Decreto legislativo - 19/08/2016 - n. 175 art. 20 - Razionalizzazione periodica delle partecipazioni pubbliche 1Razionalizzazione periodica delle partecipazioni pubbliche1
1. Fermo quanto previsto dall'articolo 24, comma 1, le amministrazioni pubbliche effettuano annualmente, con proprio provvedimento, un'analisi dell'assetto complessivo delle società in cui detengono partecipazioni, dirette o indirette, predisponendo, ove ricorrano i presupposti di cui al comma 2, un piano di riassetto per la loro razionalizzazione, fusione o soppressione, anche mediante messa in liquidazione o cessione. Fatto salvo quanto previsto dall'articolo 17, comma 4, del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014, n. 114, le amministrazioni che non detengono alcuna partecipazione lo comunicano alla sezione della Corte dei conti competente ai sensi dell'articolo 5, comma 4, e alla struttura di cui all'articolo 15. 2. I piani di razionalizzazione, corredati di un'apposita relazione tecnica, con specifica indicazione di modalità e tempi di attuazione, sono adottati ove, in sede di analisi di cui al comma 1, le amministrazioni pubbliche rilevino: a) partecipazioni societarie che non rientrino in alcuna delle categorie di cui all'articolo 4; b) società che risultino prive di dipendenti o abbiano un numero di amministratori superiore a quello dei dipendenti; c) partecipazioni in società che svolgono attività analoghe o similari a quelle svolte da altre società partecipate o da enti pubblici strumentali; d) partecipazioni in società che, nel triennio precedente, abbiano conseguito un fatturato medio non superiore a un milione di euro; e) partecipazioni in società diverse da quelle costituite per la gestione di un servizio d'interesse generale che abbiano prodotto un risultato negativo per quattro dei cinque esercizi precedenti; f) necessità di contenimento dei costi di funzionamento; g) necessità di aggregazione di società aventi ad oggetto le attività consentite all'articolo 4. 3. I provvedimenti di cui ai commi 1 e 2 sono adottati entro il 31 dicembre di ogni anno e sono trasmessi con le modalità di cui all'articolo 17 del decreto-legge n. 90 del 2014, convertito, con modificazioni, dalla legge di conversione 11 agosto 2014, n. 114 e rese disponibili alla struttura di cui all'articolo 15 e alla sezione di controllo della Corte dei conti competente ai sensi dell'articolo 5, comma 4. 4. In caso di adozione del piano di razionalizzazione, entro il 31 dicembre dell'anno successivo le pubbliche amministrazioni approvano una relazione sull'attuazione del piano, evidenziando i risultati conseguiti, e la trasmettono alla struttura di cui all'articolo 15 e alla sezione di controllo della Corte dei conti competente ai sensi dell'articolo 5, comma 4. 5. I piani di riassetto possono prevedere anche la dismissione o l'assegnazione in virtù di operazioni straordinarie delle partecipazioni societarie acquistate anche per espressa previsione normativa. I relativi atti di scioglimento delle società o di alienazione delle partecipazioni sociali sono disciplinati, salvo quanto diversamente disposto nel presente decreto, dalle disposizioni del codice civile e sono compiuti anche in deroga alla previsione normativa originaria riguardante la costituzione della società o l'acquisto della partecipazione. 6. Resta ferma la disposizione dell'articolo 1, comma 568-bis, della legge 27 dicembre 2013, n. 147. 7. La mancata adozione degli atti di cui ai commi da 1 a 4 da parte degli enti locali comporta la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da un minimo di euro 5.000 a un massimo di euro 500.000, salvo il danno eventualmente rilevato in sede di giudizio amministrativo contabile, comminata dalla competente sezione giurisdizionale regionale della Corte dei conti" . Si applica l'articolo 24, commi 5, 6, 7, 8 e 92 . 8. Resta fermo quanto previsto dall'articolo 29, comma 1-ter, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, e dall'articolo 1, commi da 611 a 616, della legge 23 dicembre 2014, n. 190. 9. Entro un anno dalla data di entrata in vigore del presente decreto, il conservatore del registro delle imprese cancella d'ufficio dal registro delle imprese, con gli effetti previsti dall'articolo 2495 del codice civile, le società a controllo pubblico che, per oltre due anni consecutivi, non abbiano depositato il bilancio d'esercizio ovvero non abbiano compiuto atti di gestione. Prima di procedere alla cancellazione, il conservatore comunica l'avvio del procedimento agli amministratori o ai liquidatori, che possono, entro 60 giorni, presentare formale e motivata domanda di prosecuzione dell'attività, corredata dell'atto deliberativo delle amministrazioni pubbliche socie, adottata nelle forme e con i contenuti previsti dall'articolo 5. In caso di regolare presentazione della domanda, non si dà