Codice di Procedura Penale art. 291 - Procedimento applicativo.

Franco Fiandanese

Procedimento applicativo.

1. Le misure sono disposte su richiesta del pubblico ministero [7141, 7151, 7161, 745], che presenta al giudice competente [279, 391; 91 att.] gli elementi su cui la richiesta si fonda, compresi i verbali di cui all'articolo 268, comma 2, limitatamente alle comunicazioni e conversazioni rilevanti, e comunque conferiti nell'archivio di cui all'articolo 269, nonché tutti gli elementi a favore dell'imputato e le eventuali deduzioni e memorie difensive già depositate [2922-ter] 12.

1-bis 3.

1-ter. Quando è necessario, nella richiesta sono riprodotti soltanto i brani essenziali delle comunicazioni e conversazioni intercettate, in ogni caso senza indicare i dati personali dei soggetti diversi dalle parti, salvo che cio' sia indispensabile per la compiuta esposizione4.

1-quater. Fermo il disposto dell'articolo 289, comma 2, secondo periodo, prima di disporre la misura, il giudice procede all'interrogatorio della persona sottoposta alle indagini preliminari con le modalita' indicate agli articoli 64 e 65, salvo che sussista taluna delle esigenze cautelari di cui all'articolo 274, comma 1, lettere a) e b), oppure l'esigenza cautelare di cui all'articolo 274, comma 1, lettera c), in relazione ad uno dei delitti indicati all'articolo 407, comma 2, lettera a), o all'articolo 362, comma 1-ter, ovvero a gravi delitti commessi con uso di armi o con altri mezzi di violenza personale5.

1-quinquies6.

1-sexies. L'invito a presentarsi per rendere l'interrogatorio e' comunicato al pubblico ministero e notificato alla persona sottoposta alle indagini preliminari e al suo difensore almeno cinque giorni prima di quello fissato per la comparizione, salvo che, per ragioni d'urgenza, il giudice ritenga di abbreviare il termine, purche' sia lasciato il tempo necessario per comparire. Il giudice provvede comunque sulla richiesta del pubblico ministero quando la persona sottoposta alle indagini preliminari non compare senza addurre un legittimo impedimento, oppure quando la persona sottoposta alle indagini preliminari non e' stata rintracciata e il giudice ritiene le ricerche esaurienti, anche con riferimento ai luoghi di cui all'articolo 159, comma 17.

1-septies. L'invito contiene:

a) le generalita' o altre indicazioni personali che valgono a identificare la persona sottoposta alle indagini;

b) il giorno, l'ora e il luogo della presentazione, nonche' l'autorita' davanti alla quale la persona deve presentarsi;

c) la descrizione sommaria del fatto, comprensiva di data e luogo di commissione del reato;

d) l'avviso della facolta' di nominare un difensore di fiducia e di essere ammesso al patrocinio a spese dello Stato nei casi previsti dalla legge; del diritto di ottenere informazioni in merito all'accusa; del diritto all'interprete e alla traduzione di atti fondamentali; del diritto di avvalersi della facolta' di non rispondere; del diritto di informare le autorita' consolari e di dare avviso ai familiari; della facolta' di accedere ai programmi di giustizia riparativa8.

1-octies. L'invito di cui al comma 1-sexies contiene altresi' l'avviso di deposito nella cancelleria del giudice della richiesta di applicazione della misura cautelare e degli atti presentati ai sensi del comma 1, nonche' della facolta' di prendere visione ed estrarre copia di tutti gli atti depositati, ivi compresi i verbali delle comunicazioni e delle conversazioni intercettate, con diritto alla trasposizione delle relative registrazioni su supporto idoneo alla riproduzione dei dati9.

1-novies. L'interrogatorio di cui al comma 1-quater deve essere documentato integralmente, a pena di inutilizzabilita', secondo le modalita' di cui all'articolo 141-bis10.

2. Se riconosce la propria incompetenza per qualsiasi causa, il giudice, quando ne ricorrono le condizioni e sussiste l'urgenza di soddisfare taluna delle esigenze cautelari previste dall'articolo 274, dispone la misura richiesta con lo stesso provvedimento con il quale dichiara la propria incompetenza. Si applicano in tal caso le disposizioni dell'articolo 27 [3074-5].

2-bis. In caso di necessità o urgenza il pubblico ministero può chiedere al giudice, nell'interesse della persona offesa, le misure patrimoniali provvisorie di cui all'articolo 282-bis. Il provvedimento perde efficacia qualora la misura cautelare sia successivamente revocata 11.

 

[1] V. inoltre sub art. 293 per il potere dell'autorità giudiziaria di ritardare l'emissione o l'esecuzione di provvedimenti di cattura.

[2] Comma così sostituito dall'art. 8 l. 8 agosto 1995, n. 332.

Successivamente l'art. 3, comma 1, lett. e) n. 1) del d.lgs. 29 dicembre 2017, n. 216 ha disposto l'inserimento, dopo le parole « si fonda, », delle seguenti parole: « compresi i verbali di cui all'articolo 268, comma 2, limitatamente alle comunicazioni e conversazioni rilevanti, ». Ai sensi dell'art. 9 comma 1 d.lgs. n. 216, cit.,  come da ultimo modificato dall'art. 1, comma 1, lett. a) d.l. 30 aprile 2020, n. 28, conv., con modif., in l. 25 giugno 2020, n. 70, ​ tale disposizione si applica «ai procedimenti penali iscritti dopo il 31 agosto 2020» (in precedenza l'art. 1, comma 1, n. 1) d.l. 30 dicembre 2019, n. 161, conv. con modif. in l. 28 febbraio 2020, n. 7, aveva modificato il suddetto art. 9 comma 1 d.lgs. n. 216, cit., disponendo che la disposizione si applicasse «ai procedimenti penali iscritti dopo il 30 aprile 2020»; lo stesso art. 1, comma 1, n. 1) d.l. n. 161, cit., anteriormente alla conversione in legge, aveva invece stabilito che la suddetta disposizione si applicasse «ai procedimenti penali iscritti dopo il 29 febbraio 2020 »).  Il termine di applicabilità originariamente previsto dal suddetto art. 9 comma 1 d.lgs. n. 216, cit., ovvero « alle operazioni di intercettazione relative a provvedimenti autorizzativi emessi dopo il centottantesimo giorno successivo alla data di entrata in vigore del presente decreto », era stato già differito dall'art. 2  comma 1 d.l. 25 luglio 2018, n. 91, conv., con modif. in l. 21 settembre 2018, n. 108, sostituendolo con il termine « dopo il 31 marzo 2019 », poi dall'art. 1 comma 1139 lett. a) n. 1) l. 30 dicembre 2018, n. 145 (Legge di bilancio 2019), sostituendolo con il termine « dopo il 31 luglio 2019 » e dall'art. 9 comma lett. a) d.l. 14 giugno 2019, n. 53, conv., con modif., in l. 8 agosto 2019, n. 77  sostituendolo con il termine « dopo il 31 dicembre 2019 ».

