Codice di Procedura Civile art. 669 octies - Provvedimento di accoglimento 1 2


Provvedimento di accoglimento 12

[I]. L'ordinanza di accoglimento [669-undecies], ove la domanda sia stata proposta prima dell'inizio della causa di merito, deve fissare un termine perentorio [153] non superiore a sessanta giorni3per l'inizio del giudizio di merito [669-novies1], salva l'applicazione dell'ultimo comma dell'articolo 669-novies.

[II].In mancanza di fissazione del termine da parte del giudice, la causa di merito deve essere iniziata entro il termine perentorio di sessanta giorni 4.

[III]. Il termine decorre dalla pronuncia dell'ordinanza se avvenuta in udienza o altrimenti dalla sua comunicazione [1342, 136].

[IV]. Per le controversie individuali relative ai rapporti di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, escluse quelle devolute alla giurisdizione del giudice amministrativo, il termine decorre dal momento in cui la domanda giudiziale è divenuta procedibile o, in caso di mancata presentazione della richiesta di espletamento del tentativo di conciliazione, decorsi trenta giorni 5.

[V]. Nel caso in cui la controversia sia oggetto di compromesso o di clausola compromissoria, la parte, nei termini di cui ai commi precedenti, deve notificare all'altra un atto nel quale dichiara la propria intenzione di promuovere il procedimento arbitrale, propone la domanda e procede, per quanto le spetta, alla nomina degli arbitri 6.

[VI].  Le disposizioni di cui al presente articolo e al primo comma dell'articolo 669-novies non si applicano ai provvedimenti di urgenza emessi ai sensi dell'articolo 700 e agli altri provvedimenti cautelari idonei ad anticipare gli effetti della sentenza di merito, previsti dal codice civile o da leggi speciali, nonché ai provvedimenti emessi a seguito di denunzia di nuova opera o di danno temuto ai sensi dell'articolo 688 e ai provvedimenti di sospensione dell'efficacia delle delibere assembleari adottati ai sensi dell'articolo 1137, quarto comma, del codice civile, ma ciascuna parte può iniziare il giudizio di merito7.

[VII]. Il giudice, quando emette uno dei provvedimenti di cui al sesto comma prima dell’inizio della causa di merito, provvede sulle spese del procedimento cautelare8.

[VIII]. L'estinzione del giudizio di merito non determina l'inefficacia dei provvedimenti di cui al sesto comma, né dei provvedimenti cautelari di sospensione dell'efficacia delle deliberazioni assunte da qualsiasi organo di associazioni, fondazioni , comitati, consorzi o società, anche quando la relativa domanda è stata proposta in corso di causa 9.

[IX].  L'autorità del provvedimento cautelare non è invocabile in un diverso processo10.

 

 

[1] La sezione (comprendente gli articoli da 669-bis a 669-quaterdecies ) è stata inserita dall'art. 74, comma 2, l. 26 novembre 1990, n. 353, entrata in vigore il 1° gennaio 1993. L' art. 92 stabilisce inoltre: « Ai giudizi pendenti a tale data si applicano, fino al 30 aprile 1995, le disposizioni anteriormente vigenti ». L'art. 90, comma 1, l. n. 353, cit., come sostituito dall'art. 9 d.l. 18 ottobre 1995, n. 432, conv., con modif., nella l. 20 dicembre 1995, n. 534, estende ulteriormente l'applicabilità delle disposizioni ai giudizi pendenti alla data del 30 aprile 1995.

[2] La Corte cost., con sentenza 14 novembre 2007, n. 379 ha dichiarato non fondata, nei sensi di cui in motivazione, una questione di legittimità costituzionale del presente articolo e dell'art. 703 sollevata in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost..

[3] Le parole « sessanta giorni » sono state sostituite, in sede di conversione, alle parole « trenta giorni » dall'art. 23 lett. e-bis) n. 2 d.l. 14 marzo 2005, n. 35, conv. con modif., in l. 14 maggio 2005, n. 80, con effetto dal 1° marzo 2006. Ai sensi dell'art. 2 3-quinquies d.l. n. 35, cit., le modifiche si applicano ai procedimenti instaurati successivamente al 1° marzo 2006.

[4] Le parole « sessanta giorni » sono state sostituite, in sede di conversione, alle parole « trenta giorni » dall'art. 23 lett. e-bis) n. 2 d.l. 14 marzo 2005, n. 35, conv. con modif., in l. 14 maggio 2005, n. 80, con effetto dal 1° marzo 2006. Ai sensi dell'art. 2 3-quinquies d.l. n. 35, cit., le modifiche si applicano ai procedimenti instaurati successivamente al 1° marzo 2006.

[5] Comma inserito dall'art. 312d.lg. 31 marzo 1998, n. 80, e successivamente così modificato dall'art. 1918d.lg. 29 ottobre 1998, n. 387.

[6] Comma aggiunto dall'art. 1 l. 5 gennaio 1994, n. 25.

[7] Comma aggiunto, in sede di conversione, dall'art. 2 3 lett. e-bis) n. 2 d.l. n. 35, cit., con effetto dal 1° marzo 2006. Ai sensi dell'art. 2 3-quinquies d.l. n. 35, cit., le modifiche si applicano ai procedimenti instaurati successivamente al 1° marzo 2006 e successivamente dall'art. 3, comma 47,  lett. b), numero 1), del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149  che aggiunto le parole: «e ai provvedimenti di sospensione dell'efficacia delle delibere assembleari adottati ai sensi dell'articolo 1137, quarto comma, del codice civile» (ai sensi dell'art. 52 d.lgs. n. 149 /2022 , il presente decreto legislativo entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale). Per la disciplina transitoria v. art. 35 d.lgs. n. 149/2022, come da ultimo modificato dall'art. 1, comma 380, lett. a), l. 29 dicembre 2022, n.197,  che prevede che : "1. Le disposizioni del presente decreto, salvo che non sia diversamente disposto, hanno effetto a decorrere dal 28 febbraio 2023 e si applicano ai procedimenti instaurati successivamente a tale data. Ai procedimenti pendenti alla data del 28 febbraio 2023 si applicano le disposizioni anteriormente vigenti.".

[8] Comma inserito dall'art. 50, comma 2, lett. a), della l. 18 giugno 2009, n. 69 (legge di riforma 2009), con effetto a decorrere dal 4 luglio 2009, per i giudizi instaurati dopo la data della sua entrata in vigore.

[9] Comma aggiunto, in sede di conversione, dall'art. 2 3 lett. e-bis) n. 2 d.l. n. 35, cit., con effetto dal 1° marzo 2006. Ai sensi dell'art. 2 3-quinquies d.l. n. 35, cit., le modifiche si applicano ai procedimenti instaurati successivamente al 1° marzo 2006. Successivamente il presente comma è stato modificato dall'art. 50, comma 1, lett. b), della l. 18 giugno 2009, n. 69, (legge di riforma 2009), con effetto a decorrere dal 4 luglio 2009, per i giudizi instaurati dopo la data della sua entrata in vigore, che ha sostituito le parole: "primo comma" con le parole: "sesto comma"  e successivamente dall'art. 3, comma 47,  lett. b), numero 2), del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149  che aggiunto le parole: « né dei provvedimenti cautelari di sospensione dell'efficacia delle deliberazioni assunte da qualsiasi organo di associazioni, fondazioni o società,» (ai sensi dell'art. 52 d.lgs. n. 149 /2022 , il presente decreto legislativo entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale). Per la disciplina transitoria v. art. 35 d.lgs. n. 149/2022, come da ultimo modificato dall'art. 1, comma 380, lett. a), l. 29 dicembre 2022, n.197,  che prevede che : "1. Le disposizioni del presente decreto, salvo che non sia diversamente disposto, hanno effetto a decorrere dal 28 febbraio 2023 e si applicano ai procedimenti instaurati successivamente a tale data. Ai procedimenti pendenti alla data del 28 febbraio 2023 si applicano le disposizioni anteriormente vigenti.". Da ultimo, le parole «, comitati, consorzi» sono state inserite dopo le parole «associazioni, fondazioni» dall'art. 3, comma 8,  lett. l), d.lgs. 31 ottobre 2024, n. 164.  Ai sensi dell’art. 7, comma 1, del medesimo decreto, le disposizioni di cui al d.lgs. n. 164/2024 cit. si applicano ai procedimenti introdotti successivamente al 28 febbraio 2023.   

[10] Comma aggiunto, in sede di conversione, dall'art. 2 3 lett. e-bis) n. 2 d.l. n. 35, cit., con effetto dal 1° marzo 2006. Ai sensi dell'art. 2 3-quinquies d.l. n. 35, cit., le modifiche si applicano ai procedimenti instaurati successivamente al 1° marzo 2006.

Inquadramento

La norma dell'art. 669-octies c.p.c. è stata oggetto di una dirompente riforma, ad opera della l. n. 80/2005, la parte fondamentale della quale si sostanzia nell'aggiunta a quelli esistenti di altri tre ulteriori commi, ai sensi dei quali viene codificata, quanto al regime delle misure cautelari emanate ante causam, la distinzione tra provvedimenti di carattere anticipatorio e di natura conservativa, e con il riconoscimento ai primi di una innovativa autonomia rispetto al giudizio di merito.

Si ricorda che la distinzione tra provvedimenti cautelari anticipatori e conservativi non era nuova al dibattito giuridico ma si presentava come esclusivamente dottrinale, riconducendosi all'insegnamento di Calamandrei per il quale i provvedimenti cautelari anticipatori sono quelli che anticipano in tutto o in parte il contenuto della decisione definitiva, a fronte di un pericolo di intempestività della tutela di merito, mentre quelli conservativi sono volti a preservare, mediante diversi strumenti, una situazione di fatto, onde evitare l'infruttuosità della stessa tutela di merito.

Mentre il modello uniforme delineato dagli artt. 669-bis ss. c.p.c. aveva introdotto una concezione rigidamente strutturale del nesso di strumentalità, sancendo sempre e comunque l'onere, per la parte beneficiaria di un provvedimento cautelare emanato ante litem, di instaurare il giudizio di merito entro un determinato termine pena l'inefficacia dello stesso provvedimento, questo onere è stato invece eliminato, dall'odierno art. 669-octies, comma 6, c.p.c., per le misure cautelari anticipatorie le quali, pur restando sempre possibile l'instaurazione del giudizio di merito su iniziativa della parte interessata, sono idonee a restare efficaci di per sé, indipendentemente da una tale circostanza, realizzando così un risultato immediato per la tutela dei diritti, senza peraltro essere idonee a raggiungere la stabilità propria del giudicato sostanziale. Ne deriva, in relazione a tali misure, un allentamento del nesso di strumentalità tra tutela cautelare e tutela di merito; in sostanza il nesso rimane esistente in una prospettiva esclusivamente funzionale, diretta cioè ad assicurare determinati diritti dai pregiudizi ai quali sono esposti nelle more del tempo necessario per la tutela giurisdizionale degli stessi, anche in mancanza di un raccordo con un successivo o pendente giudizio di merito.

Secondo una parte della dottrina, l'impatto della riforma sulle misure cautelari di natura anticipatoria è stato più incisivo perché ne avrebbe fatto venir meno la caratteristica della strumentalità rendendole una forma generalizzata, rapida e sommaria di tutela giurisdizionale dei diritti alternativa al processo di cognizione ordinario (Monteleone 2006, 455), anche se non idonea ad essere invocata in altri processi o a sfociare nel giudicato (Cipriani 2006, 26; contra, Proto Pisani 2007, 82; diversa è la posizione di Consolo 304, secondo il quale, proprio dall'inattitudine al giudicato dei provvedimenti cautelari anticipatori, può dedursi che il proprium della tutela cautelare è costituito dalla provvisorietà, da intendersi quale permanente possibilità di superamento della statuizione interinale). Secondo altra parte della dottrina la riforma ha inciso anche sulla provvisorietà delle misure cautelari anticipatorie che sarebbe ora assimilabile a quella propria dei provvedimenti anticipatori non cautelari finché pende il giudizio di merito, perché essi sarebbero caratterizzati da una stabilità limitata che perdura sino all'eventuale revoca o sostituzione ad opera dell'eventuale pronuncia di merito (Balena, 330; Corea, 1260).

Nonostante la divergenza delle posizioni affermate dai primi commentatori della riforma in relazione agli effetti della stessa sui caratteri dei provvedimenti cautelari per i quali trova applicazione, la ratio della riforma è facilmente rapportabile ad una volontà legislativa tesa alla deflazione del contenzioso giudiziario, nonché ad una più celere realizzazione degli interessi delle parti, a prescindere da un accertamento riconducibile al giudicato sostanziale.

Per i provvedimenti cautelari di natura conservativa pronunciati ante causam, l'art. 669-octies, comma 1, c.p.c. continua a sancire l'onere di instaurare il giudizio di merito entro un determinato termine, peraltro elevato dalla l. n. 80/2005, da trenta giorni a sessanta giorni.

Ai sensi dell'art. 669-octies, comma 6, c.p.c. novellato, le disposizioni dettate dai commi precedenti della norma, nonché l'art. 669-novies, comma 1, c.p.c., non trovano applicazione con riguardo ai provvedimenti d'urgenza e agli altri provvedimenti cautelari idonei ad anticipare gli effetti della sentenza di merito, nonché ai provvedimenti emanati a seguito di denuncia di nuova opera e di danno temuto, ferma restando in capo a ciascuna parte la facoltà di iniziare il giudizio di merito. Il primo fondamentale problema interpretativo che si pone, e che incide direttamente sull'àmbito applicativo del regime della c.d. strumentalità attenuata, è quello dell'individuazione della nozione di “provvedimento anticipatorio”. Sul punto esistono diverse opinioni dottrinali che saranno oggetto di esame nel corso del presente commento. Basti per il momento anticipare che, secondo una teoria più restrittiva, avrebbero carattere anticipatorio soltanto i provvedimenti che producono effetti parzialmente o totalmente uguali a quelli che deriverebbero dalla pronuncia di accoglimento della relativa azione di merito. Secondo altri, invece, corrisponderebbe meglio alla ratio posta alla base della riforma del 2005, ritenere anticipatori anche quei provvedimenti che, pur non avendo un contenuto almeno in parte identico o simile a quello che potrebbe avere la pronuncia di accoglimento della domanda di merito, consentano di ottenere un risultato pratico equivalente a quello conseguibile con la sentenza. Vi sono, poi, opinioni che, pur nell'àmbito di una interpretazione estensiva, ritengono opportuno confrontare non già il contenuto o gli effetti del provvedimento cautelare con la pronuncia di merito, bensì il risultato pratico conseguibile con l'attuazione ex art. 669-duodecies c.p.c. del provvedimento cautelare e con l'esecuzione forzata della sentenza di merito.

L'insussistenza dell'onere di instaurazione del giudizio di merito entro un termine perentorio, a fronte della concessione di una misura cautelare di natura anticipatoria, lascia in ogni caso aperta la possibilità per la parte interessata di dare inizio allo stesso. Nessun termine è a tal fine espressamente previsto dalla norma in esame ma di fatto, l'instaurazione della causa di merito può essere impedita dall'operare dei c.d. stabilizzatori del diritto sostanziale, posto che, ad esempio, nell'ipotesi di concessione di un provvedimento cautelare anticipatorio la sospensione del termine di prescrizione ex art. 2945, comma 2, c.p.c., opera soltanto fino alla conclusione del procedimento cautelare.

 L'omessa rilevazione dell'incompetenza, derogabile o inderogabile, da parte del giudice o l'omessa proposizione della relativa eccezione ad opera delle parti nel procedimento cautelare ante causam, non determina il definitivo consolidamento della competenza in capo all'ufficio adito anche ai fini del successivo giudizio di merito, non operando nel giudizio cautelare il regime delle preclsuioni relativo alle eccezioni e al rilievo d'ufficio dell'incompetenza, stabilito dall'art. 38 c.p.c., in quanto applicabile esclusivamente al giudizio a cognizione piena. Ne deriva che il giudizio proposto ai sensi degli artt. 669-octies e novies c.p.c., all'esito della fase cautelare ante causam, può essere validamente instaurato davanti al giudice competente, ancorché diverso da quello della cautela (Corte App. L'Aquila, 18 gennaio 2022).

È peraltro discussa in dottrina la natura dell'azione di merito eventualmente instaurata dalla parte interessata, ed in specie da quella soccombente nel procedimento cautelare, a seguito della concessione della misura cautelare a strumentalità attenuata. La risoluzione di questo problema è molto importante da un punto di vista pratico perché dalla stessa derivano conseguenze importanti quanto al riparto dell'onere della prova nel giudizio instaurato con la proposizione della medesima.

Secondo alcuni, la domanda proposta dalla parte soccombente in sede cautelare costituirebbe una domanda di accertamento negativo, con la conseguenza che ricadrebbe sull'attore l'onere di dimostrare l'inesistenza, modificazione o estinzione dei fatti costitutivi della pretesa fatta valere dalla parte beneficiaria della misura cautelare (Consolo 2003, 1520). Per altri la domanda di merito proposta da colui contro il quale è emanato il provvedimento cautelare sarebbe invece una provocatio ad probandum a seguito della proposizione della quale si realizzerebbe una situazione analoga a quella che si ha con la proposizione dell'opposizione a decreto ingiuntivo, nella quale, in tema di onere della prova, sussiste una formale inversione dei ruoli delle parti, con la conseguenza che, a tal fine, l'opponente è sostanzialmente equiparabile al convenuto (Luiso, Sassani, 223; Saletti 2006, 43; Balena, 343; Comastri, 191, con alcune distinzioni).

Ai sensi dell'art. 669-octies, comma 7, c.p.c., l'estinzione del giudizio di merito non determina l'inefficacia del provvedimento cautelare, anche quando sia stato emanato in corso di causa. Nel silenzio del legislatore, che si è limitato a chiarire che l'estinzione del giudizio di merito eventualmente instaurato non determina l'inefficacia della misura cautelare c.d. a strumentalità attenuata, si è posto il problema dell'estensione di una tale regola anche alle altre ipotesi di chiusura in rito della causa di merito instaurata a seguito della concessione del provvedimento anticipatorio.

L'orientamento prevalente è nel senso della necessità di verificare, a tal fine, se il motivo della chiusura in rito è specifico del processo di merito o è comune anche a quello cautelare, concernendo i presupposti processuali dello stesso; in quest'ultimo caso, gli effetti della misura cautelare emanata ante causam, non potranno sopravvivere alla pronuncia di rito conclusiva del giudizio di merito (Luiso, Sassani, 223; Romano, 1953; Guaglione, 488). Per una diversa posizione, pure autorevolmente affermata in dottrina, la misura cautelare anticipatoria sarebbe in ogni caso insensibile alla sentenza che decide in rito la causa di merito eventualmente instaurata, salva la possibilità per la parte interessata di dedurre il vizio di rito che avrebbe potuto incidere sulla concessione della stessa in sede di istanza di revoca o modifica ex art. 669-decies c.p.c. (Saletti 2006, 38).

Il nuovo regime della strumentalità e la ratio dell'intervento legislativo

Come già visto, la norma dell'art. 669-octies c.p.c. è stata riformata in modo incisivo dalla l. n. 80/2005 che ha sostanzialmente recepito la distinzione, prima soltanto dottrinaria, tra provvedimenti cautelari conservativi e provvedimenti cautelari anticipatori degli effetti della sentenza di merito. Rinviando per una più approfondita disamina della differenza tra le due tipologie di provvedimento cautelare al prossimo paragrafo, basti qui ricordare che, secondo l'insegnamento di Calamandrei, sono provvedimenti anticipatori – o innovativi – quelli che anticipano in tutto o in parte il contenuto della futura pronuncia di merito per ovviare al pericolo c.d. da tardività, mentre sono provvedimenti conservativi quelli che conservano, appunto, lo status quo, in attesa della pronuncia di merito, ovviando così al pericolo da infruttuosità.

La riforma in questione era stata in realtà anticipata, con riferimento al processo societario, dal d.lgs. n. 5/2003. Essa ha modificato il regime della strumentalità che era stato dal legislatore modellato sul canone della strumentalità forte per tutti i provvedimenti cautelari, nel senso che per ogni provvedimento cautelare, senza distinzione tra provvedimenti anticipatori e provvedimenti conservativi, era necessario instaurare il procedimento di merito in un termine perentorio previsto dalla norma stessa o fissato dal giudice. La riforma ha, invece, inciso sul modello così delineato della strumentalità dei provvedimenti anticipatori, abbandonando per essi il regime della strumentalità rigida e sostituendolo con un regime di strumentalità debole, o attenuata che dir si voglia, sicché per le misure cautelari anticipatorie non è necessario instaurare a pena di inefficacia del provvedimento il giudizio di merito nel termine perentorio fissato dalla legge o dal giudice, mentre la misura è idonea a conservare la sua efficacia ex se indipendentemente dallo svolgimento del successivo giudizio di merito. Essa, in tal modo, può ovviare al pericolo da tardività della tutela anticipando contenuto ed effetti della futura, ipotetica, sentenza di merito, senza però mai attingere alla incontrovertibilità propria del giudicato o della preclusione pro iudicato ma restando idonea a disciplinare tale assetto di interessi in modo provvisorio, fintantoché non venga sostituita da una pronuncia di merito che, in ipotesi, potrebbe non essere mai emanata. Una qualche stabilità può conseguire al provvedimento cautelare anticipatorio non già da un punto di vista formale o processuale ma, piuttosto, da un punto di vista sostanziale, laddove, non iniziato da alcuna delle parti il giudizio di merito, intervengano a modificare, estinguere, impedire l'esercizio del diritto soggettivo tutelato, i cosiddetti stabilizzatori del diritto sostanziale, ossia la prescrizione, la decadenza, l'usucapione e così via.

La ratio posta a base della riforma del 2005 è senz'altro univocamente diretta alla deflazione del contenzioso giurisdizionale dato che rispetto ad ogni provvedimento cautelare anticipatorio concesso non vi è più la necessità di instaurare a pena di decadenza il giudizio di merito; questa mera eventualità nella prosecuzione del giudizio in sede di cognizione fa sì che gli organi giurisdizionali siano meno intasati da processi di merito diretti soltanto a garantire la conservazione di quegli effetti anticipati dal provvedimento cautelare. Ciò perché gli interessi di parte sono assicurati comunque dal provvedimento cautelare, indipendentemente dalla necessità di un accertamento idoneo al passaggio in giudicato (Sassani, Tiscini 2003, 60; Celeste, 347).

Il modello di riferimento è stato quello proprio del sistema processuale francese nelle varie forme di référé, quello stesso modello che nel 1940 aveva portato all'introduzione del provvedimento d'urgenza ex art. 700 c.p.c. Quel modello francese è, però, da quegli anni profondamente mutato ed ha assunto diverse conformazioni; si va dal classico référé, per l'appunto concesso in via d'urgenza (référé en cas d'urgence) che viene concesso in ogni caso di urgenza, al référé provision e al référé injonction per i quali l'art. 809, comma 2, n.c.p.c. consente la pronuncia nei casi in cui l'esistenza dell'obbligazione non è seriamente contestabile, senza che sia necessaria l'urgenza. Altre ipotesi sono quelle del référé de remise en état che consente la concessione del provvedimento anche laddove vi sia una seria contestazione e, infine, il référé preventif che può essere concesso laddove vi sia un motivo legittimo di conservare o stabilire prima del processo la prova di fatti da cui potrà dipendere la soluzione di una controversia (per riferimenti alla dottrina d'oltralpe sul référé, Panzarola 2013, 789; Jommi, 111; Silvestri, 22). In particolare, quanto al procedimento, la disciplina italiana della strumentalità debole o attenuata dei provvedimenti cautelari anticipatori avvicina il nostro modello interno a quello francese. Infatti, nel modello d'oltralpe l'ordinanza di référé può essere concessa sia in corso di causa che prima dell'inizio della causa di merito senza alcun nesso di strumentalità, ciò perché nel sistema processuale francese non è richiesta a pena di inefficacia alcuna instaurazione del giudizio di merito né vi si ravvisano norme che prescrivono la prosecuzione dello stesso. Con la conseguenza che l'ordinanza di référé conserva la sua efficacia senza limiti temporali, pur se mantiene, alla stregua del nostro provvedimento cautelare anticipatorio, una provvisorietà tale da renderla sempre revocabile e modificabile. Così come accade adesso per le nostre misure cautelari anticipatorie, anche nello schema francese del référé il giudizio di merito può comunque seguire alla concessione dell'ordinanza in questione ma normalmente le parti accettano la disciplina del loro assetto di interessi basata sul référé e non passano nella fase del c.d. giudizio au fond. Ne deriva che la misura cautelare, pur se provvisoria di diritto, diventa definitiva di fatto, così come accade, adesso, per i nostri provvedimenti anticipatori laddove non venga instaurato o proseguito il giudizio di merito (Panzarola 2013, 791; sul giudizio di merito seguente alla concessione della misura nel sistema francese, v. Tiscini 2009, 253).

Nella dottrina dominante, si sposa la tesi secondo cui – come già visto – rispetto ai provvedimenti cautelari anticipatori, vi sia stato un allentamento del legame di strumentalità, trasformata dal legislatore della riforma da strumentalità forte a strumentalità debole, sicché il provvedimento cautelare rimane in vita indipendentemente dall'instaurazione del giudizio di merito in un'ottica «funzionale» al fine di preservare i diritti tutelati in sede cautelare dal rischio di tardività della tutela giurisdizionale, pur se manchi del tutto un legame con un ipotetico successivo giudizio di cognizione (Proto Pisani 2009, 599; Saletti 1991, 13; Merlin 1996, 428; Balena 2006, 329; Comastri, 168; Dalmotto 2006, 1242; Corea 2006, 1264; Celeste, 348). Non può, però, dimenticarsi che, secondo altra parte della dottrina, lo svincolo dal giudizio di merito è stato per i provvedimenti cautelari anticipatori ancora più dirompente, sicché ormai può ritenersi che tali provvedimenti costituiscano un modello generalizzato e sommario di tutela giurisdizionale dei diritti, addirittura alternativo rispetto al modello offerto dal tradizionale processo ordinario di cognizione, pur se non idoneo al passaggio in giudicato o comunque a disciplinare l'assetto di interessi inter partes in modo definitivo e permanente (Monteleone, 455; Cipriani 2006, 26). A parte la posizione di chi ritiene che l'inidoneità al giudicato propria dei provvedimenti cautelari anticipatori, valga a distinguerli dalla tutela sommaria in generale come quella impartita con il procedimento monitorio; sicché la caratteristica principale dei provvedimenti cautelari in questione resta quella della provvisorietà intesa nel senso che l'assetto di interessi delineato dalla misura cautelare è sempre e comunque superabile dalla pronuncia di merito senza che siano necessari mutamenti della situazione fattuale (Consolo 2019, I, 304). Se l'elemento della provvisorietà è considerato da questa dottrina come il fattore discriminante della tutela cautelare anticipatoria rispetto a quella sommaria in generale, secondo altra dottrina la riforma effettuata nel 2005 avrebbe modificato anche il regime della provvisorietà dei provvedimenti cautelari anticipatori con la conseguenza che questo elemento strutturale sarebbe del tutto analogo a quello dei provvedimenti di tipo anticipatorio non cautelare finché è pendente il giudizio di merito, perché più che di provvisorietà dovrebbe parlarsi di una forma di stabilità tale da garantire al provvedimento cautelare la sopravvivenza fino a che non intervenga la pronuncia di merito (Balena 2006, 330; Corea 2006, 1260).

Secondo la giurisprudenza di legittimità, la nuova struttura dei provvedimenti cautelari anticipatori (nella specie trattavasi di un provvedimento d'urgenza ex art. 700 c.p.c.), disegnata dall'art. 669-octies, comma 6, c.p.c. a seguito della riforma del 2005, prevede, in luogo della previgente strumentalità necessaria, una nozione attenuata della strumentalità del giudizio cautelare ex art. 700 c.p.c. rispetto al giudizio di merito, la cui instaurazione da obbligatoria entro un termine legalmente previsto diviene facoltativa. Pur se è vero che la misura cautelare anticipatoria non seguita dal giudizio di merito non acquisisce la autorità propria del giudicato con la conseguente impossibilità di essere invocata in altri processi ai sensi dell'art. 669-octies, comma 9, c.p.c., così pure non è più previsto un termine legislativamente predeterminato per iniziare il giudizio di merito, ormai facoltativo, sicché si è parlato di «provvisorietà permanente». Per questi motivi la giurisprudenza di legittimità ha ritenuto più volte non proponibile il ricorso straordinario in cassazioneexart. 111 Cost. contro un provvedimento d'urgenza, anche con riferimento al sistema processuale delineatosi in tema di procedimenti cautelari dopo la riforma del 2005, rilevando che i provvedimenti cautelari hanno ancora natura instabile e inidoneità al giudicato (Cass. S.U., n. 27187/2007; Cass. I, n. 896/2015; Cass. VI, n.3124/2011). Con la conseguenza che il rimedio cautelare anticipatorio presenta nell'attuale sistema processuale le caratteristiche di una vera e propria «azione», in quanto potenzialmente idoneo a soddisfare attraverso l'intervento giudiziario l'interesse sostanziale della parte, anche in via definitiva (Cass. IV, n.10840/2016).

Rispetto alla strumentalità delle misure cautelari in generale oltreché dei provvedimenti anticipatori, e dei provvedimenti di urgenza in particolare, è necessario ricordare che in nessun caso, con nessun provvedimento, nemmeno con quelli d'urgenza ex art. 700 c.p.c. è possibile ottenere in via provvisoria e cautelare più di quanto è possibile ottenere alla fine del giudizio di merito con sentenza definitive.

È, però, vero che, mentre per le misure conservative questa affermazione è senz'altro veritiera, essa potrebbe creare problemi interpretativi con riferimento specifico alle misure cautelari anticipatorie, come proprio i provvedimenti d'urgenza, la cui caratteristica è come è noto quella di anticipare gli effetti della sentenza definitive di merito e, pertanto, di consentire la soddisfazione in via immediate del diritto che si sarebbe far potuto valere in sede di merito (o che eventualmente si farà valere in quella sede). Resta inteso che i provvedimenti cautelari anticipatori in genere e i provvedimenti d'urgenza nello specifico sono vere e proprie misure cautelari e, di conseguenza, ne mantengono tutte le caratteristiche, prima fra tutte l'idoneità ad assicurare le successive tutele di cognizione ed esecutiva.

La dottrina non è uniformemente d'accordo con quest'ultima affermazione. Si è rilevato, infatti, in contrasto con quanto ricordato supra che i provvedimenti cautelari anticipatori non possono essere più ritenuti strumentali rispetto al giudizio di merito e non si può parlare, pertanto, di strumentalità neppure in forma attenuate o debole. Secondo questa opinione la tutela cautelare anticipatoria ormai avrebbe assunto la veste di una tutela sommaria anche se non idonea ad un risultato definitivo (Cipriani 2006, 23). Ugualmente si è detto che i provvedimenti cautelari anticipatori perseguono la finalità di neutralizzazione di un periculum che non è più indispensabilmente collegato alla durata del giudizio ordinario di cognizione e lo fanno per il tramite di una tutela sommaria che non ha più i caratteri della strumentalità rispetto al detto giudizio (Corea 2006, 1269).

L'opinione contraria non convince, visto che ancor oggi, sia pur nella forma attenuata prevista dall'art. 669-octies c.p.c., comunque i provvedimenti cautelari anticipatori continuano ad avere un nesso di strumentalità rispetto al giudizio di merito, anche se eventuale; e pertanto la strumentalità è tuttora da ritenersi presente né può condividersi la totale equiparazione alla tutela sommaria non cautelare.

La dottrina ha, infatti, affermato che se così non fosse ciò sarebbe stato evidenziato anche da un punto di vista sistematico e terminologico visto che non è passata la proposta di qualificare la regola dell'art. 669-octies, comma 6, c.p.c., in termini di «provvisorietà attenuata» (avanzata da Balena 2009, 274; v., altresì, Panzarola, Giordano, 78). Ancor oggi, ricorda la dottrina, le misure cautelari in genere e i provvedimenti d'urgenza in particolare conservano la provvisorietà degli effetti che impedisce quel prejudice au principal previsto, in rapporto al référé, dall'art. 809 del codice di procedura civile napoleonico del 1806. Inoltre, il nostro art. 669-octies, comma 9, c.p.c. stabilisce che l'autorità del provvedimento cautelare non è invocabile in un diverso processo, al pari di quanto previsto dall'art. 488, comma 1, nouveau cod. proc. civ. secondo cui «l'ordonnance de référé n'a pas, au principal, l'autorité de la chose jugée». Ne deriva che anche nel nostro ordinamento il provvedimento cautelare è, come il référé, una decision provisoire (Panzarola, Giordano, 78).

 L'inciso finale dell'art. 669-octies,  comma 5, c.p.c., non significa che il giudizio di merito che ciascuna parte può instaurare costituisce la “fase” di cognizione del procedimento cautelare o che esso sia la prosecuzione della fase cautelare; né significa che tale pretesa “fase” sia altro rispetto ad un comune giudizio di cognizione instaurato a prescindere da una previa iniziativa in sede cautelare. Nel sistema attuale il procedimento cautelare non è neppure eventualmente bifasico ma necessariamente monofasico, sia emessa o non, in prima battuta o in esito al reclamo cautelare, la misura domandata. Per tale motivo l'inciso finale dell'art. 669-octies, comma 5, c.p.c. stabilisce che ciascuna parte può “iniziare” non “proseguire” il giudizio di merito, segno che quest'ultimo non è una ulteriore fase del procedimento cautelare ma è un giudizio che, proprio perché eventuale e non necessitato per la conservazione della misura, non differisce funzionalmente e strutturalmente da un comune processo dichiarativo (Cass. II, n. 18535/2022).

Il modello francese del référé fondamento del nuovo regime della strumentalità

Abbiamo già potuto esaminare nelle pagine che precedono che i provvedimenti anticipatori e, in particolare, quelli d'urgenza sono costruiti sulla falsariga dei référés dell'esperienza francese. In particolare, quando si introdussero i provvedimenti d'urgenza in Italia nel codice di procedura del 1940 ciò fu fatto proprio in ossequio al modello francese del référé. Tuttavia – come anticipato – quel modello originario nel tempo ha assunto diverse vesti fino a mutare la sua consistenza originaria. Si è detto, infatti, che ad oggi in Francia non esiste più un solo référé ma diversi tipi di référé, disciplinati sia nel codice di procedura civile francese, sia in altri codici o leggi speciali francesi. Pertanto, attualmente sotto la denominazione di « référé » vanno accomunate tutte le tipologie di questo provvedimento che posseggano alcuni tratti tipici meglio individuati alla luce dell'art. 484 del codice di procedura civile francese secondo cui l'ordonnance de référé est une décision provisoire rendue à la demande d'une partie, l'autre présente ou appelée, dans les cas la loi confere à un juge qui n'est pas saisi du principal, le pouvoir d'ordonner immédiatement les mesures nécessaires. Ciò significa che l'ordinanza di référé è una decisione provvisoria resa su richiesta di parte, previa instaurazione del contraddittorio, nel caso in cui l'ordinamento attribuisca ad un giudice diverso da quello del merito, il potere di ordinare immediatamente le misure necessarie.

Pertanto, in questa disposizione sono contenuti i presupposti propri di ogni ordinanza di référé ossia la necessità della preventiva instaurazione del contraddittorio, la rapidità e semplicità del procedimento; l'efficacia provvisoria dell'ordinanza. Invece, l'urgenza non è più un presupposto della misura in questione perché non è più richiesta rispetto ad alcune forme speciali di référé che sono comunque collegate alle esigenze di rapidità, con la conseguenza che si è parlato di un declino del presupposto dell'urgenza nella concessione delle misure di protezione provvisorie. La dottrina ha, pertanto, evidenziato come in un sistema peculiare come quello francese che non disciplina la provvisoria esecutività della sentenza resa in primo grado, il successo delle ordinanze di référé si spiega in funzione della loro semplicità e velocità e della possibilità di conseguire rapidamente un provvedimento che sia immediatamente esecutivo (sul tema, con ampi riferimenti, v. Bonato 2012, 35).

Il quadro che ne deriva è – come anticipato – assolutamente vario, visto che accanto al classico référé, chiamato référé en cas d'urgence che consente la concessione del provvedimento provvisorio dans tous les cas d'urgence (art. 808 codice di procedura civile francese), l'art. 809, comma 2, dello stesso codice permette la pronuncia del provvedimento dans les cas l'existence de l'obligation n'est pas sérieusement contestable, senza alcun riferimento all'urgenza. L'urgenza è, invece, presente nel référé disciplinato dall'art. 809, comma 1, cioè nel référé de remise en état, ovvero nel référé en cas de dommage imminent ou de trouble manifestement illicite, che permette la concessione del provvedimento même en presence d'une contestation sérieuse. Per quanto concerne il référé preventif (art. 145 nuovo codice di procedura civile francese), infine, la pronunzia del provvedimento è consentita se esiste un motivo legittimo di conservare o di stabilire prima del processo la prova di fatti da cui potrà dipendere la soluzione di una controversia.

In conclusione, adesso il presupposto della urgenza non rappresenta più il presupposto proprio e tipico del référé, previsto in maniera esplicita solo nel modello classico dell'art. 808 nuovo codice di procedura civile francese. L'erosione del presupposto dell'urgenza fa sì che accanto a procedimenti in cui si riscontra ancora una natura prettamente e propriamente cautelare, vi sono altri procedimenti in cui non vi è alcun riferimento al periculum in mora con la conseguenza che essi rivestono i caratteri della sommarietà se non più quelli della natura cautelare e comunque hanno la funzione pratica di rappresentare una idonea alternativa al giudizio a cognizione piena: la sommarietà che è loro propria egualmente permette di impartire una tutela celere dei diritti delle parti, nella prospettiva della economia dei giudizi e della prevenzione dell'abuso del diritto di difesa da parte del convenuto (Panzarola, Giordano, 72).

Pertanto, il modello peculiare dei référés è stato una notevole fonte di ispirazione per il nostro legislatore, sia rispetto alla strumentalità «attenuata» dei provvedimenti cautelari anticipatori, sia rispetto all'introduzione del procedimento sommario societario disciplinato dall'art. 19 del d.lgs. n. 5/2003.

Si è suggestivamente osservato che il modello francese del référé ha «sedotto» il legislatore italiano (Bonato 2012, 40). Ciò non soltanto in previsione della riforma sul rito societario del 2003 (Cecchella 2003, 1130) e della riforma sulla strumentalità attenuta del 2005 (su cui per tutti Chiarloni 1990, 501), ma addirittura in precedenza alcuni progetti di legge, ossia il progetto Liebman del 1981 e il progetto della Commissione Tarzia del 1986 (riferimenti in Bonato 2012, 39). Si è ricordato che, a seguito della riforma del 2005 sulla strumentalità dei provvedimenti cautelari anticipatori in Italia, si è talmente avvicinato il modello francese del référé al regime del nesso di strumentalità tra cautelari anticipatori e tutela di merito nell'ordinamento italiano che si è parlato in Francia di una vera e propria importazione del référé francese in Italia (riferimenti sulla dottrina francese in Bonato 2012, 40).

I caratteri comuni del modello francese del référé e del provvedimento cautelare anticipatorio in Italia sono da un lato la durata non predefinita di entrambe le misure, idonee a restare in vita anche sine die, laddove non si instauri il processo di merito e le parti si accontentino della regolamentazione provvisoria data dal provvedimento in questione, ma anche l'analogia nella disciplina dell'art. 669-octies, comma 9 c.p.c. secondo cui l'autorità del provvedimento cautelare non è invocabile in un diverso processo (su cui torneremo nel prosieguo del presente commento) e dell'art. 488, comma 1, del codice di procedura civile francese a norma del quale l'ordinanza di référé non ha au principal l'autorità della cosa giudicata (Recchioni 2005, 50; Bonato 2012, 35). Non solo le analogie si rinvengono anche con riguardo alla disciplina della revoca e della modifica dei provvedimenti francesi e italiani in confronto, dato che i provvedimenti provvisori in parola avrebbero una forma di stabilità, pur se non definitiva e comunque parziale, che accosterebbe l'autorità di cosa giudicata au provisoire al giudicato cautelare dei nostri provvedimenti (in termini, v. Bonato 2012, 40). Con riserva di approfondimento della nozione di «giudicato cautelare» nel commento subartt. 669-septies, 669-novies e 669-decies c.p.c. del presente Commentario, si ricorda che il giudicato cautelare è nozione che rispecchia una certa stabilità del provvedimento cautelare rispetto al potere di revocarlo e modificarlo, nonché rispetto alle limitazioni poste alla riproposizione della domanda cautelare che sia stata in prima battuta rigettata (Tiscini 2009, 165), mentre, secondo altri (Recchioni 2005, 52), il giudicato cautelare andrebbe ancorato ai limiti che il legislatore pone alla riproposizione della domanda cautelare e di cui già ci siamo occupati nel commento subart. 669-septies c.p.c. (cui si rinvia).

In ogni caso, l'allentamento della strumentalità nell'uno come nell'altro modello di riferimento, non ha eliminato del tutto il nesso con il giudizio di merito. Se è vero, infatti, che nel nostro ordinamento comunque il provvedimento cautelare anticipatorio, pur essendo dotato di un certo grado di stabilità «provvisoria» è suscettibile di essere travolto dall'emanazione della sentenza di merito, anche nel sistema francese si afferma che il provvedimento provvisorio di référé si collega al provvedimento definitivo secondo un rapporto temporale di successione e, comunque il modello di tutela provvisoria offerto dal référé è in un rapporto di dipendenza rispetto alla tutela offerta dal processo di merito.

Tanto è vero ciò che la dottrina che si è occupata del tema ha ricordato come nel sistema francese l'indipendenza dell'ordinanza di référé dal giudizio di merito successivo non è generalizzata perché vi sono anche ipotesi, nella prassi applicativa, in cui i giudici hanno collegato l'efficacia del provvedimento in questione alla instaurazione del giudizio di merito, ma vi sono anche ipotesi di legge in cui l'emanazione del référé non può essere scissa da un vincolo di strumentalità forte con il processo di merito. E addirittura, si è ricordato, una parte della dottrina ha proposto di collegare sempre l'efficacia della misura di référé al giudizio di merito in linea con il modello italiano della strumentalità dei provvedimenti conservativi, al fine di evitare che l'ordinanza in questione si trasformi in uno strumento addirittura irrevocabile di risoluzione delle controversie tra i privati (questo e altri riferimenti in Bonato 2012, 35).

Può far sorridere il pensiero che il nostro modello di riferimento nell'introduzione del sistema della strumentalità attenuata dei provvedimenti cautelari anticipatori è stato quello francese, indipendente dal processo di merito, e che nello stesso tempo in Francia si è proposto di collegare indissolubilmente tale provvedimento alla tutela di merito alla stregua del nostro modello di strumentalità forte, ma questo è la riprova che entrambi i sistemi presentano dei margini di criticabilità e che se, da un lato, la strumentalità attenuata o funzionale serve a limitare i danni derivanti dalla proliferazione del contenzioso anche quando sarebbe possibile evitarlo ma crea il problema della tendenziale – di fatto – stabilità del provvedimento in assenza della idoneità al passaggio in giudicato, dall'altro lato, la strumentalità forte presenta il contraltare di obbligare sempre e comunque alla instaurazione del processo di merito, ma impedisce questa stabilizzazione, sia pur fattuale, degli effetti della misura cautelare concessa ante causam.

Peraltro, per quanto riguarda nello specifico il prototipo dei nostri provvedimenti cautelari anticipatori, ossia il provvedimento d'urgenza, un'analogia con il référé francese è senz'altro possibile, almeno nelle ipotesi in cui il modello francese è ancora subordinato alla verifica positiva dell'esistenza del pericolo. Tuttavia, anche quando ciò si verifica, vi sono ancora evidenti diversità tra i due tipi di provvedimento perché a differenza dal nostro modello processuale dell'art. 700 c.p.c. che configura il periculum in mora nella forma del pregiudizio imminente ed irreparabile, invece, il référé non individua a priori la nozione del periculum che viene invece demandato alla verifica concreta del giudice della cautela alla stregua di una questione di fatto. Con la conseguenza che in Francia la determinazione del requisito dell'urgenza, nelle ipotesi in cui è richiesto, viene demandato integralmente alla valutazione sovrana del giudice, nella totale assenza di un parametro normativo che elevi un criterio a canone di riferimento per la determinazione del presupposto in questione (sul modello del référé nella dottrina italiana: Silvestri, passim; Jommi, passim).

Oltre che con riferimento all'aspetto contenutistico, il confronto tra il modello francese e quello italiano può essere condotto anche dal punto di vista procedimentale, per ricordare ancora una volta che il nuovo regime della strumentalità attenuata previsto a partire dal 2005 dall'art. 669-octies, comma 6, c.p.c., sotto diversi aspetti, come prima evidenziato, accomuna il référé francese al nostro provvedimento d'urgenza. D'altro canto, l'ordinanza di référé, oltre che in corso di causa, può essere richiesta anche prima della causa di merito, ma tra il provvedimento sommario richiesto e ottenuto prima della causa di merito e il giudizio di merito non intercorre alcun rapporto di strumentalità forte. Nel modello francese e nel relativo codice di procedura civile, non si rinviene, infatti, alcuna norma che renda necessitata l'instaurazione ovvero la prosecuzione del giudizio di merito dopo l'ottenimento dell'ordinanza di référé né si possono ravvisare norme che, al pari del nostro art. 669-novies c.p.c., comminino l'inefficacia della misura sommaria e provvisoria per l'omissione della instaurazione del giudizio di merito. Si perdoni l'espressione ma in sostanza l'ordinanza di référé è idonea a conservare la sua provvisorietà stabilmente, senza che i due aspetti entrino tra loro in contrasto dato che essa è e rimane una misura solo provvisoria, inidonea al giudicato e sempre modificabile e revocabile. Pertanto, al pari della situazione che adesso si è creata con l'introduzione nel nostro ordinamento della strumentalità attenuata o debole, senz'altro alla concessione dell'ordinanza di référé può seguire il processo di merito (secondo la tecnica della c.d. passerella, su cui si veda la dottrina citata nel paragrafo precedente), ma le parti possono anche accontentarsi della regolamentazione data dal référé in via provvisoria senza mai instaurare il giudizio di merito (analogamente a quanto accade ad oggi con i nostri provvedimenti cautelari anticipatori). È evidente, pertanto, come sia stato il modello francese il vero e fondamentale riferimento di quello italiano; dopo svariati tentativi (abbiamo ricordato i progetti di riforma che a partire dal 1981 hanno più volte tentato di introdurre nel nostro sistema processuale una tecnica procedimentale analoga a quella del référé), il legislatore, prima nel 2003 e poi nel 2005 ha sostanzialmente stabilizzato – sia pur sempre in modo provvisorio – gli effetti del provvedimento cautelare anticipatorio in genere e del provvedimento d'urgenza tra questi, eliminando il tipico nesso di strumentalità tra giudizio cautelare e giudizio di merito che fino a quel momento era stato un aspetto tipico e differenziale del nostro procedimento cautelare rispetto al modello francese.

Segue. I modelli francese e italiano a confronto con il sistema brasiliano

Abbiamo già avuto modo di discorrere del sistema italiano della strumentalità, sia quella originaria concepita come «forte» per tutti i provvedimenti cautelari, sia quella posteriore alla nota riforma del 2005, costruita in modo differenziato a seconda del tipo di provvedimento cautelare concesso, se anticipatorio ovvero conservativo. Abbiamo avuto, altresì, modo di accennare al modello di riferimento, ossia il référé del diritto francese che è strutturato come un provvedimento sommario idoneo a produrre effetti sine die, indipendentemente dalla instaurazione del processo di merito, secondo un sistema di strumentalità debole sul quale il nostro legislatore ha modellato la strumentalità attenuata dei provvedimenti cautelari anticipatori.

Di recente, la dottrina italiana ha approfondito il tema dei rapporti tra il sistema italiano, quello francese e quello brasiliano (che, come è ben noto, spesso mutua i propri istituti dal nostro ordinamento processuale cui è vicino per spirito e per continuità). I risultati di questa analisi comparativa sono senz'altro utili anche ai fini della nostra indagine sul sistema della strumentalità dei procedimenti e provvedimenti cautelari anticipatori italiani e, pertanto, sarà opportuno fare un sia pur breve cenno alla recente introduzione della tutela provvisoria nel sistema brasiliano (per ogni riferimento, fin da ora, si rinvia a Bonato 2015, passim).

Nel codice di procedura civile brasiliano del 2015, è stata introdotta una disciplina generale relativa alla tutela provisoria regolata dagli artt. 294-299; questa tutela provisoria è a sua volta suddivisa in due categorie, la tutela di urgenza e la tutela di evidenza. In particolare, alla tutela di urgenza sono dedicati gli artt. 300-310 del codice del 2015 ed essa ha come presupposti il fumus boni iuris, ossia gli elementi che evidenzino la probabilità dell'esistenza del diritto e il periculum in mora ossia il pericolo di danno o comunque l'esistenza di un rischio per il risultato utile del processo di merito. Anche nel sistema brasiliano, come nel nostro, la tutela di urgenza si divide in tutela anticipatoria e conservativa ed entrambe hanno come presupposti i già ricordati requisiti del fumus boni iuris e del periculum in mora. Con la tutela anticipatoria si mira, anche nel sistema brasiliano, a neutralizzare il pericolo da tardività tramite un provvedimento, detto appunto, anticipatorio, che mira ad anticipare gli effetti della successiva tutela di merito. Con la tutela conservativa, invece, si cerca di neutralizzare il pericolo della infruttuosità e si emana un provvedimento cautelare, detto appunto, conservativo, che ha l'effetto di garantire alla parte il risultato utile derivante dal successivo processo di merito.

La tutela di evidenza, come categoria della tutela provisoria, ha la caratteristica di prescindere dall'elemento dell'urgenza ed è ispirata al modello derivante dal référé provision del sistema francese.

Si è osservato che, a grandi linee, le caratteristiche della tutela di urgenza brasiliana coincidono con quelle della tutela cautelare italiana e, in particolare, che la tutela anticipatoria d'urgenza del sistema brasiliano coincide con quella anticipatoria italiana e che quella cautelare di urgenza brasiliana corrisponde a quella conservativa italiana a strumentalità forte (Bonato 2015, 5, cui si rinvia anche per l'esame delle caratteristiche specifiche delle due forme di tutela nel sistema brasiliano e per approfondimenti sulla tutela di evidenza).

Per quanto concerne, in particolare, la strumentalità dei provvedimenti cautelari la dottrina che ha approfondito il sistema brasiliano ha ricordato come in quel modello si respinga l'autonomia del procedimento cautelare e si introduca, invece, un «processo totalmente sincretico» ossia un processo che include la tutela provisoria, prosegue con la tutela di merito (definitiva) e si conclude con la tutela esecutiva. Esso, quindi, si struttura come un processo-procedimento unitario che si articola in più fasi, o sottofasi, processuali; nella prima fase si domanda la tutela provisoria; nella seconda fase, a cognizione piena, si decide sulla domanda di merito; nella terza fase si esegue la decisione adottata nella seconda fase a cognizione piena ed esauriente.

Si è ricordato come, nonostante queste peculiarità del processo sincretico, comunque anche il sistema brasiliano riconosce una tutela di urgenza antecedente alla domanda di merito e una tutela incidentale; il ricorrente infatti può chiedere anche, in via antecedente, l'emanazione di un provvedimento anticipatorio che si può concludere con un provvedimento positivo idoneo alla stabilizzazione (art. 304). Se il convenuto non impugna tale provvedimento esso, infatti, si stabilizza, conseguentemente, il richiedente non è onerato dall'obbligo di domandare la tutela di merito. La possibilità di chiedere in via antecedente la tutela di urgenza è riconosciuta anche per i provvedimenti conservativi ma, in tal caso, date le peculiarità di questi provvedimenti destinati a garantire il rischio della infruttuosità, la misura non è idonea alla stabilizzazione come quella anticipatoria ed è strutturalmente collegata (come nel nostro sistema) alla domanda di merito che è per il richiedente un onere richiesto a pena di inefficacia della concessa misura conservativa (v., amplius, Bonato 2015, 6).

Ai nostri fini, è opportuno dar cenno al tema della strumentalità rispetto alla tutela d'urgenza anticipatoria richiesta in via antecedente. Essa – come già accennato – in mancanza della impugnazione del convenuto si stabilizza e pertanto conserva la sua efficacia sine die. Tuttavia, il provvedimento urgente in questione non assume il requisito della incontrovertibilità (salvo in alcune ipotesi) perché alle parti è consentito di proporre una azione di revisione, che deve essere richiesta allo stesso giudice che ha emanato il provvedimento cautelare anticipatorio.

Il sistema brasiliano è evidentemente ispirato al modello italiano della strumentalità attenuata e al modello francese del référé. Si è creato, pertanto, un modello sostanzialmente unitario nei tre sistemi, francese, italiano e brasiliano, ossia si è costruito un provvedimento, a volte cautelare, a volte solo sommario, con contenuto anticipatorio, basato sull'urgenza ove cautelare, munito di effetti idonei a prodursi anche oltre il processo di merito e nonostante la sua estinzione, ma conservando in capo alle parti la possibilità di proseguire per il merito con la proposizione di un'azione a cognizione piena. Seppur vengono utilizzate espressioni diverse nei tre ordinamenti esse sostanzialmente si equivalgono e indicano lo stesso meccanismo processuale: in Francia si parla del sistema provvisorio indipendente del référé, in Italia dell'efficacia del provvedimento cautelare a strumentalità attenuata e in Brasile della stabilizzazione della tutela anticipatoria in via urgente (ulteriori riferimenti in Bonato 2015, 7, cui si rinvia anche per l'esame della tecnica di stabilizzazione del provvedimento cautelare anticipatorio disciplinata dall'art. 304 del codice brasiliano).