seguito al procedimento di cancellazione. Unioncamere presenta, entro due anni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, alla struttura di cui all'articolo 15, una dettagliata relazione sullo stato di attuazione della presente norma.3 [1] A norma dell'articolo 3, comma 1 del D.lgs. 4 ottobre 2019, n. 116, le disposizioni di cui al presente articolo non trovano applicazione nei confronti di SIN S.p.a. per l'esercizio successivo a quello in cui si sono perfezionate, anche mediante l'iscrizione presso il registro delle imprese, le operazioni di cui all'articolo 2, comma 1, lettere p) e r). [2] Comma modificato dall'articolo 13, comma 1, lettera a), del D.Lgs. 16 giugno 2017 n. 100. [3] Comma modificato dall'articolo 11, comma 1, lettera b), della Legge 5 agosto 2022, n. 118. InquadramentoNell'ambito del percorso di razionalizzazione delle partecipazioni societarie, avviato dal legislatore con la legge finanziaria 2008 (art. 3, commi 27 e ss., della l. n. 244/2007) e rafforzato dalle disposizioni contenute nella legge di stabilità 2015 (art. 1, commi 611 e ss., della l. n. 190/2014), nuovi e stringenti obblighi sono stati previsti a carico delle amministrazioni pubbliche dal combinato disposto degli artt. 20 e 24 del d.lgs. n. 175/2016 (TUSP), i quali disciplinano, rispettivamente, le procedure di razionalizzazione periodica delle partecipazioni direttamente e indirettamente detenute e le procedure di revisione straordinaria. I procedimenti di razionalizzazione periodica e di revisione straordinaria sono connessi ed interdipendenti, atteso che l'operazione di natura straordinaria, prevista dall'art. 24 del TUSP, costituisce presupposto necessario della razionalizzazione periodica delle partecipazioni detenute (art. 20 TUSP). Procedure, quest'ultime, cui sono tenuti gli enti territoriali, al pari delle altre amministrazioni pubbliche, a mente di quanto previsto dall'art. 26, comma 11, del citato d.lgs. 175/2016 (C. conti, sez. aut., n. 22/2018). Per ciò che riguarda la razionalizzazione periodica, l'art. 20 del TUSP, prevede, al comma 1, che le amministrazioni pubbliche «effettuano annualmente, con proprio provvedimento, un'analisi dell'assetto complessivo delle società in cui detengono partecipazioni, dirette o indirette, predisponendo, ove ricorrano i presupposti di cui al comma 2, un piano di riassetto per la loro razionalizzazione, fusione o soppressione, anche mediante messa in liquidazione o cessione» e, al successivo comma 3, che i provvedimenti di razionalizzazione periodica sono adottati entro il 31 dicembre di ciascun anno e trasmessi alla struttura di monitoraggio del Dipartimento del Tesoro – cui l'art. 15 del d.lgs. 19 agosto 2016, n. 175, ha affidato peculiari competenze per il monitoraggio, l'indirizzo ed il coordinamento delle società a partecipazione pubblica – nonché alla competente Sezione regionale di controllo della Corte dei conti. L'attività di monitoraggio dell'assetto complessivo delle partecipazioni ha carattere sistematico, con obbligo a carico delle pubbliche amministrazioni di procedere, annualmente, all'esame dell'assetto complessivo delle società partecipate. La tempistica di tale attività è disciplinata dall'art. 26 del TUSP, ai sensi del quale «alla razionalizzazione periodica di cui all'art. 20 si procede a partire dal 2018, con riferimento alla situazione al 31 dicembre 2017». I piani di riassetto per la razionalizzazione delle partecipazioni pubbliche, corredati di apposita relazione tecnica, con specifica indicazione di modalità e tempi di attuazione, sono adottati dalle amministrazioni pubbliche qualora in sede di analisi dell'assetto complessivo delle partecipazioni, direttamente o indirettamente detenute, siano individuati i presupposti tassativamente elencati al comma 2 della medesima disposizione, e al cui commento si rinvia nel paragrafo a lui dedicato. In vista di un compiuto assolvimento degli adempimenti in parola, la Sezione delle autonomie della Corte dei conti (deliberazione n. 19/2017) ha elaborato, in occasione della prima razionalizzazione periodica, specifiche linee di indirizzo, corredate da un modello standard di atto di ricognizione e relativi esiti (deliberazione n. 22/2018), con le quali è stata rimarcata la centralità del processo di razionalizzazione delle partecipazioni e l'esigenza di una costante riflessione da parte degli enti soci in ordine alle decisioni afferenti al proprio portafoglio societario (mantenimento con o senza interventi, cessione di quote, fusione, dismissione). Nelle citate deliberazioni la Corte dei conti, oltre a ribadire l'obbligatorietà delle diposizioni afferenti alla comunicazione degli esiti della razionalizzazione periodica in favore della struttura di monitoraggio individuata presso il Ministero dell'economia e delle finanze, di cui all'art. 15 del TUSP al cui commento