Codice di Procedura Civile art. 669 undecies - Cauzione (1).Cauzione (1). [I]. Con il provvedimento di accoglimento [669-octies 1] o di conferma [669-sexies 2] ovvero con il provvedimento di modifica [669-decies 1] il giudice può imporre all'istante, valutata ogni circostanza, una cauzione per l'eventuale risarcimento dei danni [96 2, 119, 669-novies 3; 86 att.]. (1) La sezione (comprendente gli articoli da 669-bis a 669-quaterdecies ) è stata inserita dall'art. 74, comma 2, l. 26 novembre 1990, n. 353, entrata in vigore il 1° gennaio 1993. L' art. 92 stabilisce inoltre: « Ai giudizi pendenti a tale data si applicano, fino al 30 aprile 1995, le disposizioni anteriormente vigenti ». L'art. 90, comma 1, l. n. 353, cit., come sostituito dall'art. 9 d.l. 18 ottobre 1995, n. 432, conv., con modif., nella l. 20 dicembre 1995, n. 534, estende ulteriormente l'applicabilità delle disposizioni ai giudizi pendenti alla data del 30 aprile 1995. InquadramentoLa cauzione si colloca, nell'ambito generale del processo civile, come tecnica di realizzazione di una garanzia attraverso la dazione o la prestazione di un determinato quantum di cose fungibili o anche infungibili. Al suo carattere di tecnica generale non corrisponde però una regolamentazione unica e generale. La cauzione è, infatti, prevista in numerose disposizioni non solo di diritto processuale, ma anche di diritto sostanziale, dove è utilizzata soprattutto nella pratica negoziale. Nell'àmbito del processo civile, che è quello qui privilegiato, la cauzione si considera connotata di una generale funzione cautelare, nel senso che spesso accede ad un provvedimento di natura cautelare o è disposta comunque per scongiurare un determinato coefficiente di periculum, e perciò in funzione genericamente di contro-cautela. La giurisprudenza di legittimità si è soffermata sulla delimitazione del potere giudiziale di disporre una cauzione, in particolare sciogliendo il dubbio se tale potere sia generalizzato e rimesso alla discrezionalità del giudicante in base alle circostanze del caso concreto o invece subordinato ad un'espressa previsione di legge. È in quest'ultimo senso che si è pronunciata la giurisprudenza di legittimità (Cass. III, n. 12967/1999). Per la Cassazione, infatti, la cauzione ha natura di provvedimento cautelare e, dunque, può giudizialmente essere imposta solo quando espressamente prevista dalla legge, dovendosi invece escludere in difetto di tale previsione, come accade nel caso giudizi volti ad ottenere la riduzione/eliminazione di immissioni di fumi o rumori oltre la normale tolleranza. Per gli ermellini, «dall'esame delle disposizioni contenute nell'art. 118 c.p.c. emerge, infatti, che il giudice (ovvero il consulente tecnico, suo ausiliare, nell'espletamento dell'incarico ricevuto) può ordinare alla parte di consentire sulle sue cose gli accertamenti necessari per conoscere i fatti della causa, ma se la parte rifiuta non può costringerla a subirli, e può solo desumere dal suo rifiuto, se del caso, argomenti di prova a sensi dell'art. 116 c.p.c.». Ne consegue che «il giudice non può accogliere l'istanza di una parte che subordina il suo consenso all'espletamento di un atto istruttorio – nella specie fermo degli impianti industriali per espletare gli accertamenti indicati dal c.t.u. – al versamento di una cauzione a carico della controparte, a garanzia dei danni derivantile, perché la cauzione, come tutti i provvedimenti cautelari, può esser imposta dal giudice soltanto nei casi previsti dalla legge, mentre d'altro canto il rifiuto della parte a consentire sulle cose gli accertamenti necessari ordinati dal giudice per conoscere i fatti di causa, può esser valutato, se ne ricorrono i presupposti, ai sensi dell'art. 116 c.p.c.». In più luoghi, il codice di procedura civile consente al giudice di disporre cauzione a contro-cautela dal periculum ravvisabile, nei casi specifici, nel contesto dei processi esecutivo, cautelare o sommario, in sue varie configurazioni. In particolare, quanto al processo esecutivo, la cauzione trova regolamentazione: a) nell'art. 478 c.p.c., ove si prevede che qualora l'efficacia del titolo esecutivo è subordinata a cauzione, la cui portata si estende anche al precetto, l'esecuzione forzata non può essere iniziata prima che la cauzione stessa sia stata prestata. Con la conseguenza che la sua mancata prestazione comporta preclusione pure per la stessa intimazione del precetto (Cass. III, n. 828/1984 ha, infatti, precisato che «l'art. 478 c.p.c. – per il quale se l'efficacia del titolo esecutivo è subordinata a cauzione, non si può iniziare la esecuzione finché quella non sia stata prestata – trova applicazione anche con riguardo al precetto, per l'inscindibile dipendenza di tale atto dall'efficacia esecutiva del titolo che con esso si fa valere con la conseguenza che, ove sia disposta cauzione a norma della riferita disposizione, la sua mancata prestazione comporta preclusione pure per la stessa intimazione del precetto»). Si è, altresì, deciso (Cass. III, n. 13069/2007) che «l'opposizione con la quale si contesti che il cancelliere abbia apposto la formula esecutiva ad un decreto ingiuntivo, nonostante la mancata prestazione da parte del creditore della cauzione imposta ai sensi del secondo comma dell'art. 648 c.p.c. in sede di concessione della provvisoria esecutività, va qualificata come opposizione all'esecuzione, giacché il debitore fonda la sua contestazione sulla negazione della soddisfazione da parte del creditore procedente della condizione di efficacia perché il decreto possa valere come titolo esecutivo». Con la medesima sentenza, si è anche precisato che «la deduzione da parte del debitore ingiunto – nei cui confronti sia stata concessa provvisoria esecutività al decreto ingiuntivo a fronte di prestazione di cauzione, ai sensi del secondo comma dell'art. 648 c.p.c. – che la cauzione è stata prestata in favore della creditrice da compagnia assicuratrice posta in liquidazione e, quindi, non in grado di mantenere la garanzia, integrando la deduzione del venir meno della garanzia e, quindi, dell'efficacia del decreto come titolo esecutivo, è prospettabile con l'opposizione all'esecuzione, dovendosi escludere che rappresenti questione inerente la formazione del titolo esecutivo da dedursi in sede di opposizione a decreto ingiuntivo». b) nell'art. 482 c.p.c., a mente del quale non si può iniziare l'esecuzione forzata se non è decorso il termine indicato nel precetto e in ogni caso prima che siano decorsi dieci giorni dalla relativa notificazione. La disposizione aggiunge infatti che il presidente del tribunale competente per l'esecuzione o un giudice da lui delegato, se vi è pericolo nel ritardo, può autorizzare l'esecuzione immediata con o senza cauzione; c) nell'art. 532 c.p.c., che prevede la facoltà giudiziale di imporre