge 29 luglio 2024, n. 106. [15] Comma modificato dall'articolo 1, comma 42, lettera f), della Legge 6 novembre 2012, n. 190 e successivamente dall'articolo 8, comma 1, lettera a), del D.Lgs. 25 maggio 2017, n. 75. [16] Comma modificato dall'articolo 1, comma 42, lettera g), della Legge 6 novembre 2012, n. 190 e successivamente dall'articolo 8, comma 1, lettera b), del D.Lgs. 25 maggio 2017, n. 75. [17] Comma modificato dall'articolo 34 del D.L. 4 luglio 2006, n. 223 e successivamente dall'articolo 61, comma 4, del D.L. 25 giugno 2008, n. 112, come modificato dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, in sede di conversione, dall'articolo 1, comma 42, lettere h) ed i), della Legge 6 novembre 2012, n. 190 e da ultimo dall'articolo 8, comma 1, lettera c), del D.Lgs. 25 maggio 2017, n. 75. [18] La Corte Costituzionale, con sentenza 29 aprile 2015 (in Gazz. Uff., 10 giugno 2015, n. 23), ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale del presente comma, nella parte in cui prevede che «I soggetti di cui al comma 9 che omettono le comunicazioni di cui al comma 11 incorrono nella sanzione di cui allo stesso comma 9». [19] Comma modificato dall'articolo 34 del D.L. 4 luglio 2006, n. 223. [20] Comma aggiunto dall'articolo 47 del D.L. 25 giugno 2008, n. 112 e successivamente sostituito dall'articolo 52, comma 1, lettera b), del D.Lgs. 27 ottobre 2009, n. 150. [21] Comma aggiunto dall'articolo 1, comma 42, lettera l), della Legge 6 novembre 2012, n. 190. Vedi inoltre il comma 43 del medesimo articolo 1 della Legge n. 190 del 2012. InquadramentoIl rapporto di lavoro con le amministrazioni pubbliche è storicamente caratterizzato, a differenza di quello con l'impresa privata, dal regime delle incompatibilità, in base al quale al dipendente pubblico è preclusa la possibilità di svolgere determinate attività in costanza di rapporto di lavoro. Il fondamento di tale divieto, che permane anche in un sistema «contrattualizzato» e rimarca la peculiarità dell'impiego alle dipendenze delle P.A., si rinviene nel principio costituzionale di esclusività della prestazione lavorativa a favore del datore di lavoro pubblico, espresso dall'art. 98, comma 1 Cost., in forza del quale «i pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della Nazione». La norma, da intendersi nel senso che i dipendenti pubblici non devono essere portatori di interessi partigiani alternativi o configgenti a quelli della pubblica amministrazione, è funzionale alla realizzazione dei principi di buon andamento ed imparzialità dell'amministrazione (art. 97 Cost.) Centri di interesse alternativi all'ufficio pubblico rivestito, implicanti attività caratterizzate da intensità, continuità e professionalità, potrebbero, infatti, turbare la regolarità del servizio o attenuare l'indipendenza del lavoratore e il prestigio della pubblica amministrazione. Un simile obbligo di esclusività non è rinvenibile nell'impiego privato, per il quale il codice civile si limita a vietare esclusivamente attività extralavorative del dipendente che si pongano in concorrenza con l'attività del datore di lavoro (art. 2105 c.c.). Solo in tale evenienza il lavoratore privato si espone a forme di responsabilità disciplinare (art. 2106 c.c.), mentre ogni altro «doppio lavoro» è compatibile. Peraltro, già la l. n. 421/1992, legge delega all'origine della privatizzazione, all'art. 2, comma 1, lett. c), include tra le sette materie riservate espressamente alla legge ed alle fonti normative secondarie quella relativa alla disciplina della responsabilità e delle incompatibilità tra l'impiego pubblico ed altre attività ed i casi di divieto di cumulo di impieghi e incarichi pubblici (Busico, 2-3). La sottrazione di tale materia, benché non sia estranea all'ambito del rapporto di lavoro, alla fonte collettiva (confermata dall'art. 40, comma 1, del decreto n. 165) si giustifica per la considerazione che la disciplina delle incompatibilità attiene alla sussistenza di quei requisiti di indipendenza e totale disponibilità indispensabili alla costituzione del rapporto di lavoro pubblico (Cass. sez. lav., n. 7343/2010). La normativa di riferimento è costituita dall'art. 53 del d.lgs. n. 165/2001, che richiama altre disposizioni precedenti e, in particolare, gli artt. 60 e seguenti del d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3 e l'art. 1, commi 57 e seguenti, della l. 23 dicembre 1996, n. 662 (restando ferme ulteriori specifiche disposizioni in materia di istruzione, enti lirici e istituzioni concertistiche, Servizio sanitario nazionale). Le suddette disposizioni operano una tripartizione tra: 1) incompatibilità assolute; 2) attività autorizzabili; 3) attività sottratte all'autorizzazione. Le incompatibilità assolute.La normativa base che disciplina le incompatibilità assolute è data dagli artt. 60 e seguenti del d.P.R. n. 3/1957, cui rinvia l'art. 53, comma 1, del d.lgs. n. 165/2001. In base all'art. 60 del d.P.R. n. 3/1957 ai dipendenti pubblici è precluso lo svolgimento di: 1) attività industriali; 2) attività commerciali; 3) attività professionali. Benché non espressamente menzionata dalla legge, deve ritenersi incompatibile anche l'attività artigianale, in quanto l'art. 60 del d.P.R. n. 3/1957 mira ad assicurare alle amministrazioni in via esclusiva l'attività dei dipendenti, per