Decreto legislativo - 18/04/2016 - n. 50 art. 53 - (Accesso agli atti e riservatezza) 1(Accesso agli atti e riservatezza)1 [1. Salvo quanto espressamente previsto nel presente codice, il diritto di accesso agli atti delle procedure di affidamento e di esecuzione dei contratti pubblici, ivi comprese le candidature e le offerte, è disciplinato dagli articoli 22 e seguenti della legge 7 agosto 1990, n. 241. Il diritto di accesso agli atti del processo di asta elettronica può essere esercitato mediante l'interrogazione delle registrazioni di sistema informatico che contengono la documentazione in formato elettronico dei detti atti ovvero tramite l'invio ovvero la messa a disposizione di copia autentica degli atti. 2. Fatta salva la disciplina prevista dal presente codice per gli appalti secretati o la cui esecuzione richiede speciali misure di sicurezza, il diritto di accesso è differito: a) nelle procedure aperte, in relazione all'elenco dei soggetti che hanno presentato offerte, fino alla scadenza del termine per la presentazione delle medesime; b) nelle procedure ristrette e negoziate e nelle gare informali, in relazione all'elenco dei soggetti che hanno fatto richiesta di invito o che hanno manifestato il loro interesse, e in relazione all'elenco dei soggetti che sono stati invitati a presentare offerte e all'elenco dei soggetti che hanno presentato offerte, fino alla scadenza del termine per la presentazione delle offerte medesime; ai soggetti la cui richiesta di invito sia stata respinta, è consentito l'accesso all'elenco dei soggetti che hanno fatto richiesta di invito o che hanno manifestato il loro interesse, dopo la comunicazione ufficiale, da parte delle stazioni appaltanti, dei nominativi dei candidati da invitare; c) in relazione alle offerte, fino all'aggiudicazione; d) in relazione al procedimento di verifica della anomalia dell'offerta, fino all'aggiudicazione. 3. Gli atti di cui al comma 2, fino alla scadenza dei termini ivi previsti, non possono essere comunicati a terzi o resi in qualsiasi altro modo noti. 4. L'inosservanza dei commi 2 e 3 per i pubblici ufficiali o per gli incaricati di pubblici servizi rileva ai fini dell'articolo 326 del codice penale. 5. Fatta salva la disciplina prevista dal presente codice per gli appalti secretati o la cui esecuzione richiede speciali misure di sicurezza, sono esclusi il diritto di accesso e ogni forma di divulgazione in relazione2: a) alle informazioni fornite nell'ambito dell'offerta o a giustificazione della medesima che costituiscano, secondo motivata e comprovata dichiarazione dell'offerente, segreti tecnici o commerciali; b) ai pareri legali acquisiti dai soggetti tenuti all'applicazione del presente codice, per la soluzione di liti, potenziali o in atto, relative ai contratti pubblici; c) alle relazioni riservate del direttore dei lavori, del direttore dell'esecuzione e dell'organo di collaudo sulle domande e sulle riserve del soggetto esecutore del contratto 3; d) alle soluzioni tecniche e ai programmi per elaboratore utilizzati dalla stazione appaltante o dal gestore del sistema informatico per le aste elettroniche, ove coperti da diritti di privativa intellettuale. 6. In relazione all'ipotesi di cui al comma 5, lettera a), è consentito l'accesso al concorrente ai fini della difesa in giudizio dei propri interessi in relazione alla procedura di affidamento del contratto 4.] [1] Articolo abrogato dall'articolo 226, comma 1, del D.Lgs. 31 marzo 2023, n. 36, con efficacia a decorrere dal 1° luglio 2023, come stabilito dall'articolo 229, comma 2. Per le disposizioni transitorie vedi l'articolo 225 D.Lgs. 36/2023 medesimo. [2] Così rettificato con Comunicato 15 luglio 2016 (in Gazz. Uff., 15 luglio 2016, n. 164). [3] Comma modificato dall'articolo 35, comma 1, del D.Lgs. 19 aprile 2017 n. 56. [4] Così rettificato con Comunicato 15 luglio 2016 (in Gazz. Uff., 15 luglio 2016, n. 164). InquadramentoL'art. 53 del d.lgs. n. 50/2016 (Codice dei contratti pubblici) detta la disciplina del diritto di accesso in relazione alle procedure ad evidenza pubblica. Tale norma, dunque, costituisce attuazione del principio di trasparenza nell'ambito dello specifico settore dei contratti pubblici. In proposito, infatti, in dottrina (Perfetti, 2013, 183) è stato affermato che l'esercizio del diritto di accesso ai documenti e ai dati afferenti alle procedure di affidamento e di esecuzione dei contratti pubblici costituisce la fisiologica conseguenza dell'evidenza pubblica, in quanto essa risulta informata, tra l'altro, ai principi di pubblicità e trasparenza la cui attuazione, anche per il tramite dell'esercizio del diritto di accesso, contribuisce a garantire un sano confronto concorrenziale tra gli operatori economici interessati ad aggiudicarsi le commesse pubbliche. Il modello procedimentale dell'evidenza pubblica, infatti, partendo dalla legge di contabilità di Stato (r.d. n. 2440/1923) e passando per gli interventi normativi eurounitari, si è evoluto da mezzo di controllo sull'utilizzo delle risorse pubbliche nell'ottica di soddisfare l'interesse dell'amministrazione ad addivenire alla stipula del contratto economicamente più favorevole, a strumento per aprire alla concorrenza il mercato delle commesse pubbliche (Saitta, 151). L'accesso agli atti di gara e a quelli afferenti alla fase di esecuzione dei contratti pubblici è modellato dal legislatore sulla scorta del paradigma dell'accesso documentale, al cui regime giuridico la norma in commento rimanda espressamente mediante il rinvio mobile contenuto nel primo comma dell'art. 53. In linea generale, fatti salvi gli appalti secretati o quelli la cui esecuzione richiede speciali misure di sicurezza, l'accesso ai documenti afferenti agli affidamenti pubblici è ampio e ricomprende anche gli atti rientranti nell'attività di diritto comune delle pubbliche amministrazioni. Il legislatore, poi, per contemperare le esigenze sottese al diritto di accesso (e quindi, in ultima istanza, al principio di trasparenza), con le esigenze di riservatezza e quelle proprie delle procedure di affidamento (tra cui rileva l'attuazione del principio di concorrenza), ha previsto, in maniera tassativa, una serie di casi al ricorrere dei quali l'accesso è differito nel tempo, ovvero è del tutto escluso. Anche con riferimento all'accesso nel settore dei contratti pubblici, quindi, il legislatore ha previsto un regime di esclusioni che limita il diritto di accesso, in quanto ha considerato a monte – senza lasciare alcun margine di apprezzamento all'amministrazione – che il diritto alla disclosure fosse, in alcuni casi, recessivo rispetto ad altri interessi fondamentali dell'ordinamento giuridico. Inoltre, l'ultimo comma dell'art. 53 disciplina l'istituto del c.d. accesso difensivo, prevedendone tuttavia un più ristretto ambito di operatività rispetto a quello dell'analogo istituto disciplinato in via generale dall'art. 24 della l. n. 241/1990. Infine, vale segnalare sin da ora che i recenti sviluppi della giurisprudenza amministrativa hanno chiarito che in materia di affidamenti pubblici trova piena applicazione anche l'istituto dell'accesso civico generalizzato. La vigente disciplina del diritto di accesso in materia di contratti pubbliciL'art. 53 del d.lgs. n. 50/2016 disciplina l'istituto dell'accesso ai documenti nel settore dei contratti pubblici mutuando integralmente la previgente disciplina contenuta nell'art. 13 del precedente Codice dei contratti pubblici (d.lgs. n. 163/2006). Il regime attuale, quindi, conferma quello precedente che, come posto in evidenza dalla dottrina (Avino, 690 ss.), conteneva scelte innovative in tema di accesso ai documenti di gara – pur rinvenendo un antecedente nella l. n. 109/1994 – quali l'estensione all'intero settore degli affidamenti pubblici delle regole sull'accesso inizialmente applicabili alle sole opere pubbliche (Lipari, 991). L'art. 53, comma 1, del d.lgs. n. 50/2016 opera un rinvio generale alla disciplina dell'accesso documentale, stabilendo che, al di fuori di quanto espressamente previsto dal Codice dei contratti pubblici, il diritto di accesso agli atti delle procedure di affidamento e di esecuzione dei contratti pubblici è disciplinato dagli articoli 22 e seguenti della legge generale sul procedimento amministrativo. Trova, quindi, applicazione anche la disciplina attuativa dettata dal d.P.R. n. 184/2006 recante «Regolamento recante disciplina in materia di accesso ai documenti amministrativi». In forza del rinvio mobile alla legge generale sul procedimento amministrativo e del tenore letterale della norma – che esplicitamente menziona gli atti di esecuzione dei contratti pubblici – è pacifico che gli atti della fase esecutiva rientrino nell'ambito oggettivo del diritto di accesso disciplinato dall'art. 53 del Codice dei contratti pubblici. Invero, il rinvio alla l. n. 241/1990 risulta di particolare rilievo per giustificare l'accessibilità degli atti afferenti alla fase esecutiva dei contratti pubblici. Infatti la legge generale sul procedimento amministrativo colloca la trasparenza tra i principi generali dell'attività amministrativa (art. 22, comma 2) che, pertanto, anche ai fini dell'accesso, va intesa come comprensiva tanto dell'attività di natura autoritativa, quanto di quella di diritto comune della pubblica amministrazione (Perfetti, 2013, 187). Inoltre, depone in tal senso anche il fatto che la nozione di documento amministrativo di cui all'art. 22, comma 1, lett. d), della l. n. 241/1990 ricomprende tutti gli atti formati o detenuti dalle pubbliche amministrazioni, a prescindere dal fatto che la disciplina sostanziale degli stessi sia di diritto pubblico oppure di diritto privato. È stato poi osservato (Minervini, 949 ss.) che la disciplina dell'accesso in materia di contratti pubblici sottende una tensione tra la tutela della segretezza degli offerenti durante la procedura ad evidenza pubblica e il diritto alla conoscenza dei documenti di gara da parte degli altri concorrenti. Tale norma, invero, costituisce il portato delle scelte operate dal legislatore comunitario che, nella ricerca di un punto di equilibrio tra le esigenze della concorrenza e quelle della trasparenza e conoscibilità dell'azione amministrativa, ha dettato una serie di norme (cfr. l'art. 28 della direttiva (UE) n. 23/2014, l'art. 21 della direttiva (UE) n. 24/2014 e l'art. 39 della direttiva (UE) n. 25/2014) volte ad evitare che le amministrazioni aggiudicatrici rivelino anzitempo le informazioni di cui sono entrate in possesso per effetto della gara (cioè quelle comunicate dagli operatori economici e da essi considerate riservate), con espressa salvezza del diritto di accesso e degli obblighi di pubblicazione delle informazioni relative agli appalti aggiudicati. Infatti in materia di contratti pubblici è particolarmente forte il contrasto tra l'interesse conoscitivo dei soggetti che richiedono l'accesso agli atti delle procedure ad evidenza pubblica e l'interesse degli operatori economici partecipanti alla gara a salvaguardare il proprio know-how industriale e le ulteriori informazioni strategiche afferenti alla propria attività d'impresa (Caringella, 995). Più in particolare, la disciplina positiva dell'accesso nel settore dei contratti pubblici presenta tre tratti peculiari. Essa, in primo luogo, mutua i caratteri dell'istituto dal modello dell'accesso documentale, come è dato evincere, in generale, dal rinvio operato dal primo comma dell'art. 53 del d.lgs. n. 50/2016 e, in particolare, per quel che riguarda il c.d. accesso difensivo, dall'ultimo comma di tale norma. In secondo luogo, viene sancito il differimento dell'accesso per una pluralità di atti indicati dal comma 2 della norma in commento – fatta salva la disciplina prevista dal Codice dei contratti pubblici per gli appalti