si rinvia e delle competenti Sezioni regionali di controllo della Corte dei conti, ha evidenziato che tale obbligo non assolve a mere finalità conoscitive, ma è funzionale allo svolgimento di verifiche, in particolare quelle di competenza della magistratura contabile, che vanno sempre più caratterizzandosi come controlli sul «gruppo ente locale». Non può, altresì, sottacersi che la mancata adozione dei provvedimenti previsti dai commi 1 e 4 dell'art. 20 del Testo Unico comporta l'irrogazione di una sanzione amministrativa, compresa tra un minimo e un massimo edittale comminata dalla competente sezione giurisdizionale regionale della Corte dei conti, fermo restando l'eventuale danno rilevato in sede di giudizio amministrativo contabile, (art. 20, comma 7, d.lgs. 175/2016). Agli obblighi disciplinati dall'art. 20 del TUSP sono tenute le amministrazioni pubbliche individuate dall'art. 2, comma 1 lett. (a) del medesimo testo unico, oltre a quelle elencate nell'art. 1, comma 2 del d.lgs. 165/2001. A seguito dell'adozione del correttivo al codice, d.lgs. 100/2017, destinatari dell'obbligo sono anche i consorzi e le associazioni, gli enti pubblici economici e le autorità del sistema portuale. Sotto il profilo dell'ambito di estensione oggettiva, le pubbliche amministrazioni, nel definire il processo di revisione (sia straordinaria che periodica), devono considerare anche le partecipazioni indirette (art. 24, comma 1, e art. 20, comma 1, TUSP). Queste ultime, tuttavia, alla luce delle «definizioni» rilevanti ai fini dell'applicazione del decreto di cui all'art. 2, lettera (g), sono (solo) quelle detenute «da un'amministrazione pubblica per il tramite di società o altri organismi soggetti a controllo da parte della medesima amministrazione pubblica», escludendo le partecipazioni detenute tramite società o altri enti meramente partecipati (C. conti, sez. riun. contr., novembre 2020). Quanto ai soggetti e agli organi specificamente deputati all'adozione degli atti di razionalizzazione, la disposizione in commento nulla dice. In mancanza di indicazioni espresse, pertanto, si è ritenuto applicabile il tradizionale criterio di attribuzione delle competenze riguardanti la gestione delle società partecipate, e nell'ambito degli enti locali in attuazione degli obblighi di razionalizzazione periodica le relative deliberazioni sono state adottate dai Consigli comunali (C. conti, sez. contr. Lombardia, n. 310/2018;T.A.R. MarcheI, n. 695/2019). La razionalizzazione periodica delle partecipazioni pubbliche.L'art. 20 del d.lgs. n. 175/2016, dispone che, «[f]ermo quanto previsto dall'art. 24, comma 1», le amministrazioni pubbliche devono effettuare «annualmente, con proprio provvedimento, un'analisi dell'assetto complessivo delle società in cui detengono partecipazioni, dirette o indirette, predisponendo, ove ricorrano i presupposti di cui al comma 2, un piano di riassetto per la loro razionalizzazione, fusione o soppressione, anche mediante messa in liquidazione o cessione» e che «le amministrazioni che non detengono alcuna partecipazione lo comunicano alla sezione della Corte dei conti competente ai sensi dell'art. 5, comma 4, e alla struttura di cui all'art. 15». L'introduzione della procedura di razionalizzazione periodica non esime le pubbliche amministrazioni dall'obbligo di effettuare la «revisione straordinaria» ai sensi del successivo art. 24 del TUSP al cui commento si rinvia. L'art. 20, comma 1 distingue tra amministrazioni pubbliche che detengono partecipazioni (dirette o indirette) e amministrazioni che non detengano alcuna partecipazione. Per queste ultime, il legislatore delegato ha comunque previsto l'obbligo di trasmettere la comunicazione, avente ad oggetto appunto la mancata detenzione di partecipazioni, alla sezione della Corte dei conti competente e alla struttura competente per il controllo e il monitoraggio, così come individuata dal precedente art. 15 TUSP. La «ricognizione (e quindi l'adozione del relativo provvedimento consiliare) è sempre necessaria, anche per attestare l'assenza di partecipazioni. Va, infatti, ricordato che gli enti partecipanti sono sempre tenuti alla verifica sistematica della coerenza delle partecipazioni detenute con le proprie finalità istituzionali e con i vincoli/obblighi ad essi correlati» (C. conti, sez. aut., n. 29/2019; C. conti, sez. contr. Calabria, n. 82/2021; n. 86/2021; n. 85/2021; C. conti, sez. contr. Veneto, n. 451/2018). Le amministrazioni pubbliche che detengono partecipazioni sia dirette che indirette, ai sensi del comma 1 dell'art. 20 del TUSP, devono effettuare con proprio provvedimento «un piano di riassetto per la loro razionalizzazione, fusione o soppressione, anche mediante messa in liquidazione o cessione» al ricorrere dei «presupposti di cui al comma 2». La ricognizione periodica di cui all'art. 20 del TUSP