Da ultimo, l'art. 2, comma 1, lett. h) d.l. 30 dicembre 2019, n. 161, conv., con modif., in l. 28 febbraio 2020, n. 7, ha disposto l'inserimento, dopo le parole « conversazioni rilevanti, », delle parole « e comunque conferiti nell'archivio di cui all'articolo 269, ». A norma dell'art. 2, comma 8, d.l. n. 161, cit.,conv. con modif. in l. 28 febbraio 2020, n. 7, come da ultimo modificato dall'art. 1, comma 2, d.l. 30 aprile 2020, n. 28, conv., con modif., in l. 25 giugno 2020, n. 70, ​prevede che le disposizioni del citato articolo si applicano « ai procedimenti penali iscritti successivamente al 31 agosto 2020, ad eccezione delle disposizioni di cui al comma 6 che sono di immediata applicazione. ». 

[3] Il comma, già inserito dall'art. 12 d.lgs. 14 gennaio 1991, n. 12, è stato soppresso dall'art. 8 l. 8 agosto 1995, n. 332.

[4] L'art. 3, comma 1, lett. e) n. 2) del d.lgs. 29 dicembre 2017, n. 216 ha inserito il presente comma 1-ter. Ai sensi dell'art. 9 comma 1 d.lgs. n. 216, cit.,  come da ultimo modificato dall'art. 1, comma 1, lett. a) d.l. 30 aprile 2020, n. 28,  conv., con modif., in l. 25 giugno 2020, n. 70, ​tale disposizione si applica «ai procedimenti penali iscritti dopo il 31 agosto 2020» (in precedenza l'art. 1, comma 1, n. 1) d.l. 30 dicembre 2019, n. 161, conv. con modif. in l. 28 febbraio 2020, n. 7, aveva modificato il suddetto art. 9 comma 1 d.lgs. n. 216, cit., disponendo che la disposizione si applicasse «ai procedimenti penali iscritti dopo il 30 aprile 2020»; lo stesso art. 1, comma 1, n. 1) d.l. n. 161, cit., anteriormente alla conversione in legge, aveva invece stabilito che la suddetta disposizione si applicasse «ai procedimenti penali iscritti dopo il 29 febbraio 2020 »).  Il termine di applicabilità originariamente previsto dal suddetto art. 9, comma 1 d.lgs. n. 216, cit., ovvero « alle operazioni di intercettazione relative a provvedimenti autorizzativi emessi dopo il centottantesimo giorno successivo alla data di entrata in vigore del presente decreto », era stato già differito dall'art. 2  comma 1 d.l. 25 luglio 2018, n. 91, conv., con modif. in l. 21 settembre 2018, n. 108, sostituendolo con il termine « dopo il 31 marzo 2019 », poi dall'art. 1, comma 1139 lett. a) n. 1) l. 30 dicembre 2018, n. 145 (Legge di bilancio 2019), sostituendolo con il termine « dopo il 31 luglio 2019 » e dall'art. 9 comma 2 lett. a) d.l. 14 giugno 2019, n. 53, conv., con modif., in l. 8 agosto 2019, n. 77, sostituendolo con il termine « dopo il 31 dicembre 2019 » .

Da ultimo, il comma è stato modificato dall'art. 2, comma 1, lett. e), num. 1) l. 9 agosto 2024, n. 114, che dopo le parole: «conversazioni intercettate» ha aggiunto le seguenti: «, in ogni caso senza indicare i dati personali dei soggetti diversi dalle parti, salvo che ciò sia indispensabile per la compiuta esposizione».

[6] L'art. 2, comma 1, lett. e) num. 2) l. 9 agosto 2024, n. 114 ha disposto l'inserimento del presente comma: «1-quinquies. Nel caso di cui all'articolo 328, comma 1-quinquies, all'interrogatorio procede il presidente del collegio o uno dei componenti da lui delegato.» Ai sensi dell'art. 9, comma 1, della l. n. 114/2024 cit., il comma 1.quinquies del presente articolo si applica decorsi due anni dalla data di entrata in vigore della citata legge (25 agosto 2026).

[11] Comma aggiunto dall'art. 1 comma 1 l. 4 aprile 2001, n. 154.

Inquadramento

La norma in esame fissa il principio fondamentale della necessità di domanda cautelare del pubblico ministero, ciò significa, da un lato, che è sottratto all'accusa il potere di emettere provvedimenti cautelari, dall'altro lato, però, il giudice non può disporre ex offici o l'applicazione di una misura cautelare e neppure applicare una misura più afflittiva di quella richiesta dal p.m., con la conseguenza che la mancanza di tale presupposto, sia nella fase di indagini preliminari sia nelle ulteriori fasi del giudizio, integra l'ipotesi di nullità di ordine generale ex art. 178, comma 1, lett. b), insanabile e rilevabile d'ufficio in ogni stato e grado del processo ai sensi dell'art. 179 (Cass. VI, n. 33858/2008; Cass. IV, n. 52540/2017). 

Il principio della domanda cautelare impone che il pubblico ministero prospetti espressamente al giudice gli elementi sui quali la richiesta si basa e le esigenze di cautela da assicurare, senza che alcuno spazio possa al riguardo attribuirsi a richieste implicite, trattandosi di norma di stretta interpretazione, per le sue immediate incidenze sul bene della libertà personale (Cass. VI, n. 15959/2021).

Peraltro, il giudice competente ex art. 279 può sempre applicare una misura meno afflittiva di quella richiesta dal pubblico ministero (Cass. II, n. 48250/2003). In verità, dopo la soppressione, ad opera della l. 8 agosto 1995, n. 332, dell'art. 291, comma 1-bis (che inibiva al giudice di applicare misure cautelari meno gravi nel caso in cui il p.m. avesse chiesto di provvedere esclusivamente in ordine alla misura richiesta) una parte della giurisprudenza, espressasi pur dopo detta soppressione, ha affermato che sussiste il divieto per il giudice di applicare una misura cautelare meno grave di quella indicata dal p.m. soltanto in presenza di una richiesta diretta a che si provveda esclusivamente sulla più grave misura, così da esprimere la volontà del richiedente di inibire la facoltà del giudice di disporre una misura meno afflittiva (Cass. I, n. 1083/1998; Cass. III, n. 43200/2008;); invece, secondo un diverso orientamento giurisprudenziale nell'attuale assetto normativo un simile potere di applicare una misura gradata è sempre riconoscibile al giudice della cautela, a prescindere dal contenuto della richiesta del p.m. (Cass. VI, n. 41840/2014: in motivazione, la S.C. ha precisato che il P.M. è legittimato ad impugnare l'ordinanza che non abbia applicato alcuna misura, al fine di ottenere un provvedimento coercitivo meno afflittivo di quello richiesto, solo se, nella domanda cautelare, aveva anche solo implicitamente prospettato al giudice una simile decisione alternativa).

Neppure viola il principio della domanda cautelare il giudice della cautela che ritenga sussistente un periculum libertatis diverso o ulteriore rispetto a quello indicato dal PM richiedente. La S.C. ha escluso l'applicabilità alla materia del principio dettato dall'art. 521, in quanto il giudice cautelare, una volta investito della domanda, è funzionalmente competente ad esercitare i più ampi poteri di valutazione degli indizi di colpevolezza e delle necessità cautelari, non essendo logico consentire che, in mancanza di una esigenza ma in presenza delle altre, l'imputato possa ledere gli interessi che la misura è preordinata a salvaguardare  (Cass. III, n. 43731/2016) (v. anche sub art. 292, § 3.4).