secretati e per quelli la cui esecuzione richiede special sicurezza –. In terzo e ultimo luogo, sono previste specifiche esclusioni dal diritto di accesso che mirano a tutelare interessi ritenuti prioritari dal legislatore, rispetto all'antagonista interesse alla conoscibilità degli atti di gara, in forza di un bilanciamento operato a monte. Il sistema delle esclusioni, invero, non costituisce un unicum della disciplina dell'accesso in materia di contratti pubblici in quanto, come noto, esso caratterizza anche il regime dell'accesso documentale (art. 24 della l. n. 241/1990) e quello dell'accesso civico generalizzato (art. 5-bis del d.lgs. n. 33/2013). Il rinvio alla disciplina sul diritto d'accesso di tipo documentale incide sui profili strutturali dell'istituto dell'accesso in materia di contratti pubblici, in quanto attraverso tale meccanismo il legislatore ha trasposto i caratteri essenziali del modello di accesso previsto dalla legge n. 241/1990 anche nel settore dei contratti delle pubbliche amministrazioni. In particolare, in forza di tale rinvio, l'oggetto dell'accesso, l'individuazione dei soggetti legittimati, tanto dal lato attivo, quanto da quello passivo, i requisiti di legittimazione, le modalità di esercizio del diritto di accesso e le forme di tutela sono assoggettate al regime normativo previsto per l'accesso documentale. Valorizzando l'operatività del meccanismo di rinvio è possibile affermare che anche il terzo non concorrente è, in astratto, legittimato ad accedere ai documenti della gara. Depone in tal senso anche il fatto che non vi sia alcuna norma di settore che vieti al terzo di soddisfare il proprio interesse conoscitivo rispetto all'informazione contenuta negli atti di gara. Tuttavia, come chiarito dalla giurisprudenza (Cons. St. V, n. 3953/2018; Cons. St. V, n. 4813/2017), l'accesso del terzo è in concreto consentito solo ove tale soggetto dimostri di essere legittimato ad accedere ai documenti di gara in conformità a quanto previsto, in via generale, dagli articoli 22 e ss. della legge n. 241/1990. Vale osservare che in passato la giurisprudenza era di diverso avviso, in quanto considerava che la disciplina in tema di accesso agli atti delle gare pubbliche fosse più restrittiva di quella generale di cui all'art. 24 della l. n. 241/1990, sia sotto il profilo soggettivo – essendo l'accesso consentito solo al concorrente che abbia partecipato alla gara – sia sul piano oggettivo, in quanto l'accesso risulterebbe condizionato alla comprovata esigenza di una difesa in giudizio (Cons. St. V,1056/2016; Cons. St. V, n. 1056/2016; Cons. St. V, n. 2096/2015; Cons. St. V, n. 3079/2014). Il differimento dell'accesso L'art. 53, comma 2, del d.lgs. n. 50/2016 disciplina l'istituto del differimento di accesso agli atti di gara. Si tratta di un istituto già previsto dall'art. 24, comma 4, della l. n. 241/1990 che viene considerato una particolare modalità di accesso e non di esclusione. In particolare, la funzione del differimento è quella di posporre nel tempo l'accessibilità nell'ottica di assicurare la più ampia disclosure possibile dei documenti amministrativi, operando un bilanciamento tra le esigenze sottese al principio di trasparenza e quelle legate alla salvaguardia di ulteriori interessi fondamentali dell'ordinamento. A differenza della disciplina del differimento dettata in tema di accesso documentale – che si caratterizza per il fatto che, rispetto alla decisione di posticipare l'accesso, spetta all'amministrazione operare il bilanciamento tra interesse ostensivo e gli altri interessi coinvolti nella disclosure dei documenti richiesti (T.A.R. SardegnaI, n. 2045/2009) – le ipotesi nelle quali è possibile fare ricorso a tale istituto sono solo quelle tassativamente previste dal legislatore. Le ipotesi di differimento sono quattro, riguardano specifici atti di gara ed è anche individuato il momento nel quale cessa la causa di differimento e i documenti diventano accessibili. Nello specifico, l'accesso è differito: i) nelle procedure aperte, in relazione all'elenco dei soggetti che hanno presentato l'offerta, fino alla scadenza del termine di presentazione (art. 52, comma 2, lett. a); ii) nelle procedure ristrette e negoziate, in relazione all'elenco dei soggetti che hanno richiesto o manifestato interesse a partecipare, nonché in relazione all'elenco dei soggetti invitati e a quelli che hanno presentato offerte, fino alla scadenza del termine per presentare le offerte (art. 52, comma 2, lett. b) – la norma, inoltre, prevede che i soggetti la cui richiesta di invito è stata rigettata possono accedere all'elenco dei soggetti che richiesto o manifestato interesse a partecipare solo dopo che la stazione appaltante ha comunicato ufficialmente i nominativi degli operatori da invitare; iii) per le offerte fino all'aggiudicazione (art. 52, comma 2, lett. c); iv) per gli atti del procedimento di verifica dell'anomalia dell'offerta, fino all'aggiudicazione (art. 52, comma 2, lett. d). L'art. 53 del d.lgs. n. 50/2016 stabilisce che il differimento dell'accesso dei predetti documenti è assoluto, in quanto fino alla scadenza dei termini normativamente previsti i documenti che rientrano nell'ambito di applicazione soggettivo di tale istituto non possono essere comunicati a terzi, né resi noti con altre modalità. La cogenza delle previsioni in materia di differimento è particolarmente rafforzata in quanto il legislatore prevede espressamente che la violazione delle stesse integra gli estremi del reato di rivelazione di segreti di ufficio di cui all'art. 326 del Codice penale. La dottrina (Perfetti, 2017, 539) ha posto in rilievo che le finalità sottese al differimento variano a seconda della tipologia di documento che viene in rilievo. Così, le ipotesi di cui all'art. 52, comma 2, lett. a) e b) mirano, da un lato, a impedire che le imprese interessate alla commessa pubblica rinunzino a partecipare alla gara conoscendo anzitempo il nominativo degli altri concorrenti e, dall'altro, ad evitare la realizzazione di accordi fraudolenti tra gli operatori economici che partecipano alla procedura. Di contro, le ipotesi di cui all'art. 53, comma 2, lett. c) e d), mirano a tutelare la riservatezza delle imprese concorrenti e ad evitare che gli operatori economici partecipanti si ritirino anzitempo dalla gara conoscendo anzitempo il contenuto delle altre offerte. In ogni caso, tutti i casi di differimento risultano strumentali alla piena realizzazione del principio di concorrenza, quale principio cardine di matrice comunitaria delle procedure ad evidenza pubblica (art. 30 del Codice dei contratti pubblici), in forza del quale deve essere consentita la massima partecipazione possibile degli operatori economici interessati ad aggiudicarsi le commesse pubbliche. La giurisprudenza (T.A.R. Puglia, Lecce III, n.1262/2018) ha chiarito che la disposizione normativa che differisce fino all'aggiudicazione la disclosure deve necessariamente essere interpretata in modo restrittivo, riaffermando che nell'ordinamento giuridico il segreto amministrativo riveste ormai un ruolo marginale rispetto alla trasparenza dell'azione dei pubblici poteri. Le ipotesi di divieto di accesso L'art. 53, comma 5, del Codice dei contratti pubblici, facendo ricorso al meccanismo delle absolute exemption, caratteristico dei regimi normativi in materia di accesso tanto di tipo documentale (art. 24 della l. n. 241/990), quanto a quelli di tipo c.d. FOIA (art. 5-bis del d.lgs. n. 33/2013), stabilisce in maniera tassativa quali documenti sono totalmente esclusi dal diritto di accesso. Attraverso la previsione di tali eccezioni al diritto di accesso il legislatore, operando un bilanciamento prognostico, stabilisce dinanzi a quali ulteriori interessi ordinamentali di rango primario il diritto alla conoscibilità dell'agere amministrativo risulta recessivo. Nei casi tassativamente previsti da tale norma, quindi, all'amministrazione non spetta che esercitare un potere di carattere vincolato di accertamento della ricorrenza dei presupposti delle fattispecie normativamente previste, senza poter operare alcun bilanciamento degli interessi in conflitto, sostituendo le proprie valutazioni discrezionali a quella realizzata a monte dal legislatore. Al riguardo occorre altresì rilevare che rispetto alla disciplina prevista in materia di accesso agli atti di gara dal d.lgs. n. 163/2006 – laddove all'art. 13, comma 5, lett. b) prevedeva che la stazione appaltante potesse individuare con proprio regolamento ulteriori aspetti riservati delle offerte – il legislatore del 2016 non ha inteso riservare all'amministrazione alcun margine di discrezionalità nella determinazione delle informazioni completamente sottratte al diritto di accesso, a riprova del maggior grado di apertura dell'amministrazione, quale portato dell'evoluzione del principio di trasparenza nel nostro ordinamento. La prima causa di esclusione dal diritto di accesso, nonché da ogni altra forma di divulgazione, è costituita dalle informazioni fornite nell'ambito o a giustificazione dell'offerta, ove gli operatori che le hanno prodotte abbiano espressamente dichiarato che le stesse costituiscono segreti tecnici e commerciali (art. 53, comma 5, lett. a). La ratio di tale previsione è quella di tutelare il know-how industriale delle imprese che partecipano alle procedure ad evidenza pubblica, in una più ampia ottica di salvaguardia dell'interesse pubblico al mantenimento di fisiologiche condizioni di concorrenza nei mercati interessati dalla commessa pubblica (infra). La giurisprudenza ha chiarito che il divieto in questione non opera per la totalità delle informazioni che ineriscono all'offerta presentata in sede di gara, ma unicamente in relazione a quelle per le quali è stata dichiarata la sussistenza di un segreto, con la conseguenza che l'amministrazione può accogliere l'istanza di accesso, ancorché parzialmente, con riguardo alla restante parte del set informativo a corredo dell'offerta (Cons. St. VI, n. 5062/2010). Il legislatore ha inteso evitare che dalla conoscenza di informazioni segrete gli altri concorrenti possano trarre indebiti vantaggi commerciali nel mercato di riferimento o in relazione a gare con analogo oggetto (T.A.R. BasilicataI, n. 590/2016;T.A.R. Puglia, BariI, n. 546/2016). Tale divieto, inoltre, non è ad applicazione automatica, essendo sempre necessario che sia l'impresa offerente ad opporre il segreto mediante una espressa dichiarazione da formulare in sede di presentazione dell'offerta, non essendo a tal fine idonea una dichiarazione resa successivamente alla presentazione dell'istanza di accesso (Cons. St. IV, n. 3431/2016). La fattispecie in esame, nonostante presenti un carattere tassativo, non esclude il potere dell'amministrazione di vagliare la non manifesta infondatezza delle ragioni poste dagli offerenti a fondamento dell'opposizione del segreto tecnico o commerciale (Cons. St. VI, n. 3418/2006;T.A.R. Lombardia, MilanoIII, n. 116/2013). Giova altresì considerare che ancorché parte della dottrina (Perfetti, 2017, 540) consideri che la norma in esame sia posta a presidio di interessi privati – valorizzando il fatto che essa ponga sugli operatori offerenti l'onere di dichiarare la sussistenza di informazioni coperte da segreto quale condizioni di operatività dell'eccezione di cui all'art. 53, comma 5, lett. a) – a ben vedere sarebbe più corretto considerare la fattispecie in questione in una cornice più ampia e porne in luce il suo carattere ancipite. Invero, l'interesse privato alla non divulgazione di determinate informazioni è tutelato dall'ordinamento non per il solo fatto che un soggetto dichiari, in termini astratti, che uno specifico documento o informazione costituisca un segreto tecnico o commerciale, ma solo nella misura in cui si tratti effettivamente