presuppone l'adozione di un provvedmiento amministrativo (Fimmanò, 20). Solo ove nel corso dell'analisi richiesta alle amministrazioni pubbliche si rilevino i presupposti di cui al comma 2 dell'art. 20 TUSP, quest'ultime sono obbligate a adottare i piani di razionalizzazione con riferimento alla partecipazione. Pur in assenza di un'espressa precisazione in tal senso, si è ritenuto l'obbligo di cui al comma 1 ricorra anche solo se si riscontri una delle sette condizioni di cui al successivo comma 2 dell'art. 20 TUSP (Donato, 301). Con riferimento ai piani che le amministrazioni pubbliche hanno l'obbligo di adottare, il dato testuale della norma non è chiaro. Al comma 1 viene fatto riferimento al «piano di riassetto». Tale espressione ritorna nel successivo comma 5, mentre ai commi 2 e 4, invece, viene fatto riferimento ai «piani di razionalizzazione». Nonostante la non conformità del dato testuale, comunque, si ritiene che le due definizioni si equivalgano e che i suddetti piani devono essere correlati da una relazione tecnica che indichi specificamente le modalità e i tempi della loro realizzazione (Donato, 301). Il comma 3 dell'art. in commento impone alle pubbliche amministrazioni di trasmettere i provvedimenti, adottati ai sensi dei precedenti commi 1 e 2, «con le modalità di cui all'art. 17 del d.l. n. 90/2014, convertito, con modificazioni, dalla legge di conversione n. 114/2014 [...] alla struttura di cui all'art. 15 e alla sezione di controllo della Corte dei conti competente ai sensi dell'art. 5, comma 4». Tale obbligo riguarda solo «i provvedimenti di cui ai commi 1 e 2», ovvero quelli adottati dalle amministrazioni pubbliche che detengono partecipazioni in società. Rimane, pertanto, esclusa dall'ambito di applicazione del comma 3 la comunicazione delle pubbliche amministrazioni avente ad oggetto il mancato possesso di partecipazioni in società, in quanto la stessa deve essere trasmessa solo alla Corte dei conti e alla struttura individuata dall'art. 15 del TUSP, ma non al MEF ai sensi dell'art. 17 del d.l. n. 90/2014. I piani di razionalizzazione sono trasmessi, alla sezione competente della Corte dei conti, alla Struttura di cui all'art. 15 del TUSP, e al MEF ai sensi dell'art. 17, comma 4 del d.l. 90/2014. Il MEF, infatti, acquisisce le informazioni relative alle partecipazioni in società ed enti di diritto pubblico e di diritto privato detenute direttamente o indirettamente dalle amministrazioni pubbliche individuate dall'Istituto nazionale di statistica ai sensi dell'art. 1 della l. n. 196/2009, e successive modificazioni, e da quelle di cui all'art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 165/2001, e successive modificazioni. L'acquisizione delle informazioni può avvenire anche attraverso l'utilizzo di banche dati esistenti. Si fa riferimento, in particolare, alla banca dati delle amministrazioni pubbliche di cui all'art. 13 della l. n. 196/2009. L'elenco delle amministrazioni adempienti e di quelle non adempienti all'obbligo di comunicazione è pubblicato sul sito istituzionale del Dipartimento del Tesoro del Ministero dell'economia e delle finanze e su quello del Dipartimento della funzione pubblica della Presidenza del Consiglio dei ministri. L'art. 20, comma 4 prevede un ulteriore obbligo per le amministrazioni pubbliche, disponendo che «[i]n caso di adozione del piano di razionalizzazione, entro il 31 dicembre dell'anno successivo le pubbliche amministrazioni approvano una relazione sull'attuazione del piano, evidenziando i risultati conseguiti, e la trasmettono alla struttura di cui all'art. 15 e alla sezione di controllo della Corte dei conti competente ai sensi dell'art. 5, comma 4». La norma in esame, dunque, dispone altresì che, in caso di pregressa adozione del piano di razionalizzazione, entro il 31dicembre dell'anno successivo le pubbliche amministrazioni devono approvare una relazione sull'attuazione del piano di razionalizzazione. Ai sensi del comma 5 i piani di razionalizzazione possono prevedere anche la dismissione o l'assegnazione in virtù di operazioni straordinarie delle partecipazioni societarie acquistate anche per espressa previsione normativa. I relativi atti di scioglimento delle società o di alienazione delle partecipazioni sociali sono disciplinati dalle disposizioni del codice civile e sono compiuti anche in deroga alla previsione normativa originaria riguardante la costituzione della società o l'acquisto della partecipazione. Il successivo comma 6 fa salva l'applicazione dell'art. 1, comma 568-bis della l. n. 147/2013, in luogo del procedimento di razionalizzazione di cui alla disposizione qui in commento. Infatti, in base alla richiamata disciplina, le pubbliche amministrazioni locali indicate nell'elenco di cui all'art. 1, comma 3, della legge 31 dicembre 2009, n. 196, nonché le società da esse controllate