Rientra, ancora, nei poteri del giudice per le indagini preliminari di qualificare più esattamente l'ipotesi di reato contestata dal P.M., sia pure agli effetti limitati dell'adozione della misura cautelare richiesta, senza che ciò possa implicare una iniziativa ufficiosa del giudice (Cass. I, n. 168/1992; Cass. II, n. 4198/2000; Cass. III, n. 4549/2008; Cass. VI, n. 12828/2013; Cass. V, n. 7468/2014). Infatti, in applicazione del principio di legalità, al giudice è consentito sempre attribuire la corretta qualificazione giuridica al fatto descritto nell'imputazione, senza che ciò incida sull'autonomo potere di iniziativa del pubblico ministero, che rileva esclusivamente sotto il diverso profilo dell'immutabilità della formulazione del fatto inteso come accadimento materiale, fermo restando che l'eventuale correzione del nomen iuris non può avere effetti oltre il procedimento incidentale (Cass.S.U. , n. 16/1996; Cass. II, n. 4638/2000; Cass. III, n. 4549/2008; Cass. VI, n. 12828/2013).

La richiesta del P.M.

In genere

Il primo comma dell'art. 291 espressamente prevede che le misure cautelari personali siano disposte dal giudice competente «su richiesta del pubblico ministero» che presenta gli elementi su cui essa si fonda, compresi i verbali di cui all'articolo 268, comma 2, limitatamente alle comunicazioni e conversazioni rilevanti, e comunque conferiti nell'archivio di cui all'art. 269. Quest'ultima prescrizione è stata da ultimo modificata dalla nuova disciplina delle intercettazioni di cui al d.l. 30 dicembre 2019, n. 161, convertito in l. 28 febbraio 2020, n. 7, disciplina per la quale si rinvia ai commenti dei corrispondenti articoli del codice, in particolare per quanto concerne la nozione di “rilevanza”.

La giurisprudenza ha precisato che non occorre che detta richiesta e, corrispondentemente, la conseguente ordinanza impositiva del giudice siano, rispettivamente, formulata e recepita nel provvedimento con l'indicazione delle ipotesi di reato formalmente trasfuse in autonomi, specifici capi d'imputazione, potendo invece risultare una o più di esse (anche) dal contesto motivazionale. Quel che è indispensabile è che non solo le ipotesi di reato non esplicitamente formulate in capi di imputazione siano contenute nel contesto motivazionale del provvedimento, ma che queste risultino non inserite in maniera soltanto discorsiva, ovvero obiter tantum o comunque in un contesto non legato funzionalmente all'emissione dell'ordinanza applicativa della misura cautelare verso la quale la richiesta del P.M. è stata diretta (Cass. I, n. 4038/1995; Cass. I, n. 29653/2003; Cass. VI, n. 1158/2008).

Le Sezioni Unite hanno chiarito che l'ammissibilità della richiesta di applicazione di misure cautelari personali, presentata dal magistrato dell'ufficio del pubblico ministero, assegnatario del procedimento non implica l'assenso scritto del procuratore della Repubblica, previsto dall'art. 3, comma 2, d.lgs. n. 106/2006, che, pertanto, non è condizione di validità della conseguente ordinanza cautelare del giudice ( Cass. S.U., n. 8388/2009).

Le stesse Sezioni Unite hanno, invece, precisato che la delega conferita dal procuratore della Repubblica al vice procuratore onorario e al magistrato ordinario in tirocinio da almeno sei mesi per lo svolgimento delle funzioni di Pubblico Ministero nella udienza di convalida dell'arresto o del fermo, nei rispettivi ambiti stabiliti dall'art. 72, comma 2, lett. b), r.d. n. 12/1941 (ord. giud.), comprende la facoltà di richiedere l'applicazione di una misura cautelare personale (Cass. S.U, n. 13716/2011).

La richiesta del pubblico ministero di applicazione della custodia cautelare non può ritenersi caducata a causa dell'omissione, da parte del giudice cui è rivolta, di qualsiasi decisione in ordine alla richiesta medesima né tantomeno in seguito al mero decorrere del tempo, essendo viceversa necessaria, a tal fine, una manifestazione di volontà della pubblica accusa (anche per facta concludentia) contraria all'emissione del provvedimento originariamente richiesto (Cass. II, n. 608/1996). Ancora, la richiesta di custodia cautelare presentata dal pubblico ministero non perde efficacia e non va rinnovata nel caso in cui sia ab origine emessa un'ordinanza illegittima per carenza dei requisiti formali prescritti a pena di nullità, e poi sia emesso per gli stessi fatti un nuovo provvedimento correttivo, integrativo o sostitutivo del precedente. Ne consegue che non vi è necessità di nuova richiesta, bastando quella precedente a soddisfare le prescrizioni di cui agli artt. 178 lett. b) e 291 (Cass., II, n. 17362/2008).

La questione se la richiesta di applicazione di misura cautelare possa essere ritualmente presentata a seguito di archiviazione o di sentenza di non luogo a procedere è stata discussa e risolta dalle Sezioni Unite, che hanno chiarito che, una volta disposta, al di fuori dei casi indicati nell'art. 345, l'archiviazione di una notizia di reato, non è consentito al P.M. chiedere e al g.i.p. valutare, accogliendola o rigettandola — senza il preventivo provvedimento di autorizzazione alla riapertura delle indagini previsto dall'art. 414 stesso codice — l'applicazione di misura cautelare, si fondi la relativa richiesta su una semplice rilettura di elementi già presenti negli atti archiviati o su elementi acquisiti, anche occasionalmente, dopo l'archiviazione. E invero il decreto di archiviazione, pur non essendo munito dell'autorità della res judicata, è connotato da un'efficacia preclusiva, quantunque limitata, operante sia con riferimento al momento dichiarativo della carenza di elementi idonei a giustificare il proseguimento delle indagini, sia riguardo al momento della loro riapertura, condizionata dal presupposto dell'esigenza di nuove investigazioni, che rappresenta per il giudice parametro di valutazione da osservare nella motivazione della decisione di cui all'art. 414 (Cass. S.U., n. 9/2000; analogamente, nel caso in cui sia stata emessa sentenza di non luogo a procedere, la domanda cautelare può essere legittimamente presentata e, conseguentemente, può essere emessa una valida ordinanza cautelare, soltanto a condizione che la pronuncia sia stata preventivamente revocata (Cass. S.U., n.8/2000).

Elementi su cui si fonda

L'art. 291 pone a carico del P.M. l'onere di indicare gli elementi su cui si fonda la sua richiesta di applicazione di una misura cautelare, ivi compresi quelli a favore dell'imputato. 