cauzione al commissionario per la vendita; d) nell'art. 571 c.p.c., che, per la vendita immobiliare, prevede la inefficacia dell'offerta d'acquisto per mancata prestazione della cauzione (in tale ipotesi, Cass. III, n. 12880/2012 ha, infatti, statuito che quando sia disposta la vendita senza incanto, è inefficace l'offerta presentata con modalità difformi da quelle stabilite nell'ordinanza che dispone la vendita, a nulla rilevando che la difformità riguardi prescrizioni dell'ordinanza di vendita stabilite dal giudice di sua iniziativa, ed in assenza di una previsione di legge in tal senso); e) nell'art. 576 c.p.c., che disciplina il contenuto dell'ordinanza di vendita immobiliare con incanto (v. Cass. S.U., n. 262/2010, per la quale il termine che il giudice dell'esecuzione fissa nell'ordinanza di vendita con incanto per il deposito della cauzione da parte degli offerenti è perentorio; ne consegue, per la Corte, che esso non può essere prorogato poiché il deposito della cauzione rappresenta la modalità attraverso la quale la parte che lo esegue manifesta la volontà di essere ammessa a partecipare al procedimento di vendita; e tale procedimento, essendo innervato dalla regola della parità tra i soggetti che vengono chiamati a fare offerte, impone che le condizioni fissate dal giudice nell'avviso di vendita restino inalterate); f) nell'art. 580 c.p.c., che detta la disciplina di versamento della cauzione per partecipare alla vendita con incanto (Cass. I, n. 17728/2014 ha statuito che la mancata presentazione, nel termine perentorio previsto, della cauzione prescritta dalla disposizione impedisce all'offerente di partecipare alla gara ed integra una causa di radicale nullità del provvedimento di aggiudicazione dell'immobile in suo favore, senza che l'omessa impugnazione dello stesso da parte di controinteressati, nella specie tramite reclamo ex art. 26 della l. fallim., possa sanare il vizio precludendo l'aggiudicazione in favore di altro offerente; la Corte ha così confermato il decreto reiettivo del reclamo proposto nei confronti del provvedimento con il quale il giudice delegato al fallimento aveva revocato l'aggiudicazione di un immobile in favore dell'offerente che non aveva presentato idonea cauzione e disposto la sua aggiudicazione in favore di altro offerente); g) nell'art. 584 c.p.c., che, nel disciplinare le offerte dopo l'incanto, stabilisce che esse si fanno mediante deposito in cancelleria prestando cauzione per una somma pari al doppio della cauzione versata ai sensi del precedente art. 580 c.p.c.; h) nell'art. 173-quinquiesdisp. att. c.p.c., il quale prevede che la cauzione di cui agli artt. 571,580 e 584 c.p.c. possa essere prestata con sistemi telematici di pagamento ovvero con carte di debito, di credito o prepagate o con altri mezzi di pagamento con moneta elettronica disponibili nei circuiti bancario e postale, nonché mediante fideiussione autonoma, irrevocabile e a prima richiesta, rilasciata da banche, società assicuratrici o intermediari finanziari vigilati; i) nell'art. 624 c.p.c., a mente del quale se è proposta opposizione all'esecuzione a norma degli artt. 615 e 619 c.p.c., il giudice dell'esecuzione, concorrendo gravi motivi, sospende, su istanza di parte, il processo con cauzione o senza. Nell'àmbito del procedimento cautelare uniforme assumono, invece, rilievo: a) l'art. 669- undeciesc.p.c. per i provvedimenti cautelari in generale; b) l'art. 684 c.p.c., che prevede la possibilità di revoca del sequestro conservativo previo versamento della cauzione; c) l'art. 669- terdeciesc.p.c., a mente del quale quando per motivi sopravvenuti il provvedimento cautelare arrechi grave danno, il giudice del reclamo può disporre la sospensione della relativa esecuzione o subordinarla alla prestazione di congrua cauzione. Nel contesto, invece, dei procedimenti sommari vanno evidenziati: a) l'art. 642 c.p.c. e l'art. 648 c.p.c.., in tema di provvisoria esecutività del decreto ingiuntivo (Cass. III, n. 3582/2001 ha, in proposito, statuito che la dichiarazione di nullità del decreto ingiuntivo comporta non già il riconoscimento della sua inefficacia – come avviene nel caso della revoca – bensì quello dell'esistenza di un vizio sostanziale che impedisce al provvedimento di aver vita sin dalla sua emanazione: essa perciò travolge tutte le statuizioni che vi trovano la necessaria premessa, ivi compresa quella relativa alla cauzione che è imposta come condizione per la concessione dell'esecutorietà provvisoria, volta a garantire le restituzioni ed il risarcimento dei danni conseguenti alla revoca e non alla dichiarazione di nullità della ingiunzione); b) l'art. 663 c.p.c., a mente del quale, in caso di sfratto per morosità, il giudice può ordinare al locatore la prestazione di una cauzione in dipendenza della dichiarazione in udienza che la morosità persiste. Va, poi, ricordato l'art. 373 c.p.c.. Prevede la disposizione, sul presupposto che il ricorso per cassazione non sospende l'esecuzione della sentenza, che il giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata può, su istanza di parte e qualora dall'esecuzione possa derivare grave e irreparabile danno, disporre con ordinanza non impugnabile che l'esecuzione sia sospesa o che sia prestata una congrua cauzione. In riferimento ai rapporti tra sospensione e cauzione nell'art. 373 c.p.c., si è sostenuto che assolvano a funzioni diverse: la sospensione priva temporaneamente la sentenza impugnata della sua efficacia di titolo esecutivo così preservando la situazione di fatto anteriore alla sentenza. La cauzione presuppone, viceversa, l'esecuzione forzata della sentenza stessa poiché funzionale non a prevenire il danno da essa derivante ma a garantire il buon fine del diritto alle restituzioni o al risarcimento del danno causato dall'esecuzione (Terrusi, passim). Segue. L'art. 98 c.p.c. e la ConsultaNel testo originario del codice di rito civile, la cauzione trovava una generale regolamentazione nell'art. 98 che, rubricato «Cauzione per le spese» stabiliva che il giudice istruttore, il pretore o il conciliatore, su istanza del convenuto, potessero disporre con ordinanza a carico dell'attore (non ammesso al gratuito patrocinio) la prestazione di una cauzione finalizzata a garantire il rimborso delle spese, laddove si profilasse il fondato timore che l'eventuale condanna potesse restare ineseguita. La conseguenza della mancata prestazione della cauzione nel termine all'uopo stabilito comportava l'estinzione del processo. La Corte Costituzionale (Corte cost., n. 67/1960) ha, tuttavia, stigmatizzato la scelta codicistica. Per i giudici della Consulta, infatti, dalla lettura combinata degli artt. 3 e 24 Cost., si deduce che il principio, secondo il quale tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi e la difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento e deve trovare attuazione uguale per tutti, indipendentemente da ogni differenza di condizioni personali e sociali. «Né sembra dubbio» – continua la Corte – «che l'art. 98 c.p.c. prevedendo la imposizione della cauzione a carico di chi non sia ammesso al gratuito patrocinio e nell'ipotesi che vi sia fondato timore che l'eventuale condanna nelle spese possa restare ineseguita, ricollega l'applicazione dell'istituto alle condizioni economiche dell'attore, con la conseguenza che, se questi possiede un patrimonio di qualche entità, la misura prevista dalla disposizione non può essere disposta. D'altronde, l'esclusione dell'applicazione dell'istituto nella ipotesi che l'attore sia stato ammesso al gratuito patrocinio non elimina la disparità di condizioni, sia perché tale ammissione è subordinata alla dimostrazione dello stato di povertà dell'interessato, e perciò dovrebbe essere rifiutata a chi non si trovasse in tale condizione, sia perché il procedimento preliminare per la concessione del beneficio non è sempre rapido come sarebbe desiderabile, pur essendo previsto un procedimento d'urgenza. I difensori hanno ampiamente discusso, richiamando tesi sostenute dall'una o dall'altra parte della dottrina processualistica, sull'ampiezza dell'esame affidato al giudice istruttore, in relazione all'istanza del convenuto per la imposizione della cauzione a carico dell'attore, esame che, secondo alcuni, si estenderebbe anche al merito della controversia, alle probabilità di vittoria dell'uno o dell'altro litigante, al carattere temerario della lite. La Corte non ritiene di potersi pronunciare su questi argomenti, che riguardano direttamente la estensione e il contenuto di un potere attribuito al giudice ordinario. Essa si limita ad osservare che il testo della legge vigente è stato costantemente interpretato dalla giurisprudenza nel senso che l'istituto della cauzione per le spese debba ritenersi applicabile anche nel giudizio di appello, a carico dell'appellante, fosse questi attore o convenuto nel giudizio di primo grado, nonché nel giudizio di opposizione a decreto di ingiunzione. Queste applicazioni, unitamente all'esclusione di ogni possibilità di reclamo, fanno sì che la imposizione della cauzione e la conseguente estinzione del processo, ove essa non sia prestata in denaro o in titoli del debito pubblico (art. 86 disp. att. c.p.c.) nel termine stabilito, possano provocare conseguenze di eccezionale gravità rispetto all'esercizio di diritti che l'art. 24 Cost. proclama inviolabili. Dai difensori del convenuto nel giudizio di merito e dall'Avvocatura dello Stato si sono ricordati, allo scopo di accostarli a quello in esame, diversi istituti del processo, i quali prevedono l'adempimento di oneri, anche di natura patrimoniale, quale presupposto per la valida costituzione del rapporto processuale: tali i depositi per il caso di soccombenza, il principio del solve et repete in materia fiscale, e così via. A giudizio della Corte, fra codesti istituti e quello in esame sono prevalenti le differenze su ogni possibile analogia, almeno ai fini della presente questione. Anzitutto, è evidente che molti di essi sono posti in funzione di particolari interessi pubblici, che il legislatore ha voluto salvaguardare, laddove la cautio pro expensis non serve neppure al fine pubblico inerente al processo, del quale è piuttosto una remora; in secondo luogo, si osserva che essi presuppongono un provvedimento giurisdizionale o amministrativo, quindi emesso da una pubblica autorità, che può ben essere considerato titolo sufficiente a giustificare l'imposizione di una cauzione, anche se suscettibile di impugnazione e di riforma; infine, non si può omettere di rilevare che in tutti i casi addotti come analoghi all'istituto in esame l'imposizione dell'onere deriva da categorie e presupposti oggettivi, laddove in questo si ha riguardo proprio, seppure non esclusivamente, a quelle condizioni soggettive, personali o sociali, che l'art. 3 Cost. impone di considerare non influenti ai fini della tutela della eguaglianza giuridica». Su queste basi, la Corte ha, perciò, dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 98 c.p.c. per contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost. La cauzione nel codice del processo amministrativo.Anche il codice del processo amministrativo di cui all'allegato 1 del d.lgs. n. 104/2010 contiene la regolamentazione dell'istituto della cauzione, la cui funzione è quella di fare da «contro-cautela» ai danni derivanti dalla eventuale irreversibilità delle modificazioni che una misura cautelare può determinare nella realtà materiale e/o alla dinamica dei rapporti sostanziali tra le parti. Oggi, infatti, l'art. 56, comma 3, del codice del processo amministrativo, rubricato «Misure cautelari monocratiche», prevede che, qualora dalla decisione sulla domanda cautelare derivino effetti irreversibili, il presidente può subordinare la concessione o il diniego della misura cautelare alla prestazione di una cauzione, anche mediante fideiussione, determinata con riguardo all'entità degli effetti irreversibili che possono prodursi per le parti ed i terzi. La disposizione trova il suo precedente nell'art. 3 della l. n. 205/2000 che, a sua volta, in recepimento di una lunga e consolidata prassi applicativa, sancì la regola generale della atipicità delle misure cautelari nel contesto del processo amministrativo, prima tradizionalmente limitate, nel loro contenuto, alla mera sospensione del provvedimento amministrativo impugnato. Proprio questa conquistata atipicità aveva infatti fatto da apripista alla opportunità di controbilanciarne gli effetti potenzialmente irreversibili con la imposizione di una cauzione. La funzione della cauzione oggi disegnata dall'art. 56, comma 3, del codice del processo amministrativo, come il suo antecedente codificato dall'art. 3 della l. n. 205/2000, è allora quella di contro-cautela rispetto alla concessione o al diniego della misura cautelare sovrapponibile a quella disciplinata, nell'ambito del procedimento cautelare uniforme disegnato dal codice di procedura civile, dall'art. 669-undecies c.p.c. Anche in tale ultimo caso, infatti, si assiste alla logica del bilanciamento tra gli effetti della misura cautelare concessa e la necessità di rimuoverli senza pregiudizio per la controparte in dipendenza della instabilità intrinseca della misura. Lo scopo è, cioè, quello di mitigare le conseguenze negative indotte, a carico della controparte, dalla esecuzione di un provvedimento instabile perché fondato su una cognizione sommaria. Ed è secondo questa logica che anche il giudice amministrativo, laddove pronunci sulla sospensione di un provvedimento amministrativo dal quale, se eseguito, scaturirebbero effetti irreversibili, è legittimato a valutare se subordinare la