cui è irrilevante se l'impresa sia artigiana secondo la definizione dell'art. 2083 c.c. o rientrante nella definizione dell'art. 2082 c.c., essendo anche l'impresa artigiana organizzata ai fini produttivi. Da segnalare, invece, l'art. 6, commi 9, 10 e 12 della l. 30 dicembre 2010, n. 240, che fa comunque salva la possibilità di «costituire società con caratteristiche di spin off e start up universitari», ritenendo compatibili queste ipotesi con l'attività di docenza svolta presso l'ateneo di professori e ricercatori. Non essendo l'attività agricola citata, si è posto il problema della compatibilità dell'esercizio della stessa con lo status di impiegato pubblico. Sul punto si sono pronunciati il Dipartimento della Funzione pubblica (circolare 18 luglio 1997 n. 6) e la giurisprudenza (T.A.R. Umbria, n. 168/2000; T.A.R. Basilicata, n. 195/2003), che hanno ritenuto possibile la partecipazione del dipendente pubblico in società agricole a conduzione familiare, purché l'impegno risulti modesto, non abituale o continuato. Lo status di pubblico dipendente è, inoltre, incompatibile con l'assunzione di cariche gestionali in società costituite a fini di lucro (amministratore, consigliere, sindaco, liquidatore), mentre la mera titolarità di azioni con conseguente acquisizione dello status di socio risulta compatibile. L'assunzione di cariche sociali in società cooperative è, invece, consentita ai dipendenti pubblici, stante la prevalente finalità mutualistica, quale che sia la natura e l'attività della cooperativa (art. 61 d.P.R. n. 3/1957, che aggiungae anche che l'impiegato può essere prescelto come perito od arbitro previa autorizzazione). L'incompatibilità è esclusa laddove si tratti di cariche in società o enti per le quali la nomina è riservata allo Stato e sia all'uopo intervenuta l'autorizzazione. La giurisprudenza rileva come l'incompatibilità, prevista per i dipendenti delle amministrazioni pubbliche dagli artt. 60 del t.u. 3/1957 e 53 del d.lgs. n. 165/2001, fonda la propria ratio sulla opportunità di evitare le disfunzioni e gli inconvenienti, che deriverebbero all'Amministrazione dal fatto che il proprio personale, anche rivestendo cariche sociali presso società di diritto privato, si dedichi ad attività imprenditoriali, caratterizzate da un nesso inscindibile fra lavoro, rischio e profitto, nonché sull'eminente considerazione in termini di esclusività dall'apporto professionale dell'impiegato pubblico. Il rispetto della disciplina in tema di incompatibilità si configura come atto di gestione del rapporto, rientrante nella competenza giurisdizionale del giudice ordinario (Cons. St. IV, n. 3618/2004). Ulteriore genere di incompatibilità assoluta è, in via generale, la titolarità di un altro rapporto di lavoro dipendente, sia con un datore di lavoro privato, sia alle dipendenze di un'altra pubblica amministrazione. Da segnalare che per i dipendenti contrattualizzati i contratti collettivi di vari comparti consentono di richiedere all'amministrazione di appartenenza l'aspettativa, senza retribuzione e senza decorrenza dell'anzianità, per la durata del periodo di prova nel caso di superamento delle prove di concorso presso altra amministrazione. L'inosservanza del divieto di cui all'art. 60 del d.P.R. n. 3/1957 comporta, sul piano procedurale, in base all'art. 63 del d.P.R. medesimo, una previa diffida volta a far cessare l'incompatibilità e, quindi, in caso di inottemperanza alla diffida, la decadenza dall'impiego Tale misura, per la giurisprudenza della Cassazione (ex multis, Cass. sez. lav., n. 17437/2012 e Cass. sez. lav., n. 617/2015), non ha natura disciplinare. La decadenza, nel caso di mancata rimozione della causa di incompatibilità, è del tutto automatica: essa non è la conseguenza di un inadempimento, bensì scaturisce dalla perdita di quei requisiti di indipendenza e di totale disponibilità, che, se fossero mancati ab origine, avrebbero precluso la stessa costituzione del rapporto di lavoro. Qualora, invece, il dipendente ottemperi alla diffida, cessando dalla situazione di incompatibilità, restano, comunque, fermi i riflessi disciplinari della (temporanea) inosservanza del divieto, come si desume dal chiaro dettato dell'art. 63 del d.P.R. n. 3/1957, secondo il quale «la circostanza che l'impiegato abbia obbedito alla diffida non preclude l'eventuale azione disciplinare». L'incompatibilità inerente le strutture deputate alla gestione del personale.L'art. 52 del d.lgs. n. 150/2009 ha dato corpo ad uno specifico divieto riferito al conferimento di incarichi di direzione di strutture deputate alla gestione del personale. Inserendo un nuovo comma 1-bis nell'art. 53 del d.lgs 165/2001, il legislatore delegato ha previsto che i predetti incarichi non possono essere conferiti «a soggetti che rivestano o abbiano rivestito negli ultimi due anni cariche in partiti politici o in organizzazioni sindacali o che abbiano avuto negli ultimi due anni rapporti continuativi di collaborazione o di consulenza con le predette organizzazioni». La norma in commento dà attuazione della previsione di cui alla lettera m), del comma 2, dell'art. 6 della l. delega 15/2009, che impegnava il legislatore delegato a «rivedere la disciplina delle incompatibilità per i dirigenti pubblici e rafforzarne l'autonomia rispetto alle organizzazioni