Autonomia del processo cautelare quale base per la modifica del regime di strumentalità

L'introduzione di un regime differenziato della strumentalità, distinta – come visto – tra strumentalità attenuata o debole e strumentalità forte a seconda che il provvedimento concesso sia anticipatorio o conservativo, induce a riprendere, sia pur brevemente, il dibattito dottrinale relativo alla autonomia del processo cautelare rispetto al giudizio di merito e, pertanto, al processo dichiarativo.

Per una prima posizione, il processo cautelare è un processo autonomo rispetto al processo di cognizione diretto ad accertare il diritto di cui si chiede la tutela provvisoria e urgente nel processo cautelare; questa tutela cautelare avrebbe fini propri e diversi rispetto alla tutela dichiarativa (Carnelutti 1956, 43), tanto che potrebbe essere collocata all'interno delle «azioni» (Chiovenda 1980, 225). Per una seconda tesi, invece, i procedimenti cautelari non sono mai autonomi rispetto al processo di merito ma godono rispetto ad esso di una natura sempre strumentale; essi sono suggestivamente definiti come «strumento dello strumento» e si caratterizzano proprio per il loro nesso con la futura sentenza di merito, differenziandosi dai provvedimenti sommari che sono invece diretti a porre rimedio al rischio che la tutela definitiva si ottenga solo dopo un processo di cognizione che potrebbe essere molto lungo (Calamandrei 1936, 21). Per un'ulteriore tesi, la tutela cautelare non avrebbe una propria autonomia finalistica dato che questa sarebbe caratteristica propria del processo di cognizione e del processo esecutivo (Allorio 1936, 18). Va, però, segnalato che anche coloro che sposano la tesi dell'autonomia del processo cautelare, comunque non negano che la principale caratteristica dei provvedimenti cautelari sia la strumentalità (Calamandrei 1936, 21; Consolo 2019, 290; i termini del dibattito dottrinale sono efficacemente riportati in Recchioni 2005, 28). Tale strumentalità viene configurata come una direzione necessaria, quantomeno funzionale, dei provvedimenti cautelari rispetto alla pronuncia di una sentenza di merito, definitiva, di talché tali provvedimenti pongono rimedio al rischio derivante dalla eventuale infruttuosità o tardività della tutela cognitiva (Calamandrei 1936, 22, su cui anche oltre nel testo). Questa strumentalità starebbe pertanto a significare che i provvedimenti cautelari sono subordinati, quanto alla funzione espletata, rispetto alla garanzia della effettività del processo di cognizione ordinaria, ossia permettono di tutelare il diritto vantato dal richiedente il beneficio cautelare di modo che per lo stesso il risultato finale, ottenuto all'esito del processo di merito, sia esattamente lo stesso che avrebbe ottenuto all'esito di un adempimento spontaneo dell'obbligato (Fazzalari 1991, 4; Proto Pisani 1991, 1; Comoglio, Ferri, 965; Merlin 1996, 393; Panzarola, Giordano, 55). Per una diversa tesi, tuttavia, i provvedimenti cautelari non sarebbero strumentali rispetto al processo di merito, perché la tutela cautelare, così come tutte le forme di tutela giurisdizionale dei diritti, sarebbero dirette a tutelare le situazioni giuridiche sostanziali dall'illecito. La loro natura peculiare, caratterizzata dalla provvisorietà della tutela cautelare risiederebbe soltanto nel fatto che tale tutela va impartita a fini di protezione della situazione sostanziale, anche quando vi sia il dubbio sulla esistenza del diritto stesso (Calvosa, 140).

Se, quindi, quasi tutte le tesi ricordate concordano nel ritenere che caratteristica essenziale dei provvedimenti cautelari sia la strumentalità rispetto al giudizio di merito, è difficile non ritenere che tale strumentalità ne sia una componente imprescindibile. Quale sia, poi, il confine della strumentalità, ossia se essa debba essere caratterizzata da un rigido nesso con il processo di merito e la tutela definitiva, ovvero possa essere caratterizzata da una strumentalità meno forte e addirittura eventuale, non necessaria, è un'altra questione che dipende e si interseca con il dibattito sulla strumentalità come componente essenziale del provvedimento cautelare. Se si sposa la tesi secondo cui la strumentalità forte è una componente indispensabile della tutela cautelare allora i provvedimenti cautelari sono soltanto quelli caratterizzati da una strumentalità forte, o strutturale rispetto al giudizio di merito. Se, invece, si aderisce alla tesi secondo cui la strumentalità dei provvedimenti cautelari va intesa in un senso solo funzionale allora nell'àmbito dei provvedimenti cautelari possiamo ricomprendere tutti quei provvedimenti, provvisori, che siano caratterizzati dall'attitudine a preservare le situazioni giuridiche soggettive dal rischio che potrebbero correre nell'attesa del tempo per l'espletamento del processo ordinario di cognizione e ciò indipendentemente dall'esistenza di un nesso strutturale con il successivo – o eventuale – giudizio di merito.

Secondo una tesi dottrinale, la differenza tra i provvedimenti cautelari ed i provvedimenti sommari risiederebbe nel fatto che le misure cautelari sono sempre provvisorie mentre i provvedimenti sommari sono comunque caratterizzati da una idoneità ad acquisire efficacia di cosa giudicata (Merlin 1996, 428). Secondo altro autore, bisognerebbe considerare la strumentalità strutturale come un nesso tra la domanda cautelare e il suo contenuto e quello che sarà il contenuto del futuro processo di merito, posto che il giudice adìto per la cautela ha sempre comunque l'obbligo di valutare la presumibile fondatezza della pretesa vantata dal richiedente la misura, sia pur nei limiti della verifica del fumus boni iuris (Consolo 1998, 137; Recchioni 2005, 40).

La differenza tra provvedimenti cautelari anticipatori e provvedimenti cautelari conservativi

La tutela cautelare è un elemento essenziale della tutela giurisdizionale; essa serve – com'è noto – a consentire alla parte la possibilità di ottenere, all'esito di un procedimento sommario e veloce, dei provvedimenti che garantiscano, in modi diversi, la tutela giurisdizionale che si avrà all'esito del giudizio di merito. I presupposti della tutela cautelare sono il fumus boni iuris e il periculum in mora: il fumus boni iuris, ossia la probabile fondatezza della pretesa, serve a che il giudice constati ad un primo esame la possibile esistenza del diritto vantato da colui che chiede il provvedimento, mentre il periculum in mora serve a verificare che effettivamente il ritardo nella tutela possa pregiudicare il diritto di cui l'istante è titolare.

Da un punto di vista strutturale, nei provvedimenti cautelari si ravvisano due fondamentali caratteristiche, la provvisorietà del provvedimento cautelare che permane in vita solo fino a che non intervenga una sentenza di merito che accerti – o neghi – l'esistenza del diritto sostanziale e la strumentalità ossia il fatto che i provvedimenti cautelari non nascono per rimanere in vita indipendentemente da un successivo giudizio di merito ma sono a questo giudizio intimamente collegati perché assicurano la fruttuosità di un provvedimento definitivo.

Tra le due caratteristiche fondamentali da un punto di vista strutturale dei provvedimenti cautelari, vi è un rapporto di genus a species; in particolare, si è evidenziato che i provvedimenti cautelari poiché posti al servizio del provvedimento finale non possono che essere provvisori e, pertanto, la strumentalità è proprio la ragione della loro provvisorietà (Caponi 2008, 2).

La strumentalità può essere intesa in due sensi diversi, a seconda che emerga un approccio di tipo funzionale o un approccio di tipo strutturale rispetto al collegamento che esiste tra il provvedimento cautelare e il giudizio di merito. Tradizionalmente, il nostro ordinamento intendeva tale collegamento in senso strutturale e, quindi, forte, per tutti i provvedimenti cautelari con la conseguenza che laddove il giudizio di merito non fosse iniziato o, dopo il suo inizio si estinguesse, il provvedimento, qualunque esso fosse, perdeva la sua efficacia.

La disciplina del nesso di strumentalità inizia a cambiare a partire dalla legge delega sui processi in materia di diritto societario e di intermediazione finanziaria, e in materia bancaria e creditizia, ossia la l. n. 366/2001, il cui art. 12, comma 2, lett. c), stabilisce che si possa prevedere la mera facoltatività della successiva instaurazione della causa di merito dopo l'emanazione di un provvedimento emesso all'esito di un procedimento sommario cautelare, con la conseguente definitività degli effetti prodotti da detti provvedimenti, ancorché gli stessi non acquistino efficacia di giudicato in altri eventuali giudizi promossi per finalità diverse. Questa indicazione della legge delega ha trovato poi applicazione con l'art. 23, comma 1, del d.lgs. n. 5/2003, poi abrogato dall'art. 54, comma 5, della l. n. 69/2009, che prevedeva che, nelle controversie di cui al presente decreto, ai provvedimenti d'urgenza e agli altri provvedimenti cautelari idonei ad anticipare gli effetti della decisione di merito non si applicasse l'art. 669-octies c.p.c. ed essi non perdessero la loro efficacia se la causa non venisse iniziata.

Questa modifica è solo la prima, visto che successivamente, con la l. n. 80/2005, si è approvata una corrispondente modifica del codice di procedura civile, sfociata poi con il recepimento della distinzione tra procedimenti cautelari conservativi e anticipatori e con il mutamento del nesso di strumentalità di questi ultimi con il giudizio di merito. Come già anticipato, pertanto, per le misure cautelari conservative continua ad applicarsi il regime della strumentalità a carattere strutturale, o forte, sicché per conservare l'efficacia del provvedimento cautelare ottenuto ante causam è necessario che colui che ha ottenuto la misura dia inizio al giudizio di merito e lo prosegua entro il termine previsto dall'art. 669-octies, comma 1, c.p.c., pena l'inefficacia del provvedimento cautelare ai sensi dell'art. 669-novies c.p.c. Per le misure cautelari anticipatorie, invece, l'istante, che ha ottenuto il provvedimento, non è più onerato dell'instaurazione e coltivazione del successivo giudizio di merito al fine di evitare l'inefficacia del provvedimento. Per questi provvedimenti si parla, quindi, di un regime di strumentalità a carattere funzionale, o debole; se, infatti, non è più necessario instaurare tempestivamente e coltivare il giudizio di merito per garantire la conservazione del provvedimento cautelare, dall'altro lato è comunque necessario per il richiedente la misura specificare la domanda di merito per poter determinare sia il giudice competente che il fumus boni iuris della cautela; e, comunque, il provvedimento non può conservare la sua efficacia laddove in sede di giudizio di merito sia negata l'esistenza del diritto a cautela del quale la misura era stata concessa.

Venuto meno il nesso di strumentalità forte per i provvedimenti cautelari anticipatori, si è detto che il rapporto tra queste misure e il giudizio di merito è analogo a quello tipico dei provvedimenti sommari semplificati esecutivi, anche se i provvedimenti cautelari si distinguono dai provvedimenti sommari semplificati esecutivi perché necessitano per la loro concessione del periculum in mora e comunque sono legati, ossia «posti al servizio» del provvedimento finale (Caponi 2008, 3; Proto Pisani 2003, 1).

Per quanto concerne la distinzione tra provvedimenti cautelari anticipatori e provvedimenti cautelari conservativi, ai fini della differenziazione nel corrispondente nesso di strumentalità, il punto di partenza necessario è la norma dell'art. 669-octies c.p.c. nella sua versione novellata. Tale disposizione normativa, lungi dall'elencare i provvedimenti cautelari rientranti nell'una o nell'altra tipologia, afferma, al comma 6, che le disposizioni previste dal comma 1 – ossia relative alla necessità dell'instaurazione del giudizio di merito entro un termine perentorio – e dell'art. 669-novies, comma 1, c.p.c., non si applicano ai provvedimenti di urgenza ex art. 700 c.p.c. e «agli altri provvedimenti cautelari idonei ad anticipare gli effetti della sentenza di merito» previsti dal codice civile o da leggi speciali, nonché alle denunzie di nuova opera o danno temuto.

Storicamente, la distinzione tra provvedimenti cautelari conservativi e anticipatori si fa risalire a Calamandrei. Egli distingueva i provvedimenti cautelari conservativi dai provvedimenti cautelari innovativi e, corrispondentemente, tra la prevenzione conservativa, che aveva l'effetto di comporre in modo provvisorio la controversia tramite il mantenimento dello status quo e che si radicherebbe nella necessità di impedire la tutela autonoma del privato, e la prevenzione innovativa che, invece, si fonda sulla modificazione dello status quo e la cui ratio risiede nella necessità di impedire che l'esito del giudizio di merito sia danneggiato laddove non si anticipi la modificazione della situazione giuridica (Calamandrei 1936, 206). Nell'àmbito dei provvedimenti cautelari conservativi, rientra di diritto il sequestro conservativo, in quanto diretto a conservare lo stato di fatto esistente al fine di consentire che il provvedimento finale reso all'esito del giudizio di merito possa produrre i suoi effetti e, quindi, si dice che essi sono diretti ad impedire il pericolo derivante dalla infruttuosità o, visto dall'altro lato della medaglia, sono diretti a preservare la fruttuosità della sentenza di merito e della relativa esecuzione. I provvedimenti cautelari anticipatori, invece, o innovativi, secondo la nota definizione calamandreiana, anticipano gli effetti della tutela di merito nelle more della sua realizzazione e, pertanto, tendono a scongiurare il pericolo della tardività della sentenza di merito rispetto alla tutela del diritto (anche la distinzione tra pericolo derivante dalla infruttuosità e pericolo derivante dalla tardività risale a Calamandrei 1936, 206). In particolare, secondo questo autore, rientrano nel gruppo dei provvedimenti cautelari innovativi le denunce di nuova opera e danno temuto, i provvedimenti temporanei e urgenti nell'interesse dei coniugi e della prole nella separazione personale, l'assegno provvisionale di alimenti, il sequestro di cose che il debitore offre per liberarsi: «il provvedimento cautelare consiste proprio in una decisione anticipata e provvisoria del merito, destinata a durare fino a che a questo regolamento provvisorio del rapporto controverso non si sovrapporrà il regolamento stabilmente conseguibile attraverso il più lento processo ordinario» (così Calamandrei 1936, 38). Nell'interpretazione risalente all'illustre autore, i provvedimenti innovativi possono anticipare provvisoriamente alcuni effetti che saranno poi prodotti dalla sentenza di merito e, quindi, dal provvedimento reso all'esito del giudizio, sicché in tali effetti «anticipati» dal provvedimento potrebbero rientrare anche quelli costitutivi, ove compresi nella anticipazione in senso ampio voluta da Calamandrei (ulteriori riflessioni sull'anticipazione degli effetti costitutivi alla luce della recente giurisprudenza della Cassazione, Corea 2020, 407). Nel pensiero di Calamandrei, i provvedimenti c.d. anticipatori comprendono sia i provvedimenti che regolamentano una situazione caratterizzata dalla provvisorietà, sia i provvedimenti che anticipano il contenuto della sentenza o del provvedimento finale. Ciò perché – si è rilevato – nel tempo in cui Calamandrei si è occupato del tema della tutela cautelare i provvedimenti anticipatori del contenuto del provvedimento finale non avevano ancora trovato una sistematizzazione teorica e concettuale. Secondo l'illustre Autore in questi provvedimenti rientrano quelli «con cui si decide interinalmente, in attesa che attraverso il processo ordinario si perfezioni la decisione definitiva, un rapporto controverso, dalla indecisione del quale, se questa perdurasse fino all'emanazione del provvedimento definitivo, potrebbero derivare a una delle parti irreparabili danni» (così Calamandrei 1936, 38). All'interno di questo gruppo, l'autore inserisce le denunce di nuova opera e danno temuto, i provvedimenti temporanei e urgenti nell'interesse dei coniugi e dei figli nella separazione personale, l'assegno alimentare corrisposto in provvisionale, il sequestro liberatorio, finendo per definire il provvedimento cautelare proprio una «decisione anticipata e provvisoria del merito» che ha la caratteristica di rimanere provvisoriamente in vita regolamentando il rapporto controverso e che non si sovrappone all'assetto di interessi che si avrà in modo stabile con la pronuncia resa all'esito del processo ordinario (Calamandrei 1936, 58; sul pensiero di Calamandrei e sul superamento della teoria della dottrina tedesca secondo cui l'anticipatorietà del provvedimento cautelare è un elemento eccezionale della tutela cautelare, v. Caponi 2008, 7).

La dottrina oscilla tra coloro che reputano necessaria una lettura estensiva della norma e affermano che la natura anticipatoria del provvedimento cautelare debba essere individuata sulla base dell'attitudine della misura a realizzare un risultato utile equivalente nella sostanza a quello che si potrà ottenere con la sentenza conclusiva del giudizio di merito (Saletti 2003, 223; Salvaneschi 2004, 327; Recchioni 2005, 76; Dalmotto 2007, 1247; Menchini 2006, 82; Caponi 2006, 69; Borghesi 69; Damiani, 195). Dall'altro lato, invece, vi è chi ritiene necessario interpretare la norma in senso restrittivo ritenendo che siano soggetti alla strumentalità attenuata o debole solo i provvedimenti che rivestano una natura anticipatoria in senso «strutturale» degli effetti della futura pronuncia sul merito (Consolo 2003, 1518; Arieta, De Santis, 386; Fabiani, 1185; Balena 2019, 315). Le divergenti interpretazioni su quali provvedimenti cautelari possano definirsi «anticipatori» con la conseguenza dell'assoggettamento alla disciplina della strumentalità debole, si riverbera anche sulla determinazione degli effetti delle pronunce di merito suscettibili di tale anticipazione. Da un lato, concordano tutti sulla possibilità di anticipare gli effetti delle sentenze di condanna, ma una tale condivisione di idee non si riscontra rispetto alla possibilità di anticipare gli effetti dichiarativi o costitutivi, in particolare per incompatibilità con la tesi secondo cui esse non possono esplicare efficacia prima che siano passate in giudicato (Consolo 2019, 232). Si è criticamente rilevato come l'obiezione non sia insuperabile e come in linea con la dottrina che già in tempi risalenti aveva espresso parere favorevole alla assicurazione provvisoria degli effetti della sentenza costitutiva rispetto alle facoltà insite nel diritto da costituire, sicché a tali fini deve ritenersi possibile una anticipazione provvisoria, pur se parziale, degli effetti della sentenza (Andrioli 1964, 259; Tommaseo 1983, 262; Cerino Canova, 122; Denti 1989, 130; Dini, Mammone, 387; da ultimo, Corea 2020, 411). Il dibattito sulla questione è molto vivido. Rispetto alla possibilità di anticipare gli effetti dichiarativi, in senso positivo si è espressa parte della dottrina (Andrioli 1964, 259; Calvosa 1967, 780; Montesano 1955, 66; Arieta 1985, 144; Proto Pisani 2003, 50; Merlin 1992, 945; contra, invece, Luiso 2021, 224; Balena 2019, 298). Si è condivisibilmente affermato che il nostro legislatore, con la riforma del 2005, si è posto nella stessa ottica della semplificazione che induce a comprendere all'interno della specie dei provvedimenti anticipatori quei provvedimenti che disciplinano una situazione provvisoria, e lo ha fatto nel momento ha posto la regola della strumentalità debole, sia per i provvedimenti d'urgenza, senza distinzione nel loro contenuto, sia per gli altri provvedimenti cautelari idonei ad anticipare gli effetti della decisione di merito (Caponi 2008, 8). In questo senso, nella nozione di provvedimenti anticipatori per i quali vale la regola della strumentalità attenuata, rientrerebbero tutte le misure cautelari che regolamentano in via provvisoria alcuni aspetti dell'assetto di interessi controverso, e che anticipano qualche aspetto della regolamentazione finale ovvero pongono una disciplina di mezzo, o intermedia che dir si voglia (che l'autore individua nell'imposizione di ordini, divieti, limitazioni di poteri, sospensione degli effetti: v. Caponi 2008, 8). A conferma della tesi della semplificazione – che, senz'altro, merita di essere condivisa – l'autore pone come esempio l a disciplina delle società a responsabilità limitata, nella quale il socio che propone l'azione di responsabilità contro gli amministratori può chiedere in sede cautelare, laddove vi siano gravi irregolarità di gestione, la revoca degli amministratori, ai sensi dell'art. 2476, comma 3, c.c.; tale misura cautelare, pur non anticipando il contenuto della sentenza di condanna al risarcimento dei danni, ed anzi atteggiando un contenuto piuttosto conservativo, rientra senza dubbio nel novero dei provvedimenti anticipatori o che regolamentano provvisoriamente l'assetto di interessi inter partes (in termini Caponi 2008, 9).

In linea con la dottrina da ultimo citata, si ritiene che il nostro legislatore della riforma, nell'attenuare il nesso di strumentalità tra tutela cautelare e tutela di merito per i provvedimenti anticipatori abbia sposato una nozione allargata degli stessi, sicché nel novero di tali provvedimenti rientrano tutti quei provvedimenti cautelari che non abbiano la funzione di conservare la situazione di fatto o di diritto in funzione della fruttuosità della esecuzione forzata successiva alla tutela di merito. Sicché, aldilà dei sequestri, tutti gli altri provvedimenti cautelari vanno riconosciuti rientrare in questa categoria e, conseguentemente, fruire della disciplina dell'allentamento del nesso di strumentalità e della idoneità a regolamentare provvisoriamente e anticipatamente gli effetti della tutela di merito senza necessità che le parti debbano iniziare tempestivamente il giudizio di merito stesso.

Con riferimento al dibattito sulla possibilità di anticipare gli effetti costitutivi delle sentenze di merito, da ultimo la Corte di Cassazione ha affermato che la tutela cautelare dei diritti fatti valere in un giudizio di condanna o di accertamento costitutivo, si può concretare in una misura di salvaguardia dell'effetto esecutivo che ne può derivare, volto a rendere possibile la soggezione del debitore alla sanzione esecutiva, ma tale tutela cautelare non può generare l'effetto dichiarativo o la costituzione giudiziale di un diritto, effetto che certamente può derivare solo dalla sentenza, potendo risolversi nell'autorizzazione giudiziale a compiere atti di salvaguardia del diritto costituendo, che possono derivare da condanne accessorie alla statuizione di mero accertamento o a quella costitutiva di un determinato effetto giuridico. Nella specie, la Suprema Corte ha statuito che la pronuncia cautelare, nell'ipotesi della delibera di esclusione del socio, se considerata come avente natura anticipatoria, anticiperebbe proprio l'effetto inscindibilmente collegato con la pronuncia costitutiva di annullamento, consistente nel ripristino della posizione di socio, che rimarrebbe definitiva in caso di mancata instaurazione del giudizio di merito o di sua estinzione, laddove tale effetto può essere prodotto solo ed esclusivamente dal passaggio in giudicato della sentenza costitutiva di annullamento della delibera di esclusione, potendo piuttosto la decisione cautelare assicurare soltanto un ripristino provvisorio del rapporto societario (Cass. I, n.24939/2019). La Corte, in tale pronuncia, muove dalla premessa che sia pacifico in dottrina e in giurisprudenza che l'annullamento della deliberazione di esclusione di un socio in esito ad una opposizione proposta a norma dell'art. 2287, comma 2, c.c., operi ex tunc, in quanto avente natura costitutiva, ossia ricostituisce dalla pronuncia lo status di socio ma con effetto retroattivo quanto alle conseguenze perché comporta la reintegrazione del socio stesso nella sua posizione anteriore e nella pienezza dei diritti che da essa derivano (Cass. I, n.6829/2014; Cass. I, n.16150/2000). Muovendo dalla premessa che la sentenza costitutiva non è suscettibile di produrre effetti prima del passaggio in giudicato (su cui, da ultimo, Cass. IV, n.17311/2016 e Cass. II, n.10605/2016). I giudici di legittimità segnalano come, aderendo all'interpretazione estensiva prima ricordata secondo cui hanno natura anticipatoria i provvedimenti che attribuiscono sùbito anche solo il risultato pratico del provvedimento finale, la strumentalità attenuata finisce per diventare la regola generale, valevole per la maggior parte dei provvedimenti cautelari, previsti dal codice di procedura civile, dal codice civile e dalle leggi speciali, mentre la strumentalità piena, propria dei provvedimenti conservativi, si ridurrebbe ad una eccezione, caratterizzando sostanzialmente solo le misure cautelari riconducibili allo schema dei sequestri. Ma, secondo la Corte, la natura costitutiva della sentenza impedisce un'anticipazione degli effetti suscettibile di divenire definitiva per effetto della disposizione dell'art. 669-octies, commi 6 e 8, c.p.c. Ciò perché l'estinzione del giudizio non può provocare la produzione in via definitiva dell'effetto costitutivo che dipende dal giudicato, perché il provvedimento cautelare sospensivo della efficacia della delibera di esclusione del socio di società in accomandita semplice non può avere contenuto anticipatorio della sentenza costitutiva che, sola, accerta i presupposti che legittimano l'esclusione del socio dalla compagine societaria, producendo, in caso di accoglimento, la produzione dell'effetto modificativo dell'assetto societario, perché esplica una efficacia interinale ontologicamente coincidente con il contenuto della sentenza e non riveste i caratteri di una pronuncia accessoria diretta a salvaguardare gli effetti esecutivi che derivano dall'emananda sentenza costitutiva.

In senso critico rispetto alla sentenza che – come visto – accoglie la nozione restrittiva della anticipatorietà affermando che si possono anticipare soltanto gli effetti che siano «autonomi» rispetto all'effetto costitutivo ma non gli effetti che ne siano una diretta conseguenza; la sospensione della delibera assembleare non potrebbe in tal senso essere ritenuta anticipatoria perché ha un contenuto che coincide con quello della sentenza finale ma che, proprio per tale motivo si è qualificato come anticipatorio. Si è osservato condivisibilmente che questo orientamento si pone in contrasto con lo spirito stesso della riforma della strumentalità dei provvedimenti cautelari. Ciò perché ritenere che la sospensione della delibera o un provvedimento di urgenza non possano anticipare l'effetto costitutivo dell'annullamento della delibera medesima o del contratto che sia oggetto della tutela anticipatoria, è senz'altro vero se si considerano gli effetti di modificazione giuridica che possono essere prodotti soltanto una volta che il provvedimento di merito sia passato in giudicato. Ma il provvedimento cautelare può anticipare effetti molto vicini a quelli della sentenza che le parti potranno accettare accontentandosi del risultato ottenuto. Con la conseguenza che l'affermazione contenuta nella sentenza prima citata si potrebbe condividere soltanto intendendo la natura anticipatoria e la stessa anticipazione degli effetti in modo estremamente restrittivo, ossia intendendo il provvedimento anticipatorio come quello che produce prima gli stessi identici effetti di modificazione giuridica che saranno/sarebbero prodotti dalla sentenza di merito (v., amplius, Corea 2021, 407).

L'onere di instaurazione del giudizio di merito per i provvedimenti cautelari conservativi

A norma dell'art. 669-octies, comma 1, c.p.c., non modificato dalla riforma del 2005, «l'ordinanza di accoglimento, ove la domanda sia stata proposta prima dell'inizio della causa di merito, deve fissare un termine perentorio non superiore a sessanta giorni per l'inizio del giudizio di merito, salva l'applicazione dell'ultimo comma dell'articolo 669-novies». Il comma 2 a sua volta prevede che, «in mancanza di fissazione del termine da parte del giudice, la causa di merito deve essere iniziata entro il termine perentorio di sessanta giorni», e, infine, il comma 3 stabilisce che «il termine decorre dalla pronuncia dell'ordinanza se avvenuta in udienza o altrimenti dalla sua comunicazione».

Pertanto, la norma in commento, al suo comma 1, per i provvedimenti cautelari conservativi concessi prima dell'inizio della causa di merito, continua a porre la regola dell'onere, per la parte interessata a conservare l'efficacia del provvedimento, di instaurare il giudizio di merito entro un termine perentorio. Questo termine, originariamente di 30 giorni, è stato proprio dalla l. n. 80/2005, elevato a sessanta giorni. La norma specifica, come visto, che laddove il giudice ometta di fissare il termine, la causa di merito deve essere comunque iniziata entro il termine perentorio di sessanta giorni.

Secondo la dottrina, il raddoppio del termine per la proposizione del giudizio di merito rispetto al provvedimento cautelare conservativo concesso ante causam, è da salutare con favore, visto che il precedente era oggettivamente troppo esiguo, potendo esso anche essere ridotto dal giudice. Il rischio di un termine talmente breve pena l'inefficacia della misura cautelare era senz'altro quello di dover instaurare il giudizio di merito troppo velocemente, con il rischio senz'altro concreto di incorrere in vizi dell'atto di citazione. Questi ultimi, come noto, se riferiti agli elementi della vocatio in ius possono essere sanati con efficacia retroattiva e, quindi, con salvezza degli effetti sostanziali e processuali della domanda, mentre, se relativi agli elementi della editio actionis possono essere sì sanati, ma con efficacia non retroattiva, rischiando così l'attore di incorrere nella perdita degli effetti processuali e sostanziali della domanda (in termini, v. Saletti 1991, 370; Salvaneschi 1993, 248).

Un altro problema, ormai risolto alla luce di un noto intervento del giudice delle leggi, era il rischio, in capo al beneficiario della misura cautelare conservativa, che la notifica dell'atto introduttivo non si perfezionasse nel breve termine previsto dalla norma dell'art. 669-octies c.p.c. per l'instaurazione del giudizio di merito. In proposito, è opportuno ricordare che secondo la giurisprudenza tradizionale la notifica tramite servizio postale non si esaurisce con la spedizione dell'atto ma si perfeziona con la consegna del plico al destinatario da parte dell'agente postale. Su questo profilo è però intervenuta prima la Corte Costituzionale e poi lo stesso legislatore; la prima ha dichiarato l'incostituzionalità degli artt. 149 c.p.c. e 4, comma 3, della l. n. 890/1982 nella parte in cui non prevedono una scissione temporale tra notificante e notificato, rispetto agli effetti della notificazione, il secondo ha introdotto nel 2005 un nuovo comma 3 all'art. 149 c.p.c., secondo cui «la notifica si perfeziona, per il soggetto notificante, al momento della consegna del plico all'ufficiale giudiziario e, per il destinatario, dal momento in cui lo stesso ha la legale conoscenza dell'atto».

La giurisprudenza antecedente alla dichiarazione di incostituzionalità e al successivo intervento legislativo era pacifica nel senso di cui sopra. Si è precisato, infatti, che in tema di notificazione a mezzo posta che non si esaurisce con la spedizione dell'atto ma si perfeziona con la consegna del relativo plico al destinatario da parte dell'agente postale, l'avviso di ricevimento, prescritto dall'art. 149, comma 2, c.p.c., è il solo documento idoneo a provare sia la consegna, sia la data di questa, sia l'identità della persona a mani della quale è stata eseguita la consegna; ne consegue che la mancanza di firma dell'agente postale sull'avviso di ricevimento del piego raccomandato rende inesistente e non soltanto nulla la notificazione, rappresentando la sottoscrizione l'unico elemento valido a riferire la paternità dell'atto all'agente notificante (Cass. V, n.17373/2020; nello stesso senso, v., ex multis, Cass. I, n.19599/2011). Successivamente – come già detto – è intervenuta la Corte Costituzionale dichiarando costituzionalmente illegittimo il combinato disposto dell'art. 149 c.p.c. e dell'art. 4, comma 3, l. n. 890/1982, nella parte in cui prevede che la notificazione a mezzo posta si perfezioni, per il notificante, alla data di ricezione dell'atto da parte del destinatario, anziché quella, antecedente, di consegna dell'atto all'ufficiale giudiziario (Corte cost., n.477/2002). Successivamente, i giudici della Consulta hanno dichiarato infondata la questione di legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 139 e 148 c.p.c. nella parte in cui prevederebbe che le notificazioni si perfezionino, per il notificante, alla data del compimento delle formalità di notifica poste in essere dall'ufficiale giudiziario e da questi attestate nella relazione di notificazione, anziché alla data, antecedente, di consegna dell'atto all'ufficiale giudiziario, in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost. (Corte cost., n.28/2004). Ne deriva che, nell'attuale sistema delineato dalla pronuncia di incostituzionalità e dall'intervento legislativo, il momento in cui la notifica si deve considerare perfezionata per il notificante deve distinguersi da quello in cui essa si perfeziona per il destinatario: la regola generale della distinzione dei due momenti deve essere desunta da quella espressamente prevista dall'art. 149 c.p.c., per la notificazione a mezzo posta e conseguentemente applicata anche alla notificazione eseguita direttamente dall'ufficiale giudiziario, sicché anche quest'ultima notifica si perfeziona, per il notificante, al momento della consegna dell'atto all'ufficiale giudiziario (Cass. I, n.644/2021).

La giurisprudenza si è posta, pertanto, il problema di risolvere la questione relativa al dies a quo che rileva per l'adempimento dei rispettivi oneri ricadenti sul notificante e sul destinatario, rispetto al perfezionamento della notifica a mezzo posta. Sicché si è precisato che, in tema di notificazione a mezzo del servizio postale, in caso di rifiuto di ricevimento da parte delle persone abilitate, ovvero di mancanza, inidoneità o assenza delle stesse, oppure di temporanea assenza del destinatario, al pari di quanto accade in tema di notificazione a persona di residenza, dimora o domicilio sconosciuti, ovvero a persona non residente, né dimorante, né domiciliata nello Stato, bisogna distinguere il perfezionamento della notificazione nei riguardi del notificante da quello nei confronti del destinatario, identificandosi il primo nel momento in cui viene completata l'attività incombente sul notificante, alla quale può essere collegato il rispetto di un termine posto dalla legge a suo carico, coincidente nella notificazione a mezzo posta, con la consegna dell'atto all'ufficiale giudiziario, e il secondo momento in cui si realizza il risultato della conoscenza, o l'effetto di conoscenza, dell'atto per il destinatario, coincidente, nel sistema di cui all'art. 8 della l. n. 890/1982, con il ritiro del piego ovvero con gli altri elementi previsti per facilitare la conoscenza dell'atto, ivi compreso il decorso del tempo, nell'ipotesi della c.d. compiuta giacenza (v., per tutte, Cass. III, n.11929/2006).

Un'ulteriore questione postasi nell'interpretazione e applicazione del disposto dell'art. 669-octies, comma 1, c.p.c. è quella relativa al mancato coordinamento del termine ivi previsto per l'instaurazione del giudizio di merito con la possibile proposizione del reclamo cautelare.

La giurisprudenza ha affermato al riguardo che, in tema di procedimenti cautelari, il termine perentorio previsto dall'art. 669-octies c.p.c. per l'inizio del giudizio di merito decorre dalla pronuncia dell'ordinanza di accoglimento della domanda cautelare ante causam, se avvenuta in udienza, ovvero dalla sua comunicazione, anche se l'originario provvedimento viene confermato in sede di reclamo; infatti per «ordinanza di accoglimento» di cui all'art. 669-octies, comma 1, c.p.c. va intesa quella originaria e non quella emessa in sede di reclamo, assumendo la prima rilevanza fondamentale ai fini dell'instaurazione della fase di merito e necessitando di una verifica nel giudizio di cognizione, mentre la seconda non ha effetto assorbente o sostitutivo, come nel caso di conferma della misura cautelare, rilevandosi, inoltre, come nessuna norma assegni al reclamo effetti sospensivi del termine in questione, escludendo anzi l'art. 669-terdecies c.p.c. che il reclamo sospenda automaticamente l'esecuzione del provvedimento impugnato (Cass. IV, n.18152/2006).

Ai sensi dell'art. 669-octies, comma 3, c.p.c. – come visto – il termine decorre dalla pronuncia dell'ordinanza se avvenuta in udienza o altrimenti dalla sua comunicazione.

La dottrina ha precisato che, in realtà, il termine per proporre il giudizio di merito decorre non già dalla pronuncia in udienza ma, ai sensi dell'art. 155, comma 1, c.p.c., dalla comunicazione dell'ordinanza alle parti. La norma in questione, infatti, stabilisce che nel computo dei termini a giorni o ad ore si escludono il giorno e l'ora iniziali (così Vaccarella, in Vaccarella, Capponi, Cecchella, 369). Poiché la norma specifica espressamente le modalità per la decorrenza dei termini in questione, la dottrina ha precisato che non vi sono modi equipollenti e quindi è irrilevante l'eventuale notificazione effettuata dalla parte vittoriosa e ai fini della decorrenza del termine per proporre reclamo cautelare (Cecchella 1997, 103; contra, Proto Pisani 1991, 348).

In tale ottica, si è posta la questione relativa alla possibilità o meno di sostituire la comunicazione dell'ordinanza con uno strumento equivalente, quale potrebbe essere in ipotesi la consegna di una copia autentica del provvedimento direttamente a mani dell'avvocato di parte ad opera della cancelleria. La soluzione non può che essere reperita dall'esame della prassi formatasi sulla questione, che ha, sia pur su fattispecie diverse, spesso predicato l'equipollenza della forma purché l'atto abbia raggiunto il suo scopo.

La giurisprudenza di legittimità ha affermato, in argomento, che le comunicazioni di cancelleria, pur dovendo avvenire di norma in una delle forme previste dall'art. 136 c.p.c., ossia consegna del biglietto al destinatario a cura del cancelliere ovvero notificazione tramite ufficiale giudiziario, ammettono forme equipollenti, sempreché risulti certa, quale effetto dell'attività della cancelleria, la presa di conoscenza, da parte del destinatario, della notizia da comunicare e la data in cui tale comunicazione è avvenuta, e sempreché l'atto abbia, inoltre, raggiunto il suo scopo (pertanto, in tema di insinuazione tardiva del credito, la Corte ha precisato che il rilascio al creditore su sua richiesta, di copia autentica del decreto con il quale il giudice delegato abbia fissato l'udienza per la comparizione delle parti e stabilito il termine per la notifica del provvedimento al curatore comporta la effettiva presa di conoscenza, da parte del creditore stesso, del decreto de quo, ancorché non comunicato dal cancelliere a norma dell'art. 136 c.p.c., qualora risulti che l'atto abbia raggiunto il suo scopo per avere il creditore immediatamente utilizzato il detto decreto chiedendone la notificazione al curatore: Cass. I, n.2068/2000). Ma, in senso contrario, si consideri che nella giurisprudenza di legittimità si è statuito che, per la valutazione della tempestività, ex art. 669-octies, comma 3, c.p.c., dell'instaurato giudizio di merito susseguente all'ottenimento di un sequestro conservativo, il rilascio di una copia autentica di tale provvedimento in favore della parte, effettuato dalla cancelleria, non può ritenersi equipollente alla sua comunicazione ad opera di quest'ultima, prescritta, al suddetto fine, dalla norma in questione, trattandosi di attività posta in essere non su esecuzione di ordine del giudice o come adempimento di legge, bensì su iniziativa della parte ed allo specifico scopo esplicitato nella dichiarazione di conformità (Cass. VI, n.20326/2013). In giurisprudenza di merito, vi sono aperture nel senso della equipollenza; si è, infatti, affermato che in seguito alla pronuncia di un provvedimento cautelare ante causam, il termine per introdurre il giudizio di merito decorre dall'effettiva conoscenza dell'ordinanza cautelare, anche se tale momento sia antecedente alla comunicazione, a cura della cancelleria, dell'ordinanza stessa (Trib. Trapani 30 maggio 2008); nello stesso senso, si è puntualizzato che il termine perentorio per l'inizio del giudizio di merito a seguito di provvedimento favorevole al ricorrente decorre dal momento in cui è stato raggiunto lo scopo della comunicazione del provvedimento stesso, anche laddove questa non avvenga nelle forme previste dall'art. 136 c.p.c. ma con atti equipollenti, ma non da quello successivo, della ricezione del biglietto di cancelleria (Trib. Catania 28 maggio2002). Contra, tuttavia, si è sostenuto che il termine per la instaurazione del giudizio di merito decorre soltanto dalla notifica del provvedimento ex art. 136 c.p.c., ovvero dalla ricezione dello stesso per documentata avvenuta comunicazione in cancelleria con sottoscrizione «per presa visione», ma mai da altra modalità di conoscenza del medesimo provvedimento (estrazione di copie autentiche) che non può ritenersi equipollente alla comunicazione della cancelleria (Trib. Roma 24 luglio1998).

Ci si è posti, peraltro, il problema relativo alla eventuale fissazione da parte del giudice di un termine superiore e non inferiore rispetto a quello di sessanta giorni previsti dalla norma per l'instaurazione del giudizio di merito. Poiché il termine posto dalla disposizione in parola è un termine perentorio sembra logico ritenere che tale termine non possa in alcun caso essere «prolungato» nemmeno per errore del giudice e che, pertanto, per le parti debba valere comunque l'indicazione del termine posto dall'art. 669-octies c.p.c.

È questa la strada normalmente praticata in dottrina, ove si è infatti ritenuto che la fissazione di un termine superiore a quello previsto dalla norma non comporta per la parte la possibilità di svincolarsi dal rispetto del termine di legge e che, peraltro, non sarebbe necessaria alcuna modifica o correzione del provvedimento del giudice essendo questo sostituito dalla previsione normativa (Proto Pisani 1991, 22; Cecchella 1997, 97; contra, Frus 1992, 700, Consolo, in Consolo, Luiso, Sassani 1996, 650). Si è, però, rilevato che l'opinione si presenta troppo rigida specie in considerazione della sanzione conseguente al mancato rispetto del termine che è l'inefficacia del provvedimento cautelare e sarebbe opportuno, pertanto, rimeditare le conseguenze e gli oneri a carico della parte onerata dell'instaurazione del procedimento di merito, dovendo in particolare evitare che un errore del giudice comporti una simile sanzione, peraltro non rimediabile, per la parte (Giordano 2021, 4136).

Sempre con riferimento alle modalità di conoscenza del provvedimento, la giurisprudenza ha più volte, inizialmente, evidenziato come sia necessaria la notificazione alla parte personalmente e non al procuratore nominato per la fase sommaria, pur se esso sia domiciliatario. Tuttavia, sulla questione è intervenuto un revirement della giurisprudenza di legittimità che ha, invece, ritenuto che la procura rilasciata per la fase cautelare e che contenga l'elezione di domicilio presso il difensore, l'indicazione della sua validità oltre la fase cautelare, nonché la menzione delle fasi di opposizione e di esecuzione successive al provvedimento urgente, soddisfa l'esigenza che è alla base dell'art. 141 c.p.c. che individua nella volontà della parte la fonte della legittimità di una elezione di domicilio che vada oltre la fase processuale in cui viene compiuta.

Come già anticipato, inizialmente la giurisprudenza aveva affermato che, per l'instaurazione del giudizio di merito, era necessario il conferimento di una distinta procura al difensore, non potendo a tal fine ritenersi valida quella rilasciata per il precedente e diverso procedimento, che esaurisce i suoi effetti con la sua definizione, salvo che la procura rilasciata con il ricorso iniziale – o con la comparsa di risposta del convenuto – sia formulata in modo da rilevare inequivocabilmente la volontà della parte di estendere il mandato anche al successivo giudizio di cognizione. Su questa base, la Cassazione aveva affermato che, al di fuori di tale ultima ipotesi, la citazione introduttiva del giudizio di merito va notificata al convenuto personalmente, secondo le regole dettate dagli artt. 137 c.p.c., e non al procuratore nominato nel procedimento precedente, presso cui lo stesso convenuto abbia eletto domicilio (Cass. I, n.2642/1993). Nello stesso senso, la risalente giurisprudenza di merito che aveva affermato che l'atto introduttivo della causa di merito instaurata a seguito del rilascio ante causam della misura cautelare deve essere notificato alla parte personalmente e, di conseguenza, avendo il ricorrente provveduto a notificare la citazione solo al procuratore, il tribunale aveva dichiarato l'inefficacia del provvedimento cautelare (Trib. Brescia 16 maggio1995). Si era, tuttavia, precisato che la notificazione della citazione al procuratore nominato dal resistente nel procedimento cautelare è viziata non da inesistenza ma da semplice nullità, sanabile con efficacia retroattiva, in caso di concessione alla parte di un termine per rinnovarla ex art. 291 c.p.c. Quindi, non sarebbe inefficace la misura cautelare quando, pur non essendo stata la notificazione della citazione relativa al giudizio di merito effettuata alla parte personalmente, sia stata ordinata la rinnovazione della notificazione con conseguente efficacia sanante di ogni suo vizio (Trib. Verbania, 26 ottobre1995). Più di recente, si è osservato, invece, in linea con l'interpretazione in bonis, che laddove la procura speciale rilasciata ai fini di un procedimento cautelare promosso ante causam abiliti il procuratore ad introdurre anche il successivo giudizio a cognizione piena, essendo riferibile in modo certo ed inequivoco anche al giudizio di merito che fa seguito al procedimento cautelare, soddisfa l'esigenza posta alla base dell'art. 141 c.p.c., che individua nella volontà della parte la fonte della legittimità di un'elezione di domicilio che vada oltre la fase processuale nella quale viene compiuta; con la conseguenza che, solo in presenza di tale presupposto, la notifica dell'atto introduttivo del giudizio ordinario deve ritenersi validamente effettuata presso il procuratore costituito nel procedimento volto all'emissione del provvedimento d'urgenza (Trib. Roma n.13184/2011).

Si è recentemente specificato nella giurisprudenza di legittimità che la procura alle liti rilasciata nel ricorso cautelare "ante causam" e conferita in termini ampi ed onnicomprensivi conferisce al difensore, nel successivo giudizio di merito, il potere di proporre domande anche nei confronti di terzi che non sono stati parte del procedimento cautelare (Cass. I, n. 32774/2022).

Con riferimento all'onere di proporre la mediazione obbligatoria nell'ipotesi in cui sia stato richiesto e ottenuto un provvedimento cautelare conservativo ante causam, laddove la controversia rientri in una delle ipotesi previste dalla legge per l'esperimento del tentativo obbligatorio di mediazione, ci si chiede se sia necessario comunque instaurare il giudizio di merito prima o nel corso della mediazione stessa.

In giurisprudenza di merito, si è detto che, nella prospettiva della piena operatività della disciplina della media-conciliazione obbligatoria, la parte che abbia richiesto e ottenuto un sequestro ante causam per una controversia rientrante in una delle materie di cui all'art. 5, comma 1, del d.lgs. n. 28/2010, pur volendo esperire il procedimento di mediazione, non potrà esimersi dall'instaurare il giudizio di merito ex art. 669-octies c.p.c. prima o nel corso della mediazione stessa, in quanto, per una parziale antinomia da armonizzare iure condendo, il termine di durata della procedura conciliativa può spingersi fino a quattro mesi ed è dunque più ampio del termine perentorio entro cui va instaurato il giudizio di merito (Trib. Brindisi 12 gennaio2012).

Va segnalato che adesso la nuova disciplina posta dal riformato art. 5, comma 1, del decreto in questione prevede che la durata della procedura conciliativa non sia superiore a tre mesi, termine comunque superiore rispetto ai sessanta giorni previsti dall'art. 669-octies c.p.c. per l'instaurazione del giudizio di merito.

Controversie individuali di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni

Ai sensi della norma in commento, comma 4, per le controversie individuali di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, escluse quelle devolute alla giurisdizione del giudice amministrativo, il termine decorre dal momento in cui la domanda giudiziale è divenuta procedibile o, in caso di mancata presentazione della richiesta di espletamento del tentativo di conciliazione, decorsi trenta giorni. Questo comma è stato inserito dall'art. 31, comma 2, del d.lgs. n. 80/1998 e fa riferimento alle controversie relative ai rapporti di lavoro con le pubbliche amministrazioni che – come è noto – sono state trasferite dalla giurisdizione del giudice amministrativo a quella del giudice ordinario.

In sostanza, con tale previsione si intendeva coordinare la disciplina del termine per instaurare il giudizio di merito con il termine per l'espletamento del tentativo – allora obbligatorio – di conciliazione nelle controversie in parola. Infatti, per tali controversie, a norma degli artt. 65 e 66 del d.lgs. n. 165/2001, era prevista l'obbligatorietà del tentativo di conciliazione prima dell'instaurazione del giudizio di merito.

Il comma 4 della disposizione in commento prevedeva che il termine per iniziare il giudizio di merito decorresse dal momento in cui la domanda giudiziale doveva ritenersi procedibile e, pertanto, dal momento in cui fosse stato effettuato il tentativo obbligatorio di conciliazione, oppure fosse decorso il termine di 90 giorni dalla richiesta di tentativo di conciliazione ai sensi dell'art. 69, comma 3, del d.lgs. n. 29/1993.

Con riferimento alla decorrenza del termine, la norma nulla diceva rispetto alla determinazione specifica del dies a quo, limitandosi a rinviare al momento in cui la domanda giudiziale fosse divenuta procedibile e pertanto ci si era posti il dubbio se tale termine decorresse dalla lettura del provvedimento direttamente all'udienza ovvero, come da regola generale, dal momento della comunicazione alle parti.

La giurisprudenza aveva al riguardo precisato che il codice di procedura civile, con l'art. 669-octies, comma 4, c.p.c. considera anche l'ipotesi in cui la conciliazione non sia stata richiesta e, coerentemente con il principio della necessaria introduzione della causa di merito entro un termine breve e non superabile, stabilisce che, in tale caso, il termine inizi la propria decorrenza, una volta decorsi, a loro volta, trenta giorni. Così come gli interpreti non hanno mancato di rilevare, interrogandosi sulla scarsa ragionevolezza della soluzione, per il promovimento della causa di merito in questo tipo di controversie si determina un certo allungamento dei tempi, poiché si cumulano i due termini, il primo dei quali – ossia il termine per instaurare il giudizio di merito – attualmente portato a sessanta giorni. Ne deriva che, entro il più lungo termine così individuato, il ricorrente vittorioso in sede cautelare ha in ogni caso l'onere di proporre la domanda di merito, ancorché il giudice, rilevando la mancata proposizione del tentativo di conciliazione, possa sospendere il giudizio ai sensi dell'art. 65, comma 3, del d.lgs. n. 165/2001, fissando alle parti il termine perentorio per promuovere il tentativo di conciliazione (Cass. IV, n.13708/2007).

Va, però, segnalato che, con l'entrata in vigore della l. n. 183/2010, che ha modificato l'art. 410 c.p.c. a partire dal 24 novembre 2010, chi intende proporre un'azione in giudizio non è più obbligato a promuovere un previo tentativo di conciliazione, mentre l'obbligo permane unicamente laddove la controversia sia relativa a contratti certificati. La successiva l. n. 92/2012 ha introdotto, peraltro, una nuova forma di conciliazione che deve essere esperita soltanto laddove sia intimato il licenziamento per giustificato motivo oggettivo da un datore di lavoro cui si applica la disciplina prevista dall'art. 18 dello Statuto dei Lavoratori; ma a sua volta l'art. 3 del d.lgs. n. 23/2015 ha stabilito che questa procedura non si applica ai lavoratori assunti sulla base di un contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti. A tale stregua, il tentativo di conciliazione è diventato solo facoltativo e non è più una condizione di procedibilità della domanda, considerando che l'art. 31, comma 9, della l. n. 183/2020 ha abrogato anche gli artt. 65 e 66 che disciplinavano appunto il tentativo obbligatorio di conciliazione nelle controversie individuali di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni.

Contenuto della domanda cautelare e rapporto con la domanda di merito

Ai sensi dell'art. 669-bis c.p.c., la domanda si propone con ricorso che deve essere depositato nella cancelleria del giudice competente. Poiché l'art. 673 c.p.c., successivamente abrogato, stabiliva che fosse possibile presentare una istanza verbale al giudice competente per il merito, ci si è domandati se la possibilità di proporre la domanda cautelare oralmente fosse sopravvissuta all'abrogazione della detta norma.

Quanto all'aspetto che in questa sede ci interessa maggiormente, ossia al contenuto della domanda cautelare, mentre l'art. 669-bis c.p.c. è chiaro nel richiedere la forma del ricorso per l'atto introduttivo, non altrettanto la norma è univoca nel delineare il contenuto del ricorso stesso. In mancanza di dati normativi specifici l'unica norma di riferimento è quella dell'art. 125 c.p.c. Alla stregua delle regole generali poste da tale ultima norma e, anche in considerazione delle specificità della domanda cautelare (in particolare la necessità che fin dall'atto introduttivo venga prospettata la causa di merito per rispondere alle esigenze della strumentalità), i requisiti del contenuto dell'atto introduttivo sono: l'indicazione del giudice competente; l'indicazione delle parti; la determinazione del diritto a tutela del quale si chiede il provvedimento cautelare; il tipo di provvedimento cautelare che si domanda al giudice, con specifico riferimento alla natura del provvedimento richiesto, se tipico o atipico; i fatti costitutivi del diritto sostanziale a cautela del quale si domanda il provvedimento (ai fini della determinazione del fumus boni iuris).

In dottrina, si è evidenziato come l'applicazione della norma generale dell'art. 125 c.p.c. lasci residuare alcuni dubbi quando la domanda cautelare venga proposta ante causam. In particolare, il primo problema riguarda se la procura per la domanda cautelare consenta al difensore di rappresentare la parte anche nel giudizio di merito seguente al procedimento in questione. L'autonomia del procedimento cautelare rispetto al merito, a parere di tale dottrina, dovrebbe far propendere per la soluzione negativa e, di conseguenza, per la necessità di una nuova procura per il merito (Salvaneschi 2015, 380).