concessione o il diniego della misura cautelare alla prestazione di una cauzione da parte del ricorrente nel primo caso e dell'amministrazione o del controinteressato nel secondo caso (Brunetti, 555). Evidente è, dunque, la comunanza di ratio con la cauzione disciplinata dal codice di procedura civile e la necessità di fare ricorso alla lunga elaborazione del concetto ad opera di dottrina e giurisprudenza in tale ambito. La cauzione quale esplicazione dei poteri del giudice.Dopo la dichiarazione di incostituzionalità dell'art. 98 c.p.c. (Corte cost., n. 67/1960), oggi la cauzione trova collocazione, tra le disposizioni generali (libro I), nel titolo V dedicato ai poteri del giudice. L'art. 119 c.p.c. stabilisce infatti che il giudice, nel provvedimento col quale impone una cauzione, deve indicare l'oggetto di essa, il modo di prestarla e il termine entro il quale la prestazione stessa deve avvenire. A tale prescrizione si affianca quella dell'art. 86 disp. att., che precisa che, salva diversa disposizione del giudice, la cauzione deve essere prestata in denaro o in titoli del debito pubblico nei modi stabiliti per i depositi giudiziari e che il documento attestante l'avvenuto versamento va inserito nel fascicolo d'ufficio. A queste va aggiunta la prescrizione dell'art. 155 disp. att. c.p.c., riferita all'ipotesi di cauzione imposta, ai sensi dell'art. 478 c.p.c., a presidio dell'efficacia del titolo esecutivo. Qui, infatti, l'art. 155 disp. att. c.p.c. prescrive che il certificato di prestata cauzione venga rilasciato dal cancelliere del giudice che ha reso il provvedimento avente efficacia di titolo esecutivo. La collocazione ed il tenore delle richiamate disposizioni depongono nel senso che il legislatore rimetta alla discrezionalità del giudice, ferma restando la tassatività delle ipotesi in cui è possibile imporre cauzione, la quantificazione, l'oggetto ed il modo di prestazione, oltre che, naturalmente, il termine. Quanto all'oggetto della cauzione, esso potrà consistere in denaro liquido o in titoli rappresentativi di merci, titoli al portatore, azioni e obbligazioni di società di capitali, vincolati a garanzia. Sarà, altresì, possibile la costituzione, su beni della parte istante o di un terzo, di vincoli ipotecari o pignoratizi e l'assunzione da parte di terzi di obblighi fideiussori, quali polizza fideiussoria e/o negozio autonomo di garanzia, contratti con compagnie assicuratrici o istituti di credito. L'art. 86 disp. att. c.p.c. prevede in proposito, al comma 2, che il documento contenente la prova dell'avvenuto versamento della cauzione vada inserito nel fascicolo d'ufficio. Tale documento, laddove la cauzione sia costituita da garanzia reale o personale, sarà perciò il testo dell'atto negoziale da cui la garanzia stessa scaturisce (atto di fideiussione, nota di iscrizione ipotecaria, ecc.). La prassi ha posto il tema delle conseguenze derivanti dall'omissione del deposito del documento nel fascicolo d'ufficio: nullità o mera irregolarità? Nella giurisprudenza di merito è la seconda opzione a prevalere. In ipotesi in cui occorreva decidere in ordine alla sopravvenuta inefficacia di un sequestro per omesso versamento della cauzione, si è infatti ritenuto (App. Genova, 25 marzo 2002) che le modalità del deposito della cauzione debbano essere riguardate alla luce dell'attuale contesto normativo di riferimento. In particolare, a seguito dell'entrata in vigore del d.lgs. n. 213/1998, attuativo della l. n. 433/1997 sulla «Dematerializzazione degli strumenti finanziari pubblici e privati» oggi la Cassa Depositi e Prestiti non può più accettare depositi di titoli di Stato (operazioni dei resto impossibili, giacché questi sono ora costituiti da semplici annotazioni contabili presso la Banca di Italia), ma solo «contanti» o «altri valori diversi», con l'esclusione degli strumenti finanziari pubblici o privati (tra cui i titoli di Stato, v. d.lgs. n. 415/1996, di recepimento della direttiva 93/22/CEE del 10 maggio 1993, art. 1), per i quali gli interessati dovranno rivolgersi agli intermediari finanziari di cui all'art. 30 del d.lgs. n. 213/1998. Ne consegue che i depositi di titoli del debito pubblico previsti dall'art. 86 disp. att. c.p.c. possono e devono oggi validamente costituirsi, anziché con il materiale deposito dei documenti cartacei presso la Cassa Depositi e Prestiti (come previsto dalla normativa dei 1919), con l'individuazione dei titoli stessi da parte di uno degli intermediari autorizzati. Tale quadro normativo invera il progressivo passaggio verso un mercato finanziario più consono alle esigenze di semplificazione delle procedure e di velocità degli scambi, basato più su obblighi di natura privatistica e contrattuale che su vincoli formali imposti burocraticamente. Proprio tale normativa consente allora di ritenere validamente prestata una cauzione consistente nel deposito vincolato di titoli di Stato presso una banca autorizzata. Il richiamo dell'art. 86 disp. att. c.p.c. alle norme sui depositi giudiziari va allora attualizzato come richiamo alle procedure oggi attuabili presso qualsiasi intermediario finanziario autorizzato. Ne consegue che, in materia di sequestri, il certificato comprovante il deposito dei titoli può essere allegato al provvedimento autorizzativo del sequestro ed entrambi possono essere consegnati all'ufficiale giudiziario competente per l'esecuzione del sequestro. Eseguito quest'ultimo, il titolo e l'allegato certificato possono essere inseriti nel fascicolo del giudice dell'esecuzione davanti al quale è fissata l'udienza per la prescritta dichiarazione del terzo presso cui si trovino i beni sequestrati. È vero, infatti, che le formalità richieste dalla legge per l'esecuzione dei sequestri condizionati alla prestazione di cauzione sono quelle previste dall'art. 86 disp. att. c.p.c., in base alle quali il documento contenente la prova del versamento della cauzione va inserito nel fascicolo d'ufficio, che non può essere che quello del giudice che ha emesso il provvedimento. L'omissione, tuttavia, non può provocare l'inefficacia del sequestro poiché la cauzione risulta validamente e ritualmente prestata attraverso il deposito vincolato dei titoli e vi è certificazione bancaria utile a provarlo sicché l'atto ha raggiunto comunque il suo scopo. La documentazione del vincolo cauzionale è essenziale per la valutazione della possibilità di compiere atti esecutivi, nell'ipotesi di titoli condizionati, da parte dell'ufficiale giudiziario, il quale potrà rilevare ictu oculi l'inefficacia del titolo in assenza di cauzione documentata (Taraschi, passim). La Suprema Corte (Cass. III, n. 12861/1992) ha, in proposito, statuito che la cauzione offerta dalla parte che ha chiesto la provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo opposto può anche essere prestata, se il giudice