L'adempimento di tale onere è rimesso in via esclusiva alla valutazione del giudice chiamato a decidere e può essere sindacato dall'interessato solo attraverso l'avvio della procedura di riesame del provvedimento di eventuale accoglimento della richiesta. La validità della predetta valutazione deve essere verificata, in sede di merito e di legittimità, tenendo conto della fase processuale in cui l'iniziativa del P.M. si inserisce, ben diversa essendo la posizione di chi riveste ancora la qualità di semplice indagato da quella di chi abbia già assunto la qualità di imputato, segnatamente quando alla richiesta di rinvio a giudizio sia seguito il relativo decreto. In tal caso, non è necessario che la domanda cautelare diretta dal P.M. al giudice del dibattimento sia accompagnata da una esposizione analitica dei gravi indizi di colpevolezza e neppure dalla formulazione dei capi di imputazione, allorché non possono comunque sorgere dubbi sulla individuazione del procedimento cui essa si riferisce (Cass. II, n. 3668/1994). Nello stesso senso, si è affermato che quando il P.m., in sede dibattimentale, richieda l'applicazione di una misura cautelare personale nel corso della sua requisitoria finale con la quale abbia concluso per la condanna dell'imputato, l'obbligo di indicazione degli elementi atti a sorreggere la suddetta applicazione è ritualmente ottemperato con il richiamo, anche implicito, a tutti i dati di accusa posti a fondamento della contemporanea richiesta di condanna; ciò in quanto il giudice del dibattimento, a differenza del G.I.P. che è giudice dell'atto e non del processo, ha avuto conoscenza di ogni elemento probatorio legittimamente acquisito agli atti (Cass. I, n. 4307/1994; Cass. VI, n. 3292/1997).

Efficacia preclusiva del c.d. giudicato cautelare

In mancanza di una norma che che definisca l'efficacia delle ordinanze pronunciate nel procedimento incidentale de libertate, la giurisprudenza della Suprema Corte, con molteplici sentenze delle Sezioni Unite, ha affermato il principio del c.d. giudicato cautelare, facendolo derivare dal disposto dell'art. 649, nel quale è accolta la regola del ne bis in idem, ritenuta operativa anche in materia cautelare (Cass. S.U , n. 11/1992), chiarendo, peraltro, che si tratta di una limitata efficacia preclusiva di natura endoprocessuale (Cass. S.U. , n. 20/1993), salvo che siano cambiate le condizioni in base alle quali fu emessa la precedente decisione (Cass. S.U. , n. 26/1994) (per ulteriori approfondimenti sul giudicato cautelare v. sub art. 309, § 14).

Il giudicato cautelare, dunque, incide sul potere d'iniziativa del pubblico ministero, per cui l'ulteriore esercizio dell'azione cautelare per lo stesso fatto e nei confronti dello stesso soggetto, immutato lo stato degli atti, è precluso dalla caducazione del precedente provvedimento cautelare per ragioni non formali e cioè da una decisione negativa sui presupposti applicativi della misura assunta all'esito dei giudizi incidentali di impugnazione. Con l'ulteriore precisazione che anche l'omessa impugnazione dell'ordinanza reiettiva della richiesta di applicazione di una misura restrittiva dà luogo alla formazione del giudicato cautelare, che preclude la reiterazione della richiesta laddove la stessa non sia fondata su elementi nuovi, stante il principio di tassatività delle procedure esperibili in materia cautelare che limita i rimedi praticabili ai mezzi di impugnazione previsti dalla legge (Cass. VI, n. 5374/2003; Cass. V, n. 13083/2011). IL P.M., a seguito del rigetto da parte del G.I.P. della richiesta di applicazione di misura cautelare può seguire due percorsi tra loro alternativi: può rinnovare la richiesta di applicazione di misura cautelare al giudice delle indagini preliminari allegando nuovi elementi investigativi, ovvero presentare appello cautelare ai sensi dell'art. 310 avverso l'ordinanza reiettiva della richiesta di applicazione di misura cautelare e riversare detti elementi nel procedimento d'impugnazione. Infatti, nel procedimento conseguente all'appello proposto dal P.M. contro l'ordinanza reiettiva della richiesta di misura cautelare personale, è legittima la produzione di documentazione relativa ad elementi probatori «nuovi», preesistenti o sopravvenuti, sempre che, nell'ambito dei confini segnati dal devolutum, quelli prodotti dal P.M. riguardino lo stesso fatto contestato con l'originaria richiesta cautelare e in ordine ad essi sia assicurato nel procedimento camerale il contraddittorio delle parti, anche mediante la concessione di un congruo termine a difesa, e quelli prodotti dall'indagato, acquisiti anche all'esito di investigazioni difensive, siano idonei a contrastare i motivi di gravame del P.M. ovvero a dimostrare che non sussistono le condizioni e i presupposti di applicabilità della misura cautelare richiesta (Cass. S.U., n. 18339/2004). Per converso, in pendenza del procedimento di appello, il pubblico ministero non può rinnovare la richiesta di applicazione di misura cautelare nei confronti dello stesso indagato e per il medesimo fatto allegando elementi probatori nuovi, poiché, in tal caso, è precluso al giudice, in pendenza del procedimento di appello, decidere in merito alla medesima domanda cautelare (Cass. S.U., n. 18339/2004).

Quanto all'immutazione dello stato degli atti, che legittima invece la reiterazione dell'iniziativa cautelare (con le limitazioni previste dall'art. 297 in ordine alla durata della custodia cautelare), la Corte ha precisato che la stessa può essere determinata anche da nuovi elementi di valutazione e di inquadramento dei fatti, per effetto di sopravvenuti sviluppi delle indagini, anche con riguardo a circostanze maturate prima della deliberazione del giudice del gravame (Cass. VI, n. 4112/2007; Cass. V, n.5959/2012; Cass. II, n. 49188/2015).

Atti che devono essere trasmessi

In genere

Il Pubblico Ministero nel richiedere l'adozione di una misura cautelare non è tenuto ex art. 291, comma 1 a trasmettere al giudice determinati specifici atti, ma solo quelli che egli stesso ritiene opportuno porre a fondamento della propria istanza; sarà il giudice, in posizione di terzietà, a decidere sulla loro sufficienza; con la conseguenza che la mancata trasmissione, da parte del P.M., di tutti gli atti acquisiti nella fase delle indagini preliminari, per richiedere l'emissione del provvedimento cautelare da parte del G.I.P., non determina alcuna nullità, né risulta altrimenti sanzionata, ma determina soltanto l'ovvia impossibilità, per il G.I.P., di emettere il provvedimento cautelare richiesto dal P.M. in base alle risultanze di atti non allegati (Cass. VI, n. 1438/1992; Cass. VI, n. 2999/1996; Cass. I, n. 47353/2009).