rappresentative dei lavoratori e all'autorità politica», garantendo le precondizioni per assicurare la garanzia della funzione pubblica, affinché l'azione del dirigente sia neutrale e disinteressata e quindi non sia sviata o influenzata da interessi diversi da quello pubblico all'imparzialità e al buon andamento. Gli incarichi autorizzabili.L'art. 53 del d.lgs. n. 165/2001 regolamenta anche le attività non vietate, ma sottoposte ad un regime autorizzatorio. In particolare, il comma 2 dispone che le pubbliche amministrazioni non possono conferire ai dipendenti incarichi, non compresi nei compiti e doveri di ufficio, che non siano espressamente previsti o disciplinati da legge o altre fonti normative, o che non siano espressamente autorizzati. Conseguentemente, la legge dispone che: – ai fini previsti dal comma 2, con appositi regolamenti, da emanarsi ai sensi dell'art. 17, comma 2, l. n. 400/1988, sono individuati gli incarichi consentiti e quelli vietati ai magistrati ordinari, amministrativi, contabili e militari, nonché agli avvocati e procuratori dello Stato, sentiti, per le diverse magistrature, i rispettivi istituti; laddove i regolamenti non siano emanati, l'attribuzione degli incarichi è consentita nei soli casi espressamente previsti dalla legge o da altre fonti normative (commi 3 e 4); – con appositi regolamenti emanati su proposta del Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione, di concerto con i Ministri interessati, ai sensi dell'art. 17, comma 2, l. n. 400/1988, sono individuati, secondo criteri differenziati in rapporto alle diverse qualifiche e ruoli professionali, gli incarichi vietati ai dipendenti pubblici (comma 3-bis); – in ogni caso, il conferimento operato direttamente dall'amministrazione, nonché l'autorizzazione all'esercizio di incarichi che provengano da amministrazione pubblica diversa da quella di appartenenza, ovvero da società o persone fisiche, che svolgano attività d'impresa o commerciale, sono disposti dai rispettivi organi competenti secondo criteri oggettivi e predeterminati, che tengano conto della specifica professionalità, tali da escludere casi di incompatibilità, sia di diritto che di fatto, nell'interesse del buon andamento della pubblica amministrazione o situazioni di conflitto, anche potenziale, di interessi, che pregiudichino l'esercizio imparziale delle funzioni attribuite al dipendente (comma 5). La norma nel riferirisi a criteri oggettivi e predeterminati che tengano conto della specifica professionalità, esclude la legittimità di criteri basati su meri automatismi fondati sul fattore quantitativo, Al fine di supportare le amministrazioni nell'applicazione della normativa in materia di svolgimento di incarichi da parte dei dipendenti e di orientare le scelte in sede di elaborazione dei regolamenti e degli atti di indirizzo di cui ai commi 2, 3-bis e 5 dell'art. 53 d.lgs. n. 165/2001, il tavolo tecnico a cui hanno partecipato il Dipartimento della funzione pubblica, la Conferenza delle Regioni e delle Province autonome, l'ANCI e l'UPI, avviato ad ottobre 2013, in attuazione di quanto previsto dall'intesa sancita in Conferenza unificata il 24 luglio 2013, ha approvato un documento contenente “Criteri generali in materia di incarichi vietati ai pubblici dipendenti”. Il documento contiene l'esemplificazione di una serie di situazioni di incarichi vietati per i pubblici dipendenti non esaustivi dei casi di preclusione, Per i pubblici dipendenti il comma 7 dell'art. 53 dispone, al contempo, il divieto di svolgere incarichi retribuiti che non siano stati conferiti o previamente autorizzati dall'amministrazione di appartenenza. Per l'autorizzazione, l'amministrazione verifica l'insussistenza di situazioni, anche potenziali, di conflitto di interessi. Con riferimento ai professori universitari a tempo pieno, gli statuti o i regolamenti degli atenei disciplinano i criteri e le procedure per il rilascio dell'autorizzazione nei casi previsti dal decreto n. 165. Ai sensi del comma 6 dell'art. 53, per incarichi retribuiti vanno intesi tutti gli incarichi, anche occasionali, non compresi nei compiti e doveri di ufficio, per i quali è previsto, sotto qualsiasi forma, un compenso. Le disposizioni relative si applicano a tutti i dipendenti pubblici, contrattualizzati e non, con esclusione dei dipendenti con rapporto di lavoro a tempo parziale con prestazione lavorativa non superiore al cinquanta per cento di quella a tempo pieno, dei docenti universitari a tempo definito e delle altre categorie di dipendenti pubblici ai quali è consentito da disposizioni speciali lo svolgimento di attività libero-professionali. Sono nulli tutti gli atti e provvedimenti comunque denominati, regolamentari e amministrativi, adottati dalle amministrazioni di appartenenza in contrasto con la disciplina legale. La ratio del regime autorizzatorio, quale ragionevole e motivata deroga alla regola dell'esclusività del rapporto di lavoro pubblico, va rinvenuta nella necessità-opportunità di consentire ai pubblici dipendenti occasionali incarichi retribuiti. La formulazione dei commi 6 e seguenti del citato art. 53 delinea «la volontà del Legislatore di controllare con il vincolo della preventiva autorizzazione ogni incarico, ulteriore rispetto ai doveri d'ufficio e non assegnato per legge, che sia in qualunque