di informazioni segrete, la cui riservatezza sia stata tutelata dall'operatore economico mediante la predisposizione di guarentigie volte ad impedirne l'apprensione da parte di soggetti terzi (cfr. art. 98 del d.lgs. n. 30/2005). Prendendo in considerazione il quadro ordinamentale nel suo complesso, d'altronde, emerge come la tutela apprestata ai segreti tecnici, commerciali e industriali, non si risolve nella mera salvaguardia dell'interesse privato nel contesto delle relazioni intersoggettive di diritto comune, ancorché mediate dall'esercizio dei pubblici poteri, ma inerisce al complesso dei rapporti giuridico-economici di mercato il cui corretto svolgimento è presidiato dall'interesse pubblico alla tutela del mercato e della concorrenza. Si pensi, ad esempio alla disciplina che il d.P.R. n. 217/1998 detta in materia di accesso nell'ambito dei procedimenti amministrativo-sanzionatori di competenza dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato. Tale regolamento, all'art. 13, comma 3, espressamente sottrae all'accesso procedimental-partecipativo i documenti che contengono segreti commerciali, riconoscendone una limitata accessibilità solo laddove sia formulata istanza di accesso difensivo (alla stregua di quanto previsto in via generale dall'art. 24, comma 7, della l. n. 241/1990 e in via settoriale dall'art. 53, comma 6, del d.lgs. n. 50/2016), unicamente con riguardo agli elementi ritenuti essenziali per la difesa in giudizio dell'impresa richiedente la disclosure. Vale, peraltro, considerare, a sostegno della strumentalità dell'ipotesi di divieto in commento alla tutela di interessi di natura sia pubblica sia privata, che all'amministrazione è consentito operare un vaglio sulla non manifesta infondatezza della dichiarazione resa dall'offerente in ordine alla sussistenza di un segreto tecnico o commerciale – a sua volta suscettibile di controllo giurisdizionale nei limiti del vaglio di legittimità sull'esercizio del potere –. La causa di esclusione in questione, tuttavia, viene in parte mitigata nelle ipotesi di accesso difensivo di cui all'art. 53, comma 6, del Codice dei contratti pubblici (v. infra). La seconda causa di divieto di accesso prevista dalla norma in commento riguarda i pareri legali (art. 53, comma 5, lett. b). Il legal privilege opera quale causa di esclusione del diritto di accesso agli atti di gara solo nella misura in cui si tratti di atti di consulenza giuridica redatti da professionisti esterni all'assetto della stazione appaltante che siano stati richiesti per la soluzione di liti, potenziali o in atto, relative ai contratti pubblici ai quali inerisce la procedura ad evidenza pubblica nel quale è stato esercitato il diritto di accesso. La giurisprudenza (Cons. St. IV, n. 4338/2016) ha affermato che «il principio di riservatezza in questione limita il diritto d'accesso non come mera eccezione alla regola (dunque, di stretta interpretazione), bensì come disciplina rispondente ai valori sottesi all'art. 24 Cost., in modo da garantire, in una con l'effettiva parità delle armi tra le parti in un giudizio o nei riguardi d'una lite potenziale e probabile, che l'accesso non sia adoperato in modo strumentale e tale da offrire indebiti vantaggi ad una, piuttosto che all'altra dei parti». La dottrina (Perfetti, 2017, 540) ha osservato che il divieto di accesso a tali documenti mira a tutelare il diritto di difesa della stazione appaltante in un contenzioso potenziale o in atto, preservando la parità delle armi tra le parti del giudizio. Altra parte della dottrina (Mezzacapo, 662-663) ha osservato che il legal privilege opera anche laddove il parere sia stato chiesto e reso successivamente alla definizione del procedimento ad evidenza pubblica, purché sia correlato alla definizione della strategia difensiva della stazione appaltante rispetto a un contenzioso in atto o potenziale inerente alla procedura di affidamento. Parimenti, il carattere tassativo del divieto non impedisce di considerare coperti da legal privilege i pareri resi prima della stipula del contratto pubblico, sempre a condizione che essi si riferiscano alla definizione delle strategie difensive della stazione appaltante in relazione alla procedura ad evidenza pubblica che viene in rilievo. La giurisprudenza (Cons. St. VI, n. 7237/2010; T.A.R. Lazio, Roma III-quater, n.7930/2008) ha invece affermato che non rientrano nell'ambito di applicazione oggettivo del suddetto divieto i pareri legali acquisiti nel corso del procedimento e posti a base delle motivazioni di atti endoprocedimentali o del provvedimento finale. La terza causa tipica di esclusione dal diritto di accesso riguarda le relazioni riservate del direttore dei lavori, del direttore dell'esecuzione e dell'organo di collaudo sulle domande e sulle riserve del soggetto esecutore del contratto (art. 53, comma 5, lett. c). La dottrina (Perfetti, 2017, 541) ha evidenziato che la ratio di tale divieto è quella di evitare che il privato venga a conoscenza degli elementi sulla cui base si formerà la volontà transattiva della stazione appaltante, traendone vantaggio nella determinazione della propria posizione. Per quel che concerne le relazioni riservate, posto che esse sono suscettibili di contenere argomenti difensivi che la stazione appaltante potrebbe utilizzare in un eventuale giudizio, la ratio dell'esclusione dal diritto di accesso è simmetrica a quella sottesa all'eccezione relativa ai pareri legali acquisiti con finalità difensiva (Cons. St., Ad. plen., n. 11/2007). Anche la dottrina (Mezzacapo, 664) è concorde nel ritenere che la sottrazione all'accesso di tali documenti non svolga unicamente la funzione di favorire il perfezionamento di accordi bonari, ma miri anche a preservare la tutela degli interessi della stazione appaltante nell'ambito di un potenziale contenzioso con l'appaltatore in relazione al riconoscimento delle riserve e al pagamento del prezzo integrale dell'opera. Vale, inoltre, ricordare che la giurisprudenza amministrativa (Cons. St. IV, n. 326/2016; Cons. St. V, n. 3253/2000) ha chiarito il perimetro oggettivo di tale causa di esclusione dal diritto di accesso con riferimento alle relazioni dell'organo di collaudo, rimarcandone la natura eccezionale delle fattispecie previste dall'art. 53, comma 5, del Codice dei contratti pubblici, che rende le stesse insuscettibili di applicazione analogica. In particolare, è stato considerato accessibile il verbale conclusivo di accertamento tecnico contabile stilato dall'organo di collaudo, trattandosi di un documento differente dalla relazione riservata che viene redatta sempre da tale organo. Invero, mentre la relazione riservata ha un contenuto valutativo, il verbale di accertamento tecnico contabile ha valore di accertamento del testo delle riserve apposte dall'impresa appaltatrice sugli atti dell'appalto e in tale documento le controdeduzioni del direttore dei lavori non possono essere assimilate a valutazioni defensionali, integrando invece un dato «storico che fotografa il contrasto tra le parti intercorso nella fase di esecuzione dell'appalto e non v'è ragione di precluderne l'accessibilità» (Cons. St. V, n. 3594/2018). Infine, l'ultima causa di esclusione dal diritto di accesso riguarda le soluzioni tecniche e i programmi per elaboratore utilizzati dalla stazione appaltante o dal gestore del sistema informatico per le aste elettroniche, ove coperti da diritti di privativa intellettuale (art. 53, comma 5, lett. d). Secondo la dottrina (Perfetti, 2017, 541; Mezzacapo, 665) tale divieto di accesso si giustifica in funzione della protezione dei diritti di privativa e, più in generale, del know-how della pubblica amministrazione in relazione ai software utilizzati per lo svolgimento delle aste elettroniche. A ben vedere, il divieto in questione mira a preservare i principi che presiedono allo svolgimento delle procedure ad evidenza pubblica, con particolare riferimento a quelli di libera concorrenza e non discriminazione, in quanto laddove gli operatori economici acquisissero conoscenza del software utilizzato per lo svolgimento dell'asta elettronica potrebbero porre in essere comportamenti, sia unilaterali che coordinati, al fine di trarre un indebito vantaggio dalla procedura telematica di affidamento, falsandone gli esiti. Per questa ragione, anche il divieto in questione è posto a presidio dell'interesse pubblico alla tutela della concorrenza per il mercato. L'accesso difensivo L'art. 53, comma 6, del d.lgs. n. 50/2010 prevede una specifica disciplina del c.d. accesso difensivo. Tale istituto, già previsto dall'art. 24, comma 7, della l. n. 241/1990 nell'ambito della disciplina generale sull'accesso documentale, costituisce una deroga al divieto di accesso sancito dall'art. 53, comma 5, lett. a), con riguardo alle «informazioni fornite nell'ambito dell'offerta o a giustificazione della medesima che costituiscano, secondo motivata e comprovata dichiarazione dell'offerente, segreti tecnici o commerciali». Il legislatore, pertanto, nel contemperare l'interesse alla riservatezza delle informazioni fornite dalle imprese che partecipano a una procedura ad evidenza pubblica, ove le stesse costituiscano segreti tecnici o commerciali, e l'interesse ad accedere alla tutela giurisdizionale delle proprie situazioni giuridiche soggettive correlate alla procedura di affidamento del contratto (che, ai sensi dell'art. 24 della Costituzione, assume a valore fondamentale dell'ordinamento giuridico), ha inteso riconoscere prevalenza al secondo (T.A.R. Marche, AnconaI, n. 116/2015). In proposito è stato affermato che «se l'accesso è diritto dell'interessato ammesso in via generale dalla norma della l. n. 241/1990, le compressioni di cui ai commi 2 e 5 dell'art. 53 del Codice (che si occupano del differimento dell'accesso per determinate tipologie di atti) rappresentano norme speciali e, comunque, eccezionali, da interpretarsi in modo restrittivo (attenendosi a quanto tassativamente ed espressamente contenuto in esse); mentre le deroghe a tali eccezioni, contenute nel comma 6 di tale ultima disposizione, consentendo una riespansione e riaffermazione del diritto generalmente riconosciuto nel nostro ordinamento di accedere agli atti, possono ben essere considerate ‘eccezioni all'eccezione' e, dunque, nuovamente regola» (T.A.R. Valle D'Aosta, sez.unica, n. 34/2017). Con riguardo ai requisiti di esercizio di tale diritto, altra parte della giurisprudenza (Cons. St.VI, n. 1568/2013) ha affermato che l'accesso difensivo è consentito quando l'interessato dimostri «la specifica connessione con gli atti di cui ipotizza la rilevanza a fini difensivi e ciò anche ricorrendo all'allegazione di elementi induttivi [...] Altrimenti opinando il diritto di difesa diventerebbe una generica formula di unilaterale prospettazione di prevalenza delle esigenze ostensive su ogni altro interesse contrapposto, pur espressamente contemplato dalle disposizioni normative di rango primario e regolamentare come limite legale all'accesso». Tuttavia, non si ammette un accesso difensivo indiscriminato alle informazioni che costituiscono segreti tecnici e commerciali degli altri concorrenti, ma solo nei limiti nei quali tali accesso non vada a pregiudicare completamente gli interessi che l'opposizione del segreto mira a salvaguardare. A tale riguardo giova considerare che nei casi di accesso difensivo di cui all'art. 53, comma 6, del Codice dei contratti pubblici, viene in rilievo il principio di concorrenza non solo nell'accezione di concorrenza per il mercato (cioè avuto riguardo alla competizione nella singola gara e per una determinata commessa pubblica), ma anche alla più ampia accezione di concorrenza nel mercato, posto che le informazioni commerciali di carattere segreto sono, normalmente, suscettibili di essere