Con riferimento a tale questione, la giurisprudenza della Cassazione si è espressa, invece, nel senso della possibilità per il procuratore del procedimento cautelare, di rappresentare la parte anche nel giudizio di merito seguente. Ad esempio, si è precisato che è valida la notificazione dell'atto introduttivo del giudizio di merito che segua un procedimento cautelare, eseguita non alla parte personalmente ma nel domicilio da questa eletto presso il proprio difensore in occasione del procedimento cautelare, purché dal tenore della procura alle liti possa desumersi che sia stata conferita anche per la fase di merito (fermo restando che, a fronte della eccepita nullità della notificazione, è onere del notificante provare che la procura conferita dalla controparte fosse valida per la fase cautelare e per i successivi gradi, v. Cass. III, n. 17221/2014). Nello stesso senso, si è precisato, sempre nella giurisprudenza di legittimità, che la procura alle liti rilasciata per promuovere un giudizio cautelare, attribuita con riferimento ad “ogni fase e grado del presente procedimento” ed anche al potere di natura negoziale di transigere e conciliare la controversia, comprende anche quello di promuovere il procedimento di merito arbitrale, sussistendo tra di essi un nesso di strumentalità, analogo a quello esistente tra procedimento cautelare e procedimento di merito innanzi al giudice (Cass. I, n. 20047/2011). In generale, nel senso che la procura rilasciata per la fase cautelare è valida per le successive fasi di merito, dato il collegamento funzionale esistente tra le due fasi, ponendosi quella cautelare come strumentale, sussidiaria e propedeutica a quella di merito, ed atteso che, anche in omaggio al principio di conservazione dell'atto, la presunzione di cui all'art. 83 c.p.c. opera solo allorquando la procura sia rilasciata in modo assolutamente generico o si limiti a conferire con riferimento al “presente giudizio” alla “causa” o alla “controversia” (Cass. IV, n. 37/2009; Cass. II, n. 16904/2003; Cass. III, n. 12288/2004, con riferimento al procedimento per convalida di licenza e sfratto).

Da ultimo sul punto la giurisprudenza di legittimità ha affermato che la notifica dell’atto introduttivo del giudizio di merito successivo ad un cautelare ed al suo reclamo è validamente compiuta presso il difensore, nel domicilio eletto nella relativa procura alle liti, e non presso la parte personalmente solo nel caso in cui essa non sia stata rilasciata e limitata alla sola fase cautelare, dovendosi ciò desumere dal tenore letterale della procura medesima (Cass. III, n. 6457/2023).

Se, invece, con riferimento al giudizio cautelare promosso nel corso della causa di merito, la giurisprudenza si orienta in senso opposto rispetto a quello or ora richiamato, la dottrina supra citata ha giustamente evidenziato come la regola, sia per il procedimento cautelare ante causam che per quello in corso di causa dovrebbe essere la medesima e, pertanto, si dovrebbe ritenere necessario il conferimento di una duplice procura, una per il procedimento cautelare ed una per il giudizio di merito salvo nelle ipotesi in cui la giurisprudenza ritiene che sia sufficiente la inequivocabile volontà della parte di conferire la procura per entrambi i giudizi (in tema, v. Salvaneschi 2015, 381).

In giurisprudenza, nel senso che il difensore munito di mandato alle liti senza limitazione alcuna ha, tra i suoi poteri, quello di proporre istanza di sequestro conservativo per conto e nell'interesse della parte, in quanto l'art. 84 c.p.c. consente al difensore di compiere tutti gli atti del processo che non siano riservati alla parte e tale riserva non è prevista in relazione all'istanza di sequestro (Cass. IV, n. 17762/2003; Cass. IV, n. 336/1978). Nello stesso senso, si è rilevato che la procura speciale rilasciata ai fini di un procedimento per convalida di licenza o sfratto e non contenente alcuna limitazione, abilita il procuratore a riassumere il giudizio a cognizione piena, atteso il carattere unitario dell'azione speciale di convalida e dell'azione ordinaria, nonché a richiedere in corso di causa una misura cautelare strumentale alla tutela del diritto azionato (Cass. III, n. 12288/2004).

Per quanto riguarda la necessità della esposizione, nell'àmbito della domanda cautelare, degli elementi costitutivi del futuro processo di merito e delle conclusioni dello stesso, il tema è stato ampiamente discusso sia in dottrina che in giurisprudenza, sia prima che dopo la riforma del 2005/2006 che ha inciso sul regime dei provvedimenti a strumentalità c.d. attenuata.

La giurisprudenza, pur concordando sul profilo della necessità della individuazione degli elementi della domanda di merito all'interno del ricorso per la concessione del provvedimento cautelare, si è poi differenziata rispetto alla sanzione da ricondurre alla mancata specificazione di tali elementi. Si è affermato che il carattere distintivo di ogni provvedimento cautelare risiede nella sua strumentalità, nel senso che essi sono sempre preordinati alla emanazione di un ulteriore provvedimento definitivo, di cui assicurano preventivamente la fruttuosità pratica. Da ciò deriva che la mancata indicazione nel ricorso cautelare delle conclusioni di merito comporta l'inammissibilità dello stesso, sempre che dal tenore del ricorso non sia possibile dedurre chiaramente il contenuto del futuro giudizio di merito (perché solo l'indicazione esatta o almeno certa della causa di merito consente di accertare il carattere strumentale, rispetto al diritto cautelando, della misura richiesta: Trib. Torino, 7 maggio 2007; sempre nel senso dell'inammissibilità, v. anche Trib. Bari 24 febbraio 2003; Trib. Torino 23 agosto 2002; Trib. Catania 12 giugno 2001). Secondo altre pronunce, invece, la sanzione da ascrivere alla mancata indicazione delle conclusioni di merito sarebbe quella della nullità: il giudice investito, infatti, di una domanda intesa ad ottenere un provvedimento cautelare ante causam può e deve, in applicazione del principio di conservazione degli atti giuridici, accertare, sulla base di un esame complessivo dell'atto introduttivo, se dalla sua formulazione possano desumersi, anche solo implicitamente, i termini della domanda di merito (Trib. Trieste 24 luglio 1999; Trib. Napoli, 30 aprile 1997). Da ultimo, in giurisprudenza si è precisato che accanto alla c.d. strumentalità strutturale, che comporta che il provvedimento cautelare si trovi in concatenazione temporale con un procedimento di merito, vi è una strumentalità funzionale o di scopo, essendo il provvedimento comunque emanato in attesa o in vista di un provvedimento principale di merito. Questa strumentalità funzionale non viene meno per l'ultrattività che caratterizza ora i provvedimenti anticipatori, poiché, anche se destinati a rimanere efficaci se il giudizio di merito non viene iniziato, o se successivamente al suo inizio si estingue, continuano ad essere provvisori, per cui resta inalterato il rapporto, di carattere funzionale, tra procedimento cautelare e procedimento di merito; sicché, con specifico riferimento al richiesto provvedimento d'urgenza, il giudice del merito specifica che, seppur con una portata attenuata rispetto a quanto previsto dalla disciplina previgente, la strumentalità e la provvisorietà rimangono elementi tipizzanti i provvedimenti d'urgenza e, insieme alle altre caratteristiche della residualità e atipicità e ai requisiti del fumus boni iuris e del periculum in mora, contribuiscono a delineare i profili di ammissibilità e di contenuto nonché l'àmbito di applicazione dei provvedimenti in questione. Con la conseguenza che nella fattispecie è stata dichiarata inammissibile una domanda cautelare di provvedimento d'urgenza proposta ante causam senza indicazione della successiva causa di merito (Trib. Campobasso 20 gennaio 2021).

Tra i fautori di quest'ultima teoria, non tutti concordano sul l'applicabilità della sanatoria di cui all'art. 164 c.p.c. dettato – com'è noto – per la sanatoria dell'atto di citazione mancante degli elementi relativi alla editio actionis e, pertanto, del petitum e/o della causa petendi. Secondo alcune pronunce, non sarebbe applicabile questo meccanismo di sanatoria perché dettato per l'atto introduttivo del giudizio a cognizione piena e non compatibile con le peculiarità del procedimento cautelare, connotato da sommarietà e provvisorietà. In giurisprudenza specificamente si è detto che nonostante la modifica del regime di strumentalità dei provvedimenti cautelari anticipatori rimane la necessità di indicare nel ricorso cautelare ante causam elementi sufficienti ad individuare la domanda di merito che sarà proposta nel, pur se eventuale, giudizio a cognizione piena. La mancata indicazione di tali elementi comporta la non sanabilità dell'istanza per vizio della editio actionis, considerato che l'art. 164 c.p.c. è incompatibile con la celerità del rito cautelare ed ha carattere eccezionale e, pertanto, è insuscettibile, tout court, di applicazione analogica (Trib. Isernia 15 settembre 2009). Nello stesso senso, si è affermato che l'art. 164 c.p.c. e il suo meccanismo di sanatoria non sarebbero applicabili al processo cautelare perché non compatibile con la rapidità e semplicità che caratterizzano questo processo, ove oltretutto non è neanche configurabile un giudicato in senso tecnico (Trib. Napoli 30 aprile 2004).

Secondo alcuni autori, la norma dell'art. 164 c.p.c. non sarebbe applicabile per le stesse ragioni indicate dalla giurisprudenza ora citata (così Cecchella 1997, 3). Secondo altri, invece, non vi sarebbero serie ragioni per negare la possibilità di procedere a questa sanatoria che appare coerente con la semplicità del procedimento cautelare (Merlin 1997, 402; Panzarola, Giordano, 77; Recchioni 2006, 308).

Un'isolata pronuncia ha affermato che la nullità del ricorso cautelare che deriva dall'omessa specificazione dell'azione di merito in funzione della quale la domanda viene proposta è sanabile, secondo il principio previsto in via generale dall'art. 162, comma 1, c.p.c., e con riferimento agli atti introduttivi del procedimento ordinario di cognizione, dall'art. 164 c.p.c. (Trib. Verona 18 agosto 2003). Questa sanatoria non può avere effetti retroattivi ma solo dopo la rinnovazione della notifica del ricorso cautelare integrato con gli elementi originariamente mancanti.

Nel senso che sia sufficiente anche solo la possibilità di desumere implicitamente i termini della domanda di merito, si è espressa a volte la giurisprudenza (lo si è affermato rispetto alla validità del ricorso proposto ex art. 700 c.p.c.: Trib. Pistoia 20 dicembre 2005); pertanto, seppur non formulata expressis verbis l'azione sostanziale che si intende tutelare, essa deve potersi desumere da elementi plurimi e inequivoci agevolmente ricavabili dal testo del ricorso di parte (Trib. Foggia 5 febbraio 2004).

La dottrina è della stessa opinione, affermandosi giustamente che sia in ragione della disciplina della competenza cautelare (che presuppone la determinazione della causa di merito sin dalla proposizione della domanda cautelare), sia per l'inefficacia del provvedimento cautelare emanato qualora ad esso esegua una causa di merito differente rispetto a quella cui era collegato dal nesso di strumentalità, è necessario che il ricorrente indichi gli elementi e le conclusioni della domanda di merito già nella domanda cautelare (Salvaneschi 2015, 383; nello stesso senso, Tommaseo, 224; v. anche Olivieri, 704; Celeste, 363).

Successivamente alla differenziazione tra provvedimenti cautelari conservativi a strumentalità “forte” e provvedimenti cautelari anticipatori a strumentalità “attenuata”, ci si è chiesti se la necessità di indicare nella domanda cautelare gli elementi e le conclusioni della futura causa di merito valesse ancora rispetto ai provvedimenti di tipo anticipatorio per i quali non necessariamente la causa di merito deve essere instaurata (si confronti la disciplina dell'art. 669-octies c.p.c.).

Secondo la dottrina dominante, è necessario, comunque, a dispetto della differenziazione tra strumentalità forte e attenuata, delineare gli elementi della futura causa di merito già dal ricorso cautelare. Rimane, infatti, sempre esistente il c.d. nesso di strumentalità ipotetico e comunque il giudice adìto per il provvedimento cautelare resta, a norma di legge, investito della necessità di valutare, sia pur in modo sommario, il fumus boni iuris (in dottrina in questo senso, v. Consolo 1994, 309; Menchini 2006, 75; Panzarola 2013, 849). Secondo parte della dottrina, il rapporto di strumentalità non si riduce soltanto all'onere di introdurre il processo di merito ma anche nella fase di formazione del convincimento del giudice che ha il compito di accertare non soltanto il fumus relativo al diritto vantato ma anche il provvedimento che dovrà essere emanato a conclusione del giudizio di merito (Corea 2006, 1261).

Anche i giudici di merito si sono espressi in questo senso. Si è rilevato, infatti, che nel sistema processuale innovato dalla riforma del 2005, la strumentalità della cautela rispetto al merito è stata attenuata, non essendo più doverosa ma solo facoltativa, l'instaurazione del giudizio di merito; ciononostante, l'indicazione della domanda di merito sottesa alla cautela è tuttora doverosa, anche agli effetti dell'individuazione della competenza per territorio e per materia del giudice adìto, a pena di inammissibilità del ricorso cautelare (Trib. Modena 5 giugno 2015). Ancora, si è precisato che il carattere distintivo di ogni provvedimento cautelare risiede nella strumentalità, ossia nel fatto che essi sono sempre preordinati alla emanazione di un ulteriore provvedimento definitivo, di cui preventivamente assicurano la fruttuosità pratica. Da ciò deriva che la mancata indicazione nel ricorso cautelare delle conclusioni di merito comporta l'inammissibilità dello stesso, sempre che dal tenore del ricorso non sia possibile dedurre chiaramente il contenuto del futuro giudizio di merito, poiché solo l'indicazione esatta della causa di merito (o almeno l'individuazione in modo certo della stessa) consente di accertare il carattere strumentale, rispetto al diritto cautelando, della misura richiesta (Trib. Torino 7 maggio 2007; conforme, nel senso della necessità dell'indicazione degli elementi dell'azione di merito anche rispetto alla richiesta di provvedimento d'urgenza, v. Trib. Milano 5 giugno 2006).

Un quesito collegato alla proposizione della domanda di merito susseguente alla concessione del provvedimento cautelare conservativo è relativo alla possibilità di proporre domande ulteriori rispetto a quella posta alla base della richiesta di concessione della misura cautelare.

La risposta positiva sembra d'obbligo, considerando che il rapporto di strumentalità che intercorre tra il provvedimento di accoglimento e la domanda di merito se veicola – e vincola – alla proposizione nell'àmbito del ricorso cautelare delle conclusioni della domanda di merito, in modo che dal tenore del ricorso sia individuabile chiaramente il contenuto del futuro procedimento di cognizione, non esclude che domande ulteriori possano essere proposte nell'àmbito di tale giudizio.

La giurisprudenza di legittimità ha affermato che il procedimento cautelare (pur nella connotazione che assumeva prima della modifica del regime della strumentalità ma con considerazioni che si possono applicare anche adesso) è autonomo e distinto dal giudizio di cognizione volto ad accertare definitivamente l'esistenza del diritto sottoposto alla cautela. Pertanto, nel giudizio ordinario di cognizione è consentito proporre tutte le possibili domande attinenti al merito, pur se volte a far valere un diritto diverso da quello cui si riferivano le domande formulate nel procedimento cautelare; né è ravvisabile alcuna inammissibilità della domanda articolata nel giudizio di merito per diversità e, quindi, per novità di essa rispetto a quella precedentemente formulata nel ricorso diretto ad ottenere il provvedimento cautelare, mancando una qualsiasi norma processuale che, in deroga ai generali principi sulla cumulabilità delle azioni, precluda di introdurre dinanzi al giudice del processo di cognizione piena una domanda ulteriore rispetto a quella già oggetto della invocata tutela cautelare (Cass. II, n. 2623/2021). In precedenza, la Suprema Corte aveva anche specificato che, essendo il giudizio di merito autonomo rispetto a quello cautelare, non solo nel primo possono essere formulate domande nuove rispetto a quanto dedotto nella fase cautelare, ma nemmeno vi è necessaria coincidenza soggettiva tra le parti del primo e quelle del secondo; con la conseguenza che nella fase di merito ben possono intervenire ulteriori parti, sia in via adesiva che autonoma, a condizione che le loro pretese siano collegate al rapporto dedotto in giudizio (Cass. III, n. 22830/2010). I giudici di legittimità hanno, peraltro, precisato che l'onere del ricorrente in via cautelare di indicare la domanda risarcitoria è pienamente soddisfatto allorché l'istante abbia prospettato le violazioni lamentate, manifestando, anche implicitamente, l'intenzione di voler agire giudizialmente per far cessare i comportamenti denunciati e per ottenere il risarcimento dei danni (Cass. I, n. 23401/2015; nello stesso senso, v. Cass. II, n. 2623/2021).

Introduzione del giudizio di merito in caso di competenza del giudice straniero o degli arbitri

Ai sensi dell'art. 669-octies, comma 1, ultima parte, c.p.c., l'ordinanza di accoglimento, ove la domanda sia stata proposta prima dell'inizio della causa di merito, deve fissare un termine perentorio, non superiore a sessanta giorni per l'inizio del giudizio di merito «salva l'applicazione dell'ultimo comma dell'articolo 669-novies» c.p.c.

Il richiamo è, pertanto, alla disposizione della norma dell'art. 669-novies c.p.c., secondo cui se la causa di merito è devoluta alla giurisdizione di un giudice straniero o ad un arbitrato italiano o estero, il provvedimento cautelare, oltreché nei casi previsti dall'art. 669-novies, commi 1 e 3, c.p.c., perde altresì efficacia in due ipotesi specificamente previste dalla norma: 1) se la parte che l'aveva richiesto non presenta domanda di esecutorietà in Italia della sentenza straniera o del lodo arbitrale entro i termini eventualmente previsti a pena di decadenza dalla legge o dalle convenzioni internazionali; 2) se sono pronunciati sentenza straniera, anche non passata in giudicato, o lodo arbitrale che dichiarino inesistente il diritto a cautela del quale il provvedimento era stato concesso. Per la dichiarazione di inefficacia del provvedimento cautelare e per le disposizioni di ripristino la norma prevede che si applichi integralmente l'art. 669-novies, comma 2, c.p.c. L'interpretazione che sembra più consona al dato testuale ritiene che la norma dell'art. 669-octies c.p.c., con l'inciso in parola, abbia voluto imporre l'osservanza del termine perentorio anche per l'inizio della causa di merito laddove essa sia soggetta a clausola compromissoria o compromesso ovvero sia da attribuire alla giurisdizione di un giudice straniero.

La questione non è nuova essendosi posta, in realtà, anche nella vigenza della disciplina specifica del sequestro ex art. 680 c.p.c. Infatti, all'epoca si era posto il problema se il sequestro potesse mantenere la sua efficacia allorché l'arbitrato non fosse già stato instaurato al momento della decisione in primo grado rispetto al giudizio di convalida.

La giurisprudenza formatasi in tema di sequestro aveva chiarito che, quando la competenza a conoscere della causa di merito appartiene agli arbitri, non è necessario, per evitare la perdita di efficacia del sequestro concesso dal giudice ordinario, che il giudizio arbitrale sia iniziato nel termine di quindici giorni dal compimento del primo atto di esecuzione del sequestro, prescritto dal vigente art. 680 c.p.c.; anche in questa ipotesi, tuttavia, il sequestro non può essere convalidato se il giudizio di merito davanti agli arbitri non risulti ancora instaurato almeno al momento della decisione di primo grado, ciò denunciando concretamente l'insussistenza del periculum in mora. Né la mancata instaurazione del giudizio arbitrale potrebbe essere giustificata in considerazione della pendenza, tra le stesse parti, di una causa pregiudiziale, non essendo tale circostanza preclusiva della proponibilità del giudizio dipendente ma potendo, eventualmente, solo implicarne la sospensione (Cass. I, n.7056/1982). Nello stesso senso, si era osservato che, pur non operando il citato termine di quindici giorni, la causa di merito non può comunque essere instaurata senza limiti di tempo perché, anche in difetto di un'espressa previsione legislativa, la convalida del sequestro non può essere pronunciata se al momento della decisione di primo grado non risulti ancora instaurato il giudizio di merito, dato il carattere provvisorio e strumentale della misura cautelare (Cass. I, n.2820/1979).

Il significato del rinvio effettuato dalla norma in commento all'art. 669-octies, comma 1, c.p.c. sembra – non tanto chiaramente – deporre per l'inefficacia del provvedimento cautelare laddove il procedimento di merito nelle ipotesi di competenza del giudice straniero o degli arbitri, non inizi, appunto, nel termine perentorio di cui all'art. 669-octies c.p.c. (Tommaseo, 102). Leggendo, infatti, il testo di entrambe le norme, sembra che l'unico significato possibile da attribuire al rinvio sia per l'appunto questo; ma di certo non è apprezzabile la tecnica legislativa adoperata che crea numerosi problemi interpretativi data la scarsa chiarezza del dettato.

Per quanto riguarda l'inizio del procedimento arbitrale, si è sempre ritenuto che esso dovesse farsi coincidere con il momento dell'accettazione di tutti gli arbitri, sicché il termine di centottanta giorni per la pronuncia del lodo dovesse decorrere da tale accettazione. Successivamente alle modifiche operate all'art. 669-octies c.p.c. dalla l. n. 25/1994 sull'arbitrato, ci si era posti, invero, il problema se anche ai fini del termine in questione fosse possibile ritenere coincidente l'inizio della procedura arbitrale con l'accettazione di tutti gli arbitri e si era rilevato come la soluzione in questione non apparisse idonea a risolvere diversi problemi. In particolare, l'accettazione degli arbitri non è nella disponibilità delle parti e il procedimento di nomina può essere molto complicato e necessitare per il suo compiuto perfezionamento di termini molto più lunghi rispetto ai soli 60 giorni previsti dall'art. 669-octies c.p.c. (così Proto Pisani 1991, 23).

La dottrina che si era occupata della questione aveva proposto di risolvere il problema ritenendo che il termine di 60 giorni previsto dall'art. 669-octies c.p.c. o il termine inferiore fissato ad hoc dal giudice adìto si dovesse ritenere rispettato se, per quella data, quello delle parti che avesse esigenza di conservare il provvedimento cautelare avesse compiuto tutto ciò che era in suo potere per iniziare la procedura arbitrale, in pratica nominando il proprio arbitro e formulando i relativi quesiti (Vaccarella, in Vaccarella, Capponi, Cecchella, 370; Consolo, in Consolo, Luiso, Sassani 1991, 493). Con riferimento all'arbitrato amministrato, si era suggerita come soluzione che agli effetti del rispetto del termine in parola fosse sufficiente il deposito della domanda arbitrale che è talvolta previsto nei regolamenti delle camere arbitrali (così Carpi, 1259). Il riferimento contenuto nell'art. 669-quinquies c.p.c., secondo cui se la controversia è oggetto di clausola compromissoria o è compromessa in arbitri anche non rituali, o se è pendente il giudizio arbitrale, la domanda si propone al giudice che sarebbe stato competente a conoscere del merito, risolve la questione relativa alla concedibilità di un provvedimento cautelare a tutela di diritti compromessi per arbitrato irrituale.

Restava, tuttavia, da risolvere il profilo della pendenza del procedimento ai fini del termine in questione nel caso di arbitrato affidato ad arbitro unico.

La questione è stata risolta dal legislatore con le modifiche apportate dalla l. n. 25/1994 all'art. 669 -octies , comma 5, c.p.c. secondo cui, «nel caso in cui la controversia sia oggetto di compromesso o clausola compromissoria, la parte, nei termini di cui ai commi precedenti, deve notificare all'altra un atto nel quale dichiara la propria intenzione di promuovere il procedimento arbitrale, propone la domanda e procede, per quanto le spetta, alla nomina degli arbitri».

La norma in sostanza conferma quanto la dottrina aveva evidenziato, cioè che è necessario compiere tutto quello che è in suo potere fare, ossia notificando, entro il termine previsto dall'art. 669-octies c.p.c., tramite ufficiale giudiziario la domanda in cui manifesta la sua volontà di adire l'arbitro o gli arbitri rispetto alla controversia per cui si è stipulato un accordo compromissorio e, laddove ciò sia previsto dal testo dell'accordo, nominare anche l'arbitro invitando l'altra parte a nominare il proprio.

La giurisprudenza di legittimità è costante nel ritenere che la notifica della domanda di arbitrato determina l'inizio del procedimento arbitrale.

La Corte di Cassazione ha, in più occasioni, affermato il principio in questione; si è detto che a seguito delle modifiche operate anche all'art. 669-octies, comma 1, c.p.c. dalla l. n. 25/1994, si deve ritenere che il procedimento arbitrale si instauri con la notificazione della domanda di accesso all'arbitrato, e non anche con la costituzione del collegio arbitrale, con la conseguenza che, determinatosi l'effetto della pendenza del giudizio con la notifica in questione, il giudizio si radica fin da tale momento tra i soggetti sottoscrittori della clausola compromissoria (Cass. II, n.21177/2019; Cass. I, n.17099/2013; Cass. I, n.5457/2003; Cass. I, n.10922/2002).

Per quanto concerne specificamente la disciplina dettata dall'art. 669-novies, comma 4, n. 2), c.p.c., bisogna chiedersi che cosa accada se viene emanata una sentenza straniera o un lodo arbitrale che rigettino la domanda di merito. La lettera della norma equipara l'ipotesi della sentenza straniera di rigetto a quella di rigetto interna affermando che il provvedimento cautelare viene meno indipendentemente dal passaggio in giudicato della sentenza stessa, e pertanto la sentenza straniera di rigetto della domanda di merito provoca immediatamente l'inefficacia del provvedimento cautelare che sia stato concesso dal giudice italiano.

La regola appare condivisibile, oltreché ragionevole, visto che il rigetto effettuato con sentenza straniera, al pari del rigetto della domanda di merito interna, blocca il rapporto di strumentalità con il giudizio di merito, né è necessario che il giudice chiamato ad accertare l'inefficacia della misura cautelare sia onerato del dover accertare che la sentenza straniera abbia tutti i requisiti per il riconoscimento nel nostro ordinamento di cui all'art. 64 della l. n. 218/1995, ciò perché tale sentenza straniera è un fatto estintivo «oggettivo» della misura cautelare, pacificamente individuato come tale dalla norma dell'art. 669-novies c.p.c. e, di conseguenza, a nulla vale l'accertamento ulteriore dei requisiti di riconoscibilità della sentenza straniera nell'ordinamento interno (Merlin 2015, 446).

In tal senso, in giurisprudenza di merito si è rilevato che deve dichiararsi l'inefficacia ex art. 669-novies c.p.c. del sequestro conservativo concesso ante causam in esito alla definizione del giudizio di merito in seguito a sentenza definitiva della competente autorità giurisdizionale straniera (Trib. Roma 25 marzo1995).

Il riferimento contenuto nell'art. 669-novies c.p.c. al fatto che non sia necessario il passaggio in giudicato della sentenza straniera per dichiarare l'inefficacia del provvedimento cautelare, deve ritenersi applicabile anche al lodo pronunciato da arbitri ma ancora assoggettato alla impugnazione per nullità davanti alla corte d'appello, ciò perché il lodo straniero che rigetta la domanda di merito, pur se non riconosciuto con l'apposita procedura disciplinata dal nostro codice di rito ed anche se non riconoscibile, provoca comunque l'inefficacia della misura cautelare concessa dal giudice interno.

La strumentalità dei sequestri in particolare

I sequestri – com'è noto – sono disciplinati dagli artt. 670 ss. c.p.c. Sono misure essenzialmente conservative che hanno una strumentalità forte o strutturale; questo significa che, qualora la parte non instauri tempestivamente e prosegua il giudizio di merito, il sequestro chiesto e concesso prima dell'inizio della causa di merito perde efficacia. Bisogna distinguere il sequestro giudiziario dal sequestro conservativo e dal sequestro liberatorio.

Il sequestro giudiziario si distingue in sequestro giudiziario di beni e sequestro giudiziario di prove. Il sequestro giudiziario di beni è una misura cautelare utilizzata, secondo le previsioni della norma, per la conservazione e gestione di beni mobili o immobili, aziende o altre universalità di beni sulle quali pende una controversia «attuale» anche se non è necessario che si tratti di un processo. I presupposti sono da un lato il fumus boni iuris, inteso come la sussistenza di una controversia sulla proprietà o altro diritto reale; ovvero di una controversia sul possesso. Dall'altro lato, il sequestro di beni presuppone la sola opportunità di provvedere alla custodia o gestione temporanea del bene e, quindi, è una rilevanza attenuata del periculum in mora. Il sequestro giudiziario di prove riguarda libri, registri, modelli e ogni altra cosa da cui la parte richiedente intende ricavare elementi di prova in un futuro processo, quando ne sia controverso il diritto all'esibizione o comunicazione e occorra evitarne la dispersione o sottrazione. Anche in questo caso, pertanto, il provvedimento si atteggia a misura cautelare strumentale rispetto al futuro giudizio di merito. Il sequestro giudiziario crea, sul bene sequestrato, un vincolo di indisponibilità al precipuo fine di garantire l'utilità del giudizio di cognizione e di esecuzione che si svolgerà in seguito. Per la sua attuazione è necessario l'affidamento del bene ad un custode e l'applicazione delle disposizioni normative relative all'esecuzione forzata per consegna o rilascio.

Il sequestro conservativo è, invece, un mezzo di conservazione della garanzia patrimoniale generica del debitore, insieme con le azioni surrogatoria e revocatoria. Ovviamente, però, il sequestro conservativo conserva questa garanzia con modalità del tutto diverse da quelle contemplate dalle due azioni civilistiche ora richiamate. Mentre, infatti, con l'azione surrogatoria il creditore diventa sostituto processuale e agisce in giudizio esercitando a nome proprio diritti ed azioni che spetterebbero al debitore che, invece, rimane inerte, con l'azione revocatoria si dichiara l'inefficacia relativa degli atti di disposizione patrimoniale effettuati dal debitore in frode dei creditori; in questo modo l'alienazione del bene è inefficace nei soli confronti del creditore che ha esercitato l'azione revocatoria. Il sequestro conservativo svolge, come la dottrina ha evidenziato, la stessa funzione dell'azione revocatoria ma utilizza a tal fine una «tecnica preventiva», ossia toglie dalla libera disposizione del debitore proprietario i beni, mobili o immobili. Nel sequestro conservativo, il fumus boni iuris è relativo ad un credito avente ad oggetto una somma di denaro o una certa quantità di cose fungibili; il periculum in mora è dato dal fondato timore di perdere la garanzia del proprio credito.

Anche nel sequestro conservativo l'effetto consiste nella sottoposizione del bene ad un vincolo di indisponibilità che non è solo materiale ma anche giuridico perché l'alienazione e gli altri atti di disposizione non hanno effetto in pregiudizio del creditore sequestrante. Il debitore, in sostanza, non perde il potere di disporre del bene ma i suoi atti non possono essere opposti al sequestrante: è la stessa regola stabilita per il pignoramento ma mentre il pignoramento crea un vincolo a porta aperta (ossia se ne possono giovare sia il creditore procedente che quelli intervenuti) il sequestro conservativo crea invece un vincolo a porta chiusa nel senso che se ne giova solo il sequestrante. Il sequestro conservativo si attua nelle stesse forme del pignoramento e, nel momento in cui il sequestrante ottiene una sentenza di condanna, il sequestro conservativo si converte in pignoramento.

Con riferimento al regime della strumentalità dei sequestri, abbiamo già riferito in discorrendo in generale della strumentalità dei provvedimenti conservativi. Se, infatti, i sequestri sono gli unici, o per chi non concorda, comunque i principali provvedimenti cautelari conservativi, ad essi si applica la disciplina risultante dal combinato disposto degli artt. 669-novies e 669-octies c.p.c. in tema di strumentalità c.d. forte.

La disposizione dell'art. 669 -novies , comma 1, c.p.c., deriva da quella in precedenza dettata in tema di sequestro dall'abrogato art. 683 c.p.c ., nel cui comma 1 era stabilito che il sequestro perdeva efficacia se non erano osservate le norme per l'introduzione della domanda di convalida o per la sua trattazione dagli artt. 680 e 681 c.p.c., oltreché nel caso di rigetto di tale domanda, ma anche nell'ipotesi in cui il giudizio di merito si estinguesse per qualunque causa. Caduto l'istituto processuale del giudizio di convalida, la precedente disciplina, sotto l'aspetto delle situazioni assunte al suo oggetto, è stata trasfusa integralmente nell'art. 669-novies, comma 1, c.p.c. Dove l'art. 683 c.p.c. recitava che «il sequestro perde la sua efficacia se il sequestrante non osserva le disposizioni degli artt. 680 e 681, se l'istanza di convalida è rigettata con sentenza passata in giudicato, o se il giudizio si estingue per qualunque causa», invece l'art. 669-novies, comma 1, c.p.c. recita. «Se il procedimento di merito non è iniziato nel termine perentorio di cui all'art. 669-octies ovvero se successivamente al suo inizio si estingue, il provvedimento cautelare perde la sua efficacia». Mentre l'art. 683 c.p.c. stabiliva che il sequestro dovesse diventare inefficace una volta che la sentenza di rigetto della istanza di convalida o della domanda di merito fosse passata in giudicato, nulla disponeva quanto al tempo in cui lo stesso effetto avrebbe potuto essere dichiarato nei casi in cui non fossero state osservate le disposizioni dettate dagli artt. 680 e 681 c.p.c. o il giudizio di merito si fosse estinto. L'art. 683, comma 3, c.p.c. stabiliva, poi, il modo della dichiarazione della inefficacia, disponendo che il giudice vi provvedesse con decreto su ricorso del sequestrante.

La norma dell'art. 669 -novies c.p.c. è il frutto di una disciplina del codice di procedura civile strettamente e indissolubilmente legata alla strumentalità originaria delle misure cautelari che era, per tutti i provvedimenti, quella «strutturale» o «forte». Si prevedeva, in sostanza, per ogni provvedimento cautelare un regime di stretta strumentalità rispetto al successivo giudizio di merito che doveva essere instaurato nel breve termine previsto dalla norma dell'art. 669-octies c.p.c. o dal giudice. Di conseguenza, le disposizioni della norma prevedevano – e tuttora prevedono – che la misura cautelare perdesse efficacia laddove il giudizio di merito non venisse iniziato o si estinguesse una volta azionato. Ma con le riforme effettuate negli anni che vanno dal 2005 al 2009, che hanno inciso sull'art. 669-octies c.p.c., il regime della strumentalità è stato radicalmente modificato ed è stato preferito dal legislatore un nesso di tipo «funzionale» piuttosto che un nesso di tipo «strutturale». Recepita, altresì, la distinzione tra provvedimenti cautelari conservativi, ossia che hanno la funzione di preservare gli effetti della sentenza di merito che sarà emanata nel prosieguo e provvedimenti anticipatori, cioè che hanno la funzione di anticipare, invece, contenuto ed effetti della sentenza di merito, il legislatore ha modificato conseguentemente il regime della strumentalità a seconda del tipo di misura cautelare chiesta e ottenuta. Ne è derivato un quadro che prevede la conservazione della strumentalità forte o strutturale per le sole misure cautelari conservative come, ad esempio, i sequestri e il passaggio ad una strumentalità debole o attenuata per le misure cautelari anticipatorie, come, ad esempio, i provvedimenti d'urgenza. La norma dell'art. 669-novies c.p.c. è rimasta però invariata sicché, a mente delle disposizioni novellate dell'art. 669-octies c.p.c., essa continua ad applicarsi nella sua originaria formulazione alle sole misure cautelari conservative, le uniche che tuttora possono perdere efficacia laddove non venga tempestivamente iniziato il giudizio di merito o se, una volta iniziato, si estingua.

Quanto alle misure conservative, e pertanto certamente per i sequestri, vale quindi il principio giurisprudenziale secondo cui alla stregua degli artt. 669-octies e 669-novies c.p.c., l'estinzione del giudizio di merito, così come il suo mancato tempestivo inizio, comportano automaticamente la perdita di efficacia del provvedimento cautelare emesso ante causam e la facoltà, per chi ne abbia ottenuto l'attuazione, di ottenere il ripristino della situazione precedente, salvi i casi di impossibilità materiale o giuridica; tuttavia, tale disciplina normativa non implica che il diritto a tutela del quale è stata disposta la misura cautelare ormai caducata non possa essere ulteriormente fatto valere in un successivo giudizio di merito a cognizione piena (Cass. II, n.15349/2010). Si è, inoltre, precisato che la declaratoria di inefficacia sopravvenutaex art. 669 -noviesc.p.c. va adottata all'esito di un giudizio di cognizione che si svolge nelle ordinarie forme contenziose, dall'ufficio di appartenenza del giudice che ha emesso il provvedimento, nell'ordinaria composizione monocratica, non essendo necessaria la designazione di un magistrato diverso da quello che ha emesso il provvedimento, trattandosi di giudizio diretto ad accertare la persistente attualità ed efficacia del provvedimento adottato, ai fini dell'eventuale pronuncia di ulteriori provvedimenti necessari al ripristino della situazione quo ante, all'esito di valutazione di mere vicende processuali sopravvenute e non già di una revisio prioris instantiae (Cass. II, n.17866/2005). Sotto il profilo dei provvedimenti ripristinatori, la Corte di Cassazione ha evidenziato che, a seguito della dichiarazione di inefficacia del provvedimento cautelare, l'esecuzione dei detti provvedimenti ripristinatori o restitutori va svolta nelle forme ordinarie del processo esecutivo, sia perché l'art. 669-novies, comma 2, c.p.c., stabilisce in modo esplicito che il giudice provvede al riguardo con ordinanza o sentenza esecutiva, sia perché alla fattispecie non è applicabile la sola disciplina dell'art. 669-duodecies c.p.c. che, attribuendo al giudice che ha emanato il provvedimento cautelare, il controllo della sola attuazione delle misure relative ad obblighi di consegna, rilascio, fare o non fare, e stabilendo che ogni altra questione va proposta nel giudizio di merito, non attiene alla rimozione degli effetti della misura divenuta inefficace (Cass. III, n.712/2006). In ogni caso, laddove il provvedimento cautelare perda efficacia e la sua esecuzione abbia determinato la modificazione di una situazione, alla dichiarazione di inefficacia può accompagnarsi l'adozione delle disposizioni necessarie per il ripristino della situazione precedente, soltanto se esso non trovi ostacoli di natura materiale o giuridica, e, quindi, ove si tratti del ripristino di un contratto, soltanto se, al momento in cui il provvedimento di ripristino deve essere emesso, non sia ancora decorso il periodo di potenziale durata del rapporto originario (Cass. III, n.9054/2002). In sede di giurisprudenza di merito, si è affermato che, poiché l'inefficacia del provvedimento cautelare determinata dalla mancata instaurazione del procedimento di merito nel termine perentorio previsto dall'art. 669-octies c.p.c. può derivare solo come epilogo di un procedimento appositamente instaurato, destinato a sfociare, a seconda delle circostanze, in un'ordinanza contenente le disposizioni ripristinatorie della situazione pregressa, ovvero, in caso di contestazioni, in un vero e proprio giudizio contenzioso da definire con sentenza, con la conseguenza che, qualora il processo instaurato ex art. 669-octies c.p.c. sia dichiarato interrotto e non venga riassunto, il provvedimento cautelare rimane efficace (Trib. Napoli 2 marzo2008).

 La Cassazione ha di recente affermato che la parte che abbia domandato ed ottenuto la concessione di un sequestro giudiziario relativo a una controversia in materia contemplata dall'art. 5, comma 1, del D.Lgs. n. 28 del 2010, pur dovendo iniziare il giudizio di merito nel termine perentorio di cui all'art. 669 octies, comma 1, c.p.c., non è esonerata dall'esperimento del procedimento di mediazione ai sensi del Capo II del D.Lgs. n. 28 del 2010. Allorché il convenuto eccepisca tempestivamente l'improcedibilità della domanda per il mancato esperimento del procedimento di mediazione e il giudice erroneamente ritenga che la mediazione non doveva essere esperita, la conseguente nullità può essere fatta valere mediante appello. In tal caso, il giudice d'appello, dichiarata la nullità della sentenza, non potendo disporre la rimessione al primo giudice, è tenuto ad assegnare alle parti il dovuto termine per la presentazione della domanda di mediazione, per poi accertare se la condizione di procedibilità sia stata soddisfatta e trattare la causa nel merito, ovvero, in mancanza, dichiarare l'improcedibilità della domanda giudiziale (Cass. civ., II, n. 28695/2023).

La strumentalità del provvedimento cautelare anticipatorio e le regole procedimentali

Ai sensi dell'art. 669-octies, comma 6, c.p.c., nel testo risultante dalla più volte ricordata riforma del 2005, le disposizioni della norma in questione e dell'art. 669-novies, comma 1, c.p.c., non si applicano ai provvedimenti d'urgenza emessi ai sensi dell'art. 700 c.p.c. e agli altri provvedimenti cautelari idonei ad anticipare gli effetti della sentenza di merito, sia essi previsti dal codice civile che dalle leggi speciali, nonché ai provvedimenti conseguenti alle azioni di nunciazione, ossia alla denuncia di nuova opera e di danno temuto ex art. 688 c.p.c., ma in tali ipotesi ciascuna delle parti può iniziare il giudizio di merito.

Nel rinviare alle pagine che precedono per una ricostruzione del dibattito dottrinale sull'àmbito di estensione dei provvedimenti cautelari «anticipatori», in questa sede è opportuno ricostruire brevemente la questione al fine di tentare di delimitare la sfera applicativa del ricordato comma 6 della disposizione normativa.

La questione, infatti, lungi dall'essere tautologica si presenta essenziale; per delimitare l'àmbito della strumentalità attenuata o debole (che consente di evitare l'instaurazione del giudizio di merito nel termine perentorio previsto dal comma 1 della norma) è necessario stabilire quali provvedimenti cautelari rientrino nel regime in oggetto e mantengano, quindi, la loro efficacia pur se non viene tempestivamente instaurato il giudizio di merito stesso.

In precedenza, abbiamo già potuto vedere come si alternino posizioni più restrittive rispetto al novero dei provvedimenti cautelari anticipatori e posizioni ampliative della nozione. Secondo la tesi che possiamo definire più rigida, e quindi restrittiva, sono provvedimenti cautelari anticipatori soltanto quelli che producono in via cautelare effetti coincidenti, totalmente o parzialmente, con quelli che saranno prodotti dalla successiva pronuncia di merito (Consolo 2003, 1519; Balena, 334; Ghirga, 793); all'interno di questo orientamento definito restrittivo, vi è chi allarga leggermente la nozione affermando che sono anticipatori i provvedimenti cautelari che abbiano un contenuto almeno «simile» rispetto a quello che avrà, appunto, la pronuncia di merito (Guaglione, 484). Vi è, invece, chi si pone in un'ottica diversa, ritenendo che sia maggiormente in linea con l'intento avuto di mira dal legislatore della riforma, ritenere che il novero dei provvedimenti cautelari anticipatori debba estendersi a tutti quei provvedimenti cautelari che pur non rispondendo alla definizione prima riportata, e quindi non avendo un contenuto parzialmente o totalmente simile rispetto a quello della futura sentenza di merito, realizzino comunque un risultato pratico parificabile a quello ottenibile per il tramite di tale pronuncia (Saletti 2006, 25; Caponi 2005, 137; Dalmotto 2006, 1247; Menchini 2006, 85). Sempre in un'ottica estensiva della nozione e dell'àmbito applicativo dei provvedimenti cautelari anticipatori, si è suggerito di non utilizzare come parametro il confronto tra gli effetti propri del provvedimento cautelare e quelli perseguibili con la futura sentenza di merito, considerando peraltro che il provvedimento cautelare è inidoneo a realizzare in modo stabile quegli effetti che saranno concretamente conseguibili in via definitiva soltanto con l'accertamento che si avrà all'esito del giudizio di merito a cognizione piena. Il provvedimento cautelare anticipatorio in quest'ottica avrebbe il pregio di creare una situazione fattuale tale da consentire la tutela del diritto vantato dal beneficiario del provvedimento ma soltanto nell'attesa della – ormai non necessaria ma soltanto eventuale – tutela di merito. Con la conseguenza che meglio sarebbe confrontare non già il contenuto e gli effetti delle due pronunce ma il risultato conseguibile con l'attuazione del provvedimento cautelare anticipatorio e con l'esecuzione forzata della sentenza di merito, onde stabilire la natura anticipatoria o meno del provvedimento stesso (Sassani, Luiso, 21; Comastri, 173; Recchioni 2005, 98, sulla base di una più generale ricostruzione per cui l'oggetto del processo cautelare non è dato dal diritto soggettivo ma dall'interesse materiale del ricorrente). Nello stesso senso, si è affermato che ad esempio anche un provvedimento cautelare che normalmente viene ascritto al novero dei conservativi potrebbe rivestire natura anticipatoria se abbia per il beneficiario l'effetto di anticipare la situazione di fatto che si creerebbe ove vi fosse una pronuncia di merito favorevole, ad es. procurando alla parte beneficiaria la custodia delle azioni che siano state oggetto di sequestro con i conseguenti, ad esse collegati, diritti di voto (Dalmotto 2006, 1248).

Il dibattito – come si può ben immaginare – non è soltanto astratto e dai risultati meramente teorici. È chiaro che inscrivere un provvedimento cautelare nel novero o meno di quelli anticipatori significa modificarne sensibilmente il regime della strumentalità, a tutto vantaggio del beneficiario che sarà in concreto esonerato dall'onere di instaurare il giudizio di merito nel termine perentorio previsto dalla legge o dal giudice.

Si è giustamente rilevato come sia rappresentativa dei problemi pratici derivanti da tale inquadramento riguardo la questione sorta rispetto alla natura dell'istanza cautelare di revoca degli amministratori delle società a responsabilità limitata proposta ai sensi dell'art. 2746, comma 3, c.c. che, per coloro che ampliano l'àmbito delle misure cautelari anticipatorie, è diretta ad ottenere questo provvedimento rispetto alla pronuncia di accoglimento dell'azione sociale di responsabilità perché strumentale alla garanzia del risultato pratico ottenibile con l'azione in parola; in tal modo infatti si evita che la permanenza in carico dell'amministratore nel corso del giudizio nel quale si dibatte della sua responsabilità, determini ulteriori danni patrimoniali in capo alla società a causa delle irregolarità nella gestione (Giordano 2006, 1281; Giordano, 165; Querzola, 815).

In giurisprudenza, si è precisato che il ricorsoexart. 2476, comma 3, c.c. può essere proposto sia contestualmente all'atto di citazione per il giudizio di merito – atteso che avendo tale provvedimento un'evidente natura anticipatoria, non è ad esso applicabile l'art. 669-octies c.p.c. – sia ante causam, ma in tale ipotesi non è obbligatoria l'instaurazione del giudizio di merito (Trib. Salerno 21 febbraio 2006); l'azione cautelare di revoca anticipata dell'amministratore, prevista dall'art. 2476, comma 3, c.c., si configura come una misura tipica volta a garantire, in termini anticipatori, un'azione di merito avente ad oggetto la revoca dell'amministratore in carica inadempiente, e cioè un'azione promossa dal singolo socio nel nome proprio, ma nell'interesse della società, volta ad ottenere la pronuncia costitutiva dell'effetto di «anticipata» risoluzione, per grave inadempimento del mandato ad amministrare che lega giuridicamente l'amministratore alla società, nello stesso modo in cui, nelle società di persone ciascun socio può promuovere anche l'azione di revoca dell'amministratore per giusta causa prevista dall'art. 2259, ultimo comma, c.c., se del caso in sede cautelare, onde anticipare gli effetti della decisione di merito a norma dell'art. 700 c.p.c., in mancanza di un'azione cautelare tipica (Trib. Santa Maria Capua Vetere 15 novembre 2004). Contra, invece, si è sostenuto che la revoca cautelare degli amministratori di una società a responsabilità limitata ex art. 2476, comma 3, c.c., non può essere domandata prima dell'instaurazione della causa di merito ed è altresì inammissibile la proposizione ante causam dell'istanza cautelare di revoca degli amministratori in via d'urgenza ai sensi dell'art. 700 c.p.c. (Trib. Vercelli 28 settembre 2005).

Da ultimo, risulta interessante la qualificazione del provvedimento di accoglimento pronunciatoex art. 87- bisdella l.fall. (r.d. n. 267/1942 e successive modificazioni). La norma prevede al comma 1 che, in deroga a quanto previsto dagli articoli 52 e 103, i beni mobili sui quali i terzi vantano diritti reali o personali chiaramente riconoscibili possono essere restituiti con decreto del giudice delegato, su istanza della parte interessata e con il consenso del curatore e del comitato dei creditori, anche provvisoriamente nominato.

Secondo l'opinione dominante il provvedimento reso dal giudice delegato ai sensi della norma in questione non ha natura né decisoria né definitiva tanto che contro di esso non è esperibile il ricorso straordinario in cassazione. Da ultimo, la Cassazione ha affermato che il provvedimento di accoglimento ex art. 87-bis della l.fall. sarebbe un provvedimento assimilabile a quelli cautelari anticipatori di cui all'art. 669-octies, comma 6, c.p.c.

Secondo la costante giurisprudenza del Supremo Collegio, il ricorso straordinario in cassazione di cui all'art. 111, comma 7, Cost. è proponibile contro ogni provvedimento giurisdizionale, anche se emesso in forma di decreto o di ordinanza, purché abbia i caratteri della decisorietà e della definitività, cioè incida su diritti soggettivi, con la conseguenza che ove fosse sottratto all'impugnazione provocherebbe a colui il cui diritto è stato sacrificato un pregiudizio non riparabile (tra le moltissime pronunce, v. Cass. S.U., n. 2333/1982; Cass. III, n. 10069/2010; Cass. VI, n. 15949/2011; Cass. I, n. 24155/2014; Cass. II, n. 5738/2019). Questi caratteri, secondo la Suprema Corte, non ricorrono nel provvedimento reso dal giudice delegato ai sensi dell'art. 87-bisdella l.fall.; infatti, come indicato nella Relazione accompagnatoria del d.lgs. n. 5/2006, che ha introdotto l'art. 87-bis nel corpo della legge fallimentare, la norma è diretta ad «assecondare esigenze di certezza dei traffici commerciali e di semplificazione» con riguardo a diritti personali o reali dedotti dai terzi che siano chiaramente riconoscibili, e, prevedendo una deroga alla regola generale dell'obbligatorietà del procedimento previsto dall'art. 103 della l.fall. è diretta ad agevolare la restituzione dei beni ai terzi in questione in sede di inventario. Secondo la Corte, in linea con l'interpretazione dottrinale maggiormente condivisibile, l'espressione «chiaramente riconoscibili» deve essere intesa nel senso che il diritto su tali beni deve essere non contestato e anche oggettivamente non contestabile, ossia certo al di là di ogni ragionevole dubbio. Questo rende ragione del fatto che il legislatore abbia previsto nell'art. 87-bis, comma 1, della l.fall. che, presentata l'istanza da parte del terzo, sia acquisito il consenso del curatore e del comitato dei creditori, in assenza del quale non si potrà disporre la restituzione dei beni; tale consenso, comunque, se espresso, non è vincolante per il giudice delegato. In caso tale consenso non sia prestato i terzi dovranno instaurare il procedimento disciplinato dall'art. 103 della l.fall. Ad avviso dei giudici di legittimità, il provvedimento di rigetto reso ai sensi dell'art. 87-bisdella l.fall., che non esclude per il terzo la possibilità di ottenere la stessa tutela nella diversa sede della verifica del passivo e con il procedimento già ricordato dell'art. 103 della l.fall., non ha natura né decisoria né definitiva; ad identica affermazione deve giungersi anche qualora l'istanza proposta ai sensi dell'art. 87-bis della l.fall. sia accolta, perché proprio le caratteristiche strutturali dello speciale procedimento previsto dalla norma, ossia la necessità del consenso del curatore e del comitato dei creditori, la chiara riconoscibilità del diritto alle restituzioni, la deroga espressa al regime probatorio ordinario per accertare il diritto, la semplificazione del procedimento, depongono tutte nel senso che il provvedimento in questione sia assimilabile a quelli cautelari di cui all'art. 669-octies, comma 6, c.p.c. che, sebbene diretti ad un accertamento provvisorio e non definitivo dei diritti controversi e privi di idoneità al giudicato, sono idonei ad anticipare gli effetti della sentenza di merito (Cass. I, n. 10833/2021).

In ogni caso, secondo la dottrina, il giudice del provvedimento cautelare non ha al riguardo alcun potere di qualificazione del provvedimento emanato ante causam, perché la qualificazione dipende direttamente dalla legge; sicché non avrà nessun rilievo per la parte beneficiaria del provvedimento l'eventuale fissazione di un termine per instaurare il successivo processo di merito laddove sia stato concesso un provvedimento anticipatorio, perché deve comunque applicarsi il regime che la legge detta rispetto ai provvedimenti cautelari con strumentalità debole o attenuata (Luiso, Sassani, 223; Saletti 2006, 31; Dalmotto 2006, 1260; Buoncristiani, 116). Anche ove giudice abbia dimenticato di fissare il termine per iniziare il giudizio di merito anche se si tratti di un provvedimento cautelare conservativo, deve comunque essere applicata la norma dell'art. 669-octies, comma 2, c.p.c. (Saletti 2006, 31; Caponi 2005, 137). Della questione ci occuperemo funditus nel prosieguo.