modo compensato con un'erogazione in denaro, indipendentemente dal fatto che lo stesso rivesta o meno natura professionale o che sia retribuito secondo il principio della corrispettività. Il fatto che il limite della preventiva autorizzazione sia svincolato dal concetto di retribuzione o corrispettivo tout court si evince chiaramente dal testo del c. 6 in cui si è sentito il bisogno di sottolineare che gli incarichi retribuiti, di cui ai commi seguenti, fatti salvi quelli espressamente esclusi, sono tutti gli incarichi, anche occasionali, non compresi nei compiti e doveri d'ufficio, per i quali è previsto, sotto qualsiasi forma, un compenso (Trib. Torre Annunziata, sez. lav., ord. n. 4565/2005). Sul piano procedurale l'art. 53, comma 10, regola le modalità di richiesta e di rilascio dell'autorizzazione: la richiesta deve essere presentata all'amministrazione di appartenenza del dipendente dai soggetti pubblici o privati che intendono conferire l'incarico, ma può, altresì, provvedere il dipendente interessato. L'amministrazione di appartenenza deve pronunciarsi sulla richiesta di autorizzazione entro trenta giorni dalla ricezione della richiesta stessa. Per il personale che presta comunque servizio presso amministrazioni pubbliche diverse da quelle di appartenenza, l'autorizzazione è subordinata all'intesa tra le due amministrazioni. In tal caso il termine per provvedere è per l'amministrazione di appartenenza di 45 giorni e si prescinde dall'intesa se l'amministrazione presso la quale il dipendente presta servizio non si pronunzia entro 10 giorni dalla ricezione della richiesta di intesa da parte dell'amministrazione di appartenenza. Decorso il termine per provvedere, l'autorizzazione, se richiesta per incarichi da conferirsi da amministrazioni pubbliche, si intende accordata (silenzio-accoglimento); in ogni altro caso, si intende definitivamente negata (silenzio rigetto). Che la disciplina sulle incompatibilità e cumulo di impieghi e incarichi richieda che la domanda di autorizzazione deve essere specifica e circostanziata è confermato dalla verifica di insussistenza di situazioni, anche potenziali, di conflitto di interessi, che deve effettuare l'Amministrazione presso cui presta servizio il lavoratore (Cass. sez. lav., n. 18861/2016). Quanto al rilascio di autorizzazione postuma a sanatoria di incarichi già espletati, buona parte della giurisprudenza – T.A.R. Lombardia, Milano IV, n. 614/2013; T.A.R. Campania, Napoli II, n. 3191/2015; C. conti sez. giurisd. Lombardia, n. 42/2015) – esclude tale possibilità, in quanto la normativa in materia depone nel senso della necessità di autorizzazione preventiva, in quanto indispensabile per la verifica della sussistenza di conflitti, anche potenziali, di interesse. Rigoroso è il regime sanzionatorio, sia per chi espleti l'incarico sia per chi lo conferisce, in caso di violazione della prescritta normativa autorizzatoria (art. 53, commi 7-9, del d.lgs. n. 165/2001). Il comma 7 prevede che in caso di inosservanza del divieto, salve le più gravi sanzioni e ferma restando la responsabilità disciplinare, il compenso dovuto per le prestazioni eventualmente svolte deve essere versato, a cura dell'erogante o, in difetto, del percettore, nel conto dell'entrata del bilancio dell'amministrazione di appartenenza del dipendente per essere destinato ad incremento del fondo di produttività o di fondi equivalenti. L'omissione del versamento del compenso da parte del dipendente pubblico indebito percettore costituisce ipotesi di responsabilità erariale soggetta alla giurisdizione della Corte dei conti (comma 7-bis). La giurisprudenza (T.A.R. Veneto I, n. 1375/2014; C. conti sez. giurisd. Liguria, n. 54/2015), dando un'interpretazione logico-sistematica della norma, ha sottolineato che il versamento del compenso da parte del soggetto erogante deve avvenire solo ove non sia stato ancora corrisposto al prestatore non autorizzato; qualora il compenso sia già stato versato a quest'ultimo, l'amministrazione dovrà necessariamente rivalersi sul dipendente. Tale previsione non ha valenza sanzionatoria, ma solo risarcitoria, come risulta evidentemente dall'inciso «salve le più gravi sanzioni e ferma restando la responsabilità disciplinare», nonché dal fatto che l'obbligo di versamento è imposto in primis all'erogante (ossia ad un soggetto estraneo al rapporto di lavoro) e, in difetto, al dipendente. Nell'ipotesi di conferimento di incarico a pubblico dipendente esterno, l'amministrazione conferente, in base alla previsione dell'art. 53, comma 8, del d.lgs. n. 165/2001, è onerata del controllo sulla sussistenza dell'autorizzazione. La norma citata specifica che «salve le più gravi sanzioni, il conferimento dei predetti incarichi, senza la previa autorizzazione, costituisce in ogni caso infrazione disciplinare per il funzionario responsabile del procedimento; il relativo provvedimento è nullo di diritto. In tal caso l'importo previsto come corrispettivo dell'incarico, ove gravi su fondi in disponibilità dell'amministrazione conferente, è trasferito all'amministrazione di appartenenza del dipendente ad incremento del fondo di produttività o di fondi equivalenti». Anche gli enti pubblici economici e i soggetti privati non possono conferire incarichi retribuiti a dipendenti pubblici senza la previa autorizzazione