utilizzate anche al di fuori del contesto di gara. Quest'ultima, in particolare, è relazionata all'interesse al mantenimento di fisiologiche condizioni di concorrenza nel mercato geografico e merceologico nel quale opera il concorrente che oppone il segreto, che verrebbero ad essere indebitamente alterate laddove si consentisse ad altri operatori di entrare in possesso di informazioni segrete sul modello di business e sulle iniziative commerciali e industriali dei concorrenti. Ciò infatti risulta foriero di determinare un aumento della competitività dell'impresa che accede a tali informazioni, che non si basa sul merito imprenditoriale e sugli investimenti in ricerca e sviluppo autonomamente realizzati con le proprie risorse economico-finanziarie, bensì risulta essere la mera conseguenza dell'esercizio del diritto di accesso in correlazione con la partecipazione a una gara ad evidenza pubblica. L'ordinamento non può consentire una simile occorrenza, in quanto essa disincentiverebbe le imprese più virtuose a realizzare investimenti – con detrimento degli interessi economici dei consumatori ed utenti finali – in ragione della esposizione al rischio di comportamenti di free riding da parte degli altri operatori interessati agli affidamenti pubblici in quanto, se portata alle estreme conseguenze, comporterebbe un affievolimento della partecipazione alle procedure ad evidenza pubblica, in contrasto con la piena realizzazione del principio di concorrenza e con effetti negativi sulla qualità delle prestazioni erogate alle amministrazioni e/o all'utenza (a seconda del tipo di affidamento). Sul punto possono essere richiamate le considerazioni svolte dalla giurisprudenza amministrativa (T.A.R. Calabria, Catanzaro I, 830/2017) con riguardo all'accesso alle informazioni afferenti agli appalti secretati. In particolare, è stato affermato che in tali casi sorge la necessità di compiere un bilanciamento tra l'interesse alla non divulgazione di informazioni sensibili e il diritto di difesa garantito dall'art. 24 della Costituzione (Cons. St. VI, n. 5515/2013; Cons. St. VI, n. 857/2010; Cons. St. VI, n. 3960/2008) e che, pertanto, il diritto di accesso può essere precluso dal segreto solo nei limiti in cui esso sia necessario per salvaguardare l'interesse a tutela del quale è stato posto. In ogni caso, l'amministrazione non può subordinare l'accoglimento della domanda ostensiva ai sensi dell'art. 53, comma 6, del d.lgs. n. 50/2016 alla verifica della ammissibilità dell'azione giudiziaria prospettata dal soggetto che richiede la disclosure, dovendo solo limitarsi ad accertare, stante il tenore di tale norma, che si intenda far valere una posizione giuridica soggettiva relazionata con la procedura di affidamento e non, invece, un interesse diverso quale, ad esempio, quello al risarcimento del danno per concorrenza sleale o per illecito extracontrattuale (Cons. St. IV, n. 3431/2016). L'operatività dell'istituto dell'accesso civico generalizzato in materia di contratti pubbliciLa questione dell'applicabilità dell'istituto alla materia dei contratti pubblici è stato, di recente, favorevolmente risolto dalla Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato. In proposito vale ricordare che, in passato, vi era un contrasto di orientamenti in seno alla giurisprudenza amministrativa. Più in particolare, una parte della giurisprudenza (Cons. St. III, n. 3780/2019) sosteneva che l'accesso civico generalizzato, interpretato alla luce del quadro dei principi costituzionali, non potesse essere limitato da normative preesistenti che, ratione temporis, non avevano potuto prendere in considerazione tale istituto; per tale ragione, dunque, i limiti all'accesso documentale previsti dalla legge generale sul procedimento non potevano essere applicati, secondo tale giurisprudenza, ai casi di accesso civico generalizzato in maniera da escludere dall'ambito oggettivo di operatività di tale istituto un'intera materia, quale quella dei contratti pubblici. Altra parte della giurisprudenza (Cons. St. V, n. 5502/2019; Cons. St. V, n. 5503/2019), invece, riteneva che l'art. 5-bis, comma 3, del d.lgs. n. 33/2013, nel rinviare ai limiti posti dall'art. 24, comma 1, della l. n. 241/1990, avesse introdotto un'eccezione assoluta al diritto di accesso civico generalizzato nelle materie in cui fosse già presente una specifica disciplina dell'accesso. L'Adunanza Plenaria del consiglio di Stato (Cons. St., Ad. plen., n. 10/2020), nel comporre il predetto contrasto alla luce della piena affermazione del principio di trasparenza, ha stabilito che l'accesso civico generalizzato debba trovare completa attuazione anche nella materia dei contratti pubblici. Nello specifico, è stato affermato che il rapporto tra le discipline generali e quelle settoriali in materia di accesso non va ricostruito solo alla luce del principio di specialità – quindi in un'ottica di esclusione reciproca – ma anche facendo applicazione di un canone esegetico che consenta il completamento e la reciproca integrazione dei relativi regimi giuridici. Infatti, ancorché le discipline generali e quelle settoriali in materia di accesso presentino le proprie peculiarità, le stesse sono comunque preordinate al soddisfacimento dell'interesse conoscitivo dei soggetti che esercitano il diritto di accesso, alla cui piena realizzazione osta una segregazione assoluta delle singole discipline secondo un criterio di riparto per materia. Pertanto, il rapporto tra le diverse discipline andrà delineato su base casistica e non per interi blocchi di materie, verificando se i limiti predeterminati dal legislatore siano o meno compatibili con l'esercizio dell'accesso civico generalizzato. Siccome tale diritto costituisce espressione di una libertà fondamentale degli individui considerati nella dimensione sociale ( uti cives ) – come è dato evincere dagli artt. 1,2,97 e 117 Cost., nonché dall'art. 10 della CEDU – di ciò occorre tener conto nella valutazione dei limiti e delle esclusioni (anche se configurate come preclusioni di carattere assoluto) poste dalla disciplina positiva al diritto di accesso. Così, dunque, per stabilire se le preclusioni di settore trovino applicazione rispetto al diritto di accesso civico generalizzato, è stato rimesso all'interprete il compito di ricostruire in via ermeneutica la volontà del legislatore e, sulla scorta della stessa, definire la concreta portata operativa e il perimetro applicativo del diritto di accesso civico, definendone i limiti alla luce delle specificità del caso e dell'ambito nel quale esso è stato esercitato. L'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, sulla scorta di tale ricostruzione, ha affermato, da un lato, che nella materia dei contratti pubblici le eccezioni all'accesso previste dall'art. 53 del d.lgs. n. 50/2016 costituiscono casi di stretta interpretazione che non possono comportare ex se l'esclusione dell'intera materia dall'applicazione dell'accesso civico – che si riespande nel momento in cui viene meno la causa che ne ha giustificato la limitazione – e, dall'altro, che i limiti previsti da tale norma, nonché quelli di cui agli articoli 22 e seguenti della l. n. 241/1990 (che operano nella materia de qua in forza del rinvio operato dall'art. 53 del d.lgs. n. 50/2016), non possono essere aggirati formulando l'istanza ostensiva ai sensi dell'art. 5, comma 2, del d.lgs. n. 33/2013. In definitiva, la conclusione alla quale giunge l'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato è che l'accesso civico generalizzato opera di diritto anche nel settore dei contratti pubblici e che le eccezioni e le cause di esclusione previste dalla normativa di carattere generale e settoriale non ne precludono l'esercizio in maniera definitiva, ma solo entro precisi limiti di carattere temporale e contenutistico; inoltre, al venir meno di tali limiti l'esercizio del diritto di accesso civico generalizzato deve essere comunque consentito. Non è, altresì, necessario che vi sia una norma che preveda specificamente l'operatività dell'istituto dell'accesso civico generalizzato nella materia dei contratti pubblici, pertanto non osta all'esercizio di tale diritto nella materia dei contratti pubblici il fatto che l'art. 53 del d.lgs. n. 50/2016 non lo disciplini, né contenga un rinvio al d.lgs. n. 33/2013. Alla luce del vigente quadro costituzionale, eurounitario e convenzionale l'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, con la pronuncia sopra richiamata, ha superato un precedente orientamento giurisprudenziale (Cons. St. V, n. 6121/2008) in forza del quale l'accesso agli atti di gara veniva considerato un «microcosmo normativo compiuto e chiuso». Viene così estesa anche all'ambito dei contratti pubblici l'interpretazione armonizzante e integratrice che la giurisprudenza amministrativa (Cons. St. VI, n. 5062/2010) aveva già adottato con riferimento al rapporto tra accesso documentale (artt. 22 e seguenti della legge n. 241/1990) e accesso agli atti di gara (art. 13 del d.lgs. n. 163/2006). Si afferma, quindi, la sussistenza di un nesso di complementarità tra le distinte discipline in materia di accesso ai documenti, dati e informazioni in possesso delle pubbliche amministrazioni, senza che sia necessario far ricorso alla tecnica del c.d. rinvio mobile, così come prospettata da altra parte della giurisprudenza (Cons. St. III,ord. n. 8501/2019). Cons. St., III 3 novembre 2022 n. 9567 ha, da ultimo, richiama to i principi espressi dalla citata Ad. Plen., 2 aprile 2020, n. 10. Nella specie, i magistrati di Palazzo Spada hanno precisato che nel caso in cui l'interessato abbia fatto espresso e inequivoco riferimento alla disciplina dell'accesso oggetto della l. 241 del 1990, l'istanza deve essere esaminata dalla P.A. unicamente sotto i profili dettati da tale legge e non anche con riferimento all'accesso civico generalizzato. Dunque, in tale ipotesi, non soccorre il principio di diritto tratteggiato dalla Plenaria n.10 del 2020: in tale ultimo pronunciamento, è stato chiarito che la P.A. destinataria di un'istanza di accesso a documenti amministrativi ha il potere-dovere di esaminarla nella sua interezza e, quindi, anche con riferimento alla disciplina dell'accesso civico generalizzato solo se l'istanza sia formulata in modo generico (cioè senza fare riferimento ad alcuna disciplina in particolare) ovvero in maniera cumulativa (ossia se contempli il richiamo ad entrambi gli istituti). Dalla qualificazione dell'accesso come documentale, risulta che l'istante ha illegittimamente azionato il ricorso ex art.117 c.p.a. in luogo dell'impugnazione nel termine dimidiato e con ritoex art.116 c.p.a.: il silenzio serbato a fronte di un'istanza di accesso documentale è un silenzio significativo, nello specifico un silenzio-diniego o rigetto ( non un silenzio-rifiuto o silenzio-inadempimento); Questioni applicative1) È ammissibile l'esercizio dell'accesso civico generalizzato per ottenere la disclosure di atti di natura privatistica afferenti alla fase di esecuzione di un contratto pubblico? La giurisprudenza amministrativa (Cons. St., Ad. plen., n. 10/2020) ritiene ammissibile l'operatività dell'accesso civico generalizzato con riguardo agli atti afferenti all'esecuzione dei rapporti sorti per effetto della stipula di contratti pubblici. In proposito è stato affermato che già nel diritto eurounitario emerge con chiarezza l'esigenza di garantire ai cittadini una conoscenza diffusa degli atti relativi alla fase esecutiva dei contratti pubblici al fine di contrastare efficacemente i fenomeni di corruzione e le frodi (considerando 126 della direttiva (UE) n. 24/2014). Invero, è stato evidenziato che in sede di esecuzione dei contratti pubblici «spesso si annidano fenomeni di cattiva amministrazione, corruzione e infiltrazione mafiosa, con esiti