Decreto legislativo - 19/08/2016 - n. 175 art. 9 - Gestione delle partecipazioni pubblicheGestione delle partecipazioni pubbliche
1. Per le partecipazioni pubbliche statali i diritti del socio sono esercitati dal Ministero dell'economia e delle finanze, di concerto con altri Ministeri competenti per materia, individuati dalle relative disposizioni di legge o di regolamento ministeriale. 2. Per le partecipazioni regionali i diritti del socio sono esercitati secondo la disciplina stabilita dalla regione titolare delle partecipazioni. 3. Per le partecipazioni di enti locali i diritti del socio sono esercitati dal sindaco o dal presidente o da un loro delegato. 4. In tutti gli altri casi i diritti del socio sono esercitati dall'organo amministrativo dell'ente. 5. La conclusione, la modificazione e lo scioglimento di patti parasociali sono deliberati ai sensi dell'articolo 7, comma 1. 6. La violazione delle disposizioni di cui ai commi da 1 a 5 e il contrasto con impegni assunti mediante patti parasociali non determinano l'invalidità delle deliberazioni degli organi della società partecipata, ferma restando la possibilità che l'esercizio del voto o la deliberazione siano invalidate in applicazione di norme generali di diritto privato. 7. Qualora lo statuto della società partecipata preveda, ai sensi dell'articolo 2449 del codice civile, la facoltà del socio pubblico di nominare o revocare direttamente uno o più componenti di organi interni della società, i relativi atti sono efficaci dalla data di ricevimento, da parte della società, della comunicazione dell'atto di nomina o di revoca. E' fatta salva l'applicazione dell'articolo 2400, secondo comma, del codice civile. 8. Nei casi di cui al comma 7, la mancanza o invalidità dell'atto deliberativo interno di nomina o di revoca rileva come causa di invalidità dell'atto di nomina o di revoca anche nei confronti della società. 9. Le disposizioni del presente articolo si applicano anche alle partecipazioni di pubbliche amministrazioni nelle società quotate. 10. Resta fermo quanto disposto dal decreto-legge 15 marzo 2012, n. 21, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 maggio 2012, n. 56. InquadramentoL'art. 9 del d.lgs. n. 175/2016 disciplina la «gestione delle partecipazioni pubbliche». In particolare, la norma in commento: a) i primi quattro commi, individua i soggetti legittimati a esercitare i diritti dei soci e prevede che, per l'esercizio dei diritti relativi alle partecipazioni statali, è competente il Ministero dell'economia e delle finanze, di concerto con i Ministeri competenti per materia; per l'esercizio dei diritti relativi alle partecipazioni regionali, è competente il soggetto individuato dalla regione titolare; per le partecipazioni di enti locali, i diritti sono esercitati dal sindaco, dal presidente o da un loro delegato; in tutti gli altri casi, i diritti del socio sono esercitati dall'organo amministrativo dell'ente; b) al comma 5, dispone che la conclusione, la modificazione e lo scioglimento di patti parasociali sono deliberati ai sensi dell'art. 7, comma 1; c) al comma 6, prevede che la violazione delle norme sulla legittimazione all'esercizio dei diritti dell'azionista e sulla forma o sul contenuto dei patti parasociali non comporta l'invalidità dell'atto deliberativo, ma che restano ferme, grazie alla espressa clausola di salvaguardia, le disposizioni di diritto privato sull'invalidità dell'esercizio del diritto di voto e delle inerenti delibere; d) al comma 7, stabilisce che qualora lo statuto preveda, ai sensi dell'art. 2449 c.c., la possibilità per il socio pubblico di nominare o revocare uno o più componenti interni degli organi della società, gli atti saranno efficaci dalla data di ricevimento da parte della società della comunicazione dell'atto di nomina o revoca, fatta salva la disciplina in ordine alla revoca dei sindaci ai sensi dell'art. 2400 c.c.; e) al comma 8, aggiunge alla disciplina dettata dal comma 7 che «la mancanza o invalidità dell'atto deliberativo interno di nomina o di revoca rileva come causa di invalidità dell'atto di nomina o di revoca