dell'amministrazione di appartenenza dei dipendenti stessi (comma 9 dell'art. 53). Ai fini dell'autorizzazione, l'amministrazione verifica l'insussistenza di situazioni, anche potenziali, di conflitto di interessi. In caso di inosservanza si applica la disposizione dell'art. 6, comma 1, del d.l. 28 marzo 1997, n. 79 (sanzione pecuniaria pari al doppio degli emolumenti corrisposti). All'accertamento delle violazioni e all'irrogazione delle sanzioni provvede il Ministero delle finanze, avvalendosi della Guardia di finanza, secondo le disposizioni della l. 24 novembre 1981, n. 689, e successive modificazioni ed integrazioni. Le somme riscosse sono acquisite alle entrate del Ministero delle finanze. Gli incarichi sottratti ad autorizzazione.Accanto alle attività soggette a previa autorizzazione si collocano le c.d. «attività liberalizzate», sottratte a qualsiasi regime autorizzatorio e liberamente espletabili. Si tratta o di attività di evidente modesta rilevanza (quindi poco assorbenti), ovvero quelle espressive di basilari diritti costituzionalmente rilevanti per qualsiasi soggetto (libertà di pensiero, diritto di critica, tutela delle opere di ingegno, ecc.) e, dunque, anche per il pubblico dipendente, e, come tali, non sottoponibili a regimi autorizzatori. Il referente normativo è dato dal comma 6 dell'art. 53 del d.lgs. n. 165/2001 (più volte oggetto di modifiche). Esso sancisce che sono sottratti al regime autorizzatorio i compensi e le prestazioni derivanti da: a) dalla collaborazione a giornali, riviste, enciclopedie e simili; b) dalla utilizzazione economica da parte dell'autore o inventore di opere dell'ingegno e di invenzioni industriali; c) dalla partecipazione a convegni e seminari; d) da incarichi per i quali è corrisposto solo il rimborso delle spese documentate; e) da incarichi per lo svolgimento dei quali il dipendente è posto in posizione di aspettativa, di comando o di fuori ruolo; f) da incarichi conferiti dalle organizzazioni sindacali a dipendenti presso le stesse distaccati o in aspettativa non retribuita; f-bis) da attività di formazione diretta ai dipendenti della pubblica amministrazione nonché di docenza e di ricerca scientifica, queste ultime svolgibili, in assenza di puntualizzazioni, anche a favore di soggetti privati conferenti, con partecipazione sia di soggetti pubblici che privati come discenti. Per lo svolgimento di tali attività, il pubblico dipendente non è tenuto a richiedere alcuna autorizzazione, né, in assenza di previsione di legge in tal senso, a comunicare all'amministrazione l'avvenuto conferimento di tali incarichi. Per quanto concerne gli incarichi di consulente tecnico d'ufficio svolti da un dipendente pubblico per conto dell'autorità giudiziaria, il Ministero di Grazia e Giustizia (circolare 4 gennaio 1999) ha espressamente escluso la necessità dell'autorizzazione, in considerazione della peculiarità dell'incarico, in cui prevale il profilo del munus, nonché della necessità di tutelare l'indipendenza del magistrato attraverso la garanzia della libera scelta del proprio consulente, che risulterebbe compromessa laddove fosse subordinata ad un'autorizzazione dell'amministrazione di appartenenza. Deroghe soggettive al regime delle incompatibilità: il personale in part-time c.d. ridotto e le altre ipotesi.Accanto a deroghe oggettive (previa autorizzazione o attività liberalizzate) al regime delle incompatibilità per il pubblico dipendente, l'attuale ordinamento (art. 1, comma 56-58-bis, l. 23 dicembre 1996 n. 662) prevede deroghe soggettive a favore del personale in part-time c.d. ridotto (ovvero con prestazione lavorativa non superiore al 50% di quella a tempo pieno). L'art. 53, comma 1 del d.lgs. n. 165 dispone infatti che «resta ferma per tutti i dipendenti pubblici la disciplina delle incompatibilità dettata dagli articoli 60 e seguenti del testo unico approvato con d.P.R. 10 gennaio 195 7, n. 3, salva la deroga prevista dall'art. 23-bis del presente decreto, nonché, per i rapporti di lavoro a tempo parziale, dall'art. 6, comma 2, del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 17 marzo 1989, n. 117 e dall'art. 1, commi 57 e seguenti della l. 23 dicembre 1996, n. 662». Il successivo comma 6 dell'art. 53 del d.lgs. n. 165 aggiunge che “i commi da 7 a 13 del presente articolo si applicano ai dipendenti delle amministrazioni pubbliche di cui all'art. 1, comma 2, compresi quelli di cui all'art. 3, con esclusione dei dipendenti con rapporto di lavoro a tempo parziale con prestazione lavorativa non superiore al cinquanta per cento di quella a tempo pieno, dei docenti universitari a tempo definito e delle altre categorie di dipendenti pubblici ai quali è consentito da disposizioni speciali lo svolgimento di attività libero-professionali”. L'art. 1, comma 56 della l. n. 662 stabilisce che le disposizioni di cui all'art. 58, comma 1, del d.lgs. 3 I febbraio 1993, n. 29, e successive modificazioni ed integrazioni (oggi art. 53, d.lgs. n. 165) nonché le disposizioni di legge e di regolamento che vietano l'iscrizione in albi professionali non si applicano ai dipendenti delle pubbliche amministrazioni con rapporto di lavoro a tempo parziale, con prestazione lavorativa non superiore al 50 per cento di quella a tempo pieno. In virtù di tali norme, per i soli lavoratori in part-time