di inefficienza e aree di malgoverno per le opere costruite o i servizi forniti dalla pubblica amministrazione e gravi carenze organizzative tali da pregiudicare persino il godimento di diritti fondamentali da parte dei cittadini nella loro pretesa ai cc.dd. diritti sociali» (Cons. St., Ad. plen., n. 10/2020). A supporto di tale orientamento, inaugurato dalla più recente giurisprudenza amministrativa, concorre anche la circostanza che il considerando 122 della direttiva (UE) n. 24/2014 afferma che i soggetti che non hanno accesso alle procedure di ricorso (direttiva (CE) n. 665/1998), rivestendo comunque la qualità di contribuenti, hanno in ogni caso interesse a controllare il corretto svolgimento delle procedure ad evidenza pubblica e, quindi, ad essi devono essere riconosciuti adeguati strumenti, di natura non strettamente processuale, per segnalare le violazioni del diritto eurounitario alle autorità competenti. A tale riguardo – con specifico riferimento al quadro ordinamentale italiano all'interno del quale il legislatore ha attribuito all'Autorità nazionale anticorruzione (ANAC) il compito di svolgere un ruolo di vigilanza nel settore dei contratti pubblici, tanto con riferimento agli atti della procedura di gara, quanto con riguardo alla fase di esecuzione del contratto (cfr. art. 12, comma 1, lett. b), della delibera ANAC n. 803/2018, recante «Regolamento sull'esercizio dell'attività di vigilanza in materia di contratti pubblici») – consentire ai consociati l'esercizio dell'accesso civico generalizzato risulta strumentale a consentire agli stessi di entrare in possesso di informazioni utili ad effettuare segnalazioni documentate all'ANAC, in conseguenza delle quali tale Autorità può determinarsi in ordine all'attivazione dei poteri di advocacy anche con riferimento agli atti della fase esecutiva. Peraltro, la giurisprudenza amministrativa, già in passato (Cons. St., sezione consultiva, parere n. 2777/2016), aveva evidenziato che riconoscere ai cittadini poteri di controllo diffuso nella materia dei contratti pubblici avrebbe condotto a un potenziamento dell'attività di vigilanza dell'ANAC in tale settore. In definitiva, il giudice amministrativo ha affermato che l'esecuzione dei contratti pubblici non rappresenta una «terra di nessuno», ma costituisce una fase rilevante per l'ordinamento giuridico, come emerge dalle funzioni pubbliche e di vigilanza attribuite all'ANAC (Cons. St., Ad. plen., n. 10/2020); si ribadisce, quindi, il ruolo strumentale che assurge in tale contesto l'istituto dell'accesso civico generalizzato. 2) Che rapporti corrono tra l'accesso documentale e l'accesso informale di cui all'art. 76, comma 2, ai fini del computo del termine di ricorso? L'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato non ha approfondito i rapporti tra accesso documentale e accesso informale di cui all'articolo 76, comma 2, del codice. È ragionevole ritenere, in una sintesi equilibrata tra i valori della trasparenza e dell'effettività della tutela, che al concorrente non vincitore competa una scelta tra a) la mancata formulazione della richiesta di accesso di cui al comma 2 dell'articolo 73, nel quale caso decorre il termine di trenta giorni per il ricorso al buio; b) la presentazione di un'istanza entro il termine di decadenzaex art. 120c.p.a., nel qual caso il termine di impugnazione sarà sospeso e riprenderà a fluire, per la parte rimanente, a far data dallo spirare dei quindici giorni di cui al comma 2 o dalla previa risposta amministrativa. Si rileva come il punto centrale della Plenaria sia rappresentato dall'affermazione del principio della piena conoscenza dell'atto, inteso come facoltà per il ricorrente di avere contezza dei vizi inficianti la legittimità dell'atto. In tal senso, sono seguite pronunce successive sia del Consiglio di Stato che dei giudici di prime cure. In particolare, si segnala una pronuncia con cui il T.A.R. Calabria, muovendo dai principi enunciati dall'Adunanza Plenaria n. 12/2020, sottolinea come l'individuazione del dies a quo per l'impugnazione dipenda sia dalle forme di comunicazione e di pubblicazione, sia dall'iniziativa intrapresa dall'impresa che effettua l'accesso: la richiesta di accesso., infatti, prolunga il termine per la proposizione del ricorso giurisdizionale avverso l'aggiudicazione. Se la pubblica amministrazione deve concedere senza ritardo l'ostensione dei documenti richiesti, al contempo l'impresa deve proporre l'istanza di accesso nel rispetto dei limiti temporali e nell'osservanza della regola di diligenza. Tale onere discende dalla stessa giurisprudenza della Corte di Giustizia, laddove si attesta la compatibilità di un sistema di contenzioso sui contratti pubblici il cui termine per impugnare inizi a decorrere da quando l'impresa ha avuto o avrebbe dovuto avere conoscenza delle presunte violazioni. Sicché, l'impresa, in ossequio al proprio onere di diligenza, dovrà presentare l'istanza di accesso nel termine di quindici giorni di cui all'art. 76 comma 2 c.c.p.: siffatto termine, nonostante indichi il tempo entro cui la p.a. può concedere l'accesso, è infatti applicabile in via analogica. Ritenendo diversamente, ha rilevato il Collegio, il termine di impugnazione dipenderebbe esclusivamente dalle iniziative di ostensione dell'operatore economico, determinandosi in tal modo inaccettabili conseguenze di incertezza sulla stabilità degli atti della procedura di evidenza pubblica ed insostenibili ripercussioni sui tempi di gestione della commessa pubblica. In altri termini, verrebbe minato il coordinamento tra i tempi del processo e i tempi di conclusione del contratto che il legislatore si è premurato di assicurare, da ultimo, con la novella dell'art. 32 c.c.p. ad opera del decreto semplificazioni (d.l. n. 76/2020). Una diversa soluzione, a giudizio del T.A.R. Calabria, non sarebbe percorribile, in quanto si finirebbe con l'escludere la sussistenza di un termine per esercitare il diritto di accesso agli atti della procedura e non resterebbe che accogliere quell'indirizzo giurisprudenziale che, invece di aggiungere, sottrae i giorni attesi dall'impresa per l'ostensione a quello di decadenza di cui all'art. 120 c.p.a. Tale approdo contrasterebbe con il principio di effettività della tutela. Alla luce di tali principi, il Tar aveva dichiarato il ricorso irricevibile, giacché l'istanza di accesso dell'impresa era stata proposta oltre il termine di quindici giorni, ripercuotendosi tale ritardo sul termine di decadenza del ricorso giurisdizionale (T.A.R. Calabria, Catanzaro I, n. 359/2021; in tal senso anche Cons. St. n. 1918/2021). Ancora il T.A.R. Lazio, ha ribadito sulla scorta di quanto statuito dall'Adunanza Plenaria n. 12/2020, che la proposizione dell'istanza di accesso agli atti di gara comporta la c.d. ‘dilazione temporale' quando i motivi di ricorso conseguano alla conoscenza dei documenti che integrano l'offerta dell'aggiudicatario ovvero delle giustificazioni rese nell'ambito del procedimento di verifica dell'anomalia dell'offerta, atteso che solo in questo caso rileva il tempo necessario per accedere alla documentazione presentata dall'aggiudicataria, ai sensi dell'art. 76, comma 2. In particolare, «l'omessa comunicazione completa ed esaustiva dell'aggiudicazione, che risulti priva dunque dell'esposizione completa delle ragioni di preferenza per l'offerta dell'aggiudicatario, può determinare uno slittamento del termine per la contestazione dell'aggiudicazione solo in relazione all'esigenza dell'interessato di conoscere gli elementi tecnici dell'offerta dell'aggiudicatario e, in generale, gli atti della procedura di gara, al fine di poter esaminare compiutamente il loro contenuto e verificare la sussistenza di eventuali vizi. In questi casi, pertanto, può ritenersi tempestiva l'impugnazione proposta oltre i 30 giorni decorrenti dalla comunicazione degli esiti della gara soltanto allorché contenga la formulazione di specifiche doglianze riferite e fondate sulle ulteriori circostanze e/o elementi dell'offerta conosciuti soltanto in sede di ostensione degli atti di gara. Del resto, il principio generale della piena conoscenza o conoscibilità consente l'invocato differimento del termine stabilito dalla legge per l'impugnazione solo nell'eventualità in cui l'esigenza di proporre l'impugnazione medesima sia emersa dopo aver conosciuto (a seguito di accesso agli atti) i contenuti dell'offerta dell'aggiudicatario o le sue giustificazioni rese in sede di verifica dell'anomalia dell'offerta, non potendosi imporre la previa proposizione di un ricorso «al buio», di per sé destinato ad essere dichiarato inammissibile, per violazione della regola sulla specificazione dei motivi di ricorso, contenuta nell'art. 40, comma 1, lett. d) c.p.a. e al quale, dunque, dovrebbe seguire la inevitabile proposizione di specifici motivi aggiunti» (in tal senso T.A.R. Lazio, RomaI, n. 1815/2021 e n.1025/2021;T.A.R. Sicilia, Catania I,3605/2020). In sostanza, sulla base di tali pronunce è stata riconosciuta l'opportunità di sommare ai trenta giorni per l'impugnazione i giorni (fino ad un massimo di 15) impiegati dalla stazione appaltante per fornire un riscontro all'istanza. Si evidenzia che si tratta di una interpretazione volta ad incentivare comportamenti virtuosi sia dal lato dell'istante, il quale ha interesse ad accedere agli atti di gara a fini difensivi, che dal lato della stazione appaltante a cui interessa principalmente che il termine per impugnare spiri velocemente. Più di recente, una Sezione semplice del Consiglio di Stato (Cons. St. III, n. 1792/2022) ha ritenuto che la tesi espressa dall'Adunanza Plenaria non fosse del tutto compatibile con il principio dell'effettività della tutela giurisdizionale, «finendo col porre a carico del concorrente l'onere di proporre l'accesso non solo tempestivamente, come certo l'ordinaria diligenza, prima ancora che l'art. 120, comma 5, c.p.a., gli impone di fare, ma addirittura immediatamente, senza lasciargli nemmeno un minimo ragionevole spatium deliberandi per valutare la necessità o, comunque, l'opportunità dell'accesso al fine di impugnare (laddove la stessa amministrazione, ai sensi del ricordato art. 76, comma 2, d.lgs. n. 50 del 2016, dispone di ben quindici giorni per consentire o meno l'accesso agli atti)». Tale posizione – assunta nella consapevolezza dell'esistenza di un orientamento giurisprudenziale più rigoroso (Cons. St. V, n. 3127/2021) – poggia sul rilievo della continuità della vigente disciplina con quella recata dal previgente art. 79, comma 5-quater, d.lgs. n. 163/2006, anche se il vigente Codice dei contratti pubblici non ha riprodotto tale disposizione normativa. Infatti, secondo il Consiglio di Stato non è consentito, attraverso l'istanza di accesso, differire ad libitum la decorrenza del termine di impugnazione, dovendosi altresì coniugare «la finalità acceleratoria delle norme in tema di contenzioso sui contratti pubblici con l'esigenza di tutela del concorrente il quale abbia esercitato l'ordinaria diligenza nel chiedere l'accesso anche in relazione al termine assegnato all'amministrazione per provvedere». 