Il P.M. non soltanto ha la facoltà di selezionare gli atti di indagine da trasmettere al giudice con la richiesta di applicazione di misure cautelari personali, ma può anche trasmettere semplici stralci di verbali o oscurarne parte del contenuto con «omissis», non avendo l'obbligo di mettere a disposizione del giudice gli atti di indagine nella loro integralità, al fine di garantire il segreto che permane in questa fase processuale nella prospettiva di evitare la compromissione delle indagini in itinere (Cass. VI, n. 2900/1998; Cass. I, n. 25589/2005; Cass. VI, n. 50949/2014), purché gli stralci dei verbali depositati siano rappresentativi degli elementi su cui si fonda la richiesta di misura cautelare e siano garantiti il diritto di difesa e lo sviluppo del contraddittorio; nondimeno, il non corretto esercizio di tale facoltà del P.M. non determina di per sé la nullità dell'ordinanza che recepisce le dichiarazioni di cui ai verbali stessi ex art. 178, comma 1, lett. c), ridondando soltanto sulla valutazione che il giudice deve compiere rispetto ai materiali indizianti (Cass. II, n. 17118/2017).

Poiché il P.M. non ha l'obbligo di mettere a disposizione del G.i.p., prima, e del Tribunale del riesame, dopo, gli atti di indagine nella loro integralità, si è ritenuto utilizzabile il testo di una conversazione intercettata il cui contenuto sia riportato per stralci in una informativa redatta dalla polizia giudiziaria (Cass. VI, n. 18448/2016).Peraltro, secondo il nuovo disposto del comma 1-ter, introdotto dal d.lgs. n. 216 del 2017, “quando è necessario, nella richiesta sono riprodotti soltanto i brani essenziali delle comunicazioni e conversazioni intercettate”; la finalità della norma è quella di tutelare i diritti alla riservatezza di terzi o anche degli stessi indagati, ma l'utilizzo dei concetti di “necessità” ed “essenzialità” appare, da un lato generico, e, dall'altro lato, superfluo se è vero che la richiesta del P.M. deve contenere solo ciò che serve per sostenere l'accusa e, quindi, la norma stessa può essere letta solo quale invito ad un maggior rigore nella formulazione della richiesta, non essendo prevista alcuna sanzione processuale per la sua violazione. Diversamente, è stato affermato che la richiesta formulata dal P.M. ai fini dell'adozione del provvedimento coercitivo deve essere corredata dai documenti che costituiscono le fonti di prova oggetto di utilizzazione, e non può basarsi sulla trascrizione, pur fedele, del contenuto dell'atto nella richiesta del P.M. e, di riflesso, nel provvedimento cautelare (Cass. VI, n. 8940/2011: fattispecie in cui le dichiarazioni della persona offesa utilizzate ai fini dell'adozione del provvedimento coercitivo sono state desunte non dalla documentazione del relativo atto, ma da una riproduzione del suo contenuto nella richiesta avanzata dal P.M); Cass. VI, n. 11449/2016 : in motivazione, la Corte ha annullato l'ordinanza rilevando che il verbale prodotto dal P.M. conteneva degli "omissis" in relazione alle dichiarazioni che erano state trascritte nella richiesta, sicché la fonte di prova, pur se non ne era contestata la fedeltà all'atto, era conoscibile dalla difesa e dal giudice solo sulla base della riproduzione del contenuto e non dal documento originale).

Il comma 1-ter è stato ulteriormente modificato dall'art. 2, comma 1, lett. e), num. 1) l. 9 agosto 2024, n. 114, che dopo le parole: «conversazioni intercettate» ha aggiunto le seguenti: «, in ogni caso senza indicare i dati personali dei soggetti diversi dalle parti, salvo che ciò sia indispensabile per la compiuta esposizione». Nello stesso senso è stato modificato l’art. 292, precludendo al giudice di riportare nell’ordinanza applicativa della misura cautelare la stessa tipologia di dati, a meno che – di nuovo – questo «sia indispensabile per la compiuta esposizione degli elementi rilevanti» (art. 2, comma 1, lett. f , n. 2 legge cit.). Infine, è stato modificato dall’art. 3 della novella normativa l’ art. 89- bis , comma 2, disp. att. c.p.p. riguardante l’ archivio delle intercettazioni, che deve essere gestito in modo tale da garantire la segretezza anche della documentazione concernente le intercettazioni relative ai dati personali dei terzi. In dottrina  (Gialuz, 7) è stato osservato che «si tratta di norme che non aggiungono molto , se si considera che il divieto di trascrizione dei terzi potrà essere superato valorizzando la clausola della rilevanza ai fini delle indagini. Ed esse appaiono anche sostanzialmente inutili : per un verso, è ben noto che i problemi attinenti alla diffusione di contenuti riservati si verificano a seguito del sequestro dei cellulari o di dispositivi che contengono le informazioni più riservate e su questo profilo non si prevede alcunché; per altro verso, la materia della diffusione indebita di informazioni captate ha a che fare con il tema centrale dei canali informativi e dei presidi sanzionatori posti a salvaguardia delle regole che definiscono l’assetto dei rapporti tra i diversi valori in gioco».

 È stato, peraltro, precisato che l'obbligo di una trasmissione completa ed integrale sussiste solo per gli elementi a favore dell'imputato e dunque per ogni atto dal quale tali elementi possano trarsi, nonché per le eventuali deduzioni e memorie difensive, mentre nessun onere sussiste di trasmettere tutto il contenuto del fascicolo processuale (Cass. V, n. 39950/2004; Cass. II, n. 12080/2008; Cass. VI, n. 29477/2017; Cass. IV, n. 5981/2020), con la precisazione che quando la norma parla di “elementi favorevoli all'imputato”, ha riguardo solo a quegli elementi che hanno un'oggettiva natura favorevole e non fa riferimento a quegli elementi che possano apparire favorevoli in forza di argomentazioni o ricostruzioni logiche (Cass. IV, n. 27379/2010; Cass. I, n. 57839/2017). La mancata trasmissione, da parte del pubblico ministero, in violazione del disposto di cui all'art.291, comma 1, ultima parte, delle eventuali memorie difensive già depositate (anche se riferibili a precedenti richieste di misure cautelari, successivamente divenute inefficaci e relative sempre agli stessi fatti), si traduce in una causa di nullità dell'ordinanza applicativa della misura, per violazione dell'art.292, comma 2, lett. c)-bis, nella parte in cui esso impone al giudice l'esposizione dei motivi per i quali sono stati ritenuti non rilevanti gli elementi forniti dalla difesa; nullità, quella anzidetta, da qualificare come «intermedia» e quindi destinata ad essere sanata se non rilevata o dedotta, nel caso in cui venga proposta richiesta di riesame, prima che su tale richiesta intervenga il provvedimento del tribunale (Cass. I, n. 895/1998; Cass. I, n. 11524/2005; Cass. I, n. 36246/2012; Cass. V, n. 20353/2015).

Nella nozione di "eventuali deduzioni e memorie difensive già depositate" che, ai sensi dell'art. 291, comma 1, il pubblico ministero deve trasmettere al giudice per le indagini preliminari unitamente alla richiesta di misura cautelare, a pena d'una nullità d'ordine generale ex art. 292, comma 2, lett. c-bis), rientrano soltanto gli elementi indiziari, eventualmente allegati ad una memoria difensiva, astrattamente dotati di decisività, in quanto idonei, nella prospettazione difensiva, ad incidere sulla valutazione del compendio indiziario a carico dell'indagato (Cass. I, n. 1072/2020: fattispecie relativa all'omessa trasmissione di memorie difensive, alle quali erano allegati documenti e verbali idonei, secondo la tesi difensiva, a minare la credibilità e l'attendibilità del collaboratore di giustizia sulle cui dichiarazioni si fondava la ricostruzione d'accusa, in cui la Corte ha annullato l'ordinanza del tribunale del riesame che aveva omesso di valutare se, al momento della decisione del giudice per le indagini preliminari, gli argomenti di fatto forniti dalla difesa dell'indagato avrebbero potuto assumere un peso e un significato probatorio tali da rendere necessaria la loro piena valutazione).

