Codice Civile art. 824 - Beni delle province e dei comuni soggetti al regime dei beni demaniali.Beni delle province e dei comuni soggetti al regime dei beni demaniali. [I]. I beni della specie di quelli indicati dal secondo comma dell'articolo 822, se appartengono alle province o ai comuni, sono soggetti al regime del demanio pubblico [823]. [II]. Allo stesso regime sono soggetti i cimiteri e i mercati comunali. InquadramentoLa disposizione in commento disciplina i beni demaniali dei Comuni e delle Province, individuando, altresì, il regime giuridico applicabile, cioè quello del demanio pubblico di cui all'art. 823 c.c. (v. per il regime giuridico art. 823 c.c.). In particolare, la disposizione in esame prevede che i c.d. beni del demanio eventuale (art. 822, comma 2, c.c.), cioè quei beni che fanno parte del demanio soltanto ove lo Stato ne sia titolare, rientrano nel demanio dei Comuni e delle Province, ove siano questi ultimi i titolari. A tale previsione, si aggiunge al comma 2, il c.d. demanio specifico, cioè i cimiteri e i mercati comunali. La disposizione, quindi, si pone in attuazione del precetto costituzionale di cui all'art. 119, per cui è riconosciuto a tutti gli enti territoriali la possibilità di avere un «proprio patrimonio». Si deve dare atto, però, che il regime giuridico ex art. 823 c.c., cioè dell'incommerciabilità dei beni demaniali, in virtù del d.lgs. n. 85/2010 (c.d. federalismo demaniale) è applicabile solo in via generale al demanio marittimo, idrico e aeroportuale. Il demanio regionale.I beni costituenti il demanio regionale, per le Regioni speciali, vengono espressamente elencati negli statuti delle Regioni Sicilia, Sardegna, Valle d'Aosta e Trentino-Alto Adige. In particolare, ai sensi dell'art. 32 del r.d.l. 15 maggio 1946, n. 455 che approva lo statuto della Regione della Sicilia «i beni di demanio dello Stato, comprese le acque pubbliche esistenti nella Regione, sono assegnati alla Regione, eccetto quelli che interessano la difesa dello Stato o servizi di carattere nazionale». L'art. 14 della l. cost. 26 febbraio 1948, n. 3 che approva lo statuto speciale per la Sardegna prevede la successione della Regione, nell'ambito del suo territorio, nei beni e diritti patrimoniali dello Stato di natura immobiliare e in quelli demaniali, escluso il demanio marittimo. Quanto alla Valle d'Aosta, l'art. 5 della l. cost. 26 febbraio 1948, n. 4, che ne approva lo statuto speciale, dispone che «i beni del demanio dello Stato situati nel territorio della Regione, eccettuati quelli che interessano la difesa dello Stato o servizi di carattere nazionale, sono trasferiti al demanio della Regione. Sono altresì trasferiti al demanio della Regione le acque pubbliche in uso di irrigazione e potabile». Infine, l'art. 66 del d.P.R. n. 670/1972, che approva il testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige, dispone che «le strade, le autostrade, le strade ferrate e gli acquedotti che abbiano interesse esclusivamente regionale e che saranno determinati nelle norme di attuazione del presente statuto costituiscono il demanio regionale». Diversamente, lo statuto del Friuli-Venezia Giulia, approvato con l. cost. n. 1/1963, non indica i beni demaniali della Regione; in tal caso occorre fare riferimento, come per le Regioni a statuto ordinario, alla legislazione speciale. A tal riguardo, l'art. 11 della l. n. 281/1970 elenca i beni che fanno parte del demanio regionale per le Regioni a statuto ordinario, stabilendo che «i beni della specie di quelli indicati dal comma 2 dell'art. 822 c.c., se appartengono alle Regioni per acquisizione a qualsiasi titolo, costituiscono il demanio regionale e sono soggetti al regime previsto dallo stesso codice per i beni del demanio pubblico. Il medesimo regime si applica ai diritti reali che spettano alle Regioni su beni appartenenti ad altri soggetti, quando i diritti stessi sono