direttamente o indirettamente possono procedere: a) allo scioglimento della società, consorzio o azienda speciale controllata direttamente o indirettamente. Se lo scioglimento è in corso ovvero è deliberato non oltre dodici mesi ventiquattro mesi dalla data di entrata in vigore della presente disposizione, gli atti e le operazioni posti in essere in favore di pubbliche amministrazioni in seguito allo scioglimento della società, consorzio sono esenti da imposizione fiscale, incluse le imposte sui redditi e l'imposta regionale sulle attività produttive, ad eccezione dell'imposta sul valore aggiunto. Le imposte di registro, ipotecarie e catastali si applicano in misura fissa. In tal caso i dipendenti in forza alla data di entrata in vigore della presente disposizione sono ammessi di diritto alle procedure di cui ai commi da 563 a 568 del presente articolo. Ove lo scioglimento riguardi una società controllata indirettamente, le plusvalenze realizzate in capo alla società controllante non concorrono alla formazione del reddito e del valore della produzione netta e le minusvalenze sono deducibili nell'esercizio in cui sono realizzate e nei quattro successivi; b) all'alienazione, a condizione che questa avvenga con procedura a evidenza pubblica deliberata non oltre dodici mesi, delle partecipazioni detenute alla data di entrata in vigore della citata disposizione e alla contestuale assegnazione del servizio per cinque anni a decorrere dal 1° gennaio 2014. In caso di società mista, al socio privato detentore di una quota di almeno il 30% deve essere riconosciuto il diritto di prelazione. Ai fini delle imposte sui redditi e dell'imposta regionale sulle attività produttive, le plusvalenze non concorrono alla formazione del reddito e del valore della produzione netta e le minusvalenze sono deducibili nell'esercizio in cui sono realizzate e nei quattro successivi. I presupposti per l'adozione dei piani di razionalizzazione.I piani di razionalizzazione sono adottati ove le amministrazioni pubbliche rilevino una o più delle situazioni menzionate all'art. 20, comma 2 del TUSP. In particolare, la disposizione in questione prescrive che le p.a. devono adottare i suddetti piani ove rilevino: a) partecipazioni societarie che non rientrino in alcuna delle categorie di cui all'art. 4; b) società che risultino prive di dipendenti o abbiano un numero di amministratori superiore a quello dei dipendenti; c) partecipazioni in società che svolgono attività analoghe o similari a quelle svolte da altre società partecipate o da enti pubblici strumentali; d) partecipazioni in società che, nel triennio precedente, abbiano conseguito un fatturato medio non superiore a un milione di euro; e) partecipazioni in società diverse da quelle costituite per la gestione di un servizio d'interesse generale che abbiano prodotto un risultato negativo per quattro dei cinque esercizi precedenti; f) necessità di contenimento dei costi di funzionamento; g) necessità di aggregazione di società aventi ad oggetto le attività consentite all'art. 4. Il presupposto di cui alla lett. a) obbliga le amministrazioni pubbliche a sciogliere le società, o a dismettere la partecipazione in esse detenute qualora non venga rispettato il doppio limite dell'«oggetto sociale» e della «stretta inerenza alle finalità istituzionali». È quindi prevista l'eliminazione delle società e delle partecipazioni societarie non indispensabili al perseguimento delle proprie finalità istituzionali. Dunque, come il previgente art. 3, commi 27-28, della l. n. 244/2007 in tema di partecipazioni c.d. non essenziali, il TUSP ribadisce la necessità di dismettere quelle società che, pur coerenti con i fini istituzionali dell'Ente, non sono indispensabili al loro perseguimento. Il predicato dell'indispensabilità, legato alle partecipazioni coerenti con i fini istituzionali dell'ente, va quindi individuato sotto il profilo della indispensabilità dello strumento societario rispetto ad altre differenti forme organizzative o alla scelta di fondo tra internalizzazione ed esternalizzazione (C. conti, sez. contr. Lombardia, n. 6/2017; C. conti, sez. contr. Lombardia, 138/2018; C. conti, sez. contr. Lombardia, 115/2018). L'art. 20, comma 2, lett. a) rinvia all'art. 4 nella sua interezza. Tuttavia, deve essere precisato che le disposizioni dell'articolo qui in commento non devono essere applicate alle società a partecipazione pubblica di cui all'art. 4, comma 6 del TUSP. Si fa riferimento in particolare alle società costituite «in attuazione dell'art. 34 del regolamento (CE) n. 1303/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio del 17 dicembre 2013 e dell'art. 61 del regolamento (CE) n. 508 del 2014 del Parlamento europeo e del Consiglio 15 maggio 2014». Questa precisazione è necessaria, in quanto il legislatore delegato ha espressamente sancito tale divieto