anche nei confronti della società»; f) al comma 9, estende l'applicazione della disposizione in commento anche alle società quotate, ai sensi dell'art. 1, comma 5 del TUSP; g) all'ultimo comma, fa salva l'applicazione del d.l. n. 21/2012, convertito, con modificazioni, dalla l. n. 56/2012, in ordine all'esercizio dei poteri speciali da parte dello Stato (a esempio in settori di particolare interesse nazionale, lo Stato può esercitare poteri di veto o di opposizione all'adozione di particolari delibere). Competenza.Come osservato in precedenza, la competenza all'esercizio dei diritti del socio per le partecipazioni statali è affidata dall'art. 9 al Ministero dell'economia e delle finanze, di concerto con gli altri Ministeri competenti per materia, individuati dalle relative disposizioni di legge o di regolamento ministeriale. Giova evidenziare che l'art. 26, comma 12 del TUSP ha stabilito che, «[a]l fine di favorire il riordino delle partecipazioni dello Stato e di dare piena attuazione alla previsione di cui all'art. 9, comma 1, ove entro il 31 ottobre 2016 pervenga la proposta dei relativi ministri, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri la titolarità delle partecipazioni societarie delle altre amministrazioni statali è trasferita al Ministero dell'economia e delle finanze, anche in deroga alla previsione normativa originaria riguardante la costituzione della società o l'acquisto della partecipazione». Tale disposizione ha avuto il chiaro intento di concentrare la gestione delle partecipazioni in capo a un unico ministero (il MEF) in linea con la finalità del Testo Unico di semplificare, riordinare e gestire efficientemente le partecipazioni dello Stato. Quanto alle competenze regionali, l'articolo in commento dispone che «per le partecipazioni regionali i diritti del socio sono esercitati secondo la disciplina stabilita dalla regione titolare delle partecipazioni» rimettendo, dunque, alla prerogativa regionale la possibilità di stabilire quale sia il soggetto competente. È interessante notare come nella formulazione originaria del testo del TUSP, di cui allo schema di decreto, la competenza fosse affidata al Presidente della Regione salvo poi essere corretta nella versione attualmente in vigore. Il Consiglio di Stato nel parere n. 986/2016 espresso sullo schema di decreto, infatti, aveva rilevato che la formulazione originaria della norma in commento poteva far sorgere una questione di legittimità costituzionale in ordine al riparto delle competenze tra Stato e Regioni ai sensi dell'art. 117 Cost. nei seguenti termini «l'individuazione puntuale nella «Presidenza della Regione» dell'organo deputato a esercitare i diritti dell'azionista potrebbe ledere le competenze legislative delle Regioni. Il dubbio espresso non è superato dalla natura «cedevole» della previsione statale: la riforma costituzionale n. 3 del 2001 ha delineato un sistema rigido di riparto delle funzioni legislative che non ammette, al di fuori dei casi in cui sussistono specifiche ragioni connesse all'adempimento di obblighi europei, interferenze neanche temporanee in ambiti materiali riservati alla competenza delle autonomie regionali». Per ciò che attiene agli enti locali, la norma prevede che i diritti sociali siano esercitati dall'organo che possiede la rappresentanza dell'ente: il Sindaco per il Comune o il presidente negli altri casi. Con riguardo alle competenze all'adozione della delibera negli «altri casi», in particolare, il legislatore ha scelto di adottare una formulazione che individua la competenza dell'«organo amministrativo dell'ente», evitando così di individuare una elencazione tassativa degli organi competenti. I diritti del socio.L'art. 9 del TUSP fa un generico riferimento ai «diritti del socio». Questi ultimi sono classificati dalla dottrina in tre macrocategorie: a) diritti «amministrativi»; b) diritti «economici» o «patrimoniali»; c) diritti «misti». Tra i diritti amministrativi si annoverano il diritto di intervento e di voto in assemblea (artt. 2351 e 2479 c.c.), il diritto di impugnare le deliberazioni assembleari (artt. 