costituiti per l'utilità di alcuno dei beni previsti dal comma precedente o per il conseguimento di fini di pubblico interesse corrispondenti a quello a cui servono i beni medesimi. Sono trasferiti alle Regioni e fanno parte del demanio regionale i porti lacuali e, se appartenenti allo Stato, gli acquedotti di interesse regionale. I beni appartenenti alle Regioni, che non siano della specie di quelli previsti dai commi precedenti, costituiscono il patrimonio delle Regioni». La Corte costituzionale ha ritenuto legittima l'attribuzione di beni appartenenti al demanio regionale agli enti locali purché sia configurabile un nesso di strumentalità tra la proprietà del bene e il servizio che l'ente locale eroga utilizzando il bene medesimo (Corte cost. n. 462/1995). Il trasferimento operato dallo Stato a favore delle Regioni di servizi pubblici non comporta, automaticamente, anche il trasferimento della proprietà dei beni connessi all'erogazione dei servizi medesimi. Infatti, la Corte costituzionale ha precisato che gli artt. 118 e 119 cost. non configurano un parallelismo necessario fra le funzioni attribuite alle Regioni e l'appartenenza regionale dei beni connessi all'esercizio di esse, ben potendosi avere, da un lato, beni inclusi nel patrimonio regionale, senza corrispondere a funzioni regionali determinate, e, dall'altro lato, funzioni regionali cui non corrisponde la proprietà dei beni ad esse strumentalmente connessi (Corte cost. n. 281/1992). Il demanio di Comuni e Province.Possono far parte del demanio comunale e provinciale, ove nella titolarità di questi, le strade, autostrade, aerodromi, acquedotti e i beni del patrimonio culturale. Il demanio stradale, costituito dalle strade non private con le relative pertinenze, appartenenti a enti pubblici territoriali e destinate al pubblico transito. Al fine della corretta qualificazione, se demanio dello Stato, provinciale o comunale è opportuno richiamare il d.lgs. n. 285/1992 (c.d. codice della strada), il quale all'art. 2 classifica le strade pubbliche in autostrade, strade extraurbane principali, strade extraurbane secondarie, strade urbane di scorrimento, strade urbane di quartiere e strade locali. Inoltre, in virtù dell'art. 22 della l. 20 marzo 1865, all. F «il suolo delle strade nazionali è proprietà dello Stato; quello delle strade provinciali appartiene alle Provincie, ed è proprietà dei Comuni il suolo delle strade comunali.» Dunque, dalla normativa richiamata si può rilevare che quasi tutte le strade locali appartengono al demanio stradale comunale. Però tale elencazione, secondo la giurisprudenza, non è sufficiente al fine di determinare l'appartenenza di una strada al Comune. Per questi motivi sono stati individuati indici di riferimento, tra i quali l'uso pubblico, cioè l'uso da parte di un numero indeterminato di persone (il quale isolatamente considerato potrebbe indicare solo una servitù di passaggio), la ubicazione della strada all'interno dei luoghi abitati, l'inclusione nella toponomastica del Comune, la posizione della numerazione civica, il comportamento della p.a. nel settore dell'edilizia e dell'urbanistica. Per converso non può ritenersi elemento da solo sufficiente, l'inclusione o rispettivamente la mancata inclusione nell'elenco delle strade comunali, stante la natura dichiarativa e non costitutiva dell'elenco anzidetto (Cass. n. 22569/2020; Cass. n. 4345/2000). Inoltre, l'appartenenza di una strada a un ente pubblico territoriale può essere desunta da una serie di elementi presuntivi, purché soddisfi i requisiti di gravità, precisione e concordanza ex art. 2729 c.c., non potendo reputarsi, a tal fine, elemento da solo sufficiente l'inclusione o meno della strada stessa nel relativo elenco, avente natura dichiarativa e non costitutiva e avendo carattere relativo la presunzione di demanialità di cui all'art. 22 della l. n. 2248/1865, all. F. (Cass. n. 