nell'art. 26, comma 6-bis del TUSP, il quale è stato introdotto da ultimo dall'art. 1, comma 724 della l. n. 145/2018. Il criterio di cui alla lett. b) della norma in commento è identificato con le «società che risultino prive di dipendenti o abbiano un numero di amministratori superiore a quello dei dipendenti». In presenza di società in cui si verifica il presupposto testé richiamato, è la società non risulta efficiente, posto che il rapporto tra costi di amministrazione e costi di gestione non risulta equilibrato. Va comunque osservato che il dato del numero degli amministratori potrebbe anche non essere decisivo, ad esempio in assenza di compenso (se l'ottica normativa è quella di razionalizzazione la spesa) o di amministratori a cui siano attribuiti anche compiti operativi analoghi a quelli svolti dai dipendenti (per evitare l'assunzione di personale). Il piano di razionalizzazione, pertanto, deve indicare il numero di amministratori, di dipendenti della società, il costo dell'organo amministrativo e quello della forza lavoro impiegata. Inoltre, qualora tale numero non risulti in linea con la previsione normativa, fornire le eventuali giustificazioni che consentano di non procedere alla soppressione o alienazione della società partecipata o al recesso. Il terzo criterio indicato dal comma 2 della norma in commento è quello di cui alla lett. c), il quale prevede l'eliminazione delle partecipazioni detenute in società che svolgono attività analoghe o similari a quelle svolte da altre società o da enti pubblici strumentali. Tale indicazione mira a colpire la proliferazione di organismi strumentali. Il confronto, pertanto, deve essere effettuato non solo con le altre partecipazioni societarie, ma anche con consorzi, aziende speciali, istituzioni o altri organismi strumentali dell'ente pubblico socio. In virtù del principio che impone l'eliminazione delle società «doppione», è quindi necessario che il piano di razionalizzazione fornisca le dovute informazioni su tutte le funzioni esternalizzate dall'ente pubblico, sulle funzioni concretamente svolte e sulle ragioni dell'eventuale mantenimento. In proposito, la giurisprudenza contabile ha affermato che «l'elemento dirimente» per valutare se si è in presenza di una società c.d. doppione non è «da ricercare nella distinzione tra «oggetto sociale indicato nello statuto» e «attività concretamente svolta»». Piuttosto, l'ente nell'esercizio della sua discrezionalità amministrativa, «deve motivare espressamente sulla scelta effettuata che può consistere sia in una misura di riassetto (alienazione/razionalizzazione/fusione) sia nel mantenimento della partecipazione senza interventi, come esplicitamente previsto dal richiamato art. 20, comma 2, lettera c), del testo unico sulle partecipate in cui si dispone la «eliminazione delle partecipazioni detenute in società che svolgono attività analoghe o similari a quelle svolte da altre società partecipate o da enti pubblici strumentali», indicando, come possibile metodologia attuativa («anche») le «operazioni di fusione o di internalizzazione delle funzioni»» (C. conti, sez. contr.Lombardia, n. 335/2017). La lett. d) dell'art. 20 comma 2 TUSP individua, poi, il criterio avente ad oggetto «partecipazioni in società che, nel triennio precedente, abbiano conseguito un fatturato medio non superiore a un milione di euro». La Corte dei conti si è pronunciata anche su questo presupposto e ha affermato che il termine «fatturato» non è «esente da elementi di ambiguità. Si tratta, infatti, del participio passato del verbo fatturare, in uso nella tecnica ragionieristica e fiscale, che viene frequentemente utilizzato, quale sinonimo dell'espressione «volume d'affari», per indicare l'ammontare complessivo delle fatture emesse da un'azienda in un determinato esercizio. Esso, dunque, letteralmente corrisponde alla somma degli importi riportati nelle fatture registrate nell'esercizio e non coincide necessariamente con l'ammontare complessivo delle operazioni attive poste in essere nello stesso esercizio» (C. conti, sez. contr. Emilia-Romagna, n. 54/2017). Pertanto, è stato ritenuto che il «termine «fatturato» utilizzato dal legislatore nell'art. 20 del t.u. n. 175/2016 debba essere inteso quale ammontare complessivo dei ricavi da vendite e da prestazioni di servizio realizzati nell'esercizio, integrati degli altri ricavi e proventi conseguiti e al netto delle relative rettifiche. Si tratta, in sostanza, della grandezza risultante dai dati considerati nei nn. 1 e 5 della lettera a) dell'art. 2425 c.c. che, in contrapposizione ai costi dell'attività tipica (costi di produzione, spese commerciali, amministrative e generali), consente di determinare il risultato della «gestione caratteristica» dell'impresa. La nozione, pertanto, non coincide pienamente con il «valore della produzione» di cui all'art. 