ridotto sono state paralizzate tutte le disposizioni che vietano (per il restante personale, anche in part-time non ridotto) lo svolgimento di altre attività di lavoro e di quelle che impediscono l'iscrizione ad albi professionali. Per l'espletamento della professione forense è, però, succesivamente intervenuta la l. 25 novembre 2003 n. 339 che ha ripristinato per i lavoratori in part-time ridotto il divieto di iscrizione nell'albo degli avvocati (ma non agli altri albi professionali) (Tenore, 1097). Corte cost., n. 390/2006 ha ritenuto legittima la previsione, in quanto l'esercizio della professione forense presenta peculiarità evidenti rispetto alle altre professioni per le quali è richiesta l'iscrizione ad un albo (in particolare l'incompatibilità con incarichi retribuiti) e non è, pertanto, irragionevole la scelta del legislatore di non consentire l'esercizio di tale professione ai pubblici dipendenti con rapporto di lavoro part-time. Ne consegue che il dipendente in part-time ridotto può iscriversi in qualsiasi albo professionale salvo quello degli avvocati. Tale «liberalizzazione soggettiva» dei dipendenti in part-time ridotto incontra tuttavia dei limiti legali volti a prevenire conflitti di interesse fra amministrazione e dipendente, ad evitare forme di accaparramento privilegiato della clientela pubblica, nonché intralci alla funzionalità delle amministrazioni. In particolare, in base all'art. 1, comma 56-bis, della l. n. 662/1996, i dipendenti pubblici iscritti ad albi professionali e che esercitino attività professionale: a) non possono essere destinatari di incarichi professionali conferiti dalle amministrazioni pubbliche; b) non possono assumere il patrocinio in controversie nelle quali sia parte una pubblica amministrazione. In base all'art. 1, comma 58, della l. n. 662/1996, non è, però, possibile per i dipendenti pubblici in part-time ridotto la costituzione di rapporto di lavoro subordinato con altra amministrazione pubblica. In linea con la giurisprudenza costituzionale si è posta anche la l. n. 247/2012 che ha sancito l'incompatibilità della professione forenze con attività di lavoro subordinato salvo particolari ipotesi (insegnamento delle materie giuridiche). Infine, tra le deroghe soggettive vanno rammentate: – l'art. 23-bis del d.lgs. n. 165/2001, che consente ai dirigenti delle pubbliche amministrazioni l'aspettativa senza assegni per lo svolgimento, in deroga ai divieti posti dall'art. 53, di attività presso strutture pubbliche o private; – l'art. 18, comma 1, della l. 4 novembre 2010, n. 183, laddove dispone che i dipendenti pubblici possono essere collocati in aspettativa, senza assegni e senza decorrenza dell'anzianità di servizio, per un periodo massimo di dodici mesi, anche per avviare attività professionali e imprenditoriali. Il comma 2 precisa, infatti, che nel suddetto periodo non si applicano le disposizioni in tema di incompatibilità di cui all'art. 53 del d.lgs. n. 165/2001. L'Anagrafe delle prestazioni e gli obblighi di comunicazione e di pubblicitàL'Anagrafe delle prestazioni è il sistema di rilevazione dei dati relativi agli incarichi conferiti dalle pubbliche amministrazioni ai dipendenti e ai consulenti e collaboratori esterni. È stata istituita dall'art. 24 della l. 30 dicembre 1991, n. 412 presso il Dipartimento della funzione pubblica, con la finalità di misurare qualitativamente e quantitativamente tali incarichi e di monitorare e controllare la spesa pubblica ad essi destinata. Si è oggi evoluta nella Anagrafe delle Prestazioni Unificata (AdPUnificata), la banca dati del sistema PerlaPA che raccoglie incarichi conferiti dalle Pubbliche Amministrazioni ai dipendenti e ai consulenti. La disciplina dell'Anagrafe delle prestazioni fa anche essa riferimento al contenuto dell'art. 53 del decreto n. 165. Ai sensi dei commi 11, 12 e 13 dell'art. 53: – entro quindici giorni dall'erogazione del compenso per gli incarichi, i soggetti pubblici o privati comunicano all'amministrazione di appartenenza l'ammontare dei compensi erogati ai dipendenti pubblici; – le amministrazioni pubbliche che conferiscono o autorizzano incarichi, anche a titolo gratuito, ai propri dipendenti comunicano in via telematica, nel termine di quindici giorni, al Dipartimento della funzione pubblica gli incarichi conferiti o autorizzati ai dipendenti stessi, con l'indicazione dell'oggetto dell'incarico e del compenso lordo, ove previsto; – le amministrazioni di appartenenza sono tenute a comunicare tempestivamente al Dipartimento della funzione pubblica, in via telematica, per ciascuno dei propri dipendenti e distintamente per ogni incarico conferito o autorizzato, i compensi da esse erogati o della cui erogazione abbiano avuto comunicazione dai soggetti di cui al comma 11. Ai sensi del comma 14 dell'art. 53, le amministrazioni pubbliche sono tenute a comunicare al Dipartimento della funzione pubblica, in via telematica, tempestivamente e comunque nei termini previsti dal d.lgs. 14 marzo 2013, n. 33, i dati di cui agli articoli 15 e 18 del medesimo d.lgs. n. 33/2013, relativi a tutti gli incarichi conferiti o autorizzati a qualsiasi titolo. Le amministrazioni rendono noti, mediante inserimento nelle proprie banche dati accessibili al pubblico per via telematica, gli elenchi dei propri consulenti indicando