lo dispone, mediante garanzia fideiussoria di un terzo. Infatti, ai sensi degli art. 119 c.p.c. e 86 disp. att. c.p.c., fuori dei casi in cui non sia diversamente disposto dalla legge, è sempre il giudice a determinare le concrete modalità dell'oggetto e del tempo della cauzione, che non deve, quindi, necessariamente consistere nel deposito di una somma di denaro. In presenza di determinate modalità di prestazione della cauzione imposte dal giudice, è da escludersi, inoltre, la praticabilità di una diversa modalità a scelta della parte onerata. I giudici di legittimità (Cass. III, n. 4334/2009) hanno, infatti, statuito che quest'ultima, ove ritenga – anche giuridicamente – impossibile prestare la cauzione nelle modalità fissate dal giudice, ha l'onere di chiedere al giudice medesimo di modificarle, mentre non le è consentito scegliere autonomamente di prestare la cauzione con modalità diverse da quelle stabilite dal giudice. Sotto altro ma connesso profilo, va poi rilevato che quanto prestato a titolo di cauzione non è suscettibile di svincolo senza previo ordine del giudice, ma può costituire oggetto di successivo pignoramento o sequestro. Neppure la parte a cui favore è stata disposta una cauzione può vantare, in sede esecutiva, alcuna causa legittima di prelazione (Taraschi, passim). Il provvedimento con il quale la cauzione è disposta assume la forma dell'ordinanza o del decreto, ed è in quanto tale modificabile e revocabile. I magistrati di Piazza Cavour (Cass. III, n. 5406/1986) hanno, infatti, chiarito che il provvedimento di svincolo della cauzione, ed ogni altro relativo, non ha carattere di atto decisorio, ma costituisce un provvedimento meramente amministrativo ed ordinatorio, consistendo in un puro e semplice ordine di pagamento con autorizzazione a riscuotere. Pertanto, esso non è suscettibile di ricorso per cassazione, anche nel suo aspetto negativo ed omissivo, a norma dell'art. 111 Cost. La cauzione deve essere, inoltre, svincolata dallo stesso giudice che ha emanato il provvedimento (Cass. II, n. 4937/1980, per la quale in tema di procedimento di denunzia di nuova opera, la cauzione, imposta in fase cautelare con un provvedimento ordinatorio, deve essere svincolata con disposizione dello stesso giudice che ha emanato il provvedimento, secondo il principio generale dell'art. 177 c.p.c.). La cauzione nell'art. 669-undeciesc.p.c.Una vocazione di generale contro-cautela mostra la cauzione nel procedimento cautelare uniforme disegnato dagli artt. 669-bis-669-terdecies c.p.c. In tale contesto, è l'art. 669-undecies c.p.c. a dettarne la disciplina generale, riprendendo contenuti olim disegnati dall'abrogato art. 674 c.p.c. con riferimento esclusivo al sequestro conservativo, ma che la giurisprudenza estendeva anche agli altri provvedimenti cautelari. A mente della disposizione, con il provvedimento di accoglimento o di conferma ovvero con il provvedimento di modifica il giudice può imporre all'istante, valutata ogni circostanza, una cauzione per l'eventuale risarcimento dei danni. La giurisprudenza di merito (Trib. Milano 2 novembre 2011) è chiara nel definire la cauzione prevista dall'art. 669-undecies c.p.c. quale misura accessoria a carico della parte che ha chiesto il provvedimento cautelare e non invece della parte cui è addebitato l'illecito o la contraffazione, al fine di tutelare la possibile pretesa risarcitoria della parte che subisce il provvedimento per il caso in cui l'azione sia stata indebitamente intentata. Un analogo potere di contro-cautela è del resto previsto, in àmbito attiguo alla tutela cautelare in senso stretto, dall'art. 1171 c.c. dettato in tema di denunzia di nuova opera. Prevede, infatti, la disposizione che il giudice, nel provvedere sul ricorso per denuncia di nuova opera, possa ordinare le opportune cautele: nel caso di divieto di continuazione dell'opera intrapresa, per il risarcimento del danno prodotto dalla sospensione, laddove le opposizioni al suo proseguimento risultino infondate; nel caso di autorizzazione alla prosecuzione, per la demolizione o la riduzione dell'opera e per il risarcimento del danno che possa soffrirne il denunciante, se questi ottiene sentenza favorevole nonostante la permessa continuazione. Emerge così la natura di contro-cautela della cauzione quale rimedio volto a mitigare la pericolosità intrinseca del provvedimento cautelare, cioè la sua capacità di pregiudicare irreversibilmente gli interessi del resistente contro cui viene emesso il comando. La cauzione serve, cioè, ad assicurare la possibilità di risarcire i danni che potranno essere causati alla controparte dalla eccessiva celerità o invasività del provvedimento cautelare, con esiti di contemperamento degli opposti interessi e delle opposte esigenze del beneficiario della cauzione e della controparte tenuta alla prestazione. La disposizione si riferisce ai danni da eventuale responsabilità risarcitoria processuale aggravataex art. 96, comma 2, c.p.c., nel caso in cui venga accertata l'inesistenza del diritto a cautela del quale fu eseguito un provvedimento cautelare e, comunque, ad ogni possibile risarcimento, compresa senz'altro la refusione delle spese di lite. Il provvedimento recante l'ordine di prestare la cauzione assume forma di ordinanza ma in alcuni casi anche di decreto. La conclusione si basa sul presupposto che l'imposizione della contro-cautela è, processualmente, pronuncia accessoria al provvedimento che accoglie la domanda cautelare, vale a dire perciò: a) al decreto inaudita altera parte; b) all'ordinanza resa in esito ad udienza di comparizione delle parti ex art. 669-sexies (al cui commento si rinvia); c) all'ordinanza di conferma/modifica ex art. 669-decies c.p.c. (al cui commento si rinvia); d) all'ordinanza emessa a seguito di reclamo ex art. 669-terdecies c.p.c.