2425, lett. a), del c.c., che, come è noto, include anche le variazioni intervenute nelle rimanenze di merci, prodotti, semilavorati e prodotti finiti, nonché le variazioni di lavori in corso su ordinazione e gli incrementi di immobilizzazioni per lavori interni. Né, d'altra parte, l'entità del «fatturato» necessariamente coincide con il «volume d'affari ai fini dell'IVA», come definito nell'art. 20 del d.P.R. n. 633/1972, atteso il diverso criterio utilizzato per la determinazione dei due valori: competenza economica nel concetto di fatturato-ricavo; ammontare delle cessioni di beni e delle prestazioni di servizi registrate o soggette a registrazione in un anno solare a norma degli artt. 23 e 24 (e tenendo conto delle variazioni di cui all'art. 26 dello stesso d.P.R. n. 633 ed escluse le cessioni di beni ammortizzabili) nella nozione di volume d'affari IVA» (C. conti, sez. contr. Emilia-Romagna, n. 54/2017). Per le partecipazioni in società diverse da quelle costituite per la gestione di un servizio d'interesse generale, lett. e) dell'art. 20, comma 2 prescrive che dette società non devono aver «prodotto un risultato negativo per quattro dei cinque esercizi precedenti». La lett. f) prevede, poi, l'ipotesi della «necessità di contenimento dei costi di funzionamento». Con riferimento alla necessità di contenimento dei costi di funzionamento le amministrazioni socie hanno l'obbligo di adottare un'analisi puntuale dei delle eventuali operazioni percorribili al fine di minimizzare i costi di funzionamento (C. conti, sez. contr. Emilia-Romagna, n. 222/2021; C. conti, sez. contr. Emilia-Romagna, n. 97/2021; C. conti, sez. contr. Lombardia, n. 141/2016; C. conti, sez. contr. Emilia-Romagna, n 424/2015). Infine, con riferimento alla previsione di cui alla lett. g), «necessità di aggregazione di società aventi ad oggetto le attività consentite all'art. 4», allo scopo di valorizzarne il contenuto che sembrerebbe essere assorbibile all'interno della lett. c), deve ritenersi che essa operi quale norma di chiusura assumendo carattere generale. Il sistema sanzionatorio.L'art. 20 stabilisce inoltre che: i) la mancata adozione dei piani di razionalizzazione comporta la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da un minimo di euro 5.000 a un massimo di euro 500.000, salvo il danno eventualmente rilevato in sede di giudizio amministrativo contabile, comminata dalla competente sezione giurisdizionale regionale della Corte dei conti (art. 20, comma 7); ii) la mancata adozione determina, altresì, le conseguenze previste dai commi 5-9 dell'art. 24, sopra riportati. L'originaria formulazione della disposizione in commento non individuava i soggetti destinatari della sanzione. L'art. 20, infatti, in origine non specificava, infatti, a chi esattamente fosse riferita la disposizione, lasciando così percorribile l'opzione interpretativa che tendeva per l'applicazione a qualsiasi società partecipata. A seguito delle modifiche apportate dal primo correttivo al TUSP, l'art. 13, comma 1 del d.lgs. n. 100/2017 ha inserito all'art. 20, comma 7 del TUSP un riferimento espresso agli enti locali. La sanzione pecuniaria si cumula con sanzioni anche di altro tipo, e più specificamente con quelle previste per i casi di mancata alienazione delle partecipazioni entro i termini previsti per la revisione straordinaria delle partecipazioni di cui all'art. 24 TUSP. Inoltre, il conservatore del registro delle imprese è tenuto a cancellare d'ufficio dal registro delle imprese le società a controllo pubblico che, per oltre tre anni consecutivi, non abbiano depositato il bilancio d'esercizio ovvero non abbiano compiuto atti di gestione (art. 20, comma 9). Sotto tale ultimo profilo, il conservatore del registro, prima di disporre la cancellazione delle società dal registro, deve comunicare l'avvio del procedimento agli amministratori e ai liquidatori, che possono, entro 60 giorni presentare formale e motivata domanda di prosecuzione dell'attività, corredata dell'atto deliberativo delle P.A. socie. L'art. 20, comma 9 del TUSP introduce una forma di procedimento amministrativo espletabile solo per la cancellazione delle società c.d. «inattive» controllate da enti pubblici (Fabrizio, 445). La disposizione in esame può essere applicata alle sole società a controllo pubblico, e non anche quindi alle società partecipate. In particolare, l'art. 20, comma 9 TUSP dispone che «Entro un anno dalla data di entrata in vigore del presente decreto, il conservatore del registro delle imprese cancella d'ufficio dal registro delle imprese, con gli effetti previsti dall'art. 2495 c.c., le società a controllo pubblico che, per oltre tre anni consecutivi, non abbiano depositato il bilancio d'esercizio ovvero non abbiano compiuto atti di gestione». Sulla base del tenore letterale della norma commentata non v'è dubbio