l'oggetto, la durata e il compenso dell'incarico nonché l'attestazione dell'avvenuta verifica dell'insussistenza di situazioni, anche potenziali, di conflitto di interessi. Le informazioni relative a consulenze e incarichi comunicate dalle amministrazioni al Dipartimento della funzione pubblica, nonché le informazioni pubblicate dalle stesse nelle proprie banche dati accessibili, sono trasmesse e pubblicate in tabelle riassuntive rese liberamente scaricabili in un formato digitale standard aperto che consenta di analizzare e rielaborare, anche a fini statistici, i dati. Entro il 31 dicembre di ciascun anno il Dipartimento della funzione pubblica trasmette alla Corte dei conti: 1) l'elenco delle amministrazioni che hanno omesso di trasmettere e pubblicare, in tutto o in parte, le informazioni in formato digitale standard aperto; 2) l'elenco delle amministrazioni che hanno omesso di effettuare la comunicazione, avente ad oggetto l'elenco dei collaboratori esterni e dei soggetti cui sono stati affidati incarichi di consulenza. Le amministrazioni che omettono gli adempimenti di cui ai commi da 11 a 14 dell'art. 53 non possono conferire nuovi incarichi fino a quando non adempiono (comma 15). Con la sentenza Corte cost., n. 98/2015, il Giudice delle leggi ha, invece, dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 53, comma 15, d.lgs. n. 165/2001 nella parte in cui prevede una sanzione pecuniaria, a carico degli enti pubblici economici e dei privati che abbiano conferito incarichi retribuiti a dipendenti pubblici senza la previa autorizzazione, anche per la mera omessa comunicazione dell'ammontare dei compensi erogati. La Consula, in primo luogo, ha riconosciuto la carenza di «copertura» della disposizione impugnata (introdotta dall'art. 26 del d.lgs. n. 80/1998) rispetto alle direttive della l. delega n. 59/1997. Non può, infatti, presupporsi che, «in una direttiva intesa a conferire al legislatore delegato il compito di prevedere come obbligatoria una determinata condotta, sia necessariamente ricompresa – sempre e comunque – anche la facoltà di stabilire eventuali correlative sanzioni per l'inosservanza di quest'obbligo, posto che, in linea di principio, la sanzione non rappresenta affatto l'indispensabile corollario di una prescrizione e che quest'ultima può naturalmente svolgere, di per sé, una propria autosufficiente funzione, richiedendo e ottenendo un'esauriente ed efficace osservanza». La vicenda presentava, peraltro, ulteriori rilievi critici: «la previsione della sanzione per l'omessa comunicazione dei compensi corrisposti a dipendenti delle pubbliche amministrazioni per incarichi non previamente autorizzati finisce per risultare particolarmente vessatoria, atteso che la sanzione si duplica rispetto a quella già prevista – nella stessa, grave misura – per il conferimento degli incarichi senza autorizzazione, con un effetto moltiplicativo raccordato ad un inadempimento di carattere formale». La sanzione, in altri termini, per la violazione di un obbligo che appare del tutto «servente» rispetto a quello relativo alla comunicazione del conferimento di un incarico – previsto in funzione delle esigenze conoscitive della p.a., connesse al funzionamento della anagrafe delle prestazioni – viene a sovrapporsi irragionevolmente – perequando fra loro situazioni del tutto differenziate, per gravità e natura – a quella prevista per la violazione di un obbligo di carattere sostanziale. Il che, fra l'altro, conferisce «alla sanzione «accessoria» di cui qui si discute – posta a carico, per di più, di un soggetto comunque terzo rispetto al rapporto di servizio tra pubblica amministrazione e dipendente – un carattere di automatismo e di non graduabilità non poco contrastante con i princìpi di proporzionalità ed adeguatezza che devono, in linea generale, essere osservati anche nella disciplina delle sanzioni amministrative». A seguire, i commi 16 e 16-bis dell'art. 53 statuiscono che il Dipartimento della funzione pubblica: – entro il 31 dicembre di ciascun anno, riferisce al Parlamento sui dati raccolti, adotta le relative misure di pubblicità e trasparenza e formula proposte per il contenimento della spesa per gli incarichi e per la razionalizzazione dei criteri di attribuzione degli incarichi stessi; – può disporre verifiche del rispetto delle disposizioni dell'art. 53 e dell'art. 1, commi 56 e seguenti, della l. 23 dicembre 1996, n. 662, per il tramite dell'Ispettorato per la funzione pubblica. A tale fine quest'ultimo opera d'intesa con i Servizi ispettivi di finanza pubblica del Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato. Il divieto di pantouflage.L'art. 1, comma 42, lett. l) della l. n. 190/2012, ha contemplato una nuova forma di “incompatibilità successiva” (cd. divieto di pantouflage), introducendo nell'art. 53 del d.lgs. n. 165/2001 il comma 16-ter. La norma dispone il divieto per i dipendenti che, negli ultimi tre anni di servizio abbiano esercitato poteri autoritativi o negoziali per conto delle pubbliche amministrazioni, di svolgere, nei tre anni successivi alla cessazione del rapporto di lavoro (c.d. periodo di raffreddamento, a prescindere dal motivo della cessazione stessa), attività lavorativa o professionale presso i soggetti privati destinatari dell'attività dell'amministrazione svolta attraverso i