Anche se per i provvedimenti cautelari anticipatori non è necessario instaurare a pena di inefficacia il giudizio di merito, tuttavia la norma non vieta tale proposizione ma semplicemente la facoltizza rimettendola alla volontà delle parti interessate. Ne deriva che va comunque coordinata la strumentalità del provvedimento cautelare anticipatorio con il successivo, pur se eventuale, giudizio di merito. Detto in altri termini, il fatto che il giudizio di merito possa anche non essere mai proposto non toglie che esso potrebbe essere instaurato ed è pertanto necessario verificare quale sia il relativo regime intendendosi con questo la fase introduttiva e il relativo procedimento. Ciò significa che si applicheranno anche ai provvedimenti con contenuto anticipatorio le norme relative alla competenza exartt. 669-bis e 669-ter c.p.c., ma anche rispetto alla forma del ricorso introduttivo e alle modalità individuate dal procedimento cautelare uniforme per la designazione del giudice.

Un elemento essenziale che non potrà, comunque, mancare nel ricorso introduttivo è la determinazione della causa di merito in funzione della quale è comunque concesso il provvedimento pur se in ipotesi non dovesse essere mai introdotta; non solo ma siccome non è soltanto – ed anzi probabilmente non è mai – la parte beneficiaria del provvedimento anticipatorio ad essere interessata alla proposizione del giudizio di merito una volta che abbia ottenuto la misura cautelare richiesta, bensì l'altra parte, è proprio a vantaggio del convenuto che va individuata espressamente nel ricorso per il provvedimento cautelare il contenuto della futura domanda di merito.

La dottrina è concorde nel ritenere che l'attenuazione della strumentalità non esoneri dall'applicazione delle disposizioni normative che prevedono l'individuazione del futuro giudizio di merito all'interno del ricorso per il provvedimento cautelare visto che comunque il provvedimento è concesso in funzione del giudizio di merito, sia pur eventuale, e che la norma dell'art. 669-octies c.p.c. stabilisce che «ciascuna parte può iniziare il giudizio di merito» (Saletti 2015, 296; Borghesi 2007, 79; Carratta 2013, 128; Comastri 187; Tiscini 2009, 140; contra, Biavati, 567; Id. 2013, 720).

A livello procedimentale valgono comunque le regole poste dall'art. 669 -sexies c.p.c. e, pertanto, si applicheranno i differenti binari procedimentali previsti dalla disposizione normativa. In particolare, la norma disciplina due diversi binari; un primo binario, quello «ordinario» è quello disciplinato dal comma 1: il giudice, nel necessario rispetto del contraddittorio e quindi «sentite le parti» omessa ogni formalità non essenziale al contraddittorio stesso, espleta gli atti di istruzione indispensabili e accoglie o rigetta la domanda cautelare con ordinanza. Il secondo binario, quello senza contraddittorio, è disciplinato dal comma 2: il giudice, quando la convocazione della controparte può pregiudicare l'attuazione del provvedimento, provvede con decreto motivato, assunte, se necessarie, sommarie informazioni. Poiché in questa ipotesi è mancato il contraddittorio tra le parti, il giudice con lo stesso decreto fissa l'udienza di comparizione delle parti davanti a sé in un termine non superiore a 15 giorni, assegnando contestualmente all'istante un termine perentorio – non superiore a otto giorni – per la notificazione alla controparte del ricorso e del decreto. Il fine dell'udienza è di consentire al giudice di confermare, modificare o revocare, con ordinanza, il provvedimento emesso con decreto e senza contraddittorio.

Se si utilizzerà il procedimento c.d. ordinario, l'esito normale del procedimento stesso, a tenore dell'art. 669-sexies, comma 1, c.p.c. sia la pronuncia del provvedimento ordinatorio dopo aver sentito le parti interessate nel rispetto del principio del contraddittorio. Il comma 1 della norma parla di audizione delle parti con l'espressione «sentite le parti» e il comma 2 parla testualmente di «convocazione» delle stesse.

Il procedimento, come si evince dalla lettura del comma 1 dell'art. 669-sexies c.p.c. è caratterizzato da una grande semplificazione e da una delega tutto sommato in bianco alla discrezionalità del giudice adìto per la misura cautelare, il quale può omettere tutte le formalità che non appaiano essenziali rispetto alle esigenze dettate dal contraddittorio e anche limitare gli atti di istruzione a quelli indispensabili in relazione ai presupposti e ai fini del provvedimento richiesto, provvedendo poi con ordinanza. Ciò che non può mancare è, alla luce dell'art. 669-sexiesc.p.c., l'audizione delle parti e, tecnicamente, dell'intimato-resistente; andrà pertanto sempre convocato e sentito il soggetto contro il quale la domanda cautelare è proposta. Ai sensi dell'art. 669-sexies, comma 1, c.p.c., il giudice, sentite le parti, omessa ogni formalità non essenziale al contraddittorio, procede nel modo che ritiene più opportuno agli atti di istruzione indispensabili in relazione ai presupposti e ai fini del provvedimento richiesto. Non vi è, quindi, alcuna preventiva fissazione da parte del legislatore di specifiche forme e termini quanto agli atti istruttori «indispensabili» rispetto al provvedimento richiesto dalla parte. In particolare, l'art. 669-sexies c.p.c. stabilisce che sentite le parti – personalmente o a mezzo dei loro difensori – il giudice procede al compimento degli «atti di istruzione» che appaiano «indispensabili» in relazione ai presupposti e ai fini del provvedimento richiesto. Si è sottolineato come l'espressione normativa colga l'essenza della cognizione e del procedimento sommario, sancendo l'assenza di predeterminazione legale di forme e termini rispetto alla allegazione dei fatti a fondamento di domande ed eccezioni, agli strumenti probatori e alle relative modalità di acquisizione, ai termini a difesa, con conseguente rimessione al potere discrezionale del giudice, con il solo limite della coerenza con le finalità della tutela cautelare in concreto domandata al giudice.

In sostanza, nel procedimento cautelare uniforme sono consentiti senz'altro i mezzi di prova tipici del processo ordinario di cognizione ma, fermo restando che il giudice procede solo all'attività istruttoria indispensabile al giudizio di verosimiglianza richiesto dalla tutela cautelare, si ritiene consentita, come vedremo oltre, nel rispetto del contraddittorio, oltre all'assunzione di «sommarie informazioni» anche l'acquisizione di «prove atipiche» quali dichiarazioni di scienza delle parti o di terzi, informazioni da uffici o da pubblici ufficiali, ispezioni, al di fuori dell'osservanza delle modalità e limiti legali.

Si potrà, invece, seguire il procedimento senza contraddittorio; il procedimento cautelare inaudita altera parte è a tutti gli effetti di un sub-procedimento rispetto a quello «ordinario» previsto dall'art. 669-sexies, comma 1, c.p.c. A norma dell'art. 669-sexies, comma 2, c.p.c., quando la convocazione della controparte potrebbe pregiudicare l'attuazione del provvedimento, il giudice provvede – invece che con ordinanza all'esito del contraddittorio – con decreto motivato, assunte, ove occorra sommarie informazioni. In questo caso deve però garantire la successiva instaurazione del contraddittorio e, a tal fine, deve, come già anticipato, fissare con lo stesso decreto l'udienza di comparizione delle parti innanzi a sé in un termine non superiore a quindici giorni, dando, contemporaneamente, all'istante, un termine perentorio non superiore ad otto giorni per la notifica del ricorso e del decreto.

La norma è sufficientemente chiara nel richiedere presupposti specifici per l'attivazione del procedimento e della decisione inaudita altera parte. Si tratta di un procedimento eccezionale, da seguire solo laddove siano integrati gli elementi specificamente previsti dalla disposizione normativa. In particolare, lo specifico presupposto richiesto dalla norma per procedere senza contraddittorio (contraddittorio che va comunque ripristinato il prima possibile) è il pericolo che la convocazione della controparte possa costituire un pregiudizio per l'attuazione del provvedimento cautelare.

Se rispetto ai sequestri e in generale ai provvedimenti conservativi, è facile ipotizzare che la convocazione della controparte possa pregiudicare l'attuazione del provvedimento, non così semplice è la stessa deduzione rispetto ai provvedimenti anticipatori in cui l'esigenza di provvedere all'emanazione della misura cautelare inaudita altera parte non può certo farsi risiedere nel pericolo della infruttuosità dell'esecuzione ma, piuttosto, nel pericolo di una attuazione tardiva rispetto alle esigenze cautelari avute di mira dal provvedimento stesso.

Vi sono, infatti, alcune ipotesi in cui la necessità di emanare il provvedimento inaudita altera parte deriva da una esigenza non di fruttuosità ma di tempestività della misura cautelare concessa (così Salvaneschi, 404); in sostanza, ci sono determinate fattispecie in cui l'urgenza di provvedere in via cautelare è talmente forte da non permettere nemmeno l'attesa della convocazione della controparte per la realizzazione del contraddittorio (Luiso, Sassani, 50).

Tecnicamente, pertanto, il presupposto previsto dall'art. 669-sexies, comma 2, c.p.c., ossia il fatto che la convocazione della controparte possa pregiudicare l'attuazione del provvedimento cautelare richiesto, potrebbe predicarsi senza problemi per quei provvedimenti in cui tale convocazione possa pregiudicare la fruttuosità del provvedimento; non può altrettanto semplicemente predicarsi per quei provvedimenti rispetto ai quali non si possa rischiare in termini di fruttuosità ma semplicemente di tardività. A questo punto, la soluzione può essere di due tipi: a) o predicare l'esistenza di un doppio binario e quindi ipotizzare che il legislatore abbia inteso differenziare i due tipi di provvedimenti cautelari e limitare solo ai conservativi la possibilità dell'emanazione del provvedimento inaudita altera parte; b) oppure ritenere, a dispetto della testuale formulazione dell'art. 669-sexies, comma 2, c.p.c., che il procedimento inaudita altera parte si applichi indistintamente ad ogni tipo di provvedimento cautelare, sia esso conservativo, sia esso anticipatorio.

Se sposare la soluzione sub a) ha senz'altro il pregevole merito di rimanere fedeli al dato testuale della lettera della legge, dall'altro lato, essa sconta il rischio di limitare l'effettività della tutela cautelare nel suo complesso. La soluzione sub b), pertanto, seppur meno aderente al dato testuale risultante dalla formulazione della norma sul procedimento cautelare, appare quella più idonea a tutelare anche il danno da tardività della pronuncia cautelare che si verifica ogni volta che la mera conoscenza da parte dell'intimato della pendenza del procedimento cautelare, possa incidere sulla utilità della misura poi eventualmente ottenuta.

È senz'altro la soluzione sub b ) che ha preso maggiore piede nella dottrina e che può dirsi, quindi, dominante. Se, da un lato alcuni ritengono preferibile la tesi che limita il procedimento inaudita altera parte alle ipotesi di rischio di fruttuosità (Attardi, 239; Consolo 1991, 471; Cecchella, 52), la maggior parte degli autori ritiene preferibile la soluzione differente che amplia senz'altro lo spettro della tutela cautelare in termini di effettività della stessa (Carratta, 208; Merlin, 404; Proto Pisani, 19; Vianello, 69; con ulteriori riferimenti; Salvaneschi, 404). Altri autori ancora, pur propendendo per la soluzione sub b), evidenziano come l'urgenza di cui all'art. 669-sexies, comma 2, c.p.c., abbia i caratteri della eccezionalità (Finocchiaro 1995, 873; Acone, 427; Saletti, 368). Peraltro, si è giustamente sottolineato come non ci si trovi in presenza di un procedimento che elimina del tutto il contraddittorio, ma di uno schema procedimentale che semplicemente lo differisce; sicché, confrontando l'interesse del ricorrente in sede cautelare ad ottenere una pronuncia inaudita altera parte in tutti quei casi in cui la convocazione della stessa rischierebbe di pregiudicare l'utilità del provvedimento (utilità intesa nel senso ampio suesposto), con l'interesse dell'altra parte alla realizzazione immediata del contraddittorio, deve essere necessariamente il primo interesse a prevalere (Salvaneschi, 405).

Con riferimento agli effetti della domanda di provvedimento cautelare anticipatorio, esso produrrà gli effetti propri di ogni misura cautelare, ossia l'effetto interruttivo della prescrizione, compreso quello permanente finché non sia decorso il termine per la proposizione del reclamo cautelare o sia esaurito il procedimento di reclamo. La domanda di provvedimento cautelare anticipatorio avrà anche effetti impeditivi della decadenza.

La tesi relativa alla interruzione della prescrizione non è universalmente accettata. Vi è, infatti, chi ritiene, in linea con quanto appena esposto, che al provvedimento cautelare anticipatorio consegua sia l'effetto interruttivo istantaneo che permanente della prescrizione (Borghesi 2007, 83). Vi è, invece, chi afferma che l'effetto sospensivo si verifichi soltanto se prima della scadenza del termine venga instaurato il procedimento di merito, perché altrimenti l'art. 2945, comma 2, c.c. non si applicherebbe (Caponi 2005, 136). Secondo altri, infine, non si verificherebbe alcun effetto interruttivo della prescrizione con la pronuncia di un provvedimento cautelare a strumentalità attenuata (Dalmotto, 1265, che fonda la sua tesi sull'utilizzo da parte dell'art. 2943 c.c. del termine conservativo che sembrerebbe pertanto limitare l'effetto interruttivo alle sole misure conservative). Quanto all'effetto impeditivo della decadenza, la dottrina è generalmente concorde (Saletti 2015, 297; Caponi 2005, 136; contra, Borghesi 2007, 84; Menchini 2006, 87).

L'ordinanza concessiva del provvedimento cautelare anticipatorio non dovrà contenere la qualificazione del relativo provvedimento, né tantomeno indicare il termine per l'instaurazione del successivo giudizio di merito ove sia concesso un provvedimento ex art. 700 c.p.c., ovvero una denuncia di nuova opera o danno temuto o altro provvedimento idoneo ad anticipare gli effetti della decisione di merito, secondo la formulazione testuale dell'art. 669-octies, comma 6, c.p.c.Ci si domanda cosa accada laddove, pur non dovendo fissare il termine, il giudice ugualmente vi provveda. La soluzione più in linea con il dato normativo pare senz'altro quella che ritiene non operativa la indicazione del termine e non necessaria l'instaurazione del giudizio di merito nonostante la eventuale fissazione, dato che per i provvedimenti cautelari anticipatori vale la regola della strumentalità attenuata.

La dottrina ha, pertanto, criticato l'opinione che ritiene che sia necessario reclamare il provvedimento cautelare anticipatorio che contenga la fissazione del termine in questione, ciò perché la statuizione stessa sarebbe, nei confronti del beneficiario, priva di qualunque valore precettivo (Saletti 2015, 298; Frus 2004, 676; contra, Carratta 2013, 249).

Nel senso dell'irrilevanza della fissazione del termine ove il giudice provveda ugualmente a indicarlo, si è espressa la Corte di Cassazione affermando che qualora il procedimento cautelare ante causam si concluda con un'ordinanza che dichiari cessata la materia del contendere, in tale provvedimento non va fissato il termine perentorio per l'inizio del giudizio di merito né si applica comunque il termine a tal fine previsto dall'art. 669-octies c.p.c.; ove il giudice provveda comunque a fissare tale termine, lo stesso deve ritenersi tamquam non esset (Cass. III, n. 22751/2013).

Ai sensi dell'art. 669-octies, comma 9, c.p.c. – che analizzeremo funditus nel prosieguo – e secondo cui l'autorità del provvedimento cautelare non è invocabile in un diverso processo, il provvedimento cautelare non esplica alcun effetto nel procedimento di merito che sia eventualmente instaurato da una delle parti. Conseguentemente ci si pone il quesito relativo a quale dei due contendenti vada assegnato l'onere della prova.

Si è condivisibilmente affermato che non sussiste alcun problema ove l'iniziativa per l'instaurazione del giudizio di merito seguente alla concessione di un provvedimento cautelare anticipatorio venga presa dalla parte beneficiaria del provvedimento stesso; tale parte, pur avendo già visto accolte le proprie richieste in sede cautelare può infatti promuovere il giudizio di merito al fine di ottenere un accertamento idoneo al giudicato, stabilità che non può avere per il tramite del solo provvedimento cautelare (Saletti 2015, 309; Balena, in Balena, Bove, 342; Comastri, 192; Guaglione, 150).

Presumibilmente, tuttavia, l'iniziativa per l'instaurazione del processo di merito seguente alla concessione del provvedimento cautelare anticipatorio sarà presa dall'altra parte, ossia quella non beneficiaria del provvedimento che avrà interesse a far valere i propri diritti in sede ordinaria. Ci si domanda conseguentemente come si atteggi in questo caso l'onere della prova, tenendo conto del fatto che laddove su di lui incomba l'onere di provare l'inesistenza del diritto la cui presumibile fondatezza è stata verificata in sede di concessione del provvedimento cautelare, ovvero se questo onere incomba sul convenuto che è in realtà sostanzialmente il beneficiario, ricorrente in sede cautelare. In sostanza, i dubbi che si pongono, sulla scorta di questa opinione, sono sul se si possa ricostruire questa ripartizione dell'onere della prova alla stessa stregua di come esso si atteggia in sede di giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo. In questo giudizio, è noto la posizione di attore con i relativi oneri spetta sempre al creditore istante in fase monitoria, anche se egli assume il ruolo solo formale di convenuto in sede di opposizione. Pertanto, restando invariata la posizione sostanziale delle parti l'onere della prova del credito incombe sempre sul creditore opposto secondo le regole normali, mentre all'opponente spetta l'onere di provare i fatti estintivi, modificativi e impeditivi del diritto fatto valere in sede di procedimento monitorio.

La dottrina dominante ritiene che la soluzione debba essere quella di ritenere, pur in mancanza di una previsione normativa in tal senso, che l'onere della prova incomba comunque sul convenuto formale ossia su colui che è beneficiario della misura cautelare anticipatoria (Proto Pisani 2005, 93; Balena, in Balena, Bove, 342; Biavati 2006, 568; Carratta 2013, 274; Saletti 2015, 310). Ciò perché – si è precisato – il fatto che il provvedimento cautelare non rivesta alcuna autorità in processi diversi da quello in cui è stato pronunciato, esclude la possibilità che il beneficiario possa servirsene per modificare le regole ordinarie in tema di onere della prova, con la conseguenza che l'onere di provare l'esistenza del diritto posto alla base della richiesta di provvedimento cautelare anticipatorio continuerà a gravare sul soggetto che ha ottenuto il provvedimento (Saletti 2015, 310). Si è inoltre specificato che proprio il disposto dell'art. 669-octies, comma 6, c.p.c. induce a questa soluzione visto che, nel momento in cui afferma che ciascuna parte può iniziare il giudizio di merito si riferisce al giudizio diretto all'accertamento del proprio diritto ad opera di colui che sia stato beneficiario di una misura cautelare, in maniera corrispondente a quanto sopra detto in tema di giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo e onere della prova delle parti (Luiso, Sassani 2006, 223 che parlano di provocatio ad probandum; Saletti 2015, 310).

Infine, un ultimo quesito a livello procedimentale rispetto al giudizio di merito seguente alla concessione di un provvedimento cautelare anticipatorio è senz'altro quello relativo al grado di autonomia tra il giudizio cautelare e il successivo processo di merito. Il riferimento è a quanto già visto supra rispetto al nesso che intercorre tra il giudizio cautelare e quello di merito perché, seppur configurati originariamente dal legislatore in termini di reciproca autonomia, sono stati nel tempo dalla giurisprudenza collegati nel senso di una possibile unitarietà. Il riferimento è ad esempio alla affermazione che la procura rilasciata per il giudizio cautelare possa essere valida anche per il successivo giudizio di merito (si veda giurisprudenza e dottrina riportate supra); alla possibilità di notificare l'atto introduttivo del giudizio di merito nel domicilio eletto per il procedimento cautelare; alla affermazione che la determinazione del giudice competente per la cautela comporta anche la determinazione del giudice competente per il processo di merito laddove il provvedimento cautelare sia richiesto e concesso prima dell'inizio della causa di merito stessa; infine alla determinazione della litispendenza che viene fatta retroagire alla data di instaurazione del procedimento cautelare.

In dottrina, si è giustamente evidenziato come non sia possibile fornire una risposta univoca al se tali soluzioni, predicate con riferimento al giudizio di merito seguente alla concessione di un provvedimento conservativo, possano anche mutuarsi per il giudizio di merito successivo alla concessione di un provvedimento anticipatorio. Se non vi sono difficoltà a ritenere che la procura rilasciata per il procedimento cautelare possa spiegare effetto anche nel successivo giudizio di merito ove vi sia una espressa previsione in tal senso, sembra più complicato predicarlo se la procura non sia esplicita sulla questione; ugualmente sembra possibile ritenere che l'atto di citazione introduttivo del giudizio di merito sia notificato nel domicilio eletto per il procedimento cautelare ove questa elezione di domicilio si trovi all'interno di una procura conferita sia per il cautelare che per il merito. Non sarebbe, invece, possibile predicare la coincidenza tra la competenza per il merito e quella cautelare perché i due giudizi sono strutturalmente autonomi e stessa soluzione dubbia può predicarsi con riferimento alla retrodatazione della litispendenza vista soprattutto la mancanza di un termine specifico entro cui instaurare il giudizio di merito prevista per le misure cautelari anticipatorie (questi e altri rilievi in Saletti 2015, 312).

In giurisprudenza, con riferimento specifico alla competenza ai fini del successivo giudizio di merito e della litispendenza si è detto che l'instaurazione di un procedimento ex art. 700 c.p.c. ai fini della reintegrazione nel posto di lavoro, non determina il definitivo radicamento della competenza dell'ufficio giudiziario adìto anche ai fini del successivo giudizio di merito, in quanto la regola posta dall'art. 39, comma 3, c.p.c., riferisce la prevenzione all'introduzione del giudizio di merito e non alla proposizione della domanda cautelare (Cass. VI, n. 11778/2014). Nello stesso senso, si è osservato che il convenuto in un procedimento cautelare può eccepire questioni di competenza anche dopo l'emissione della misura cautelare. È da escludersi, infatti, che una volta emessa la misura cautelare la competenza sul giudizio di merito si consolidi definitivamente in capo all'ufficio giudiziario adìto in sede cautelare a causa del silenzio serbato dalle parti e dal giudice (Cass. III, n. 2505/2010).

Il problema della qualificazione delle misure cautelari, se anticipatorie o conservative

Nelle pagine che precedono abbiamo già visto, sia pur brevemente, che, alla luce della riforma della strumentalità delle misure cautelari, si pone il problema di stabilire quale giudice debba provvedere alla qualificazione del provvedimento cautelare in termini di anticipatorio o conservativo.

Secondo la prevalente dottrina, il giudice della cautela non avrebbe alcun potere di qualificare il provvedimento dato che la natura dello stesso dipende direttamente dalla legge e, ragionando diversamente, ossia consentendo al giudice della cautela di stabilire quale sia l'efficacia del provvedimento si verificherebbe una violazione del principio della riserva di legge (in questo senso, v. Olivieri 2005, 3). Con la conseguenza che non ha rilevanza per colui che ha chiesto e ottenuto il provvedimento cautelare il fatto che il giudice abbia fissato il termine per iniziare il giudizio di merito laddove il provvedimento concesso sia di natura anticipatoria atteso che per questo provvedimento il regime è quello della strumentalità attenuata e che, pertanto, deve prevalere il regime previsto per legge rispetto all'erronea indicazione del termine da parte del giudice della cautela (Luiso, Sassani 2006, 223; Saletti 2006, 31; Dalmotto 2006, 1260).

Non constano molti precedenti in giurisprudenza. In uno dei più rilevanti, si è affermato che se il giudice concede un provvedimento cautelare ante causam e non fissa il termine per l'instaurazione del giudizio di merito sull'assunto dell'applicabilità del regime della strumentalità attenuata, tale qualificazione non prevale su quella corretta differente: ne deriva che il giudice adìto ex art. 669-novies c.p.c. può dichiarare l'inefficacia del provvedimento cautelare per mancata instaurazione dello stesso nel termine suppletivo posto dall'art. 669-octies, comma 2, c.p.c., laddove ritenga la stessa necessaria in ragione della natura del provvedimento (App. Milano 14 febbraio 2007).

Pertanto, non occorre svolgere uno specifico reclamo sul punto per impedire che, anche laddove l'instaurazione del giudizio di merito sia necessaria in base alla legge, e contro l'opinione espressa dal giudice della cautela, il provvedimento assunto si traduca in una sostanziale autorizzazione alla non instaurazione del giudizio in questione. Ciò perché l'art. 669-octies, comma 2, c.p.c. prevede che, laddove il giudice non abbia fissato il termine per l'inizio del giudizio di merito, questo debba comunque essere instaurato entro sessanta giorni. La norma, quindi, nel fissare in via sussidiaria un termine, nel caso che non sia stato fissato dal giudice, non distingue se tale termine serva nell'ipotesi in cui l'omissione dipende dalla dimenticanza del giudice ovvero da un provvedimento negativo motivato sul punto. Quindi, il termine sussidiario previsto dall'art. 669-octies, comma 2, c.p.c. opera sia che si verifichi una mera omissione del giudice, sia che il giudice abbia erroneamente qualificato il provvedimento e ritenuto non operante il termine.

La dottrina si è espressa in favore di questa soluzione, affermando che l'assegnazione del termine è una chiara prova del fatto che il giudice ha ritenuto di aver concesso un provvedimento conservativo, mentre non è certo che nel caso opposto il giudice abbia ritenuto di aver pronunciato un provvedimento anticipatorio. Ciò perché l'art. 669-octies, comma 2, c.p.c. prevede che intervenga il termine «sussidiario» previsto dalla disposizione in caso di mancata fissazione dello stesso da parte del giudice mentre non vi è una disposizione specifica che si possa applicare per il caso inverso, ossia quello in cui il giudice ritenendo di aver concesso un provvedimento anticipatorio non abbia fissato il termine per l'instaurazione del giudizio di merito e dovendosi in tale ipotesi scegliere per una applicazione estensiva della regola stabilita in via sussidiaria dall'art. 669-octies, comma 2, c.p.c. (Balena, in Balena, Bove 2006, 341). Si è rilevato che questo orientamento sia della dottrina che della giurisprudenza in punto di qualificazione del provvedimento cautelare si pone in consapevole contrasto con la giurisprudenza del tutto pacifica che afferma, in applicazione del principio dell'apparenza, che per individuare il mezzo di impugnazione che deve essere utilizzato contro una determinata pronuncia deve avere rilievo determinante la qualificazione, sia espressa che esplicita, che sia stata assegnata dal giudice del merito alla situazione controversa (Panzarola, Giordano 2016, 65).

La giurisprudenza sul principio da ultimo affermato è costante nel senso appena esposto. Infatti, si sostiene che, al fine della individuazione del mezzo di impugnazione contro la decisione pronunciata in sede di contestazione inerente al procedimento esecutivo, assume rilievo decisivo la qualificazione espressa o implicita data dal giudice del merito al rapporto controverso, con la conseguenza che è esperibile l'appello ove l'azione sia stata qualificata come opposizione all'esecuzione indipendentemente dalla esattezza dell'inquadramento effettuato (Cass. III, n. 8103/2007; Cass. III, n. 11764/2006). Ugualmente si è detto che l'identificazione del mezzo di impugnazione esperibile contro un provvedimento giurisdizionale deve essere fatta in base al principio dell'apparenza e cioè con riferimento esclusivo alla qualificazione dell'azione proposta effettuata dal giudice a quo, sia essa corretta o meno, ed a prescindere dalla qualificazione che ne abbiano dato le parti; tuttavia, occorre verificare se il giudice a quo abbia inteso effettivamente qualificare l'azione proposta, o se abbia fatto in riferimento ad essa una affermazione meramente generica, in quanto, se si ritiene che il potere di qualificazione non sia stato esercitato dal giudice a quo, esso può essere esercitato dal giudice ad quem, e ciò non solo ai fini del merito ma altresì dell'ammissibilità dell'impugnazione (Cass. III, n. 4507/2006; Cass. III, n. 16379/2005, conforme in relazione all'applicazione del principio dell'apparenza).

La soluzione in questione che a rigor di logica appare non esatta perché dovrebbe essere rilevante sempre la corretta qualificazione del provvedimento e non, in base all'apparenza, la qualificazione erronea che ne ha dato il giudice del merito, è tuttavia condivisibile perché risponde alla necessità di garantire la certezza.

Si è giustamente rilevato in proposito che, se non si fornisse rilievo alla qualificazione, pur se erronea, data dal giudice del merito rinviando per la decisione al giudice del gravame, le parti dovrebbero per evitare di incorrere in decadenze proporre tutti i mezzi di impugnazione che ipoteticamente si potrebbero esperire contro il provvedimento a seconda della qualificazione dello stesso (Luiso 2021, 272; Panzarola, Giordano, 66). Sicché, mutatis mutandis, con riferimento al provvedimento cautelare erroneamente qualificato sarebbe necessario trovare una soluzione che tuteli maggiormente le parti in particolare non demandando il problema al giudice che deve decidere in ultimo sulla qualificazione, ossia a quello adìto per la dichiarazione di inefficacia ex art. 669-novies c.p.c. (Giordano 2008, 158; Celeste, 389). Proprio in funzione di questa soluzione la dottrina ha suggerito di privilegiare il principio dell'apparenza anche rispetto ai provvedimenti cautelari e, pertanto, laddove il giudice non fissi il termine per instaurare il giudizio di merito ritenendo erroneamente di aver concesso un provvedimento anticipatorio, le parti potrebbero legittimamente non instaurarlo senza che ciò comporti l'inefficacia del provvedimento stesso (Tiscini 2004, 2214). E, infine, sempre nell'ottica di tutelare la parte che diversamente si vedrebbe costretta ad integrare autonomamente il provvedimento, proponendo il giudizio di merito nonostante la mancata fissazione del termine o non provvedendo ad instaurarlo laddove il giudice lo abbia erroneamente fissato, si è proposto di assegnare al giudice adìto per l'inefficacia del provvedimento cautelare il potere di rimettere le parti in termini, in applicazione dell'art. 153, comma 2, c.p.c. La parte potrebbe così essere, appunto, rimessa in termini per instaurare il giudizio di merito laddove il provvedimento, erroneamente qualificato dal giudice della cautela come anticipatorio, fosse, in realtà conservativo (Luiso, Sassani 2006, 223).

Le ultime soluzioni dottrinali citate sono condivisibili perché, pur non togliendo al giudice adìto per la declaratoria di inefficacia il potere di qualificare il provvedimento, permettono di perseguire comunque gli obiettivi di deflazione del contenzioso e di economia processuale in genere perseguiti dal legislatore della riforma del 2005.

Il fine della riforma è quello di consentire una risoluzione della lite addirittura in sede di provvedimento cautelare, senza necessità di ottenere una sentenza definitiva di merito idonea al giudicato e conseguentemente l'orientamento prevalente, secondo cui non ha alcun rilievo la qualificazione esplicita o implicita del provvedimento da parte del giudice della cautela rischia di porre nel nulla queste esigenze e di complicare la determinazione della corretta qualificazione del provvedimento tra anticipatorio e conservativo (v., amplius, Giordano 2007, 158; Panzarola, Giordano, 67; con riguardo al processo societario nello stesso senso si erano già espressi Sassani Tiscini, 50). Contra, tuttavia, si è ricordato che in caso di eventuali contestazioni da parte del destinatario del provvedimento cautelare non si può utilizzare il procedimento semplificato che si conclude con una ordinanza immediatamente esecutiva, ma è necessario utilizzare il giudizio a cognizione piena che si conclude con sentenza (Proto Pisani, 25), con la conseguenza che sarebbe preferibile sposare la tesi giurisprudenziale secondo cui nell'ipotesi di contestazione dell'altra parte il procedimento possa essere deciso utilizzando il rito camerale, pur se debba essere pronunciata comunque sentenza (Guaglione, 197).

Con riferimento a tale questione, si ricorda, però, che, a norma della legge delega di riforma del processo civile – su cui amplius subart. 669-novies c.p.c. – il provvedimento anche in caso di contestazioni dell'altra parte diventerà una ordinanza e pertanto sono superabili i rilievi dottrinali svolti sul punto con riferimento alla complicazione derivante dalla necessità della pronuncia della sentenza.

Nel vigore dell'attuale disciplina, mette punto rammentare comunque come la giurisprudenza di merito abbia più volte affermato che il procedimento, anche a seguito di contestazione dell'altra parte, può seguire le forme camerali più veloci. Si è detto, infatti, che il procedimento promosso per la declaratoria di inefficacia di misura cautelare, ai sensi dell'art. 669-novies, comma 2, c.p.c., in caso di contestazione della parte resistente, viene definito nelle forme della camera di consiglio, senza necessità di restituzione del fascicolo al capo dell'ufficio e deve essere deciso con sentenza dal collegio (Trib. Trani 4 luglio 2000). Nello stesso senso, si è rilevato che, ove tra le parti vi sia contestazione sull'inefficacia della misura cautelare concessa ante causam, il relativo giudizio deve svolgersi nelle forme della camera di consiglio e spetta al collegio la competenza a decidere la controversia (Trib. Piacenza 5 settembre 1995).

Con la conseguenza che la sentenza in questione può essere impugnata con i mezzi di impugnazione ordinari per il grado di giudizio e non già tramite reclamo cautelare.

In questo senso, in giurisprudenza di merito, si è osservato che, presentato il ricorso ex art. 669-novies c.p.c. per ottenere la declaratoria di inefficacia di un provvedimento cautelare ed in presenza di contestazioni da parte del resistente, qualora il giudice investito del ricorso pronunci erroneamente un'ordinanza e non, come avrebbe dovuto, una sentenza, tale provvedimento, ad onta della sua forma di ordinanza, ha nondimeno natura di sentenza in senso sostanziale ed esso deve, di conseguenza, ritenersi soggetto ad appello, come la sentenza di cui tiene luogo, mentre il reclamo proposto dalla parte soccombente deve ritenersi inammissibile (Trib. Monza 15 luglio 1999).

In ogni caso, il giudice chiamato a decidere se il provvedimento cautelare è anticipatorio o conservativo e, quindi, a provvedere alla qualificazione del provvedimento cautelare è il giudice investito della declaratoria di inefficacia ai sensi dell'art. 669-novies c.p.c.

Strumentalità dei provvedimenti cautelari anticipatori previsti dal codice di rito

Senza pretese di completezza e con la riserva dovuta al fatto che le misure cautelari anticipatorie non si esauriscono in quelle disciplinate dal codice di procedura civile ma se ne trovano sparse nelle leggi speciali e nel codice sostanziale, pare opportuno in questa sede discorrere, sia pur brevemente, dei presupposti specifici e del regime di strumentalità dei provvedimenti cautelari disciplinati dal codice di rito.

La strumentalità dei provvedimenti d'urgenza

I provvedimenti d'urgenza sono misure cautelari residuali, atipiche, che il legislatore concede per ovviare al pericolo della tardività della tutela di merito, ossia per evitare che, nelle more dello svolgimento del processo di merito, il diritto vantato dal ricorrente in sede cautelare possa essere pregiudicato in modo irreparabile. Sono provvedimenti a strumentalità senz'altro attenuata dato l'espresso richiamo contenuto nella novellata norma dell'art. 669-octies, comma 6, c.p.c.; questo significa – come ampiamente visto – che il provvedimento d'urgenza è idoneo a rimanere efficace indipendentemente dall'instaurazione del processo di merito e anche laddove questo si estingua.

Per quanto riguarda i presupposti, il provvedimento d'urgenza è caratterizzato dai noti requisiti del fumus boni iuris e del periculum in mora. Per verificare la presenza del fumus boni iuris, il giudice della cautela deve accertare sommariamente l'esistenza della situazione giuridica sostanziale vantata dal ricorrente; per la verifica del periculum in mora, invece, il pregiudizio dovrà assumere, in base al dettato dell'art. 700 c.p.c., la caratteristica del pregiudizio imminente e irreparabile. Quanto alla irreparabilità del pregiudizio è noto come essa sia stata oggetto di un ampio dibattito dottrinale di cui in questa sede è possibile solo far cenno.

Un primo orientamento dottrinale ha, infatti, affermato che potrebbero essere tutelati in via d'urgenza solo i diritti assoluti e non i diritti relativi data la loro inidoneità a subire un pregiudizio irreparabile dall'attesa della tutela di merito, perché surrogabili con il risarcimento del danno. Una seconda tesi ha, invece, aperto alla tutela d'urgenza anche rispetto ai diritti di credito laddove in essi emerga un profilo personalistico della tutela, come ad esempio i crediti alimentari. Il contenuto atipico del provvedimento emerge per la mancanza di una predeterminazione legislativa e la possibilità per il giudice di riempirlo di contenuto concreto sulla base della domanda di parte.

La giurisprudenza consolidata afferma che il provvedimento d’urgenza deve essere respinto quando manchi anche solo uno dei requisiti sopra indicati, ossia il fumus boni iuris o il periculum in mora (in tal senso, di recente, v. Trib. Pistoia 21 ottobre 2021; sul versante dottrinale, BARACCA, La tutela d’urgenza nell’ipotesi di trasferimento illegittimo del lavoratore: la giurisprudenza di merito e di legittimità, in ius.giuffrefl.it).

Quanto alla strumentalità dei provvedimenti d'urgenza vale ovviamente quanto già esposto in generale con riferimento alle misure cautelari anticipatorie di cui i provvedimenti d'urgenza sono il principale esempio, peraltro espressamente richiamati – gli unici insieme alle azioni di nunciazione – dalla novellata previsione dell'art. 669-octies, comma 6, c.p.c.

Abbiamo già visto come, rispetto al provvedimento d'urgenza, il legislatore abbia forgiato un contenuto atipico sia dei presupposti per la concessione che del tipo di provvedimento che il giudice dovrà concedere, tant'è che la norma dell'art. 700 c.p.c. specifica espressamente che il giudice emana i provvedimenti d'urgenza che appaiono, secondo le circostanze, più idonei ad assicurare provvisoriamente gli effetti della decisione di merito. Questo – si è giustamente rilevato – fa sì che tramite il loro utilizzo si possa garantire il pericolo della tardività sia perseguendo finalità di tipo anticipatorio, sia finalità di tipo conservativo.

Il problema che, fino alla riforma del 2005, si era posto da un punto di vista unicamente teorico, si è poi imposto con tutta la sua evidente dirompenza quando il legislatore ha differenziato i provvedimenti cautelari in conservativi e anticipatori, diversificando, altresì il regime della loro strumentalità e assegnando solo ai conservativi il nesso di strutturalità forte e degradando a nesso «debole» o attenuato la strumentalità dei provvedimenti cautelari anticipatori, primi fra tutti i provvedimenti d'urgenza. Ne è esploso con pressante urgenza un interrogativo, ossia se il regime della strumentalità attenuata si debba applicare indiscriminatamente a tutti i provvedimenti d'urgenza indipendentemente dal loro effettivo contenuto, se conservativo o anticipatorio, ovvero se sia necessario discriminare, all'interno del più ampio genus provvedimenti d'urgenza, la species conservativo o anticipatorio ai fini della determinazione del nesso di strumentalità con il giudizio di merito. Proprio l'imporsi di tale interrogativo dimostra, ove ve ne fosse bisogno, come in dottrina fosse comune ritenere che i provvedimenti d'urgenza potessero avere entrambi i contenuti, sia conservativo che anticipatorio, a seconda della valutazione del giudice nel caso concreto ad esso sottoposto in relazione alle esigenze del pericolo evidenziate nel ricorso. Si è, quindi, semplicemente assodata, dall'esame delle fattispecie concretamente emerse nella prassi, l'esistenza di provvedimenti d'urgenza anticipatori, così come di provvedimenti d'urgenza conservativi o addirittura misti, ossia caratterizzati da una natura ambivalente, posta in mezzo tra la funzione conservativa e quella anticipatoria.

La giurisprudenza sul punto è scarna. Si è detto, ad esempio, che non deve essere fissato un termine per l'inizio del giudizio di merito, in caso di domanda cautelare proposta ante causam ai sensi dell'art. 700 c.p.c. e ciò nel caso in cui sia domandato un provvedimento d'urgenza di carattere anticipatorio, sia in quello in cui sia richiesto un provvedimento di urgenza di natura conservativa (Trib. Reggio Calabria 6 novembre 2006). Dalla motivazione della sentenza, si ricava che l'orientamento in parola è teso alla necessità di evitare che il beneficiario del provvedimento d'urgenza, nel dubbio sulla natura anticipatoria o conservativa dello stesso, sia sempre indotto ad instaurare il giudizio di merito per impedire l'inefficacia della misura cautelare. In questo modo sarebbe vanificata la portata deflattiva del contenzioso che è posta alla base della modifica dell'art. 669- octies , comma 6, c.p.c. Negli stessi termini, si è rilevato che il nuovo testo dell'art. 669-octies, comma 6, c.p.c., secondo cui l'onere di iniziare il giudizio di merito dopo la pronuncia del provvedimento cautelare non sussiste con riferimento ai provvedimenti cautelari idonei ad anticipare gli effetti della sentenza di merito, deve essere inteso nel senso che il suddetto onere sia venuto meno in tutti i casi in cui il giudice abbia pronunciato provvedimenti innominati ex art. 700 c.p.c. (Trib. Ivrea 28 giugno 2006).

In generale, sul contenuto dei provvedimenti d'urgenza che può essere conservativo, anticipatorio o misto si rimanda amplius a Vullo 2005, 1329. Parte della dottrina è della stessa opinione della giurisprudenza e ritiene, appunto, che il regime della strumentalità attenuata valga per tutti i provvedimenti d'urgenza, sia che abbiano contenuto anticipatorio sia che abbiano contenuto conservativo (Caponi 2006, 69; Demarchi, 75; Giordano 2006, 1950; Giordano 2008, 178; Celeste, 348). Questa tesi si fonda sulla difficoltà empirica che vi è in alcune situazione di distinguere i provvedimenti d'urgenza a seconda del loro contenuto per farli rientrare nei provvedimenti conservativi o anticipatori; lo pretendono esigenze di chiarezza per le parti, che altrimenti potrebbero essere indotte a instaurare il giudizio di merito per il solo timore di perdere l'efficacia della misura concessa, in modo tale da far venire meno la finalità deflattiva avuta di mira dal legislatore della riforma del 2005 (per tutti, v. Caponi, 71). Altri, invece, fautori di una tesi che possiamo definire restrittiva, ritengono che soltanto i provvedimenti d'urgenza con contenuto anticipatorio possono non perdere efficacia ove non sia iniziato tempestivamente il giudizio di merito (Balena 2006, 321; Biavati 2006, 565). Secondo autorevole dottrina, bisogna riempire di contenuto concreto il rinvio fatto dall'art. 669-octies, comma 6, c.p.c. ai provvedimenti d'urgenza e agli altri provvedimenti idonei ad anticipare gli effetti della decisione di merito e partire dal presupposto che il legislatore ha voluto conferire rilevanza al dato sostanziale e non a quello meramente formale nel momento in cui ha diviso la strumentalità in forte e attenuata recependo la distinzione tra misure cautelari anticipatorie e conservative e, pertanto, è necessario effettuare una verifica caso per caso per stabilire se la misura ex art. 700 c.p.c. è o meno idonea ad anticipare gli effetti della futura sentenza di merito ovvero se essa ha contenuto conservativo (Luiso, Sassani 2006, 222, Menchini 2006, 80, Dalmotto 2006, 1249). Si è condivisibilmente rilevato in dottrina che il discrimine della «anticipazione» nel senso di idoneità ad anticipare gli effetti o di «conservazione» nel senso di idoneità a preservare la fruttuosità del futuro provvedimento di merito, può non essere sempre utile a distinguere tra provvedimenti d'urgenza a contenuto anticipatorio o conservativo. Ciò perché finalità di tipo conservativo, come il mantenimento dello status quo , possono essere realizzate anche con un provvedimento d'urgenza che abbia contenuto anticipatorio. L'esempio fatto è quello del giudice che inibisce alcuni comportamenti in vista della inibitoria finale: la inibitoria provvisoria, pur essendo di natura conservativa, anticipa il contenuto della futura inibitoria definitiva o finale (Panzarola 2013, 785; Tommaseo 1987, 197).

Come la dottrina ha evidenziato, pertanto, il vero problema sta nel fatto che spesso i provvedimenti d'urgenza vanno a colmare i vuoti lasciati dalle misure tipiche e possono pertanto accedere anche al contenuto conservativo che di quelle stesse si predica. Un campo elettivo di applicazione di questi provvedimenti «anticipatori» a contenuto «conservativo» sta, ad esempio, nelle ipotesi in cui il diritto di credito non può essere tutelato con la concessione di un sequestro giudiziario perché manca il contenuto materiale del bene che è oggetto della cautela, ma anche tutte le ipotesi in cui con i provvedimenti d'urgenza sono stati concessi dei sequestri per impedire che sul mercato venissero smerciati alcuni prodotti (questi e altri esempi con riferimenti casistici in Panzarola 2013, 786).

È, comunque, opportuno ritenere che il legislatore abbia sposato la tesi ampliativa con la modifica dell'art. 669-octies, comma 6, c.p.c.visto che la norma nell'elencare i provvedimenti che sono soggetti al regime della strumentalità attenuata menziona specificamente i provvedimenti d'urgenza senza fare alcuna distinzione al loro interno e pertanto inducendo ragionevolmente a ritenere che la strumentalità in parola operi sia per quelli a contenuto ed effetti realmente anticipatori, sia per quelli a contenuto ed effetti conservativi. Oltreché il dato testuale, milita in favore di questa soluzione l'esigenza di non aggravare né l'onere della parte beneficiaria del provvedimento che sarebbe costretta ad una tanto estenuante quanto difficoltosa indagine rispetto al contenuto del provvedimento, né il carico giudiziario dato che la parte beneficiaria, piuttosto che rischiare di non intraprendere il giudizio di merito sarebbe costretta a introdurlo per evitare onerose indagini contenutistiche. Se ciò accadesse verrebbe meno il primo intento che il legislatore ha avuto di mira con la riforma della strumentalità e, pertanto, si farebbe un notevole passo indietro sia nella strada percorsa con la detta riforma sia nella deflazione del contenzioso che, in effetti, a partire da tale modifica, è realmente diminuito rispetto ai provvedimenti cautelari anticipatori.

Con riferimento alle ragioni sistematiche già ricordate che inducono a ritenere che per tutti i provvedimenti d'urgenza valga il regime della strumentalità attenuata o debole, indipendentemente dal loro contenuto se anticipatorio o conservativo, autorevole dottrina ha precisato quanto segue. Se pure, infatti, si volesse valorizzare il recepimento legislativo della teoria di Calamandrei sulla distinzione tra provvedimenti anticipatori e provvedimenti conservativi e, di conseguenza, valorizzare la disposizione dell'art. 669-octies, comma 6, c.p.c. nella parte in cui rinvia ai provvedimenti idonei ad anticipare gli effetti della decisione di merito per assegnare ad essi il regime della strumentalità attenuata, è anche vero che questo argomento è inficiato dal successivo richiamo delle denunce di nuova opera e danno temuto che, notoriamente, rivestono natura conservativa e ciononostante sono dal legislatore, nella stessa disposizione, assoggettate al regime della strumentalità attenuata (Panzarola 2013, 788). Proprio per tale ragione, si è suggerito, in via interpretativa, di valorizzare le soluzioni utilizzate in altri ordinamenti stranieri in cui i provvedimenti cautelari, indipendentemente dal loro contenuto conservativo o anticipatorio, sono efficaci finché non venga instaurato il giudizio di merito che rimane, però, del tutto eventuale e non necessario (v., amplius, Caponi 2006, 71).

Segue. In particolare, le caratteristiche della «attenuazione» della strumentalità nei provvedimenti d'urgenza

Abbiamo già visto come la formulazione generica dell'art. 700 c.p.c. affidi al giudice della cautela il potere sia di valutare l'esistenza dei presupposti sia di predisporne il contenuto specifico; già solo questa considerazione permetterebbe di desumere che il contenuto dei provvedimenti d'urgenza non debba necessariamente essere «anticipatorio» bensì anche «conservativo» a seconda del tipo di provvedimento in concreto concesso. Se questa considerazione pare senz'altro condivisibile, tuttavia nel tempo si è più volte affermato che il contenuto dei provvedimenti in questione non potesse in alcun caso assumere carattere conservativo, ciò perché una simile possibilità si scontrava con la residualità e atipicità di tali provvedimenti destinati a sopperire ai vuoti di tutela, laddove non fosse possibile utilizzare un provvedimento cautelare tipico.

La dottrina ha spesso dibattuto il tema almeno sino al momento in cui il legislatore della riforma ha distinto, modificando l'art. 669-octies, commi 6 e 8, c.p.c., il regime della strumentalità, optando per la conservazione della strumentalità forte rispetto ai provvedimenti cautelari conservativi, e scegliendo, viceversa, il regime della strumentalità debole per i provvedimenti cautelari anticipatori (sul dibattito dottrinale in questione, v. Panzarola, Giordano, 50).

Non si trattava di una novità assoluta dato che in precedenza l'abrogato art. 23 del d.lgs. n. 5/2003 in tema di processo societario prevedeva al comma 1 che, nelle controversie di cui al presente decreto, ai provvedimenti d'urgenza e agli altri provvedimenti cautelari idonei ad anticipare gli effetti della decisione di merito non si applicasse l'art. 669-octies, del codice di procedura civile, ed essi non perdessero la loro efficacia se la causa non venisse iniziata; e al comma 4 che l'estinzione del giudizio di merito non determinasse l'inefficacia della misura cautelare di cui al comma 1. Il successivo, anch'esso abrogato, art. 24 del d.lgs. n. 5/2003 prevedeva, al comma 3 che il giudice designato procedesse a norma dell'art. 669-sexies del codice di procedura civile. In ogni caso, l'estinzione del giudizio di merito non avrebbe determinato l'inefficacia dei provvedimenti d'urgenza o degli altri provvedimenti cautelari idonei ad anticipare provvisoriamente gli effetti della decisione di merito. A differenza della norma dell'art. 700 c.p.c. che espressamente include l'art. 700 c.p.c. tra i provvedimenti assoggettati al regime della strumentalità attenuata o eventuale, gli articoli del processo societario richiamati parlavano in modo generico dei provvedimenti d'urgenza.

Sùbito dopo la riforma legislativa del 1990, la dottrina aveva espresso dubbi sulla necessità di conservare la strumentalità forte per tutti i provvedimenti cautelari e così pure si era prospettata l'opportunità di modificare il regime della strumentalità, anche nella Relazione della Commissione Tarzia (Relazione Commissione Tarzia, 1017; Proto Pisani 1998, 8; Proto Pisani 1990, 17; Chiarloni 1990, 501).

La novellazione dell'art. 669-octies, comma 6, c.p.c. ha indotto, pertanto, a ravvivare il dibattito già iniziato dopo la riforma del 1990 e – come già ricordato – ci si è posti il quesito se la nuova strumentalità attenuata o debole dovesse essere requisito dei soli provvedimenti d'urgenza che avessero l'idoneità ad anticipare gli effetti della tutela di merito, ovvero se dovesse essere riferito ad ogni provvedimento d'urgenza, sia pure a contenuto conservativo. Ciò nella convinzione che i provvedimenti d'urgenza possano avere il contenuto sia anticipatorio che conservativo. Pertanto, l'introduzione della norma dell'art. 669-octies, comma 6, c.p.c. è stata la chiave di volta per il rifiorire del dibattito sul contenuto dei provvedimenti cautelari in generale e dei provvedimenti d'urgenza in particolare.

Rispetto ai provvedimenti d'urgenza, è opinione comune che quelli tra essi che hanno carattere anticipatorio sono comunque maggiori rispetto a quelli che possono avere contenuto conservativo anche se entrambe le tipologie sono sussumibili all'interno della previsione normativa dell'art. 700 c.p.c.; si è in sostanza ritenuto che la norma dell'art. 700 c.p.c. ha un contenuto di tale ampiezza da poter ricomprendere al suo interno e nell'alveo della sua disciplina sia i provvedimenti d'urgenza a contenuto anticipatorio che quelli a contenuto conservativo (Balena, in Balena, Bove 2006, 338; Coniglio, 322; Mandrioli 1964, 565; Panzarola, Giordano, 58).

Fatta questa premessa, si è dovuto conseguentemente determinare un criterio discretivo tra i due tipi di provvedimenti cautelari, anticipatori ovvero conservativi.

Nonostante la vivacità del dibattito dottrinale, non si è riusciti a determinare una nozione unitaria di provvedimento cautelare anticipatorio (v., amplius, Tiscini 2009, 132). Nell'ottica del nesso strutturale si sono catalogati come anticipatori soltanto quei provvedimenti cautelari che producano effetti almeno parzialmente uguali a quelli che saranno prodotti dalla futura sentenza di merito; nell'ottica, viceversa, del nesso funzionale si sono compresi nell'àmbito dei provvedimenti cautelari anticipatori anche quei provvedimenti cautelari che, pur senza avere le caratteristiche sopra ricordate, ossia l'idoneità a produrre effetti almeno parzialmente identici a quelli della sentenza di merito futura, consentano di realizzare un risultato pratico che possa definirsi equivalente rispetto a quello della pronuncia stessa di merito (Caponi 2005, 137; Dalmotto, 1247). Ritenendo, peraltro, che il provvedimento cautelare non avere l'effetto di anticipare il contenuto dichiarativo della sentenza di merito, la dottrina ha qualificato provvedimento anticipatorio quello che anticipa la tutela esecutiva ricavabile per effetto della sentenza di condanna: ciò si verifica allorché «il comportamento che il provvedimento cautelare impone alla controparte è qualitativamente lo stesso comportamento che sarà imposto con la sentenza» (Luiso 2021, 204; i termini del dibattito sono efficacemente riassunti da Panzarola, Giordano, 59).