3) Quali sono i problemi di legittimazione relativi all'accessibilità degli atti di diritto privato della pubblica amministrazione? Con specifico riferimento all'ambito soggettivo dell'art. 53 si è già rilevato che, in linea di principio, il diritto d'accesso spetta a tutti gli operatori economici che partecipano alla gara, così come il corrispondente dovere ostensivo è in capo a tutte le stazioni appaltanti, ivi compresi i soggetti privati sottoposti all'applicazione del Codice dei contratti pubblici, quali, a titolo meramente esemplificativo, le società a partecipazione pubblica, i soggetti privati che beneficiano di finanziamento pubblico e gli enti aggiudicatori nei «settori speciali». Sul punto, è stata sollevata la questione dell'accessibilità agli atti di diritto privato posti in essere nell'ambito di procedure ad evidenza pubblica. La questione è stata rimessa all'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, che, con sentenza 22 aprile 1999, n. 5, si è espressa nel senso dell'accessibilità degli atti di dritti privato dell'amministrazione, in quanto comunque riconducibili nell'alveo dell'attività amministrativa (Ad. plen.,Cons. St. n.5/1999). Ne discende, quindi, l'ammissibilità dell'accesso procedimentale nei confronti di tutti gli atti delle procedure ad evidenza pubblica e di quelle negoziate, a prescindere dalla circostanza che vengano adottati dalle amministrazioni ovvero da soggetti privati, in quanto comunque sottoposti all'osservanza delle disposizioni del Codice dei contratti (Iannuzzi). Resta rimesso ai soggetti richiedenti l'accesso l'onere di dimostrare la titolarità di un interesse, giuridicamente rilevante, pacificamente ravvisabile in capo agli operatori economici partecipanti alla gara, ma anche in capo a coloro che ne siano stati legittimamente esclusi o ai quali sia stata preclusa la partecipazione. Si precisa che giurisprudenza amministrativa consolidata ammette la legittimazione attiva dei concorrenti alla gara, in quanto acconsentono implicitamente a che l'offerta tecnico-progettuale fuoriesca dalla sfera del proprio riservato dominio per il solo fatto della loro partecipazione alla gara e, quindi, per l'accettazione tacita delle regole di trasparenza ed imparzialità che la caratterizzano. Diversamente, non si è registrata analoga uniformità di vedute in ordine alla legittimazione attiva dei concorrenti legittimamente esclusi dalla procedura evidenziale. (C ons. St.VI, n. 5062/2010; T.A.R. Campania, Napoli, n. 1657/2013; Cons. St. III, n. 3688/2014). In particolare, il Consiglio di Stato ha affermato che «al di là della platea dei concorrenti che competono per il bene della vita dell'aggiudicazione e di quanto l'accesso è strumentale e in ragione del rinvio contenuto nel primo comma dell'art. 53 alla l. n. 241/1990, le fattispecie, diverse da quelle ricordate dalla giurisprudenza circa i concorrenti, restano per i terzi disciplinate dalle disposizioni generali degli artt. 22 e seguenti della l. n. 241/1990» (Cons. St. V, n. 4813/2017). In particolare, secondo un primo filone giurisprudenziale, la disciplina dettata dall'articolo 53 del Codice si connota per una maggiore restrittività rispetto a quella generale racchiusa nella legge sul procedimento amministrativo, sia sul piano soggettivo, essendo l'accesso consentito soltanto al concorrente che abbia partecipato alla selezione, che su quello oggettivo, essendo l'accesso condizionato alla sola comprovata esigenza di una difesa processuale (Cons. St. V, n. 1056/2016; n. 4813/2017; n. 39/2018). Altra parte della giurisprudenza protende per un orientamento opposto, asserendo che l'articolo 53 non contiene limitazioni soggettive espresse, in quanto al comma 3, fa riferimento ai «terzi» e, quindi, evidenziando come non sussista alcuna restrizione (Cons. St.V, n. 1446/2014). Secondo la richiamata interpretazione, pertanto, l'accesso spetterebbe sia alle imprese partecipanti alla gara, sia a quelle che non vi abbiano preso parte. Da tale ricostruzione discende, dunque, che la disciplina dell'accesso contenuta nel Codice dei contratti pubblici impone un riconoscimento, sia pure implicito, del diritto di accesso a tutti gli atti afferenti al procedimento competitivo, ad eccezione delle specifiche fattispecie di differimento e, soprattutto, di esclusione (De Nictolis). 4) Come si esercita l'accesso all'offerta tecnica nelle gare d'appalto? La richiesta di accesso relativa all'offerta tecnica deve sempre essere sostenuta dalla necessità, concreta, di esperire un ricorso, non essendo sufficiente la mera intenzione di valutare l'opportunità di proporre ricorso giurisdizionale (Cons. St. V, n. 64/2020). In attuazione delle direttive europee, l'art. 53, comma 5, lett. a) del d.lgs. n. 50/2016 esclude dal regime di ostensibilità degli atti di gara quella parte dell'offerta o delle giustificazioni della anomalia che contengono le specifiche e riservate capacità tecnico-industriali o, in genere, gestionali appartenenti al concorrente (il know how). Si tratta dell'insieme del «saper fare», delle competenze ed esperienze, originali e tendenzialmente segrete, maturate ed acquisite durante lo svolgimento dell'attività industriale e commerciale e che concorre a definire e qualificare la peculiare competitività dell'impresa nel mercato aperto alla concorrenza. Si tratta di beni essenziali per lo sviluppo e per la stessa competizione qualitativa, che costituiscono il prodotto patrimoniale della capacità ideativa o acquisitiva della singola impresa a cui l'ordinamento, nell'ottica di promuovere pienamente le dinamiche concorrenziali, offre tutela in quanto segreti commerciali. La ratio legis è di impedire che, nelle procedure ad evidenza pubblica, il diritto di accesso possa essere impiegato strumentalmente, come, ad esempio, da parte di contendenti che potrebbero formalizzare l'istanza allo scopo di giovarsi di specifiche conoscenze industriali o commerciali acquisite e detenute da altri (Cons. St. VI, n. 6393/1990). La scelta di partecipare ad una procedura di aggiudicazione di una commessa pubblica non implica, quindi, una accettazione del rischio di veder divulgati i propri segreti industriali o commerciali, che dovrebbero rimanere sottratti all'accesso, nell'ottica di preservarne il valore concorrenziale. Il limite posto alla ostensibilità è comunque subordinato all'espressa «manifestazione di interesse» da parte dell'impresa proprietaria del segreto commerciale, sulla quale incombe l'onere dell'allegazione di «motivata e comprovata dichiarazione», mediante la quale sia dimostrata l'effettiva sussistenza di un segreto industriale o commerciale meritevole di protezione. A tal fine, la presentazione di un'istanza di accesso impone alla stazione appaltante di coinvolgere, nel rispetto del contraddittorio, il concorrente controinteressato, nelle forme previste dalla disciplina generale del procedimento amministrativo e richiede una motivata valutazione delle argomentazioni offerte, ai fini dell'apprezzamento dell'effettiva rilevanza per l'operatività del regime di segretezza. Non deve esser sottaciuto inoltre che, nella materia in esame, l'accesso è strettamente connesso alla sola esigenza di «difesa in giudizio», trattandosi di una previsione più restrittiva di quella dell'art. 24, comma 7, l. n. 241/1990, che contempla un ventaglio più ampio di possibilità e consente l'accesso, ove necessario, senza limitarlo alla sola dimensione processuale. Ne consegue che, «al fine di esercitare il diritto di accesso riguardo a informazioni contenenti eventuali segreti tecnici o commerciali, è essenziale dimostrare non già un generico interesse alla tutela dei propri interessi giuridicamente rilevanti, bensì la concreta necessità (da interpretarsi, restrittivamente, in termini di indispensabilità) di utilizzo della documentazione in uno specifico giudizio. La mera intenzione di sondare l'opportunità di proporre ricorso giurisdizionale (anche da parte di chi vi abbia, come l'impresa seconda graduata, concreto ed obiettivo interesse) non legittima un accesso esplorativo a delle informazioni riservate, perché, in tal caso, mancherebbe la dimostrazione della specifica e concreta indispensabilità a fini di giustizia» (Cons. St. V, n. 64/2020). 5) Nel settore dei contratti pubblici, ai fini dell'esercizio del diritto di accesso, assume la stessa rilevanza la diversità di regime normativo esistente, in punto di legittimazione attiva, tra accesso documentale e accesso civico generalizzato? La giurisprudenza amministrativa, anche di recente e con riferimento all'accessibilità degli atti afferenti alla fase di esecuzione dei contratti pubblici (Cons. St. III, n. 3842/2021), ha confermato che ove in capo al ricorrente, che abbia formulato in sede amministrativa un'istanza di accesso documentale, non sia ravvisabile un interesse ostensivo concreto e attuale, con conseguente carenza di legittimazione attiva secondo quanto previsto dagli artt. 22 e ss. della legge n. 241/1990 (applicabili in forza del rinvio operato dall'art. 53 del d.lgs. n. 50/2016), l'esperita actio ad exhibendum dovrà essere dichiarata inammissibile. In particolare, pur ribadendo che, in astratto, i concorrenti di una procedura ad evidenza pubblica presentino una legittimazione ad accedere agli atti della fase esecutiva in relazione a vicende che potrebbero condurre alla risoluzione per inadempimento del contratto aggiudicato – e, quindi, allo scorrimento della graduatoria o alla riedizione della gara – tale legittimazione, in concreto, risulta carente laddove l'istanza ostensiva presenti un carattere meramente esplorativo e, come tale, si ponga in contrasto con il divieto sancito dall'art. 24, comma 3, della l. n. 241/1990. Vale in proposito porre in rilievo che la legittimazione attiva all'esercizio del diritto di accesso di tipo documentale deve sussistere ex ante, cioè preesistere alla formulazione dell'istanza ostensiva, e non, invece, sorgere ex post per effetto dell'intervenuta conoscenza dei documenti in possesso dell'amministrazione. Di contro, per quanto riguarda la legittimazione attiva all'esercizio dell'accesso civico generalizzato ne viene confermato il carattere ampio, con conseguente riconoscimento della titolarità di tale diritto in capo a ciascun consociato uti civis. Tuttavia, vale osservare che, di recente, una parte della giurisprudenza (Cons. St. III, n. 3842/2021) ha interpretato i principi espressi dall'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato (Cons. St., Ad. plen., n. 10/2020) nel senso che, pur riconoscendo che le eccezioni di cui all'art. 5-bis, comma 3, del d.lgs. n. 33/2013 non precludono in toto l'operatività dell'istituto dell'accesso civico generalizzato nella materia dei contratti pubblici (anche con riguardo agli atti afferenti alla fase di esecuzione del contratto), l'interesse conoscitivo, conformato alla luce della rinnovata accezione del principio di trasparenza, non deve comunque «palesarsi in modo assolutamente generico e destituito di un benché minimo elemento di concretezza, anche sotto forma di indizio, come accade nel caso in esame in cui viene solo ipoteticamente prospettata l'esistenza di una difformità tra il contratto e l'esecuzione del servizio, pena rappresentare un inutile intralcio all'esercizio delle funzioni amministrative e un appesantimento immotivato delle procedure di espletamento dei servizi». Tale pronuncia evidenzia, dunque, come non sia del tutto risolta la questione inerente alla necessità che l'amministrazione operi un vaglio sulle finalità conoscitive sottese alle istanze di disclosure formulate ai sensi dell'art. 5, comma 2, del d.lgs. n. 33/2013 (cfr., in questa opera, l'analisi dell'art. 5 del d.lgs. n. 33/2013, §.8,6). In ogni caso vale ricordare che l'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato (Cons. St., Ad. plen., n. 10/2020) ha affermato, da un lato, che la carenza di un interesse diretto, attuale e concreto ai sensi dell'art. 22 della legge generale sul procedimento amministrativo, non rende inammissibile l'istanza di accesso civico generalizzato, «nata anche per superare le restrizioni imposte dalla legittimazione all'accesso documentale» e, dall'altro, che non bisogna confondere la ratio dell'istituto con l'interesse del richiedente, «che non necessariamente deve essere altruistico o sociale né deve sottostare ad un giudizio di meritevolezza, per quanto, come detto, certamente non deve essere pretestuoso o contrario a buona fede». 