2377 e 2479-ter c.c.), il diritto di esercitare l'azione di responsabilità nei confronti degli amministratori (artt. 2393-bis e 2476 c.c.), il diritto di rivolgersi (nella s.p.a.) all'autorità giudiziaria (art. 2409 c.c.). Tra i diritti economici sono ricompresi essenzialmente il diritto di partecipazione agli utili della società in misura proporzionale alla propria quota (art. 2433 e 2478-bis c.c.) e il diritto a percepire una parte del patrimonio netto risultante dalla liquidazione (art. 2350 c.c.). I diritti misti rappresentano una categoria residuale nei quali rientrano quei diritti che non sono facilmente riconducibili a una delle prime due categorie, ad esempio il diritto di recesso (artt. 2437 e 2473 c.c.) o il diritto di opzione nel caso di aumento del capitale sociale (artt. 2441 e 2481-bis c.c.). Occorre rilevare che le classificazioni enucleate dalla dottrina sono sempre più poste in discussione dal fatto che spesso lo statuto o i patti parasociali, in virtù del principio di autonomia statutaria, prevedono forme particolari di diritti (ad es. la possibilità per una s.p.a. di emettere azioni dotate di particolari diritti, o strumenti finanziari partecipativi) (D'Angelo, 246). A ogni modo, i diritti del socio non esauriscono la loro disciplina all'interno della norma in commento che, invece, è integrata da disposizioni contenute in altre fonti normative, soprattutto nel codice civile in virtù del rinvio contenuto nell'art. 1, comma 3 del TUSP. Partecipazione.L'art. 9 del d.lgs. n. 175/2016 rinvia al concetto di «partecipazione pubblica», definita dall'art. 2, comma 1 lett. f) del T.U. come «la titolarità di rapporti comportanti la qualità di socio in società o la titolarità di strumenti finanziari che attribuiscono diritti amministrativi» includendo così sia le partecipazioni in senso stretto sia gli strumenti finanziari che attribuiscono diritti di qualsiasi genere all'ente pubblico. Gli strumenti finanziari partecipativi sono quelli definiti dall'art. 2346, ultimo comma c.c., che possono essere emessi a fronte di apporti di capitale e che possono attribuire al titolare diritti analoghi a quelli del socio, con la sola esclusione del diritto di voto in assemblea. In alcuni casi il legislatore ha poi previsto che il compimento di specifici di gestione da parte delle società a partecipazione pubblica sia sottoposto a preventiva autorizzazione di organi e/o di amministrazioni dello Stato. È questo, ad esempio, il caso di ANAS S.p.A., che in base all'art. 49 del d.l. n. 50/2017 (che ha disposto il trasferimento delle partecipazioni societarie dal Ministero dell'economia e delle finanze alla società Ferrovie dello Stato S.p.A.) deve sottoporre alla preventiva autorizzazione del Ministero dell'economia e delle finanze, d'intesa con il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti (oggi Ministero delle infrastrutture e della mobilità sostenibili) «qualsiasi deliberazione o atto avente ad oggetto il trasferimento di ANAS S.p.A. o operazioni societarie straordinarie sul capitale della società». Lo stesso discorso vale per Invitalia S.p.A. e, per il suo tramite, per le proprie controllate, che devono sottoporre alla preventiva autorizzazione del Ministero dello sviluppo economico e/o con l'intesa delle amministrazioni centrali dello Stato che hanno disposto affidamenti in favore della medesima Invitalia gli atti elencati dall'art. 1 del d.m. 4 maggio 2018, recante «Individuazione degli atti di gestione, ordinaria e straordinaria, dell'Agenzia nazionale per l'attrazione degli investimenti e lo sviluppo d'impresa S.p.a. e delle sue controllate dirette e indirette, da sottoporre alla preventiva approvazione ministeriale». I patti parasociali.Il comma 5 dell'art. 9 del d.lgs. n. 175/2016 dispone che «La conclusione, la modificazione e lo scioglimento di patti parasociali sono deliberati ai sensi dell'art. 7, comma 1» (sul punto, v. commento all'art. 7 del TUSP). L'art. 9 del TUSP non richiama il comma 2 dell'art. 7 del Testo Unico che a sua volta rinvia all'art. 5, comma 1, così escludendo che, con riferimento ai patti parasociali, vi