23705/2009; T.A.R. Lazio, Roma, n. 11327/2010). Infatti, «in riferimento alle strade comunali, la presunzione di demanialità di cui all'art. 22 l. n. 2248/1865, all. F, non si riferisce ad ogni area contigua e/o comunicante con la strada pubblica, ma solo a quelle aree che per l'immediata accessibilità appiano integranti della funzione viaria della rete stradale, così da costituire pertinenza della stessa» (Cass. n. 8876/2011). La Suprema Corte ha specificato che affinché un'area privata venga a far parte del demanio stradale, non è sufficiente che la strada sia posta all'interno di un centro abitato e che su di essa si esplichi di fatto il transito pubblico, ma è invece necessario che sia intervenuto un atto o un fatto che ne abbia trasferito il dominio alla p.a. e che essa sia destinata all'uso pubblico dalla stessa p.a., costituendo meri indici di riferimento, ciascuno di per sé solo non sufficiente al fine di stabilire a chi ne debba essere attribuita la proprietà, l'uso della strada da parte di un numero indeterminato di persone, il comportamento in relazione ad essa della amministrazione nel settore dell'edilizia e dell'urbanistica, e la sua inclusione in centro abitato. Così come non può desumersi la natura pubblica di una strada dalla prospettazione della mera previsione programmatica di tale destinazione, né è sufficiente l'avvenuta trasformazione degli spazi adiacenti di cui all'art. 22 l. n. 2248/1865 in un manufatto tipologicamente corrispondente a una strada cittadina, né, infine l'espletamento su di essa, di fatto, del pubblico transito, né l'intervento di atti di riconoscimento da parte dell'amministrazione medesima circa la funzione assolta da una determinata strada (Cass. n. 20405/2010). Anche la giurisprudenza del Consiglio di stato ha ribadito che «l'attribuzione del carattere di demanialità comunale ad una via privata richiede la destinazione della strada all'uso pubblico mediante acquisto, da parte dell'ente locale, della proprietà del suolo relativo o di altro diritto reale immobiliare (per effetto di un contratto, in conseguenza di un procedimento d'esproprio, per effetto di usucapione o dicatio ad patriam, ecc.). Non è sufficiente, in difetto dell'appartenenza della sede viaria al Comune, l'iscrizione della via negli elenchi delle strade comunali, giacché tale iscrizione non può pregiudicare le situazioni giuridiche attinenti alla proprietà del terreno e connesse con il regime giuridico della medesima» (Cons. St. n. 3489/2013). Non rientrano invece nel demanio stradale le strade agrarie o strade vicinali, che possono essere pubbliche e in tal caso costituire una ipotesi di servitù di uso pubblico o appartenere a privati (v. art. 825 c.c.). Il demanio specifico: i cimiteri.Il demanio comunale può comprendere anche i cimiteri e i mercati, noti come demanio specifico. Ad avviso di una dottrina la la demanialità dei cimiteri, come anche dei mercati, non dipende dal criterio del uso pubblico, ma in quanto realizzano un pubblico servizio, soddisfando esigenze primarie delle collettività locali (Castorina, 206). A tali beni, quindi, in virtù del richiamo al regime demaniale si applica integralmente l'art. 823 c.c.; pertanto, il Comune può utilizzarlo secondo il regime d'uso dei beni demaniali: può esercitare un uso diretto delle aree cimiteriali allorquando realizzi il servizio pubblico della sepoltura dei cadaveri, ma anche un uso particolare, affidando in concessione a soggetti private determinate aree cimiteriali. Ai sensi dell'art. 91 del d.P.R. n. 285/1990, le aree destinate alla costruzione di sepolture private devono essere previste nei piani regolatori cimiteriali e ai sensi del successivo art. 93, il diritto di uso delle sepolture private concesse a persone fisiche è riservato ai concessionari e ai loro familiari, all'evidente scopo di evitare che siano posti in essere atti speculativi (Bianca). Al