che il soggetto titolare del potere di cancellare dal registro quelle imprese e/o società controllate è il conservatore del registro stesso. Alcuni dubbi, invece, sono sorti con riferimento all'ambito temporale di applicazione della disposizione in questione. L'art. 20, comma 9 TUSP subordina l'adozione del provvedimento di cancellazione della società controllata dal registro al previo esperimento di una fase in contraddittorio con la società interessata. In particolare, la norma in questione dispone che «Prima di procedere alla cancellazione, il conservatore comunica l'avvio del procedimento agli amministratori o ai liquidatori, che possono, entro 60 giorni, presentare formale e motivata domanda di prosecuzione dell'attività, corredata dell'atto deliberativo delle amministrazioni pubbliche socie, adottata nelle forme e con i contenuti previsti dall'art. 5. In caso di regolare presentazione della domanda, non si dà seguito al procedimento di cancellazione». Con la comunicazione di avvio del procedimento viene assicurata la partecipazione degli amministratori della società al procedimento di cancellazione dal registro. Quest'ultimi possono opporsi, in maniera motivata, alla cancellazione dal registro. La motivazione deve essere analitica ai sensi del precedente art. 5 TUSP. Qualora il conservatore riscontri positivamente l'opposizione non dà seguito alla procedura di cancellazione. In caso contrario, il conservatore adotta il provvedimento di cancellazione. Tale provvedimento può essere impugnato innanzi al giudice amministrativo. Rimedi giurisdizionali.Gli atti adottati nel procedimento di razionalizzazione dalle pubbliche amministrazioni socie sono assoggettati al generale regime di impugnabilità. I provvedimenti di razionalizzazione periodica, come anche quelli di revisione straordinaria, trattandosi di provvedimenti amministrativi, costituiscono espressione del potere autoritativo della pubblica amministrazione, la cui corrispondente posizione giuridica ha la consistenza di interesse legittimo. Pertanto, tali provvedimenti sono sottoposti al sindacato del giudice amministrativo. Infatti, i provvedimenti adottati in sede di revisione dalla amministrazione contengono piani di organizzazione generale delle stesse pubbliche amministrazioni e, pertanto, possono essere fatti rientrare nel paradigma degli atti di macro-organizzazione, che per giurisprudenza consolidata, sono devoluti alla cognizione del giudice amministrativo. Quanto precede trova conferma anche nella giurisprudenza amministrativa, secondo cui «sono oggetto di impugnazione provvedimenti amministrativi rispetto ai quali si confrontano delle posizioni soggettive di interesse legittimo». La giurisprudenza ha altresì «chiarito che le controversie che abbiano ad oggetto l'attività unilaterale prodromica alla vicenda societaria, di natura pubblicistica, con cui l'ente pubblico delibera di costituire una società, parteciparvi, procedere ad un atto modificativo o estintivo, ovvero interferire nella sua vita, rientrano nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo» (T.A.R.VenetoI, n. 529/2020; Cons. St. V, n. 578/2019;Cass. S.U., n. 21588/2013; Cass. S.U., n. 30167/2011; Cass. S.U., n. 23200/2009). È dubbio se legittimati ad agire siano anche i soci privati che vedano pregiudicato il loro interesse alla prosecuzione dell'attività aziendale. Una soluzione positiva a tela quesito avrebbe il merito di affiancare la tutela caducatoria a quella civilistica per i soggetti (soci privati di minoranza) la cui situazione giuridica è certamente incisa dal provvedimento di riordino (Fabrizio, 446). Sul punto si è espressa la giurisprudenza, la quale ha accertato il difetto di legittimazione ad agire di un socio operativo di una società mista in quanto «deve ritenersi che l'interesse sostanziale del socio privato all'ottenimento o al mantenimento, da parte della società mista, della commessa pubblica, è un interesse riflesso e mediato che non assurge ad interesse legittimo e può pertanto essere condotto nel processo amministrativo eventualmente solo attraverso l'intervento ad adiuvandum, impregiudicata restando, ovviamente, l'esperibilità di altri strumenti di tutela civilistici in ambito endosocietario (si pensi all'azione di responsabilità, esperibile dai soci ai sensi dell'art 2393-bis c.c., o dal singolo socio direttamente danneggiato, ex art. 2395 c.c.)». Infatti, «la qualità di socio di una società non risulta idonea ad individuare in capo al singolo un interesse legittimo distinto da quello proprio della società e non legittima, pertanto, la proposizione di autonomo ricorso contro il provvedimento lesivo di interessi della società» (Cons. St. V, n. 3647/2017;T.A.R. BolognaII, n. 567/2021; T.A.R. Lazio,RomaII-bis, n. 6457/2016; Cons. St. VI, n. 676/2012). 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