sia la necessità per la pubblica amministrazione di rendere una motivazione analitica con riferimento al perseguimento delle finalità istituzionali di cui all'art. 4, alle ragioni e finalità che giustificano tale scelta, anche sul piano della convenienza economica e della sostenibilità finanziaria, nonché alla compatibilità della scelta con i principi di efficienza, di efficacia e di economicità dell'azione amministrativa. I patti parasociali sono accordi accessori al contratto sociale con i quali i soci, o alcuni di essi, regolano rapporti reciproci o rapporti con i terzi. Proprio per la natura dei patti parasociali, questi ultimi rivestono un'importanza significativa nell'ambito delle società partecipate poiché consentono di ridurre la distanza tra le peculiarità del modello societario e le esigenze pubblicistiche dell'ente impone (Abriani – Della Rocca, 237). I patti parasociali hanno effetto obbligatorio e vincolano soltanto i soci che vi aderiscono. La loro violazione comporta conseguenze solo risarcitorie nei confronti dei soci che vi hanno partecipato, mentre restano estranei a tali dinamiche sia la società che gli altri soci che non vi hanno partecipato, non avendo i patti parasociali effetti reali. Possono individuarsi varie tipologie di patti parasociali: gli accordi che regolamentano l'esercizio del diritto di voto (noti come «sindacati di voto»), quelli che regolano l'esercizio di un'influenza dominante, e quelli aventi a oggetto la circolazione delle partecipazioni (noti come «sindacati di blocco»). Poiché il Testo Unico non individua con esattezza le tipologie di «patti parasociali» rilevanti ai sensi del medesimo testo normativo, si ritiene che – al fine di rispettare la ratio di gestire correttamente i diritti partecipativi del socio pubblico – non sia possibile «procedere a delimitazioni che non siano espressamente previste» e che pertanto «i patti parasociali sono dunque tutti quelli che vedano quale parte l'ente pubblico, indipendentemente dal fatto di essere riconducibili alle categorie «tipizzate»» dalla disciplina civilistica (D'Angelo, 267). L'art. 16 del TUSP consente la stipulazione di patti parasociali di durata ultraquinquennale (in deroga all'art. 2341-bis c.c. in base al quale i patti parasociali non possano avere una durata superiore a cinque anni) soltanto per le società i) a partecipazione pubblica pluripersonale titolari di affidamento diretto di contratti pubblici e ii) mista pubblico-privata affidataria di contratti di appalto o di concessioni. Per le società in house, ai sensi dell'art. 16, comma 2, lett. c) del TUSP, la possibilità di stipulare patti parasociali è uno degli strumenti per concretizzare il «controllo analogo» e per essere effettivo tale strumento di controllo deve avere durata pari alla durata della società. I patti parasociali stipulati tra gli enti pubblici in una società in house potrebbero essere considerati alla stregua (ii) di accordi organizzativi ai sensi dell'art. 15 della l. n. 241/1990, perché finalizzati a disciplinare l'attività di collaborazione comune tra gli enti contraenti, oppure (ii) di veri e propri contratti di diritto comune. Quest'ultima opzione appare preferibile poiché la disciplina dei patti parasociali si rinviene nel codice civile e nel Testo Unico e il potere esercitato dalla pubblica amministrazione nella stipula di questi accordi non ha natura pubblicistica (Bartolini, 109 ss.). Per le società miste, la durata del patto parasociale sarà equivalente alla durata del contratto di appalto e/o di concessione e la deroga temporale è finalizzata all'esercizio di un corretto controllo interno sulla gestione della società (Restuccia, 497). Violazione delle norme sulla legittimazione all'esercizio dei diritti dei soci.Il comma 6 dell'art. 9 del d.lgs. n. 175/2016 stabilisce che «La violazione delle disposizioni di cui ai commi da 1 a 5», ovvero le norme sulla legittimazione all'esercizio dei diritti dei soci, e «il contrasto con impegni assunti mediante patti parasociali non determinano l'invalidità delle deliberazioni degli organi della società partecipata, ferma