Ricordo ancora una volta come aderire all'una o all'altra tesi, a quella che restringe l'àmbito della anticipatorietà ovvero a quella che amplia l'alveo della anticipatorietà, possa produrre ricadute pratiche rilevanti come ne è esempio il dibattito dottrinale e giurisprudenziale già ricordato formatosi sulla natura anticipatoria del provvedimento cautelare di revoca degli amministratori di società a responsabilità limitata ex art. 2746, comma 3, c.c.

La questione lungi dall'essere ormai risolta presta ancora il fianco a diverse opzioni interpretativa ove si consideri, in primo luogo, che effetti di tipo conservativo, come la conservazione dello status quo, possono essere ottenuti e realizzati anche per il tramite di un provvedimento cautelare anticipatorio.

In dottrina, si è evidenziato come se il giudice inibisce ad una parte di realizzare alcuni comportamenti e si confronta il provvedimento cautelare con quello definitivo di condanna, si evidenzia senz'altro come l'inibitoria provvisoria abbia un effetto anticipatorio degli effetti della sentenza di merito finale, pur se l'inibitoria provvisoria svolge una funzione di tipo conservativo (Tommaseo 1983, 197). A parte il riferimento all'inibitoria, in cui il contenuto conservativo fa da pendant alla struttura anticipatoria del provvedimento, normalmente la commistione tra caratteri anticipatori e conservativi in senso al provvedimento d'urgenza si collega alla possibilità di utilizzare questo tipo di provvedimento cautelare per concedere un sequestro (Tommaseo 1983, 49). Parte della dottrina si è comunque espressa contro la possibilità di assegnare una funzione conservativa al provvedimento d'urgenza (Montesano 1955, 56).

È intuitivo comprendere che il problema si pone per il rapporto tra la misura innominata disciplinata dall'art. 700 c.p.c. e le misure cautelari tipiche; in ogni ipotesi in cui queste misure lasciano scoperti degli spazi di tutela, si può ovviare con l'utilizzo della tutela innominata e urgente.

In una fattispecie così difficile da catalogare, si è giustamente evidenziato come solo la prassi possa offrire soluzioni concrete nell'uno o nell'altro senso e, pertanto, nella direzione della tesi restrittiva ovvero della tesi ampliativa della anticipatorietà. Casi tipici sono senz'altro quelli del sequestro giudiziario in tutte le ipotesi in cui esso non possa essere concesso per la mancanza del carattere materiale del bene, ma anche nel settore della proprietà industriale ovvero alle misure concesse in tema di concorrenza sleale, fattispecie in cui, sotto l'egida del provvedimento d'urgenza, la giurisprudenza ha finito per concedere dei sequestri diretti a vietare l'immissione sul mercato di taluni prodotti (Panzarola, Giordano, 62).

È pur vero che, pur non potendo negare che esistano provvedimenti d'urgenza a contenuto anticipatorio così come provvedimenti d'urgenza a contenuto conservativo, è senz'altro vero che i provvedimenti con funzione anticipatoria hanno finito per sorpassare quelli a contenuto conservativo; ne è una riprova la stabilizzazione normativa che ne è conseguita con la modifica dell'art. 669-octies, comma 6, c.p.c. che ha consacrato la tesi secondo cui sono destinati a restare efficaci indipendentemente dall'instaurazione del giudizio di merito tutti i provvedimenti d'urgenzaex art. 700 c.p.c. e, pertanto, sia quelli a contenuto anticipatorio che quelli a contenuto conservativo. Se la scelta legislativa può anche essere criticata da un punto di vista teorico, essa ha senz'altro risvolti pratici rilevanti visto che evita alla parte che chiede un provvedimento d'urgenza di dover scandagliare, operazione senz'altro complessa e a volte impossibile, il reale contenuto del provvedimento ottenuto per stabilire se esso debba essere qualificato come conservativo con conseguente onere di instaurazione del giudizio di merito successivo, ovvero come anticipatorio con attenuazione della strumentalità con il processo di merito.

Alle ragioni di opportunità si accompagnano altre ragioni, di ordine sistematico. Infatti, l'art. 669-octies, comma 6, c.p.c. fa riferimento ai provvedimenti d'urgenza per estendere ad essi il regime della strumentalità eventuale senza altre indicazioni e che – come già ricordato nelle pagine che precedono – il legislatore estende il regime della strumentalità attenuata anche alle denunce di nuova opera e danno temuto che sono invece provvedimenti di contenuto conservativo.

Pur se la norma dell'art. 669-octies, comma 6, c.p.c. ha l'effetto di attenuare per i provvedimenti anticipatori il vincolo di strumentalità con il giudizio di merito, essa non implica una disapplicazione delle regole generali in tema di rapporto tra tutela cautelare e giudizio di merito. Ciò, in primo luogo, per il fatto che la tutela cautelare, poiché è diretta ad evitare che il tempo necessario per lo svolgimento del giudizio possa pregiudicare il diritto vantato, e quindi assicurando gli effetti del giudizio di merito, presuppone che sia valutato, sia pure in termini meramente probabilistici, il diritto che poi sarà dedotto nel successivo processo di cognizione, anche se eventuale. Con la conseguenza che l'indicazione della domanda di merito – di cui ci si è già occupati nelle pagine che precedono – è una necessità imposta dalle attitudini e dalle caratteristiche proprie della tutela cautelare.

Non solo ma tutte le valutazioni che sono compiute in sede di giudizio cautelare, prime fra tutte quelle sulla esistenza dei presupposti processuali, sono effettuate in funzione della proposizione della futura domanda di merito, pur se essa rimanga eventuale e non strutturalmente collegata alla tutela cautelare. In quest'ottica, la domanda di merito non deve essere descritta minuziosamente nel ricorso per la cautela essendo sufficiente che essa possa ricavarsi in modo inequivoco dal contesto del ricorso cautelare.

Si è detto, in giurisprudenza di merito, che con riferimento ai provvedimenti cautelari ad effetti anticipatori, con la riforma del codice di rito ad opera della l. n. 80/2005, è venuto meno lo stretto legame intercorrente tra la fase cautelare quella di merito e pertanto non è più necessario instaurare in seguito alla fase cautelare un giudizio a cognizione piena. Nonostante questa sostanziale modifica sugli effetti e sulla stabilità di alcune tipologie di provvedimenti cautelari, rimane la necessità di indicare nel ricorso cautelare ante causam, sufficienti elementi della domanda di merito che sarà proposta nel pur eventuale giudizio a cognizione piena. La mancata indicazione di tali elementi comporta la non sanabilità dell'istanza per vizio della editio actionis, considerato che l'art. 164 c.p.c. è incompatibile con la celerità del rito cautelare ed ha carattere eccezionale e, pertanto, è insuscettibile, tout court, di applicazione analogica. Pertanto, il ricorso cautelare deve indicare gli elementi costitutivi dell'instauranda azione di merito anche nell'ipotesi in cui sia richiesta la concessione di un provvedimento cautelare a strumentalità attenuata in quanto ciò è necessario: a) per verificare la competenza del giudice adìto in sede cautelare; b) per capire se il provvedimento cautelare richiesto sia effettivamente anticipatorio; c) perché il soggetto destinatario passivo di un provvedimento cautelare anticipatorio deve poter essere in grado di intraprendere il giudizio di merito attraverso il mero richiamo al provvedimento e al ricorso cautelare, chiedendo il rigetto della domanda di controparte già virtualmente formulata nello stesso ricorso (Trib. Isernia 15 settembre 2009). Nella direzione che, stante comunque l'attuale nesso di strumentalità funzionale, anche per il ricorso relativo ai provvedimenti cautelari anticipatori, idonei a conservare la loro efficacia indipendentemente dalla instaurazione del giudizio di merito, è necessario indicare gli elementi costitutivi della causa di merito per consentire al giudice della cautela di valutare il fumus boni iuris, v. Trib. Trani 20 luglio 2007; Trib. Milano 5 giugno 2006. In una prospettiva analoga al Tribunale di Isernia prima ricordato, si è osservato che l'esigenza di indicare gli elementi identificativi dell'instauranda azione di merito nel ricorso volto alla concessione di un provvedimento cautelare a strumentalità attenuata si correla anche alla facoltà, riconosciuta a ciascuna parte dall'art. 669-octies, comma 8, c.p.c., di proporre comunque il giudizio di merito, in tale ipotesi per tutelare il diritto di difesa del resistente che, diversamente, si troverebbe a proporre un processo di merito in cui riveste la qualità di attore in senso soltanto formale senza essere a conoscenza della domanda proposta nei suoi confronti. Peraltro, queste pronunce si inseriscono all'interno del vivace dibattito avutosi in giurisprudenza di merito e già ricordato relativo alle sorti del ricorso cautelare che non individui compiutamente il contenuto della futura azione di merito, sposando la tesi più restrittiva secondo cui il ricorso deve ritenersi inammissibile e deve, peraltro, ritenersi che nei suoi confronti non possa operare la previsione dell'art. 164 c.p.c. (Trib. Torino 7 maggio 2007; Trib. Bari 24 febbraio 2003; Trib. Torino 23 agosto 2002; Trib. Catania 12 giugno 2001; Trib. Roma 14 gennaio 2001; Trib. Monza 24 gennaio 2000). Non va, però, dimenticato che, secondo altre sentenze di merito, il ricorso cautelare che non contenga gli elementi della causa di merito cui è strumentale si deve ritenere nullo per la mancanza di un elemento essenziale ossia della causa petendi (Trib. Salerno 7 aprile 2004; Trib. Trieste 24 luglio 1999; Pret. Alessandria 16 marzo 1993) oppure in applicazione dell'art. 156, comma 2, c.p.c. che commina la nullità agli atti processuali che non siano idonei al raggiungimento dello scopo (Trib. Rovereto 14 giugno 2004). Si dibatte, peraltro, anche sull'applicabilità del meccanismo di sanatoria dell'art. 164 c.p.c.; secondo alcune pronunce, va condivisa la posizione espressa dalla giurisprudenza prima riportata secondo cui l'art. 164 c.p.c. non è applicabile nella fattispecie del ricorso cautelare che non contenga gli estremi della domanda di merito perché sarebbe incompatibile il suo meccanismo con le esigenze di economia processuale che sono alla base del procedimento cautelare uniforme (Trib. Napoli 30 aprile 1997; Pret. Alessandria 16 marzo 1993).

In sostanza, tale ricorso deve contenere gli stessi estremi indispensabili, sia in relazione al fatto che al diritto per individuare la domanda e per comprenderla, in funzione dello scopo dell'atto (Monteleone 2018, 367; Balena 2019, 266). Nel senso dell'inapplicabilità dell'art. 164 c.p.c. per sanare il ricorso cautelare che non contenga gli elementi identificativi della futura azione di merito, v., ex multis, Merlin 1996, 402; Giordano 2008, 110.

Non può, pertanto, trovare accoglimento quella giurisprudenza di merito che consente di prescindere dalla indicazione della domanda di merito stessa nell'àmbito del ricorso per la proposizione della domanda cautelare ante causam.

Il riferimento è sostanzialmente a due pronunce che affermano che il principio secondo cui il ricorso finalizzato a ottenere un provvedimento cautelare deve indicare la domanda da proporre nel giudizio di merito, in ragione della strumentalità di tutti i provvedimenti cautelari rispetto al provvedimento di merito, trova ora deroga nel caso di provvedimenti d'urgenza richiesti ai sensi dell'art. 700 c.p.c. e di altri provvedimenti cautelari idonei ad anticipare gli effetti della sentenza di merito, che abbiano, appunto, carattere anticipatorio (Trib. Roma 6 novembre 2006); nello stesso senso, si è detto che, costituendo mera facoltà delle parti di instaurare il successivo giudizio di merito, non deve più considerarsi condizione di ammissibilità del ricorso introduttivo del giudizio cautelare l'indicazione delle domande di merito (Trib. Milano 7 giugno 2006).

Segue. L'anticipazione degli effetti del giudizio di merito

Poiché l'art. 700 c.p.c. si riferisce espressamente alla sua idoneità ad assicurare provvisoriamente gli effetti della decisione sul merito, è escluso che il provvedimento d'urgenza possa essere concesso tutte le volte in cui con la sua pronuncia potrebbero verificarsi, insieme con l'anticipazione di tutti gli effetti del futuro provvedimento di merito, anche una modifica irreversibileNemmeno è ammissibile la tutela cautelare atipica ex art. 700 c.p.c. in funzione di una richiesta di mero accertamento, per insuscettibilità di attuazione coattiva del dictum giudiziale ed assenza del requisito della strumentalità.

In giurisprudenza, per un'applicazione del principio si veda la pronuncia che ha ritenuto meritevole di riforma l'ordinanza di inibitoriaexart. 700 c.p.c., nella parte relativa al disposto ordine di distruzione di confezionamento di prodotti e di materiale pubblicitario in genere, recante la denominazione del ricorrente, che aveva chiesto inibirsi l'uso «in qualunque forma e modo ed attraverso qualunque mezzo di comunicazione della propria denominazione» sia per vizio di ultrapetizione perché il ricorrente non aveva chiesto la distruzione, sia perché da un lato, l'art. 66 della l. marchi prevede che la distruzione possa essere adottata solo con la sentenza che definisce il giudizio di merito, sia, dall'altro lato, perché tale misura, anche con riguardo all'art. 2598 c.c. appare inconciliabile, per gli effetti irreversibili, con la natura del provvedimento ex art. 700 c.p.c. (Trib. Roma 17 novembre 2004). La giurisprudenza di legittimità si è recentemente espressa con riferimento alla inammissibliità della tutela cautelare atipica in funzione di una richiesta di mero accertamento e con riguardo alla delibazione della legittimità di una condotta futura ed eventuale come quella dei destinatari dell'obbligo vaccinale da pandemia da Covid 19 (Trib. Verona 21 febbraio 2022).

Il problema dell'eventuale irreversibilità degli effetti del provvedimento d'urgenza in rapporto alla tutela di merito è un problema che si collega necessariamente all'attuale attenuazione della strumentalità. Se, infatti, si riflette sul fatto che la tutela cautelare è sommaria e provvisoria ma potrebbe incidere in modo irreversibile sulla situazione giuridica dedotta in giudizio, si comprende il pericolo connesso ad una simile anticipazione e la necessità di escludere l'utilizzabilità del rimedio tutte le volte che sarebbe poi necessario utilizzare per ripristinare lo status quo ante difficili azioni recuperatorie ovvero unicamente azioni di risarcimento per equivalente.

Ecco perché in dottrina si è più volte affermato che il provvedimento d'urgenza debba essere concesso soltanto quando l'assetto della situazione giuridica soggettiva conseguente alla emanazione e attuazione della misura cautelare in parola, sia comunque provvisorio e senz'altro reversibile (La China, 159; Verde, 436; ma in senso diverso, v. Dittrich, 278 e Santangeli, 61).

Questa possibilità connessa all'uso del provvedimento d'urgenza di provocare effetti non reversibili fa sì che a fronte di una misura cautelare provvisoria si possano verificare effetti non provvisori, ma anzi stabili; in una con l'attuale allentamento del nesso di strumentalità che fa sì che la misura cautelare anticipatoria permanga in vita indipendentemente dalla tutela di merito. Se, quindi, l'effetto ritraibile con il provvedimento d'urgenza è un effetto non ripristinabile, giocoforza l'anticipazione degli effetti della tutela di merito provoca una situazione irreversibile e conferisce idoneità alla stabilità al provvedimento anticipatorio (idoneo a provocare appunto un danno non riparabile).

In questo senso, la dottrina ha affermato che la previsione di un provvedimento cautelare atipico, se, da un lato, serve a garanzia del rischio di un pregiudizio irreparabile che possa essere subito da un diritto il cui fumus sia probabile, sconta però il rischio che si procuri rispetto ad un altro diritto, il cui fumus in sede di delibazione della misura cautelare, appare improbabile, un danno non reversibile (sono più o meno queste le efficaci parole di Tommaseo, 155).

In giurisprudenza, si trovano entrambe le soluzioni. Da un lato, anche di recente, si è detto che il ricorso al procedimento ex art. 700 c.p.c. è ammissibile pur quando tende alla condanna ad un facere infungibile e gli effetti materiali prodotti siano irreversibili, non aderendo il tribunale all'opposto orientamento giurisprudenziale, posto che la irreversibilità di fatto della situazione modificata dalla esecuzione del provvedimento cautelare emesso ai sensi dell'art. 700 c.p.c. è possibile caratteristica dell'esecuzione di tali provvedimenti per la natura del diritto sottoposto a cautela e per il carattere anticipatorio della misura cautelare, sufficiente per soddisfare l'interesse del soggetto che l'ha richiesta, soprattutto a seguito della riforma del procedimento. L'irreversibilità di fatto della situazione creata dall'esecuzione del provvedimento è caratteristica comune a molte azioni umane e alcun rilievo vi si può attribuire rilevando semmai la causalità giuridica. Aggiunge questa pronuncia che per gli stessi motivi non difetta la strumentalità e, infatti, il procedimento ex art. 700 c.p.c. è delineato quale mezzo di tutela giurisdizionale pienamente satisfattiva con la conseguenza che sussiste, appunto, la strumentalità anche quando l'azione preannunciata, ossia il risarcimento dei danni, presuppone l'accertamento del diritto che può tutelarsi solo in via di urgenza e, pertanto, l'azione sia funzionalmente collegata con la domanda di merito (si trattava, in particolare di un provvedimento d'urgenza richiesto ed utilizzato per ottenere la condanna della struttura sanitaria a procedere all'inserimento nell'utero degli embrioni crioconservati: Trib. Santa Maria Capua Vetere 27 gennaio 2021). Contra, invece, ad esempio, si è detto che è inammissibile, per totale genericità del petitum, l'istanza cautelare avanzata con riferimento ad un comportamento configurante una intesa restrittiva della concorrenza e un abuso di posizione dominante (realizzato attraverso la stipula di un contratto di concessione in esclusiva del servizio di pubblicità sull'elenco telefonico tra una società telefonica e una sua partecipata), laddove sia stato chiesto al giudice di ordinare alle società convenute la cessazione di ogni comportamento comunque diretto ad impedire alla ricorrente l'accesso al servizio di raccolta pubblicitaria. È parimenti inammissibile per difetto del requisito della provvisorietà, l'ulteriore richiesta di ordinare alla società telefonica di mettere immediatamente in libera gara le concessioni di pubblicità per ciascuno degli elenchi di zona, con la previsione che la gara venga aggiudicata all'offerta economicamente più vantaggiosa, trattandosi di misura cautelare che, ove eseguita, verrebbe a provocare effetti definitivi e irreversibili, e non l'assicurazione in via provvisoria dell'effettività dell'eventuale futura decisione di merito favorevole alla ricorrente (App. Torino 29 novembre 2000).

Secondo una parte della dottrina, i provvedimenti d'urgenza non avrebbero mai la caratteristica della «strutturale anticipazione in funzione satisfattiva» rispetto al diritto cautelato. In sostanza, secondo questa teoria, non si potrebbe rapportare il concetto di anticipazione degli effetti della tutela di merito al concetto della loro assicurazione provvisoria; conseguentemente il giudice potrebbe, in via discrezionale, concedere il provvedimento cautelare atipico anche con contenuto non omologo rispetto a quello della decisione di merito ovvero prevedere la concessione di un provvedimento cautelare che sia qualitativamente differente rispetto alla anticipazione degli effetti della tutela di merito (Arieta, 65). Questa tesi è in contrasto con la dominante tesi, già ricordata, secondo cui laddove si voglia garantire e tutelare il pericolo da infruttuosità della tutela di merito, bisogna ricorrere ai provvedimenti cautelari tipici (v., ex multis, Proto Pisani 1991, 393).

In concreto, quanto al contenuto della anticipazione degli effetti della tutela di merito, questa anticipazione dipenderà dalla domanda di parte; laddove il ricorrente abbia intenzione di chiedere l'anticipazione totale o parziale degli effetti della domanda di merito dovrà esporlo nella domanda cautelare e il giudice, ove ritenga integrati i presupposti del fumus e del periculum, potrà concedere la misura nel rispetto del principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato che impedirà la concessione di più o meno rispetto a quanto domandato dalla parte nel ricorso per la concessione della cautela atipica.

La dottrina ha ricordato come attualmente sia del tutto predominante la tesi secondo cui con il provvedimento d'urgenza si può avere l'anticipazione totale degli effetti della futura sentenza di merito (Panzarola, Giordano, 252, con ulteriori riferimenti). Ma abbiamo già visto come secondo parte della dottrina sarebbe senz'altro più opportuno che il provvedimento cautelare atipico anticipi soltanto parzialmente gli effetti della sentenza di merito al fine di impedire che il diritto vantato dal ricorrente in sede cautelare sia completamente e totalmente soddisfatto già in quella sede (Tommaseo, 153; sulla tesi in questione, v. anche Corea 2006, 1260).

Che sia, comunque, la domanda di parte a veicolare in ogni caso l'anticipazione degli effetti pare un dato non revocabile in dubbio; infatti, non può essere ampliato il potere discrezionale del giudice fino al punto di consentirgli di determinare lui stesso gli effetti della sentenza di merito anticipabili in sede cautelare.

E, pertanto, deve essere la domanda del ricorrente a veicolare la emanazione del provvedimento e a «fungere da limite e misura della decisione urgente» (così Panzarola, Giordano, 253), applicando senza ombra di dubbio e integralmente tutti i principi in tema di domanda di parte e del ricordato principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato che, come governa la domanda di tutela di merito, così governa la domanda di tutela cautelare.

L'applicazione del principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato consente di evitare quelli che sono stati definiti «sbandamenti» della giurisprudenza di merito; il richiamo è a quei provvedimenti di merito che hanno espresso l'idea che la domanda di provvedimento cautelare atipico possa essere implicitamente contenuta nella domanda di merito. Il riferimento è a una pronuncia risalente in cui si è detto che attesa la natura del procedimento del lavoro, l'istanza rivolta ad ottenere un provvedimento d'urgenza può ritenersi implicitamente proposta nel ricorso introduttivo (Pret. Cassino 15 marzo 1982). Allo stesso modo, va criticata la pronuncia di merito che, in violazione del ricordato principio, ha affermato che accertata l'esistenza del fumus boni iuris in ordine all'azione di una società e di due dei suoi soci sulla violazione da parte di un terzo socio dei patti parasociali, per avere tale socio intrapreso rapporti collaborativi con altro operatore telefonico del mercato italiano, e contestata, sotto diversi profili, l'imminenza del possibile pregiudizio derivante dal detto comportamento, va concesso il provvedimento d'urgenza ex art. 700 c.p.c., ancorché in termini diversi da quelli prospettati dai richiedenti (Trib. Roma 12 luglio 1999).

Non è possibile, infatti, ritenere che in applicazione della tutela cautelare atipica si possa concedere al giudice di definire autonomamente l'assetto, pur provvisorio, del rapporto sostanziale, indipendentemente dai limiti e dai contenuti determinati nella domanda della parte, tenendo anche conto del già richiamato problema della attitudine del provvedimento in questione a determinare effetti irreversibili (v., amplius, Panzarola, Giordano, 256).

Ma se il limite della domanda di parte costituisce il parametro necessario che il giudice deve utilizzare per configurare il contenuto del provvedimento atipico, dall'altro lato è necessario che il provvedimento d'urgenza si limiti anche da un punto di vista soggettivo senza estendersi nei confronti di terzi o addirittura in incertam personam.

La questione è stata affrontata e risolta in tal senso anche in giurisprudenza ove si è affermato che l'istanza cautelare non può essere accolta quando non indichi il soggetto nei cui confronti è rivolta (Trib. Monza 26 aprile 1997, ma, in precedenza, v. anche Pret. Roma 27 gennaio 1987).

La strumentalità delle azioni di nunciazione

Le azioni di nunciazione sono la denuncia di nuova opera e la denuncia di danno temuto. La denuncia di nuova opera è proposta da chi abbia ragione di temere che da una nuova opera da altri intrapresa sulla propria proprietà o sul fondo vicino, stia per derivare un danno alla cosa che forma oggetto del suo diritto o del suo possesso. Con l'esperimento di questa azione, si vuole ottenere dal giudice un provvedimento cautelare tipico che può consistere nella sospensione dell'opera o nell'autorizzazione alla sua continuazione, eventualmente con limitazioni e previa cauzione.

La denuncia di danno temuto è esperita da chi ha motivo di temere che da qualsiasi edificio, albero o cosa già esistente sulla proprietà o fondo vicini, derivi il pericolo di un danno grave e prossimo alla cosa che forma oggetto del suo diritto o del suo possesso.

Nella fase cautelare, si applica il procedimento cautelare uniforme. Essa si conclude con un provvedimento di natura strumentale e provvisorio. Esaurita la fase cautelare va proposta la causa di merito se la procedura è iniziata ante causam oppure va continuata. La causa di merito avrà natura possessoria o petitoria.

Si è già potuto osservare che, dopo la riforma del 2005, il regime della strumentalità debole o attenuata proprio dei provvedimenti cautelari anticipatori è stato assegnato dal legislatore della riforma anche alle denunce di nuova opera e di danno temuto. Ne deriva che anche per essi vale quanto già esposto con riferimento ai provvedimenti d'urgenza, ossia una volta ottenuto il provvedimento cautelare ciascuna delle parti è facoltizzata ad iniziare il giudizio di merito, ma non vi è un onere specifico a pena di inefficacia della misura cautelare la quale permane in vita fino a che ciascuna delle parti non intraprenda, per l'appunto, il giudizio di merito. Come si è già evidenziato in precedenza, la scelta legislativa di unificare il regime della strumentalità dei provvedimenti cautelari anticipatori a quello delle azioni di nunciazione è senz'altro peculiare data la natura senz'altro conservativa dei provvedimenti conseguenti alla proposizione della denuncia di nuova opera e di danno temuto. Questa considerazione è stata d'aiuto nella ricostruzione di una volontà legislativa tesa in generale a deflazionare il contenzioso e basata su di un'ottica di semplificazione, tant'è che in riferimento ai provvedimenti di urgenza si è sposata la tesi secondo cui tutti i provvedimenti d'urgenza godono della strumentalità attenuata, pur se non abbiano contenuto anticipatorio, bensì conservativo.

Parte della dottrina si è espressa in senso critico su questa assimilazione delle denunce di nuova opera e danno temuto ai provvedimenti cautelari anticipatori quanto alla strumentalità, data, appunto, la natura conservativa del provvedimento cautelare emanato all'esito della proposizione di una denuncia di nuova opera ai sensi dell'art. 1171 c.c. dato che questo provvedimento ha senz'altro il fine di conservare lo stato di fatto e diritto vigente per evitare che la continuazione della nuova opera possa provocare un danno o aggravarne le conseguenze già verificatesi (Balena 2006, 333; Guaglione 2007, 783; Rampazzi, 1162). Si è criticamente affermato che un ostacolo dirimente alla possibilità di conseguire un risultato di tipo anticipatorio con l'emanazione di un provvedimento provvisorio conseguente alla proposizione dell'azioneexart. 1171 c.c. è dato dall'eventualità che il giudice preveda, insieme con l'inibizione della prosecuzione dell'opera o l'autorizzazione alla sua continuazione, il versamento di una cauzione, che rimane svincolabile soltanto all'esito del processo di merito (Ghirga 2005, 793). Se questo è vero, comunque rimane la possibilità per la parte condannata al versamento della cauzione di iniziare comunque il giudizio di merito (Dalmotto 2006, 1255). In senso favorevole, invece, alla scelta legislativa di equiparare il regime della strumentalità dei provvedimenti cautelari anticipatori a quello delle denunce di nuova opera e danno temuto, si è espressa parte della dottrina rilevando in particolare come i provvedimenti cautelari pronunciati a seguito della proposizione di denuncia di danno temuto hanno contenuto spesso anche totalmente anticipatorio degli effetti della decisione di merito sicché già prima della riforma si erano prospettati dubbi sulla necessità per tali provvedimenti di essere soggetti ad un regime di strumentalità forte, con conseguente inefficacia del provvedimento ove non venisse tempestivamente iniziato il giudizio di merito (in tema, v. Balena 2006, 333; Rampazzi, 1262). Sulla non necessità di un susseguente giudizio di merito a fronte della concessione di un provvedimento del giudice sulla scorta di una denuncia di danno temuto si era espressa autorevole dottrina specificando come, a titolo esemplificativo, un provvedimento che ordini l'abbattimento di un albero che incombe su un edificio si esaurisce uno actu con conseguente non necessità di un giudizio susseguente a cognizione piena (Proto Pisani 2009, 622; Patelli, 121).

Prendendo spunto da una sentenza della Suprema Corte (Cass. II, n 18535/2022) la dottrina ha affrontato recentemente la questione se, esaurita la fase sommaria del procedimento di nuova opera, il successivo giudizio di merito ex art. 669-octies, comma 6, c.p.c., sia una prosecuzione del procedimento cautelare o un ordinario giudizio petitorio, soggetto pertanto alla preclusione disciplinata dall'art. 705, comma 1, c.p.c. Si è conseguentemente evidenziato che mentre nel procedimento possessorio il giudizio di merito è “eventualmente bifasico” perché alla fase sommaria può seguire il giudizio di merito, il procedimento delle misure cautelari anticipatorie è monofasico e di conseguenza il giudizio di merito successivo che sia stato eventualmente proposto dalla parte rimasta soccombente nella fase cautelare, è un giudizio del tutto autonomo rispetto al procedimento cautelare, che può essere introdotto senza il rispetto di alcun termine perentorio (in arg. Petrolati, 2022).

Secondo la giurisprudenza di legittimità, in tema di azioni di nunciazione il procedimento cautelare termina con l'ordinanza di accoglimento o rigetto del giudice monocratico o del collegio in sede di reclamo, mentre il successivo processo di cognizione richiede un'autonoma domanda di merito. Il processo di cognizione che si svolga in difetto dell'atto propulsivo di parte, a causa dell'erronea fissazione giudiziale di un'udienza posteriore all'ordinanza cautelare, è affetto da nullità assoluta per violazione del principio della domanda, rilevabile d'ufficio dal giudice e non sanata dall'instaurazione del contraddittorio tra le parti; in particolare, il procedimento cautelare nelle azioni di nunciazione termina con l'emissione dell'ordinanza, di accoglimento o di rigetto, all'esito della fase davanti al giudice monocratico, ovvero di quella di reclamo al collegio. Il successivo processo di cognizione avente a oggetto il diritto cautelato ne rimane necessariamente separato, e richiede per la sua instaurazione una autonoma domanda giudiziale proposta nelle forme di rito e avente uno specifico contenuto di merito. Deriva da quanto detto che tale domanda non può essere sostituita da un provvedimento del giudice che ha emesso la misura cautelare che disponga la prosecuzione del procedimento innanzi a sé, con le forme della cognizione ordinaria per poi provvedere con sentenza sul diritto oggetto di contesa. In tale evenienza, sussiste violazione del principio della domanda che determina una nullità che, per essere stabilita per ragioni di ordine pubblico processuale e non nell'interesse peculiare delle parti, ha carattere assoluto e non relativo e non soggiace alla eccezione di parte ma è rilevabile d'ufficio dal giudice. Contemporaneamente non assume rilievo, ai fini della norma dell'art. 156, comma 3, c.p.c., la circostanza che la fase di cognizione, irritualmente disposta dopo l'adozione della misura anticipatoria richiesta, si sia svolta nel contraddittorio delle parti perché tale contraddittorio presuppone la previa proposizione di una domanda di merito (Cass. II, n. 7260/2015). Lo stesso principio in tema di azioni di nunciazione è stato esposto successivamente affermandosi in sede di legittimità che la domanda di merito non può essere sorretta dal ricorso cautelare, a maggior ragione nel caso in cui contenga ulteriori domande, ma deve essere introdotta con un autonomo atto introduttivo, nel rispetto dei requisiti di cui all'art. 163 c.p.c. (Cass. II, n. 21491/2018).

Di recente si è affermato che nell'ambito del procedimento cautelare uniforme il procedimento di nuova opera o danno temuto introdotto ante causam, al pari d'ogni altro diretto all'emissione di una misura cautelare di carattere anticipatorio, è esclusivamente monofasico e termina con il provvedimento, d'accoglimento o di rigetto, emesso dal giudice monocratico o dal collegio adito in sede di reclamo. Il successivo giudizio di merito instaurato dalla parte che, nelle more, sia stata convenuta in un procedimento possessorio avente ad oggetto la medesima situazione giuridica, non differendo in nulla da un comune processo dichiarativo instaurato a prescindere da una pregressa cautela, soggiace all'improponibilità prevista dall'art. 705 c.p.c. (Cass. II, n. 18535/2022).

La strumentalità dei provvedimenti possessori

Si tratta del procedimento secondo cui si svolgono le c.d. azioni possessorie, ossia l'azione di reintegrazione o spoglio (art. 1168 c.c.): esperibile da colui che ha sofferto uno spoglio violento o clandestino; l'azione di manutenzione (art. 1170 c.c.): esperibile da chi è stato leso dalla molestia o turbativa, di fatto e di diritto, oppure dallo spoglio non violento e non clandestino. Entrambi i procedimenti sono azionabili solo entro l'anno dalla turbativa o dallo spoglio. Le domande di reintegrazione o manutenzione nel possesso devono essere proposte con ricorso al tribunale del luogo in cui è avvenuto il fatto denunciato; ma se sullo stesso bene pende giudizio petitorio la domanda relativa al possesso va proposta al giudice del petitorio.

Il procedimento si articola in una struttura bifasica: una prima fase, c.d. interdittale, a cognizione sommaria, che si conclude con ordinanza con cui il giudice emana i provvedimenti immediati, ossia provvede sulle domande di reintegrazione o manutenzione; una seconda fase, a cognizione piena, diretta ad accertare la fondatezza o meno della domanda possessoria (c.d. merito possessorio) che si conclude con sentenza impugnabile nei modi ordinari e suscettibile di passare in giudicato.

Questa seconda fase non è necessaria ed automatica, ma subordinata all'impulso di una delle parti.

Le riforme del processo civile effettuate nel 1990 e nel 2005-2006, hanno sostanzialmente riaperto la controversa classificazione della natura dei provvedimenti possessori e della loro struttura procedimentale. Se prima delle modifiche effettuate negli anni ‘90 si era ormai definita la tesi secondo cui il procedimento possessorio era un procedimento unico ma bifasico, costituito, cioè, da una prima fase detta interdittale che si svolgeva a cognizione sommaria e si concludeva con ordinanza e con cui il giudice pronunciava i provvedimenti interdittali ossia provvedeva sulla domanda di reintegrazione o di manutenzione nel possesso e da una seconda fase, questa invece a cognizione piena, che doveva accertare l'esistenza del c.d. merito possessorio e che veniva definita con una sentenza poi impugnabile in appello e in cassazione e destinata a passare in giudicato decidendo una volta per tutte sull'esistenza del diritto posto alla base della domanda di reintegrazione o manutenzione nel possesso.

In quegli anni, si prospettò un orientamento per cui il merito possessorio non aveva ragione per essere configurato, dato che il possesso è una situazione di mero fatto e non già un diritto e non richiederebbe, pertanto, per il suo accertamento, un giudizio a cognizione piena.

Su questo àmbito, erano intervenute le Sezioni Unite della Corte di Cassazione che, con una nota pronuncia, avevano affermato che le modifiche introdotte dalla l. n. 353/1990 e, in particolare, la nuova formulazione dell'art. 703 c.p.c., non incidono sulla struttura del procedimento possessorio che resta caratterizzato da una duplice fase, la prima di natura sommaria limitata alla emanazione dei provvedimenti interdittali, la seconda, a cognizione piena, avente ad oggetto il merito possessorio e destinata a concludersi con sentenza soggetta alle impugnazioni ordinarie, non rilevando in contrario il testuale rinvio agli artt. 669-bis ss. c.p.c. contenuto nell'art. 703, comma 2, c.p.c., che ha lo scopo di permettere l'estensione delle norme sui procedimenti cautelari a quelli possessori, esclusivamente nei limiti consentiti dalle caratteristiche e dalla struttura di questi ultimi. Pertanto, concesse o negate dal pretore, con ordinanza, le misure interdittali, il giudizio deve proseguire innanzi allo stesso giudice all'udienza da questi all'uopo fissata, per l'esame del merito della pretesa possessoria e dell'eventuale domanda accessoria di risarcimento del danno, restando estranea al delineato schema procedimentale la introduzione di una fase di merito mediante la notifica di una nuova citazione ai sensi dell'art. 669-octies c.p.c. (Cass. S.U., n. 1984/1998).

La riforma del 2005 ha inciso sulla disposizione dell'art. 703 c.p.c., aggiungendo un comma 4 il quale prevede che, se viene richiesto da una delle parti, entro il termine perentorio di sessanta giorni decorrente dalla comunicazione del provvedimento che ha deciso sul reclamo, ovvero, in difetto, del provvedimento di cui al comma 3 dell'art. 703 c.p.c., il giudice fissa davanti a sé l'udienza per la prosecuzione del giudizio di merito, con applicazione dell'art. 669-novies, comma 3, c.p.c. In sostanza, ai sensi della nuova disposizione, il processo prosegue nelle forme della cognizione piena se una delle parti ne fa richiesta nel termine perentorio di sessanta giorni dalla comunicazione dell'ordinanza. Tale riforma ha sostanzialmente recepito e confermato la natura bifasica del procedimento possessorio, ma ponendo una netta demarcazione tra le due fasi visto che la seconda, a cognizione piena, non è più necessaria ed automatica perché dipende dall'impulso di una delle due parti. Pertanto, attualmente il giudizio possessorio è sempre bifasico e la domanda possessoria è proposta con il ricorso introduttivo che sorregge tutte e due le fasi, la prima sommaria e la seconda a cognizione piena che necessita, però, di un'ulteriore istanza.

Se il beneficiario del provvedimento interdittale non propone l'istanza per la prosecuzione del giudizio di merito il processo si estingue e pertanto si pone il problema di determinare che sorte abbiano i provvedimenti interdittali presi a tutela del possesso. La norma dell'art. 703 c.p.c. non rinvia all'art. 669-novies, comma 1, c.p.c. e, pertanto, non applicandosi tale regola i provvedimenti in questione non sono suscettibili di perdere la loro efficacia.

Secondo una parte della dottrina, il provvedimento interdittale è comunque una misura cautelare cui si applica la disciplina dell'art. 669-octies, comma 8, c.p.c. e dotata, conseguentemente, del regime di strumentalità attenuata ormai generalizzato per i provvedimenti cautelari anticipatori. Pertanto, qualora si estingua il giudizio di merito, si potrà instaurare un nuovo procedimento relativo alla stessa situazione di fatto che si concluderà con una sentenza idonea al passaggio in giudicato e a superare il provvedimento cautelare (Picardi, 744; Balena 2006, 385; Menchini 2006, 107; Petrillo, 323). Secondo alcuni, sempre in linea con questa interpretazione, il provvedimento interdittale non sarebbe però un provvedimento cautelare in senso proprio ma un provvedimento sommario semplificato-esecutivo, pur concordando nella sostanza con le conclusioni ora esposte (Caponi 2005, 140; Carratta 2007, 1381; Guaglione 2007, 540). Un'altra parte della dottrina, di segno contrario, afferma che la disciplina dei provvedimenti possessori non rientrerebbe nell'applicazione dell'art. 669-octies c.p.c. e pertanto in caso di estinzione del giudizio di merito successivo all'emanazione del provvedimento interdittale si consoliderebbero gli effetti di questo provvedimento che potrebbe ritenersi equivalente ad una sentenza di merito, né sarebbe possibile assimilare il provvedimento interdittale al provvedimento cautelare visto che la mancata instaurazione del giudizio di merito non può avere l'effetto di modificare geneticamente il provvedimento (Luiso, Sassani 2006, 237; Marinucci 2005, 840).

In giurisprudenza di legittimità, di recente, si è ricostruita la natura del provvedimento interdittale emanato nella prima fase del giudizio possessorio, affermando che, a seguito delle modifiche del 2005 contro i provvedimenti urgenti anticipatori degli effetti delle sentenze di merito, emessi ante causam ex art. 700 c.p.c., non è proponibile il ricorso straordinario in cassazione ex art. 111 Cost. perché tali provvedimenti sono privi di stabilità e inidonei al giudicato, ancorché nessuna delle parti del procedimento cautelare abbia interesse ad iniziare l'azione di merito. Questo enunciato, secondo la Corte, ha riguardato anche i procedimenti possessori, in parte qua equiparati espressamente a quelli cautelari con una precedente pronuncia che ha negato l'ammissibilità del ricorso straordinario ex art. 111 Cost. proposto contro il provvedimento adottato dal tribunale in sede di reclamo avverso quello di natura cautelare o possessoria, perché trattasi di decisione a carattere strumentale e interinale operante per il limitato tempo del giudizio di merito e sino all'adozione delle determinazioni definitive all'esito di esso, come tale inidonea a conseguire efficacia di giudicato, sia dal punto di vista formale che sostanziale, senza che rilevi in contrario il fatto che vi sia condanna alle spese di giudizio, disponendo la parte al riguardo del rimedio posto dall'art. 669-septies c.p.c. (Cass. S.U., n. 11220/2019, che richiama il proprio precedente dato da Cass. S.U., n. 1245/2004 in tema di inammissibilità del ricorso straordinario contro i provvedimenti possessori).

Alla luce di quanto sinora esposto, sembra doversi concordare con la tesi già ricordata secondo cui l'art. 669-octies, comma 7, c.p.c. sarebbe compatibile con la struttura del procedimento possessorio e, pertanto, l'estinzione del giudizio di merito susseguente alla concessione del provvedimento interdittale non provocherebbe l'inefficacia del provvedimento in questione ma, ai sensi della regola generale posta dall'art. 669-octies, comma 8, c.p.c., l'autorità di questo provvedimento non potrebbe essere invocata in un altro processo possessorio. A tale stregua, il provvedimento possessorio rientra a pieno titolo tra quei provvedimenti cautelari anticipatori con strumentalità attenuata e, di conseguenza, a parte le ipotesi di revoca o modifica ex art. 669-decies c.p.c., il provvedimento interdittale potrebbe sempre essere superato da un giudizio di merito instaurato dalla parte contro cui la misura è stata emessa.

La strumentalità dei provvedimenti di istruzione preventiva

L'istruzione preventiva consiste nella assunzione di testimonianze quando vi sia fondato motivo di temere che i testimoni stiano per mancare, o nell'effettuazione di accertamenti tecnici e ispezioni quando sia urgente verificare lo stato di luoghi, la qualità o condizione di cose o delle persone, ovvero, ancora, nella consulenza tecnica preventiva ai fini di composizione della lite.

In particolare, quest'ultima si ha quando il consulente tecnico viene incaricato di determinare preventivamente i crediti derivanti da rapporti contrattuali o da fatti illeciti; egli deve prima tentare la conciliazione delle parti; può esporre valutazioni rispetto a cause e danni relativi all'oggetto della verifica che gli viene affidata.

L'utilità di questi provvedimenti sta nell'anticipare l'assunzione della prova quando quest'ultima rischierebbe di non potersi assumere per via del decorrere del tempo, prima del processo di merito.

È chiaro, pertanto, che questi provvedimenti cautelari sono strumentali rispetto al futuro giudizio di merito nel quale ci si propone di utilizzare la prova o l'accertamento o l'ispezione acquisiti in via preventiva.

Il rapporto dei provvedimenti di istruzione preventiva in generale, pur con le specifiche proprie dello strumento dell'art. 696-bis c.p.c. – su cui oltre – con il giudizio di merito successivo si pone senz'altro in termini di strumentalità (in quest'ottica, Cass. III, n. 29643/2024ha statuito che la notificazione del ricorso per consulenza tecnica preventiva ex art. 696-bis c.p.c. ha efficacia interruttiva della prescrizione, ai sensi dell'art. 2943 c.c., in quanto tale procedimento rientra nella categoria dei giudizi conservativi, in quanto funzionale alla raccolta di elementi informativi al fine di propiziare una conciliazione preventiva ovvero di dissuadere dall'intraprendere una lite, e per la sua ammissibilità, peraltro, è necessario che la parte ricorrente evidenzi il rapporto di strumentalità rispetto all'accertamento del credito derivante dalla mancata o inesatta esecuzione di un contratto o da un fatto illecito, ossia l'esistenza della lesione di un diritto, oggetto di accertamento da parte dell'ausiliario del giudice, che si intende tutelare in sede di cognizione in caso di mancata conciliazione). 

Si tratta, infatti, di mezzi di prova che vengono acquisiti prima e indipendentemente dal giudizio di merito per essere in questo utilizzati. Il problema della relativa qualificazione come provvedimenti cautelari o meno è però pregnante ed è senz'altro acuito per il fatto che nella disciplina del codice di rito relativa all'istruzione preventiva non viene richiamato il procedimento cautelare uniforme di cui agli artt. 669-bis ss. c.p.c. perché l'art. 669-quaterdecies c.p.c. si limita a ritenere applicabile a questi provvedimenti l'art. 669-septies c.p.c. ossia le previsioni dettate per l'ipotesi del rigetto del provvedimento e per la relativa riproponibilità della domanda.

Con la conseguenza che le norme che regolano l'istruzione preventiva non sono quelle già esaminate e relative al procedimento cautelare uniforme, bensì le norme dettate per il giudizio ordinario, compresa quella sulla competenza. In questo quadro normativo, è complicato, appunto, stabilire se i provvedimenti in parola rivestono o meno natura propriamente cautelare.

Secondo autorevole dottrina, gli elementi di differenziazione sopra ricordati e il richiamo del solo art. 669-septies c.p.c. indurrebbero ad escludere la natura cautelare di questi provvedimenti e a farli rientrare nell'àmbito della giurisdizione di cognizione; la loro funzione sarebbe quella di anticipare la fase istruttoria, in modo similare alla anticipazione della fase decisoria che nel codice di procedura civile è fatta ad opera delle ordinanze anticipatorie di condanna exartt. 186-bis, 186-ter e 186-quater c.p.c. Si avrebbe, pertanto, uno «spostamento nel tempo dell'acquisizione di una prova», così come con la rogatoria la prova viene spostata nello spazio (Picardi, 744). In realtà, la natura cautelare del provvedimento di istruzione preventiva è generalmente riconosciuta dalla dottrina classica anche per la collocazione sistematica delle norme ad essa relative (Andrioli, 235; Satta, 252, secondo cui la funzione specifica di tali provvedimenti è di assicurare non già il bene richiesto ma il mezzo istruttorio tramite cui si vuole provare il diritto).

La tesi sulla natura cautelare dei provvedimenti di istruzione preventiva può in realtà ormai dirsi pacifica poiché è peraltro supportata da importanti pronunce del giudice delle leggi. La Corte Costituzionale ha, infatti, specificato che sono costituzionalmente illegittimi gli artt. 669-quaterdecies e 695 c.p.c. nella parte in cui non prevedono la reclamabilità del provvedimento di rigetto dell'istanza per l'assunzione preventiva dei mezzi di prova di cui agli artt. 692 ss. c.p.c. Premesso che la disciplina dell'istruzione preventiva fa parte della tutela cautelare, di cui condivide la ratio ispiratrice, che è quella di evitare che la durata del processo si risolva in un pregiudizio della parte che dovrebbe veder riconosciute le proprie ragioni, la non reclamabilità dei provvedimenti che respingono i ricorsi per provvedimenti di istruzione preventiva costituisce una incoerenza interna alla disciplina della tutela cautelare, per la discrasia che determina rispetto alla reclamabilità dei provvedimenti di rigetto di istanze cautelari sostanziali e ancor più rispetto alla reclamabilità del provvedimento di diniego di sequestro giudiziario per provvedere alla custodia temporanea di libri, registri, documenti, campioni e di ogni altra cosa da cui si pretende desumere elementi di prova, di cui all'art. 670, comma 2, c.p.c., mentre, in generale, la non impugnabilità dei provvedimenti sia di rigetto che di accoglimento neppure comporta parità di tutela tra le parti, dal momento che il danno che può derivare al ricorrente da un provvedimento di concessione ed esecuzione di un provvedimento di istruzione preventiva non è definitivo (Corte cost., n. 144/2008). La definitiva consacrazione, da parte del giudice delle leggi, della natura cautelare dei provvedimenti di istruzione preventiva si è avuta con una successiva dichiarazione di incostituzionalità. La Corte ha, infatti, dichiarato costituzionalmente illegittimo l'art. 669-quaterdecies c.p.c. – al cui commento, comunque, si rinvia – nella parte in cui, escludendo l'applicazione dell'art. 669-quinquies c.p.c. ai provvedimenti di istruzione preventiva, impedisce, in caso di clausola compromissoria, di compromesso o di pendenza di giudizio arbitrale, la proposizione della domanda di accertamento tecnico preventivo al giudice che sarebbe competente a conoscere del merito. Premesso che i provvedimenti di istruzione preventiva hanno natura cautelare e che tra l'art. 696 c.p.c. relativo all'accertamento tecnico preventivo, e la normativa generale sui provvedimenti cautelari non sussiste alcuna incompatibilità contraria al carattere espansivo di quest'ultima, l'esclusione dell'accertamento tecnico preventivo dall'àmbito applicativo definito dall'art. 669-quaterdecies c.p.c., con conseguente inapplicabilità dell'art. 669-quinquies c.p.c., risulta irragionevole, non sussistendo argomenti idonei a giustificare la diversità di disciplina normativa, con riguardo all'arbitrato, tra il provvedimento di cui all'art. 696 c.p.c. e gli altri provvedimenti cautelari (Corte cost., n. 26/2010).

Resta da esaminare quanto all'inquadramento della strumentalità dei provvedimenti di istruzione preventiva, il loro inserimento nel successivo giudizio di merito. Premesso che l'efficacia probatoria del mezzo di prova assunto preventivamente sarà quella propria del mezzo di prova tipico e il giudice dovrà valutarla secondo la gerarchia posta dall'art. 116 c.p.c., più complicato è stabilire come tali prove possano essere inserite nel processo di merito.

Il punto di partenza per sciogliere il nodo è l'esame dell'art. 698, comma 2, c.p.c., norma che stabilisce che l'assunzione preventiva dei mezzi di prova non pregiudica le questioni relative alla loro ammissibilità e rilevanza, né impedisce la loro rinnovazione nel giudizio di merito. Pertanto, il giudice di merito ha il potere di valutare l'ammissibilità e la rilevanza della prova che sia stata assunta preventivamente secondo il procedimento in questione.

Le risultanze dell'accertamento tecnico preventivo non sempre si rivelano utili a raccogliere prove da far valere nel giudizio di merito volto al riconoscimento del diritto al risarcimento del danno subìto, non sempre infatti le risultanze dell'accertamento tecnico preventivo vengono accolte dal giudice del merito; ciò perché l'art. 698, comma 2, c.p.c., permette al giudicante di rinnovare gli accertamenti effettuati in sede di ATP, lasciando intatte le questioni relative alla sua ammissibilità e rilevanza (Trib. Firenze 23 aprile 2014). Inoltre, secondo la giurisprudenza del Supremo Collegio, l'acquisizione dei verbali delle prove che siano state assunte preventivamente non deve avvenire per forza per il tramite di un provvedimento formale perché è sufficiente la materiale acquisizione di esso e che quel giudice l'abbia poi esaminata traendone elemento per il proprio convincimento e che la parte che lamenti l'irritualità dell'acquisizione e l'impossibilità di esame delle risultanze dell'indagine, sia stata posta in grado di contraddire in merito ad esse (Cass. II, n. 6591/2016).

Un'altra ipotesi di procedimento di istruzione preventiva è quello disciplinato dall'art. 696-bis c.p.c. rubricato «Consulenza tecnica preventiva ai fini della composizione della lite», che disciplina la possibilità di esperire in via preventiva una consulenza tecnica, anche al di fuori delle condizioni previste dall'art. 696 c.p.c., per accertare e determinare i crediti che derivano dalla mancata o inesatta esecuzione di obbligazioni contrattuali o, più genericamente, da fatto illecito. Il consulente tecnico così incaricato ha l'onere di tentare prima la conciliazione delle parti con la relativa formazione del processo verbale ove la conciliazione in parola riesca. Il verbale ha efficacia di titolo esecutivo ai fini dell'espropriazione e dell'esecuzione in forma specifica ed è altresì titolo per l'iscrizione di ipoteca giudiziale. In assenza di conciliazione, ad istanza di ciascuna delle parti, può essere avanzata la richiesta di acquisizione agli atti del giudizio di merito successivo. Rispetto a questo procedimento, si dubita della natura propriamente cautelare, avendo esso una più specifica funzione deflattiva del contenzioso giudiziario e, pertanto, avrebbe dovuto forse trovare migliore collocazione sistematica. L'affermazione contenuta nella norma secondo cui la consulenza tecnica in parola può essere disposta «anche al di fuori delle condizioni di cui al primo comma dell'art. 696 c.p.c.» è la vera portata innovativa della disposizione rispetto alla funzione istituzionale di tale mezzo istruttorio, dato che così la consulenza tecnica viene del tutto sganciata dai presupposti indispensabili ai sensi dell'art. 696 c.p.c., ossia l'urgenza di far verificare, ante causam, lo stato di luoghi o la qualità e la condizione di cose. Ciò non toglie, tuttavia, che il giudice prima di provvedere sulla richiesta debba valutare il fumus boni iuris e pertanto la presumibile fondatezza del diritto di cui si domanda la consulenza tecnica preventiva. Con la conseguenza che la formazione della prova non presenta più il vincolo della strumentalità rispetto al giudizio di merito ma presenta la natura della strumentalità per una risoluzione conciliativa della lite inter partes, con la conseguenza che lo strumento riveste una doppia natura, dato che potrà essere sia strumento conciliativo delle parti, sia mezzo di prova prima e al di fuori del processo di merito.