6) Il soggetto collocato utilmente in graduatoria può avere accesso agli atti della fase esecutiva per accertare eventuali inadempienze? Altra questione all'esame della Adunanza plenaria n. 10/2020 ha riguardato la posizione del soggetto collocato utilmente nella graduatoria dei partecipanti a una gara e in particolare se questi può avere accesso agli atti della fase esecutiva al fine di accertare eventuali inadempienze che gli potrebbero consentire il subentro. Secondo la decisione dell'Adunanza plenaria, «è ravvisabile un interesse concreto e attuale, ai sensi dell'art. 22 della l. n. 241/1990, e una conseguente legittimazione, ad avere accesso agli atti della fase esecutiva di un contratto pubblico da parte di un concorrente alla gara, in relazione a vicende che potrebbero condurre alla risoluzione per inadempimento dell'aggiudicatario e quindi allo scorrimento della graduatoria o alla riedizione della gara, purché tale istanza non si traduca in una generica volontà da parte del terzo istante di verificare il corretto svolgimento del rapporto contrattuale». Assume particolare rilievo la questione relativa alla sussistenza, al momento dell'istanza di accesso, delle ipotesi di grave inadempimento (da rappresentare nell'istanza) oppure se deve ritenersi che l'accesso documentale (exl. n. 241/1990) vada garantito proprio al fine di consentire al soggetto istante di verificare se inadempimento c'è stato e quindi, in caso, se sussiste la possibilità di subentro. Va ricordato sul punto l'orientamento della giurisprudenza amministrativa (Cons. St. III,ord. n. 8501/2019) secondo cui la richiesta di accesso documentale non può sostanziarsi in un controllo «preventivo e generalizzato» dell'attività dell'amministrazione, dovendo essere correlato ad uno specifico interesse anche non funzionalmente connesso ad una immediata tutela in via giudiziale, purché, però, concreto ed attuale. Nel caso di istanza proposta dal secondo graduato nella procedura di gara per l'affidamento del contratto, il presupposto «soggettivo» di essere seconda classificata non bastava a giustificare una richiesta di accesso a tutti gli atti attinenti alla fase esecutiva. Il giudice amministrativo di appello, quindi, aveva affermato che, con riferimento agli atti relativi alla fase esecutiva del rapporto, manca in radice un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l'accesso quando non sussiste la possibilità che il rapporto si risolva ovvero ricorrano ipotesi di grave inadempimento; «ciò esclude la configurabilità di un interesse della seconda classificata a conoscere la correttezza o meno dell'esecuzione contrattuale da parte dell'aggiudicatario della gara, attesa la sua estraneità al rapporto contrattuale in essere e ai possibili esiti della sua esecuzione (ex art. 1372 c.c.)» (Cons. St. V, n. 3398/2012). L'Adunanza plenaria, prima ancora di rispondere al quesito posto, ha richiamato il principio secondo cui gli operatori economici che hanno partecipato alla gara sono legittimati ad accedere agli atti della fase esecutiva con le limitazioni di cui all'art. 53 del d.lgs. n. 50/2016 purché dimostrino di avere un interesse attuale, concreto e diretto a conoscere tali atti. Gli operatori economici, quindi, pacificamente possono accedere agli atti dell'attività di pubblico interesse indipendentemente dalla natura pubblicistica o privatistica della stessa, in quanto attività finalizzata alla cura in concreto di un interesse pubblico, quale ben potrebbe essere la fase esecutiva. Anche nell'ambito di questa ultima fase, infatti, si rinviene la compresenza di diversi interessi pubblici da tutelare come quelli della trasparenza, della non discriminazione e della concorrenza. Si rinvengono, così, situazioni tutelate in capo agli operatori economici che hanno partecipato alla gara che saranno interessati a conoscere eventuali illegittimità e inadempimenti successivi alla fase di approvazione del contratto non solo per far valere vizi originari dell'offerta, ma anche con riferimento alla fase esecutiva della stessa per tutelare un interesse al subentro in caso di risoluzione del rapporto con l'aggiudicatario nonché alla riedizione della gara. Secondo i giudici dell'Adunanza plenaria, l'interesse concorrenziale alla corretta esecuzione del contratto «riacquista concretezza ed attualità, in altri termini, in tutte le ipotesi in cui la fase dell'esecuzione non rispecchi più quella dell'aggiudicazione, conseguita all'esito di un trasparente, imparziale, corretto gioco concorrenziale, o per il manifestarsi di vizi che già in origine rendevano illegittima l'aggiudicazione o per la sopravvenienza di illegittimità che precludano la prosecuzione del rapporto (c.d. risoluzione pubblicistica, facoltativa o doverosa) o per inadempimenti che ne determinino l'inefficacia sopravvenuta (c.d. risoluzione privatistica), sì che emerga una distorsione di tutte quelle regole concorrenziali che avevano condotto all'aggiudicazione della gara in favore del miglior concorrente per la miglior soddisfazione dell'interesse pubblico». La fase di esecuzione del contratto o della pubblica concessione, come afferma suggestivamente l'Adunanza, non è quindi «terra di nessuno» in quanto regolata da un rapporto privatistico tra amministrazione e aggiudicatario, ma resta assoggettata oltre che al controllo dei soggetti pubblici anche alla verifica e alla connessa conoscibilità da parte di eventuali soggetti interessati al subentro o, se del caso, alla riedizione della gara. Tutto ciò porta a ritenere che sussiste l'interesse a conoscere lo svolgimento del rapporto contrattuale ma che tuttavia, ai fini dell'accesso, si richiede che l'interesse sia attuale, concreto e diretto e cioè che detto interesse sia preesistente alla richiesta di accesso documentale e non successivo alla stessa, non potendosi attribuire all'istanza una finalità esplorativa posto che l'accesso documentale non è preordinato a un controllo generalizzato sull'attività delle amministrazioni. In sintesi, l'accesso è consentito laddove necessario ad acquisire documentazione che serva a dimostrare o a corroborare la tesi che una illegittimità o un inadempimento nella procedura nel suo complesso c'è stato e non invece a fini esplorativi per andare a verificare se in caso si sia verificato «qualsivoglia» inadempimento che potrebbe consentire al richiedente di attivare gli strumenti posti a tutela dei suoi interessi di partecipante alla procedura di gara. Ciò che è stato ribadito è che ai sensi della l. n. 241/1990non sono ammissibili istanze di accesso con finalità meramente esplorative finalizzate solo ad accertare se un inadempimento si sia verificato in quanto in caso contrario si attribuirebbe agli operatori economici un non consentito ruolo di vigilanza sulla esecuzione delle prestazioni contrattuali e sull'inadempimento delle obbligazioni assunte dall'aggiudicatario. Questa opzione interpretativa è comunque destinata a perdere di «rigore» se si considera che l'Adunanza Plenaria ha riconosciuto in favore del quisque de populo la conoscibilità degli atti di gara, anche della fase esecutiva, attraverso lo strumento dell'accesso civico generalizzato. In ragione di tale apertura il partecipante alla gara potrà attivare l'istituto dell'accesso civico generalizzato che gli consentirà comunque di conoscere la documentazione della fase esecutiva della procedura di gara, esclusi i casi di limiti assoluti e previo bilanciamento degli interessi pubblici e privati da tutelare da parte della pubblica amministrazione. L'istanza del richiedente, alla luce dell'accesso generalizzato non dovrà essere esaminata in una prospettazione soggettiva ma piuttosto oggettiva: cioè l'amministrazione dovrà considerare non «chi vuole conoscere e perché» ma «che cosa si può conoscere» al netto della tutela degli altri interessi pubblici e privati da tutelare (Corrado). Preme, quindi, evidenziare che, nella logica di completamento/inclusione ed integrazione tra i diversi regimi di accesso sposata dalla stessa Ad. plen. n. 10/2020, potrebbe accadere che un'istanza di accesso documentale, non accoglibile per l'assenza di un interesse attuale e concreto (nel senso sopra divisato), possa essere invece accolta sub specie di accesso civico generalizzato, fermi restando naturalmente i limiti di cui all'art. 5-bis, comma 1 e 2, del d.lgs. n. 33/2013, limiti che sono certamente più ampi e oggetto di una valutazione a più alto tasso di discrezionalità (v., su questo punto, anche Cons. St. V, n. 1817/2019). Il bilanciamento dei contrapposti interessi in gioco è, infatti, ben diverso nel caso dell'accesso previsto dalla l. n. 241/1990, dove la tutela può consentire un accesso più in profondità a dati pertinenti, e nel caso dell'accesso generalizzato, dove invece le esigenze di controllo diffuso del cittadino devono consentire un accesso meno in profondità (se del caso, in relazione all'operatività dei limiti), ma più esteso, avendo presente che l'accesso in questo caso comporta, di fatto, una larga conoscibilità (e diffusione) di dati, documenti e informazioni (Caringella). Sempre nella medesima ottica di inclusione/integrazione tra i diversi regimi di accesso, la Plenaria chiarisce che è possibile anche il cumulo, in un medesimo atto, di differenti istanze di accesso. La coesistenza dei due regimi e la possibilità di proporre entrambe le istanze, consente quindi, sia all'amministrazione che al giudice, di procedere all'esame contestuale della sussistenza dei presupposti tanto dell'accesso documentale quanto di quello civico generalizzato qualora l'istanza del privato sia formulata in maniera generica e indistinta, senza specificare se si faccia riferimento al modello “classico” dell'accesso o a quello civico generalizzato. Invece, nei casi nei quali il richiedente abbia circoscritto il suo interesse all'accesso documentale uti singulus ai sensi dell'art. 22 ss. della l. n. 241/1990, l'esame dovrà essere limitato ai presupposti indicati da tale disposizione. 7) Entro che termine ci si può opporre alla richiesta di ostensione? La giurisprudenza si è interrogata anche in ordine al termine entro il quale l'interessato debba eccepire l'esistenza di un segreto tecnico o commerciale, al fine di impedire l'accesso alla relativa documentazione. Al riguardo, si fronteggiano due opposti orientamenti: una parte della giurisprudenza ha sostenuto che la tutela del segreto industriale non possa essere eccepita per la prima volta con l'opposizione all'istanza di accesso. Secondo tale impostazione, infatti, la dichiarazione da parte dell'interessato deve essere effettuata esplicitamente e preventivamente, già in sede di presentazione dell'offerta. In particolare, ciò verrebbe desunto dalla lettera dell'art. 53, comma 5, lett. a) del Codice che fa espresso riferimento alle «informazioni fornite dagli offerenti nell'ambito delle offerte» e alle «dichiarazioni dell'offerente» – e dalla norma, in virtù della quale una dichiarazione successiva dell'aggiudicatario (a tutela della posizione conseguita) potrebbe pregiudicare la tutela giurisdizionale agli altri concorrenti. Dunque, secondo tale orientamento, sussisterebbe una decadenza per l'opponente che non deduca l'esistenza di un segreto tecnico o commerciale al momento della presentazione dell'offerta (Cons. St. IV, n. 3431/2016). Un diverso filone giurisprudenziale, invece, asserisce che la motivata e comprovata dichiarazione dell'opponente non debba essere prodotta, a pena di decadenza, in sede di presentazione dell'offerta, dal momento che non può essere richiesto al partecipante alla gara di effettuare, già in tale fase, una valutazione preventiva in ordine alla possibilità che l'offerta possa presentare profili di segretezza. Peraltro, secondo tale interpretazione, la conclusione opposta priverebbe l'amministrazione della facoltà di valutare la fondatezza dell'eccezione. In ogni caso, occorre tener presente che l'eventuale opposizione da parte dell'offerente può essere influenzata dalle caratteristiche del soggetto richiedente (ad esempio, qualora si tratti o meno, secondo una valutazione dell'offerente, di un soggetto in diretta concorrenza). Secondo questo orientamento giurisprudenziale individuare un termine decadenziale entro il quale l'offerente dovrebbe opporsi all'istanza di accesso, in primo luogo, finirebbe con l'introdurre nel nostro ordinamento un'ipotesi di decadenza non prevista dal legislatore. Inoltre, l'accoglimento di questa impostazione renderebbe pleonastico il procedimento amministrativo previsto in materia di accesso agli atti exlegge 241/1990, che richiede il necessario coinvolgimento del controinteressato, in una fase successiva – e non precedente – alla presentazione dell'istanza (T.A.R. Lazio, Roma I, n. 10738/2017). 