restando la possibilità che l'esercizio del voto o la deliberazione siano invalidate in applicazione di norme generali di diritto privato». Il sesto comma dell'articolo in commento: i) stabilisce il principio della irrilevanza della violazione dei primi cinque commi dell'art. 9 in ordine all'esercizio dei diritti sociali e per la stipulazione o lo scioglimento dei patti parasociali; ii) prevede l'irrilevanza sulle deliberazioni sociali della violazione degli impegni assunti mediante i patti parasociali; iii) stabilisce che, se le azioni di cui alle precedenti lett. a) e b) non comportano l'invalidità, la sanzione può sussistere in ogni caso e derivare dalle prescrizioni delle norme generali di diritto privato. In questo modo, la disposizione in esame istituisce un regime giuridico che si differenzia dalle ipotesi di violazione delle norme relative all'acquisto e all'alienazione delle partecipazioni, disciplinate rispettivamente dagli artt. 8, comma 2 e 10, comma 3 del d.lgs. n. 175/2016, le quali sanzionano con l'inefficacia del successivo atto di acquisto o di alienazione. L'art. 9, comma 6 del TUSP fa salva l'applicabilità delle norme generali di diritto privato nella parte in cui dispone che resta ferma «la possibilità che l'esercizio del voto o la deliberazione siano invalidate in applicazione di norme generali di diritto privato». Si fa riferimento alle generali ipotesi di annullabilità e nullità (per le sole ipotesi tassative previste) e alle ipotesi particolari relative a deliberazioni specifiche (es. invalidità della deliberazione di approvazione del bilancio di esercizio ai sensi dell'art. 2434-bis c.c., ovvero l'art. 2373 c.c. in ordine al conflitto di interessi del socio). Nomina e revoca dei componenti degli organi interni delle società partecipate.Il comma 7 dell'art. 9 del d.lgs. n. 175/2016 disciplina la decorrenza degli effetti degli atti di nomina o revoca dei componenti degli organi sociali interni alla società partecipata e stabilisce a tal proposito che: «Qualora lo statuto della società partecipata preveda, ai sensi dell'art. 2449 del codice civile, la facoltà del socio pubblico di nominare o revocare direttamente uno o più componenti di organi interni della società, i relativi atti sono efficaci dalla data di ricevimento, da parte della società, della comunicazione dell'atto di nomina o di revoca. È fatta salva l'applicazione dell'art. 2400, comma 2, del codice civile». Oltre alla decorrenza degli effetti, l'art. in commento non richiede che tali atti siano adottati né nelle forme previste dall'art. 7 del TUSP né che siano muniti dell'analitica motivazione richiesta dall'art. 5 del Testo Unico. La nomina e la revoca di amministratori, sindaci e componenti del consiglio di sorveglianza della società partecipata da parte dello Stato e degli altri enti pubblici è disciplinata dall'art. 2449 c.c. che rappresenta una norma derogatoria al regime generale di cui all'art. 2364 c.c. L'art. 2449 c.c., nella sua formulazione originaria, disciplinava il potere di nomina, ove previsto dallo statuto, senza alcun collegamento con l'entità della partecipazione al capitale sociale e in modalità «diretta», ovvero senza necessità di una delibera di recepimento assembleare. La nomina diretta, in mancanza di una previsione che ne contenesse l'entità, avrebbe potuto anche riguardare la maggioranza di amministratori e sindaci (Abriani, Della Rocca, 252). La Corte di giustizia dell'Unione europea, chiamata a esprimersi in sede di rinvio pregiudiziale sulla compatibilità dell'art. 2449 c.c. con il diritto europeo, ha statuito che la libertà di circolazione di capitali (art. 56 CE, oggi art. 63 TFUE) «osta ad una disposizione nazionale, quale l'art. 2449 c.c., secondo cui lo statuto di una società per azioni può conferire allo Stato o ad un ente pubblico che hanno partecipazioni nel capitale di tale società la facoltà di nominare direttamente uno o più amministratori, la quale, [...] è tale da consentire a detto Stato o a detto ente di godere di un potere di controllo sproporzionato rispetto alla sua partecipazione nel capitale della