(al cui commento si rinvia). Ne consegue che la cauzione oggi prevista dall'art. 669-undecies c.p.c., non può essere disposta con un provvedimento diverso ed autonomo da quello cautelare cui accede, a differenza di quanto olim previsto dall'art. 674 c.p.c., oggi abrogato, che, in tema di sequestro, prevedeva che il giudice potesse disporre cauzione sia con il provvedimento autorizzativo del sequestro sia nel corso del giudizio di convalida. Si è, tuttavia, deciso (Trib. Firenze 15 maggio 1995) che una cauzione può essere imposta in un provvedimento successivo a quello che ha reso la cautela (solo) nell'ipotesi in cui si sia verificato un «mutamento delle circostanze» ai sensi dell'art. 669-decies c.p.c. In tema di reclamoex art. 669-terdecies c.p.c., va inoltre ricordato che quando per motivi sopravvenuti il provvedimento cautelare arrechi grave danno, il giudice del reclamo può disporre la sospensione della relativa esecuzione o subordinarla alla prestazione di congrua cauzione. Ne consegue che l'esecuzione del provvedimento cautelare non è sospesa fino a che la cauzione non sia versata. Segue.Domanda di parte e discrezionalità del giudice Si discute se l'imposizione della cauzione, esplicazione dei poteri discrezionali del giudice, sia o meno soggetta al principio della domanda e a quello di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato(artt. 99 e 112 c.p.c.). Il tema interferisce con l'altro, se la cauzione sia volta esclusivamente a risarcire il danno derivante, ex art. 96, comma 2, c.p.c., dalla esecuzione del provvedimento cautelare divenuta ex post illegittima in dipendenza della dichiarazione di inesistenza del diritto cautelato, o se invece sia funzionale a qualsiasi ristoro, ivi compreso quello relativo alla rifusione delle spese processuali. Ove si ritenga la cauzione legata solo all'art. 96, comma 2, c.p.c. (Trib. Ancona 17 novembre 1993; Trib. Catania 21 maggio 1998, che ha precisato che, al fine della stessa concedibilità della cauzione, occorre proprio che la parte istante abbia proposto domanda di risarcimento ex art. 96, comma 2, c.p.c.), la domanda di parte è ritenuta indispensabile e ci si chiede perciò a quale sorte vada incontro la cauzione stessa laddove la parte che ne abbia beneficiato non abbia poi anche proposto, nel giudizio di merito, domanda di risarcimento per responsabilità aggravata exart. 96, comma 2, c.p.c. Le soluzioni prospettabili sono tre: a) perdita automatica di effetti della cauzione, con obbligo del giudice di ordinarne lo svincolo; b) efficacia perdurante sino all'emissione della sentenza di merito; c) revocabilità ex art. 669-decies c.p.c., in parte qua, del provvedimento che ne dispone la prestazione. Il problema non si pone, evidentemente, per chi ritiene invece che la cauzione sia funzionale a tutti i possibili ristori, non solo di carattere risarcitorio (malgrado il riferimento dell'art. 669-undecies c.p.c. ai soli «danni»), ma anche in riferimento, ad esempio, alla rifusione delle spese di lite (Sassani, 506; contra Giordano, 1264, proprio sull'assunto della strumentalità della cauzione al solo risarcimento previsto dall'art. 96, comma 2, c.p.c.). In riferimento, invece, ai criteri che ispirano la discrezionalità del giudice nel disporre la cauzione, sia fa rilevare come il criterio principe a favore della imposizione sia quello della solvibilità e più in generale della precarietà delle condizioni economiche del beneficiario (della cautela e della cauzione). Ne consegue che va valutata negativamente una richiesta di cauzione formulata in modo assolutamente generico, senza fornite precisi elementi in ordine ai costi direttamente discendenti dalla esecuzione della concessa cautela (Trib. Napoli 8 marzo 2000). Con diverse modulazioni, si è pronunciata altra giurisprudenza di merito (Trib. 2 febbraio 1996), per la quale la domanda di cauzione non merita accoglimento se la ricorrente ha dimostrato la sussistenza di una rilevante ed apprezzabile misura di fumus boni iurisa favore della propria istanza cautelare e se la richiesta viene formulata in modo assolutamente generico, senza fornire elementi precisi di riscontro in ordine ai costi sopportati ovvero al volume di affari collegato alla produzione in contestazione e se non è stato addotto alcun elemento che faccia dubitare della solvibilità economica della ricorrente. La decisione mette opportunamente in rilievo come, malgrado l'opportunità della cauzione debba essere valutata non con immediato riferimento alla fondatezza del ricorso cautelare ma alle condizioni economiche e patrimoniali delle parti, maggiore si rivela in concreto la forza del fumus minore appare la necessità di controbilanciare la concessione della cautela con la prestazione di una cauzione. Anche in dottrina, si è rilevato come la discrezionalità del giudice nel provvedere sulla imposizione di una cauzione si debba sì misurare con fumus boni iuris e periculum in mora ma in modo peculiare In riferimento al primo profilo il giudice dovrebbe cioè imporre cauzione se la cognizione sommaria sul fumus non lo abbia condotto ad una convinzione sulla probabile esistenza del diritto e, in riferimento al periculum, se abbia perplessità con riferimento al bilanciamento degli interessi in gioco a sfavore del resistente in sede cautelare (Giordano, 1240). Segue. Cauzione e procedimento cautelare uniforme. Poiché la relativa imposizione è capo accessorio alla concessione (conferma o modifica) della misura cautelare, anche la cauzione si colora di natura cautelare con la conseguente applicabilità, in quanto compatibili, di tutte le altre norme sul procedimento cautelare uniforme. Di tali disposizioni non fa, tuttavia, parte l'art. 669-duodecies c.p.c. (al cui commento si rinvia). Non è, infatti, ipotizzabile alcuna attuazione/esecuzione coattiva del capo recante la cauzione visto che la mancata prestazione nei termini prescritti dal provvedimento che la impone determina direttamente l'inefficacia della misura cautelare ai sensi dell'art. 669-novies c.p.c. (al cui commento si rinvia). È perciò l'art. 669 novies c.p.c. a togliere spazio applicativo all'art. 669-duodecies c.p.c. È, invece, applicabile il reclamo previsto dall'art. 669-terdecies c.p.c. (al cui commento si rinvia). Con il reclamo cautelare può, infatti, essere proposta impugnazione relativamente alla mancata imposizione della cauzione richiesta, e l'eventuale sospensione dell'esecuzione del provvedimento cautelare in fase di reclamo può, a sua volta, essere condizionata dal collegio alla prestazione della cauzione. È, altresì, applicabile l'art. 669-decies c.p.c. (al cui commento si rinvia), posto che anche la modifica e/o conferma della misura cautelare possono avere quale capo accessorio la cauzione. Come già rilevato, la mancata prestazione della cauzione determina l'inefficacia della misura cautelare, ai sensi dell'art. 669-novies, comma 3, c.p.c. Si ritiene, tuttavia, di distinguere il caso dell'inefficacia originaria del provvedimento cautelare, emesso ab origine unitamente all'ordine cauzionale (ed avente efficacia condizionalmente sospesa), dall'inefficacia sopravvenuta rispetto ad un provvedimento cautelare emesso inizialmente senza cauzione, poi disposta e non prestata nel quantum e/o nel termine prescritti. Nel primo caso, il versamento della cauzione costituisce condizione sospensiva di efficacia del provvedimento cautelare, sicché è improprio fare riferimento alla «sopravvenuta inefficacia» della misura cautelare, visto che non ha mai iniziato a produrre i suoi effetti. L'inefficacia opera perciò ipso iure. Tuttavia, il mancato versamento della cauzione nel termine stabilito giustifica una espressa declaratoria di inefficacia. Anche se il provvedimento non è mai stato attuato (Merlin, 452), la parte ha comunque interesse ad una declaratoria di inefficacia, da intendersi