I rapporti con il giudizio di merito del provvedimento cautelare anticipatorio

Abbiamo già detto che l'instaurazione del procedimento di merito non è necessaria ai fini della conservazione dell'efficacia del provvedimento cautelare anticipatorio ma ciascuna parte può iniziarlo senza rispettare alcun termine se non quello relativo all'esercitabilità del diritto secondo gli stabilizzatori del diritto sostanziale, ossia secondo le regole poste dal diritto sostanziale sulla prescrizione e sulla decadenza.

Una volta che il giudizio di merito sia stato iniziato, o dalla parte beneficiaria, o, più probabilmente, dall'altra parte, le regole relative saranno quelle dettate dal rito cautelare uniforme. Va però ricordato che, a norma dell'art. 669-octies, comma 8, c.p.c., l'estinzione del giudizio di merito non determina l'inefficacia dei provvedimenti di cui al comma 6 e, pertanto, dei provvedimenti anticipatori, anche quando la relativa domanda sia stata proposta in corso di causa.

Salva l'applicazione di questa regola specifica volta a preservare l'efficacia del provvedimento cautelare anticipatorio ove sopravvenga l'estinzione del giudizio di merito, le altre regole dettate dalle norme degli art. 669-bis ss. c.p.c. andranno rispettate. L'ipotesi più semplice è quella che la sentenza di merito dichiari l'inesistenza del diritto a cautela del quale il provvedimento cautelare era stato concesso. Ai sensi dell'art. 669-novies, comma 3, c.p.c., il provvedimento cautelare perde efficacia, oltre che nell'ipotesi di mancato versamento della cauzione, anche nel caso in cui con sentenza di merito, sia italiana che straniera, anche non passata in giudicato, sia dichiarato inesistente il diritto a cautela del quale il provvedimento stesso era stato concesso; ugualmente è a dirsi per l'emanazione di un lodo arbitrale a seguito del relativo procedimento. La regola, oramai ovviamente dettata per le sole misure cautelari a strumentalità forte, come i sequestri, si applica senz'altro anche ai provvedimenti cautelari a strumentalità attenuata, come quelli d'urgenza, laddove in concreto il procedimento di merito sia stato iniziato. Quale sia il significato della disposizione in parola che prevede la perdita di efficacia del provvedimento cautelare ove appunto il giudizio di merito dichiari l'inesistenza del diritto cautelato, è chiaro. La norma – come è stato efficacemente osservato – riafferma il principio della prevalenza dell'accertamento a cognizione piena su qualsivoglia accertamento sommario, compreso quello cautelare. La dichiarazione di inesistenza del diritto cautelato poiché pronunciata in un processo a cognizione piena ha l'effetto di far caducare il provvedimento cautelare che a tutela di quel diritto era stato concesso. Questa dichiarazione di inefficacia dovrà essere fatta dal giudice del merito e, soltanto in caso di omissione da parte di questi, dal giudice della cautela.

La regola in questione è l'espressione del principio ricordato della prevalenza della cognizione piena rispetto alla cognizione sommaria (Proto Pisani 1991, 23). In sostanza – come si è giustamente evidenziato – la dichiarazione di inesistenza del diritto cautelato nel processo a cognizione piena seguente alla concessione del provvedimento cautelare, altro non fa che venir meno il fumus boni iuris, ossia la presumibile fondatezza della pretesa (così Verde, Di Nanni, 264) che si trasforma in accertamento della inesistenza. Che ciò sia vero è indiscutibilmente dimostrato dal fatto che è possibile chiedere di nuovo la concessione del provvedimento cautelare al giudice dell'impugnazione, ma, laddove la parte ricorrente chieda l'emanazione del provvedimento prima dell'instaurazione del giudizio di appello, il giudizio in questione deve essere iniziato entro i termini previsti dall'art. 669-octies, comma 1, c.p.c. (Verde, Di Nanni, 265).

Ulteriore ipotesi è quella della chiusura del processo di merito con decisione di mero rito. Una decisione di tal genere non comporta la dichiarazione di inesistenza del diritto a cautela del quale il provvedimento anticipatorio era stato concesso e pertanto la soluzione è decisamente più complicata. A tale stregua, sembrerebbe opportuno ritenere che la chiusura del processo in rito per l'esistenza di questioni processuali impedienti vada paragonata all'estinzione del giudizio di merito e, di conseguenza, ad un'ipotesi che per disposizione normativa espressa non comporta l'inefficacia del provvedimento cautelare anticipatorio.

Non può sottacersi, tuttavia, che, secondo parte della dottrina, invece le conseguenze che la chiusura del processo in rito provoca sul provvedimento cautelare anticipatorio dipendano dal tipo di vizio che ha provocato tale chiusura, nel senso che il vizio potrebbe essere relativo direttamente al processo di merito, ad esempio perché inficia l'atto introduttivo, e quindi non provocherebbe effetti rispetto al provvedimento cautelare, oppure potrebbe essere relativo al provvedimento cautelare e allora ne provocherebbe l'inefficacia. Tali vizi potrebbero essere ad esempio il difetto di giurisdizione, il difetto di competenza, il difetto di legittimazione, la mancanza dell'interesse ad agire (in questo senso, v. Caponi 2005, 137; ugualmente Balena 2006, 348; Comastri, 196; Dalmotto, 1270; contra, Saletti 2015, 307; Borghesi 2013, 90). Secondo la dottrina contraria, infatti, una soluzione di questo genere, oltre a complicare le cose da un punto di vista ricostruttivo, non sarebbe in linea con il disposto normativo dell'art. 669-novies, comma 3, c.p.c., che si riferisce soltanto alla dichiarazione di inesistenza del diritto cautelando con sentenza di merito e non all'ipotesi di chiusura dello stesso processo con pronuncia di rito, indipendentemente dal vizio rilevato, sia esso riferibile alla causa di merito sia esso riferibile al provvedimento cautelare stesso; dall'altro lato, non appare coerente con il nostro sistema processuale che normalmente considera i vizi di rito come cause di estinzione del processo di merito, estinzione che non provoca l'inefficacia del provvedimento cautelare a strumentalità attenuata.

Inoltre, va rilevato come il vizio processuale che inficia il provvedimento possa e debba essere eventualmente fatto valere con l'impugnazione apposita e, quindi, con il reclamo cautelare che è soggetto a termini perentori di proponibilità.

Pertanto, si condivide l'opinione che ritiene che ammettere una soluzione diversa, ossia ritenere che il vizio processuale afferente al provvedimento cautelare possa provocare l'inefficacia del provvedimento stesso, costituirebbe un modo per eludere i termini di decadenza per la proposizione del reclamo, nonché la stessa configurazione del reclamo quale mezzo di impugnazione del provvedimento, strumento pertanto idoneo a decidere anche della inesistenza dei presupposti processuali. In questo senso, si è ritenuto condivisibilmente che semmai l'emersione di un vizio di rito del provvedimento cautelare possa essere idoneo a fondare una richiesta di revoca o modifica del provvedimento stesso dato che costituisce un mutamento delle circostanze che consente di applicare la regola fissata dall'art. 669-decies c.p.c.

Le modifiche alla strumentalità dei provvedimenti di sospensione dell'efficacia delle delibere assembleari contenute nella riforma del processo civile 2022.

L'art. 1, comma 17, della l. delega n. 206/2021, rubricato «Disposizioni per l'efficienza dei procedimenti civili», stabiliva che in sede di attuazione della delega il Governo avrebbe dovuto prevedere che il provvedimento cautelare di sospensione dell'esecuzione delle deliberazioni assunte da qualsiasi organo di associazioni, fondazioni, società ovvero condominio non perde efficacia in caso di estinzione del giudizio, anche quando la relativa domanda è stata proposta in corso di causa e che i provvedimenti di sospensione delle deliberazioni dell'assemblea condominiale di cui all'art. 1137 c.c. (che disciplina l'impugnazione delle deliberazioni dell'assemblea) non perdono efficacia ove non sia successivamente instaurato il giudizio di merito.

La legge delega incideva anche sulle modalità di pronuncia della inefficacia prevedendo che la dichiarazione di inefficacia di cui alla norma in commento doveva assumere anche in caso di contestazioni la forma dell'ordinanza. Su questo profilo, v. infra.

Con decreto legislativo 10 ottobre 2022 n. 149 il Governo, in attuazione della legge delega n. 206/2021, ha provveduto a varare la riforma del processo civile. Con tale riforma sono state modificate alcune norme della disciplina dei provvedimenti cautelari e, in particolare, adesso l'art. 669-octies, comma 6, c.p.c. prevede che le disposizioni della norma e dell'art. 669-novies, comma 1, c.p.c., non si applicano oltrechè ai provvedimenti d'urgenza e agli altri provvedimenti cautelari idonei ad anticipare gli effetti della sentenza di merito, e ai provvedimenti emessi a seguito di denuncia di nuova opera o danno temuto, anche “ai provvedimenti di sospensione dell'efficacia delle delibere assembleari adottati, ai sensi dell'articolo 1137, quarto comma, del codice civile”, sicché ciascuna delle parti può iniziare il giudizio di merito. Il penultimo comma dell'art. 669-octies c.p.c., nella nuova formulazione, prevede, conseguentemente, che l'estinzione del giudizio di merito non determina l'inefficacia dei provvedimenti di cui al sesto comma, “né dei provvedimenti cautelari di sospensione dell'efficacia delle deliberazioni assunte da qualsiasi organo di associazioni, fondazioni o società”, anche quando la relativa domanda è stata proposta in corso di causa. Conformemente alle previsioni della legge delega viene modificato anche l'art. 1137 c.c. con l'eliminazione dell'inciso contenuto nell'ultima parte dell'ultimo comma che prevedeva l'esclusione dell'art. 669-octies, comma 6, c.p.c.

Per quanto riguarda le connesse modifiche alla disciplina dell'inefficacia dei provvedimenti cautelari di sospensione dell'esecuzione delle deliberazioni di associazioni, fondazioni, società o condominio, contenute nel già ricordato penultimo comma dell'art. 669-octies c.p.c. bisogna dire che secondo quanto riportato nella Relazione illustrativa, la modifica in commento rappresenta la logica attuazione di un criterio che consenta di conferire stabilità al provvedimento cautelare di sospensione dell'esecuzione delle deliberazioni assunte da qualsiasi organo di associazioni, fondazioni, società, ovvero condominio, prevedendosi, appunto, che esso non perda efficacia in caso di estinzione del giudizio, anche quando la relativa domanda è stata proposta in corso di causa e che i provvedimenti di sospensione delle deliberazioni dell'assemblea condominiale non perdano, appunto, efficacia in mancanza di instaurazione del giudizio di merito.

Attualmente, ai provvedimenti cautelari con cui il giudice sospende l'esecuzione delle deliberazioni assunte dagli organi di società, art. 2378, comma 4, c.c. o di associazioni, art. 23, ultimo comma, c.c., non è attribuita efficacia anticipatoria della sentenza di merito, con la conseguenza che essi perdono efficacia laddove il giudizio di merito, in funzione del quale essi sono necessariamente proposti, si estingua.

L'intervento di riforma, pertanto, ha uno scopo deflattivo del contenzioso; ciò perché spesso l'attore, dopo aver ottenuto nell'ambito del giudizio di merito il provvedimento cautelare con il quale viene disposta la sospensione dell'esecuzione della deliberazione, non ha realmente interesse ad ottenere la decisione di merito, se non quello di garantire che gli effetti – sicuramente anticipatori – del provvedimento cautelare ottenuto, siano stabilizzati dalla pronuncia di merito idonea, questa sì, al passaggio in giudicato.

Il legislatore della riforma, quindi, con l'intervento in questione intende coordinare il regime dell'efficacia di questi provvedimenti cautelari equiparandolo a quello previsto dall'art. 669-octies c.p.c. per le misure cautelari «anticipatorie» che – come già visto supra – non necessitano di un collegamento strumentale «forte» con il giudizio di merito (e che, pertanto, rimangono in vita ove il processo si estingua e non richiedono, ove ottenute ante causam, la necessaria instaurazione entro i termini previsti dalla legge o dal giudice del giudizio di merito ad esse collegato).

Per quanto riguarda, poi, i provvedimenti di sospensione dell'esecuzione delle delibere condominiali, la delega – come detto – prevede che la legge di attuazione stabilisca che essi non perdono efficacia in caso di estinzione del giudizio anche laddove la relativa domanda sia stata proposta in corso di causa e che i provvedimenti cautelari di sospensione delle deliberazioni dell'assemblea ex art. 1137 c.c. non perdono efficacia laddove non sia successivamente instaurato il giudizio di merito. L'obiettivo della legge delega rispetto alla previsione in commento è senz'altro quello di garantire una maggiore semplificazione e celerità del procedimento oltreché una deflazione del contenzioso derivante dalla materia condominiale.

In sostanza, il condomino che dissenta rispetto alla deliberazione assembleare e che la abbia conseguentemente impugnata ottenendo in sede giudiziale un provvedimento di sospensione dell'efficacia della stessa, potrà usufruire della novella «strumentalità attenuata» del provvedimento in questione che continuerà a spiegare i suoi effetti e a mantenere la sua efficacia anche se il giudizio si estingua, pur se chiesta e ottenuta in corso di causa; ovvero laddove il condomino scelga di chiedere il provvedimento cautelare e ottenere l'istanza di sospensione della delibera prima di instaurare il giudizio di merito, non dovrà successivamente instaurarlo a pena di inefficacia della misura cautelare.

Ovviamente, il provvedimento di sospensione può comunque essere oggetto di impugnazione tramite reclamo cautelare e, in base alle regole generali, il giudizio di merito può essere instaurato senz'altro ad opera di altri condomini e del condominio. Ma, comunque, ottenuta la sospensione dell'efficacia esecutiva della delibera il condominio avrà la scelta tra astenersi del tutto dall'eseguirla laddove non intenda proseguire per il merito, ovvero adottare una nuova delibera non viziata.

La logica posta alla base della riforma in questione è evidente; il legislatore intende garantire che sia impedita l'esecuzione della delibera assembleare condominiale illegittima. Una volta ottenuto il provvedimento di sospensione sono, alla stregua di quanto accade per tutti i provvedimenti cautelari anticipatori, garantiti gli effetti provvisori del provvedimento e, pertanto, la delibera non può essere eseguita senza necessità che venga instaurato successivamente il giudizio di merito. Secondo le regole generali, il provvedimento di sospensione rimarrà provvisoriamente in vita senza necessità di una rigida strumentalità «forte» e, pertanto, senza necessità che per il mantenimento della sua efficacia sia necessario instaurare il giudizio di merito nei termini previsti dalla legge o dal giudice a pena di inefficacia.

Quanto all'applicazione delle nuove norme l'art. 35 del d.lgs. n. 149/2022 prevede che le disposizioni del decreto, salvo che non sia diversamente disposto, hanno effetto a decorrere dal 30 giugno 2023 e si applicano ai procedimenti instaurati successivamente a questa data. Ai procedimenti pendenti alla data del 30 giugno 2023 si applicano invece le disposizioni anteriormente vigenti.

Il regime delle spese

Il legislatore della riforma del 2005, nel modificare l'art. 669-octies c.p.c., aveva lasciato irrisolto il problema delle spese del procedimento: l'obbligo di pronunciare su di esse ai sensi degli artt. 91 ss. c.p.c. derivava de plano da considerazioni di ordine sistematico almeno per il provvedimento anticipatorio che venga concesso ante causam, diversamente dovendosi ipotizzare che la parte vittoriosa e non interessata ad instaurare il giudizio di merito, dovesse farlo soltanto per recuperare le spese del procedimento cautelare. Ovviamente, una soluzione di tal fatta si contrapponeva alle esigenze di deflazione del contenzioso avute di mira proprio dal legislatore della riforma con la modifica del regime della strumentalità dei provvedimenti a contenuto anticipatorio.

Peraltro, la lacuna si poneva in contrasto con quanto espressamente previsto dall'allora vigente art. 23, comma 2, del d. lgs. n. 5/2003 che, rispetto ai procedimenti in materia societaria, prevedeva che il magistrato designato per il provvedimento cautelare dovesse provvedere in ogni caso sulle spese del procedimento a norma degli artt. 91 ss. del codice di rito. Tale dimenticanza non teneva nel debito conto le caratteristiche proprie dei provvedimenti a strumentalità attenuata che hanno l'attitudine a restare efficaci e provvisoriamente validi fino all'eventuale giudizio di merito a cognizione piena, giudizio che, in ipotesi, potrebbe non svolgersi mai laddove nessuna delle parti prenda la relativa iniziativa.

La dottrina aveva tentato di risolvere il problema in via interpretativa. Si era sostenuto, ad esempio, che era possibile un'applicazione dell'art. 669-septies, comma 2, c.p.c. sebbene la disposizione faccia riferimento al solo caso del rigetto del ricorso; questa estensione doveva ritenersi possibile non solo per ragioni di interpretazione autentica ma anche sul presupposto che la norma era stata introdotta per evitare che il giudizio di merito debba essere iniziato soltanto per ottenere il ristoro delle spese (Balena, in Balena, Bove 2006, 351). Secondo altri, si poteva ritenere applicabile anche all'ipotesi disciplinata dall'art. 669-octies c.p.c. la disposizione del ricordato art. 23, comma 2, del d.lgs. n. 5/2003 (Dalmotto 2006, 1258). E ancora si era affermato che i principi generali di cui agli artt. 91 ss. c.p.c. rendevano necessario ritenere che il provvedimento cautelare a strumentalità attenuata dovesse contenere anche la condanna alle spese del procedimento stesso (Saletti 2006, 32). In altro commento, si era evidenziato come la soluzione dovesse trovarsi preferibilmente in via legislativa per non sconfessare l'intento deflattivo del contenzioso giudiziario avuto di mira dal legislatore della riforma (Asprella 2006, 162).

La giurisprudenza di merito aveva ugualmente provato a risolvere la questione in via interpretativa. Si era affermato che, benché il codice di rito disponga specificatamente all'art. 669-septies, comma 2, c.p.c. la condanna alle spese in caso di provvedimento negativo sull'istanza cautelare, nulla stabilendo per l'ipotesi di provvedimento di accoglimento regolato dal successivo art. 669-octies c.p.c., deve ritenersi operante, in tale ultima evenienza, il principio generale della soccombenzaexart. 91 c.p.c., la cui inapplicabilità richiederebbe una previsione espressa (Trib. Larino 13 marzo 2007). Ugualmente si era rilevato che, in caso di accoglimento della domanda cautelare ante causam ex art. 700 c.p.c., era necessario provvedere sulle spese processuali (Trib. Reggio Calabria 6 novembre 2006; nello stesso senso si era espresso Trib. Trani 30 agosto 2006, nonché, con riferimento ad un provvedimento d'urgenza avente contenuto anticipatorio, Trib. Verona 10 aprile 2006). Infine, la Corte Costituzionale aveva dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 703 e 669-octies c.p.c., in riferimento agli artt. 3 e 24 cost., nella parte in cui non prevedono che, con il provvedimento di accoglimento della domanda possessoria, il giudice debba provvedere anche sulle spese. I giudici della Consulta avevano specificato che, premesso che la dichiarazione di illegittimità costituzionale di una disposizione è giustificata dalla constatazione che non ne è possibile una interpretazione conforme alla Costituzione, ma non dalla mera possibilità di attribuire ad essa un significato che contrasti con parametri costituzionali, e premesso altresì che nella specie, trattandosi di norma processuale, l'interpretazione doveva essere condotta attribuendo rilievo al principio di economia dei giudizi, espressione di quello, fondamentale, di ragionevolezza, le norme censurate non violavano i parametri invocati, perché nell'ordinamento già esiste un principio generale secondo cui il giudice che emette un provvedimento conclusivo di un procedimento, anche solo ipoteticamente idoneo a divenire definitivo, deve anche provvedere sulle spese (Corte cost., n. 379/2007).

Infine, il legislatore con l. n. 69/2009 ha modificato l'art. 669-octiesc.p.c. prevendendo, al comma 7, che il giudice, quando emette uno dei provvedimenti di cui al comma 6 – ossia provvedimenti cautelari anticipatori degli effetti della decisione di merito – prima dell'inizio della causa di merito stessa, provvede sulle spese del procedimento cautelare.

Con riferimento alle spese del provvedimento cautelare, è d'uopo ricordare che, nell'àmbito del rito cautelare uniforme, le norme relative alla disciplina delle spese sono, oltre all'art. 669-octies, comma 7, c.p.c. ora ricordato, anche l'art. 669-septies, comma 2, c.p.c. che prevede l'obbligo per il giudice del cautelare di provvedere sulle spese se l'ordinanza di incompetenza o di rigetto è pronunciata prima dell'inizio della causa di merito.

L'esigenza di provvedere sulle spese non vi è nemmeno rispetto ai provvedimenti pronunciati in corso di causa, per il fatto che in tale ipotesi la condanna alle spese confluirà nel provvedimento conclusivo del giudizio di merito, pur se – come vedremo nel prosieguo – il principio non è univocamente condivisibile.

Nel disciplinare la condanna alle spese come pronuncia accessoria ai provvedimenti cautelari emanati ante causam, il legislatore ha avuto come modello un orientamento giurisprudenziale emanato con riferimento ai provvedimenti d'urgenza prima dell'introduzione del rito cautelare uniforme e sostanzialmente inaugurato da una nota pronuncia delle Sezioni Unite, la quale aveva stabilito che la liquidazione delle spese doveva accedere al provvedimento pronunciato ex art. 700 c.p.c. proprio al fine di evitare alla parte vittoriosa l'onere di instaurare un autonomo giudizio di cognizione per ottenere il pagamento delle spese di lite.

L'importanza di tale orientamento nella disciplina dell'assetto attuale dell'art. 669-septies, comma 2, c.p.c. è tale che risulta opportuno soffermarci sul punto. La Corte di Cassazione, infatti, adita in sede di ricorso straordinario contro l'ordinanza di rigetto di un provvedimento d'urgenza sul rilievo che il provvedimento in questione recava la condanna al pagamento delle spese di giudizio, in violazione, secondo il ricorrente, del disposto dell'art. 91 c.p.c. che stabilisce che la condanna alle spese può accedere alla sentenza conclusiva del processo e non ad un provvedimento interinale, ha risolto la questione nel senso sopra menzionato.

A tale pronunciamento delle Sezioni Unite, si è pervenuti a seguito di un contrasto di giurisprudenza sorto sulla possibilità di far accedere al provvedimento d'urgenza «negativo», ossia di rigetto, la condanna alle spese. In particolare, secondo un primo indirizzo della giurisprudenza di legittimità, il provvedimento che rigetti l'istanza ex art. 700 c.p.c. non possa contenere la condanna del ricorrente alle spese in favore dell'altra parte, stante la non configurabilità, nel procedimento cautelare, di un vero e proprio contraddittorio e quindi di una soccombenza in senso tecnico; secondo un diverso orientamento, invece, l'art. 91 c.p.c. trova applicazione con riferimento ad ogni provvedimento, anche se reso in forma di ordinanza o di decreto che, nel risolvere contrapposte posizioni, chiuda il procedimento innanzi al giudice che lo emette, quando si rende necessario ristorare la parte vittoriosa degli oneri inerenti al dispendio di attività processuale derivante dall'iniziativa dell'avversario. Questa norma, secondo tale interpretazione, opererebbe anche con riferimento ai procedimenti sommari e cautelari.

Secondo la Corte di Cassazione, a Sezioni Unite, il primo orientamento, quello negativo, si ancora ad un principio aprioristico, ossia al fatto che la locuzione «sentenza che chiude il processo» contenuta nell'art. 91 c.p.c., debba essere intesa strettamente in senso tecnico-giuridico, e che quindi non possa far riferimento ad altro che al processo ordinario di cognizione. Questo orientamento sconta il rischio – dice la Corte – di trasformare la norma dell'art. 91 c.p.c. in una norma processuale rigida e riduttiva che lascia priva di tutela giurisdizionale una molteplicità di casi come, ad esempio, la tutela risarcitoria dei resistenti che riescano vittoriosi nei procedimenti cautelari. Diversamente, il secondo indirizzo giurisprudenziale, quello che riconosce l'ammissibilità della condanna alle spese nei procedimenti cautelari ha il pregio di utilizzare il criterio ermeneutico della interpretazione estensiva per consentire una soluzione che il legislatore non ha espressamente disciplinato ma la cui soluzione si inserisce logicamente nella politica legislativa da lui perseguita; ciò è dimostrato anche dal fatto che tale soluzione ha il pregio di garantire l'economia dei giudizi e di evitare lo spreco di attività giurisdizionale in una concezione dinamica del lavoro del giudice che non necessita della sollecitazione delle parti con la proposizione di un giudizio autonomo per provvedere alla determinazione delle spese processuali in favore del resistente vittorioso.

A parere della Corte, l'attività interpretativa in sede giurisdizionale è stata sempre ritenuta necessaria per risolvere tutti i casi non espressamente disciplinati dal legislatore ma che possono essere definiti utilizzando le norme già emanate; peraltro, la concentrazione dei giudizi, come espressione della partecipazione attiva del giudice alla conclusione del processo, trova il suo fondamento anche nella Relazione al Re ove si trova la affermazione secondo cui «il giudice anche nel processo civile deve essere fornito in ogni caso dei poteri indispensabili per amministrare la giustizia in modo attivo, rapido e proficuo» (v., amplius, Cass. S.U., n. 2021/1989).

L'esigenza di liquidare le spese con il provvedimento cautelare sorge – come visto – se il provvedimento è negativo mentre non nasce se il provvedimento è positivo, cioè di accoglimento, perché in tale caso le spese sono liquidate insieme con la sentenza che definisce il giudizio di merito, a meno che non si tratti di provvedimento cautelare anticipatorio nel qual caso, a norma della formulazione dell'art. 669-octies, comma 7, c.p.c. il giudice provvede anche sulle spese del procedimento cautelare (sulla questione, culminata con la modifica del comma 7, v. il commento subart. 669-octies c.p.c.); ovvero a meno che non si tratti di provvedimento cautelare emanato in corso di causa.

Secondo i giudici di legittimità, il provvedimento cautelare richiesto al giudice istruttore della causa pendente nel merito concreta un subprocedimento incidentale inserito nel procedimento principale e, pertanto, la regolamentazione delle spese processuali del primo, essendo questo privo di autonomia, non può che essere disposta, come per tutte le altre spese processuali che si sostengono nel corso del procedimento principale, con il provvedimento che chiude quest'ultimo. Di conseguenza, il provvedimento sulle spese adottato in una ipotesi del genere dal giudice istruttore della causa di merito deve essere considerato abnorme, perché emesso in difetto del relativo potere giurisdizionale, ed il relativo vizio può essere fatto valere anche nel corso del giudizio nel quale il provvedimento stesso è stato emesso, sulla base del principio del potere revisionale spettante al collegio sulle ordinanze del giudice istruttore (Cass. I, n. 7921/1996). Ancora, si è precisato che la statuizione sulle spese, mentre deve essere adottata in caso di rigetto della domanda o di dichiarazione di incompetenza, non è prevista quando la misura richiesta dalla parte istante sia concessa, o confermata in sede di reclamo, in ragione del carattere temporaneo e provvisorio della relativa pronuncia, destinata ad essere superata o assorbita con la decisione nel merito, e comunque suscettibile di successiva modifica o revoca (Cass. I, n. 5566/1996). In giurisprudenza di merito, si è osservato, nello stesso senso, che, quando viene rigettata una domanda cautelare proposta in corso di causa, la regolamentazione delle spese della fase cautelare avviene con la sentenza che definisce il giudizio di merito, in applicazione della regola generale di cui all'art. 91 c.p.c.; posto che il provvedimento cautelare richiesto al giudice istruttore della causa pendente nel merito è privo di autonomia e concreta un subprocedimento incidentale inserito nel procedimento principale, l'art. 669-septies c.p.c. ammette, infatti, la liquidazione delle spese solo in caso di rigetto della misura cautelare richiesta ante causam o di dichiarazione di incompetenza a provvedere su di essa (Trib. Palermo 26 aprile 2004).

Ci si interroga sull'effettiva possibilità di ritenere definitiva la pronuncia di condanna alle spese ai sensi dell'art. 669-septies, comma 2, c.p.c. Ciò perché potrebbe verificarsi l'ipotesi che nel successivo giudizio di merito il soccombente in sede di procedimento cautelare risulti invece vittorioso in tale sede.

La dottrina che si è occupata della questione ha affermato che la soluzione normativa comunque è giustificabile sotto un profilo teorico dato che i due procedimenti sono diversi tra di loro a livello strutturale; in tale situazione potrebbe trovare senz'altro applicazione il principio di globalità (Consolo, in Consolo, Luiso, Sassani, 646).

Questione connessa alla liquidazione delle spese del provvedimento è quella relativa alla possibilità di effettuare la condanna per lite temerariaexart. 96 c.p.c. Sulla questione va ricordato che la norma dell'art. 96 c.p.c. disciplina la c.d. responsabilità aggravata prevedendo, al comma 1, che, se risulta che la parte soccombente ha agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave, il giudice, su istanza dell'altra parte, la condanna, oltre che alle spese, al risarcimento dei danni, che liquida, anche d'ufficio, nella sentenza. A norma del comma 2, il giudice che accerta l'inesistenza del diritto per cui è stato eseguito un provvedimento cautelare, o trascritta domanda giudiziaria, o iscritta ipoteca giudiziale, oppure iniziata o compiuta l'esecuzione forzata, su istanza della parte danneggiata condanna al risarcimento dei danni l'attore o il creditore procedente, che ha agito senza la normale prudenza. La liquidazione dei danni è fatta a norma del comma precedente. Infine, ai sensi dell'ultimo comma della disposizione, il giudice in ogni caso, quando pronuncia sulle spese ai sensi dell'art. 91 c.p.c., anche d'ufficio può altresì condannare la parte soccombente al pagamento, in favore della controparte, di una somma equitativamente determinata. In sostanza l'ipotesi disciplinata dal comma 1 prevede che il vincitore possa chiedere al giudice della causa di merito non solo il rimborso delle spese, ma anche la condanna di controparte al risarcimento dei danni, se questi ha agito o resistito in mala fede o con colpa grave. La seconda ipotesi, invece, si riferisce ad iniziative processuali che possono arrecare immediato pregiudizio alla parte che le subisce. Infine, il comma 3 detta non già una nuova forma di responsabilità per lite temeraria, bensì un istituto diverso, caratterizzato dal potere discrezionale del giudice di irrogare una pena pecuniaria ex art. 279 c.p.c., al soccombente che ha tenuto un comportamento quantomeno incauto. In sostanza, qualora ricorrano gli estremi della responsabilità aggravata in una delle ipotesi prima viste, il giudice, anche d'ufficio, può condannare il soccombente a pagare una somma, equitativamente determinata, in favore della controparte, indipendentemente dalla prova del danno da essa subito in conseguenza del comportamento del soccombente.

La giurisprudenza di merito ha precisato che la condanna per lite temeraria, prevista dall'art. 96, comma 3, c.p.c., è applicabile anche nei procedimenti cautelari che si concludono con una pronuncia sulle spese, sul presupposto che l'espressione sentenza contenuta nel comma 1 dell'art. 96 c.p.c. ben può essere intesa come provvedimento che definisce il procedimento (Trib. Verona 21 marzo 2011). Sempre nel senso dell'applicabilità dell'art. 96, comma 3, c.p.c., si è espressa la giurisprudenza che nega l'ammissibilità della regola dell'art. 39 c.p.c. affermando che il comportamento della parte che propone la stessa domanda cautelare a due giudici diversi o che ripropone la domanda cautelare ad un giudice diverso da quello competente per il giudizio di reclamo, integra un abuso dello strumento processuale, sanzionabile, per l'appunto ex art. 96, comma 3, c.p.c. (Trib. Milano 12 marzo 2016). Nella stessa fattispecie, ossia la riproposizione della domanda cautelare a due giudici diversi, pur ritenendo sempre inapplicabile la norma dell'art. 39 c.p.c., una recente giurisprudenza ha invece ritenuto di disporre la compensazione integrale delle spese tra le parti, adottando pertanto una decisione di maggior favore nei confronti della parte ricorrente (Trib. Nola 29 agosto 2019, cit.).

La dottrina ha precisato che la disposizione dell'art. 669-septies, comma 2, c.p.c. sembra applicarsi alle sole ipotesi di condanna alle spese, ma è estensibile alla liquidazione dei danni derivanti da responsabilità aggravata, nella ipotesi dell'art. 96, comma 1, c.p.c. mentre sarebbe sempre preclusa nelle ipotesi di cui al comma 2 della norma perché esso presuppone che si sia svolto anche il giudizio di merito e sia stato eseguito il provvedimento cautelare (Consolo, in Consolo, Luiso, Sassani 1996, 647; contra, Cecchella, 87). Ne deriva che l'applicazione del comma 2 della disposizione dell'art. 96 c.p.c. presuppone che il provvedimento cautelare sia stato concesso e non negato e, pertanto, sarebbe ontologicamente non possibile l'esecuzione del provvedimento di rigetto e la conseguente condanna per lite temeraria.

Prima che la norma dell'art. 669-septies, comma 3, c.p.c. fosse modificata dalla l. n. 69/2009, essa stabiliva che la condanna alle spese fosse immediatamente esecutiva ed opponibile ai sensi degli artt. 645 e seguenti c.p.c. in quanto applicabili, nel termine perentorio di venti giorni dalla pronuncia dell'ordinanza se avvenuta in udienza o altrimenti dalla sua comunicazione. Successivamente, la l. n. 69/2009 ha eliminato la previsione dell'opposizione ex art. 645 c.p.c. sicché contro i provvedimenti cautelari emanati ante causam ovvero contro le misure cautelari già coperte dal cosiddetto giudicato cautelare rimane proponibile il solo rimedio generale del reclamo cautelare ai sensi dell'art. 669-terdecies c.p.c.

La proposizione del reclamo comporta una nuova regolamentazione delle spese del procedimento cautelare che sostituisce quella contenuta nel provvedimento originario e che può avere senz'altro effetto sospensivo ai sensi dell'art. 623 c.p.c. delle eventuali azioni esecutive che siano state poste in essere (Morotti, 542).

Sull'art. 669-septies, comma 3, c.p.c., vi era stata una importante pronuncia delle Sezioni Unite la quale aveva chiarito che, in tema di spese del procedimento cautelare e dopo l'intervento della nota Corte cost., n. 253/1994, gli artt. 669-septies, comma 3, e 669-terdecies c.p.c. vanno interpretati nel senso che, contro l'ordinanza di rigetto dell'istanza cautelare con compensazione delle spese, è ammissibile il reclamoex art. 669- terdeciesc.p.c., mentre, contro il provvedimento adottato sul reclamo, ovvero dopo il decorso dei termini per la proposizione del reclamo stesso, è ugualmente legittima l'opposizione di cui all'art. 669-septies c.p.c., i cui termini iniziano a decorrere, rispettivamente, o dalla scadenza del termine per proporre il reclamo o dalla pronuncia, se resa in udienza, o dalla comunicazione dell'ordinanza del giudice del reclamo che rende definitiva la pronuncia sulle spese. Ne deriva che, qualora la domanda cautelare venga rigettata con dichiarazione di compensazione delle spese processuali, la parte che si dolga di tale ultima pronuncia ha a disposizione due mezzi di gravame: il reclamo ex art. 669-terdecies c.p.c. e, definito il procedimento di reclamo o decorsi i termini per la sua proposizione, l'opposizione di cui agli artt. 669-septies, comma 3, c.p.c. e 645 c.p.c., opposizione che non è proponibile sino a quando siano pendenti i termini per reclamare o sia in corso il relativo procedimento (Cass. S.U., n. 16214/2001). Successivamente, si è precisato che il giudizio di opposizione contro la condanna alle spese disciplinato dall'abrogato art. 669-septies, comma 3, c.p.c., non presenta caratteri di autonomia rispetto alla domanda introduttiva del procedimento cautelare, poi coltivato con il reclamo, costituendo una prosecuzione dell'iniziale pretesa alle spese, né si può ritenere che a seguito dell'opposizione si instauri un separato giudizio di cognizione, trattandosi di una fase che trova origine nella domanda iniziale; con la conseguenza che, in analogia con quanto previsto in caso di appello proposto contro la sentenza resa all'esito di un giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, ai fini dell'operatività del termine semestrale di decadenza dal gravame, la pendenza va individuata con riferimento non alla notificazione dell'atto di opposizione ma all'instaurazione del procedimento cautelare (Cass. II, n. 28629/2017). Di recente, gli ermellini hanno affermato che, in tema di procedimento cautelare o ad esso equiparato contro il provvedimento di condanna alle spese, non è proponibile il ricorso per cassazione ma trova applicazione l'art. 669-septies, comma 3, c.p.c., nella formulazione ratione temporis vigente, sicché la condanna alle spese, anche se emessa all'esito del reclamo, è opponibile ai sensi degli artt. 645 e ss. c.p.c., avendo tale norma valenza generale volta com'è a ricondurre al sistema oppositorio menzionato ogni statuizione sulle spese adottata in sede di procedimento cautelare (Cass. II, n. 28607/2020).

Si è, tuttavia, giustamente obiettato che l'attuale art. 669-septies, comma 3, c.p.c. non prevede affatto che il capo relativo alle spese debba essere impugnato con reclamo cautelare ma la giurisprudenza inferisce tale soluzione dal fatto che il reclamo cautelare è configurato nel sistema del procedimento cautelare uniforme come mezzo di controllo dei provvedimenti cautelari sia positivi che negativi (Recchioni 2015, 626).

La dottrina, argomentando sulla base del contenuto differente del capo sulle spese e del provvedimento cautelare, ha rilevato come la natura decisoria del capo in questione che afferisce senz'altro ad un diritto soggettivo, imponga un diverso strumento di controllo e, segnatamente, il ricorso straordinario in cassazione (Luiso 2019, 199; Balena 2009, 771). Peraltro – si è rilevato – il reclamo cautelare appare mezzo di controllo non adeguato per la tutela della parte che intenda impugnare la decisione ingiusta sulle spese del provvedimento cautelare; non solo e non tanto perché trattasi di cognizione sommaria ma, piuttosto, per il fatto che la decisione sulle spese è decisione su diritti soggettivi e la relativa pronuncia è idonea al passaggio in giudicato, con la conseguenza che è necessario prevedere un mezzo di impugnazione tale da impedire questo passaggio (Recchioni 2015, 627).

Ci si domanda, di conseguenza, quale sia la sorte del provvedimento sulle spese, più in particolare, del provvedimento sulle spese reso dopo l'esperimento del reclamo cautelare ovvero a corredo di provvedimenti cautelari che non siano stati reclamati. In, particolare ci si chiede se sia possibile l'esperimento del ricorso straordinario in cassazione. Secondo la giurisprudenza di legittimità, tale pronuncia alle spese accede ad un provvedimento per sua natura non decisorio né definitivo e pertanto non ricorrono i presupposti che l'art. 111 Cost. pone per la garanzia del ricorso straordinario in cassazione.

I giudici di Piazza Cavour hanno avuto modo di esprimersi recentemente sulla questione ed hanno affermato che l'ordinanza di rigetto del reclamo cautelare non è ricorribile per cassazione, neppure in ordine alle sole spese perché è un provvedimento inidoneo a divenire cosa giudicata formale e sostanziale, conservando i caratteri della provvisorietà e della non decisorietà. Pertanto, dopo la novellazione dell'art. 669-septies c.p.c. da parte della l. n. 69/2009, la contestazione delle spese, ove il soccombente abbia agito ante causam e non intenda iniziare il giudizio di merito, va effettuata in sede di opposizione al precetto ovvero all'esecuzione se iniziata, trattandosi di giudizio a cognizione piena in cui la condanna alle spese può essere ridiscussa senza limiti come se l'ordinanza sul reclamo fosse sul punto titolo esecutivo stragiudiziale; qualora, invece, il giudizio di merito sia instaurato, resta comunque sempre impregiudicato il potere del giudice di rivalutare, all'esito, la pronuncia sulle spese adottata nella fase cautelare, in conseguenza della strumentalità, mantenuta dalla legge n. 80/2005, tra tutela cautelare e merito (Cass. VI, n. 6180/2019; Cass. IV, n. 11800/2012; Cass. III, n. 11370/2011). Su questo profilo, già si erano espressi, nel medesimo senso, i giudici di legittimità, affermando lo stesso principio con riferimento ai procedimenti di nunciazione (Cass. VI, n. 16259/2017).

Il principio esposto nelle richiamate sentenze è stato criticato non solo per l'erronea assimilazione del capo sulle spese ad un titolo stragiudiziale, ma anche perché la soluzione prospettata dai giudici di legittimità appare difficilmente praticabile ove il capo sulle spese contenga semplicemente una compensazione delle stesse e non una condanna, oppure manchi del tutto la pronuncia sulle spese (Recchioni 2015, 627). In tale ipotesi, infatti, non essendovi la condanna non potrebbe utilizzarsi il rimedio dell'opposizione all'esecuzione che presuppone, ovviamente, che una esecuzione sia iniziata. Con la conseguenza che, in tale ipotesi, nessun rimedio avrebbe a disposizione la parte che intenda dolersi della pronuncia di compensazione o della mancata pronuncia sulle spese.

In tale ultimo caso, ovvero quando manchi del tutto la pronuncia sulle spese, si è prospettata la possibilità, per il resistente vittorioso, di utilizzare lo strumento del reclamo per far valere tale omissione di pronuncia che, necessariamente, lo pregiudica costringendolo a sopportare le spese del procedimento cautelare in cui è rimasto, per l'appunto, vittorioso.

La soluzione prospettata è, quindi, quella di consentirgli il reclamo cautelare per far valere la sua soccombenza e chiedere al giudice del reclamo la condanna del ricorrente – soccombente in prime cure – alla refusione delle spese di lite (Recchioni 2015, 628). Da altri, invece, si è proposto anche in tale ipotesi l'uso del ricorso straordinario in cassazione (Corsini, 359) soluzione che per alcuni parrebbe preferibile dato che la pronuncia sulle spese, pur se omessa, è pronuncia su diritto soggettivo e, di conseguenza, così come il giudice del reclamo non sarebbe idoneo ad impugnare il capo sulle spese ove contenuto nel provvedimento di rigetto, allo stesso modo non lo si potrebbe ritenere idoneo a rimediare alla omissione della relativa pronuncia. In nessun caso, sarebbe comunque utilizzabile la procedura relativa alla correzione degli errori materiali (Corsini, 359).

La giurisprudenza di legittimità ha affermato che l'omessa liquidazione delle spese processuali non integra una omissione emendabile con la procedura di correzione degli errori materiali, perché la sentenza non è affetta da mera mancanza di documentazione della volontà del giudice, comunque implicitamente desumibile, ma è affetta dalla mancanza di un giudizio sull'attività difensiva svolta dalla parte vittoriosa, con la conseguenza che la relativa omissione può essere emendata soltanto a seguito di gravame (Cass. I, n. 7274/1999).

Contro i provvedimenti sulle spese contenuti nella pronuncia sostitutiva resa all'esito del reclamo cautelare ovvero afferenti a provvedimenti cautelari non reclamati, si è proposto anche di utilizzare l'opposizione a precetto ovvero l'opposizione all'esecuzione già iniziata ai sensi dell'art. 615 c.p.c. Ciò perché si potrebbe qualificare il capo sulle spese come un titolo esecutivo stragiudiziale sicché il giudice dell'esecuzione potrebbe entrare nel merito del procedimento cautelare e valutare se correttamente sono state liquidate le spese di quella fase.

In tal senso, si è sostenuto che tale controllo operato dal giudice dell'esecuzione in sede di opposizione a precetto ovvero opposizione già iniziataexart. 615 c.p.c. sarebbero ovviamente alternativi alla possibilità per la parte soccombente di iniziare il giudizio di merito (Morotti, 544).

La giurisprudenza di legittimità ha sposato la soluzione appena ricordata affermando che il provvedimento con cui il tribunale, provvedendo ante causam, rigetti il reclamo avvero l'ordinanza di rigetto del ricorso cautelare, ovvero dichiari la cessazione della materia del contendere, e condanni il reclamante alle spese del giudizio, non ha natura di sentenza e non è ricorribile per cassazione con ricorso straordinario ex art. 111 Cost.; ne consegue che il reclamante soccombente, ove non intenda iniziare il giudizio di merito ma intenda contestare la sola liquidazione delle spese in esso contenuta, deve farlo attraverso l'opposizione a precetto intimato sulla base di questo provvedimento o all'esecuzione iniziata sulla base di esso (Cass. III, n. 11370/2011; Cass. VI, n. 19276/2012; Cass. IV, n. 11800/2012). Qualora, invece, il giudizio di merito sia instaurato, resta, comunque, sempre impregiudicato il potere del giudice di rivalutare, all'esito, la pronuncia sulle spese adottata nella fase cautelare, in conseguenza della strumentalità tra tutela cautelare e merito (Cass. VI, n. 6180/2019).

Lungi dall'essersi sistematizzato, questo orientamento della giurisprudenza di legittimità vede parecchie voci difformi tra cui alcune pronunce anche molto recenti.

Si è detto che, nel procedimento di separazione personale dei coniugi, il decreto con cui la corte d'appello abbia deciso sul reclamo contro l'ordinanza emessa dal presidente del tribunale ai sensi dell'art. 708, comma 3, c.p.c., non deve contenere una distinta pronuncia sulle spese dovendo la regolamentazione delle stesse trovare spazio nella sentenza emessa a conclusione del giudizio che dovrà tenere conto, a tal fine, dell'esito complessivo della lite e delle modalità di svolgimento delle singole fasi in cui il processo si è articolato; il decreto con cui la corte d'appello abbia deciso il reclamo ai sensi dell'art. 708, comma 4, c.p.c., non è impugnabile ai sensi dell'art. 111 Cost. rispetto ai provvedimenti temporanei e urgenti adottati nell'interesse dei coniugi e della prole che hanno carattere provvisorio e comunque strumentale rispetto al giudizio di merito. In ogni caso, secondo la Suprema Corte, l'impugnazione in parola è ammissibile rispetto al capo del decreto che contiene la regolamentazione delle spese di lite che si configura come una statuizione riguardante posizioni giuridiche soggettive di debito/credito che discendono da un rapporto obbligatorio autonomo e idonea a passare in giudicato (Cass. I, n. 8432/2020).

Nella pronuncia ora ricordata, partendo dal presupposto che la giurisprudenza di legittimità ha da tempo riconosciuto la natura cautelare dei provvedimenti di cui all'art. 708, comma 3, c.p.c., con particolare riguardo a quello con cui venga fissato in via provvisoria l'assegno di mantenimento per il coniuge che, secondo la Corte, sotto il profilo sostanziale tiene luogo del mantenimento cui l'obbligato sarebbe stato comunque tenuto in costanza della convivenza, e sotto il profilo processuale esprime l'esigenza propria della tutela cautelare in cui è preminente l'interesse pubblico alla conservazione dello status quo. In sostanza, questi provvedimenti sono diretti a regolare, per il tempo necessario allo svolgimento del giudizio di merito, quegli aspetti della vita dei figli e dei coniugi che troveranno sistemazione definitiva nella sentenza finale, al fine di evitare che per effetto del tempo del processo i componenti del nucleo familiare siano pregiudicati nei loro diritti. In particolare, l'attenuazione della strumentalità per i provvedimenti cautelari anticipatori, effettuata con le modifiche all'art. 669-octies c.p.c. dalla riforma 2005-2006, e l'introduzione, ad opera della l. n. 54/2006, dell'art. 708, comma 4, c.p.c. che consente di proporre reclamo contro i provvedimenti in questione, ha indotto la giurisprudenza di legittimità ad accostare la loro disciplina a quella dei provvedimenti cautelari. Secondo la sentenza in parola, poiché l'art. 669-septies, comma 2, c.p.c. e l'art. 669-octies, comma 7, c.p.c., impongono di provvedere sulle spese del cautelare solo se la domanda venga proposta ante causam, sia in caso di accoglimento che di rigetto o dichiarazione di incompetenza, mentre nulla dispongono sui procedimenti promossi in corso di causa, per essi si deve intendere che il regolamento delle spese deve avere luogo all'esito del giudizio di merito.

I rilievi della Corte sono condivisibili. In effetti, le disposizioni degli artt. 669-septies, comma 2, c.p.c. e dell'art. 669-octies , comma 7 e 8, c.p.c. trovano la loro ragione d'essere nella ultrattività del provvedimento cautelare che consente di evitare l'instaurazione del giudizio di merito solo per ottenere la liquidazione delle spese processuali, ove le parti siano disposte ad accontentarsi della decisione cautelare; qualora invece il provvedimento cautelare sia concesso in corso di causa, non c'è necessità di una pronuncia immediata sulle spese del procedimento cautelare stesso che si innesta nel procedimento di merito come se ne fosse una fase incidentale e ne condivide l'esito perché è destinato a rimanere assorbito dalla sentenza definitiva, tranne nel caso di estinzione del giudizio stesso.

Proprio in ragione di quanto premesso, la giurisprudenza di legittimità ha pertanto con tale ultima pronuncia finito per ritenere che la natura provvisoria dei provvedimenti di cui all'art. 708 c.p.c. e il carattere incidentale del procedimento preordinato alla loro adozione, non permessa ante causam, consentono di estendere agli stessi provvedimenti le considerazioni svolte in riferimento ai provvedimenti cautelari emessi in corso di causa ed escludere la necessità di una distinta pronuncia sulle spese anche in sede di reclamo.

Ma ancor più la sentenza interessa sotto il profilo in cui ammette l'impugnazione straordinaria in cassazione contro il capo sulle spese contenuto nella pronuncia emessa all'esito del reclamo dell'ordinanza emessa dal presidente del tribunale ex art. 708, comma 3, c.p.c., perché il capo dello stesso decreto che reca il regolamento delle spese processuali si configura come una statuizione relativa a posizioni giuridiche soggettive di debito e di credito che derivano da un autonomo rapporto obbligatorio ed idonea al giudicato.

Questa affermazione si pone in una scia di continuità con quanto affermato nella giurisprudenza precedente all'introduzione del rito cautelare uniforme e segue quanto auspicato dalla dottrina dopo l'eliminazione del rimedio dell'art. 645 c.p.c. (in termini, v. Luiso 2021, 198; Saletti in Saletti, Sassani, 220; Morotti, 544). Escludere, infatti, il ricorso straordinario in cassazione contro il capo sulle spese del provvedimento cautelare rischia di determinare un inutile aumento del contenzioso, senza tacere delle difficoltà connesse alla determinazione del giudice competente per l'opposizione ex art. 615 c.p.c. (Sassani 2011, 473; Delle Donne 2011, 482); ma la stessa natura delle opposizioni di merito all'esecuzione forzata ai sensi dell'art. 615 c.p.c. non sembra essere istituto adatto per la contestazione del capo sulle spese dato che in quella sede il giudice dovrebbe riesaminare nel merito l'intero procedimento cautelare per valutare se il giudice della cautela ha fatto corretto uso del proprio potere di regolamentare le spese di lite (Morotti, 545). Pur ritenendo che la garanzia del ricorso straordinario sia a livello attuale la più adatta all'impugnazione del capo sulle spese, certamente presentando meno complessità e problemi applicativi rispetto al prospettato uso dell'opposizione a precetto o dell'opposizione all'esecuzione, tuttavia, si condivide il rilievo della dottrina secondo cui l'uso del ricorso ex art. 111 Cost. avrebbe l'effetto di aumentare il contenzioso di una già oberata Corte di Cassazione e soltanto al fine di ottenere la cassazione della pronuncia sulle spese. Sicché in una con quanto affermato recentemente forse sarebbe il caso di optare per una introduzione legislativa di un rimedio apposito per i provvedimenti sulle spese dei procedimenti cautelari che siano stati resi dopo l'esperimento del reclamo ovvero che non siano stati reclamati (Morotti, 547, che prospetta l'ipotesi dell'introduzione di un «reclamo del reclamo» non potendosi ipotizzare un istituto analogo a quello della abrogata opposizione ai sensi dell'art. 645 c.p.c. contro la pronuncia sulle spese del provvedimento cautelare). Uno strumento di tal fatta consentirebbe una effettiva revisione della decisione impugnata e una limitazione del rischio di un ricorso eccessivo al controllo di legittimità (sulle conseguenze dell'applicazione dell'art. 111, comma 7, Cost. e sulle prospettive per garantire la garanzia del controllo, v. Proto Pisani 2020, 1192).

Per quanto concerne l'ulteriore affermazione contenuta nella pronuncia citata secondo cui la necessità di provvedere sulle spese del provvedimento cautelare sarebbe individuabile soltanto nelle ipotesi in cui la domanda sia stata proposta ante causam, deve condividersi il rilievo svolto recentemente dalla dottrina secondo cui questo assunto non è universalmente vero. Ciò perché le ragioni poste alla base della introduzione della norma di cui all'art. 669-octies, comma 7, c.p.c., secondo cui «il giudice, quando emette uno dei provvedimenti di cui al sesto comma prima dell'inizio della causa di merito, provvede sulle spese del procedimento cautelare», dettate per evitare il proliferare di giudizi rispetto a provvedimenti cautelari che per la loro natura sono destinati a poter permanere efficaci nel tempo indipendentemente dall'inizio del giudizio di merito, sono applicabili anche nell'ipotesi in cui la domanda cautelare in questione sia proposta in corso di causa (v., però, Cass. I. n. 2890/2022, secondo cui, a differenza di quanto previsto per la tutela cautelare offerta ante causam, in cui potenzialmente potrebbe non svolgersi mai alcun procedimento di merito, ove il giudice decide sulle spese con la decisione cautelare medesima, quando tale tutela sia richiesta in corso di causa le spese saranno regolate solamente all'esito del giudizio di merito; cui adde Cass. II, n. 9785/2022, per la qualele spese del procedimento cautelare in corso di causa vanno liquidate contestualmente alla decisione del merito, atteso che l'esito della fase cautelare endoprocessuale non ha un'autonoma rilevanza ai fini della complessiva regolamentazione delle spese di lite, in quanto il criterio della soccombenza non si fraziona a seconda dell'esito delle varie fasi del giudizio, ma va riferito unitariamente alla decisione finale della lite, senza che rilevi che in qualche grado o fase del giudizio la parte poi definitivamente soccombente abbia conseguito un risultato ad essa favorevole).