società» (Corte giustizia CE, sentenza 6 dicembre 2007, in cause riunite C-463/04 e C-464/04). In conseguenza di ciò, il legislatore ha riformulato il testo dell'art. 2449 c.c., prima con l. n. 34/2008 e poi con d.l. n. 21/2012 conv. in l. n. 56/2012, nel quale è stato precisato che la facoltà di nomina deve essere «proporzionale» alla partecipazione al capitale sociale e che la predetta facoltà è limitata alle sole società per azioni che non fanno ricorso al mercato del capitale di rischio. Solo a queste ultime, nei limiti del principio di «proporzionalità», si applica l'articolo in commento. I soggetti nominati ai sensi del comma 1 dell'art. 2449 c.c., inoltre, «possono essere revocati soltanto dagli enti che li hanno nominati. Essi hanno i diritti e gli obblighi dei membri nominati dall'assemblea» (comma 2, dell'art. 2449). Gli amministratori non possono essere nominati per un periodo superiore a tre esercizi e scadono alla data dell'assemblea convocata per l'approvazione del bilancio relativo all'ultimo esercizio della loro carica, mentre i sindaci, ovvero i componenti del consiglio di sorveglianza, restano in carica per tre esercizi e scadono alla data dell'assemblea convocata per l'approvazione del bilancio relativo al terzo esercizio della loro carica (art. 2449, commi 2 e 3 c.c.). L'art. 9, inoltre, fa salva l'applicazione dell'art. 2400, comma 2 c.c. che stabilisce che i sindaci possono essere revocati solo per giusta causa e che la deliberazione di revoca deve essere approvata con decreto del tribunale, sentito l'interessato. L'art. 2449 c.c. ha un ambito oggettivo di applicazione espressamente limitato alle sole società per azioni. Parte della dottrina ha ritenuto che la norma in questione possa applicarsi per analogia anche alle società a responsabilità limitata e che tale conferma si possa rinvenire nell'art. 2468, comma 3 c.c., in base al quale l'atto costitutivo di una s.r.l. può attribuire ai soci particolari diritti riguardanti l'amministrazione della società o sulla distribuzione degli utili, tra cui rientrerebbe anche il diritto di nomina da parte del socio pubblico (Salafia, 774; Fittante, 73). Questa posizione non è tuttavia condivisibile: l'art. 2449 c.c. è infatti una norma speciale e in quanto tale deve ritenersi di stretta interpretazione. Si discute se l'atto di nomina o revoca disposto ai sensi dell'art. 2449 c.c. abbia natura privatistica o pubblicistica. Un primo orientamento, ritiene che l'atto di nomina e/o di revoca abbia natura pubblicistica, sia perché espressivo di un potere disciplinato dalla legge (art. 2449 c.c.), sia perché finalizzato al perseguimento di funzioni pubblicistiche (Roversi Monaco, 258). Una seconda posizione ritiene invece che la natura dell'atto di nomina e/o di revoca disciplinato dall'articolo in commento sia privatistica. Tale seconda posizione è stata condivisa dalla giurisprudenza, che si è più volte espressa nei termini che seguono: «La facoltà attribuita all'ente pubblico dal citato art. 2449 c.c., è, quindi, sostitutiva della generale competenza dell'assemblea ordinaria, trovando la sua giustificazione nella peculiarità di quella tipologia di soci, e deve essere qualificata come estrinsecazione non di un potere pubblico, ma essenzialmente di una potestà di diritto privato, in quanto espressiva di una potestà attinente a una situazione giuridica societaria, restando esclusa qualsiasi sua valenza amministrativa. Dalla configurazione dell'atto di revoca come espressione di una facoltà inerente la qualità di socio e, quindi, come manifestazione di una volontà essenzialmente privatistica, deriva l'ulteriore conferma dell'esclusione della giurisdizione generale di legittimità del giudice amministrativo» (Cass. S.U. , ord. n. 24591/2016; Cass. n. 21299/2017, Cass. n. 16335/2019; Cons. St. V, n. 4435/2017; T.A.R. Lombardia, Milano I, n. 1532/2019). Il comma 8 dell'art. 9 del TUSP dispone, infine, che «la mancanza o invalidità dell'atto deliberativo interno di nomina o di revoca rileva come causa di invalidità dell'atto di nomina o di revoca anche nei confronti della