Casistica

Il registro delle notizie di reato previsto dall'art. 335 non è collegato a un particolare atto di indagine come specifico presupposto di legalità dello stesso e non si può, quindi, in alcun modo far rientrare tra gli elementi che il P.M. deve presentare a fondamento della richiesta di applicazione della misura cautelare a norma dell'art. 291, comma 1, ferma restando la possibilità per la difesa di richiedere alla cancelleria una specifica attestazione, nel caso sussistano elementi che fanno sorgere dubbi sulla inutilizzabilità degli atti stessi per violazione dei termini di durata massima delle indagini ex art. 407, comma 3 (Cass. I, n. 5548/1998; Cass. II, n. 32285/2001; Cass. I, n. 41696/2003; Cass. VI, n. 45055/2005).

L'inutilizzabilità dei risultati delle intercettazioni di conversazioni o comunicazioni ha rilievo anche nel procedimento cautelare, poiché la sanzione processuale colpisce i risultati viziati del mezzo di ricerca della prova in quanto tali, in qualunque sede si intenda impiegarli, donde la conseguenza che, in sede di richiesta della misura cautelare il pubblico ministero ha, verso il G.I.P., l'obbligo di allegare i decreti autorizzativi delle intercettazioni e, nel procedimento di riesame o di appello, il giudice a quo ha lo stesso obbligo verso il Tribunale e, in caso di sua inosservanza, il G.I.P. nel primo caso e il Tribunale della libertà nel secondo devono disporne l'acquisizione (Cass.  S.U. , n. 3/1996; Cass.  S.U., n. 21/1996). Tuttavia, si è ritenuto che, ai fini dell'utilizzabilità degli esiti di intercettazioni di conversazioni o comunicazioni in procedimento diverso da quello nel quale esse furono disposte, non occorre la produzione del relativo decreto autorizzativo, essendo sufficiente il deposito, presso l'Autorità giudiziaria competente per il «diverso» procedimento, dei verbali e delle registrazioni delle intercettazioni medesime (Cass. S.U., n. 45189/2004; Cass. I, n. 19791/2015). Successivamente, con ulteriori precisazioni, sempre le Sezioni Unite hanno chiarito che il contenuto delle intercettazioni può essere trasmesso al giudice anche mediante una documentazione sommaria (i c.d. brogliacci), non essendo sanzionato l'omesso deposito delle registrazioni da alcuna nullità o inutilizzabilità delle intercettazioni medesime, salvo, però, il diritto del difensore di richiedere al P.M., in funzione del riesame, l'accesso alle stesse registrazioni; l'illegittima compressione del diritto di difesa, derivante dal rifiuto o dall'ingiustificato ritardo del pubblico ministero nel consentire al difensore, prima del loro deposito ai sensi del quarto comma dell'art. 268, l'accesso alle registrazioni di conversazioni intercettate e sommariamente trascritte dalla polizia giudiziaria nei cosiddetti brogliacci di ascolto, utilizzati ai fini dell'adozione di un'ordinanza di custodia cautelare, dà luogo ad una nullità di ordine generale a regime intermedio, ai sensi dell'art. 178, lett. c), in quanto determina un vizio nel procedimento di acquisizione della prova, che non inficia l'attività di ricerca della stessa ed il risultato probatorio, in sé considerati. Ne consegue che, qualora tale vizio sia stato ritualmente dedotto in sede di riesame ed il Tribunale non abbia potuto acquisire il relativo supporto fonico entro il termine perentorio di cui all'art. 309, comma 9, le suddette trascrizioni non possono essere utilizzate come prova nel giudizio de libertate. (In motivazione, la Corte ha altresì precisato che l'eventuale annullamento del provvedimento cautelare, per le ragioni testé indicate, non preclude al G.I.P. di accogliere una nuova richiesta cautelare, se corredata dal relativo supporto fonico) (Cass. S.U., n. 20300/2010). È stata anche dichiarata manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 291, comma 1, in riferimento agli artt. 24 e 111 Cost., nella parte in cui non prevede la trasmissione al Gip anche dei supporti informatici delle intercettazioni o videoriprese utilizzati ai fini dell'applicazione di misure cautelari, in quanto i predetti supporti e i brogliacci non costituiscono un unico atto processuale unitamente alle trascrizioni effettuate dalla polizia giudiziaria, rispetto ai quali è sempre possibile contestarne, in presenza di concreti elementi a sostegno, la mancata corrispondenza (Cass. III, n. 19198/2015).

Il pubblico ministero non ha l'obbligo di mettere a disposizione, del giudice per le indagini preliminari prima e del tribunale del riesame dopo, determinati atti tassativamente indicati, ma può utilizzare quelli più rilevanti o riassuntivi, con la conseguenza che il verbale di fermo, quando contenga la esposizione delle indagini svolte - anche se riassuntivamente menzionate - correttamente può essere posto a fondamento dell'ordinanza applicativa della misura (Cass. IV, n. 53168/2017: fattispecie in cui la Corte ha ritenuto immune da censure l'ordinanza del giudice della cautela che aveva fondato l'identificazione dell'indagato sulle risultanze dell'attività di osservazione e controllo svolta dalla polizia giudiziaria trasfuse nella comunicazione di notizia di reato e nel verbale di fermo, in assenza delle annotazioni di servizio e dei verbali relativi alle attività di osservazione ed appostamento).

Sono inutilizzabili, anche a fini cautelari, quegli elementi di prova che siano riferiti nella richiesta di emissione della misura in quanto alla personale conoscenza del pubblico ministero, ma non risultino da atti assunti o acquisiti al procedimento. Ciò tuttavia non vale, oltre che per i fatti notori, anche per quegli accadimenti che, per la loro natura o per la forma con la quale la notizia di essi si manifesta e per la provenienza della stessa, sono conosciuti o hanno la potenzialità di essere conosciuti da chiunque. In tale ipotesi l'attestazione del contenuto dell'atto fatta da un pubblico ufficiale o dal Pm, (che oltre che parte è magistrato ed in quanto tale responsabile, anche penalmente, della completa e fedele corrispondenza all'atto originario) che ne trascrive il contenuto nella richiesta rende pienamente utilizzabile l'elemento indipendentemente dall'avvenuta produzione dell'atto. (Nell'affermare il principio di cui in massima la corte ha ritenuto sufficiente, in un procedimento per omicidio preterintenzionale, la trascrizione del contenuto del certificato di morte con l'indicazione della causa del decesso, anche se il certificato stesso non era acquisito in atti e trasmesso al Gip con la richiesta) (Cass. V, n. 2561/1997).