riguardo, la giurisprudenza ha infatti affermato che «a norma dell'art. 824 comma 2 c.c. la concessione da parte del Comune di aree o porzioni di un cimitero pubblico è soggetta al regime demaniale dei beni, il quale si atteggia in modo diverso rispetto alla ordinaria disciplina edilizia [...] con la conseguenza che l'uso del sepolcrato approvato [...] non può costituire oggetto di lucro o di speculazione» (Cons. St. n. 4812/2006). Si deve dare atto, però, che la giurisprudenza della Cassazione ha enunciato il seguente principio di diritto in tema di diritto di sepolcro: «tale diritto, che afferisce alla sfera strettamente personale del titolare, è, dal punto di vista privatistico, disponibile da parte di quest'ultimo, che può, pertanto, legittimamente trasferirlo a terzi, ovvero associarli nella fondazione della tomba, senza che ciò rilevi nei rapporti con l'ente concedente, il quale può revocare la concessione soltanto per l'interesse pubblico, ma non anche contestare le modalità di esercizio del diritto de qui, che restano libere e riservate all'autonomia privata» (Cass. n. 21489/2019). Il c.d. diritto al sepolcro si fonda quindi su una concessione amministrativa con la quale sono costituiti diritti soggettivi perfetti nei confronti degli altri privati e diritti condizionati nei confronti della p.a. Pertanto, la concessione da parte del Comune di aree o porzioni di un cimitero pubblico è indipendente dalla eventuale perpetuità del diritto di sepolcro. Infatti, l'art. 92 del d.P.R. n. 285/1990 prevede che il Comune può revocare la concessione, in quanto connotata da poteri autoritativi incompatibili con la perpetuità della stessa. La giurisprudenza conferma la legittimità della revoca, perché in ottemperanza al divieto generale delle concessioni sine die; infatti, poiché l'art. 842 comma 2 c.c., include espressamente i cimiteri nel demanio comunale – i cui atti dispositivi, quindi, non sono legittimamente configurabili senza limiti di tempo – la concessione da parte di un Comune di aree o porzioni di un cimitero pubblico è soggetta a tali regole demaniali, ribadite inoltre dall'art. 92 comma 2 d.P.R. 10 settembre 1990 n. 285, indipendentemente dall'eventuale perpetuità del diritto di sepolcro, onde legittima è la revoca dell'atto concessorio rilasciato sine die (Cons. St. n. 2884/2001). La Corte di Cassazione ha specificato che in tema di diritto di sepolcro, dalla concessione amministrativa del terreno demaniale destinato ad area cimiteriale al fine di edificazione di una tomba derivi, in capo al concessionario, un diritto di natura reale sul bene, la cui manifestazione è costituita prima dalla edificazione, poi dalla sepoltura. Tale diritto, che afferisce alla sfera strettamente personale del titolare, è, dal punto di vista privatistico, disponibile da parte di quest'ultimo che può, pertanto, legittimamente trasferirlo a terzi, ovvero associarli nella fondazione della tomba, senza che ciò rilevi nei rapporti con l'ente concedente, il quale può revocare la concessione soltanto per interesse pubblico, ma non anche contestare le modalità di esercizio del diritto de quo, che restano libere e riservate all'autonomia privata (Cass. n. 21489/2019 e Cass. n. 1134/2003). Segue: i mercati. I mercati comunali, al pari dei cimiteri, rientrano nel demanio comunale e sono assoggettati al medesimo regime dei beni demaniali solo nel caso in cui appartengano ai Comuni. Nella nozione di mercato facente parte del demanio comunale rientra sia qualunque suolo di proprietà comunale aperto al pubblico per svolgere attività di vendita di prodotti, sia la costruzione o stabilimento, comprensivi di attrezzature per la vendita. Le funzioni amministrative in tema di fiere e mercati sono state trasferite, salvo alcune eccezioni, alle Regioni e ai Comuni dall'art. 41 del d.lgs. n. 112/1998 e ricomprendono «le attività non permanenti, volte a promuovere