Ciò perché l'art. 669-octies, comma 8, c.p.c. assegna ultrattività in ipotesi sine die a tutti i provvedimenti cautelari anticipatori, sia che vengano emessi ante causam, sia che vengano pronunciati in corso di causa, con la conseguenza che l'omessa liquidazione delle spese potrebbe costringere le parti a proseguire nel giudizio di merito mentre esse, diversamente ragionando, potrebbero essere indotte a lasciarlo estinguere (v., amplius, Morotti, 548).

L'autorità del provvedimento cautelare

L'art. 669-octies, ultimo comma, c.p.c. stabilisce che l'autorità del provvedimento cautelare non può essere invocata in un diverso processo. La norma si riferisce al provvedimento cautelare anticipatorio che sia stato emanato prima dell'inizio della causa di merito e che è idoneo a restare efficace indipendentemente dalla instaurazione dello stesso giudizio e finché questo non venga intrapreso da una delle parti interessate. L'interpretazione della disposizione non è affatto univoca e crea problemi non nuovi perché ricorda l'analoga espressione utilizzata nella norma dell'art. 337, comma 2, c.p.c. che andrà a tal fine analizzata per comprendere le ragioni della previsione contenuta nel rito cautelare uniforme.

In prima battuta, sembra che l'art. 669-octies, comma 9, c.p.c. si riferisca all'autorità di giudicato sostanziale del provvedimento cautelare anticipatorio e che intenda riferirsi al fatto che a tale provvedimento non può essere attribuita questa efficacia ai sensi dell'art. 2909 c.c. Questo significa che il provvedimento anticipatorio, pur essendo idoneo a regolamentare la situazione controversa e l'assetto di interessi tra le parti, può farlo solo in via provvisoria e mai definitiva, essendo destinato comunque ad essere soppiantato dalla sentenza di merito ove qualcuna delle parti intraprenda il giudizio di cognizione senza limiti temporali. Non potrà, pertanto, il provvedimento anticipatorio esplicare efficacia preclusiva sia positiva che negativa in giudizi successivi relativi allo stesso diritto ovvero in giudizi che si svolgano successivamente e che siano afferenti a diritti dipendenti o incompatibili rispetto al diritto fatto valere nel procedimento cautelare conclusosi con il provvedimento cautelare anticipatorio.

Autorevole dottrina si è espressa in questo senso, facendo riferimento al vincolo del giudicato che – com'è noto – esplica effetti preclusivi sia positivi che negativi sia nei successivi giudizi relativi allo stesso diritto, sia in giudizi successivi relativi a diritti dipendenti o incompatibili rispetto a quello già accertato (per tutti, v. Menchini 1988, passim; Menchini 2006, 91; Saletti 2006, 40; Tiscini 2004, 2210; Comastri 2006, 190). Si è, tuttavia, rilevato come l'espressione «autorità» del provvedimento cautelare sia quantomeno impropria dato che essa non tiene conto, oltreché della natura del provvedimento cautelare, anche del fatto che lo stesso esplica effetti almeno in altri procedimenti cautelari exartt. 669-septies e 669-decies c.p.c. (Dalmotto 2006, 1272). Se, quindi, senz'altro non si può predicare alcuna efficacia preclusiva sia positiva che negativa nel senso dianzi esposto al provvedimento cautelare anticipatorio, tuttavia, in dottrina non vi è uniformità di vedute rispetto alla effettiva valenza del principio della non invocabilità dell'autorità del provvedimento cautelare in un diverso processo. In particolare, secondo alcuni, l'efficacia del provvedimento cautelare anticipatorio dovrebbe operare soltanto sul piano dell'esecuzione perché a norma dell'art. 669-duodecies c.p.c. gli stessi sono suscettibili di essere attuati; infatti le misure cautelari aventi ad oggetto somme di denaro nelle forme degli artt. 491 ss. c.p.c. in quanto compatibili, mentre l'attuazione delle misure cautelari relative ad obblighi di consegna, rilascio, fare o non fare sotto il controllo del giudice che ha emanato il provvedimento cautelare che ne determina anche le modalità di attuazione e, se sorgono difficoltà o contestazioni, dà con ordinanza in provvedimenti opportuni, sentite le parti (per questa opinione, v. Proto Pisani 1991, 1; Balena 2006, 331; Caponi 2005, 136). Secondo una diversa opinione dottrinale, l'autorità del provvedimento cautelare si esternerebbe in termini di imperatività del provvedimento e pertanto lo stesso esprimerebbe un comando vincolante anche nei confronti dei soggetti terzi, pur non potendo rivestire l'efficacia del giudicato sostanziale (così Biavati 2006, 570). Tolti questi due opposti rimane da esaminare la tesi di mezzo secondo cui i provvedimenti cautelari anticipatori pur essendo senz'altro provvisori rivestono un certo grado di stabilità; la loro provvisorietà consiste proprio nella possibilità di essere superati, sine die, da un giudizio di merito instaurato ad opera delle parti (ciascuna parte, ai sensi dell'art. 669-octies c.p.c.), mentre la stabilità farebbe riferimento comunque alla possibilità per il provvedimento cautelare anticipatorio di dettare la regolamentazione della situazione sostanziale inter partes senza una specifica limitazione temporale e, in ipotesi, senza un termine e senza necessità per le parti di instaurare un autonomo procedimento di cognizione al fine di usufruire di una sentenza idonea al passaggio in giudicato (Menchini 2006, 91).

I provvedimenti cautelari anticipatori concessi ante causam, quali ad esempio quelli d'urgenza, hanno natura cautelare ma autorità ed efficacia invocabile soltanto nel successivo processo di merito e non in un diverso processo e sono, come da sempre la giurisprudenza di legittimità ribadisce, non ricorribili per cassazione in sede di ricorso straordinario per la loro caratteristica instabilità. Gli effetti anticipatori dell'eventuale successiva pronuncia di merito esplicati dal provvedimento cautelare anticipatorio possono venire meno o per il mancato pagamento della cauzione ex art. 669-undecies c.p.c. o perché intervenga una sentenza, anche non passata in giudicato che dichiari inesistente il diritto a cautela del quale il provvedimento è stato emesso. L'art. 669-octies, comma 6, c.p.c., nella formulazione successiva alla riforma del 2005, per i provvedimenti cautelari anticipatori degli effetti della sentenza di merito e per i provvedimenti d'urgenza ex art. 700 c.p.c., pur abrogando il termine finale entro cui iniziare il giudizio di merito a pena di inefficacia della misura cautelare, ha affermato che il giudizio di merito può essere instaurato da ciascuna delle parti del procedimento cautelare, attenuando pertanto, e non eliminando del tutto, il carattere strumentale del procedimento cautelare e dei provvedimenti anticipatori degli effetti della sentenza di merito, rispetto al giudizio di merito stesso. L'autorità del provvedimento cautelare, pertanto, sussiste solo per il processo in cui si fa valere il diritto a cautela del quale il provvedimento anticipatorio è stato emesso ma il contenuto di accertamento del provvedimento in questione non può ontologicamente fare stato tra le parti, i loro eredi e aventi causa secondo la regola posta dall'art. 2909 c.c., poiché la sua efficacia è suscettibile di venir meno per effetto di un'altra sentenza, anche non passata in giudicato, che dichiari inesistente il diritto a cautela del quale il provvedimento anticipatorio è stato emesso.

Infatti, la giurisprudenza di legittimità ha precisato che il provvedimento anticipatorio non è stabile, tanto che il permanere della sua efficacia può venir meno anche per effetto di altra sentenza pur se anch'essa instabile, perché impugnabile o impugnata, per cui si deve logicamente negare che il provvedimento cautelare possa acquisire efficacia di giudicato finché l'accertamento alla base della sua pronuncia non sia confermato da una sentenza di merito divenuta non più impugnabile. Peraltro, il provvedimento anticipatorio può essere revocato da parte del giudice del procedimento cautelare oppure dal giudice dell'eventuale giudizio di merito durante l'istruttoria, quando il giudizio in questione sia iniziato da una delle parti della fase cautelare; l'efficacia anticipatoria dei provvedimenti in questione, può permanere in via definitiva, evitando così l'instaurazione di un altro processo ordinario per far valere il diritto tutelato in via cautelare, se le parti non esercitino la facoltà di iniziare la causa di merito i cui effetti sono stati anticipati a cautela del diritto esercitato con la successiva azione. Ma – rileva la Corte – questa novità normativa non assicura la stabilità, neppure provvisoria, di quanto deciso nel cautelare, anche se, in quanto può seguire ad esso il processo di merito, permane la strumentalità del provvedimento cautelare che non è però più indispensabile come in passato a connotare la caratteristica dei provvedimenti anticipatori e dei provvedimenti d'urgenza. Non vi è, tuttavia, una stabilità o definitività del provvedimento cautelare anticipatorio il cui contenuto decisorio e anticipatorio della sentenza di merito può conservare efficacia permanente allorché la eliminazione del pregiudizio (nei provvedimenti d'urgenza del pregiudizio imminente e irreparabile di cui all'art. 700 c.p.c.) abbia soddisfatto ogni interesse vantato dal ricorrente, al punto da indurlo a non proseguire in via ordinaria per tutelare il diritto stesso in sede di cognizione e a meno che il destinatario del provvedimento stesso non agisca con azione di accertamento negativo del diritto così tutelato per farne dichiarare l'inesistenza. Ma, in ogni caso, allorché il giudizio di merito non venga instaurato da nessuna delle parti del procedimento cautelare, il permanere dell'efficacia esecutiva del provvedimento conclusivo non ne comporta in alcun modo la stabilità, da intendere come concreta idoneità a costituire giudicato ex art. 2909 c.c. (sulla base di tali presupposti, la Corte ne nega la ricorribilità in cassazione ex art. 111 Cost.: Cass. S.U., n. 27187/2007). Successivamente, la stessa giurisprudenza di legittimità ha ribadito che il fatto che la misura cautelare anticipatoria non seguita dal giudizio di merito non acquisisca l'autorità propria del giudicato con la conseguente impossibilità di essere invocata in altri processi; così pure il fatto che non sia previsto un termine legislativamente predeterminato per dare inizio al giudizio di merito, oggi facoltativo, fanno parlare di «provvisorietà permanente»; il rimedio cautelare anticipatorio – ha osservato la Corte – presenta nell'attuale assetto ordinamentale le caratteristiche di una azione, in quanto potenzialmente idoneo a soddisfare attraverso l'intervento del giudice l'interesse sostanziale della parte, anche in via definitiva (ed ha pertanto effetto impeditivo della decadenza, v. Cass. IV, n. 10840/2016). La giurisprudenza di merito si è posta nella stessa scia affermando che i provvedimenti urgenti e anticipatori conservano natura cautelare e hanno autorità ed efficacia invocabile solo nel successivo processo di merito e non in un diverso processo; allorché il giudizio di merito non sia iniziato da nessuna delle parti del procedimento cautelare, il permanere dell'efficacia esecutiva del provvedimento che lo conclude non ne comporta la stabilità, da intendere come concreta idoneità a costituire giudicato ai sensi dell'art. 2909 c.c. (Trib. Tivoli 9 marzo 2021).

In linea con la non invocabilità dell'autorità del provvedimento cautelare in un diverso processo, ci si domanda quale sia la sorte delle prove raccolte nel procedimento cautelare che ha originato il relativo provvedimento anticipatorio e, in particolare, se tali prove possano essere utilizzate nel successivo giudizio di merito instaurato da una delle parti del procedimento. La risposta non può che essere negativa, atteso che l'impossibilità di invocare l'autorità del provvedimento cautelare anticipatorio in un diverso processo fa sì che le prove raccolte per giungere alla sua emanazione non possano rivestire efficacia alcuna nel giudizio di merito susseguente e destinato a concludersi con una sentenza che regolamenterà, questa sì, in via definitiva, l'assetto di interessi delle parti.

In questo senso, si pone anche la dottrina che ha specificato come la regola posta dall'art. 669-octies, comma 9, c.p.c. nel senso della non invocabilità dell'autorità del provvedimento cautelare anticipatorio in un diverso processo renda impossibile utilizzare le risultanze probatorie del procedimento cautelare (Briguglio 2004, 328, con riferimento alla analoga norma contenuta nel processo societario).

Secondo la giurisprudenza di merito, l'art. 669-octies, comma 9, c.p.c. preclude che l'autorità del provvedimento cautelare possa essere invocata nel giudizio di merito avente ad oggetto il risarcimento del danno derivante dal comportamento valutato in sede cautelare. Ma questo non preclude che le prove raccolte in sede cautelare possano essere utilizzate anche quale fonte esclusiva del convincimento del giudice, in sede di merito. Un conto, infatti, è l'autorità di una pronuncia giurisdizionale e quindi la sua opponibilità come provvedimento giurisdizionale, altro è l'utilizzabilità delle risultanze in esso raccolte in un altro processo (Trib. Reggio Calabria 16 novembre 2007).

L'autorità della sentenza: presupposti e differenze con la previsione dell'art. 669-octies, comma 9, c.p.c.

A norma dell'art. 337, comma 2, c.p.c. quando l'autorità di una sentenza è invocata in un diverso processo, questo può essere sospeso se tale sentenza è impugnata. L'interpretazione non univoca della disposizione normativa dell'art. 337, comma 2, c.p.c. ha fatto sì che sulla nozione di autorità della sentenza si formassero differenti orientamenti dottrinali. È necessario esaminare sia pur brevemente gli opposti orientamenti formatisi sulla norma dell'art. 337 c.p.c. per verificare se i risultati cui gli interpreti sono pervenuti si possano traslare, con i dovuti distinguo, all'interpretazione della non certo chiara disposizione normativa dell'art. 669-octies, comma 9, c.p.c.

Secondo un primo orientamento dottrinale, la previsione dell'art. 337, comma 2, c.p.c., non può essere applicata ove le due cause siano tra loro in rapporto di dipendenza perché in questo caso la norma da applicare è quella dell'art. 295 c.p.c. che disciplina la sospensione necessaria del processo per pregiudizialità-dipendenza. Con la conseguenza che il riferimento dell'art. 337, comma 2, c.p.c. all'autorità della sentenza invocata in un diverso processo va inteso nel senso che la sentenza invocata, appunto, in un altro processo e già passata in giudicato, sia oggetto di impugnazione straordinaria, l'unica consentita contro le sentenze già coperte dal vincolo del giudicato, e pertanto sia impugnata per revocazione straordinaria o per opposizione di terzo (Attardi 1961, 187; Cerino Canova 1973, 72; Montesano 1983, 385; Consolo 2012, 90). Secondo un diverso orientamento, invece, la sentenza invocata in un diverso processo, non necessariamente passata in giudicato, esplica un'efficacia di accertamento anche oltre il processo in cui è stata emanata; sicché il riferimento alla impugnazione contenuto nell'art. 337, comma 2, c.p.c. va esteso oltreché alle impugnazioni straordinarie già riferite, anche a tutte le altre impugnazioni, con la conseguenza che l'efficacia di accertamento contenuta nella sentenza pur impugnata può essere dal giudice considerata in un altro e diverso processo; egli potrà sia tenerne conto che, laddove lo ritenga necessario, sospendere il processo in corso e ciò indipendentemente dalla eventuale pendenza di un processo di impugnazione contro la sentenza «invocata» ovvero dalla sua concreta impugnabilità (Satta 1964, 94; Liebman 1958, 152; Proto Pisani 1965, 62).

Se in dottrina constano i diversi orientamenti su accennati sull'interpretazione del disposto dell'art. 337, comma 2, c.p.c., la situazione non è omogenea nemmeno in giurisprudenza ove si segnalano opinioni che aderiscono al primo o al secondo degli orientamenti dottrinali riportati, ovvero che si pongono in una via di mezzo tra le due differenti interpretazioni.

Nella giurisprudenza più risalente, si riscontra una decisa tendenza ad effettuare una interpretazione mediana tra le due dottrinali prima ricordate. Si è osservato, infatti, che le espressioni «giudicato formale e sostanziale» non sottendono altrettanti distinti concetti di cosa giudicata, ma due aspetti dello stesso fenomeno dato che il giudicato è propriamente la decisione giurisdizionale non più impugnabile con i rimedi ordinari di impugnazione, cui conseguono determinati effetti sul piano delle certezze giuridiche ex art. 2909 c.c. che chiamiamo giudicato sostanziale. Pertanto, l'autorità della sentenza ancora soggetta ad impugnazione che, ai sensi dell'art. 337, comma 2, c.p.c. consente la sospensione del diverso processo in cui sia invocata, non si identifica, nemmeno a livello prodromico, con l'efficacia vincolante del giudicato, onde il giudice del secondo processo, ove non ritenga di disporne la sospensione – peraltro obbligatoria quando il rapporto tra i due giudizi è di pregiudizialità ex art. 295 c.p.c.dovrà limitarsi a riconoscere alla predetta sentenza un'autorità di mero fatto, ai fini della autonoma valutazione, che egli è tenuto ad operare, degli accertamenti in essa contenuti, a meno che non si tratti di decisione impugnata con i rimedi straordinari che non escludono la formazione del giudicato in senso tecnico (Cass. IV, n. 5840/1987). Tuttavia, in una diversa pronuncia, di poco precedente, la Suprema Corte ha aderito al secondo indirizzo dottrinario sopra ricordato affermando che la sentenza che riconosce ad una parte una ragione di credito nei confronti della controparte senza però determinare il quantum debeatur, la cui liquidazione viene pertanto rimessa ad un separato giudizio, si configura come sentenza di condanna generica, la cui stabilità comporta che il successivo giudizio di liquidazione per ottenere la sentenza di condanna specifica, non è soggetto alla sospensione necessaria del processo ex art. 295 c.p.c. in conseguenza dell'impugnazione della sentenza di condanna generica, bensì alla sospensione facoltativa del giudizio a norma dell'art. 337, comma 2, c.p.c. (Cass. IV, n. 2037/1985). In linea con questa seconda pronuncia, le Sezioni Unite hanno affermato che, poiché l'art. 295 c.p.c., la cui ragione fondante è quella di evitare un rischio di conflitto tra giudicati, fa esclusivo riferimento all'ipotesi in cui fra due cause pendenti davanti allo stesso giudice o a giudici diversi esista un nesso di pregiudizialità in senso tecnico-giuridico e non già in senso meramente logico, la sospensione necessaria del processo non può essere disposta nell'ipotesi di contemporanea pendenza davanti a due giudici diversi del giudizio sull'an debeatur e di quello sul quantum, fra i quali esiste un rapporto di pregiudizialità solamente in senso logico, essendo in tal caso applicabile l'art. 337, comma 2, c.p.c. che, in caso di impugnazione di una sentenza la cui autorità sia stata invocata in un separato processo, prevede soltanto la possibilità della sospensione facoltativa di tale processo, e tenuto altresì conto del fatto che, a norma dell'art. 336, comma 2, c.p.c., la riforma o la cassazione della sentenza sull'an debeatur determina l'automatica caducazione della sentenza sul quantum, anche se su quest'ultima si sia formato un giudicato apparente con conseguente esclusione del conflitto di giudicati (Cass. S.U., n. 14060/2004). Infine, la Suprema Corte, a definitivo chiarimento dei rapporti tra la sospensioneexart. 295 c.p.c. e quella prevista dall'art. 337, comma 2, c.p.c., ha chiarito che, salvi soltanto i casi in cui la sospensione del giudizio sulla causa pregiudicata sia imposta da una disposizione specifica e in modo che si debba attendere che sulla causa pregiudicante sia pronunciata una sentenza passata in giudicato, quando fra due giudizi esista un rapporto di pregiudizialità e quello pregiudicante sia stato definito con sentenza non passata in giudicato, è possibile la sospensione del giudizio pregiudicato soltanto ai sensi dell'art. 337, comma 2, c.p.c. come si trae dall'interpretazione sistematica della disciplina del processo, in cui un ruolo decisivo riveste l'art. 282 c.p.c.: il diritto pronunciato dal giudice di primo grado qualifica la posizione delle parti in modo diverso da quello dello stato originario della lite, giustificando sia l'esecuzione provvisoria, sia l'autorità della sentenza di primo grado. Pertanto, allorché penda, in grado di appello, sia il giudizio in cui è stata pronunciata una sentenza su una causa di riconoscimento della paternità naturale e che l'abbia dichiarata, sia il giudizio che su tale base abbia accolto la domanda di petizione dell'eredità, ed entrambe le sentenze siano impugnate, il secondo giudizio non deve necessariamente essere sospeso, in attesa che nel primo si formi la cosa giudicata sulla dichiarazione di paternità naturale, ma può esserlo, ex art. 337, comma 2, c.p.c. se il giudice del secondo giudizio non intenda riconoscere l'autorità dell'altra decisione (Cass. S.U., n. 10027/2012).

E veniamo, quindi, nello specifico all'art. 669-octies, comma 9, c.p.c. per verificare se sia possibile una equiparazione delle soluzioni predicate quanto all'autorità della sentenza impugnataexart. 337 c.p.c. con la nozione di autorità del provvedimento cautelare che il legislatore ha inserito all'interno della previsione in commento.

Il primo passo è costituito dal verificare gli antecedenti normativi della disposizione del rito cautelare uniforme e, nello specifico, dall'abrogato art. 23, comma 6, del d.lgs. n. 5/2003 sul rito societario, norma che attuava la legge delega (art. 12, comma 2, lett. c), della l. n. 366/2001) che prevedeva la «mera facoltatività della successiva instaurazione della causa di merito dopo l'emanazione di un provvedimento emesso all'esito di un procedimento sommario cautelare in relazione alle controversie nelle materie di cui al comma 1, con la conseguente definitività degli effetti prodotti da detti provvedimenti, ancorché gli stessi non acquisiscano efficacia di giudicato in altri eventuali giudizi promossi per finalità diverse». Il citato art. 23, successivamente emanato in attuazione della ricordata delega, aveva previsto al comma 1 che nelle controversie disciplinate dal rito societario ai provvedimenti d'urgenza e agli altri provvedimenti cautelari idonei ad anticipare gli effetti della decisione di merito non si applicasse l'art. 669-octies c.p.c. ed essi non perdessero efficacia laddove la causa di merito non venisse iniziata; e al comma 2 aveva stabilito che in nessun caso l'autorità del provvedimento cautelare fosse invocabile in un diverso processo. Ma, fin dai primi commenti, si era evidenziato che similmente a quanto previsto per l'ordinanza di cui all'art. 19 dello stesso decreto legislativo, anche in questo caso, quello dell'art. 23, si aveva un provvedimento in grado di soddisfare in via autonoma la domanda di tutela giudiziale ma sempre in assenza di formazione della cosa giudicata perché si trattava di un provvedimento che, anche ai sensi della relazione ministeriale, non aveva la capacità di rendere stabile il proprio contenuto.

Se – come già più volte ricordato – il legislatore, nel recepire la distinzione tra provvedimenti cautelari conservativi a strumentalità forte e provvedimenti cautelari anticipatori a strumentalità attenuata, ha voluto differenziare il rapporto intercorrente tra le due tipologie di provvedimento cautelare e la successiva pronuncia di merito, ciò non vuol dire che rispetto ai provvedimenti cautelari anticipatori il legislatore abbia inteso attribuire una efficacia di tipo dichiarativo. Né, in alcun modo, può ritenersi che gli effetti che il provvedimento anticipatorio può, per l'appunto, creare prima della pronuncia della sentenza di merito, non sono senz'altro gli effetti propri della tutela di tipo dichiarativo.

La dottrina ha chiaramente rilevato che è lo stesso legislatore a negare che i provvedimenti cautelari anticipatori possano avere effetti di tipo dichiarativo dato che la norma dell'art. 669-octies, comma 8 c.p.c., dice espressamente che l'autorità del provvedimento cautelare non è invocabile in un diverso processo; ma, ove ciò non bastasse, si ricordi che la tutela cautelare non ha ontologicamente la possibilità di creare effetti dichiarativi perché «non ha la funzione di porre regole di condotta vincolanti per le parti» (Luiso 2021, 225). Pertanto, il provvedimento cautelare anticipatorio ha efficacia sostanzialmente esecutiva, perché serve a formare un titolo esecutivo, sia pur in senso ampio, e, rispetto ai provvedimenti sommari veri e propri, richiede in più la verifica del periculum in mora. L'effetto del cautelare anticipatorio è pertanto quello di imporre al destinatario del provvedimento un comportamento fondato su una regola di diritto prescelta all'interno del diritto sostanziale e la stessa regolamentazione dell'assetto di interessi tra le parti è disciplinata dalle norme sostanziali; a differenza della tutela dichiarativa in cui con il provvedimento per l'appunto dichiarativo si sostituisce alla regula juris sostanziale ma generale ed astratta, una regola concreta con cui si disciplina la situazione sostanziale delle parti (Luiso 2021, 227).

Se, quindi, con l'espressione «autorità» del provvedimento cautelare anticipatorio non può in alcun modo farsi riferimento ad un'ipotetica efficacia di cosa giudicata, dato che il provvedimento in questione non può mai avere effetti dichiarativi, essendo questi ultimi riservati alla tutela dichiarativa in senso proprio, con l'espressione «autorità» del provvedimento cautelare la norma si riferisce ad una autorità di mero fatto del provvedimento stesso, cioè allorché si determinerà se la regola di condotta posta dal provvedimento cautelare anticipatorio in attesa della sentenza di merito sia conforme al diritto o contrastante con lo stesso, il provvedimento cautelare non avrà effetti vincolanti nel successivo processo, né in altri diversi processi in cui si discuta della medesima situazione sostanziale; mentre questi effetti vincolanti li avrà il provvedimento di merito e soltanto tramite questo potranno essere qualificati i comportamenti che sono stati tenuti in ottemperanza al contenuto del provvedimento cautelare anticipatorio.

Ma può dirsi di più. È vero che il provvedimento cautelare anticipatorio è inidoneo alla stabilità e che per esso non può predicarsi l'attitudine al giudicato e agli effetti propri di esso. Una qualche stabilità il provvedimento può ottenerla con riferimento agli stabilizzatori del diritto sostanziale ma, ancora una volta, si tratta di una stabilità della regola di condotta del diritto sostanziale e non del provvedimento cautelare in sé. Una sorta di stabilità sostanziale e non anche processuale; una stabilità che non impedisce l'accesso alla tutela dichiarativa ma sconta l'effetto dell'impossibilità di accedere ad una diversa regolamentazione degli interessi dovuta all'intervento di uno stabilizzatore del diritto sostanziale quale la prescrizione, la decadenza, l'usucapione.

Pertanto, si può anche ritenere che la disposizione dell'art. 669-octies, comma 8, c.p.c. sia ultronea e che si limiti a ribadire che non può predicarsi l'efficacia di giudicato rispetto al provvedimento cautelare bensì soltanto una autorità di fatto, rispetto all'assetto di interessi oggetto della disciplina del provvedimento che poi andrà riqualificato alla luce del provvedimento di merito.

Si è giustamente osservato che, se anche il provvedimento cautelare anticipatorio non ha autorità in un diverso processo dichiarativo, comunque esplica autorità nello stesso processo cautelare. Questa autorità è senz'altro quella dipendente dall'applicazione dell'art. 669-decies c.p.c. a norma del quale non è consentita una revoca o modifica senza limiti del provvedimento cautelare, dato che gli effetti del provvedimento stesso possono essere modificati o revocati soltanto ove soccorrano i presupposti previsti dalla norma. Con la conseguenza che, pur se impropriamente, si può parlare di un atecnico giudicato cautelare (Luiso 2021, 231).

Ma, del resto, di giudicato cautelare si è parlato anche con riferimento alla riproponibilità della domanda cautelare rigettata per motivi di merito; pertanto, anche in tal senso il provvedimento cautelare esplica efficacia nel processo cautelare, poiché impedisce, laddove la domanda sia rigettata per motivi di merito, la riproposizione della stessa identica domanda cautelare e la consente solo entro i limiti della deduzione di nuove ragioni di fatto e di diritto o dei mutamenti delle circostanze che lo sorreggono. In tal senso, sarà opportuno discorrere brevemente sia del vincolo rispetto alla revoca e alla modifica del provvedimento cautelare, sia rispetto alla riproponibilità della domanda cautelare rigettata per motivi di merito.

L'autorità del provvedimento cautelare anticipatorio nel processo cautelare

L'art. 669-septies, comma 1, c.p.c. stabilisce che l'ordinanza di rigetto non preclude la riproposizione dell'istanza per il provvedimento cautelare quando si verifichino mutamenti delle circostanze o vengano dedotte nuove ragioni di fatto o di diritto. A questa disposizione, si collega la preclusione alla riproposizione della «stessa» domanda cautelare e, conseguentemente, il «giudicato» connesso al provvedimento cautelare di rigetto.

La portata del giudicato cautelare altro non è che il riflesso della preclusione che la norma dell'art. 669-septies c.p.c. pone alla riproponibilità libera del provvedimento cautelare rigettato (in tema, v. Marelli, 779). Ma si è giustamente evidenziato come di stabilità del provvedimento cautelare si parli anche con riferimento ai provvedimenti di accoglimento, sia quelli anticipatori per i quali il nesso di strumentalità è debole o attenuato, sia per quelli conservativi per cui il nesso di strumentalità è forte. Si tratta, tuttavia, di due concetti di «stabilità» tra loro diversi, dato che il provvedimento di accoglimento ha la funzione di disciplinare il rapporto tra le parti, sia pur provvisoriamente, mentre il provvedimento di rigetto impone alla parte di non riproporre la domanda così come originariamente strutturata ma soltanto con la deduzione di mutamenti delle circostanze o nuove ragioni di fatto o di diritto (Recchioni 2015, 608). In ogni caso, il vincolo alla riproposizione della stessa domanda cautelare così come costruito nell'art. 669-septies, comma 1, c.p.c. quanto al rigetto per motivi di merito origina dalla necessità, evidenziata da autorevole dottrina (Tarzia 1988, 332), di porre un freno alla pratica del forum shopping cautelare costruendo così una sorta di preclusione per il secondo giudice adìto per la cautela, preclusione che consente, sia pur con le dovute differenze, il richiamo alla nozione di «giudicato».

È ovvio che trattasi di un richiamo che non consente di applicare sic et simpliciter la nozione di giudicato sostanziale nel procedimento cautelare, atteso che il provvedimento di accoglimento non ha mai vocazione per la stabilità e la incontrovertibilità, potendo, anche nel caso dei provvedimenti anticipatori, essere ridiscusso in sede di merito; ma anche il provvedimento negativo produce sì una preclusione ma non un'incontrovertibilità degli effetti di un ipotetico accertamento. Si condivide, pertanto, l'affermazione secondo cui la preclusione derivante dal provvedimento di rigetto, sia che la si consideri forte, sia che la si ritenga debole, con copertura estesa o meno al deducibile e non soltanto al dedotto, opera in quanto preclusione di questioni a tutela di una sia pur limitata incontrovertibilità del provvedimento di rigetto del giudice, rimanendo però estranea alla disciplina del procedimento cautelare ogni tematica afferente al c.d. giudicato sostanziale (v., amplius, Recchioni 2015, 610).

Rinviando nella sua interezza all'esposizione sopra riportata della giurisprudenza di merito ondivaga sulla riproponibilità della domanda fondata sul deducibile, bisogna ricordare che anche la dottrina si è divisa tra chi valorizza una preclusione debole ammettendo anche le argomentazioni non prodotte a sostegno della prima domanda pur se già producibili, e chi, invece, ammette una concezione forte del vincolo aderendo a quella giurisprudenza che nega la ammissibilità del deducibile.

In particolare, parte della dottrina sostiene che l'art. 669-septies, comma 1, c.p.c. configuri una preclusione per l'appunto debole e che, di conseguenza, nel nuovo giudizio cautelare possano essere allegati non soltanto i mutamenti delle circostanze fattuali ma anche le allegazioni relative alla fondatezza della pretesa o al pericolo di danno che non sono state prodotte a sostegno della prima istanza anche se in quel momento erano già deducibili (Consolo, in Consolo, Luiso, Sassani 1996, 635; Attardi 1991, 240; Tarzia, Giorgetti, 493). Non solo, si è affermato che, dovendo ricomprendere i fatti costitutivi del fumus e del periculum nuovi e le nuove prove nell'àmbito dei mutamenti delle circostanze, la nozione di nuove ragioni di fatto o di diritto può essere riempita soltanto con riferimento ad allegazioni già possibili quando si è chiesto il primo provvedimento cautelare ma non concretamente dedotte (Luiso 2019, 214). In senso diverso, parte della dottrina ha invece affermato che gli elementi di fatto che già esistevano al momento della proposizione della prima domanda conclusasi con il provvedimento negativo e che non erano stati dedotti in prime cure e nemmeno in sede di reclamo cautelare, non possono essere oggetto di una nuova istanza in sede di riproposizione (Menchini 2006, 94; Guaglione 2007, 51; Petrillo, 245). Vi è anche chi ha precisato che laddove venga proposto reclamo cautelare che si concluda con la conferma del provvedimento cautelare ivi impugnato, l'istanza cautelare si può nuovamente proporre ma soltanto allegando fatti sopravvenuti alla conclusione del procedimento (Balena, in Balena, Bove, 363).

A completamento dei cenni esposti sul c.d. giudicato cautelare, va ricordato che nella giurisprudenza più recente pare notarsi una tendenza ad intendere la preclusione in senso forte e quindi come estesa anche al deducibile. Da un lato ricordo quella pronuncia che ha argomentato in tale senso affermando che la copertura anche del deducibile si giustifica alla luce del principio della ragionevole durata del processo per evitare una reiterazione nel tempo dell'attività difensiva (v. Trib. Bari 3 marzo 2009, cit., ma anche Trib. Napoli 5 marzo 2013). Non solo, va menzionata la ancor più recente giurisprudenza secondo cui il giudicato cautelare deve coprire dedotto e deducibile con la conseguente inammissibilità della domanda cautelare che sia riproposta fondandola su ragioni di fatto e di diritto preesistenti al provvedimento di rigetto, a meno che il deducente non ne dimostri la conoscibilità soltanto in epoca posteriore (così la citata Trib. Nola 29 agosto 2019).

Il riferimento è – come visto in precedenza – anche alla revoca e modifica del cautelare che sono consentite ma soltanto entro certi limiti, sicché l'autorità del provvedimento cautelare si esplica a queste condizioni all'interno del processo cautelare stesso.

Il provvedimento cautelare può essere oggetto di revoca o di modifica a causa di mutamenti delle circostanze poste alla base della sua concessione, che possono essere cambiate successivamente sia per l'emersione di fatti nuovi sia per la scoperta di fatti antecedenti di cui la parte istante abbia acquisito conoscenza soltanto dopo l'emanazione del provvedimento cautelare (Picardi 2021, 270). La norma trasforma in regola generale la previsione già contenuta nell'abrogato art. 23, comma 3, del d.lgs. n. 5/2003, assumendo una posizione mediana tra le tesi sui presupposti della revoca della misura cautelare.

Si rammenta che, secondo un primo orientamento, il mutamento delle circostanze doveva essere fatto coincidere con l'introduzione od emersione di elementi nuovi nella valutazione del maggiore o minore grado di probabile esistenza del diritto e del periculum in mora, con la conseguenza che gli stessi sarebbero stati idonei a ricomprendere anche l'allegazione di fatti già esistenti al momento della concessione della misura e le prove nuove (per tutti, v. Trisorio Liuzzi, 2004, 910; ulteriori riferimenti subart. 669-decies c.p.c.). Per altri, l'istanza di revoca o modifica poteva essere fondata principalmente su circostanze extraprocessuali idonee ad incidere sul periculum in mora ovvero sul fumus boni iuris e non anche su quanto già deducibile nell'àmbito del procedimento che aveva condotto all'emanazione del provvedimento cautelare (per tutti, v. Consolo 1996, 329).

L'orientamento giurisprudenziale aveva finito per preferire la prima impostazione ampliativa del novero delle circostanze deducibili in sede di istanza di revoca e modifica (Trib. Udine 14 dicembre 1994; Trib. Foggia 12 luglio 1993; Trib. Bari 25 marzo 1993; contra, Trib. Napoli 11 maggio 2000).

La norma consente la deduzione di fatti anteriori al momento entro cui gli stessi potevano essere utilmente dedotti nel procedimento cautelare ma di cui si è avuta conoscenza solo dopo, pur non chiedendo per la loro deduzione che l'ignoranza dei fatti in questione sia incolpevole. L'istante dovrà fornire la prova soltanto del fatto che questa conoscenza è successiva rispetto al tempo di svolgimento del procedimento cautelare o al tempo in cui poteva intervenire la relativa deduzione nel procedimento in questione.

L'iscrizione e la cancellazione dell'ipoteca e i provvedimenti cautelari anticipatori a strumentalità attenuata

Con riferimento ai provvedimenti cautelari anticipatori e al loro regime di strumentalità attenuata o debole rispetto al giudizio di merito, sorge il dubbio se essi siano titoli idonei per l'iscrizione di ipoteca giudiziale. Il punto di partenza è l'esame della norma dell'art. 2818, comma 1, c.c. secondo cui ogni sentenza che porta condanna al pagamento di una somma o all'adempimento di altra obbligazione ovvero al risarcimento dei danni da liquidarsi successivamente è titolo per iscrivere ipoteca sui beni del debitore; l'art. 2818, comma 2, c.c. a sua volta prevede che lo stesso ha luogo per gli altri provvedimenti giudiziali ai quali la legge attribuisce tale effetto.

La questione si è posta in giurisprudenza di recente originando dalla trascrizione con riserva effettuata presso la Conservatoria di Roma dell'iscrizione ipotecaria in forza di un provvedimento cautelare anticipatorio. La parte beneficiaria aveva infatti chiesto l'iscrizione ipotecaria in questione sulla base dell'ordinanza cautelare, ma il Conservatore aveva obiettato che il provvedimento cautelare non potrebbe essere considerato titolo idoneo per l'iscrizione ipotecaria ai sensi del richiamato art. 2818 c.c. Il beneficiario aveva proposto reclamo rigettato dal Tribunale di Roma per la motivazione che «l'ordinanza cautelare invocata come titolo per l'iscrizione non rientra tra le ipotesi tassativamente previste dal legislatore donde non può essere fatta valere per conseguire l'iscrizione di ipoteca giudiziale» (in tal senso, v. Trib. Roma 22 maggio 2019). La pronuncia del magistrato capitolino in questione si era collegata a quanto affermato dalla Corte di Cassazione con riferimento al provvedimento presidenziale di cui all'art. 708 c.p.c. Infatti, la giurisprudenza di legittimità aveva, in precedenza, affermato che, in tema di ipoteca giudiziale, l'art. 2818, comma 2, c.c. costituisce una norma di rimando, richiedendo che la legge specifichi tassativamente i provvedimenti, diversi dalla sentenza, che abbiano il medesimo effetto di consentire l'iscrizione dell'ipoteca. Tra questi provvedimenti non è, dunque, inclusa l'ordinanza di cui all'art. 708, commi 3 e 4, c.p.c. (cioè l'ordinanza con cui, nel procedimento per la separazione dei coniugi, il presidente del tribunale dà i provvedimenti temporanei ed urgenti, oppure quella del giudice istruttore che revoca o modifica l'ordinanza presidenziale in questione), alla quale l'art. 189 disp. att. c.p.c. si limita ad attribuire efficacia esecutiva anche dopo l'estinzione del processo, ma non attribuisce l'effetto di costituire titolo per l'iscrizione di ipoteca giudiziale (Cass. I, n. 1100/2000). Il principio secondo cui unicamente la legge può attribuire l'efficacia di titolo per l'iscrizione di ipoteca giudiziale ad un determinato provvedimento non era nuovo poiché già affermato con riferimento all'art. 655 c.p.c. dalla Corte Costituzionale. La Consulta, infatti, nel rigettare la questione di legittimità costituzionale dell'allora vigente art. 148, comma 3, c.c., nella parte in cui non prevedeva che il decreto ivi contemplato costituisse titolo per l'iscrizione di ipoteca giudiziale, aveva affermato che la norma censurata, nella parte concernente il decreto ingiuntivo per il pagamento delle somme destinate al mantenimento della prole è una norma composita, sicché se il decreto è emesso nei confronti dell'obbligato inadempiente (genitore o ascendente), segue le regole proprie del decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo ed è perciò titolo idoneo all'iscrizione di ipoteca giudiziale, mentre, se il decreto medesimo è emesso nei confronti del terzo debitore dell'obbligato inadempiente, ragionevolmente costituisce titolo esecutivo ma non è titolo idoneo all'iscrizione di ipoteca giudiziale sui beni del terzo (Corte cost., n. 236/2002). Da notare che l'art. 148 c.c. è stato sostituito dall'art. 4 del d.lgs. n. 154/2013 e attualmente si compone di un unico comma; tuttavia il testo originario dell'abrogato comma 3 è replicato nell'attuale art. 316-bis, comma 3, c.c., a cui lo stesso art. 148 c.c. fa riferimento. Secondo il Tribunale di Roma, rispetto all'inidoneità del provvedimento cautelare anticipatorio a costituire titolo per l'iscrizione di ipoteca giudiziale l'art. 2818, comma 2, c.c. costituisce una norma di richiamo e richiede che la legge indichi tassativamente i provvedimenti, a parte le sentenze, che costituiscono titolo per l'iscrizione di ipoteca giudiziale e tra questi provvedimenti non è incluso il provvedimento cautelare né anticipatorio né conservativo. A fronte di tale diniego, la parte beneficiaria del provvedimento proponeva reclamo di fronte alla Corte d'Appello di Roma, rilevando che, rispetto ai provvedimenti anticipatori, poiché acquistano una stabilità pari ad una sentenza, sarebbe irrilevante il nomen iuris che la legge attribuisce al provvedimento e dovrebbero essere de plano ricompresi nel novero dei provvedimenti che sono titolo per l'iscrizione di ipoteca giudiziale (di nuovo Trib. Roma 22 maggio 2019). La Corte d'Appello di Roma, rigettando il reclamo, confermava la pronuncia del Tribunale di Roma, affermando tra i provvedimenti che consentono l'iscrizione di ipoteca giudiziale non rientra l'ordinanza che conclude il procedimento cautelare, nemmeno se esso sia anticipatorio e quindi soggetto ad un regime di strumentalità attenuata rispetto al giudizio di merito, perché la norma dell'art. 2818, comma 2, c.c. richiede che la legge indichi tassativamente i documenti diversi dalle sentenze che costituiscono titolo per l'iscrizione di ipoteca giudiziale (App. Roma 22 giugno 2020). Secondo il giudice distrettuale, questa idoneità manca per i provvedimenti cautelari perché per essi non vi è alcuna norma di legge che disponga la loro idoneità all'iscrizione di ipoteca giudiziale; né – specifica la Corte territoriale – il provvedimento cautelare anticipatorio può essere parificato ad una sentenza perché non ha mai attitudine ad acquisire la stabilità della cosa giudicata. Nella motivazione, la Corte d'Appello di Roma rinvia ad un precedente di legittimità relativo all'efficacia dei provvedimenti possessori; la giurisprudenza della Corte di Cassazione aveva, infatti, precisato che i provvedimenti possessori, pur restando efficaci indipendentemente dall'instaurazione del giudizio di merito in applicazione dell'art. 669-octies, ultimo comma, c.p.c., sono inidonei ad acquisire efficacia di giudicato, non avendo carattere decisorio, come le misure cautelari per le quali opera questa disposizione e stante l'omesso richiamo, compiuto, invece, per altre ipotesi di procedimenti a cognizione sommaria, agli effetti di cui all'art. 2909 c.c. (Cass. II, n. 19720/2016).

Ne deriva, condivisibilmente con la richiamata giurisprudenza, che il provvedimento cautelare, di qualsiasi specie, sia anticipatorio che conservativo, non è titolo idoneo per l'iscrizione di ipoteca giudiziale; né il fatto che il legislatore abbia modificato il regime della strumentalità dei provvedimenti cautelari anticipatori incide sul principio ora esposto dato che questa modifica della strumentalità rispetto al giudizio di merito non conferisce, tuttavia, idoneità al giudicato ai detti provvedimenti. Inoltre, ove non bastasse, anche l'idoneità al giudicato non sarebbe requisito dirimente per inferirne l'idoneità ad essere titolo per l'iscrizione di ipoteca giudiziale dato che il legislatore all'art. 2818, comma 2, c.c. espressamente richiede che sia la legge a disporre in modo tassativo se un determinato provvedimento è o meno titolo per l'iscrizione di ipoteca giudiziale e, rispetto ai provvedimenti cautelari, non vi è alcuna disposizione normativa in tal senso.

Questione collegata a quella appena esposta è quella della cancellazione delle iscrizioni ipotecarie. La cancellazione, a norma di legge, deve essere eseguita dal conservatore. La norma relativa a questo adempimento è l'art. 2884 c.c. secondo cui «la cancellazione deve essere eseguita dal conservatore, quando è ordinata con sentenza passata in giudicato o con altro provvedimento definitivo emesso dalle autorità competenti».

L'iscrizione ipotecaria, diversamente dalla trascrizione, è necessaria affinché l'effetto possa prodursi anche tra le parti; il diritto, infatti, sorge tra le parti soltanto al momento della iscrizione ipotecaria (Luiso 2019, 395). La natura della iscrizione ipotecaria è, pertanto, costitutiva a differenza della trascrizione la cui finalità è soltanto di rendere l'atto opponibile nei confronti dei terzi.

Dalla lettura dell'art. 2884 c.c. prima richiamato, emerge senza ombra di dubbio che la cancellazione della iscrizione ipotecaria è affidata dal legislatore ad un provvedimento definitivo del giudice, provvedimento la cui natura che non può essere riscontrata nei provvedimenti cautelari.

La giurisprudenza sul punto è chiara ed univoca. Si è sostenuto, infatti, che, dal momento che a norma dell'art. 2884 c.c.la cancellazione dell'iscrizione ipotecaria deve essere necessariamente ordinata con sentenza, non può farsi luogo in via provvisoria ad alcuna pronuncia inibitoria e/o coercitiva che sia equipollente alla cancellazione stessa: di conseguenza non può essere disposta la cancellazione del vincolo ipotecario mediante un provvedimento d'urgenza ex art. 700 c.p.c. (Trib. Avellino 9 maggio 2014). E ancora, si è precisato che la cancellazione dell'ipoteca non può essere disposta con provvedimento d'urgenza ex art. 700 c.p.c., provvedimento per sua natura provvisorio e strumentale, essendo necessaria una statuizione idonea al passaggio in giudicato e, quindi, con effetti definitivi (Trib. Trapani 11 aprile 2006). Tuttavia, non può sottacersi dell'esistenza di altra giurisprudenza secondo cui, invece, il provvedimento anticipatorio potrebbe – e dovrebbe – essere utilizzato proprio per ottenere la cancellazione dell'ipoteca perché non vi è un provvedimento cautelare tipico che la consenta. In particolare si è precisato che sebbene non si possa ordinare direttamente al Conservatore dei registri immobiliari la cancellazione di un'iscrizione ipotecaria eseguita illegittimamente, nel caso in cui difetti un provvedimento giudiziario definitivo, stante il divieto posto dall'art. 2884 c.c., non è tuttavia precluso al giudice ordinario la possibilità di emettere una analoga pronuncia in via di urgenza, ai sensi dell'art. 700 c.p.c. Trattavasi in particolare di un ricorso ex art. 700 c.p.c. proposto da un imprenditore commerciale per la cancellazione di una ipoteca illegittimamente iscritta, in quanto la condizione di imprenditore lascia fondatamente ritenere che la sussistenza di un'iscrizione ipotecaria illegittima possa determinare la segnalazione del nominativo presso la centrale rischi cui si rivolgono gli istituti di credito per verificare la solvibilità del cliente, con conseguente concreto e immediato pericolo di revoca degli affidamenti e relativo rischio di impossibilità di onorare i crediti, affidamenti che non potrebbero attendere certo, per il ripristino, i tempi di un giudizio ordinario (Trib. Bari 13 maggio 2005).

La questione interessa il nostro studio dei provvedimenti cautelari per l'esistenza dell'attuale distinzione tra provvedimenti cautelari anticipatori e conservativi. Ci si chiede, infatti, se la situazione sopra esposta e, quindi, l'impossibilità di considerare provvedimento definitivo un provvedimento cautelare valga anche perle misure cautelari anticipatorie alla luce della loro strumentalità attenuata rispetto al giudizio di merito. Non sembrerebbe, allo stato attuale, potersi predicare una qualche differenza quanto al regime dei provvedimenti in questione né una loro ipotetica ascrivibilità al novero dei provvedimenti «definitivi» che l'art. 2884 c.c. considera idonei perché il conservatore provveda alla cancellazione della iscrizione ipotecaria.

In una pronuncia di merito, si è evidenziato che certamente per la cancellazione delle ipoteche deve farsi riferimento all'art. 2884 c.c. e che tra i provvedimenti definitivi in senso proprio non si può far rientrare un provvedimento emesso in sede cautelare, visto che la norma esige che il provvedimento di cancellazione abbia di per sé, in via normale e non soltanto potenziale, carattere definitivo; né tale impedimento può essere eluso con un ordine alle controparti di prestare il proprio assenso alla cancellazione ipotecaria (per tal modo i richiedenti pensavano di poter superare il divieto posto dall'art. 2884 c.c.), stante che si tratta di un ordine non previsto dalla legge e confliggente con la tipicità dei mezzi di esecuzione in forma specifica degli obblighi a contrarre e di prestazione del consenso (la prestazione del consenso della controparte era invece richiesta in Trib. Milano 7 agosto 1998, il quale aveva affermato che vi sarebbe un vero e proprio obbligo giuridico di cooperazione a carico del creditore ipotecario, tenuto a prestare il consenso alla cancellazione anche a seguito della riforma non ancora passata in giudicato della sentenza o comunque del titolo con cui l'ipoteca è stata iscritta). Tale limitazione, però, non può applicarsi – secondo tale pronuncia – anche alla richiesta di riduzione delle ipoteche. Le tesi che affermano il contrario si fondano su un'applicazione estensiva o analogica dell'art. 2884 c.c., equiparandosi la riduzione delle ipoteche ad una vera e propria cancellazione, estensione per similitudinem che però – secondo la Corte d'Appello – sarebbe del tutto incongrua. Sia perché è diversa la ratio della fattispecie cui soggiace ciascun istituto: nel caso della riduzione infatti non si contesta il credito né il diritto alla garanzia, ma solo la sproporzione tra garanzia, credito e beni cauzionali, laddove, invece, la cancellazione-estinzione dell'ipoteca mira ad eliminare la garanzia per insussistenza originaria dei relativi presupposti oppure per difetto sopravvenuto degli stessi; sia perché la legge non dimostra una lacuna nella parte in cui disciplina l'istituto della riduzione, avendo il legislatore omesso di statuire che essa si debba disporre con provvedimento che deriva da un accertamento definitivo o con un provvedimento definitivo esso stesso, solo perché non ha ritenuto, presumibilmente, che la riduzione presupponga una valutazione definitiva sulla inesistenza originaria o sopravvenuta del credito da garantire (App. Milano 14 ottobre 2008).

Nonostante questa pronuncia, che consente la riduzione di ipoteca per il tramite di un provvedimento cautelare anticipatorio, essa stessa ha premura di ribadire che la natura dei provvedimenti cautelari, pur se a strumentalità attenuata, non è mutata e pertanto essi non possono mai assurgere al carattere della definitività che solo consente, ai provvedimenti giudiziali, di essere titoli idonei per la cancellazione della ipoteca ai sensi dell'art. 2884 c.c. Questa norma civilistica, infatti, esige che il provvedimento di cancellazione abbia un carattere definitivo, di per sé, e non soltanto in via potenziale.

Si è dubitativamente affermato che forse la soluzione potrebbe essere diversa laddove si sposasse una tesi differente sulla portata dell'art. 669-octies, ultimo comma, c.p.c. ai sensi del quale il provvedimento cautelare non ha autorità in un diverso processo (Panzarola, Giordano, 284). Secondo tale dottrina, comunque, laddove si sposi la distinzione tra una iscrizione ipotecaria ingiusta e una iscrizione ipotecaria invece completamente illegittima, potrebbe ritenersi possibile, in deroga al divieto posto dall'art. 2884 c.c., di utilizzare un provvedimento cautelare anticipatorio per la cancellazione dell'iscrizione ipotecaria che sia stata effettuata sulla base di un atto che non era, ai sensi della disposizione del codice civile, idoneo per elevarla.

Il presupposto per questa estensione dell'operatività del provvedimento cautelare anticipatorio a consentire la cancellazione dell'ipoteca nell'ipotesi dell'iscrizione del tutto illegittima, è stata sposata in una pronuncia della giurisprudenza di merito. Si è rilevato, infatti, che sarebbe ammissibile con provvedimento d'urgenza ordinare la cancellazione di un'iscrizione ipotecaria illegittima, nella fattispecie iscritta in base ad un'ordinanza pronunciata ex art. 186-quater c.p.c., titolo inidoneo a questo effetto per mancata previsione di legge (Trib. Milano 26 novembre 1999).