A sostegno di una richiesta di misura cautelare personale possono essere presentate dal pubblico ministero copie «informali» di atti. Invero nel nostro sistema processuale penale nessuna norma richiede certificazione ufficiale di conformità delle copie ed al contrario vige il principio della libertà della prova sia per i fatti-reato sia per gli atti del processo (Cass. IV, n. 18454/2008; Cass. II, n. 52017/2014; Cass. V, n. 8726/2018).

Ai fini della violazione dell'obbligo del pubblico ministero di trasmettere al giudice per le indagini preliminari tutti gli elementi a favore dell'indagato, ex art. 292, comma 2, lett. c)-bis e comma 2-ter, la denunzia per calunnia presentata dall'indagato relativa a dichiarazioni accusatorie rese nei suoi confronti, non può essere equiparata ad una memoria difensiva, sicché essa non soggiace all'obbligo di trasmissione predetto (Cass. V, n. 57773/2017).

Interrogatorio preventivo

I commi da 1-quinquies a 1-novies sono stati introdotti dall'art. 2, comma 1, lett. e), num. 2) l. 9 agosto 2024, n. 114 e disciplinano il nuovo istituto del contraddittorio anticipato in materia cautelare. Si prevede l'anticipazione dell'interrogatorio di garanzia – in precedenza contemplato solo riguardo alle ipotesi di cui all'art. 289, comma 2 – a tutti i casi in cui sussista l'esigenza cautelare  di cui all'articolo 274, comma 1,lettere a) e b), oppure l'esigenza cautelare di cui all'articolo 274,comma 1, lettera c), in relazione ad uno dei delitti indicati all'articolo 407, comma 2, lettera a), o all'articolo 362, comma1-ter, ovvero a gravi delitti commessi con uso di armi o con altri mezzi di violenza personale.

Non vi è dubbio che assicurare un contraddittorio preventivo permetta alla difesa di prospettare al giudice, argomenti a sostegno dell'innocenza dell'indagato o comunque dell'insussistenza dei presupposti per l'adozione della misura cautelare, a prescindere dall'onere del pubblico ministero (ex artt. 358 e 291 c.p.p.) o dalla improbabile iniziativa difensiva contemplata dall'art. 391-octies, comma 2; inoltre, un effettivo contraddittorio anticipato garantisce l'imparzialità e la terzietà del giudice per le indagini preliminari. Si comprende, pertanto, come le discussioni sulla introduzione di un simile istituto non siano recenti (Gialuz,12), ma non hanno trovato mai traduzione legislativa soprattutto per le difficoltà sia pratiche sia sistematiche collegate principalmente alla circostanza che si parla di un atto, la misura cautelare, tipicamente “a sorpresa”. Infatti, passando dai principi alla pratica applicazione, il nuovo istituto non si sottrae alle critiche formulate dalla dottrina, la quale ha osservato, in linea generale, che il legislatore annuncia l'anticipazione del contraddittorio come regola, mentre nella novella legislativa essa assume la natura di eccezione molto limitata, poiché avrà un'applicazione residuale, posto che non si estende alle misure interdittive; ma soprattutto perché opera solo nel caso in cui venga in rilievo l'esigenza di cui alla lett.c, con l'esclusione però dei reati più gravi rivelandosi, perciò, “un istituto bandiera al quale non crede sino in fondo neanche il legislatore” (Gialuz, 13) o, comunque, ”una stravagante interpretazione  a geometrie variabili delle garanzie dell'individuo” (Malerba, 7); peraltro, il riferimento «a gravi delitti commessi con uso di armi o con altri mezzi di violenza personale» è locuzione «del tutto indeterminata» (Malerba, 6), che non consente di individuare un preciso ambito per il nuovo istituto, operando “una selezione fin troppo approssimativa e foriera di irragionevoli discriminazioni” (Pistorelli, 3). Dal confronto con l'interrogatorio di garanzia disciplinato dall'art. 294 emerge, poi, che mentre in quest'ultimo caso è (giustamente) prevista la presenza obbligatoria del difensore, non si comprende per quale ragione questa non sia richiesta nel nuovo istituto e la scelta sembra aprire a possibili questioni di legittimità costituzionale per violazione dell'art. 3 e dell'art. 24, comma 2, Cost. (Gialuz, 14). Non è previsto un termine per l'emissione dell'ordinanza cautelare da parte del giudice e ciò induce a ritenere che, medio tempore, l'indagato rimanga certamente in stato di libertà (Malerba, 9), con la evidente problematica espressa con le seguenti parole: «se dopo l'interrogatorio il giudice si convince della necessità di applicare la misura ritenendo sussistenti i gravi indizi di colpevolezza e concreto e attuale il pericolo di commissione di gravi delitti, cosa deve fare? Chiederà all'indagato di accomodarsi in corridoio nell'attesa della stesura della motivazione oppure si congederà con una pacca sulla spalla e la raccomandazione di comportarsi bene per qualche giorno, in attesa della possibile esecuzione del provvedimento?» (Gialuz, 13,14). E' stato, inoltre, osservato che, nel definire la sussistenza in concreto del presupposto per l'attivazione o la non attivazione del contraddittorio, non si comprende bene se ci si debba basare sulla richiesta del pubblico ministero o sull'autonomo vaglio del giudice, di modo che la disposizione è assai ambigua, dal momento che si riferisce alla generica “sussistenza” di determinate esigenze cautelari (Gialuz, 14; la stessa problematica è evidenziata da Pistorelli, 3 e 4 ). Su quest'ultimo punto, però, un diversa dottrina (Malerba, 5) osserva che «sono senz'altro il giudice e la sua valutazione il termine di riferimento per attivare o escludere il contraddittorio riformato e ciò tanto nell'ipotesi in cui il p.m., superficialmente o pretestuosamente, alleghi pericoli ostativi in realtà inesistenti, quanto nell'ipotesi opposta il cui il giudice ravvisasse un periculum libertatis diverso da quello prospettato dal p.m.: nel primo caso, il giudicante farà notificare l'invito di cui all'art. 291,comma 1-sexies, nel secondo, provvederà inaudita altera pars».

Il comma 1-sexies disciplina l'invito a presentarsi per rendere l'interrogatorio, che deve essere comunicato al pubblico ministero e notificato alla persona sottoposta alle indagini preliminari e al suo difensore almeno cinque giorni prima di quello fissato per la comparizione, salvo che, per ragioni d'urgenza, il giudice ritenga di abbreviare il termine, purché sia lasciato il tempo necessario per comparire. Il giudice provvede comunque sulla richiesta del pubblico ministero quando la persona sottoposta alle indagini preliminari non compare senza addurre un legittimo impedimento, oppure quando la persona sottoposta alle indagini preliminari non è stata rintracciata e il giudice ritiene le ricerche esaurienti, anche con riferimento ai luoghi di cui all'articolo 159, comma 1. Sul punto la dottrina (Gialuz, 14) ha osservato che «si tratta di un assetto che non garantisce assolutamente alla difesa un arco temporale minimo per studiare gli atti: con il risultato, facilmente pronosticabile (se solo si pensa all'esperienza applicativa dell'art. 104 c.p.p.), che aumenterà la propensione dell'indagato ad avvalersi della facoltà di non rispondere» (Nello stesso senso, Malerba, 9).