medesimi poteri. Il divieto è assistito da specifiche conseguenze sanzionatorie: a) la nullità del contratto concluso e dell'incarico conferito in violazione; b) ai soggetti privati che hanno conferito o concluso gli stessi è preclusa la possibilità di contrattare con le pubbliche amministrazioni nei tre anni successivi, con contestuale obbligo di restituzione dei compensi eventualmente percepiti ed accertati ad essi riferiti. Il legislatore ha, così, integrato la disciplina della prevenzione della corruzione nell'ambito della complessa e articolata materia degli incarichi pubblici, mediante l'introduzione di misure in materia di post-employment (appunto, il pantouflage o «incompatibilità successiva»), preordinate a ridurre i rischi connessi all'uscita del dipendente dalla sfera pubblica e al suo passaggio, per qualsivoglia ragione, al settore privato. Tali misure si affiancano ai meccanismi di pre –employment (le c.d. «inconferibilità», ossia i divieti temporanei di accesso alla carica) e di in-employment (le c.d. «incompatibilità», ossia il cumulo di più cariche) previsti dal d.lgs. 8 aprile 2013, n. 39. L'istituto mira ad evitare che determinate posizioni lavorative, subordinate o autonome, possano essere anche solo astrattamente fonti di possibili fenomeni corruttivi (o, più in generale, di traffici di influenze e conflitti di interessi, anche ad effetti differiti), limitando per un tempo ragionevole, secondo la scelta insindacabile del legislatore, l'autonomia negoziale del lavoratore dopo la cessazione del rapporto di lavoro: si tratta di una finalità non illogica, né irragionevole, posta a tutela dell'interesse pubblico generale, che strutturalmente distingue il divieto in questione rispetto al patto di non concorrenza di cui all'art. 2125 c.c.. Và, peraltro, riconosciuto il potere dell'ANAC di vigilanza e di applicazione delle conseguenze previste dall'art. 53, comma 16-ter, d.lgs. n. 165/2001, nell'ambito del più generale potere di vigilanza in materia di inconferibilità e incompatibilità alla stessa attribuito dall'art. 16 del d.lgs. 39/2013 (Cons. St. V, n. 7411/2019). In sostanza, la ratio del divieto di «pantouflage» risiede nella duplice esigenza, per un verso, di evitare che l'esercizio della carica rivestita dai pubblici dipendenti con posizioni di servizio particolarmente qualificate ed apicali (nella specie, coloro che esercitino «poteri autoritativi o negoziali per conto delle pubbliche amministrazioni») sia inquinato anche solo dal sospetto di future personali utilità; sotto altro profilo, dalla necessità di scongiurare il rischio che la peculiare esperienza e le relazioni maturate dai detti funzionari durante lo svolgimento dell'incarico possano essere utilizzate, dopo la cessazione dello stesso, da imprese operanti nei rispettivi settori al fine di trarne utili e vantaggi incompatibili con la trasparenza e la parità della competizione nel mercato (Lucca). Secondo le delibere ANAC 8 febbraio 2017, n. 88 e 21 febbraio 2018, n. 207, tra le situazioni lavorative cui si applica il divieto di «pantouflage» vanno ricomprese, altresì, le situazioni che possano configurare in capo al dipendente il potere di incidere in maniera determinante sulla decisione oggetto del provvedimento finale, ad esempio mediante la collaborazione all'istruttoria, l'elaborazione di atti endoprocedimentali obbligatori (pareri, perizie, certificazioni, ecc.) che vincolano in modo significativo il contenuto della decisione. In tale ottica, il divieto si applica non solo al soggetto che abbia firmato l'atto, o che sia ad esso sovraordinato, ma anche a coloro che abbiano partecipato al procedimento istruttorio. L'art. 21, comma 1, del d.lgs n. 39/2013 ha, inoltre, stabilito che «ai soli fini dell'applicazione dei divieti di cui al comma 16-ter dell'art. 53 del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, sono considerati dipendenti delle pubbliche amministrazioni anche i soggetti titolari di uno degli incarichi di cui al presente decreto, ivi compresi i soggetti esterni con i quali l'amministrazione, l'ente pubblico o l'ente di diritto privato in controllo pubblico stabilisce un rapporto di lavoro, subordinato o autonomo. Tali divieti si applicano a far data dalla cessazione dell'incarico». La norma del d. lgs. n. 39/2013 appare, così, volta ad estendere il divieto in questione agli ex dipendenti di enti pubblici genericamente intesi e di enti di diritto privato sotto controllo pubblico e anche se esterni. La formulazione dell'art. 53, comma 16-ter, d.lgs. n. 165/2001, appare, infine, escludere la valutazione dell'elemento psicologico sotteso ai comportamenti individuati come vietati, facendo seguire in maniera automatica all'accertamento della fattispecie vietata le sanzioni della nullità del contratto e dei conseguenti obblighi di restituzione in capo all'ex dipendente pubblico e del divieto di contrattare con le pubbliche amministrazioni per il soggetto privato che abbia conferito l'incarico dichiarato nullo. BibliografiaBusico, Dipendenti pubblici. Incompatibilità e attività extraistituzionali, Milano, 2021; Lucca, Poteri decisionali e inconferibilità successiva (c.d. pantouflage), in lexitalia.it; Tenore, Le attività extraistituzionali e le incompatibilità per il pubblico dipendente, in Il lavoro nelle p.a., 2007, 6, 1097. |