Tuttavia, preme sottolineare qui l'estensione dell'uso del provvedimento cautelare anticipatorio per ottenere la cancellazione della iscrizione ipotecaria illegittimamente effettuata, non comporta alcuna parificazione del provvedimento in questione ai provvedimenti definitivi voluti dall'art. 2884 c.c. ma semplicemente, essendo priva di presupposto l'avvenuta iscrizione ipotecaria, se ne consente la cancellazione per il tramite di un provvedimento che mai potrebbe rientrare, per la sua natura provvisoria e comunque strumentale, nel novero dei provvedimenti definitivi richiesti dalla previsione normativa.

È utile, per comprendere il dibattito sulla utilizzabilità del provvedimento anticipatorio di cui all'art. 700 c.p.c. per la cancellazione dell'iscrizione ipotecaria riflettere sull'omologo dibattito, soprattutto giurisprudenziale, in tema di utilizzabilità del medesimo provvedimento al fine della riduzione delle ipoteche. In parte abbiamo già accennato alla questione in precedenza.

In giurisprudenza, vi è un dibattito aperto sulla possibilità di utilizzare il provvedimento cautelare anticipatorio (in particolare, l'art. 700 c.p.c.) per ottenere la riduzione dell'ipoteca. Da un lato, vi sono pronunce che negano tale possibilità affermando, ad esempio, che non è ammissibile la tutela cautelare atipica in tema di riduzione dell'ipoteca iscritta sulla base di un decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo (Trib. Verona 7 maggio 2002). Altre pronunce, ancor più esplicitamente, affermano che la riduzione dell'ipoteca giudiziale iscritta in forza di decreto ingiuntivo, comportando la cancellazione parziale del vincolo ipotecario, non può essere disposta mediante un provvedimento ex art. 700 c.p.c., dato che necessita, ex art. 2884, c.c., di una sentenza passata in giudicato o di altro provvedimento definitivo (Trib. Roma 7 aprile 1998). Secondo altre pronunce, invece, come quella della Corte d'Appello di Milano prima ricordata, sarebbe possibile utilizzare un provvedimento cautelare anticipatorio per ottenere la riduzione dell'ipoteca. Come già visto con riferimento a tale pronuncia, la Corte d'Appello, nel ritenere ammissibile la concessione del provvedimento d'urgenza per la riduzione dell'ipoteca, afferma che con la riduzione si avrebbe, a differenza, della cancellazione, semplicemente una correzione dell'iscrizione ipotecaria in eccesso. La pronuncia in questione non risulta isolata, essendovi altre sentenze favorevoli all'uso del provvedimento cautelare anticipatorio per ottenere la riduzione della iscrizione ipotecaria. Si è, infatti, analogamente, affermato che la cancellazione del vincolo ipotecario non può essere disposta mediante un provvedimento ex art. 700 c.p.c. dato che necessita, ai sensi dell'art. 2884 c.c., di una sentenza passata in giudicato o di altro provvedimento definitivo, potendosi, al più, ammettere l'esperibilità del rimedio cautelare esclusivamente nel caso in cui venga richiesta la riduzione restrittiva dell'ipoteca, in considerazione del fatto che la riduzione non equivale ad una cancellazione, ma piuttosto ad una rettifica tendente a correggere l'eccedenza dell'iscrizione ipotecaria (Trib. Bari 17 novembre 2005; nello stesso senso, v. Trib. Vallo Lucania 17 ottobre 2000). Secondo un'altra pronuncia di merito, la questione relativa alla riduzione dell'iscrizione ipotecaria, sia nella forma della restrizione, ossia della limitazione solo ad alcuni beni, sia nella forma della riduzione in senso stretto, ossia della limitazione del valore della iscrizione, sarebbe diversa da quella della cancellazione. Infatti, benché parte della dottrina abbia sostenuto l'identità dal punto di vista strutturale di cancellazione e riduzione che rappresenterebbero il momento esecutivo dell'estinzione del diritto all'ipoteca, così come l'iscrizione costituirebbe il momento attuativo del sorgere di quel medesimo diritto, la giurisprudenza si è andata orientando in prevalenza nel senso della sussistenza di una differenza di carattere tra cancellazione e riduzione e, limitata la portata dell'art. 2884 c.c. al solo caso ivi testualmente previsto, ha per lo più ritenuto ammissibile il ricorso ad un provvedimento d'urgenza per ottenere un ordine di riduzione dell'ipoteca iscritta su un numero di beni o per un valore eccessivo (Trib. Napoli 2 novembre 2004). Una pronuncia molto interessante perché ricostruttiva del quadro sistematico di riferimento ha affermato che in base all'art. 669-octies, comma 6, c.p.c. i provvedimenti cautelari, quando idonei ad anticipare gli effetti della sentenza di merito, acquistano efficacia definitiva, essendo meramente facoltativa l'instaurazione del giudizio di merito, così dimostrando la loro possibile attitudine alla stabilità. Pertanto, deve ritenersi ammissibile il rimedio cautelare invocatoexart. 700 c.p.c., insieme con la fissazioneex art. 614- bisc.p.c. di una somma per ogni giorno di eventuale ritardo nell'esecuzione della richiesta misura cautelare, al fine di conseguire la riduzione della ipoteca iscritta su determinati cespiti immobiliari, dato che, in primo luogo, la norma dell'art. 2884 c.c., secondo cui la cancellazione deve essere effettuata dal conservatore, quando è ordinata con sentenza passata in giudicato o con altro provvedimento definitivo emesso dalle autorità competenti, non può che trovare applicazione con esclusivo riferimento alla sola ipotesi ivi contemplata e cioè di cancellazione del vincolo ipotecario e non anche di riduzione dello stesso, in considerazione del fatto che la riduzione non equivale ad una cancellazione, ma piuttosto ad una rettifica tendente a correggere l'eccedenza dell'iscrizione. Diversa è, invece, la ratio della fattispecie se soggiacesse a ciascun istituto: la cancellazione mira ad eliminare la garanzia per insussistenza originaria dei relativi presupposti o per difetto sopravvenuto degli stessi, mentre la riduzione è finalizzata alla contestazione della sproporzione esistente tra la garanzia, il credito e i beni cauzionali (Trib. Bari 10 maggio 2011).

Sembra condivisibile l'opinione per cui la riduzione dell'iscrizione ipotecaria sarebbe estranea alla previsione dell'art. 2884 c.c. e sicuramente più convincente dell'opposta tesi secondo cui la norma dell'art. 2884 c.c. dovrebbe essere interpretata in senso inclusivo anche della riduzione della iscrizione ipotecaria quanto ai provvedimenti che la consentirebbero (Panzarola, Giordano, 286). Gli autori sottolineano come un'interpretazione estensiva o analogica della norma dell'art. 2884 c.c. richiederebbe l'esistenza di una lacuna normativa oltreché dell'identità della ratio posta a base dei due istituti, cancellazione e riduzione. E ciò non è certamente, perché il silenzio del legislatore rispetto alla riduzione lascia chiaramente intendere che egli voleva sottrarre la riduzione dalla disciplina valida per la cancellazione (Panzarola, Giordano, 286).

Provvedimenti cautelari anticipatori e trascrizione

Il problema dell'utilizzabilità di un provvedimento cautelare anticipatorio (nella specie il provvedimento d'urgenza per la sua strutturale atipicità) si è posto nel tempo anche con riferimento alla cancellazione della trascrizione della domanda giudiziale. Poiché l'argomento si interseca con la diversa strumentalità assegnata a tali provvedimenti dall'art. 669-octies, comma 6, c.p.c. è necessario farne cenno.

Il punto di partenza è come sempre l'esame della norma di riferimento del codice sostanziale: l'art. 2668, comma 1, c.c. Tale norma stabilisce che «la cancellazione della trascrizione delle domande enunciate dagli articoli 2652 e 2653 e delle relative annotazioni si esegue quando è debitamente consentita dalle parti interessate ovvero è ordinata giudizialmente con sentenza passata in giudicato».

Si tratta di un tema complesso, variamente affrontato in dottrina. Autorevole e storico interprete ha sempre negato che per il tramite di un provvedimento d'urgenza potesse essere concessa la cancellazione della trascrizione della domanda giudiziale, ma anche della iscrizione ipotecaria e ciò sulla base del mero dato testuale, ossia per il fatto che gli artt. 2668 e 2884 c.c. chiedono a tali fini una sentenza passata in giudicato o comunque un provvedimento definitivo (Andrioli 1964, 264). In generale, sul complesso tema della trascrizione delle domande giudiziali, si rinvia all'autorevole dottrina che la ha approfondita, pubblicando nel medesimo anno due storiche monografie (Picardi 1968; Proto Pisani, 1968; Colesanti, 1972).

È pur vero che dalla primigenia impostazione del codice di procedura civile e dello stesso codice civile risalente agli anni '40 del secolo scorso la stessa strutturalità dei provvedimenti cautelari anticipatori – e dei provvedimenti d'urgenza in particolare – è mutata. Che poi questo mutamento possa consentire anche una lettura diversa delle richiamate norme del codice sostanziale è altro discorso che cercheremo di affrontare in queste pagine.

Il riferimento normativo contenuto nell'art. 2668, comma 1, c.c. alla sentenza passata in giudicato ha fatto sì che la stessa giurisprudenza di legittimità, con pronuncia risalente, ha negato l'ammissibilità di una cancellazione della trascrizione di domanda giudiziale ordinata con un provvedimento d'urgenzaex art. 700 c.p.c. Essa ha pertanto affermato che la cancellazione della trascrizione di una delle domande indicate negli artt. 2652 e 2653 c.c. può essere ordinata, quando non sia consentita dagli interessati, soltanto con sentenza passata in giudicato, con la conseguenza che, ove venga disposta a norma dell'art. 700 c.p.c. con ordinanza del giudice istruttore e della relativa causa, tale ordinanza non ha più carattere provvisorio bensì ha natura decisoria e definitiva, sostituendosi essa alla sentenza della quale non potranno più farsi rivivere gli effetti della trascrizione, e quindi costituisce provvedimento abnorme, ricorribile per cassazione ai sensi dell'art. 111 Cost. (Cass. II, n. 251/1986).

Premesso che la natura della sentenza menzionata dall'art. 2668, comma 1, c.c. è senz'altro costitutiva-estintiva, nell'àmbito peculiare della cancellazione della trascrizione delle domande giudiziali vi sono talmente tanti profili particolari che è sconsigliabile assimilare questa ipotesi alle altre in cui si assicurano per il tramite di un provvedimento cautelare gli effetti collegati alle sentenze costitutive (v., amplius, Panzarola, Giordano, 273). Sia sufficiente – segnala la dottrina – evidenziare che la cancellazione della trascrizione della domanda giudiziale ove ordinata con un provvedimento cautelare anticipatorio, potrebbe comportare delle conseguenze non reversibili, laddove, ad esempio, cancellata la trascrizione in questione con un provvedimento d'urgenza, altri soggetti terzi possano conseguentemente procedere alla trascrizione del proprio atto d'acquisto con conseguente inopponibilità dell'eventuale accoglimento successivo della domanda giudiziale (Panzarola, Giordano, 274).

Simili conseguenze irreversibili mal si prestano ad essere coordinate e collegate alla concessione di un provvedimento cautelare anticipatorio, senza peraltro entrare nel dettaglio – che esula dal presente scritto – del complesso tema dei mutamenti irreversibili che possono derivare dalla attuazione di un provvedimento d'urgenza.

La giurisprudenza di merito, infatti, su questa base tende a negare l'ammissibilità della cancellazione della trascrizione della domanda giudiziale con provvedimento d'urgenza. Ad esempio, si è detto che sarebbe inammissibile il ricorso d'urgenza ex art. 700 c.p.c. volto ad ottenere la cancellazione di una trascrizione abusiva di una domanda giudiziale, richiedendo, a tal fine, l'art. 2668 c.c. una sentenza passata in giudicato e caratterizzandosi i provvedimenti d'urgenza per la loro provvisorietà e strumentalità, mentre la misura cautelare in tale ipotesi, ove concessa, assumerebbe carattere di sostanziale definitività (Trib. Milano 13 gennaio 2011). E ancor più specificamente, si è precisato che è inammissibile il ricorso ex art. 700 c.p.c. proposto per cancellare la trascrizione di una domanda giudiziale, perché con esso il ricorrente otterrebbe più di quanto potrebbe ottenere con la sentenza conclusiva del giudizio, in palese contrasto con le caratteristiche di provvisorietà e strumentalità proprie del provvedimento d'urgenza (Trib. La Spezia 26 agosto 2004). Nello stesso senso, si nega la cancellazione della trascrizione di domanda giudiziale chiesta ex art. 700 c.p.c. perché si pone in contrasto sia con il connotato della residualità della tutela d'urgenza che con il carattere della provvisorietà e della strumentalità della tutela medesima, potendo essere ordinata solo con sentenza (Trib. Reggio Calabria 3 aprile 2004).

Il discorso, però, si fa diverso laddove si recepisca la distinzione, già elaborata dalla giurisprudenza di legittimità, tra trascrizione della domanda giudiziale effettuate ai sensi degli artt. 2652 e 2653 c.c. e trascrizione illegittima, cioè effettuata al di fuori delle ipotesi previste da tali disposizioni del codice sostanziale. Infatti, se, ai sensi dell'art. 96, comma 2, c.p.c. è previsto il risarcimento del danno a danno di chi abbia, senza la normale prudenza, trascritto una domanda giudiziale relativa ad un diritto poi rivelatosi inesistente, un simile rimedio della responsabilità c.d. aggravata non può soccorrere nelle ipotesi di trascrizione effettuata al di fuori delle ipotesi prescritte dal codice civile.

La distinzione tra trascrizione «ingiusta» e «illegittima» è elaborata, come anticipato, dalla giurisprudenza di legittimità che, in alcuni suoi arresti, ha affermato che ove sia stata eseguita la trascrizione di una domanda giudiziale al di fuori dei casi di cui agli artt. 2652 e 2653 c.c., sussiste l'interesse della controparte ad agire, anche in separato giudizio, per il relativo risarcimento del danno, a prescindere dal passaggio in giudicato della sentenza che rigetta la domanda illegittimamente trascritta; in tal caso, infatti, la cancellazione della trascrizione non è collegata al mancato accoglimento della domanda ma alla sua intrinseca illegittimità, del tutto autonoma rispetto al giudizio di merito nel cui àmbito la trascrizione era stata disposta (Cass. S.U., n. 6597/2011; Cass. II, n. 13127/2010).

In sostanza, recependo la distinzione ora esposta tra la trascrizione «ingiusta», ossia avente ad oggetto comunque atti compresi nell'elenco di cui agli artt. 2652 e 2653 c.c., per i quali soltanto può operare il rimedio previsto dall'art. 96, comma 2, c.p.c.e la trascrizione «illegittima», ossia avutasi per atti non compresi in tale elenco, ecco che, rispetto a quest'ultima, non potrebbe applicarsi la lettera dell'art. 2668, comma 1, c.c. che richiede, per la cancellazione della trascrizione in questione la sentenza passata in giudicato, ove non vi sia il consenso delle parti.

Sulla scorta di questa distinzione, copiosa giurisprudenza di merito ammette la cancellazione della trascrizione delle domande giudiziali che siano state, per l'appunto, trascritte al di fuori dei casi previsti dagli artt. 2652 e 2653 c.c. Si è rilevato, ad esempio, che la trascrizione della domanda giudiziale può essere cancellata in via interinale con ricorso d'urgenza ex art. 700 c.p.c. esclusivamente quando la suddetta trascrizione sia abusiva, vale a dire fatta al di fuori delle ipotesi tassativamente previste dalla legge (Trib. Busto Arsizio 9 febbraio 2010; Trib. Napoli 26 gennaio 2006). Nello stesso senso, si è precisato che è concedibile un provvedimento cautelare d'urgenza finalizzato ad ottenere la cancellazione della trascrizione della domanda giudiziale, qualora si tratti di domanda erroneamente trascritta in quanto non rientrante tra quelle elencate dagli artt. 2652 e 2653 c.c. (Trib. Siracusa 2 febbraio 2001). Sotto altro profilo, si puntualizza che il limite di cui all'art. 2668 c.c., per cui la cancellazione della trascrizione delle domande giudiziali è possibile solo quando sia debitamente consentita dalle parti interessate, ovvero laddove sia ordinata con sentenza passata in giudicato, in particolare laddove la domanda sia rigettata o il processo sia estinto per rinunzia o inattività delle parti, non può operare nei casi in cui si proceda alla trascrizione al di fuori delle ipotesi di cui agli artt. 2652 e 2653 c.c.; infatti, in tali casi, la trascrizione si palesa come un'utilizzazione abusiva del diritto di credito, valutabile alla stregua di un mero atto emulativo, atteso il suo contenuto contrario ad ogni previsione normativa, con la conseguenza che diviene possibile il ricorso alla tutela innominata ex art. 700 c.p.c. per arrestare in via d'urgenza gli effetti pregiudizievoli derivanti dal permanere della trascrizione illegittima (Trib. Napoli 19 luglio 2011).

Se, quindi, si può utilizzare la ormai pacifica distinzione tra trascrizione ingiusta e trascrizione illegittima per consentire, almeno rispetto a quest'ultima, l'uso del provvedimento cautelare anticipatorio, tuttavia, bisogna segnalare come una certa giurisprudenza di merito estenda l'uso della cautela innominata anche alle ipotesi in cui la trascrizione della domanda giudiziale sia infondata, sebbene ricompresa all'interno degli atti previsti dagli artt. 2652 e 2653 c.c.

Il riferimento è a quelle pronunce di merito – non molte per dire il vero – che affermano che è ammissibile ordinare con provvedimento d'urgenza alla parte di provvedere alla cancellazione della trascrizione di una domanda giudiziale (Trib. Milano 30 settembre 2002). Più specificamente, si è statuito che è ammissibile con provvedimento d'urgenza ordinare l'immediata cancellazione di trascrizioni di domande giudiziali operate in modo abusivo, in assenza di un titolo idoneo, essendo peraltro insufficiente e inadeguato il solo rimedio del risarcimento del danno per fronteggiare situazioni di palese illegittimità delle trascrizioni stesse (Trib. Milano 22 febbraio 2001; nel senso che sia concedibile la tutela urgente quando la trascrizione in questione si riveli come un mero atto emulativo nei confronti dell'altra parte, v. anche Trib. Roma 19 settembre 1995; Trib. Roma 29 dicembre 1998).

Fin qui, comunque, il tema si è annodato specificamente con la concedibilità della tutela urgente che, come è noto, ai sensi dell'art. 669-octies c.p.c.post riforma del 2005 rientra de plano nell'àmbito dei provvedimenti che godono della strumentalità attenuata e che, quindi, sono idonei a sopravvivere anche sine die alla mancata instaurazione del giudizio di merito. Ci si domanda, pertanto, se tale provvisorietà «permanente» possa giustificare per vie traverse una loro possibile equiparazione alle misure definitive necessarie per la cancellazione della trascrizione della domanda giudiziale, così come lo stesso quesito ci eravamo posti con riferimento alla cancellazione della iscrizione ipotecaria. Se, però, in quella sede, il dettato normativo era più vago riferendosi ad un provvedimento definitivo – che comunque induce ad escludere l'ammissibilità della cancellazione dell'iscrizione ipotecaria per il tramite di un provvedimento anticipatorio urgente essendo tale provvedimento, comunque, non definitivo – in questo caso la situazione si presenta più complessa dato che l'art. 2668, comma 1, c.c. richiede espressamente o il consenso delle parti o una sentenza passata in giudicato. Se anche si volesse forzare il dato normativo e ritenere che il provvedimento anticipatorio possa assurgere contenutisticamente alla «sentenza» ove non segua il giudizio di merito ed esso si stabilizzi nel tempo (ad esempio per l'intervento dei c.d. stabilizzatori del diritto sostanziale) e, quindi, diventi «sentenza» da un punto di vista sostanziale se non processuale, comunque rimarrebbe l'ostacolo derivante dal riferimento al «giudicato», requisito che non può mai predicarsi rispetto ad un provvedimento cautelare anticipatorio, nemmeno laddove esso si stabilizzi nel tempo.

La dottrina si è in più occasioni posta il dubbio relativo all'eccessiva rigidità del sistema della cancellazione della trascrizione delle domande giudiziali, evidenziando in più occasioni problemi di legittimità costituzionale in relazione al fatto che la cancellazione in questione è consentita soltanto ove si abbia una sentenza passata in giudicato, pur se la domanda giudiziale proposta sia del tutto infondata (Dittrich, 62; Conte, 930). Si è, infatti, giustamente evidenziato come il dilemma più difficile da risolvere e che maggiormente evidenzia i limiti del sistema attuale è quello derivante dalla trascrizione di una domanda giudiziale ictu oculi infondata ma in relazione ad atti che rientrano nell'àmbito di quelli elencati dagli artt. 2652 e 2653 c.c. (Conte, 930).

Il dubbio sull'eccessiva rigidità della norma dell'art. 2668, comma 1, c.c. nel richiedere necessariamente una sentenza passata in giudicato per la cancellazione della trascrizione della domanda giudiziale si è posto nella giurisprudenza di merito. Si è, infatti, partiti dalla premessa che è inammissibile la richiesta di disporre ai sensi dell'art. 700 c.p.c. la cancellazione di trascrizione di domanda giudiziale, potendo questa formalità essere eseguita soltanto in forza di sentenza passata in giudicato, per poi affermare che non è manifestamente infondata l'eccezione di incostituzionalità, per violazione degli artt. 3,24 e 111 Cost. dell'art. 2668 c.c. nella parte in cui non prevede che la cancellazione della trascrizione di una domanda giudiziale possa essere ordinata con un provvedimento cautelare anticipatorio, nella specie art. 700 c.p.c., pur quando appaia probabile l'infondatezza della domanda giudiziale (Trib. Verona 9 marzo 2001). In particolare, il magistrato scaligero, rispetto alla non manifesta infondatezza della questione, afferma che, pur configurandosi la trascrizione della domanda giudiziale come cautela contro atti di disposizione giuridica di beni immobili, onde essa ha funzione cautelare, conservativa e di salvaguardia contro il terzo avente causa dal convenuto che trascriva il suo titolo posteriormente, la norma dell'art. 2668 c.c. non risulta coordinata né con l'art. 669-novies c.p.c., né con la restante normativa sul procedimento cautelare. In particolare, secondo il rimettente, la disciplina della trascrizione presenta una serie di incongruenze, perché essa, pur costituendo una forma di autotutela cautelare, non è soggetta, anche a contraddittorio instaurato, ad alcun vaglio del giudice, che non deve e non può confermarla in applicazione dell'art. 669-sexies c.p.c., non può né revocarla né modificarla, ex art. 669-novies e 669-decies c.p.c.; inoltre, essa sfugge alla regola del contraddittorio e viola il principio della parità fra le parti poiché, se la tutela cautelare mira ad evitare che la durata del processo vada a danno della parte che ha ragione, «l'irremovibile trascrizione della domanda giudiziale altera l'equilibrio tra le posizioni, privilegiando la condizione dell'attore». La Consulta ha ritenuto, però, non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 2668 c.c. nella parte in cui dispone che la cancellazione della trascrizione delle domande giudiziali indicate negli artt. 2652 e 2653 c.c. è ordinata giudizialmente con sentenza passata in giudicato. Secondo il giudice delle leggi, il fatto che sia esclusa la possibilità che la cancellazione della trascrizione sia assoggettata alla disciplina del procedimento cautelare uniforme di cui agli artt. 669-bis ss. c.p.c., anche quando nel corso del processo la domanda trascritta appaia infondata, non consente di dichiarare l'incostituzionalità della previsione normativa perché la particolare funzione della trascrizione della domanda giudiziale, che ha natura sostanziale e non mira a tutelare la parte di un giudizio di merito, non è riconducibile alla tutela cautelare e, pertanto, l'estensione all'istituto della trascrizione delle domande giudiziali della disciplina del procedimento cautelare uniforme, per come strutturato, potrebbe avvenire unicamente per il tramite di un intervento legislativo opportunamente modulato e non certo attraverso una pronuncia additiva della Corte (Corte cost., n. 523/2002).

Va segnalato che con ordinanza n. 117/2021 il Tribunale di Roma, in composizione monocratica, ha sollevato la questione di legittimità costituzionale degli artt. 2652, 2653 e 2668 c.c., in riferimento agli artt. 3, 24 e 42 Cost., parametri che le disposizioni censurate violerebbero nella parte in cui non consentono al giudice di ordinare con provvedimento d'urgenza ex art. 700 c.p.c. la cancellazione della trascrizione di una domanda giudiziale, nemmeno ove questa sia manifestamente infondata. La Corte Costituzionale ricorda di aver già dichiarato manifestamente inammissibile una questione analoga con sentenza n. 523/2002, in relazione ad una ordinanza di rimessione che censurava però isolatamente l'art. 2668 c.c. che,  nel subordinare la cancellazione della trascrizione di domanda giudiziale al passaggio in giudicato della sentenza di rigetto, “è pienamente consequenziale alla scelta legislativa di fondo, per cui talune domande giudiziali devono essere trascritte ad iniziativa della parte attrice, senza alcuna delibazione, anche cautelare, circa la loro fondatezza”. In quella sede la Consulta aveva quindi rilevato una aberratio ictus dovuta alla mancata denuncia in sede di qlc. anche degli artt. 2652 e 2653 c.c. secondo i quali le domande ivi indicate “si devono trascrivere”. Il Tribunale di Roma del 2021 invece sottopone al giudizio del giudice delle leggi l'intero corpus normativo dato dalle norme sopracitate, ma le questioni vengono ugualmente dichiarate inammissibili. La Corte rileva una “tensione irrisolta” tra i valori coinvolti dalle denunciate disposizioni normative ricordando che proprio in funzione della risoluzione di tale tensione la giurisprudenza di merito ha introdotto eccezioni allo sbarramentno del giudicato ex art. 2668 c.c., in particolare tramite la distinzione fra trascrizione illegittima e trascrizione ingiusta elaborata ad altro fine da Cass. S.U n. 6597/2011. Inoltre, rileva la Corte, il sistema processuale civile, ad onta del dettato testuale delle norme che chiedono il giudicato per l'ordine di cancellazione della trascrizione della domanda, segue una tendenza chiara a “svincolare la decisione concreta della lite dalla necessità dell'accertamento con il crisma del giudicato sostanziale” (Corte Cost. n. 212/2020). Questa tendenza normativa a collegare effetti sempre più jncisivi alla sentenza in sé, pur se non passata in giudicato, trova riscontro nella disciplina dell'art. 669-novies, comma 3, c.p.c. ove si prevede che il provvedimento cautelare perde efficacia se il diritto oggetto della cautela è dichiarato inesistente con sentenza anche non passata in giudicato.  Tra le varie soluzioni prospettate per risolvere la tensione derivante dal contrasto delle disposizioni normative la Corte Costituzionale propone, tra le altre, ai fini che a noi interessa, una possibile modifica che elida il segmento “passata in giudicato” contenuto alla fine del primo comma dell'art. 2668 c.c., con un effetto di allineamento tra questo e l'art. 669-novies, comma 3, c.p.c., in modo che la cancellazione della trascrizione della domanda possa essere anticipata rispetto alla formazione del giudicato, senza tuttavia rinunciare, nell'ottica della tutela dell'attore, alla garanzia della cognizione piena. Tuttavia, pur segnalando l'esistenza di un reale problema sistemico, la Corte Costituzionale rileva che le questioni sollevate dal Tribunale di Roma tendono ad una pronuncia additiva che imponga una tra le varie opzioni riservate alla discrezionalità legislativa, eccedenti l'ambito della giurisdizione costituzionale. La soluzione del problema è quindi rinviata ad una auspicabile riforma legislativa (Corte Cost. n. 143/2022).

Se, pertanto, la Consulta nega, allo stato attuale, che si possa asserire la natura cautelare della disciplina della trascrizione delle domande giudiziali essendo una tale opzione riservata alla scelta legislativa, non può però dimenticarsi che la natura cautelare della trascrizione delle domande giudiziali è stata affermata nel tempo da autorevole dottrina.

Si è osservato, infatti, che la disciplina della trascrizione delle domande giudiziali sarebbe, per come è configurata attualmente, senz'altro pericolosa perché essa non presuppone alcuna valutazione da parte del giudice del fumus boni iuris della domanda dell'attore e deriva dalla semplice richiesta della parte stessa. La situazione è complicata, secondo tale opinione, dalla disciplina del rito cautelare uniforme e dal fatto che il legislatore non ha coordinato la disciplina della trascrizione delle domande giudiziali con l'art. 669-novies c.p.c. visto che l'art. 2668 c.c. pretende, per la cancellazione, una sentenza passata in giudicato, mentre per la dichiarazione di inefficacia, ai sensi dell'art. 669-novies c.p.c., è sufficiente la pronuncia di una sentenza che dichiari l'inesistenza del diritto (Proto Pisani 2019, 613). Si è, invero, giustamente fatto notare come la Corte Costituzionale sembri accedere all'altra, altrettanto autorevole, opinione dottrinale secondo cui la funzione della trascrizione delle domande giudiziali va intesa nel senso di pubblicità-notizia a tutela soprattutto dei terzi che potranno considerare se sia conveniente stipulare atti con le parti in contesa data la eventuale prevalenza della trascrizione della sentenza sui successivi atti di acquisto; tale configurazione pare aderire alla tesi dottrinale secondo cui la funzione della trascrizione delle domande giudiziali, deve essere ricostruita, al pari della successione a titolo particolare nel diritto controverso, come una successione nel diritto al provvedimento di merito (la tesi è quella di Picardi 1968, 315; lo evidenziano Panzarola, Giordano, 278).

Problema collegato con quello appena esposto è quello relativo all'ipotesi in cui, conclusosi il giudizio di merito con la pronuncia di una sentenza che sia passata in giudicato, il giudice ometta di ordinare la cancellazione della trascrizione della domanda giudiziale. Il punto di partenza necessario per l'esame della questione è l'art. 2668, comma 2, c.c. ai sensi del quale deve essere giudizialmente ordinata, qualora la domanda sia rigettata o il processo sia estinto per rinunzia o per inattività delle parti. La giurisprudenza ha risolto il problema in termini differenti, sposando a volte orientamenti più aperti, a volte tesi più restrittive.

In particolare, si è rilevato che deve essere accolta la domanda con cui il soggetto interessato, dopo aver ottenuto sentenza favorevole di estinzione del giudizio relativo all'accertamento di simulazione assoluta circa la compravendita di un immobile, senza relativo provvedimento di cancellazione della trascrizione dal registro immobiliare, instauri autonomo giudizio con il quale, previo accertamento dell'avvenuta estinzione già pronunciata, si provveda a cancellazione, all'esito di una cognizione piena che si concluda con sentenza (Trib. Lucca 8 giugno 2007). E ancora si è precisato che allorché la sentenza di rigetto di una domanda rientrante nelle previsioni di trascrizione exartt. 2652 e 2653 c.c.non contenga l'ordine di cancellazione dai registri immobiliari dell'eseguita trascrizione, a tanto può provvedersi grazie alla procedura di correzione della sentenza disciplinata dall'art. 287 c.p.c., ossia attraverso il procedimento di correzione degli errori materiali, ancorché non emergesse dagli atti del processo definito l'esistenza di tale formalità (Trib. Torino 17 ottobre 2005). Questo per riferire della tesi più liberale. Vi è però – come anticipato – giurisprudenza più restrittiva secondo la quale in caso di estinzione per inattività delle parti del processo la cui domanda introduttiva sia stata trascritta nei registri immobiliari, qualora l'ordine di cancellazione non sia pronunciato dal giudice del processo estinto, non è possibile ottenerlo attraverso un procedimento di volontaria giurisdizione (Trib. Torino 20 marzo 2002). Sempre in tal senso, si è sottolineato che, qualora in una sentenza passata in giudicato sia stato omesso ogni provvedimento in ordine alla cancellazione di una trascrizione dell'atto di citazione, si può provvedere all'omissione con un provvedimento di volontaria giurisdizione, ma se vi è contrasto tra le parti, occorre che la cancellazione sia richiesta e disposta con un giudizio autonomo in sede contenziosa (Trib. Verona 26 ottobre 1992).

Nel caso ricorra questa fattispecie è condivisibile l'opinione secondo cui la cancellazione della trascrizione della domanda giudiziale potrebbe essere senz'altro ordinata con un provvedimento cautelare anticipatorio urgente laddove ne ricorrano i presupposti.

In tal senso, si è chiarito che la cancellazione della trascrizione di una domanda giudiziale dai registri immobiliari può essere ottenuta mediante un provvedimento d'urgenza ex art. 700 c.p.c. nell'ipotesi in cui il giudizio, mai iscritto a ruolo a seguito di notifica dell'atto di citazione, si sia estinto per inattività delle parti (Trib. Rieti 19 agosto 2008). Questa giurisprudenza si pone in linea con quell'orientamento della giurisprudenza di legittimità secondo cui la trascrizione delle domande giudiziali ha una funzione di prenotazione degli effetti dell'accoglimento della domanda stessa, mentre tale effetto non viene in essere quando il processo si estingue, o, comunque, si conclude con una pronuncia diversa da quella di accoglimento, con la conseguenza che gli effetti della trascrizione possono, in tal caso, essere fatti valere in un diverso ed autonomo processo che non costituisca riassunzione di quello precedente. In tale ipotesi non ha rilievo il fatto che non sia stata ordinata giudizialmente la cancellazione della trascrizione perché in ipotesi di estinzione del processo non ha rilievo l'omessa pronuncia dell'ordine di cancellazione della trascrizione ex art. 2668 c.c. (Cass. I, n. 794/1999). Nello stesso senso, in precedenza, la Corte di Cassazione aveva specificato che ai fini dell'interruzione del termine per usucapire, la trascrizione della domanda giudiziale, in quanto priva d'efficacia sua propria sotto tale profilo, non determina effetti diversi da quelli della stessa domanda trascritta e, pertanto, in ipotesi di estinzione del processo, con conseguente efficacia interruttiva istantanea della domanda, non possono attribuirsi effetti interruttivi permanenti alla trascrizione stessa, senza che possa rilevare l'omessa pronuncia dell'ordine di cancellazione della trascrizione ex art. 2668 c.c. (Cass. II, n. 1682/1982).

La dottrina ha evidenziato come in tale ipotesi, non essendovi dubbio sul fatto che la trascrizione sia priva dei presupposti per mantenere la sua efficacia, non vi sono ostacoli alla concessione di un provvedimento cautelare anticipatorio ante causam diretto ad ottenere la cancellazione della trascrizione della domanda giudiziale; per questo provvedimento, alla stregua della regola generale sarà sempre facoltativa l'instaurazione del successivo giudizio di merito (Panzarola, Giordano, 282).

Le misure cautelari nel diritto amministrativo e la strumentalità della giurisdizione cautelare amministrativa

Tutte le problematiche afferenti alla sistematizzazione della strumentalità nelle misure cautelari non sono comuni soltanto al solo processo civile. Nel quadro della giurisdizione cautelare amministrativa, infatti, la questione del legame di preordinazione tra il provvedimento cautelare e quello di merito è, al pari del processo civile, ugualmente complessa e di necessaria risoluzione.

Anche in questo processo si parla di «strumentalità cautelare» nel senso di una relazione fra gli effetti che si possono ottenere con la misura cautelare e quelli dell'emananda sentenza di merito (amplius, con riferimento alla disciplina anteriore al codice del processo amministrativo introdotto con il d.lgs. n. 104/2010, v. Panzarola 2004, 66).

Le prime misure cautelari di cui è necessario occuparsi disciplinate nel codice del processo amministrativo sono le c.d. «misure cautelari anteriori alla causa» disciplinate dall'art. 61 c.p.a. La norma prevede al comma 1 che in caso di eccezionale gravità e urgenza, tale da non consentire neppure la previa notificazione del ricorso e la domanda di misure cautelari provvisorie con decreto presidenziale, il soggetto legittimato al ricorso può proporre istanza per l'adozione delle misure interinali e provvisorie che appaiono indispensabili durante il tempo occorrente per la proposizione del ricorso di merito e della domanda cautelare in corso di causa. Il senso della previsione è precisato dalla parte finale del comma 1, perché il carattere «indispensabile» della misura cautelare è collegato dalla norma al «tempo occorrente per la proposizione del ricorso di merito e della domanda cautelare in corso di causa». Ne deriva che, prima che il ricorso di merito sia notificato, può essere domandata la misura cautelare che pertanto, è, sia pure entro certi limiti e presupposti, scollegata rispetto alla successiva azione di merito. L'art. 61, comma 5, c.p.a. a sua volta prevede che il provvedimento di accoglimento è notificato dal richiedente alle altre parti entro il termine perentorio fissato dal giudice, non superiore a cinque giorni. Qualora dall'esecuzione del provvedimento cautelare emanato ai sensi del presente articolo derivino effetti irreversibili il presidente può disporre la prestazione di una cauzione, anche mediante fideiussione, cui subordinare la concessione della misura cautelare. Il provvedimento di accoglimento perde comunque effetto ove entro quindici giorni dalla sua emanazione non venga notificato il ricorso con la domanda cautelare ed esso non sia depositato nei successivi cinque giorni corredato da istanza di fissazione di udienza; in ogni caso la misura concessa ai sensi del presente articolo perde effetto con il decorso di sessanta giorni dalla sua emissione, dopo di che restano efficaci le sole misure cautelari che siano confermate o disposte in corso di causa. Il provvedimento di accoglimento non è appellabile ma, fino a quando conserva efficacia, è sempre revocabile o modificabile su istanza di parte previamente notificata.

Il fatto che il provvedimento cautelare ex art. 61 citato sia, a certe condizioni, scollegato dal successivo provvedimento di merito, è confermato in altre parti della stessa disposizione, ad esempio laddove si prevede che il rigetto della istanza cautelare ex art. 61 non ne preclude la riproposizione «dopo l'inizio del giudizio di merito con le forme delle domande cautelari in corso di causa» (art. 61, comma 4).

La dottrina ha precisato che, grazie a queste disposizioni, si ha modo di apprezzare l'anteriorità della istanza cautelare in esame rispetto al giudizio di merito, così che per denominarla si può adoperare l'espressione tutela cautelare ante causam (Panzarola 2013, 840).

Notevoli sono le differenze tra questa misura cautelare dall'art. 61 e quella di cui all'art. 56 dello stesso codice. Nella norma dell'art. 56 (rubricata «Misure cautelari monocratiche»), il «presidente o un magistrato da lui delegato 64 verifica che la notificazione del ricorso si sia perfezionata nei confronti dei destinatari o almeno della parte pubblica e di uno dei controinteressati». Di conseguenza, nella previsione di quest'ultima norma la domanda cautelare si collega ad una azione di merito già predeterminata nelle sue caratteristiche oggettive e che già pende perché è già stato notificato il ricorso di merito. Invece, il già ricordato art. 61 configura una azione cautelare non collegata al giudizio di merito, richiesta in mancanza della «previa notificazione del ricorso».

Nell'ottica della strumentalità che è, poi, la questione che interessa ai fini del presente commento e del rapporto con le previsioni civilistiche dell'art. 669-octies c.p.c., rispetto alla previsione dell'art. 61 c.p.a, ci si chiede se è in ogni caso necessario proporre il successivo ricorso di merito.

La norma dell'art. 61, al comma 1, elabora una tutela ante causam che – come visto – ruota comunque intorno al ricorso di merito che è ad essa comunque collegato e che rispetto ad essa continua ad apparire di necessaria proposizione.

Non ha trovato accoglimento l'idea di una tutela cautelare «autosufficiente», come quella disciplinata proprio dall'art. 669-octies c.p.c. rispetto alle misure cautelari anticipatorie nel processo civile e, pertanto, nel processo amministrativo si deve necessariamente ritenere che il provvedimento cautelare viene emanato in vista ed in attesa del successivo provvedimento di merito cui è collegato (v., amplius, Panzarola 2013, 838).

Che questa sia la natura della strumentalità dei provvedimenti cautelari nel processo amministrativo è ribadito dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato, che ha affermato che gli effetti dell'ordinanza cautelare, per la loro natura strumentale e servente per una definizione del giudizio di cognizione coerente con la regola della effettività della tutela, vengono meno (così come gli effetti degli atti emessi per darle esecuzione) quando si conclude il giudizio nel corso del quale l'ordinanza è stata emanata. In deroga a tale principio l'art. 11, comma 7, c.p.a., prevede un caso di temporanea ultrattività della misura cautelare (per il termine di trenta giorni decorrente dalla pubblicazione della pronuncia declaratoria di giurisdizione), con facoltà delle parti di riproporre la domanda cautelare al giudice ad quem munito di giurisdizione. Trattasi di un'ipotesi di – temporanea – alterazione della strumentalità funzionale della tutela cautelare, poiché perdurano gli effetti di un provvedimento cautelare adottato da un giudice che non può decidere la controversia nel merito, ma l'efficacia ultrattiva è assolutamente delimitata nel tempo. La ratio della menzionata disciplina processuale è quella di consentire alle parti di riproporre la domanda cautelare al giudice munito di giurisdizione, garantendo la continuità e l'effettività della tutela cautelare anche nel caso di translatio iudicii (così Cons. St. VI, n. 1310/2013).

Ci si interroga di conseguenza sui motivi che hanno spinto il legislatore del codice del processo amministrativo a costruire la tutela cautelare ante causam nel processo amministrativo sul solco già segnato ampiamente del nesso di strutturalità con il processo di merito.

La spiegazione più convincente è quella secondo cui la motivazione posta alla base della opzione del legislatore amministrativo debba essere ricondotta alla natura pubblica degli interessi sottesi a questo processo che necessitano di un accertamento che garantisca certezza e non sia ancorabile soltanto al provvedimento cautelare (Sandulli 2010, 1136).

Mentre il provvedimento cautelare monocratico previsto dall'art. 56 c.p.a. è giustificato dall'esistenza di una situazione di urgenza che non consente neppure la dilazione fino alla data della camera di consiglio, data in cui la domanda cautelare verrà trattata e definita in sede collegiale, nella misura cautelare prevista dall'art. 61 il periculum è talmente forte che anche se non consente di instaurare subito il ricorso di merito, comunque rende necessaria la proposizione ante causam della domanda diretta all'ottenimento del provvedimento cautelare.

Si è giustamente evidenziato come, studiando con attenzione le espressioni utilizzate dalle due norme, non risultano così evidenti differenze nei presupposti per la concessione, dato che la misura cautelare monocratica prevista dall'art. 56 c.p.a. richiede il presupposto della «estrema gravità ed urgenza», mentre la tutela cautelare ante causam prevista dall'art. 61 c.p.a. necessita di una situazione di «eccezionale gravità ed urgenza». Il che significa che tutto si gioca nella differenza semantica tra «estrema» ed «eccezionale». Inoltre, l'art. 56 parla di «misure cautelari provvisorie», mentre l'art. 61 utilizza, oltre all'espressione «provvisorie» anche il termine «interinale», e li collega entrambi al provvedimento urgente (Panzarola 2013, 839).

Abbiamo già visto come la strumentalità delle misure cautelari nel processo amministrativo sia il riflesso della natura pubblica degli interessi sottesi a questo processo e della funzione svolta dalla giurisdizione amministrativa se è vero che la ratio giustificatrice della giurisdizione amministrativa è per tradizione individuata nella peculiarità delle controversie nelle quali sia parte la pubblica amministrazione, stante la rilevanza pubblicistica degli interessi in gioco e la necessità di applicare una normativa speciale, di natura amministrativa, derogatoria del diritto comune (Corte cost., n. 204/2004).

La dottrina amministrativa distingue nel processo amministrativo tra la strumentalità funzionale che sarebbe idonea a delimitare il rapporto tra il provvedimento cautelare e il giudizio di merito, e la strumentalità strutturale che sarebbe, invece, delineata dal rapporto di continenza, inteso non già nel senso dell'art. 39, comma 2, c.p.c., ma piuttosto nel senso che gli effetti che al beneficiario del provvedimento cautelare possono derivare non possono essere maggiori rispetto a quelli che lo stesso conseguirà all'esito del processo di merito (sul tema Allena, Fracchia, 207; Fratini, 678; Follieri, 320; Panzarola, Giordano, 81).

In effetti, quando si consente una tutela cautelare dinanzi al giudice amministrativo contro i provvedimenti negativi, l'idea stessa della strumentalità c.d. strutturale, cioè fondata sulla continenza nel senso evidenziato dalla dottrina prima riportata, viene meno e deve essere sostituita con un'altra idea che si basi su un confronto fra gli effetti della misura cautelare e quelli della attività susseguente che l'amministrazione è obbligata a porre in essere per ottemperare alla pronunzia del giudice quando non sia più modificabile e non già un confronto con la mera sentenza del giudice. Questo nell'ottica della valorizzazione delle funzioni della giurisdizione amministrativa che è l'unica giurisdizione, a differenza di quella civile, che ha la possibilità di incidere sull'esercizio dei pubblici poteri.

Per parlare di strumentalità tra tutela cautelare e merito nel processo amministrativo è necessario prima individuare quali siano i limiti del potere cautelare del giudice amministrativo. Questo potere cautelare, anche laddove lo confrontassimo con l'attività che l'amministrazione dovrà porre successivamente in essere per adempiere all'obbligo derivante dalla pronuncia giudiziale immutabile, non può però sovrapporsi ad essa, ogni volta almeno in cui questa attività si caratterizzi per essere esercizio di discrezionalità.

Ecco perché la dottrina ha giustamente evidenziato che il modello da prendere a parametro ruota intorno alla alternativa fra attività vincolata, da un verso, e discrezionale, dall'altro verso (Panzarola 2013, 840). Solo se il giudice cautelare si mantiene all'interno dei limiti della futura attività vincolata della pubblica amministrazione si può realizzare il risultato di apprestare tutela al beneficiario del provvedimento cautelare e di non incidere sul principio della separazione dei poteri. Il problema si pone soprattutto confrontando quanto appena detto con le ipotesi, piuttosto varie, dei provvedimenti cautelari positivi, siano essi sostitutivi ovvero propulsivi (fondati sulla tecnica c.d. del remand come ricorda Sandulli 2010, 1130).

Si tratta di quei casi in cui il giudice amministrativo dialoga con l'amministrazione per il tramite del provvedimento cautelare in termini così imponenti e penetranti che la scelta di paragonare gli effetti della tutela cautelare a quelli che derivino dalla successiva attività amministrativa esecutiva non consente di risolvere il problema. In particolare, la citata tecnica del remand consiste nel fatto che il provvedimento cautelare reso dal giudice amministrativo imprime alla potestà oggetto di vaglio giurisdizionale un vincolo conformativo, con la conseguenza che è illegittimo il provvedimento, adottato in seguito ad un impulso cautelare, che ignori completamente il tenore precettivo della misura di carattere propulsivo, fonte e limite della rinnovazione procedimentale (così Cons. St. V, n. 833/2007). Lo stesso supremo consesso ha affermato che l'ordinanza cautelare acquista un valore di immodificabilità, sia pure non assoluta e definitiva, che per certi aspetti è equiparabile al formarsi della cosa giudicata della sentenza passata in giudicato, sia pure con i limiti oggettivi di una pronuncia giurisdizionale, e comporta che per tutta la durata del giudizio, i fatti per cui è causa rimangono assoggettati agli effetti stabiliti nel provvedimento in questione, destinati a permanere per tutto il tempo occorrente alla pronuncia della sentenza di merito. Osserva il collegio che è fatto ovviamente salvo l'esercizio da parte della pubblica amministrazione del potere di provvedere con un nuovo atto amministrativo che deve però essere esercitato senza violare o eludere l'ordinanza cautelare, soprattutto se questa ha contenuto positivo. Aggiunge, infine, il Collegio che, con la tecnica utilizzata dal primo giudice (c.d. del remand francese) il potere cautelare è stato utilizzato in modo atipico (che può spingersi fino alla sostituzione del giudice all'amministrazione nelle fattispecie nelle quali lo si ritenga, per esempio in caso di attività a contenuto vincolato o di bassa discrezionalità), oggi certamente consentito dalla l. n. 205/2000 (così Cons. St. IV, n. 4239/2006).

Una soluzione potrebbe consistere nel confrontare gli effetti prodotti dalla misura cautelare positiva con quelli che potranno ritrarsi per il tramite del successivo giudizio di ottemperanza. A tal fine è opportuno ricostruire il tema dei provvedimenti cautelari all'interno del giudizio di ottemperanza dato che l'art. 3 della l. n. 205/2000 aveva proprio stabilito che allorché si chieda l'esecuzione del provvedimento cautelare, il giudice deve esercitare i poteri che sono propri del giudizio di ottemperanza al giudicato (Allena, Fracchia, 4).

In particolare, la norma, successivamente abrogata dall'art. 4 del d.lgs. n. 104/2010, stabiliva che: «Nel caso in cui l'amministrazione non abbia prestato ottemperanza alle misure cautelari concesse, o vi abbia adempiuto parzialmente, la parte interessata può, con istanza motivata e notificata alle altre parti, chiedere al tribunale amministrativo regionale le opportune disposizioni attuative. Il tribunale regionale esercita i poteri inerenti al giudizio di ottemperanza al giudicato».

Questo articolo della l. n. 205/2000, lungi dall'essere frutto di una estemporanea improvvisazione legislativa, era stato il seguito di una giurisprudenza del Consiglio di Stato ben nota.

Il Consiglio di Stato aveva affermato, pur negando l'esperibilità del rimedio dell'ottemperanza rispetto al provvedimento cautelare rimasto ineseguito, o parzialmente eseguito da parte dell'amministrazione, che è necessario stabilire «quali siano i poteri del giudice amministrativo in sede cautelare al fine di garantire l'effettività della tutela richiesta dal concorrente. In analogia alla evoluzione giurisprudenziale svoltasi in più di un decennio in materia di esecuzione delle pronunce di merito, reputa il Collegio che anche in materia cautelare i poteri del giudice debbano estrinsecarsi in un àmbito determinato dal doppio e concorrente limite di realizzare la piena tutela dell'interesse dedotto nel giudizio senza perciò decampare dal sistema posto dall'art. 4 e dall'art. 7 della l. n. 2248/1865, all. E., sul contenzioso amministrativo», sicché analoghi poteri possono essere riconosciuti al giudice amministrativo in materia di misure cautelari, sia perché è identica la ratio posta alla base della tutela cautelare sia perché l'ordinanza di sospensione in sede cautelare riveste natura decisoria. Con la conseguenza che, laddove l'ordinanza cautelare di sospensione del provvedimento impugnato non sia ex se idonea ad assicurare il risultato della tutela interinale ovvero l'amministrazione ne rifiuti o eluda l'esecuzione, l'interessato può ben adire nuovamente il giudice che ha emanato l'ordinanza per chiedere la pronuncia di provvedimento idonei ad assicurare l'esecuzione della sospensione, nelle forme stabilite per l'ordinario giudizio di sospensione di cui la domanda stessa rappresenta una sorta di fase integrativa (Cons. St. Ad. plen., n. 6/1982).

Se, almeno originariamente, poteva asserirsi che le misure cautelari in sede di giurisdizione esclusiva, avessero funzione eminentemente conservativa, nel tempo esse hanno viceversa assunto sempre più funzione e natura anticipatoria degli effetti della sentenza di merito.

Infatti, la dottrina ha affermato che la tutela cautelare nel processo amministrativo nelle materie attribuite in sede di competenza esclusiva, ha subìto un processo di trasformazione di guisa che da misura inizialmente «inibitoria» (e pertanto conservativa), si è trasformata in un provvedimento che impartisce una tutela sommaria e che consente di anticipare gli effetti della tutela di merito (Marchetti, 134).

Adesso, a norma dell'art. 59 c.p.a., qualora i provvedimenti cautelari non siano eseguiti in tutto o in parte l'interessato con istanza motivata e notificata alle altre parti può chiedere al tribunale amministrativo regionale le opportune misure attuative e il tribunale in questione esercita i poteri inerenti al giudizio di ottemperanza e provvede sulle spese. Peraltro, la norma specifica che la liquidazione delle spese operata ai sensi della norma prescinde da quella conseguente al giudizio di merito, salvo diversa statuizione espressa nella sentenza. Ne deriva che al giudice che esegue il provvedimento cautelare spettano gli stessi identici poteri che la legge assegna a quello dell'ottemperanza, nessuno escluso.

La dottrina amministrativa si è occupata di delineare le ipotesi in cui la strumentalità «funzionale» del provvedimento cautelare amministrativo termina, nella pratica, per diventare «attenuata», in ossequio ad una tendenza conformativa rispetto a quanto previsto dall'art. 669-octies, comma 6, c.p.c. per i provvedimenti cautelari anticipatori nel processo civile. Sicché si evidenziano pure provvedimenti cautelari del giudice amministrativo tali da determinare effetti non reversibili (v., amplius, Allena, Fracchia, 206).

Né, peraltro, può sottacersi del fatto che, nel processo amministrativo, a volte gli effetti conseguibili con il provvedimento cautelare possono superare quelli ottenibili con la sentenza di merito, tanto che vi sono ordinanze cautelari concesse in sede amministrativa che consentono al ricorrente di ottenere vantaggi ulteriori rispetto a quelli che potrebbe ritrarre per il tramite della decisione di annullamento (Raimondi 2007, 609; Id. 2011, 920). Con la conseguenza che la concreta definizione della strumentalità cautelare nel processo amministrativo «acquista un carattere di oggettiva urgenza» e si colloca all'interno di un problema più ampio (su cui Panzarola 2013, 73).

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