qui come ricognizione dell'incapacità assoluta e definitiva del provvedimento cautelare a produrre i propri effetti (Turroni, passim). Nel secondo caso, invece, si ritiene sempre necessario che l'inefficacia, stavolta effettivamente sopravvenuta, sia dichiarata con l'instaurazione del procedimento ex art. 669-novies comma 2, c.p.c. (Celeste, 326; Taraschi, passim). In tale ipotesi, appare infatti plausibile che la pronuncia sull'inefficacia possa precedere la definizione del giudizio di merito ed essere resa sì dal giudice del merito con ordinanza, su istanza dell'interessato (Trib. Roma 23 gennaio 1995, che fa diretta applicazione dell'art. 669-novies, comma 2, c.p.c.), ma prima dell'emissione della sentenza sul merito. In questa prospettiva, il ricorso al procedimento ad hoc davanti al giudice della cautela si giustifica solo se l'istanza non è stata già proposta al giudice del merito in corso di causa. Segue. Il termine La prassi applicativa ha posto l'attenzione sul tema della natura del termine fissato per il versamento della cauzione, se cioè esso debba considerarsi perentorio oppure ordinatorio. Entrambe le tesi sono state sostenute. A favore della perentorietà del termine, si era pronunciata la giurisprudenza di legittimità in costanza dell'art. 674 c.p.c. dettato in tema di sequestro ed oggi abrogato. Prevedeva, in particolare, la disposizione che il giudice tanto col provvedimento che autorizza il sequestro, quanto nel corso della causa di convalida può imporre all'istante una cauzione per l'eventuale risarcimento dei danni e per le spese. In quel contesto normativo, la Cassazione (Cass. III, n. 224/1964; Cass. III, n. 884/1993) statuì, infatti, che, malgrado il silenzio della disposizione, la perentorietà del termine di prestazione dovesse necessariamente dedursi «oltre che dalla disposizione di carattere generale di cui all'art. 119 c.p.c., dalla natura stessa del provvedimento di sequestro la cui disciplina deve giocare entro precisi limiti temporali» Poiché cioè la cauzione ha la funzione di limitare il danno che potrebbe derivare dall'eventuale illegittimità del sequestro, il carattere necessariamente perentorio del termine discendevano dalla intrinseca finalità di garanzia che la cauzione è destinata a svolgere. In tal senso, perciò, il dettato dell'art. 152 c.p.c. poteva considerarsi superato dal principio che è dato all'interprete, nel silenzio della legge, «ricercare se un termine sia da considerare perentorio per lo scopo che persegue e la funzione che è destinato ad assolvere». Per la Suprema Corte, cioè, ragioni di coerenza interna del meccanismo esigevano che la cauzione venisse prestata con la stessa immediatezza con la quale veniva eseguito il sequestro e che, pertanto, una proroga del relativo termine avrebbe frustrato la finalità stessa del sequestro. Il carattere ordinatorio del termine trova, invece, oggi consensi nella giurisprudenza di merito (Trib. Livorno 21 aprile 2001), che ripropone a sostegno della scelta una summa di argomenti già emersi nel relativo dibattito. Si tratta, in sostanza: a) dell'assenza di una espressa previsione di perentorietà, richiesta invece dall'art. 152, comma 2, c.p.c.; b) dell'applicabilità, in assenza di altri riferimenti a un termine per la prestazione della cauzione nell'art. 669-undecies c.p.c., dell'art. 119 c.p.c., norma generale in materia di cauzione processuale, che nel disporre la necessaria previsione di un termine non lo qualifica espressamente come perentorio; c) della circostanza che ubi lex voluit, dixit, dato che vi sono alcune ipotesi in cui il termine per la prestazione della cauzione è espressamente definito come perentorio; d) del fatto che il termine in questione accede ad un provvedimento modificabile. Questa giurisprudenza distingue, inoltre, fra mancato e tardivo versamento della cauzione ed esclude che il legislatore abbia inteso ricollegare la sanzione dell'inefficacia anche a quest'ultima ipotesi. Nello stesso senso, si era pronunciata altra giurisprudenza di merito, in sostanza contando sugli stessi argomenti (Pret. Torino, 22 dicembre 1993). In base a questa opzione, perciò, la parte tenuta al versamento della cauzione ha facoltà, prima della scadenza del relativo termine, di chiederne la proroga ai sensi dell'art. 154 c.p.c., conseguendo altrimenti all'inutile decorso del termine l'inefficacia del provvedimento cautelare. Anche la dottrina si è interrogata sulla natura del termine, evidenziando quella stessa oscillazione tra carattere ordinatorio e perentorio emersa nella prassi applicativa. Più in particolare, la tesi del carattere ordinatorio del termine è stata sostenuta sulla base del rilievo che, olim ai sensi dell'art. 674 c.p.c. ed oggi dell'art. 669-undecies c.p.c., il provvedimento che impone la prestazione della cauzione è modificabile. Ciò implica infatti che, essendo la proroga del termine una forma di modifica del provvedimento impositivo, essa trova ambiente idoneo nel contesto normativo che disegna come modificabile lo stesso provvedimento, nel senso che la modificabilità del provvedimento si estende anche al termine in esso previsto (Trifone, passim). Altra opinione, invece (Pototsching, 387), colloca il tema della natura del termine di prestazione della cauzione nel contesto del procedimento da seguire per la dichiarazione di inefficacia del provvedimento cautelare nel caso di omessa prestazione. Dato che l'inefficacia sopravvenuta del provvedimento cautelare per omesso versamento della cauzione è disciplinata dal comma 3 dell'art. 669-novies c.p.c. insieme all'ipotesi della sentenza di merito che dichiara inesistente il diritto cautelato, si è ritenuta applicabile la disciplina di cui al comma 2 dell'art. 669-novies c.p.c., sia per quanto riguarda la competenza del giudice che ha emesso il provvedimento divenuto inefficace. È stato, perciò, sostenuto che, se il termine di prestazione della cauzione fosse ordinatorio, la declaratoria di inefficacia dovrebbe essere posticipata sino alla definizione della causa di merito (Merlin, passim). Vanno, infine, ricordate le ipotesi in cui il termine previsto per il versamento della cauzione è stato considerato perentorio dalla giurisprudenza di legittimità. Si tratta, segnatamente, delle previsioni di cui: a) all'art. 576 c.p.c., che disciplina il contenuto dell'ordinanza di vendita immobiliare con incanto, in relazione al quale la Suprema Corte (Cass. S.U., n. 262/2010) ha statuito che termine che il giudice dell'esecuzione fissa nell'ordinanza di vendita con incanto per il deposito della cauzione da parte degli offerenti è perentorio. Esso non può perciò essere prorogato poiché il deposito della cauzione rappresenta la modalità attraverso la quale la parte che lo esegue manifesta la volontà di essere ammessa a partecipare al procedimento di vendita; b) all'art. 