il commercio, la cultura, l'arte e la tecnica attraverso la presentazione da parte di una pluralità di espositori di beni o di servizi nel contesto di un evento rappresentativo dei settori produttivi interessati» (art. 39, d.lgs. n. 112/1998). L'art. 28 del d.lgs. n. 114/1998, regola le modalità di esercizio del commercio sulle aree pubbliche, disponendo che esso può essere svolto su posteggi dati in concessione per dieci anni o su qualsiasi area purché in forma itinerante. L'autorizzazione all'esercizio dell'attività di vendita sulle aree pubbliche esclusivamente è rilasciata dal Comune nel quale il richiedente, persona fisica o giuridica, intende avviare l'attività. Il federalismo demanialeIn attuazione dell'art. 119, comma 6, della Costituzione, è stata introdotta la l. 5 maggio 2009, n. 42, in materia di federalismo demaniale, la quale ha delegato al Governo di adottare alcuni decreti legislativi (d.lgs. n. 85/2010) al fine di attribuire risorse autonome agli enti territoriali (Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni) in relazione alle loro competenze, secondo il principio di territorialità, solidarietà, sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza. Il d.lgs. n. 85/2010, in attuazione della delega, ha previsto una sostanziale contrazione del patrimonio pubblico mediante l'attribuzione, a titolo non oneroso, di molti immobili del demanio e del patrimonio indisponibile dello Stato agli enti territoriali, affinché gli enti destinatari ne garantiscano «la massima valorizzazione funzionale» (art. 1, comma 2, d.lgs. n. 85/2010). L'art. 3, comma 1 e art. 5, comma 1, d.lgs. n. 85/2010 prevede che oggetto dell'attribuzione a Regioni ed enti locali sono i beni del demanio marittimo, idrico, gli aeroporti di interesse regionale o locale, le miniere e gli altri beni immobili dello Stato e i beni mobili a essi collegati, a eccezione di quelli esclusi dal trasferimento. Alle Regioni spettano i beni del demanio marittimo e del demanio idrico, con la sola eccezione dei laghi chiusi che verranno attribuiti alle Province, così come, per quanto attiene al patrimonio indisponibile, le miniere (v. art. 826 c.c.). In particolare, in applicazione dei criteri di territorialità, sussidiarietà e adeguatezza, si prevede che i beni sono attribuiti, considerando il loro radicamento sul territorio, ai Comuni, salvo che per l'entità o tipologia del singolo bene o del gruppo di beni, esigenze di carattere unitario richiedano l'attribuzione a Province, Città metropolitane o Regioni quali livelli di governo maggiormente idonei a soddisfare le esigenze di tutela, gestione e valorizzazione tenendo conto del rapporto che deve esistere tra beni trasferiti e funzioni di ciascun livello istituzionale (art. 2, comma 5, lett. a, d.lgs. n. 85/2010). Sono esclusi dal trasferimento, rimanendo pertanto nella titolarità dello Stato i seguenti beni: gli immobili in uso per comprovate ed effettive finalità istituzionali alle amministrazioni dello Stato; i porti e gli aeroporti di rilevanza economica nazionale e internazionale; i beni oggetto di accordi o intese con gli enti territoriali per la razionalizzazione o la valorizzazione dei rispettivi patrimoni immobiliari; le reti di interesse statale, ivi comprese quelle stradali ed energetiche; le strade ferrate in uso di proprietà dello Stato; i parchi nazionali e le riserve naturali statali; i giacimenti petroliferi e di gas; i siti di stoccaggio di gas naturale; i fiumi e i laghi di ambito sovraregionale, salvo per questi ultimi che vi sia intesa tra le Regioni interessate; i beni della difesa e i beni culturali, nei termini già previsti dalla normativa vigente; i beni costituenti la dotazione della Presidenza della Repubblica, nonché i beni in uso a qualsiasi titolo al Senato della Repubblica, alla Camera dei Deputati, alla Corte Costituzionale, nonché agli organi di rilevanza costituzionale. È