società». L'invalidità dell'atto amministrativo di nomina e/o di revoca, quindi, produce un effetto viziante nei confronti della società. I poteri speciali dello Stato.L'ultimo comma dell'art. 9 del d.lgs. n. 175/2016 fa salvo l'esercizio dei poteri speciali da parte dello Stato, ovvero quelli previsti dal «d.l. n. 21/2012, convertito, con modificazioni, dalla l. 11 maggio 2012, n. 56/2012», anche in deroga alle disposizioni del TUSP. Il comma in questione è stato inserito nel Testo Unico in accoglimento di un rilievo mosso allo schema di decreto dal Consiglio di Stato che, nel parere n. 968/2016, aveva segnalato «la necessità di inserire un'apposita norma che richiami il contenuto della l. n. 21/2012» che «disciplina i poteri speciali del socio pubblico, consistenti in diritti di veto o di opposizione all'adozione di determinate delibere, in settori delicati, quale quelli della difesa e della sicurezza nazionale, nonché per le attività di rilevanza strategica nei settori dell'energia, dei trasporti e delle comunicazioni ... Per quanto tale legge non sia stata espressamente abrogata, ciò nonostante l'esistenza di una disposizione, quale quella in esame, che contiene una disciplina completa della modalità di gestione delle partecipazione pubbliche potrebbe fare sorgere qualche dubbio in sede applicativa. In ogni caso, proprio l'esigenza sopra prospettata di «contenere» le norme generali nel solo «Testo unico» e nel codice civile consiglia, anche per sua rilevanza, l'espresso richiamo alla legge n. 21/2012». L'art. 9, comma 10 del TUSP ha fatto così salvo l'esercizio dei poteri – c.d. «golden power» – che il Governo può esercitare in base alla normativa speciale ivi richiamata, e che può tradursi, in estrema sintesi, i) nel potere di veto su determinate decisioni societarie nonché ii) nel potere di opposizione all'acquisto di partecipazioni rilevanti in imprese operanti in settori strategici (es. energia, trasporti, comunicazioni). La prerogativa fatta salva dall'art. 9, comma 10 del TUSP: i) «appartiene all'ambito della cosiddetta «alta amministrazione» implicando scelte strategiche di tipo generale che, in deroga ai principi della concorrenza di valenza anche eurounitaria, giustificano interventi pubblici sul mercato»; ii) «implica poi, evidentemente, anche scelte di tipo finanziario impegnando lo Stato in investimenti pubblici e quindi incidendo inevitabilmente anche su impegni di finanza pubblica»; iii) può essere esercitata al ricorrere dei presupposti definiti «dal d.l. n. 21/2012 in combinato disposto con i d.p.c.m. di attuazione nell'ambito di una cornice di disciplina unionale» (T.A.R. Piemonte, Torino I, n. 727/2021). BibliografiaAbriani, Della Rocca, La gestione delle partecipazioni pubbliche, in Garofoli, Zoppini (a cura di), Manuale delle società a partecipazione pubblica, Molfetta, 2018, 227 ss.; Bartolini, Società in house e patti parasociali, in Le società a controllo pubblico in Ursi, Perrino (a cura di), 2020, 103 ss.; Codazzi, Nomina pubblica alle cariche sociali ex articolo 2449 c.c. e giurisdizione applicabile, in Giur. comm., fasc. 5, 2017, 817 ss.; D'alcontres, De Luca, Le Società, Tomo II, Torino, 2017; D'Angelo, Commento all'art. 9, in Morbidelli (a cura di), Codice delle società a partecipazione pubblica, Milano, 2018, 246 ss.; Fittante, Commento all'art. 9 del d.lgs. n. 175/2016, in Caringella, Ciaralli, Bottega (a cura di), Codice ragionato delle società pubbliche. Commento organico al Testo Unico delle Società pubbliche e alle norme complementari, Roma, 2018, 65 ss.; Oppo, I contratti parasociali, Milano, 1942, 6; Restuccia, I patti parasociali, in Le Società Pubbliche, in Fimmanò, Catricalà, Cantone (a cura di), Napoli, 2020, 485 ss.; Roversi Monaco, Revoca e responsabilità dell'amministratore nominato dallo Stato, in Riv. dir. civ., 1968, I, 271 ss.; Salafia, Gli amministratori e i sindaci nominati dallo Stato o dagli enti pubblici, in Società, 2011, 774 ss.; Tullio, Commento all'art. 9, in Meo, Nuzzo (diretto da), Il testo unico sulle società pubbliche Commento al d.lgs. 19 agosto 2016, n. 175, Bari, 2016, 129 ss. |