I commi 1-septies  e 1-octies disciplinano il contenuto dell'invito a comparire, prevedendo, altresì, il deposito degli atti e della richiesta del P.M. con facoltà di presa visione e di copia. L'invito deve contenere, tra l'altro, la sommaria descrizione dei fatti, comprensiva della data e luogo di commissione dei reati, l'avviso di deposito della richiesta cautelare e degli atti presentati a supporto, comprensivo della facoltà di prendere visione ed estrarre copia di tutti gli atti depositati, «ivi compresi i verbali delle comunicazioni e delle conversazioni intercettate, con diritto alla trasposizione delle relative registrazioni su supporto idoneo alla riproduzione dei dati». E' previsto anche l'avviso della facoltà di accedere ai programmi di giustizia riparativa, mentre non è previsto un importante avvertimento, cioè l'informazione in merito alle conseguenze connesse alla mancata comparizione: se l'indagato non si presenta, senza che ricorra un giustificato motivo e il giudice ritiene le ricerche esaurienti, si procederà ad assumere la decisione inaudita altera pars.

Il comma 1-novies stabilisce che l'interrogatorio di cui al comma 1-quater sia documentato integralmente, a pena di inutilizzabilità, secondo le modalità di cui all'articolo 141-bis.

Si è già detto che non è prevista la necessaria presenza del difensore e non è stabilito un termine per l'emissione dell'ordinanza cautelare da parte del giudice, sicché medio tempore, l'indagato rimane in stato di libertà.

Il comma 1-quinquies prevede che, nel caso di cui all'articolo 328, comma1-quinquies, all'interrogatorio procede il presidente del collegio o uno dei componenti da lui delegato, in conformità alla previsione della novella legislativa di affidare la competenza a provvedere sulla misura cautelare più grave ad un giudice collegiale, ma, ai sensi dell'art. 9, comma 1, della l. n. 114/2024 cit., il comma 1- quinquies del presente articolo si applica decorsi due anni dalla data di entrata in vigore della citata l. n. 114 del 2024 (25 agosto 2026).

Dal complesso normativo in esame, considerando anche che il legislatore non ha ritenuto di modificare la procedura di riesame che rimane a devoluzione totale, risulta che la fase cautelare, se dovesse essere connotata da una serie di decisioni negative per l'indagato , assumerebbe «(anche nella percezione sociale) il valore di unica fase che conta, alimentando il costante arretramento del baricentro processuale: dalla fase «che non conta e non pesa», a un autentico pre-giudizio» (Malerba, 15), con singolare eterogenesi dei fini (Gialuz).

Misura cautelare adottata da giudice incompetente

L'art. 291 comma 2 consente al giudice ancorché incompetente di applicare, con lo stesso provvedimento con il quale dichiara la propria incompetenza, la misura cautelare richiesta dal pubblico ministero, purché ricorrano le condizioni di legge e sussista l'urgenza di soddisfare taluna delle esigenze cautelari di cui all'art. 274.

Tal norma trova applicazione con riguardo a qualsiasi dichiarazione di incompetenza, non solo per territorio e per materia, ma anche funzionale: l'inciso «per qualsiasi causa», contenuto nella suddetta norma, non consente alcuna distinzione, sicché l'incompetenza funzionale del giudice ordinario rispetto a quello minorile riceve lo stesso trattamento dell'incompetenza ratione loci o materiae (Cass. I, n. 4491/1994; Cass. V, n. 24237/2004; Cass. IV, n. 27352/2013).

Il potere di disporre una misura cautelare da parte di giudice incompetente, per qualsiasi causa, è del tutto eccezionale, in quanto legittimo solo se sussiste l'improrogabile necessità di salvaguardare le esigenze cautelari. In verità, è difficile che un'esigenza cautelare possa risultare non urgente: la stessa norma di cui all'art. 274 a richiedere che il pericolo di inquinamento probatorio, il pericolo di fuga ed il pericolo di reiterazione criminosa siano «concreti e attuali», ed è evidente che l'attualità e la concretezza delle esigenze non possono non comportare l'urgenza di farvi fronte con un provvedimento cautelare. Tuttavia, qualora si manifesti rilevante l'interrogativo circa l'effettiva esistenza di detto requisito e l'incompetenza sia dichiarata dallo stesso giudice che adotta la misura, il provvedimento cautelare dovrà essere motivato anche con riferimento all'urgenza (Cass. V, n. 24237/2004). La giurisprudenza, invece, non si è pronunciata in modo univoco sulla possibilità di valutare il requisito dell'urgenza in sede di impugnazione cautelare. Le Sezioni Unite, risolvendo il contrasto, hanno affermato il seguente principio di diritto: in tema di misure cautelari personali, il giudice dell'impugnazione che rilevi l'incompetenza di quello che ha applicato la misura ha l'onere di verificare, ai sensi dell'art. 291, comma 2, la sussistenza delle condizioni per l'adozione del provvedimento genetico, conservando il potere, nel caso in cui tale verifica abbia esito negativo, di annullare lo stesso, ovvero, nel caso contrario, di provvedere ai sensi dell'art. 27 c.p.p., laddove ravvisi l'urgenza di anche solo una delle esigenze cautelari riscontrate (Cass. S.U., n. 19214/2020)

Misure patrimoniali provvisorie

Il comma 2-bis dell'art. 291 stabilisce che il pubblico ministero possa chiedere al giudice, in caso di necessità ed urgenza, nell'interesse della persona offesa, l'applicazione delle misure patrimoniali provvisorie previste dall'art. 282-bis, introdotte con l. n. 154/2001. Si tratta della possibilità per il giudice, di ingiungere all'indagato il pagamento di un assegno a favore delle persone conviventi che, per effetto dell'applicazione della misura cautelare dell'allontanamento dalla casa familiare, prevista dallo stesso art. 282-bis, resterebbero prive di mezzi di sussistenza. Il provvedimento patrimoniale, essendo accessorio alla misura cautelare personale, perde automaticamente efficacia se essa viene revocata.

Bibliografia

Aprile, Le misure cautelari nel processo penale, Milano, 2006; Scalfati (a cura di), Le misure cautelari, in Trattato di procedura penale, diretto da Spangher, Torino, 2008; Spangher, Le misure cautelari personali, in Procedura penale teoria e pratica del processo, Torino, 2015; Zappalà, Le misure cautelari, in Siracusano- Galati- Tranchina- Zappalà, Diritto processuale penale, I, Milano, 2011, 413; Gialuz, Le novità della “manovra Nordio” in materia processuale: quando l’ideologia rischia di provocare un’eterogenesi dei fini, in Sistema Penale, 22 luglio 2024; Malerba, Osservazioni sul contraddittorio anticipato in ambito cautelare. Note a margine del d.d.l. s. n. 808 (cd. d.d.l. Nordio), in Sistema Penale, 30 luglio 2024; Pistorelli, La riforma del procedimento applicativo delle misure cautelari personali, in Jus, 27 agosto 2024.

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