bene evidenziare che, oltre alla sottrazione dalla titolarità proprietaria statale dei beni attribuiti agli enti territoriali, l'attuazione della riforma comporterà anche una contestuale riduzione del numero complessivo dei beni pubblici: infatti i beni ceduti entreranno nel patrimonio disponibile degli enti destinatari (v. sub art. 826) e potranno essere alienati solo previa valorizzazione attraverso le procedure per l'adozione delle varianti allo strumento urbanistico (art. 4, comma 3, d.lgs. n. 85/2010). Anche in tal caso vi sono tuttavia rilevanti eccezioni, sia di ordine generale che particolare: infatti, i beni appartenenti al demanio marittimo, idrico e aeroportuale, resteranno assoggettati al regime demaniale stabilito dal codice civile, nonché alla disciplina di tutela e salvaguardia dettata dal medesimo codice, dal codice della navigazione, dalle leggi regionali e statali e dalle norme comunitarie di settore, con particolare riguardo a quelle di tutela della concorrenza. In particolare, il Presidente del Consiglio dei Ministri nel decreto di attribuzione di beni demaniali diversi da quelli appartenenti al demanio marittimo, idrico e aeroportuale, può disporre il mantenimento dei beni stessi nel demanio o l'inclusione nel patrimonio indisponibile. Per i beni trasferiti che restano assoggettati al regime dei beni demaniali, l'eventuale passaggio al patrimonio è dichiarato dall'amministrazione dello Stato ai sensi dell'art. 829, comma 1, c.c.. Sui predetti beni non possono essere costituiti diritti di superficie. (art. 4, comma 1, d.lgs. n. 85/2010). La dottrina ha evidenziato i suoi timori in ordine a tali trasferimenti. Infatti, ravvisa da una parte che sia una storica occasione per l'assunzione di diretta responsabilità in capo alle amministrazioni territoriali in ordine alla gestione dei beni pubblici. Dall'altra, invece, teme che, nella concreta attuazione non avvenga l'assunzione della gestione, se non come occasione insperata di far cassa (Police, 442). I Magistrati di palazzo Spada (Cons Stato, sez. VII, ordinanza 15 settembre 2022, n. 8010, hanno , da ultimo, sottoposto e alla Corte di giustizia la questione pregiudiziale sul carattere ostativo o meno, alla corretta applicazione degli artt. 49 e 56 TFUE, dell'art. 49 cod. nav., il quale prevede la cessione - a titolo non oneroso e senza indennizzo da parte del concessionario alla scadenza della concessione quando questa venga rinnovata, senza soluzione di continuità, pure in forza di un nuovo provvedimento - delle opere edilizie realizzate sull'area demaniale facenti parte del complesso di beni organizzati per l'esercizio dell'impresa balneare. Si sottopone alla Corte di Lussemburgo, in particolare, la questione se gli artt. 49 e 56 TFUE e i principi desumibili dalla sentenza Laezza (C- 375/14) ove ritenuti applicabili, ostino all'interpretazione di una disposizione nazionale quale l'art. 49 cod. nav. nel senso di determinare la cessione a titolo non oneroso e senza indennizzo da parte del concessionario alla scadenza della concessione quando questa venga rinnovata, senza soluzione di continuità, pure in forza di un nuovo provvedimento, delle opere edilizie realizzate sull'area demaniale facenti parte del complesso di beni organizzati per l'esercizio dell'impresa balneare, potendo configurare tale effetto di immediato incameramento una restrizione eccedente quanto necessario al conseguimento dell'obiettivo effettivamente perseguito dal legislatore nazionale e dunque sproporzionato allo scopo.
BibliografiaBianca (diretto da), Commentario del codice civile, Gatti, Troiano (a cura di), Della proprietà, III, Roma, 2014; Police, I beni di proprietà pubblica, in Scoca (a cura di), Manuale di diritto amministrativo, Torino, 2019. Castorina, Beni delle province e dei comuni soggetti al regime dei beni demaniali, in Castorina - Chiara, Beni pubblici, Milano, 2008. |