580 c.p.c. che detta la disciplina di versamento della cauzione per partecipare alla vendita con incanto. In tale ipotesi, la Cassazione (Cass. I, n. 17728/2014) ha statuito che la mancata presentazione, nel termine perentorio previsto, della cauzione prescritta dalla disposizione impedisce all'offerente di partecipare alla gara ed integra una causa di radicale nullità del provvedimento di aggiudicazione dell'immobile in suo favore, senza che l'omessa impugnazione dello stesso da parte di controinteressati possa sanare il vizio precludendo l'aggiudicazione in favore di altro offerente. Cauzione e revoca del sequestro conservativo ex art. 684 c.p.c.L'art. 684 c.p.c. prevede che «il debitore può ottenere dal giudice istruttore, con ordinanza non impugnabile, la revoca del sequestro conservativo, prestando idonea cauzione per l'ammontare del credito che ha dato causa al sequestro e per le spese, in ragione del valore delle cose sequestrate». Ci si domanda se la revoca consista in un ritiro, con effetto ex nunc, del provvedimento autorizzativo o, invece, in una semplice conversione di oggetto, diretta a consentire al debitore di ottenere la disponibilità dei beni sottoposti a vincolo. La risposta risiede nella considerazione di una duplice circostanza. La prima consiste nel rilievo che la ratio della norma consiste nel legittimare il debitore a liberare i propri beni dal vincolo del sequestro, prestando appunto le opportune garanzie. La seconda considerazione riposa sul rilievo che se la cauzione viene considerata quale nuovo oggetto di sequestro, appare pienamente rispettato il principio della par condicio creditorum di cui all'art. 2741 c.c., consentendo, in seguito alla conversione del sequestro conservativo in pignoramento ai sensi dell'art. 686 c.p.c., il concorso degli altri eventuali creditori nell'esecuzione forzata (Costabile, passim; Taraschi, passim). È per questo che pare prevalere in dottrina l'idea che l'art. 684 c.p.c. non codifichi una revoca in senso tecnico del provvedimento di autorizzazione al sequestro ma una ipotesi di conversione del suo oggetto, assimilabile alla conversione del pignoramento, che non implica in alcun modo il riconoscimento della legittimità della misura cautelare ma solo il trasferimento del vincolo sulla somma determinata dal giudice (Costabile, passim; Taraschi, passim). Anche la giurisprudenza (App. Lecce, 12 gennaio 1995) è orientata per la seconda tesi. Essa afferma, infatti, che l'art. 684 c.p.c., integra un'ipotesi di conversione del sequestro in un deposito cauzionale che, non implicando il riconoscimento della legittimità del sequestro e concretandosi soltanto nell'adozione di una misura provvisoria diretta a consentire la disponibilità delle cose sequestrate senza perdita per il creditore della garanzia a tutela del suo credito, lascia intatta la necessità di tutti gli adempimenti successivi richiesti a pena di inefficacia della misura. Per parte sua, la giurisprudenza di legittimità (Cass. I, n. 9291/1999) ha affermato che, «in tema di procedimento di sequestro, secondo il regime normativo antecedente la riforma di cui alla l. n. 353/1990 e successive modifiche, l'accoglimento dell'istanza di revoca ex art. 684 c.p.c. di un sequestro conservativo autorizzato ante causam e la conseguente conversione del sequestro in un deposito cauzionale, non implicando il riconoscimento della legittimità del sequestro e concretandosi soltanto nell'adozione di una misura provvisoria diretta a consentire la disponibilità delle cose sequestrate senza perdita per il creditore della garanzia a tutela del suo credito, noncomportava il venir meno delle incombenze successive alla concessione del sequestro, previste dall'art. 675 c.p.c., a proposito dell'esecuzione del sequestro entro il termine ivi previsto, e dall'ora abrogato art. 680 c.p.c., a proposito dell'instaurazione del giudizio di convalida» (v., altresì, Cass. II, n. 18278/2007; Cass. I, n. 921/1999). Tale orientamento resta valido anche nell'assetto attuale pur dovendosi fare riferimento al giudizio di merito sul diritto cautelando. Si è, altresì, precisato che proprio l'art. 684 c.p.c., nel prevedere la revoca del sequestro in conseguenza della prestazione di idonea cauzione e nel commisurare quest'ultima all'ammontare del credito e delle spese (anche se in ragione delle cose sequestrate), realizza pur sempre – mediante il trasferimento del vincolo dai beni asserviti alla cauzione – la funzione primaria di garantire l'adempimento del credito azionato (Cass. I, n. 520/1995). In riferimento specifico alla quantificazione della cauzione, due tesi si contendono il campo. Per la prima la cauzione, deve essere fissata nella minore somma tra l'importo del credito cautelato aumentato delle spese ed il valore delle cose sequestrate. Per la seconda tesi, invece, è maggiormente lineare, e più rispondente ad un equilibrio tra i contrapposti interessi delle parti, che il giudice si basi sullo stato degli atti, a prescindere dalla somma fino all'ammontare della quale è stato autorizzato il sequestro (Taraschi, passim). Quanto al giudice competente a provvedere sulla istanza di revoca ex art. 684 c.p.c., si è deciso che, prima dell'inizio della causa di merito e nelle more della instaurazione di questa, la stessa spetti al giudice che ha concesso il sequestro conservativo (Trib. Roma 26 aprile 1993), mentre se la richiesta è formulata nel corso del giudizio di merito debba essere indirizzata al giudice istruttore e, in sede di reclamo, al collegio (Trib. Modena 27 luglio 1998). La forma del provvedimento, ordinanza, presuppone la fissazione di un'udienza di comparizione delle parti. L'ordinanza non è impugnabile, tanto che, secondo la giurisprudenza, è inammissibile un reclamo nei confronti del provvedimento di revoca del sequestro conservativo pronunciato ai sensi dell'art. 684 c.p.c.(Trib. Lanciano 26 luglio 2002). Si è, infine, deciso che la revoca del sequestro conservativo dietro prestazione di idonea cauzione (nella specie il giudice istruttore, nel revocare il sequestro, ha imposto la prestazione di fideiussione assicurativa), costituendo un provvedimento di mera amministrazione della misura cautelare, non ha natura decisoria, e quindi non è impugnabile con ricorso per cassazione ai sensi dell'art. 111 Cost. Perché tale caratteristica ricorra non è sufficiente, infatti, che il provvedimento incida su diritti soggettivi (ciò accadendo anche per la giurisdizione cautelare o esecutiva e anche per gli atti non giurisdizionali), ma occorre che esso decida una controversia su diritti soggettivi o status, con attitudine al giudicato o, quanto meno, con preclusione pro iudicato (Cass. I, n. 10254/1994). Neppure appare praticabile il regolamento di competenza (Cass. I, n. 436/1997). 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