8) Quali sono i rapporti tra accesso civico e riservatezza nel settore degli appalti pubblici? CGUE 17 novembre 2022 in causa C-54/21 ha stabilito che la tutela della riservatezza nel settore dell'aggiudicazione degli appalti pubblici deve essere bilanciata con i principi di trasparenza e di tutela giurisdizionale effettiva. Il diritto dell'Unione osta a una legislazione nazionale che impone la pubblicità di ogni informazione comunicata dagli operatori economici offerenti con la sola eccezione dei segreti commerciali, in quanto siffatta legislazione è idonea a impedire all'amministrazione aggiudicatrice di non divulgare determinate informazioni che, pur non costituendo segreti commerciali, devono rimanere non accessibili. Con la sua sentenza, la Corte fornisce precisazioni sulla portata e sull'applicabilità del divieto per le amministrazioni aggiudicatrici di divulgare le informazioni loro comunicate dai candidati e dagli offerenti nell'ambito di procedure di aggiudicazione di siffatti appalti. In primo luogo, la Corte si sofferma sulla delimitazione della portata dell'obbligo di trattamento riservato. A tal proposito, essa dichiara che la direttiva 2014/24 sugli appalti pubblici non osta a che uno Stato membro stabilisca un regime che delimita la portata dell'obbligo di trattamento riservato basandosi su una nozione di «segreto commerciale» corrispondente, nell'essenziale, a quella contenuta nella direttiva 2016/943. Per contro, tale direttiva osta a un simile regime qualora quest'ultimo non comprenda un sistema di norme che consenta alle amministrazioni aggiudicatrici di rifiutare in via eccezionale la divulgazione di informazioni che, pur non rientrando nella nozione di «segreti commerciali», devono rimanere non accessibili. Per giungere a tale conclusione, la Corte rileva che la tutela della riservatezza prevista dalla direttiva 2014/24 ha una portata più ampia di una tutela che si estenda ai soli segreti commerciali. Essa ricorda tuttavia che, ai sensi di tale direttiva, il divieto di divulgazione delle informazioni comunicate in via riservata si applica salvo disposizione contraria delle norme di diritto nazionale alle quali è soggetta l'amministrazione aggiudicatrice. Di conseguenza, ciascuno Stato membro può effettuare un bilanciamento tra la riservatezza prevista da tale direttiva e le norme di diritto nazionale che perseguono altri legittimi interessi, come l'accesso alle informazioni, al fine di garantire la massima trasparenza delle procedure di aggiudicazione di appalti pubblici. Ciò premesso, esso deve astenersi dall'adozione di discipline che non garantiscano una concorrenza non falsata, che pregiudichino il bilanciamento tra il divieto di divulgazione delle informazioni riservate e il principio generale di buona amministrazione, da cui deriva l'obbligo di motivazione, per garantire il rispetto del diritto a un ricorso effettivo degli offerenti esclusi, o che alterino il regime in materia di pubblicità sugli appalti aggiudicati nonché le disposizioni relative all'informazione dei candidati e degli offerenti. Orbene, una legislazione nazionale che impone la pubblicità di ogni informazione comunicata da tutti gli offerenti all'amministrazione aggiudicatrice, con la sola eccezione delle informazioni rientranti nella nozione di «segreto commerciale», è idonea ad impedire a tale amministrazione di decidere, in virtù di uno degli interessi e degli obiettivi riconosciuti dalla direttiva 2014/24, riguardanti l'applicazione della legge, l'interesse pubblico, i legittimi interessi commerciali di un operatore economico e la concorrenza leale, di non divulgare talune informazioni non rientranti in tale nozione. In secondo luogo, la Corte precisa che l'amministrazione aggiudicatrice deve, per decidere se rifiutare, a un offerente la cui offerta ammissibile sia stata respinta, l'accesso alle informazioni presentate dagli altri offerenti, valutare se tali informazioni abbiano un valore commerciale che non si limita all'appalto di cui trattasi, informazioni la cui divulgazione può pregiudicare legittimi interessi commerciali o la concorrenza leale. Inoltre, l'amministrazione aggiudicatrice può rifiutare l'accesso a tali informazioni qualora la divulgazione di queste ultime ostacoli l'applicazione della legge o sia contraria all'interesse pubblico. Tuttavia, in caso di rifiuto dell'accesso integrale alle informazioni, l'amministrazione aggiudicatrice deve concedere l'accesso al contenuto essenziale delle stesse informazioni, di modo che sia garantito il rispetto del diritto a un ricorso effettivo. In particolare, per quanto riguarda, anzitutto, l'esperienza pertinente degli offerenti e le referenze comprovanti tale esperienza e le loro capacità, la Corte afferma che siffatte informazioni non possono essere qualificate integralmente come riservate. Infatti, l'esperienza non è, in generale, segreta, cosicché i concorrenti non possono, in linea di principio, essere privati delle informazioni che vi si riferiscono. Agli offerenti deve essere riconosciuto, per ragioni di trasparenza e al fine di garantire il rispetto dei principi di buona amministrazione e di tutela giurisdizionale effettiva, l'accesso, quantomeno, al contenuto essenziale delle informazioni trasmesse da ciascuno di essi all'amministrazione aggiudicatrice circa la loro esperienza e le referenze che la comprovano. Tale accesso fa tuttavia salve le circostanze speciali concernenti determinati appalti di prodotti o di servizi sensibili che possono in via eccezionale giustificare un rifiuto di fornire informazioni per garantire il rispetto di un divieto o di una prescrizione stabilita dalla legge o la tutela di un interesse pubblico. Per quanto riguarda, poi, le informazioni sulle persone fisiche o giuridiche, ivi compresi i subappaltatori, sulle quali un offerente indica di poter fare affidamento per l'esecuzione dell'appalto, la Corte effettua una distinzione tra i dati idonei a identificare tali persone e quelli riguardanti esclusivamente le loro qualifiche o capacità professionali. Per quanto concerne i dati nominativi, la Corte non esclude che, a condizione che sia plausibile che l'offerente e i suoi esperti o subappaltatori abbiano creato una sinergia dotata di valore commerciale, l'accesso a tali dati debba essere rifiutato. Pertanto, l'amministrazione aggiudicatrice deve stabilire se la divulgazione di tali dati identificativi rischi di esporre l'operatore economico a un pregiudizio alla tutela della riservatezza. A tali fini, l'amministrazione aggiudicatrice deve tenere conto di tutte le circostanze pertinenti, ivi compreso l'oggetto dell'appalto di cui trattasi, nonché dell'interesse di detto offerente e di detti esperti o subappaltatori a partecipare, con gli stessi impegni negoziati in modo riservato, a successive procedure di aggiudicazione di appalti. Tuttavia, la divulgazione di informazioni trasmesse all'amministrazione aggiudicatrice non può, in linea di principio, essere rifiutata nel caso in cui tali informazioni, pertinenti ai fini della procedura di aggiudicazione di cui trattasi, non abbiano alcun valore commerciale nel contesto più ampio delle attività di tali operatori economici. Quanto ai dati non nominativi, la Corte stabilisce che, tenuto conto della loro importanza per l'aggiudicazione dell'appalto, il principio di trasparenza e il diritto a un ricorso effettivo impongono che il contenuto essenziale di dati come le qualifiche o le capacità professionali delle persone incaricate di eseguire l'appalto, la consistenza e la struttura dell'organico costituito in tale contesto, oppure la quota dell'esecuzione dell'appalto che l'offerente prevede di affidare a subappaltatori, sia accessibile a tutti gli offerenti. Per quanto riguarda, infine, la concezione dei progetti la cui realizzazione è prevista nell'ambito dell'appalto e la descrizione delle modalità di esecuzione dell'appalto, la Corte afferma che spetta all'amministrazione aggiudicatrice esaminare se le stesse costituiscano elementi o contengano elementi che possano essere protetti attraverso un diritto di proprietà intellettuale, in particolare attraverso un diritto d'autore, e rientrino quindi in un motivo di rifiuto di divulgazione relativo all'applicazione della legge. Essa ricorda tuttavia che, anche qualora si ritenga che tale concezione e tale descrizione costituiscano opere protette dal diritto d'autore, tale protezione è riservata esclusivamente agli elementi che sono espressione di una creazione intellettuale propria del loro autore, che riflette la personalità di quest'ultimo. Inoltre, e indipendentemente da tale esame, la pubblicazione di tale concezione e di tale descrizione, dotate di un valore commerciale, può falsare la concorrenza, in particolare riducendo la capacità dell'operatore economico interessato di distinguersi attraverso la medesima concezione e la medesima descrizione in occasione di future procedure di aggiudicazione di appalti pubblici. Sebbene quindi sia possibile che l'accesso integrale alle informazioni relative alla concezione dei progetti e alla descrizione delle modalità di esecuzione debba essere rifiutato, tuttavia il contenuto essenziale di tale parte delle offerte deve essere accessibile. In terzo luogo, la Corte dichiara che, qualora si accertino, in sede di esame di un ricorso proposto contro una decisione di aggiudicazione di un appalto pubblico, un obbligo a carico dell'amministrazione aggiudicatrice di dare al ricorrente accesso a informazioni trattate a torto come riservate e una violazione del diritto a un ricorso effettivo derivante dalla mancata divulgazione di dette informazioni, tale accertamento non deve necessariamente comportare l'adozione di una nuova decisione di aggiudicazione dell'appalto, a condizione che il diritto processuale nazionale consenta al giudice adito di adottare, nel corso del procedimento, provvedimenti che ristabiliscano il rispetto del diritto a un ricorso effettivo oppure gli consenta di stabilire che il ricorrente può proporre un nuovo ricorso avverso la decisione di aggiudicazione già adottata. Il termine per la proposizione di un siffatto ricorso deve decorrere solo dal momento in cui detto ricorrente ha accesso a tutte le informazioni che erano state a torto qualificate come riservate. BibliografiaAvino, L'accesso ai documenti di gara tra esigenze di riservatezza e necessità difensive – Il commento, in Urbanistica e appalti, 2018, n. 5, 690 ss.; Caringella, Manuale di diritto amministrativo: parte generale e parte speciale, Bari, 2021; De Vinci, I principi, in Saitta (a cura di), Appalti e contratti pubblici. Commentario sistematico, 2016, 123 ss.; Lipari, L'accesso agli atti e i divieti di divulgazione, in Sandulli, De Nictolis, Garofoli, Trattato sui contratti pubblici, Milano 2008, t. 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